Diocesi di Faenza - Modigliana Ufficio Catechistico - Settore Apostolato Biblico Libretto per l’animatore 1 2 Comprendiamo le seconde letture nel contesto dell’avvento: - 1. Introduzione alle lettere - 2. Introduzione alle seconde letture - 3. Le altre letture In ascolto dei maestri di ieri e di oggi suggerimenti per l’animatore 3 4 1a di Avvento C - COMPRENDIAMO 1. La prima lettera di S. Paolo ai Tessalonicesi Si tratta della prima delle lettere dell’Apostolo (e del primo scritto del Nuovo Testamento!), inviata ai cristiani di Tessalonica da Corinto nell’anno 51. Oltre all’indirizzo (1,1) e ai saluti finali (5,26-28), tipici di ogni lettera, la 1Ts contiene un ringraziamento a Dio (1,2-10) per la fede impegnata, la carità operosa e la speranza costante dei destinatari che hanno accolto in Paolo il messaggero della stessa Parola di Dio e lo hanno imitato nella pratica e nella gioia, nonostante le tribolazioni (persecuzioni). Questa conversione esemplare dal paganesimo è diventata modello e sostegno per le altre comunità. Il tono di ringraziamento e vari contenuti vengono ripresi in 2,13-16, dove con toni duri Paolo ricorda anche gli avversari alla sua missione. L’Apostolo ricorda volentieri il periodo passato a Tessalonica (2,1-12), dandoci traccia del suo stile missionario: il Vangelo sopra ogni cosa e ad ogni costo. Un Vangelo puro, “senza inganno né torbidi motivi né frode alcuna… non cercando di piacere agli uomini ma a Dio… senza pensieri di cupidigia, senza ricerca di gloria umana”. Un annuncio fatto di amore e tenerezza, come fa una madre, e di esortazione, come fa un padre. Questo forte legame con la sua comunità porta Paolo a soffrire per il distacco forzato (2,17-19) e poi a gioire per le buone notizie ricevute dal collaboratore Timoteo (3,1-11). In 1Ts 3,12-4,12 Paolo ricorda il suo insegnamento: in un mondo pagano libertino, il cristiano si distingue per la santificazione del proprio corpo, per l’amore fraterno, coniugato a una vita ordinata, laboriosa e in pace con tutti. In 4,13-5,11 affronta quindi due problemi dibattuti nella comunità: il destino dei morti, che al ritorno del Signore risorgeranno per l’incontro con Lui, e il momento di questo ritorno (parusìa), che rimane ignoto: il cristiano deve solo perseverare e vigilare. Poi, in 5,12-24, Paolo prega la comunità di tenere in considerazione i suoi responsabili, poi la esorta toccando, con 14 verbi imperativi, gli aspetti fondamentali della vita cristiana. Infine, Paolo affida la comunità a Dio stesso perché arrivi alla santità completa alla quale è chiamata, in vista dell’incontro con il Cristo. I temi ricorrenti sono tre. Anzitutto l’attesa ardente del ritorno di Gesù, momento di bilancio di una vita e motivo di costanza nelle difficoltà. Poi, l’impegno a passare da un modo di comportarsi da pagani ad uno stile di vita differente. Infine, l’appello alla santificazione personale: il volere e l’operare vengono orientati a Dio e a ciò che piace a lui, nel contesto di una vita ordinata e laboriosa, e in un vero amore fraterno. La comunità, con i suoi responsabili, è chiamata tutta a correggere, istruire, incoraggiare, accogliere. 5 2. La seconda lettura (1Ts 3,12-4,2) Il contesto: dopo aver cercato con ansia informazioni sulla situazione della comunità di Tessalonica e aver espresso il vivo desiderio di tornare a vederla di persona (3,1-11), Paolo espone le sue raccomandazioni: crescere nell’amore e nella santità (è il nostro testo), punti che riprenderà più in dettaglio subito dopo, rispettivamente in 4,9-12 e 4,3-8. “Il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore…” (v 12). Per i Tessalonicesi Paolo manifesta un fortissimo attaccamento (2,7-8.11.17), che supera la simpatia naturale perché nasce da Dio. Dio ha chiamato l’apostolo, gli ha affidato il Vangelo, che Paolo ha portato fino a Tessalonica (2,1-4). Quei cristiani sono gli amati da Dio (1,4), quindi anche gli amati da Paolo, essendo egli totalmente coinvolto nel Vangelo che annuncia. Ricordando il comandamento di Gesù, e mettendo se stesso come esempio, Paolo chiede a Dio per i Tessalonicesi un amore portato a pienezza e debordante ogni limite; un amore oltre la simpatia naturale che solo il Signore può generare nel cristiano; un amore estremo che altrove Paolo chiama gelosia divina (2Cor 11,2). Di fronte a Dio Padre, con il cuore saldamente irreprensibile nella santità (v 13). Più l’amore cresce e tracima, più i cuori (nella Bibbia, la sorgente interiore della decisione e della volontà) si consolidano attorno all’unico scopo: vivere sotto lo sguardo del Padre in modo da piacere a lui, in una santità irreprensibile. “Alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi” (v 13). Paolo completa qui il suo pensiero: crescere nell’amore e nella santità consolida e rende irreprensibili oggi le persone sotto lo sguardo di Dio, per essere ancora così domani, alla venuta del Signore. Egli tornerà con i santi che a suo tempo hanno vissuto lo stile cristiano, incontrando i santi che in questa vita cercano di crescere e sovrabbondare nell’amore. “Per il resto…” (4,1-2). Dopo aver fatto la sua richiesta a Dio, ora l’Apostolo prega e supplica (notare l’insistenza, Paolo ci tiene proprio) i fratelli nel Signore Gesù, cioè appellandosi alla forza del loro legame con Cristo. Chiede a loro di comportarsi in modo da piacere a Dio, ancora una volta nel senso della crescita, cioè “affinché abbondiate ancora di più”. La vita cristiana è una strada in crescita; per questo la Colletta della Messa recita: “Suscita in noi la volontà di andare incontro con le buone opere al tuo Cristo che viene”. “Avete imparato da noi il modo di comportarvi... conoscete quali regole di vita vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù.” Il senso preciso di quel conoscete è conoscete perché avete visto: Paolo, 6 Il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore con i collaboratori sono una predica vivente per la comunità, e danno l’esempio di ciò che insegnano. Qui emerge anche il concetto di tradizione, importantissimo per l’Apostolo (vedi 1Cor 15,1-3): egli non è l’inventore del cristianesimo ma il mezzo attraverso il quale il Signore ammonisce ed esorta i cristiani (regole di vita da parte del Signore Gesù). Il termine greco paranghelìa (comando, ordine, ingiunzione), si riferisce a un precetto che deve essere da tutti accettato e praticato, perché proviene dall’autorità del Signore, di cui l’apostolo è portavoce. In questo modo, poiché porta avanti nel tempo e nello spazio la Parola di Dio, la Tradizione apostolica nella Chiesa gode della stessa autorità. 3. Le altre letture Vangelo - Lc 21,25-28.34-36 “Vedranno il figlio dell’uomo venire…” Siamo alla fine del discorso di Gesù sugli ultimi tempi di Lc 21. Il brano consiste di due parti. Anzitutto i segni del ritorno del Signore (vv 25-28): Luca descrive un cambiamento radicale nella forma del cielo e della terra. Ogni 7 cambiamento genera apprensione; il cristiano invece vede la nascita di un mondo nuovo, per questo si alza e leva il capo, perché la liberazione è vicina. Questa affermazione è propria di Luca, a differenza dei paralleli di Mt 24 e Mc 13, e viene ripresa dalla Colletta alternativa della Messa. Il ritorno di Gesù è certo la fine di un sistema di cose temporaneo, ma soprattutto l’inizio di una nuova condizione di libertà e di recupero di dignità. “Siate svegli pregando in ogni tempo…” (vv 34-36). È la seconda parte del discorso di Gesù: come vivere oggi in modo che la sorpresa del ritorno del Signore (come un laccio, una trappola che scatta in un baleno) non si trasformi in rovina. Si tratta ovviamente di vigilare, ma per farlo occorre badare bene a se stessi e non permettere che piaceri smodati o affanni quotidiani facciano dimenticare che ciò che esiste è transitorio. Ma, in particolare, Gesù indica il mezzo per essere padroni di sé, restando tesi al domani: pregare in ogni tempo, coltivare nella vita quotidiana l’aggancio e il dialogo con il Cielo. Vivendo sempre alla presenza del Signore, comparire alla sua presenza non sarà una sorpresa, e la percezione delle cose che cambiano avviandosi alla loro fine non causerà angoscia. Prima lettura e Salmo Dopo l’esperienza dell’infedeltà all’alleanza e il conseguente disastro (esilio a Babilonia), Geremia annuncia per gli ultimi tempi la Nuova Alleanza, scritta nei cuori, ancorata al bisogno di Dio che ogni persona porta in sé (“A te, Signore, innalzo l’anima mia, in te confido”, è il ritornello del salmo responsoriale). Ed ecco la prima lettura di questa domenica (Ger 33,14-16): il sogno di Dio è poter mantenere le promesse di bene fatte da sempre, suscitare un germoglio giusto, un Messia che indichi la strada per accogliere il dono di Dio e realizzare una città dell’uomo secondo il piano di Dio (“Gerusalemme vivrà tranquilla e sarà chiamata Signore-nostra-giustizia”). Il Germoglio Giusto è Gesù, mandato dal Padre per ripristinare la comunione / alleanza tra Dio e l’umanità, e che verrà ancora come Figlio dell’uomo per inaugurare la nuova creazione. In ascolto dei maestri di ieri e di oggi La venuta del Signore Gesù Spesso la comunità cristiana manca di un orizzonte escatologico. L’al di là è sostituito con l’al di qua. E una comunità cristiana che non spera più è morta, annuncia forse ancora il Vangelo, ma con un tono stanco, rassegnato, già con la convinzione che tanto serve a niente! Una comunità cristiana che non spera, piano piano arriva a convincersi che la via tracciata dal Vangelo non è più percorribile oggi, che bisogna trovare dunque altre strade; arriva pia8 no piano ad ammettere che i valori essenziali del Vangelo quali la gratuità, l’amore, la povertà, la piccolezza sono cose d’altri tempi: oggi conta la potenza, il successo, la ricchezza, la forza dei numeri e dei mezzi. (F. Mosconi, Convegno Verona) Gli uni gli altri Il vangelo dice: “Se dunque io, il Signore, il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri”. L’invito del Signore è che noi ci laviamo i piedi gli uni gli altri all’interno della nostra comunità, della nostra chiesa, della nostra congregazione religiosa, perché noi questa faccenda del catino, della brocca e dell’asciugamano, la interpretiamo forse come se questi fossero gli arnesi da esportare fuori, per andare verso il mondo, verso i poveri, gli esclusi, gli emarginati. Invece Gesù questo insegnamento ce l’ha dato perché... ci laviamo gli uni i piedi degli altri... Non è che al centro ci sono il pane, il vino e l’acqua che poi diventano il Corpo e il Sangue di Gesù, mentre fuori dall’assemblea, all’ingresso, ci sono la brocca, il catino, l’asciugatoio, come se fossero strumenti da esportazione! Come se volesse significare che, dopo che noi abbiamo celebrato le nostre liturgie, come frutto prendiamo questi strumenti del servizio e andiamo fuori a lavare. No! Brocca, catino e asciugamano vanno messi al centro dell’assemblea, sono gli strumenti che dobbiamo adoperare qui, all’interno della nostra assemblea. Il Signore dice: “Lavatevi i piedi gli uni gli altri”. Questo vuol dire che la prima attenzione dobbiamo esprimerla all’interno delle nostre comunità, servendo i fratelli e lasciandoci servire da loro. Spendersi per i poveri, va bene, abilitarsi come Chiesa a lavare i piedi di coloro che sono esclusi da ogni sistema di sicurezza e che sono emarginati da tutti i banchetti della vita, va meglio, ma prima ancora degli handicappati, dei barboni, degli oppressi, di coloro che ordinariamente stazionano fuori dal Cenacolo, ci sono coloro che condividono con noi la casa, la mensa, il tempio. Solo quando hanno asciugato le caviglie dei fratelli, le nostre mani potranno fare miracoli sui polpacci degli altri senza graffiarli; e solo quando sono stati lavati da una mano amica, i nostri calcagni potranno muoversi alla ricerca degli ultimi senza stancarsi. (Tonino Bello) Una Regola per la vita spirituale? Ma come: non è qualcosa fuori dal mondo parlare di una Regola, oggi, per i giovani? È difficile immaginare una Regola nella nostra vita. Sempre di corsa da una parte all’altra, tra lo studio, il lavoro, la parrocchia, gli amici, la famiglia, gli affetti, i viaggi... come pensare di darsi una Regola in questa gran confusione? Sembra qualcosa di più adatto a una comunità di monaci, che non a giovani che vivono nel mondo. Eppure, in tutto ciò che viviamo abbiamo una Regola. Nello studio e nel lavoro, ma anche negli affetti e nelle amicizie, giorno dopo giorno impariamo dagli errori e dalle difficoltà: cerchia9 mo sempre di fare un passo avanti, dandoci delle coordinate da rispettare, tracciando un sentiero da seguire. Anche nella nostra vita spirituale è così: impariamo ad approfondire la nostra interiorità, acquisiamo la capacità di fare silenzio e ascoltare, accogliamo il desiderio di dialogare con Dio. La Regola, allora, non è una norma che ci ingabbia, ma un cammino che ci libera: ci guida a mettere in gioco, liberamente, la nostra intelligenza di figli di Dio e ci aiuta a trovare la nostra strada, a renderci giorno dopo giorno uomini (“Verso l’alto” appunti per una regola di vita dei giovani di AC) migliori... Casa e scuola di comunione Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo. Che cosa significa questo in concreto? Anche qui il discorso potrebbe farsi immediatamente operativo, ma sarebbe sbagliato assecondare simile impulso. Prima di programmare iniziative concrete occorre promuovere una spiritualità della comunione, facendola emergere come principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l’uomo e il cristiano, dove si educano i ministri dell’altare, i consacrati, gli operatori pastorali, dove si costruiscono le famiglie e le comunità. Spiritualità della comunione significa innanzitutto sguardo del cuore portato sul mistero della Trinità che abita in noi, e la cui luce va colta anche sul volto dei fratelli che ci stanno accanto. Spiritualità della comunione significa inoltre capacità di sentire il fratello di fede nell’unità profonda del Corpo mistico, dunque, come «uno che mi appartiene», per saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze, per intuire i suoi desideri e prendersi cura dei suoi bisogni, per offrirgli una vera e profonda amicizia. Spiritualità della comunione è pure capacità di vedere innanzitutto ciò che di positivo c’è nell’altro, per accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio: un «dono per me», oltre che per il fratello che lo ha direttamente ricevuto. Spiritualità della comunione è infine saper «fare spazio» al fratello, portando «i pesi gli uni degli altri» (Gal 6,2) e respingendo le tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e generano competizione, carrierismo, diffidenza, gelosie. (Giovanni Paolo II, Novo Millennio Ineunte) 10 2a di Avvento C - COMPRENDIAMO 1. La lettera di S. Paolo ai Filippesi Paolo scrive la lettera durante una prigionia (1,3), quindi probabilmente verso la fine degli anni 50. Se non è proprio la sua ultima lettera, Fil viene scritta da un uomo già “navigato” nella fede e nell’attività di diffusione del Vangelo. Un Paolo maturo, che però dimostra uno spirito tutt’altro che “vecchio”. La comunità di Filippi. Città della Macedonia, diventa colonia romana nel 146 a.C., e i suoi cittadini godono della cittadinanza romana con i suoi privilegi (vedi At 16,37-38). Paolo con Sila fonda una comunità cristiana durante il suo secondo viaggio missionario, come ci racconta Luca in At 16,11-40: ci sono le prime conversioni (vv 13-15); poi arrivano le persecuzioni per torbidi motivi (vv 16-24), la liberazione dalla prigionia e altre conversioni (vv 25-34); poi di nuovo in pubblico Paolo si difende, prende la sua rivincita sui magistrati romani (vv 35-39) e riparte (v 40). La lettera ai Filippesi. Come spesso nelle sue lettere, Paolo inizia con l’indirizzo e il saluto (1,1-2), seguiti da un ringraziamento (vv 3-11), dove Paolo manifesta il suo affetto per questa comunità prediletta e ricorda la comune fatica per la crescita del Vangelo e della carità nella comunità. Prima parte: le catene di Paolo, punto di riferimento per i cristiani (1,12-3,1). Paolo prigioniero vede “avversari” che gli fanno concorrenza (ma la cosa non lo turba), e intravede la possibilità di essere condannato a morte. La lotta serena di Paolo deve stimolare i Filippesi a lottare con lui per il Vangelo (1,1230) e a conservare l’unità nella comunità. Il centro della comunione è non solo l’Apostolo, ma soprattutto Cristo e i suoi sentimenti, la sua Pasqua di spogliazione e di servizio, via in discesa che lo ha condotto alla risurrezione. Per questa via la comunità può far brillare il Vangelo, così come Paolo sta facendo dalla prigione (2,1-11). La comunità brilla evangelicamente nel mondo quando mette da parte ogni occasione di divisione interna (2,12-18). Inoltre, Paolo torna su notizie personali: è preoccupato per alcuni segni di sfaldamento nella comunità e perciò pone come esempio a tutti i suoi collaboratori Timoteo e Epafrodito, entrambi elogiati come “servitori”, “unanimi” con Paolo e in Cristo (2,19-30). Il versetto 3,1, con il ripetuto invito a gioire nel Signore, conclude questa parte e riprende un tema già più volte trovato in questi testi. Seconda parte: polemica con chi vorrebbe ritornare indietro dalla novità cristiana (3,2-4,1). Il tono cambia e si fa duro, contro chi vorrebbe ripristinare la circoncisione e gli obblighi della Legge di Mosè, rendendo quindi meno importante e decisiva l’adesione a Gesù e la vita secondo il suo esempio. 11 Paolo pone ancora se stesso come esempio per i suoi figli: il suo passato nel giudaismo fatto di staticità e il suo presente in Gesù pieno di dinamismo e di corsa verso una sempre più piena comunione con il Signore (3,2-14). Quindi Paolo ricorda ancora il suo esempio a chi cerca di salvarsi solo con la propria osservanza della Legge (3,15-17). Infine molti nella comunità sono ripiegati su se stessi, adorano l’oggi nella mentalità del “carpe diem”; invece il cristiano (e Paolo corridore ne è l’esempio visibile) è proteso al futuro ritorno del Signore e al passaggio dal “corpo di povertà” che è la vita umana quaggiù al “corpo di gloria”, come quello di Gesù (3,18-21). Di nuovo Paolo gioisce, come il padre che vede i suoi figli piccoli come già diventati grandi (4,1). Terza parte: la gioia cristiana (4,2-9). Anzitutto, da dove essa viene: dall’accordo tra i cristiani (vv 2-3) e dal Signore che è “vicino – accanto” (vv 4-7). Essendo già con lui, si può essere affabili, fiduciosi, custoditi in una pace che supera il sentimento psicologico dello “star bene”. Custoditi da Gesù, possiamo custodire ciò che ha vero valore, e che è il vero Vangelo da difendere dagli errori (vv 8-9): Paolo qui tira le fila di ciò che ha detto sopra. Quarta parte: Paolo e i Filippesi in un legame di affetto (4,10-20). Pur proclamandosi libero di fronte ai beni materiali, l’Apostolo ringrazia la comunità per le offerte ricevute, accettate solo come gratitudine in cambio del Vangelo che Paolo ha portato (vv 10-16). In questo scambio di doni, i Filippesi fanno un regalo a loro stessi: l’offerta a Dio fa crescere chi la dona (vv 17-10). Seguono i consueti saluti e la benedizione (4,21-23). Una sintesi dei principali temi ricorrenti. Anzitutto, la vita cristiana è descritta come immedesimazione con la Pasqua di Gesù Cristo; la risurrezione è pregustata già da oggi nell’esperienza della gioia e attesa con speranza per il ritorno del Signore. Il Cristo da imitare non viene solo annunciato ma anche visualizzato dall’Apostolo, dalle sue catene e dallo stile di comunione che ha con i suoi collaboratori. A loro volta i Filippesi non sono solo destinatari della predicazione di Paolo, ma suoi collaboratori. Gesù, Paolo e i Filippesi sono presi insieme in un circuito di comunione, di bene ricevuto e da spartire. La speranza cristiana che nasce dalla Pasqua, spinge ad abbandonare il passato senza Gesù, vivere in lui oggi, correndo verso il suo ritorno e conformandosi a lui. è questa la condizione del cristiano “perfetto”, e la base per una gioia vera, che non dipende dagli stati d’animo o dalle mutevoli situazioni della vita. 12 2. La seconda lettura (Fil 1,4-6.8-11) Il contesto. È strano che la liturgia abbia scelto di leggere il brano 1,3-11 senza i vv 3 e 7; di seguito consideriamo il pezzo intero. Qui Paolo anticipa molti dei temi che riprenderà nel seguito della lettera: la sua gioia (v 4; 1,18.25; 2,2.17.18; 4,1.10); la cooperazione dei Filippesi alla diffusione del Vangelo (“opera buona” per eccellenza, vv 5-6; 1,29-30; 2,15-16), il “giorno di Cristo Gesù”, del suo ritorno (v 6; 3,12-14.20-21; 4,5); l’affetto dell’Apostolo per la sua comunità (v 7; 4,1), la comunione tra Paolo e la comunità per il servizio del Vangelo (v 7; 1,12-14; 1,27; 2,16-18); la comunità che cresce nella conoscenza del dono ricevuto e da condividere (v 9; 3,15; 4,8-9), nell’amore ricevuto da Dio e condiviso tra i fratelli: è questo il “meglio” che davvero piace a Dio (vv 9-10; 1,27; 2,1-4.13; 3,15). “Ringrazio (letteralmente: “faccio eucaristia” !) Dio e prego per tutti voi con gioia” (vv 3-4). Paolo tesse il suo personale dialogo con Dio portando con sé la sua comunità: perfino la sua gioia dipende da Dio e dal caro ricordo dei fratelli di fede. La gioia proviene dal dialogo con Dio e dal trovarsi in comunione con la comunità al servizio dell’unico Vangelo. Questa comunione è totale: “In ogni mia preghiera per tutti voi”. Paolo ringrazia e prega per tutti, quindi anche per quelli che - si saprà nel corso della lettera (1,15-18) - gli sono avversari e non sono in comunione con lui nell’evangelizzazione. “La vostra cooperazione per il Vangelo…” (vv 5-6). Di per sé, in greco il v.5 suona così: “A motivo della vostra comunione per il Vangelo (cioè per l’evangelizzazione), dal primo giorno fino ad adesso”. Paolo definisce l’identità cristiana: essere nella comunione (koinonìa), convergere tutti verso il comune obiettivo della crescita del Vangelo. Anche i Filippesi hanno collaborato fin dalla prima ora (proprio come quegli operai di Mt 20,1-16), ma Paolo ricorda che l’origine e il completamento della opera buona (meglio, “eccellente”, la “comunione per il Vangelo”), appartengono a Dio, che la fa “in voi” (v 6). Una vera comunione di intenti diventa poi anche cooperazione pratica, come appare nella versione italiana, ma Paolo sta ringraziando Dio per la misteriosa azione che egli compie nel segreto della coscienza delle persone, chiamandole alla fede, quindi alla comunione e infine alla missione. “Lo porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù” (v 6). È l’atteso giorno senza fine del ritorno del Signore nella gloria. Questo giorno di Dio che viene a salvare il suo popolo e a rifare il mondo era atteso nell’AT: giorno di gioia e anche di giudizio (Am 5,18.20), atteso per la fine dei tempi (Is 2,11 -17). La comunità cristiana si pone in un tempo intermedio: il cristiano gioisce già perché Dio ha iniziato la sua opera di salvezza, gli ultimi tempi sono già arrivati con l’arrivo di Gesù; d’altra parte, questa gioia deve diven13 Dio porti a compimento l’opera che ha iniziato in voi! tare ancora piena, la salvezza si deve perfezionare: l’opera eccellente di Dio si deve compiere nella comunione evangelizzatrice della Chiesa, in uno stile di unanimità che diventa missione. “Vi ho nel cuore” (v 7, assente nella lettura liturgica). A differenza del nostro uso comune, nel linguaggio biblico “cuore” è simbolo della misteriosa interiorità della persona (Ger 17,9), sede della spinta da cui scaturisce ogni decisione (vedi Mc 7,21). Nel rapporto con Dio, cuore è il luogo in cui Dio entra in azione con l’uomo, quella dimensione in cui la libertà decide pro o contro Dio. Paolo non sta dichiarando solo il suo affetto (lo dirà al v 8 con il simbolo delle viscere, la pancia) per i Filippesi, ma che la sua comunione di fede con Dio è vera, perché è vera la sua comunione con la comunità degli altri che credono in Dio. Essi sono “con-comuni” con Paolo dovunque lui viva: nella sua prigione e là dove, grazie all’apostolo e alla Chiesa, il Vangelo viene difeso e consolidato. “Dio mi è testimone…” (v 8). È una formula di giuramento, Paolo sta dichiarando il vero: “Quanto vi bramo tutti nelle viscere di Gesù Cristo!” Espressione potente con cui Paolo dichiara che la sua vita trova senso tanto in Cristo quanto nella comunità, e che il suo amore appassionato (da innamorato perso) è come quello delle viscere di Gesù, segno di quell’amore appassionato che ha portato il Figlio di Dio a perdere se stesso (Fil 2). “E perciò prego…” (vv 9-10). Dopo aver ringraziato per il passato e il presente, Paolo invoca per il futuro sui Filippesi due doni strettamente congiunti. Anzitutto, che abbondi sempre più il loro amore (agàpe), cioè il loro vivere la comunione. Un amore “unito alla conoscenza e a ogni discernimento” 14 (quest’ultimo termine compare solo qui nel NT). In senso biblico, conoscenza non è una mera attività intellettuale, ma dice una comunione con Dio, un ri-conoscere la sua presenza qui in me e in noi. Va insieme al discernimento, facoltà di percepire / ri-conoscere Dio nei fratelli, e facoltà di costruire insieme il meglio (“affinché giudichiate ciò che è meglio: la vita cristiana non si riduce al solo evitare il male!). “Perché siate integri e irreprensibili per il giorno di Cristo” (v 10). Integri (letteralmente comprovati alla luce del sole, il cui comportamento brilla agli occhi di tutti) e irreprensibili (cioè senza inciampo, senza peccato, dal cammino sicuro): tali sono i cristiani, se vivono l’amore unito alla conoscenza e al discernimento. È il giusto modo di camminare nel tempo incontro al Giorno che Cristo sta preparando, quando la sua presenza oggi velata (occorre discernimento per ri-conoscerla) diverrà evidente come la luce del sole. “Ricolmi del frutto di giustizia…” (v 11). Frase assai concentrata, secondo lo stile di Paolo, che si può intendere così: “perché (oppure “tenendo conto che”) Dio vi ha colmati (e lo siete per sempre) della comunione (con sé e nella comunità) e questo è il frutto del suo aver mandato Gesù Cristo. In questo gesto Dio ha fatto brillare la sua gloria; riconoscere questo gesto significa per la comunità lodare Dio”. 3. Le altre letture Vangelo - Lc 3,1-6 “Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare…” Caratteristica dell’episodio nella versione di Luca è l’abbondanza dei dettagli di tempo e di spazio: il Figlio di Dio fa il suo ingresso sulla scena del mondo preparato dal suo messaggero. “La Parola di Dio fu su Giovanni” (v 2): la Parola di Dio si lancia dal cielo, scende sul profeta e da lui si diffonde nel mondo. Non si tratta di un messaggio segreto né di una illuminazione privata: la Parola è sempre incarnata, dentro la storia dei grandi della terra (Cesare, Ponzio Pilato, Erode…), mediante le parole umane dell’uomo di Dio, della comunità ecclesiale degli uomini di Dio. “Predicando un battesimo di conversione…” Una parola (predicando) e un gesto (battesimo). Mentre Mc 1,5 e Mt 3,6 mostrano la folla che si immerge e chiede perdono per i peccati, il racconto di Luca ferma la folla sul bordo del fiume (Lc 3,7), ne raffredda i facili entusiasmi: la conversione che Dio si aspetta non è frutto del sentimento suscitato dal personaggio del momento (il Battista e le strane cose che fa), ma frutto dell’ascolto della Parola e della riflessione su ciò che essa chiede, sui cambiamenti esistenziali che questo ascolto esige. Per questo, già da 3,4 e fino a 3,14, il Battista di Luca annuncia la Parola: si tratta di fare la propria parte per l’arrivo del Signore (abbassare monti, raddrizzare strade storte…), nessuno escluso. 15 “Voce che grida nel deserto…” (v 4). Qui la punteggiatura è importante: il passo di Is 40,3 che viene citato recita “Voce che grida: nel deserto preparate…” Era il deserto che stava in mezzo tra la Terra promessa e il popolo di Israele esiliato in Mesopotamia che desiderava tornare. Per Luca è il deserto in cui il Battista vive e predica; il deserto dove risuona e può essere accolta la Parola di Dio; il deserto che chiama ad andare altrove, a lasciare la città delle faccende di ogni giorno, o meglio accettare di vivere il quotidiano (come il Battista di Luca richiede - 3,10-14) e insieme la sfida al cambiamento / conversione. Vivere in pieno la vita del terzo Millennio e l’attesa del Giorno del Signore non possono escludersi a vicenda. Prima lettura e Salmo “Sorgi, Gerusalemme, guarda verso oriente…” (Bar 5,1-9) Bello questo sguardo tra la madre e i suoi figli: Gerusalemme invitata a guardare a est verso gli ebrei esiliati in Mesopotamia, e questi che guardano a ovest verso la città mèta dei loro sospiri. Il profeta ricorda il passato della disfatta, “si sono allontanati da te a piedi, incalzati dai nemici”; un passato dovuto all’infedeltà del popolo. Ora nel suo progetto sovrano, il Santo e l’Eterno (così Dio viene chiamato in questa prima lettura) interviene con la misericordia e la giustizia, il perdono e il ristabilimento del popolo di Dio nella terra a lui da sempre assegnata. Gerusalemme non è più diroccata, ma splende di nuova grandezza, a lei è data un’altra possibilità, i suoi nomi nuovi sono Pace di giustizia e Gloria di pietà: città dove questa volta regna un benessere frutto di armonia tra le persone e con Dio, e i cui cittadini vivono un vero rapporto con Dio tanto da diventare luce per il mondo. La gioia del popolo che torna nella terra della promessa è il tono del Salmo responsoriale. “Dio ha deciso di spianare ogni alta montagna…” Le Scritture sono una polifonia dove ogni suono rende bello il concerto. Le parole del Battista, che riprendono la predicazione di Isaia, invitavano il popolo a spianare la via al Signore che viene, mettendo al centro l’impegno morale delle persone alla conversione. Baruc integra l’immagine dal punto di vista di Dio: è lui stesso che, in nome della sua misericordia, ha deciso di spianare la strada al popolo che deve tornare. Questa concezione conduce direttamente al NT: dal segreto del suo mistero Dio ha spianato la strada, divenuto pellegrino ha posto la sua tenda in mezzo a noi, il Figlio di Dio si è fatto figlio dell’uomo, la Parola che ha creato il mondo è divenuta Parola di parole umane sulla bocca di Gesù. Anche la Colletta alternativa della Messa concentra l’attenzione e la preghiera di domanda sull’opera di Dio (ma si suggerisce tra le righe anche il dovere morale dei cristiani): “… raddrizza nei nostri cuori i tuoi sentieri, spiana le alture della superbia, e preparaci a celebrare con fede ardente la venuta del nostro Salvatore”. 16 In ascolto dei maestri di ieri e di oggi Il giorno di Cristo Gesù Ogni momento della tua giornata è un nuovo arrivo. E ogni nuovo arrivo deve essere accolto, salutato, accettato. Il tempo va celebrato. Occorre essere presenti. Tenersi pronti. Il più grande rischio della tua giornata è quello di essere assente, mentre il tempo è presente. Le espressioni di uso corrente “perdere tempo”, “sprecare il tempo”, “far passare il tempo” si possono ricondurre a un’unica realtà: essere assenti, mentre il tempo è presente. Tieni presente che ogni momento è unico. Ogni momento rappresenta un’occasione unica che non si ripeterà mai più. Approfitta delle infinite possibilità che ti offre ogni singolo istante. (A. Pronzato) Sempre, quando prego per tutti voi lo faccio con gioia... La gioia di Paolo è giustificata ancor di più dalla cooperazione dei Filippesi alla diffusione del Vangelo. Paolo è estremamente grato a questi fratelli e sorelle che fin dall’inizio non si sono limitati ad accogliere passivamente il vangelo, ma si sono mostrati disposti a collaborare per la diffusione del lieto annunzio tra le altre comunità. Hanno inviato più volte aiuti economici all’apostolo, gli hanno fatto sentire la loro vicinanza in carcere (4,14s) e, anche in sua assenza, si sono prodigati perché il messaggio di Gesù penetrasse più in profondità nei loro cuori. (cfr A.Grun, La vostra gioia sia piena) La carità si arricchisca di conoscenza e discernimento Mediante il gusto del Vangelo, mediante una sorta di fiuto spirituale per le cose di Cristo, diventiamo sensibili a tutto quello che è evangelico e a ciò che non lo è. Si tratta quindi di un discernimento importante perché noi non siamo chiamati solo a osservare i comandamenti all’ingrosso, ma a seguire Cristo Gesù. E la sequela non ha un’evidenza immediata nelle scelte quotidiane se non siamo per così dire entrati nella mente di Gesù, se non abbiamo gustato la sua povertà, la sua croce, l’umiltà del suo presepio, il suo perdono. Questa capacità di discernere, nelle ordinarie emozioni e nei movimenti del cuore, il marchio evangelico è un dono così grande che san Paolo lo chiedeva per tutti i fedeli: “Vi sia data abbondanza di sensibilità perché possiate discernere sempre il meglio, ciò che piace a Dio e ciò che è perfetto” (cf Fil 1, 9-10, Rm 12, 2). Oggi la Chiesa ha estremamente bisogno del discernimento perché le scelte decisive non sono tanto sul bene e sul male (non ammazzare, non rubare), ma su ciò che è meglio per il cammino della Chiesa, per il mondo, per il bene della gente, per i giovani, per i ragazzi. (C.M.Martini) Sovvenire alla necessità della Chiesa Nella Chiesa tutti i battezzati sono chiamati alla corresponsabilità, vivendo una solidarietà non soltanto affettiva ma anche effettiva e partecipando, se17 condo la condizione e i compiti di ciascuno, all’edificazione storica della comunità ecclesiale. Nessuno nella Chiesa può dire: «Non mi riguarda»... La corresponsabilità investe ogni dimensione della vita cristiana, compreso il reperimento dei beni materiali necessari per vivere: se è autentica, la comunione coinvolge anche le risorse economiche. Partecipare alla vita della Chiesa vuol dire perciò condividere anche i beni materiali e il denaro, guardando anzitutto a chi è nel bisogno. Per questo, il nuovo sistema non esclude né svilisce il semplice e tradizionale gesto dell’offerta manuale, fatta nella propria parrocchia o nella chiesa abitualmente frequentata. Esso, però, invita ad aprire lo sguardo anche alle esigenze della diocesi, di cui ogni comunità locale è cellula viva, e della Chiesa universale. Il nuovo sistema tende a realizzare quella “uguaglianza evangelica”, che è l’esito connaturale di un’autentica esperienza di carità e rende credibile la testimonianza ecclesiale. Oggi, come vent’anni fa, abbiamo ben presente la lezione di San Paolo: «Non si tratta infatti di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza. Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto: Colui che raccolse molto non abbondò e colui che raccolse poco non ebbe di meno» (2Cor 8,13-15). CEI, Sostenere la Chiesa per servire tutti (2008) È un momento di emergenza anche per l’impegno economico della comunità cristiana, tra la raccolta per il terremoto dell’Abruzzo e la raccolta per il fondo di solidarietà per le famiglie colpite dalla crisi economica. La proposta della firma per l’otto per mille alla Chiesa cattolica è un gesto coerente con questi altri, per aiutare la presenza della Chiesa sul territorio... Senza il contributo dell’otto per mille la Chiesa italiana non avrebbe potuto intervenire subito nel terremoto dell’Abruzzo... Così anche per l’altra emergenza dovuta alla crisi economica mondiale è stato possibile fare progetti di aiuto... Facciamo capire l’utilità che viene a tutta la comunità italiana da questa solidarietà, che ritorna a vantaggio di tutte le comunità cristiane. Avremo bisogno anche domani di parrocchie vive e attive, di sacerdoti disponibili al loro ministero, che mediante l’annuncio del Vangelo mantengano vivi i valori della fede e della carità, necessari sempre, ma soprattutto nell’emergenza. (Mons. C. Stagni, Messaggio per la Giornata di sensibilizazzione per l’8 per mille 2009) Container Caritas a S. Elia, l’Aquila. 18 3a di Avvento C - COMPRENDIAMO 1. La seconda lettura (Fil 4,4-7) Il contesto. La gioia pervade questa terza domenica d’Avvento, sulla spinta delle prime due letture. Dopo aver individuato una caratteristica della gioia cristiana nell’andare d’accordo (letteralmente, “pensare la stessa cosa / ragionare allo stesso modo” 4,2), ed aver di pari passo presentato il rapporto tra se stesso e i suoi nei termini della collaborazione (4,3), Paolo punta alla radice della questione. Siate sempre lieti nel Signore! (4,4): alle radici della gioia cristiana. La gioia cristiana non è un semplice stato psicologico spontaneo, perché è richiesta dall’Apostolo (il verbo è all’imperativo) ed è una gioia “sempre”, un atteggiamento costante e non una situazione occasionale. Questo si spiega, perché la gioia cristiana non parte dall’uomo ma da Dio e dal suo intervento nel mondo, perciò è gioia “nel Signore”. In greco si usa un verbo imparentato con il famoso chàire (“gioisci!”) che l’arcangelo Gabriele ha rivolto a Maria annunciando in lei l’intervento di Dio e l’Incarnazione. Qui Paolo sente di essere arrivato a un punto essenziale, tanto da ripetersi: “Ve lo voglio proprio dire di nuovo: gioite!” La vita cristiana non è per masochisti, nasce da un Dio che è felice di aver a che fare con noi, e che vuole che la nostra gioia sia piena (vedi, per esempio Gv 15,11). Una gioia “benevolente” (v 5). La traduzione “la vostra amabilità” rende poco il concetto greco di “tò epieikès”. Nell’uso comune, significa moderazione / equilibrio, “tenere la manica benevolmente larga” verso gli altri, con pacatezza e comprensione. è un valore assai apprezzato nel mondo pagano, vivendo il quale la comunità cristiana vive in armonia con la società circostante e nel medesimo tempo testimonia il Vangelo. Infatti, insieme alla mitezza (Mt 5,5), moderazione e larghezza sono un modo concreto di vivere il precetto generale dell’amore e la nuova sapienza del Vangelo (cfr Gc 3,17). Il cristiano sorride alla vita perché ha un equilibrio e una solidità che gli vengono dal “Signore che è vicino!” è lui il rubinetto della gioia cristiana, come ricorda la Colletta alternativa della Messa. Paolo non dice “si sta avvicinando”, ma è qui accanto, tornerà alla fine ma dal suo primo avvento non è mai andato via. La liturgia della gioia cristiana è celebrazione della presenza eterna del Signore risorto nella ferialità del quotidiano: per questo si può e si deve essere gioiosi sempre. Quindi il cristiano non si lascia smontare da nulla (v 6). Non angustiatevi per nulla (non affannatevi, niente vi mandi in depressione..): è il segno della 19 vita nuova in Cristo (vedi Mt 6,25). È ovvio che le difficoltà esistono, ma il cristiano non ne è vittima: il Signore è qui accanto, quindi in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. Il cristiano espone abitualmente le proprie difficoltà, pur senza troppe parole (cfr Mt 6,7), ma nel respiro continuo del ringraziamento, perché ha piena certezza di essere ascoltato (cfr Mt 6,8 e Lc 11,5-10). Il Signore è accanto, ha già udito la supplica prima che venga formulata. Risultato: una pace che viene da Dio (v 7). Accogliendo questa presenza divina, che si diffonde nelle persone come gioia e larghezza d’animo, il credente accede alla pace (in greco “eirène”, la famosa “shalòm” in ebraico). Non solo sta bene con se stesso e con il mondo, ma gusta in anticipo l’armonia che Dio ha preparato per il mondo rinnovato; l’Aldilà invade l’Aldiqua, si può piluccare dai vassoi di portata del grande banchetto della festa definitiva. Siate sempre liete nel Signore! 3. Le altre letture Prima lettura e Salmo “Re d’Israele è il Signore in mezzo a te…” (Sof 3,14-17) L’invito alla gioia (“Rallegrati! Grida di gioia!”) apre il brano della prima lettura. Siamo intorno al 640-630 a.C., all’inizio del regno di Giosia a Gerusalemme e alla fine del potente regno di Assiria che tanto ha fatto soffrire la Giudea. Sofonia vede nel giogo degli stranieri la conseguenza dell’infedeltà di Israele al suo Dio, ma già intuisce i tempi che cambiano in meglio: Dio si fa avanti, 20 “ha revocato la sua condanna, ha disperso il tuo nemico… non temerai più alcuna sventura”. Il profeta sa leggere i segni dei tempi e riconosce, proprio come S. Paolo, che la fonte della gioia religiosa è “il Signore, tuo Dio, in mezzo a te”, come anche fa eco il Salmo responsoriale. In più, Sofonia descrive Dio stesso che gioisce per il suo popolo come il padre che ritrova il figlio che si era perduto. Sembra di sentire Lc 15,7.10: “Vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte… vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte”. Vangelo Gioia senza disimpegno: una conversione a tutti i livelli (Lc 3,10-18) Caratteristica della predicazione del Battista secondo Luca è la dimensione sociale, senza la quale la conversione rimane un pio proposito e basta. Dio entra nel mondo, è il Forte che viene a battezzare in Spirito Santo e fuoco (come nel giorno di Pentecoste), a porre fine al battesimo d’acqua e alla profezia dell’AT che arriva fino a Giovanni, per far nascere la Chiesa, granaio dove Dio può radunare il suo frumento. Capire i segni dei tempi nuovi, come il Battista fa e invita a fare, significa accogliere questo cambiamento, lasciare che la logica evangelica penetri nella vita e costruisca realtà nuove, nuove relazioni, nuovi modelli sociali. “Che cosa dobbiamo fare?” è la stessa domanda che pone la folla a Pietro al termine del suo primo discorso, il giorno di Pentecoste (At 2,37), e la risposta è sempre la stessa: “Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo”, cioè lasci la vita di prima e si metta sotto la signoria del Forte. In specifico, Giovanni chiede a tutti (dandone l’esempio con la sua vita nel deserto) di condividere i beni ricevuti dalla vita perché nessuno abbia più fame: il mondo nuovo è quello dove l’uguaglianza di tutti è una realtà, non per premiare la pigrizia di chi non lavora ma per affermare la dignità di ogni persona (simboleggiata da cibo e vestito assicurati). Perfino chi fa un mestiere che si direbbe distante dal Vangelo può realizzare una vera conversione della vita; agli esattori delle tasse per conto dei romani il Battista non prescrive di cambiare lavoro (e nemmeno predica la rivolta contro i padroni stranieri), ma di non esigere dalla gente nulla di più. Similmente ai soldati non indica l’obiezione di coscienza come un obbligo (a quel tempo il problema non si poneva nemmeno), ma di non usare la forza delle armi come mezzo di sopraffazione e di estorsione. In ogni caso, si tratta di lasciare l’attaccamento a ciò che il mondo ritiene prezioso, per fare spazio alla Parola di Dio e al prossimo più debole, che rischia di essere schiacciato dall’egoismo e dalla violenza. 21 In ascolto dei maestri di ieri e di oggi Un cuore gioioso è il normale risultato di un cuore che arde d’amore. La gioia non è semplicemente una questione di temperamento, è sempre difficile mantenersi gioiosi: una ragione di più per dover cercare di attingere alla gioia e farla crescere nei nostri cuori. La gioia è preghiera; la gioia è forza; la gioia è amore. E più dona chi dona con gioia. Ai bimbi e ai poveri, a tutti coloro che soffrono e sono soli, donate loro sempre un gaio sorriso; donate loro non solo le vostre premure, ma anche il vostro cuore. Può darsi che non si sia in grado di donare molto, però possiamo sempre donare la gioia. (Madre Teresa) Cercatori di felicità Siamo cercatori di felicità, appassionati e mai sazi. Questa inquietudine ci accomuna tutti. Sembra quasi che sia la dimensione più forte e consistente dell’esistenza, il punto di incontro e di convergenza delle differenze. Non può essere che così: è la nostra vita quotidiana il luogo da cui sale la sete di felicità. Nasce con il primo anelito di vita e si spegne con l’ultimo. Nel cammino tra la nascita e la morte, siamo tutti cercatori di felicità. Certo, questa esperienza comune si frastaglia in mille direzioni differenti. Tutti possiamo riconoscerci nel bisogno di felicità: ma quale felicità cerchia22 mo? come la cerchiamo? quali strumenti ce ne assicurano il possesso? e gli altri, in questa appassionata ricerca, che posto hanno? Qualcuno ha accusato la tradizione cristiana di opporsi alla voglia di felicità, di guardare eccessivamente al futuro dimenticando il presente. Qualche volta è stato contestato ai credenti in Cristo l’eccessivo prezzo da pagare per assicurare la felicità, o si sono loro rimproverati i modelli dal sapore rinunciatario, persino un poco masochista, presentati come condizione per raggiungere la felicità. Qualcuno è arrivato alla decisione di dover liberare l’uomo da Dio per restituirgli il diritto alla felicità. Le provocazioni ci sfidano e ci aiutano a pensare, facendoci riscoprire alla radice dell’esperienza cristiana la figura di Gesù, che ci ha offerto il volto di un Dio amante della vita e della felicità dell’uomo. Peraltro, le crisi nel rapporto tra vita e felicità non riguardano solo noi cristiani. Chiunque ama la vita e cerca la gioia duratura per sé e per gli altri, non riuscirà certamente ad accontentarsi di proposte che legano la felicità unicamente al possesso, alla conquista, al potere, al solo piacere, all’egoismo personale o di gruppo. (CEI, Lettera ai cercatori di Dio) La felicità è un profumo che non si può versare agli altri, senza che te ne (Tomas Mann) cada una goccia addosso. Allegria! “Tu mi domandi se sono allegro; e come non potrei esserlo? Finché la Fede mi darà forza sempre allegro! Ogni cattolico non può non essere allegro: la tristezza deve essere bandita dagli animi cattolici; il dolore non è la tristezza, che è una malattia peggiore di ogni altra. Questa malattia è quasi sempre prodotta dall’ateismo; ma lo scopo per cui noi siamo stati creati ci addita la via seminata sia pure di molte spine, ma non una triste via: essa è allegria anche attraverso i dolori”. (dagli scritti di Pier Giorgio Frassati) 23 4a di Avvento C - COMPRENDIAMO 1. La lettera agli Ebrei (Eb) Per lungo tempo attribuita a S. Paolo, oggi ormai non lo è più, neanche nella lettura liturgica (“Dalla lettera agli Ebrei”, si dice). Anche se mostra contenuti affini al pensiero di Paolo, il messaggio specifico di Eb è originale: il Cristo della Pasqua è il nuovo e vero Sommo Sacerdote, che offre se stesso in modo efficace (cioè elimina il peccato) una volta per tutte; reso perfetto dall’obbedienza fino alla morte, egli è causa di salvezza eterna per coloro che gli obbediscono (5,7-10). Eb non è propriamente una “lettera”; è un discorso “di esortazione” (13,22), una omelia (aperta dal meraviglioso esordio di 1,1-4) i cui destinatari non sono ben individuabili (all’inizio manca il mittente e il destinatario). Di essi si sa che conoscono Timoteo (13,23), collaboratore di Paolo; sono cristiani da vario tempo (5,12); la loro situazione è simile a quella delle Chiese di Ap 1-3. Dopo la conversione, quei cristiani hanno sopportato ogni genere di persecuzione (10,32-34); il vento di persecuzione sta ritornando, e con esso la tentazione di scoraggiarsi (12,3.12). In ciò non aiuta il basso livello di formazione e convinzione nella fede (5,11-12; 10,25), l’intenzione serpeggiante di tornare alla vecchia fede giudaica (13,9-10) e il lassismo morale (12,16). Il pericolo concreto è quello di abbandonare Gesù (6,4-6; 10,26-31): l’autore miscela minacce per chi “cade” e lodi per una comunità che sta dimostrando nell’insieme una buona saldezza (6,9-10). Il testo di Eb alterna pezzi di esposizione dottrinale e relative conseguenze per la vita. La struttura del testo può comprendere cinque parti. 1,5-2,18: Cristo, superiore agli angeli e ad ogni cosa, dopo aver sofferto e aver condiviso la natura umana “da fratello”. 3,1-5,10: Cristo, “apostolo e sommo sacerdote della nostra fede”, superiore a Mosè; chi crede in lui ottiene una speranza solida e, pur nella fatica del pellegrinaggio terreno, vive già nel riposo di Dio. Cristo è il vero Sommo Sacerdote; al suo altare si attingono grazia, misericordia e aiuto. 5,11-10,18: Cristo è superiore ai sacerdoti giudei, tanto quanto Melchisedek è superiore a Levi (Eb 7); il suo gesto liturgico è superiore a quello del sacerdozio giudaico, appartiene a una alleanza nuova e migliore, ed è efficace nel togliere i peccati (Eb 8,1-10,18). 10,19-12,13: “Avendo piena fiducia di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù… manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza” (10,19.23); viviamo degni di quella purificazione perfetta procurata 24 dal sacrificio di Cristo e ottenuta al momento della “illuminazione “ (battesimo); Ricordiamo le lotte affrontate e superate in precedenza, e anche l’esempio dei padri che con la forza della fede hanno sperato e ottenuto i beni della salvezza (11); guardiamo infine a Cristo, modello di coloro che lottano, correndo senza stancarci verso la salvezza definitiva. Infine, 12,14-13,18: santificati dal sangue di Cristo, diventiamo ciò che siamo, con una condotta morale degna, nell’ascolto rispettoso della Parola di Dio, nell’amore fraterno, nell’obbedienza ai capi e nell’imitazione della loro fede. 2. La seconda lettura (Eb 10,5-10) Il contesto Mentre normalmente il NT presenta in Gesù il Messia Re e Profeta, la lettera agli Ebrei medita sul suo sacerdozio, rileggendo alla luce della Pasqua i testi di mentalità sacerdotale dell’AT, specialmente il Levitico. Anzitutto Eb dichiara che la liturgia ebraica che sacrificava gli animali e il loro sangue non raggiunge il suo scopo, quello di lavare i peccati dell’uomo (10,1-4), ma piuttosto ricorda all’uomo che egli è peccatore. Già gli antichi profeti avevano constatato il fatto (Is 1,11-13; Ger 6,20; 7,22; Os 6,6; Am 5,21-25; Mic 6,6-8), ma le cose cambiano davvero solo quando Cristo entra nel mondo (v 5). “Entrando nel mondo, Cristo dice” (v 5) Attenzione a non intendere male quel Cristo dice: non sono le sue ultime parole da Verbo di Dio prima di nascere da Maria. Eb aveva subito dichiarato che Gesù è la Parola che ha creato il mondo e che il Padre pronuncia a conclusione dell’antico ministero dei profeti (1,1-4). Adesso che Eb 4,5-7 cita il Salmo 39,7-8, che è parte delle Sacre Scritture, nulla di strano che l’autore della lettera presenti il testo del Salmo come Parola di Gesù, o meglio Parola 25 che nell’ingresso di Gesù nel mondo (Incarnazione) trova il suo compimento e la sua realizzazione. Osserviamo che la citazione del Salmo è diversa dal testo delle nostre Bibbie: queste sono tradotte dall’ebraico, l’autore di Eb aveva in mano il libro dei Salmi tradotto in greco. L’ebraico “gli orecchi mi hai aperto” diventa in greco “un corpo hai preparato”, per questo Eb può citare questo passo riferendosi all’Incarnazione. “Ecco(mi), io vengo…” (vv 6-7). Messo da parte lo strumento dei sacrifici animali (“olocausto … sacrificio per il peccato”), come affermato a chiare lettere nei successivi vv 8-9, il credente che pregava con il Salmo e ora il Cristo vivono la comunione con Dio attraverso l’Eccomi dell’obbedienza. In Gesù trova pure il suo approdo il famoso “eccomi” dei grandi servi di Dio: Abramo (Gen 22,1); Mosè (Es 3,4); Samuele (1Sam 3,4); Isaia (Is 6,8); Maria (Lc 1,38); Anania (At 9,10). Nell’unico eccomi il Figlio di Dio e il credente vivono uno stesso stile di vita e la stessa volontà. “Di me sta scritto nel rotolo del libro” ( v 7). Come Figlio di Dio, Gesù è la Parola delle Sacre Scritture perché esse annunciano lui; come figlio dell’uomo, Gesù legge e medita nelle Scritture ciò che Dio vuole da lui. Il “corpo / persona” di cui il Salmo parla non è qualcun altro. Contemplando la Parola incarnata, Eb vede che il perdono dei peccati e la comunione con Dio non si realizzano attraverso un corpo estraneo (quello degli animali sacrificati), ma attraverso la sua offerta personale per obbedienza; l’altare del Tempio viene sostituito dall’altare di tutta la vita di Gesù, fino alla Croce. Con Gesù, anche il credente dialoga con Dio mediante il Libro, Parola detta e scritta in un certo tempo e luogo, ma che in ogni tempo e luogo si rivolge alla persona e alla comunità che la legge, e chiede accoglienza e obbedienza. 26 “Mediante quella volontà siamo stati santificati” (v 10). L’obiettivo che i sacrifici del Tempio avrebbero voluto ottenere è la santificazione, in negativo l’eliminazione di ciò che allontana l’uomo da Dio (peccato), in positivo il vivere secondo Dio, santi come lui è santo. La Nuova Alleanza raggiunge l’obiettivo “per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre”. L’espressione è potente, perché tutta l’esistenza personale di Gesù nel suo insieme (come offerta di obbedienza al Padre, fino alla morte di Croce) è assolutamente unica, essa sola e una volta per sempre realizza la comunione tra cielo e terra. Mentre l’AT conosceva molti sacerdoti, discendenti di Levi, il NT conosce un solo vero Sacerdote. E questo perché Gesù ha vissuto nella volontà di Dio, dalla Venuta nel mondo alla Pasqua; o meglio, il contatto si è realizzato perché Gesù ha voluto (“Eccomi!”) che la volontà di Dio, di fare comunione con noi, fosse anche la sua. E’ questo combaciare di volontà che ci ha santificati: uniti a Gesù sacerdote tramite il Battesimo, traiamo beneficio da quel contatto, e aspiriamo a mettere anche la nostra volontà in linea con quella di Dio: “Dona alla Chiesa una totale adesione al tuo volere, perché imitando l’obbedienza del Verbo… esulti con Maria per la tua salvezza” (Colletta alternativa della Messa). 3. Le altre letture Vangelo “Beata colei che ha creduto” (Lc 1,39-45) è il Vangelo della Visitazione, dell’incontro tra Maria ed Elisabetta, tra i loro illustri figli, un incontro che causa gioia. Un incontro che santifica perché avviene sotto lo sguardo di Dio e alla presenza del Figlio che è stato da poco concepito. Non si tratta quindi solo di un esempio di servizio dato da Maria a beneficio della cugina anziana e bisognosa. Contemplando l’episodio, piuttosto Luca vede come funziona la fede. Maria viene lodata perché “ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto”, quindi la fede nasce quando la Parola di Dio viene accolta con obbedienza. Se guardiamo Elisabetta, vediamo lo stesso dinamismo in modo più elaborato. Il saluto di Maria (Parola del Figlio tramite sua madre) giunge all’orecchio, viene accolto; la Parola comunica Spirito Santo (in Elisabetta che ne è ripiena) e gioia (in Giovanni che scalcia nella pancia); infine, la gioia deborda in esclamazione e testimonianza, Elisabetta “esclamò a gran voce” e Maria proclama il suo Magnificat (che viene omesso nella lettura liturgica di oggi). La gioia arriva perché, tra le righe dell’incontro tra le due donne e i loro bambini, Dio si rende presente, il suo Spirito invade l’umano, lo prende e lo trasforma. Dio viene per santificare il mondo, la gioia è il segno e la prova che questo obiettivo è stato raggiunto nella libera adesione della persona. 27 Prima lettura e Salmo “Betlemme, così piccola… da te uscirà il Dominatore” (Mi 5,1-4) Le origini di Gesù, con tutte le circostanze annesse, passarono del tutto ignorate dalla grande storia dei potenti. Anche l’Israele biblico, superando il proprio nazionalismo, qualche volta si meraviglia di essere stato scelto, lui il più piccolo tra i popoli, per essere il popolo dell’alleanza (Dt 4,38; 7,1.7-8; ben diversi da 4,6-7!). E poi in maniera massiccia Dio manda avanti la sua storia con il suo popolo scegliendo regolarmente il “secondo” (a partire da Abele preferito a Caino, il primogenito). L’onore della piccolezza appartiene anche alla Chiesa (1Cor 1,26-31). Betlemme, villaggio protagonista del Natale, era ben poca cosa in sé, nella Bibbia ha un solo onore: quello di essere il villaggio della famiglia di Davide, il luogo originario della dinastia dei re, e quindi anche del Messia. Michea annuncia la Parola di Dio, come Isaia, in tempi di difficoltà e pericolo a causa delle potenze straniere; Israele deve subire le invasioni, ma il mistero di Betlemme nel progetto di Dio rimane intatto, un nuovo Re sorgerà, le cose cambieranno: “Pascerà con la forza del Signore… abiteranno sicuri perché egli sarà grande fino agli estremi confini della terra. Egli stesso sarà la Pace!” A Natale finalmente Betlemme può dire missione compiuta, adesso l’onore della piccolezza diventa accessibile, anzi diventa la via della salvezza che tutti i popoli possono percorrere. In ascolto dei maestri di ieri e di oggi Un cellulare speciale Puoi immaginare cosa succederebbe se noi trattassimo la Bibbia nel modo in cui trattiamo il nostro telefono cellulare? -se noi trasportassimo la Bibbia nello zaino, nella borsa, appesa alla cintura, o nella tasca? -se le dessimo un colpo d’occhio molte volte nella nostra giornata? -se tornassimo sui nostri passi per cercarla, dopo averla dimenticata a casa o in ufficio? -se l’utilizzassimo per mandare messaggi ai nostri amici? -se la trattassimo come se non potessimo vivere senza di lei? -se la regalassimo ai nostri figli ed amici, per essere sempre in contatto con loro? -se la portassimo con noi in viaggio, nel caso in cui avessimo bisogno di aiuto? -se la aprissimo immediatamente in caso di pericolo? Contrariamente al cellulare, la Bibbia ha sempre campo. Possiamo connetterci ed essere in contatto con Dio, in qualsiasi luogo, persino in alta montagna o in mare aperto. 28 Non dobbiamo preoccuparci per la mancanza di credito, perché “Gesù ha già pagato per sempre la ricarica”, e i crediti sono illimitati. Ancora meglio: la comunicazione non viene mai interrotta, e la batteria è caricata per tutta una vita (Sermig, nuovo progetto) La nostra offerta Dio ci dà tutto, perché possiamo ridargli tutto. Questo significa rendere grazie: ridare liberamente al Padre le ricchezze che ci ha offerto. Dal momento che il Padre ci ha dato il Figlio suo, dal momento che il Figlio si è fatto solidale coi suoi fratelli, noi possiamo offrire insieme l’eucaristia, il dono supremo che salva il mondo. (M. Quoist) Una volta per sempre... Preghiamo con le parole dell’Annuncio della Pasqua, che ascolteremo nella solennità dell’Epifania: Fratelli carissimi, la gloria del Signore si è manifestata e sempre si manifesterà in mezzo a noi fino al suo ritorno. Nei ritmi e nelle vicende del tempo ricordiamo e viviamo i misteri della salvezza Centro di tutto l’anno liturgico è il Triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto, che culminerà nella domenica di Pasqua il 4 aprile. In ogni domenica, Pasqua della settimana, la santa Chiesa rende presente questo grande evento nel quale Cristo ha vinto il peccato e la morte. Dalla Pasqua scaturiscono tutti i giorni santi: Le Ceneri, inizio della Quaresima, il 17 febbraio. L’Ascensione del Signore, il 16 maggio. La Pentecoste, il 23 maggio. La prima domenica di Avvento, il 28 novembre. Anche nelle feste della santa Madre di Dio, degli apostoli, dei santi e nella commemorazione dei fedeli defunti, la Chiesa pellegrina sulla terra proclama la Pasqua del suo Signore. A Cristo che era, che è e che viene, Signore del tempo e della storia, lode perenne nei secoli dei secoli. 29 Suggerimenti per l’animatore Come usare le schede? Le schede intendono offrire indicazioni utili per una Lectio divina popolare. Desiderano cioè favorire un ascolto pregato personale e in comune della Parola di Dio, per facilitare ed accompagnare l’incontro tra Dio e ciascuno dei suoi figli nell’Eucaristia domenicale. Le suddivisioni della scheda si ispirano ai passaggi di questo antico metodo di ascolto della Parola. • Con il segno della croce e la preghiera iniziale ci mettiamo alla presenza di Dio e gli chiediamo di accogliere quanto ci vuole dire. • Un lettore proclama il testo della Parola di Dio. Segue un momento di silenzio, eventualmente accompagnato dalla risonanza delle frasi che, ad un primo ascolto, ognuno ha colto come più significative. • L’animatore presenta il testo, avvalendosi di quanto riportato nel libretto, per Comprendere la Parola (lectio). Potremo così cogliere il significato del testo. • Propone poi alcuni degli spunti di riflessione e delle domande della scheda, per meditare la Parola (meditatio): “Che cosa il mio Signore vuole dire oggi a noi?”. Segue la condivisione, nella quale ci scambiamo quello che la Parola e gli spunti di riflessione ci hanno suggerito. • Infine, per rispondere a Dio che gli ha parlato, ognuno potrà pregare la Parola (oratio) in forma spontanea o con una delle invocazioni suggerite. A livello personale, ognuno, tornato a casa, è invitato a proseguire il dialogo con Dio per interiorizzare la Parola ascoltata (contemplatio) perché produca il suo effetto: quello di convertire e donare vita nuova. Come condurre l’incontro? In un clima di preghiera, di familiarità e di condivisione attorno alla Parola. Clima da favorire con: • alcuni accorgimenti: la presentazione iniziale delle persone, la disposizione delle sedie in cerchio, un segno (candela accesa, Bibbia aperta, icona di Gesù…); 30 • alcuni atteggiamenti interiori, tra i quali: la consapevolezza che uno solo è il Maestro e tutti noi siamo suoi discepoli, la disponibilità a lasciarsi leggere dalla Parola, l’accoglienza di ogni partecipante, nel rispetto del cammino di fede di ciascuno. 31 32