«Basta con i re nudi! La prima opera comica di Luca Lombardi» 1 2 3 Dopo Faust. Un travestimento , Dmitri oder der Künstler und die Macht , e Prospero , Luca Lombardi ha scelto per la sua quarta opera, commissionata dal Teatro dell’Opera di Roma, un testo di Evgenij Schwarz. Lo scrittore russo (nato a Kazàn' nel 1896, morto a Leningrado nel 1958), che fu anche attore, fondatore della compagnia teatrale Teatral'naja masterskaja, autore di libri per l’infanzia e di sceneggiature cinematografiche, divenne celebre soprattutto grazie a tre commedie a sfondo politico (Il re nudo del 1934, L'ombra del 1940 e Il drago del 1943) che furono raggruppate con il comune titolo di Trilogia del potere. L’ultima, ad esempio, racconta la vicenda di una città che vive da secoli sotto il dominio di un drago il quale chiede ogni anno il tributo di una giovane donna, fino a quando il cavaliere Lancillotto sfida il mostro e mette in crisi questa strana “convivenza” con il mostro. Questa commedia 4 (dalla quale nel 1969 Paul Dessau trasse anche l’opera Lanzelot ) fu scritta con l’intenzione di colpire il regime nazista, ma venne osteggiata dagli apparati del partito comunista sovietico. La stessa sorte toccò al Re nudo, pièce che assemblava tre favole di Hans Christian Andersen, I vestiti nuovi dell’imperatore, La principessa sul pisello, Il guardiano dei porci, veri e propri luoghi simbolici del mondo favolistico. È la storia del porcaro Enrico che si innamora, ricambiato, della principessa Enrichetta, e si ingegna per sottrarla al re cui è destinata, con l’aiuto dell’amico Cristiano e di una pentola magica: i due amici si presentano a corte come dei grandi tessitori, pronti a preparare per il re una 5 stoffa miracolosa: «Il nostro tessuto è invisibile a chi è indegno della carica che riveste o è solo deficiente» . La pièce di Schwarz è costellata di riferimenti caustici ai capricci del potere e al servilismo e alla piaggeria dei sudditi (dalla damigella che viene promossa al rango di generale perché dichiara di avere sognato il re, ai soldati costretti, come burattini, a svenire alla vista del re e a saltare quando entra la principessa) e anche di rimandi musicali, a partire dalla pentola dotata di olfatto e di abilità canore: «[…] In questo rame – spiega Cristiano - si cela l’anima più musicale del mondo . Questo musicista di rame può suonare centoquaranta musiche da ballo e intonare una canzone con i suoi campanelli d’argento […] questa macchina magica, allegra e fedele, sotto la sua pelle d’asino nasconde un naso! […] il più sensibile naso del mondo. Basta orientarlo da qualsiasi distanza verso qualsiasi cucina , e questo grande naso 6 potrà dirvi subito che pranzo si sta preparando» . L’interesse di Luca Lombardi per questo testo risale a un’epoca remota, che precede addirittura la composizione della sua prima opera («Mi ero procurato il testo in tedesco più di venti anni fa, e già allora pensavo di ricavarne un’opera. Ma l'avrei fatta in modo diverso, e mi sembra che questo sia stato il momento giusto per affrontare la composizione di un’opera comica»), attratto, come già in Prospero, dalla dimensione fiabesca della vicenda, ma anche dal suo velenoso sarcasmo, e dalla sostanza storico-politica che trapela attraverso le categorie morali. Secondo Schwarz, nella fiaba il meraviglioso si connette sempre con il reale, ma è possibile cogliere questa sintesi solo a patto di leggere la fiaba come tale. Perché quando si racconta una fiaba, non si vuole «nascondere qualcosa, ma solo rivelare, gridare a piena voce tutto quello che si pensa»7. Nella stesura del libretto, Luca Lombardi e Sandro Cappelletto hanno cercato di conservare questa prospettiva, inserendo solo qualche divagazione, qualche riferimento alle tradizioni italiane, e adattando il testo alle necessità del teatro in musica: «Abbiamo evitato riferimenti espliciti a politici di turno, anche perché è una situazione che si riproduce sempre di nuovo, ed è sempre attuale. Inoltre non riguarda solo la politica, ma tanti altri campi, dove si presentano con grande sfarzo realtà inconsistenti, dove regna il conformismo e la credulità. Mi piaceva la dimensione di una favola “morale”, anche critica, ma raccontata in forma ironica e leggera. Perciò ho collaborato personalmente alla realizzazione del libretto, scrivendo alcune parti, dove mi sembrava mancasse qualcosa, aggiungendo un’aria o una canzone per un determinato personaggio, e suggerendo dei tagli, che sono la prima cosa da fare, perché i libretti sono di solito troppo lunghi!». In questo libretto è stato innanzitutto ridimensionato il numero dei personaggi, sono state eliminate molte delle figure che affollavano la corte (il lustrascarpe, il cuoco, il maggiordomo, il sergente, il buffone, lo scienziato, il poeta, il ciambellano), anche si sono conservate alcune loro caratterizzazioni e alcune battute; è rimasta la pentola, come elemento favolistico, presenza insieme simbolica e narrativa, mentre è scomparso il naso (già protagonista dell’omonima opera di Shostakovich), ed è stata data voce al coro dei maiali. Alcuni personaggi sono stati ribattezzati: la coppia Enrico-Enrichetta è stata trasformata in Elio-Eliana, e l’amico di Elio è diventato Gabalo, cerando una coppia Elio-Gabalo, che è un esplicito omaggio all’antico imperatore romano, che fu assassinato appena diciottenne. Il testo è stato costruito ricorrendo alle forme della canzone e della ballata, con un chiaro riferimento al teatro di Brecht-Weill 1 Faust. Un travestimento, opera in 3 atti e 12 scene, è stata composta tra il 1986 e il 1990 su testo di Edoardo Sanguineti (tratto da Goethe), e su commissione dal Teatro di Basilea, che l’ha messa in scena il 21 dicembre 1991. 2 Dmitri oder der Künstler und die Macht, opera in 12 scene e un epilogo, è stata composta tra il 1994 e il 1999 su testo di Hans-Klaus Jungheinrich, commissionata e messa in scena (il 30 aprile 2000) dall’Opera di Lipsia. 3 Prospero, opera in due atti, è stata composta nel 2005 su libretto del romanziere tedesco Friedrich Christian Delius e dello stesso Lombardi, tratto dalla Tempesta di Shakespeare. Ha debuttato il 15 aprile 2006 allo Staatstheater di Norimberga, che l’aveva commissionata. 4 L’opera Lanzelot di Paul Dessau, composta su libretto di Heiner Müller e Ginka Tscholakowa, è andata in scena alla Deutche Oper di Berlino il 19 dicembre 1969. Nel 1973 Luca Lombardi è stato allievo ("Meisterschüler") di Paul Dessau a Berlino. 5 Evgenij Schwarz, Il re nudo – Il Drago (traduzione di Giovanni Crino), Roma, Editori riuniti, 1961, p.67. 6 Ivi, p.18-19. 7 Ivi, p.8. e di Brecht-Eisler, con un linguaggio immediato ma dal tono spesso popolaresco, ricercando l’effetto comico nell’uso di versi brevi, incalzanti, nella metrica secca, nelle rime immediate, nel gioco delle assonanze e delle allitterazioni, che funzionano molto bene soprattutto nei pezzi d’insieme, nei fulminanti botta e risposta tipici dell’opera buffa. Alla 8 dimensione giocosa del «divertimento» in musica appartengono anche le numerose deviazioni linguistiche presenti 9 nel libretto, che Lombardi aveva già sperimentato in Prospero : il coro dei maiali intona un frammento della Marsigliese in francese e un frammento dell’inno dell’Internazionale socialista in russo, la Governante si esprime in francese ma le scappano delle frasi in veneto (rimando non solo al teatro comico goldoniano, ma anche al cinema neorealista degli anni Cinquanta), la principessa Eliana quando è scocciata canta in dialetto napoletano. La partitura di Luca Lombardi intercetta in profondità questa dimensione comica, innestandosi in un filone compositivo lontano dalle scelte radicali e avanguardistiche della sua prima fase creativa: «[…] C’è stato un periodo in cui sono stato fortemente attratto dalla musica radicale e ho cercato il rapporto con alcuni suoi esponenti […]. Oggi mi interessano (ma come bagaglio culturale al quale non vorrei rinunciare, ma che tengo custodito, per così dire, in soffitta) singole opere di singoli compositori degli anni Cinquanta e Sessanta, non mi interessa affatto la radicalità come divisa. Penso che si possa essere radicali perseguendo un progetto radicalmente (anche se criticamente) pluralistico. Di più: credo che bisogna essere radicali nel cercare di realizzare al meglio le proprie idee, non nel saltare su questo o quel treno moderno o postmoderno che sia. Un musicista che secondo me sarebbe stato ideale in questi nostri anni è Maderna […]. Era un musicista con una curiosità vera per gli aspetti più diversi della realtà musicale. Io 10 trovo che in Italia non lo si è apprezzato abbastanza, tant’è che non ha fatto scuola […]» . Lombardi, in questa partitura, ricorre a una grande varietà di stili, senza esplicite citazioni: come aveva già fatto in Faust. Un travestimento, dove la combinazione di opposti poetici e filosofici (vita e morte, empatia e straniamento, scetticismo e passione, commedia e tragedia) si traduceva in un mix di tecniche compositive diverse; e anche nella partitura di Prospero che lo 11 stesso Lombardi definiva di tipo «inclusivo» . Emerge l’abilità del compositore nell’intessere temi diversi, nello sviluppare con estrema chiarezza le idee musicali, all’interno di una solida struttura “operistica”, nell’ibridare elementi tonali e atonali, inserendo con disinvoltura ammiccamenti all’opera buffa italiana, all’operetta, al teatro musicale di Weill, Eisler, Dessau: Non dimentichiamo che il sottotitolo dell’opera è «Divertimento in due atti». Non significa che non ami fare delle cose “serie”, però credo che questo aspetto giocoso sia importante nella musica. Se ci sono delle allusioni ad altre musiche non sono state fatte programmaticamente ma spontaneamente, non ci sono citazioni o riferimenti a compositori e stili precisi, non ho fatto dei calchi, non mi sono andato a vedere delle partiture. Ho semplicemente, e naturalmente, attinto a un fondo di esperienze personali, che sono nella mia mente, in tedesco si direbbe «Im Hinterkopf». Ho voluto scrivere un’opera divertente e mi sono divertito io per primo a comporla, in gran parte al pianoforte, suonando e cantando, scrivendo direttamente lo spartito che poi ho orchestrato. Solo le parti della musica del re nudo, che compaiono nel secondo atto, le ho composte direttamente in partitura, perché contengono degli effetti timbrici particolari che non potevo suonare al pianoforte. Ho seguito quindi una prassi molto artigianale, e tradizionale, alla quale sono abituato da quando ho scritto la prima opera, Faust. Un travestimento. Se rifletto, a posteriori, sulle quattro opere che ho composto, mi accorgo che tutte hanno a che fare con il potere (in particolare Dmitri oder der Künstler und die Macht che parla del rapporto tra Shostakovich e Stalin) e che in tutte, nonostante l’assunto serio, compaiono degli elementi burleschi. Cerco sempre di non ripetermi, e anche queste quattro opere sono molto diverse tra di loro. Rispetto a Prospero, che è un’opera grande, articolata, drammatica, Il re nudo non voglio dire che sia un’operetta, ma ha un carattere più leggero. Mentre la componevo mi divertiva parafrasare uno slogan politico degli anni Sessanta «Viva Marx, viva Lenin, viva Mao Tse-Tung!», uno slogan che risuonava come un mantra nelle strade. Io lo trasformavo in «viva Bernstein, viva Weill, viva Of-fen-bach». Anche se, come ho detto, nella musica non c’è alcun riferimento diretto, mi piaceva l’idea 8 «In questo “divertimento in due atti” – sostiene Sandro Cappelletto - l’intenzione è stata quella di divertire, ma anche, in senso etimologico, di “divergere”, cioè prendere un’altra direzione. E forse è solo attraverso la direzione del riso o del sorriso che si possono oggi accettare certe forme inaccettabili di realtà. Il titolo è Il re nudo, ma c’è un sottotitolo che metterei volentieri, Il popolo cieco: il re è nudo perché il popolo non vede che è nudo, tranne il bambino, perché forse soltanto i bambini hanno il coraggio di riconoscere la verità. Questa è anche una lezione alla Zavattini: soltanto l’ingenuità è in grado di capire il mondo, di dire semplicemente quello che tutti dovrebbero dire, e che per mille diverse convenienze nessuno ha il coraggio di dire. E nessuno ha il coraggio di vedere». 9 Nel libretto dell’opera Prospero si intrecciano quattro lingue diverse: l'inglese di Shakespeare per Ariel; il tedesco, che è la lingua parlata sull’isola, per Prospero, Miranda e Caliban; l'italiano per i nobili naufraghi; il napoletano per i marinai. 10 Intervista di Michelangelo Zurletti a Luca Lombardi, pubblicata da Ricordi Oggi il 2 settembre 1990. Riportata in Luca Lombardi, Construction of Freedom (a cura di Jürgen Thym), Baden-Baden, Verlag Valentin Kroener, 2006, p.518. 11 Nella partitura di Prospero c’è la serie dodecafonica, utilizzata per Prospero («mi piaceva dargli una dimensione intellettuale, di pensiero e di speculazione»), ci sono elementi tonali, utilizzati per Caliban, le canzonette licenziose dei marinai, una citazione di una canzone napoletana scritta dal padre del compositore («i miei genitori sono entrambi di Napoli, e mio padre, che era un filosofo e aveva un forte legame con la tradizione partenopea, aveva composto delle canzoni napoletane a cui teneva molto le ha pubblicate. Mi è piaciuto fare una specie di omaggio a mio padre anche perché ho visto un po' lui nella figura di Prospero»). Cfr. Gianluigi Mattietti, La Tempesta tra Napoli e la dodecafonia, in Il Giornale della Musica, XXV, n. 257, marzo 2009, p.27. che l’opera nascesse nello spirito di Offenbach. Poi sono un grande ammiratore di Kurt Weill che ritengo uno dei grandi compositori del Novecento. E da pochi anni sono diventato un estimatore di Leonard Bernstein, compositore che è stato in ombra, forse a causa della sua fama come direttore d’orchestra, ma che è sicuramente 12 anche lui uno dei grandi musicisti dello scorso secolo . Sono convinto che dovrà essere riscritta la storia della Musica del Novecento. All’inizio degli anni Settanta, quando ero andato a Colonia a studiare con Stockhausen, la musica contemporanea d’avanguardia era un mio interesse molto forte, anche se qualche anno prima il mio punto 13 di riferimento era Bartók. Dopo mi sono interessato a Hanns Eisler , sono andato a Berlino per studiare con Paul Dessau. Erano due mondi agli antipodi: ricordo che polemizzai pubblicamente nei confronti della musica contemporanea “borghese”, prendendo di mira lo stesso Stockhausen, contrapponendogli, da un punto di vista dei contenuti ideali, Nono, Henze e Eisler. Non rinnegavo le mie esperienze avanguardistiche, ma criticavo una musica un po’ troppo autoreferenziale. Quest’opera, Il re nudo, alla quale penso da 25 anni, e che per varie ragioni ho sempre rinviato, è anche una risposta, leggera e divertente, a quella disputa: è un «divertimento» ma c’è anche un intento critico, satirico contro i re nudi che stanno nell’arte, che stanno nella musica, che stanno dappertutto, non solo nella politica, anche se l’obiettivo di Schwarz era la dittatura. Io amo i musicisti “ad ampio raggio”, come Shostakovich, capaci di comporre cose molto profonde, ma anche cose satiriche, leggere, “puntute”, di cogliere tutto lo spettro delle nostre emozioni e delle nostre idee, che è molto ampio. In questo caso ho privilegiato la dimensione comica, anche col desiderio di non respingere il pubblico, senza inseguirlo, ma creando uno spettacolo che possa interessare un pubblico normale, aperto, non specialistico. Dal punto di vista armonico, la partitura è costruita su semplici strutture accordali (triadi, settime, accordi per quarte o per quinte) concatenate in rapide successioni, o in forma di progressione. Lombardi riduce al minimo le strutture polifoniche e contrappuntistiche puntando su agglomerati omoritmici, giocando su un “tonalismo” fatto spesso di semplici triadi maggiori, che non sono tra loro collegate secondo le funzioni tonali, ma si spostano cromaticamente o slittano per intervalli di terza («anche in questo mi sono comportato in maniera molto disinibita»). Gran parte dell’efficacia drammaturgica della partitura risiede nella contrapposizione tra due mondi sonori nettamente distinti: una dimensione sonora accordale e consonante accompagna la storia d’amore tra Elio e Eliana, mentre tutte le scene legate al re, alla sua corte, al vestito che per lui viene confezionato, sono dominate da una musica timbrica, dissonante, misteriosa (che Lombardi definisce in alcuni punti «musica del silenzio»), basata su una scala che alterna semitoni, toni e terze minori, utilizzata più volte dal compositore. La partitura è destinata ad una piccola orchestra, con una trentina di elementi, ma con un grande dispiegamento di percussioni (affidate a due esecutori) che comprendono tra l’altro litofoni, tamburi di latta, fischietti, lion’s roar, vari tipi di campane, raganelle, tamburi a fessura, gong cinesi, un’incudine, un eolifono (macchina del vento), vari strumenti etnici come l’afuche (idiofono ricavato da una zucca essiccata, con un manico e una rete di conchiglie che ricopre la superficie esterna), il chocalho (un tubo sonoro ricavato da una canna di bambù con dei sassollini al suo interno), il raspador (idiofono latino-americano basato su un bastone dentellato), alcuni strumenti tradizionali napoletani come il triccabalacca (composto di tre aste munite di martelletti di legno e cimbalini di latta) e lo Scetavajasse (che in napoletano significa “sveglia ragazze”, bastone dentellato sul quale sono fissati dei cimbalini). A parte le sezioni timbriche che accompagnano le scene del re, l’orchestra è sempre usata in modo tradizionale, in funzione di accompagnamento al canto, anche se mostra una grande duttilità e varietà di colori (sfrutta anche una tastiera elettronica, programmabile di volta in volta come pianoforte, celesta, toy-piano, clavicembalo, e molteplici modalità esecutive soprattutto negli archi). La partitura appare congegnata come un’opera buffa, con una scrittura trasparente e un ritmo drammaturgico incalzante, che gioca spesso “rossinianamente” su reiterazioni di sillabe dagli effetti vertiginosi, e su momenti di follia collettiva. Le forme semplici (canzoni più che arie), il tematismo sagomato sempre con nitidezza, sia nelle parti vocali che in quelle orchestrali, i pattern ritmici di plastica immediatezza concorrono a creare una musica varia, polistilistica, mobilissima, che coincide alla perfezione con l’azione senza soste e il grande dinamismo richiesto sulla scena. Come in Prospero, Lombardi abbina spesso i personaggi con alter ego strumentali (anche se non sulla scena, come avveniva 14 nell’opera precedente ) e con precise caratterizzazioni ritmiche e di stile vocale: Elio è ad esempio accompagnato dal saxofono, Eliana canta insieme al violino solo o all’oboe su un ritmo di valzer, la linea vocale di Gabalo assomiglia a un rap, accompagnato dalla batteria e da semplici collegamenti armonici affidati alla tastiera elettronica, la parte del re Teodoro (basso buffo) è spigolosa e dissonante, e spesso associata al basso tuba. Tutte le parti vocali sono comunque 12 Luca Lombardi ha terminato la composizione del Re nudo nel 2008: poiché in quell’anno ricorreva il novantesimo anniversario della nascita di sua madre e di Bernstein, ha scritto questa dedica nella partitura «alla memoria di mia mamma, Iole Tagliacozzo (1918-1995) e di Leonard Bernstein (1918-1990)». 13 Lombardi si è laureato all’Università di Roma nel 1975 con una tesi su Eisler, pubblicata nel 1978 da Feltrinelli con il titolo Musica della rivoluzione. 14 Il ruolo di Prospero è affidato a un baritono, e in alcune scene ad un alter ego strumentale, un violoncello che suona sul palcoscenico con un melodizzare quasi “parlante”. L’opera si apre con un suo lungo assolo, che si estende per più di 60 battute, finché si innesta una linea del flauto, sempre sulla scena, che è l’alter ego di Ariel, strumento dai suoni ariosi, che via via mettono in moto la tempesta. Cfr. Gianluigi Mattietti, op. cit., p.27. sempre modellate sul ritmo delle parole, e presentano oasi di belcanto, anche se sono spesso spinte verso gli estremi della tessitura (soprattutto nella parte del Re e in quella di Eliana, che si estende dal Sol grave al Sol diesis sovracuto) e ricorrono con frequenza al falsetto e al glissato, con chiare finalità comiche. Assai impegnativa è anche la parte di Elio che il compositore ha voluto per due ragioni: «Volevo per il porcaro una voce musicalmente ineccepibile, ma non impostata. Elio riesce a rendere concreto l’umorismo. È ricercato ma diretto, divertente ma non banale. Con Elio abbiamo una lunga frequentazione, da quando ho scritto per lui, e su suoi testi, una canzone intitolata Criceto e poi una seconda intitolata Zanzara. È nata così l’idea di farne un ciclo, che eseguirà lui con il suo gruppo e che si intitolerà 15 Minima animalia – e che Adorno ci perdoni! » Il primo atto si apre con una scena molto lunga che coincide con la presentazione dei personaggi. Il dialogo serrato tra Elio e Gabalo, caratterizzato da repentini scarti agogici e costruito su progressioni armoniche cariche di tensione, contrasta con il manifestarsi vocale della principessa (fuori scena) sulle parole «Non torturate più quella bestia» su un semplicissimo arpeggio di Sol minore, che poi si trasforma in un lungo vocalizzo. La rivelazione dell’amore avviene subito in una lunga sequenza musicale giocata sull’alternanza di armonie parallele e incisi melodici ripetuti con effetti comici: la breve frase di Elio fatta di ampi salti dissonanti e senza accompagnamento «La voglio sposare» è seguita da una frase più distesa «Io sono innamorato» accompagnata dagli archi e dal sax tenore, e costruita sulla scala di semitoni, toni e terze minori La sequenza culmina in un momento di incanto, di inebetimento quando i due innamorati ripetono i loro nomi «Elio, Eliana», e poi lascia il posto al coretto dei maiali che è il momento clou della prima scena, e anche il primo salto nell’assurdo («Siamo il popolo dei suini»): un vero e proprio pezzo chiuso, un coro cantabile e omoritmico, su armonie 15 La canzone Criceto è stata eseguita per la prima volta al Cantiere Internazionale di Montepulciano, il 13 luglio 2000, da Elio accompagnato al pianoforte da Enrique Mazzola. Zanzara è stata composta due anni dopo ed eseguita per la prima volta da Elio e dalla pianista Katia Caradonna a Pomponesco (in provincia di Mantova) l’11 dicembre 2004. Elio ha anche recentemente interpretato Memoria, pezzo su testi di Luciano Violante, per voce recitante e quattro strumenti, eseguito Milano il 12 gennaio 2009. di settima che evocano la musica pop degli anni Cinquanta, con brevi punteggiature solistiche, sottili spostamenti cromatici che conferiscono all'insieme un tono buffamente dolente, una scrittura polifonica che segue divertita le allitterazioni del testo («Viva l'Islam senza il salam») e le ripetizioni di fonosimboli («gnam,gnam, gnam»); dopo una sezione centrale (Poco più lento) con un rallentamento sulle parole «Anche noi a dire il vero siamo figli del buon dio», e i comici echeggiamenti di alcune voci sole («vegetariano -ano, -ano»), il coro acquista un carattere rivoluzionario nella sezione finale («Sempre avanti noi porcelli verso il sol dell’avvenire») che culmina nella citazione della Marsigliese in versione suina («Allons cochons de la patrie») seguita da un frammento dell’inno dell’Internazionale socialista («Eto, svin’ i poslednij, i reshitelnyi boj…»), e da un’eco, nei legni, di Bandiera rossa. Dopo le seccate frasi in napoletano di Eliana («Nun me scucciate!», «e la vulimmo vedere chista carabattola?»), Gabalo descrive le virtù della pentola con un parlato ritmico, accompagnato da batteria, pianoforte elettrico, contrabbasso e clarinetto, che introduce il Valzer della pentola, un tema flessuoso, alla Prokofiev, basato su triadi maggiori che slittano di terza (all’inizio sono Do - La bemolle - Do - Mi), punteggiato dagli «Ooh!» di meraviglia della principessa e delle dame. Questa musica (che ritornerà in tutta l’opera) coinvolge tutti in una grande danza, sempre più concitata, che si interrompe con la richiesta dei dieci baci. Qui si innesta un meccanismo comico basato su due sequenze numeriche, la prima decrescente, con le supplichevoli richieste di Elio che abbassa il tiro di fronte alle risposte sdegnate di Eliana (10, 5, 3), la seconda crescente, quando le damigelle contano i baci, sempre sul tema del valzer snocciolando numeri (13, 21, 34, 55, 89) che sono ricavati dalla serie di Fibonacci (un must nella musica contemporanea!) e che contengono anche un numero di sillabe crescente (trisillabi, quadrisillabi, pentasillabi). Anche questa sequenza, un po’ ipnotica ma carica di tensione, si interrompe bruscamente con l’arrivo del Re padre: il tema del valzer riecheggia ancora sulle invocazioni disperate di Eliana («Elio, Elio, Elio, salvami tu») dal profilo dissonante, spigoloso, inframmezzato dal parlato, e poi la scena si chiude con la Canzone della Pentola, che accompagna l’addio tra i due innamorati. Mentre nel testo di Schwarz la pentola era un alter ego di Enrico e dava voce alla sua dichiarazione d’amore, nel libretto dell’opera essa intona una canzone di protesta (come il coro dei maiali) che rivendica i diritti calpestati del mondo della cucina. E lo fa con una melodia orecchiabile, dal carattere popolareggiante (l’inciso iniziale sembra Fra’ martino campanaro), che vira dal registro di basso al falsetto e che costituisce un altro Leitmotiv ricorrente nell’opera. Schwarz 16 In giro me ne vado per il mondo, la passione mi brucia. Sono innamorato di Enrichetta, e lei di me. Il mio amore più della steppa è sconfinato e più alto è della foresta! Mai a nessuno dolce principessa, ti cederò Conquisteremo la felicità in battaglia e torneremo a casa. Tu e io, io e tu, dolce amore mio. Cappelletto – Lombardi Io ti servo, o mio re, più di tutti quanti loro. Tu li paghi, io lavoro. Mille anni d’abbuffate, di speranze cucinate, tante volte bruciacchiate. Mi ribello, do di fuori, canto e suono, suono e canto. Chi mi ascolta servirò, e, se no, lo scotterò Nel duetto tra il Ministro e il Sindaco, che apre la seconda scena del primo atto, Lombardi gioca su effetti che potremmo definire “madrigalistici” (nella frase «Se sua madre fosse stata una donna leggera» l’ultima parola evapora verso l’acuto, accompagnata dal solo ottavino), e ancora sulle allitterazioni del testo («tormenta la mente»). Per la stessa ragione il pisello della favola viene trasformato in una più verace, romanesca “cicerchia” alla quale è dedicata la Canzone «Io cerco la cicerchia» (altra divagazione rispetto ad Andersen e Schwarz), intonata su un profilo cromatico 17 che riprende l’incipit di «Io cerco la Titina» . Il corteo che apre la terza scena, scandito da un ritmo di marcia funebre, con la principessa gemente che invoca il suo «caro porcaro», è seguito dalla presentazione di un altro personaggio caricaturale, la Governante (contralto) col suo buffo Sprechgesang, più gridato che parlato, con un accompagnamento dissonante che sottolinea il suo carattere acido, con i suoi scivoloni linguistici dal francese («Avez vous ou non entendu ce qu'a dit la princesse?») al veneto («Ti ga capio o non ti ga capio?», quasi salmodiato nel registro grave), con le interpunzioni ritmiche dei suoi isterici «vite vite». Nella quarta scena ritroviamo la principessa, in cima a una pila di materassi e di piumini, che invoca ancora l’amato (ripetendo il suo nome tredici volte) sul tema del valzer, in un’atmosfera morbida e cantilenante, accompagnata dagli archi, improvvisamente interrotta da intervalli dissonanti e da contorti disegni dal contrabbasso e dell’oboe d’amore, quando scopre che c’è qualcosa di duro sotto i materassi. Dopo l’ingresso dei due amici travestiti da gendarmi, la scena si conclude con il duetto di Elio e Eliana, pieno di effusioni («Baciamoci, veniamo, andiamo, ci amiamo per sempre!») mentre Gabalo scalpita per fuggire, come Figaro di fronte alle promesse d’amore tra Rosina e Almaviva nell’analoga scena del Barbiere rossiniano («Oh bel nodo avventurato»). L’ultima scena del primo atto è dominata dal divertente «duetto del Por» tra il Ministro e la Governante, ubriachi e semiaddormentati: le insistenti domande del Ministro, che vuole sapere con chi si bacia la principessa, e le mezze risposte della Governante, che si interrompono su «Por-Porc», sono accompagnate da un ritmo ostinato, con le semicrome staccate di violoncelli e 16 Evgenij Schwarz, op. cit., p.25-26. Lombardi non è stato il primo a prendere spunto da questa canzone comica, originariamente composta da Léo Daniderff nel 1917 (su testo di Louis Mauban e Marcel Bertal), con il titolo Je cherche après Titine. La reinterpretò, con un testo nonsense, Charlie Chaplin nel film Tempi moderni; fu trasformata nel 1939 in un celebre numero di cabaret di Ludwik Sempoliński (con il titolo Wąsik, ach ten wąsik); fu portata al successo in Italia nel 1943 da Natalino Otto; fu rielaborata anche da Jacques Brel nel 1964, in una chanson intitolata Titine; nel 1982 Gary Muller ne fece una parodia dal titolo My Name Is Not Merv Griffin. 17 fagotto, che alternano le triadi maggiori di Mi bemolle e di Re bemolle, e con i brevi incisi delle nacchere e degli archi (jeté) che conferiscono al duetto un colore vagamente iberico. Alla fine la Governante si sveglia, fende la folla, afferra di peso la principessa, con una frase («Princesse, avec moi!») che scende fino agli abissi del Re grave, mentre i due amici fuggono intonando ancora la Canzone della pentola. La musica cambia radicalmente all’apertura del secondo atto, che ci introduce negli appartamenti di Re Teodoro, nel momento critico del suo risveglio. La trama orchestrale, screziata dai suoni frullati del flauto e del clarinetto, dai glissati dall’arpa e degli archi, è costruita sulla scala atonale cara a Lombardi (do – do # - re# - mi – sol – sol# - la# - si – 18 re), basata sulla duplicazione di una medesima sequenza intervallare (semitono – tono – semitono – terza minore ), e sgranata nelle prime battute dai violoncelli e poi, in una diversa trasposizione, dalle viole. Dopo la breve fanfara del risveglio del re e il coro di tripudio «Evviva il nostro sovrano», il Re si rivolge alle dame e al Ministro attraverso una linea vocale spigolosa, isterica, caratterizzata da salti estremi, da glissati, schiocchi della lingua, escursioni verso il falsetto, e da un’agitazione crescente che culmina nel licenziamento dei sarti («Via! Via!») e nella reiterazione ossessiva della frase «Che mi metto» (ripetuta anche questa tredici volte). Le armonie dissonanti di questa scena si sciolgono all’arrivo dei due stilisti (reincarnazione molto trendy dei tessitori di Schwarz) che cantano la loro Canzone («Dalla suburra a Bejing»), con un accompagnamento in stile weilliano, affidato al pianoforte giocattolo, alle percussioni, ai brevi incisi del clarinetto e del saxofono baritono, e con una fitta trama modulante che si conclude sulla ripetizione di «sei off, off, off!». 18 «È una scala basata su una doppia ripetizione della stessa sequenze. La stessa struttura intervallare si riproduce anche in senso discendente, a partire dal re: re – do# - si – sib - sol – fa#- mi – mib – do. Una particolarità di questa scala è che non si basa sull’ottava ma sulla nona, perché è formata da due quinte sovrapposte: è quindi una scala aperta. La uso da una dozzina d’anni e nei brani più diversi, perché è un materiale semplice ma molto duttile: saltando delle note contiene tutti gli intervalli, scegliendo le note posso ottenere accordi consonanti o dissonanti, può dar luogo anche a delle figurazioni orientaleggianti, che a me interessano molto. Prima utilizzavo un sistema di accordi e di permutazioni. In questo modo sfrutto invece un minimo di materiale di partenza che piego alle esigenze più diverse. E questo mi dà anche un grande senso di libertà». Quando aprono il baule e dispiegano la preziosa stoffa, la musica diventa misteriosa, sospesa, «fuori tempo», fatta di suoni bruitistici, frullati, armonici, soffiati, e con un efficacissimo glissato dei violini mescolato con l’eolifono sulle parole «Invisibile ai più». Pagina in netto contrasto con la successiva Canzone del re, del sarto e del buon Dio, in Fa minore, introdotta da una sinuosa linea del clarinetto, e accompagnata dal solo pianoforte, che è forse l’omaggio più diretto in tutta la partitura al cabaret e a Kurt Weill. Tutta l’afflizione della principessa si concentra, all’inizio della seconda scena, in una linea discendente di celesta e armonici di viole e violoncelli, ancora costruita sulla scala di Lombardi. Poi Eliana canta la frase «Elio dove sei? Quando vieni a liberarmi?» in tre stili musicali nettamente diversi19: prima su una melodia lentissima, in 6/8, quattro battute dolci e struggenti, in un limpido Do maggiore, accompagnate da corno e tromba (con sordina di cartone), che paiono l’inizio di un Lied e creano l’impressione di fermare il tempo; poi in una sezione improvvisamente scarna e dissonante, piena di salti impervi (anche dal Sol sotto il rigo al La diesis sopra il rigo) e di violenti scarti dinamici; infine una terza sezione ispirata al rock, ritmica e accentata, accompagnata dagli accordi ribattuti degli archi, dal pianoforte elettrico e dagli ottoni, con un grande dinamismo che si dissolve improvvisamente quando entra il domestico col biglietto, che lei legge (altro topos operistico) e bacia. La scena si conclude con il marziale coro delle giovani soldatesse («Principessa, a rapporto») che sfocia ancora una volta su una reiterazione ossessiva, con l’inciso «ubbidiamo» che si può ripetere ad libitum, accompagnato da tom tom e tamburo militare, mentre Eliana viene vestita a forza con l’abito nuziale. Il lungo glissato discendente che conclude la frase del Ministro («Questa sposa col suo fare manda il regno in alto mare») si innesta su un glissato ascendente dei violoncelli che apre la terza scena: la musica che accompagna il corteo, con il doppio coro della folla e delle soldatesse, si ferma improvvisamente su un accordo di Mi maggiore, appena il Re vede Eliana e ne rimane estasiato («Che divina meraviglia»). Lei lo insulta, ma ha anch’essa un momento di estasi quando pensa ai maiali («Maiali, che dolcissima parola»), in due battute che sono una citazione del coro dei maiali, che risuonano come una bolla di lirismo (e come 19 Lombardi suggerisce che si possano considerare questi tre stili come tre esempi del comportamento “trasversale”, “interclassista” della principessa. Ma rivelano anche il suo interesse, presente da Faust. Un travestimento in poi per i personaggi nei quali si mescolano empatia e distacco, adesione e straniamento. un’eco di «”Fratello” dolcissima parola» dal Prigioniero di Dallapiccola), che trascolorano infine in un lunghissimo vocalizzo, dipanato sul tema del valzer e proiettato fino al Sol diesis sovracuto. La scena del laboratorio dove Elio e Gabalo stanno preparando l’abito nuziale è una pagina ancora tutta timbrica, sospesa, atematica che descrive gli svolazzi del tessuto invisibile (solo quando il ministro chiede di aggiungere le insegne regali gli ottoni lasciano sordine e suoni soffiati e stagliano stentoree triadi parallele). Poi il re intona una lode di questo abito in un breve arioso virtuosistico, per gran parte in falsetto, accompagnato da un tessuto strumentale “inudibile”. La «musica del silenzio» accompagna anche la movimentata scena della vestizione, intercalata solo da un breve coretto di ammirazione delle soldatesse («Un capolavoro»), dai nervosi arpeggi di pianoforte, sax, clarinetto, violini e viole (nel momento in cui Elio rimprovera il ministro: «Attenzione Ministro, tenete il corpetto con le maniche in giù»), dal buffo inciso ritmico «del Madagascar» che tutti ripetono come risposta alla domanda del Sindaco («ah che seta, è per caso cinese?»). La scena si conclude con la Canzone dei deficienti, intonata dal Ministro, pagina esplicitamente tonale, in La bemolle minore, ma con inattese cadenze verso tonalità lontane. Gli accordi ribattuti di fiati, tamburi e campane introducono l’ultima scena dell’opera, ambientata nella piazza affollata e festosa, la mattina delle nozze. La concitazione si interrompe improvvisamente quando il Re scende, nudo, dalla portantina: anche qui Lombardi sottolinea l’improvviso ammutolirsi della folla con un'altra musica del silenzio, affidata solo a raganelle, tamburo di latta, tubi di gomma rotanti, e un temino in Mi maggiore (affidato a corni, trombe, viole e violoncelli), pompieristico ma distorto da alcune dissonanze. Poi il re canta in estasi una lunga melodia sghemba e carica di pathos, accompagnata solo dai colpi sordi della grancassa, dai piatti sospesi e da una scarna linea della viola («Eliana mia, guarda la fiamma d’amore che mi consuma»). Il silenzio “pesante” dell’orchestra prosegue nel concitato duetto tra i due re, fino a che l’eolifono introduce la frase del bambino «Il re è nudo». Si rompe così l’incantamento, e comincia un progressivo crescendo, che passa attraverso uno squarcio lirico di Eliana che canta sulle armonie del valzer («Elio, caro Elio, siete venuti a salvarmi come in un film!»), e una melodia romantica intonata da Elio («Tu solo tu, proprio tu, anche tu, nient’altro che tu») accompagnata da pianoforte, tom tom e piatto sospeso, che è una citazione dalla canzone (di Elio e le Storie Tese) Il vitello dai piedi di balsa. L’opera si conclude con un grande concertato con coro, introdotto dai veloci disegni dei legni e degli archi: alla pentola che ritorna con la sua canzone, al coro dei maiali, si uniscono tutti gli altri cori di soldati, soldatesse, popolo, dame, e tutti i personaggi, compreso il Re nudo, che cantano la morale finale («Parla chiaro, guarda bene, senti meglio / per scoprire dove sta / la verità!») nel più autentico spirito dell’opera buffa. GIANLUIGI MATTIETTI