Giorni fa, parlando con mio nipote, feci un parallelismo tra gli alberi e l’essere umano in generale,
parlando di radici come indispensabili sia nell’uno che nell’altro caso.
Mio nipote – come tutti i giovani che iniziano ora ad avere delle idee sul mondo – scalpita dal
desiderio di cambiare le cose che lo circondano. Il problema è che, come del resto molti suoi
coetanei che l’hanno preceduto in ogni epoca, vorrebbe cambiare il mondo senza comprenderne a
fondo i meccanismi, rinnegando così le radici che lo legano all’epoca presente.
Così come accade a molte persone che non hanno ben chiaro da dove vengono e dove vanno –
sembra uno scherzo dialettico ed invece è cosa molto seria – quando si rinnegano le radici della
propria cultura per “sperimentare” idee nuove e nuove tendenze, si finisce poi con il non sapere
bene come procedere nel cammino di emancipazione dalla famiglia d’origine e da ciò che riteniamo
obsoleto. Vogliamo cambiare ma, non sapendo esattamente cosa cambiare, ci affidiamo alle
ideologie, cosa pericolosissima perché ci conduce in strade senza ritorno come quella che – molto
discussa in questo ultimo periodo – vuole l’essere umano alle prese non già con due generi (maschile
e femminile) ma con almeno altri 50, tra percentuali minime e massime di tendenza di genere e
con tutte le possibili varianti.
Se questo è il cambiamento che le nuove generazioni auspicano, non possono che trovarmi
contraria. Cambiamento non dovrebbe significare stravolgimento. Il cambiamento non
necessariamente deve comportare una rivoluzione dei costumi e delle tradizioni, anche perché il
resto del mondo potrebbe non seguirci.
Il cambiamento come lo intendo io è – più che uno stravolgimento – un “up-to-grade“, un
aggiornamento dei costumi e delle tradizioni che serve ad abbassare gli scalini che dovessero
formarsi tra una generazione e l’altra, tra una cultura e l’altra, tra una realtà e l’altra.
Il leit-motiv comune a tutte le generazioni (di tutte le epoche storiche) è lo “sfascismo“. Da che
mondo è mondo, i giovani hanno sempre preso di petto le situazioni minacciando di sfasciare tutto se
le idee che manifestavano non venivano prese in considerazione, cosa che ha – peraltro – sempre
fatto inalberare i genitori e gli educatori, provocando reazioni spesso dure e poco propense a
compromessi.
Ciò che le radici rappresentano per un albero – l’ancoraggio al terreno, la sicurezza di mantenersi
“in piedi” durante le tempeste, la possibilità di assumere sempre nuova linfa dal terreno (metafora
della cultura di un popolo) – ha più o meno lo stesso significato che le tradizioni e la cultura di
partenza prende per gli esseri umani. E’ impensabile intraprendere il viaggio della vita senza un
minimo di bagaglio, così come è impensabile “rifare” il mondo partendo da zero (più che
impensabile è impossibile).
Ciò che i giovani di ogni epoca e di ogni cultura rimproverano (anche aspramente) alle generazioni
che li hanno preceduti è l’aver sciupato le risorse (qualsiasi risorsa a loro disposizione)
corrompendole al punto tale da renderle inutilizzabili per chi dopo di loro avrebbe ereditato la
società. Che si tratti di risorse culturali o ambientali, fatto sta che le nuove generazioni accusano le
vecchie di incapacità gestionale.
Fino qui, nulla di che. Drammatico, senza dubbio, ma non quanto il fatto che – negli ultimi decenni –
si sia messa in discussione l’esistenza di una Entità Superiore.
Con l’avvento della tecnologia, l’ego dell’essere umano si è ingigantito, come se l’appropriarsi
delle conoscenze tecnologiche avesse tolto autorità all’immagine di Dio: il Creatore non è più tale (o
lo è di meno) perché l’essere umano ha fatto un balzo significativo nella conoscenza dell’universo.
Il pensiero che questo balzo in avanti non sia frutto unicamente delle capacità umane (piuttosto
limitate per la verità) ma provenga da una Luce Superiore che solo per Volontà Divina riesce ad
illuminare le menti di chi si dedica anima e corpo all’evoluzione dell’umanità, non sfiora
minimamente i fautori del nuovo illuminismo.
Il peccato di orgoglio, si sa, è il peggiore che si possa commettere.
Chi pensa di manipolare il Creato per dimostrare che Dio non esiste sta firmando da se’ la propria
condanna a morte e – cosa inaccettabile – anche quella di chi invece in Dio ci crede e crede nella
Sua Onnipotenza, quella stessa Onnipotenza che alza l’asticella di ciò che ancora non sappiamo
ogni qual volta l’orgoglio satanico dell’umanità malata crede di aver messo una bandierina sulla
mente di Dio.
Le nostre radici, quelle che ci legano a Dio in quanto Sue Creature, sono imprescindibili. Sarebbe
pura follia pensare di lasciarcele dietro, dovunque andassimo. Sia Dio il nostro passato, il nostro
presente, il nostro unico futuro.
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Le radici dell`uomo