Prefazione Questa è la raccolta dei pezzi scritti sul blog di Maledetta informatica nel corso del 2015 a partire dalla sua apertura in autunno. Il blog si trova facilmente su Google. Parla di computer, di web, di social media, ma soprattutto parla di come questi nuovi mezzi stiano cambiando il modo nel quale noi umani viviamo, percepiamo e ci relazioniamo. In alcuni casi ho cercato di trasmettere qualche conoscenza in più o di chiarire qualche concetto ostico, come ad esempio account, driver o piattaforme. Tanto per capirci, ho cercato di affrontare alcuni argomenti che gli informatici danno per scontato e trattano con parole difficili, come se provassero un sottile compiacimento nel non farsi capire. Altre volte ho osservato comportamenti insoliti e mi sono divertita a cercare sul web qualcosa di diverso, ad esempio i vecchi siti oppure come essere felici. Spero che queste note vi siano utili e qualche volta vi facciano sorridere. Il mio intento è di parlare di informatica come di un fatto della vita che non possiamo più ignorare: a volte difficile, a volte meravigliosa, qualche volta assurda. Tanto vale farsene una ragione, cercare di comprendere qualcosa di più e non prenderla troppo sul serio. Buona lettura e arrivederci sul blog nel 2016. Sommario Prefazione1 Il Driver non e' un autista 3 Con chi scambio la voce? 4 torte e computer 8 non bastava il cugino? 9 Reale o virtuale 10 tuffi dalla piattaforma 10 account e supermercati 13 do you like veramente? 17 Libri Di Carta e di bit 21 Dove vai se la mappa non ce l'hai 23 il senso di google per la vita 25 amarcord27 FARe bei sogni? con netflix si puo' 29 Il Driver non e' un autista Durante i favolosi anni Settanta anche chi non conosceva l’inglese scoprì d’un tratto il significato della parola “driver” attraverso le forti ed indimenticabili scene interpretate da Robert De Niro e Jodie Foster in “Taxi Driver” di Scorsese. In tempi molto più recenti abbiamo imparato che tassista è una persona che guida un regolare taxi con regolare licenza regolarmente rilasciata incassando contanti dalle persone traspor- tate, mentre “driver” è qualcuno che ogni tanto dà un reale passaggio a qualcun altro incontrato in un luogo virtuale che si chiama Uber in cambio di denaro virtualmente scambiato su un’altra piattaforma virtuale che si chiama Paypal. Quando però il nostro computer si lamenta per la mancanza o irregolarità di qualche “driver”, generalmente la nostra confusione diventa totale. Generalmente questo succede quando cambiamo una stampante o aggiorniamo il sistema operativo, con il risultato che non riusciamo più a stampare proprio quel foglio che ci serviva cinque minuti fa. Ebbene che cos’è questo “driver”? Nient’altro che un programma software in grado di far funzionare una periferica di un computer, ossia un aggeggio fisico, chiamato propriamente dispositivo hardware, che svolge uno specifico compito utile per noi, ad esempio stampare o memorizzare dati o far suonare musica. Dove si trova questo programma? Viene fornito da chi ha costruito il dispositivo e deve essere compatibile con il sistema operativo del computer al quale la periferica viene collegata. Ricordate che un tempo ogni stampante veniva fornita con apposito dischetto? Beh, oggi è tutto più semplice perché il “driver” è precaricato, oppure si trova facilmente sul web negli appositi siti dei costruttori. P.S. I dispositivi fisici a volte vengono chiamati anche “device” (si pronuncia “devàis”). È una parolaccia, ma impararla potrebbe aiutare in qualche circostanza. 3 Con chi scambio la voce? “Pronto! Con chi chiacchiero?”. Macchine parlanti e capaci di comprenderci sono sempre stati un sogno dell’umanità e sono state più volte rappresentate nei romanzi ispirati al futuro, eppure oggi non è raro imbattersi per la strada in una signora trafelata che discute animatamente con un’altra voce femminile proveniente dal suo smartphone, arrivando addirittura, nei casi più gravi, a definirla la sua migliore amica. Ebbene sì, scambiare la voce con un computer oggi è alla portata di tutti, anche se molti ancora non sfruttano ap- pieno queste possibilità. La conversazione rilassata tra umani con tutto il corredo sensoriale che ne deriva, incluso il bicchiere di whisky, può essere esperienza estremamente più soddisfacente, tuttavia sorprende quanto si sia spinta in avanti la ricerca negli ultimi quarant’anni per far sì che anche il dialogo con una macchina diventi sempre più personalizzato ed agganciato alla relazione in corso. Procediamo con ordine ad esaminare i contesti in cui i computer svolgono funzioni umane come parlare ed ascoltare, arrivando addirittura a sostenere una vera e propria conversazione. Text-to-speech “Dal testo scritto al discorso parlato” significa che un computer può leggere una serie di parole scritte in una speci- fica lingua e ripeterle a voce attraverso il suo altoparlante. Provare per credere? Se state leggendo queste note su un dispositivo mobile come un tablet o uno smartphone, selezionate questo capitolo dall’inizio e nel menù scegliete “leggi”. Assicuratevi che il volume non sia a zero e mettetevi in ascolto: sarete stupiti dall’intonazione della voce, dalle pause al momento giusto e da un risultato molto meno metallico di quanto forse vi aspettavate. Sono passati quasi quarant’anni dai primi esperimenti condotti dagli studiosi per insegnare a parlare agli allora monumentali calcolatori. Pensate che a quei tempi 4 l’Italia era all’avanguardia in questo tipo di ricerca e nei laboratori CSELT di Torino riuscirono a far cantare “Fra Martino campanaro” ad un computer, esperimento di cui si conserva ancora una registrazione in vinile. Consultando l’archivio storico di Telecom Italia all’indirizzo http://archiviostorico.telecomitalia.com/ italia-al-telefono-olt r e /19 78 - p e r m e t t e te-che-mi-presenti-sono - calcolatore - cselt potrete ascoltare la voce del calcolatore nel 1978. Confrontatela con quella delle signorine del vostro navigatore ed apprezzate la differenza. A che cosa può servire un computer capace di leggere? Tanto per cominciare, pensate a tutto il mondo degli annunci nelle stazioni e mezzi pubblici, alle istruzioni che arrivano da un navigatore satellitare, oggetto ormai comune sulle nostre automobili ed onnipresente sui nostri smartphone, per non parlare poi dell’immenso mondo delle applicazioni mediche. Pensate poi di avere un indebolimento anche solo temporaneo della vista, magari un romanzo da finire, magari delle comunicazioni delle quali prendere atto: certo un computer non potrà mai sostituirsi a Roberto Benigni che recita la Divina Commedia, ma, se c’è bisogno di conoscere all’istante il contenuto della mail del capo, può bastare eccome. Pensate poi a molte applicazioni in campo produt- tivo, dove, ad esempio, le istruzioni per l’uso di un macchinario possono essere recitate da un computer in precisi punti della lavorazione, oppure semplicemente a tutte le volte in cui ci troviamo ad ascoltare le direttive di una macchina senza volto, la stazione Telepass o l’emettitrice di biglietti per il bus, ad esempio. Speech-to-text “Dal parlato allo scritto” indica la possibilità di dettare parole ad un computer per poi ritrovarle scritte in maniera modificabile con un qualsiasi editore di testo. Questa funzione è ormai disponibile su molti comuni smartphone: quando state per scrivere un messag- gio, oppure una nota o un promemoria, sulla tastiera compare l’icona di un microfono e, se la premete, si accenderà il microfono pronto ad ascoltarvi e trascrivere. Potete anche aggiungere virgole, punti e vari segni di punteggiatura per rendere lo scritto esattamente come volete. Ricordate le vignette popolari un tempo in cui il grande boss sedeva nel suo ufficio megagalattico con la segretaria seduta sulle ginocchia e le dettava il contenuto delle proprie lettere? Ebbene oggi il tutto si risolve molto più facilmente, anche se con meno brivido e trasgressione. Scherzi a parte, dettare ad una macchina può essere utile in tutti i casi in cui non è possibile scrivere, ad esempio perché 5 si sta camminando: mai incontrata una signora trafelata che dice al suo smartphone: “Sarò a casa tra dieci minuti, puoi buttare la pasta”? Com’è la qualità del testo ottenuto dalla dettatura? Generalmente buona, ma spesso può essere corrotta se ci sono rumori di fondo, può riportare vocaboli sbagliati se incespicate nel discorso e farà sicuramente pasticci se utilizzate nomignoli o soprannomi. Infatti, la stesura del testo si basa su un vocabolario molto ricco, che comprende tutti i nomi propri di uso comune, ma ancora non conosce il vezzeggiativo che date al vostro cane o fidanzato. Se utilizzate normalmente più lingue ed avete installato altrettan- te tastiere, dovrete fare bene attenzione di parlare nella stessa lingua della tastiera altrimenti i risultati possono essere comici. Tanto per fare un tentativo, provate a pronunciare: “Sarò a casa tra dieci minuti” mentre la tastiera è impostata sull’inglese. Noi abbiamo ottenuto: “Several guys at the beach movie”, che potrebbe essere destabilizzante per chi vi attende. Assistente vocale La famosa segretaria seduta sulle ginocchia era in grado non solo di trascrivere i messaggi del capo, ma anche di soddisfare molte sue richieste (non pensate male!) come: “Signorina, mi chiami subito il direttore dello stabi- limento” oppure: “Per favore, mi segni un appuntamento con il dottor Rossi domattina non prima delle 10 e lo chiami per invitarlo” oppure ancora: “Mi raccomando, venerdì non mi prenda impegni dopo le 13 perché vado a giocare a golf”. Oggi le segretarie sono state sostituite da assistenti di direzione con professionalità ben più sofisticate oppure da figure dette pomposamente Office Manager, che devono occuparsi di mandare avanti interi uffici, però sono arrivate alla portata di tutti le assistenti vocali, pronte ad aiutarci quando non abbiamo la possibilità o la voglia di pigiare i tasti per organizzare la nostra vita. Siri, Google Now e Cortana sono le assistenti più famose. Siri in norvegese significa “bellissima donna che ti porta alla vittoria”, mentre Cortana è il nome di un’eroina dei videogiochi, a conferma del fatto che non è cambiato l’immaginario maschile sulle donne che si prendono cura della loro vita. Che cosa fanno queste assistenti? Chiamano al telefono, segnano appuntamenti, fanno ricerche sul web, trovano ristoranti nelle vicinanze, guardano le previsioni meteo, possono perfino imparare le nostre relazioni familiari così non dobbiamo nemmeno pronunciare il nome quando chiediamo di chiamarci nostra sorella. La cosa sorprendente è che possiamo rivolgerci a loro come 6 fossero persone perché comprendono il nostro linguaggio naturale e ci rispondono pure. Provate ad arrabbiarvi dicendo frasi poco cortesi e vedrete che cosa succede. Addirittura, se dite più volte la stessa frase, ad esempio: “Sono molto arrabbiata con te”, ogni volta otterrete risposte diverse, a dimostrazione del fatto che il ragionamento che sta dietro le risposte è molto più complesso di una semplice tabella. C'E' altro? Oltre a tutti gli usi della voce appena visti, c’è la possibilità di registrare la propria voce e di inviarla come messaggio a qualcun altro. Questo è tecnicamente più semplice dell’interazione vocale, tuttavia ha implicazioni sui nostri comportamenti. Pensate, ad esempio, ad un amico o familiare lontano che può farci sentire la sua voce raccontandoci le sue esperienze anche se il fuso orario renderebbe molto difficile la comunicazione. Oppure pensate di far sentire il tono della vostra voce per far trepidare di desiderio la persona amata o tremare di paura un figlio che ha combinato una marachella. Lasciando agli psicologi la discussione sulle conseguenze nei comportamenti, ci limitiamo a constatare che non si riesce più a star soli come una volta, sempre inseguiti non solo da messaggi ma da vere e proprie presenze a volte piacevoli, a volte fin troppo invasive. Un’ultima considerazione: usare la voce anziché la tastiera per dare comandi ad un computer può essere estremamente comodo quando si è in mobilità (pensate di dover fissare un appuntamento mentre siete alla guida dell’automobile), ma la voce può venire ascoltata da molte orecchie, quindi, prima di sfogarvi raccontando a Siri tutti gli affari vostri convinti che vi capirà (o almeno vi starà a sentire) ricordate che potreste essere in mezzo agli altri, dove la discrezione non è mai troppa. 7 torte e computer Ho sempre pensato che il dipartimento IT di un’azienda non fosse poi molto diverso dal mandare avanti una casa preparando sempre buoni cibi pronti al momento dei pasti e spendendo il giusto. Infatti, nel libro “Maledetta informatica” scrivevo a proposito di Chief Information Officer: “E se la CIO fosse femmina... Sarebbe Nonna Pape- ra: non una primadonna come Minnie, né una civetta come Paperina, né tantomeno una maliarda come Brigitta o una fattucchiera come Amelia. Sarebbe piuttosto una persona solida che tiene le fila della famiglia intorno a torte preparate a puntino e servite con allegria. Che fatica mettere tutto insieme per essere pronti all’ora di pranzo, ma che gioia vedere tutti raccol- ti intorno alla tavola apparecchiata!” Questa mia idea non è del tutto nuova, anzi ho trovato che Grace Hopper, ammiraglio della Marina Militare americana e una delle madri fondatrici della moderna informatica, era ancora più radicale ed affermava: “Le donne finiscono per essere delle brave programmatrici per una ragione in particolare: sono abituate a portare a termine le cose, mentre gli uomini non lo fanno molto spesso” Qualche giorno fa su Amazon ho scoperto, tra le novità più interessanti nella categoria Libri - Consultazione e Informazione, che “Maledetta informatica” compariva in ottava posizione, proprio accanto al Manuale di Nonna Papera. Sarà un segno del destino? 8 non bastava il cugino? Noi informatici spesso ce la prendiamo con i dilettanti allo sbaraglio, esemplificati dal cugino “tanto bravo con il computer” che si improvvisa in installazioni, configurazioni e soprattutto consigli ad ignari parenti ed amici, tuttavia lo sbigottimento ci è preso quando abbiamo sentito candidamente dichiara- re: “Gli acquisti online me li ha messi la callista!”. Non comprendiamo il significato dell’espressione “mettere gli acquisti online”: sarà stato sottoscritto un account con Paypal oppure inserito un numero di carta di credito in qualche sito di ecommerce? Non osiamo immaginare il fare i dilettanti e propeggio. Abbiamo grande con- porremo ai clienti il sersiderazione dei callisti, vizio di pedicure. li invochiamo quando abbiamo male ai piedi e li ringraziamo quando usciamo con le piante vellutate dopo una seduta, ma rivolgiamo loro una preghiera sentita: per favore astenetevi dai computer, altrimenti ci metteremo anche noi a 9 Reale o virtuale Le belle ragazze diafane e senza rughe qualche volta esistono davvero, ma per lo più abitano realtà virtuali ritoccate con Photoshop. Le belle ragazze un po’ meno magre e un po’ meno lisce si agitano nel mondo reale e scrivono libri sui computer. Al giorno d’oggi non è sempre così facile distinguere tra sogno e realtà e questi confini diventano sempre più sottili. Il software consente di creare i cosiddetti mock-up per rappresentare scene che sembrano reali po- polate da oggetti che ancora non esistono. Un esempio è la fotografia di sinistra, immagine virtuale creata a partire dal progetto della copertina molto tempo prima che il libro esistesse davvero. L’immagine a destra, invece, è stata scattata dal vero, senza ritocchi, e il libro è l’edizione cartacea fresca di stampa: la fotografia di qualcosa di reale, dunque, anche se meno affascinante di quella virtuale con la bella ragazza. tuffi dalla piattaforma La parola “piattaforma” viene spesso citata, leggendo o parlando di computer, a proposito di qualcosa di non ben definito ed utilizzato per costruire qualcos’altro. Tipicamente si sente dire: “Questo sito è realizzato su piattaforma Pippo”, oppure si apprende che il sistema di un’azienda è tutto basato su piattaforma Pluto, o ancora che si può usare un programma con la piattaforma Paperino. Piattaforme per tutti i gusti Che cos’è questa piattaforma? Un impianto per l’estrazione di petrolio nei mari del Nord? Un struttura da cui lanciarsi in tuffi acrobatici? Evidentemente no. In informatica il termine “piattaforma” indica un insieme di hardware e software che servono come base per realizzare altri programmi. In questo modo, utilizzando parti già pronte e disponibili sulla piattaforma, i programmato10 ri chiamati a realizzare nuove funzioni arrivano più facilmente al risultato. Naturalmente la maggior efficienza nello sviluppo di nuovi programmi va a scapito di una minor libertà di manovra, in quanto le funzioni presenti sulla piattaforma vanno prese così come sono, senza grandi possibilità di intervento. Piattaforma per scegliere abiti Vi abbiamo confuso ancora di più le idee? Facciamo un esempio di vita non informatica. Immaginate di dovervi procurare abiti nuovi per una grande occasione, un matrimonio importante, ad esempio. Potreste recarvi dalla sarta e farvi confeziona- re su misura ogni pezzo, così sarete veramente unica e farete restare di sale tutte le vostre amiche. Si comportano così le star e le donne dell’alta nobiltà, che si rivolgono direttamente agli stilisti più famosi lanciando addirittura nuove mode. C’è chi può. Se, invece, appartenete a classi sociali normali, probabilmente andrete a visitare una o più catene di abbigliamento alla ricerca degli abiti di vostro gusto e probabilmente acquisterete il tutto nello stesso punto vendita perché lì troverete anche gli accessori coordinati e la sartina pronta ad eseguire orli o piccole modifiche affinché ogni pezzo vi calzi a pennello. Ebbene, se vi comportate così, state proprio utilizzando una piattaforma: scegliete nello stesso negozio pezzi diversi nella vostra taglia e di colore adatto all’occasione, li componete secondo i vostri gusti e necessità, fate minimi adattamenti se proprio necessario, aggiungete qualcosa di vostro (la spilla ereditata dalla nonna, ad esempio) e ne uscite con il vostro personalissimo stile. Infatti l’amica che si serve nella stessa catena di abbigliamento sarà vestita in modo completamente diverso da voi: la piattaforma dispone di tanti pezzi differenti e così permette a ciascuno di ottenere risultati personalizzati. Naturalmente avere Armani ai vostri piedi per soddisfare ogni minimo capriccio dev’essere un’altra soddisfa- zione, ma la grande distribuzione consente a molte più signore (e signori) di uscire vestite decorosamente e di togliersi qualche sfizio in più per essere sempre moda: potere delle piattaforme! Piattaforme informatiche Tornando ad argomenti seri, le piattaforme consentono anche a chi non ha budget elevati di dotarsi di sistemi informativi moderni o siti web piacevoli e funzionali. Pensate che la maggior parte dei siti per la vendita online si basa su poche piattaforme standard. Esistono piattaforme completamente gratuite, piattaforme professionali vendute a caro prezzo oppure piat11 taforme gratuite che possono essere arricchite da accessori a pagamento. Quest’ultimo è un caso molto comune nel mondo web, dove il livello di ingresso è gratis per permettere a molti di accedere, poi chi vuole può acquistare funzioni aggiuntive. Concedeteci un’ultima nota linguistica: a volte le piattaforme si chiamano anche “ambienti”, termine che in informatica è utilizzato nell’ambito della programmazione o nei sistemi operativi (avete mai sentito parlare di “ambiente Windows” o “ambiente Linux”?). Il termine, che non ha nulla a che fare con il clima o l’inquinamento, viene usato anche per piattaforme in senso generico. D’altra parte nei negozi di ab- bigliamento si vendono a volte anche profumi, vero? Come vedete, si può ragionare un po’ di informatica anche scegliendo i golfini. 12 account e supermercati Si può dire che un account è come la tessera del supermercato? Ad essere seri e rigorosi probabilmente no, tuttavia qui faremo esattamente questo. tamente più autorevoli della nostra, abbiamo raccolto in giro per la rete alcune definizioni di account, poi abbiamo cercato di decifrarle provando ad immedesimarci nei poveri tapiL ' a c c o u n t : c h e ni bombardati dalle ricosa se ne dice in chieste di “accedere con l’account”, pur facendo giro? nella vita mestieri che Consultando fonti cer- hanno poco a che fare con l’informatica. La stessa Wikipedia fornisce questa definizione: “Un account, in informatica, indica quell’insieme di funzionalità, strumenti e contenuti attribuiti ad un nome utente in determinati contesti operativi, spesso in siti web o per usufruire di determinati servizi su Internet”. Leggendo questo abbiamo immaginato la faccia sgomenta della signora con gli occhi sbarrati davanti al monitor che le chiede di accedere con il suo account, oppure quella di chi fruga disperatamente nella borsa alla ricerca di quel dannato foglietto con annotate tutte le password. Se, per aiutarla, le recitassimo la definizione di Wikipedia, meriteremmo uno sberleffo. Alla fine abbiamo deciso di imboccare la 13 innumerevoli tessere convenzionate, perfistrada più incerta e sci- nostre abitudini di spedi supermercati, prono di ottenere sconti sa, dati importanti per volosa dell’analogia. fumerie, musei, cinesull’ingresso al cineorganizzare le prossime ma, librerie e negozi ma o sulla benzina. La tessera o car- campagne di marketing di ogni tipo. o addirittura proporci 3. Possiamo farci ricota fedelta' noscere al Carrefour 5. Che succede se perofferte personalizzate. diamo la tessera? Di con la tessera della Che cosa ci chiede la Vediamo un po’ come solito nulla di grave, Coop? No. In ogni cassiera del supermerca- funziona questa tessera. ma un po’ di fastidio catena di distributo ogni volta che ci presì: dovremo tornare zione occorre avere sentiamo alla cassa e vo- 1. Per avere la tessera al banco informala tessera giusta. Se del supermercato, la gliamo usufruire delle zioni per richiedere poi vogliamo entrare prima volta dobbiaofferte riservate ai soci un duplicato, dimoin un supermercato mo recarci al banco o della raccolta punti? strare di nuovo la come semplici visiinformazioni, comLa tessera di riconoscinostra identità ed attatori, normalmente pilare un modulo mento, anche detta cartendere un pochino. possiamo farlo ririspondendo ad una ta fedeltà per usare un nunciando a qualche serie di domande, allinguaggio meno buroprivilegio riservato cune obbligatorie ed cratico e più amico del ai soci. altre no, e probabilcliente. Questa carta, L'account e' una mente fornire un al- 4. Quante tessere ocstrisciata su un appositessera corrono? Dipende, tro nostro documento lettore, ci identifica ma basta dare un’oc- Internet non è molto to di identità. attraverso i dati persochiata a qualunque diverso dal sistema della nali precedentemente 2. La tessera permetportafoglio per ve- grande distribuzione e te di accedere a tutti registrati e ci permette derlo rigonfio di tes- gli account funzionano i punti vendita della così di ottenere sconti e sere di ogni tipo. Ad- esattamente come le tescatena di distribuvantaggi. In cambio il dirittura si vendono sere. Vediamo. zione, anche in città supermercato può mespeciali portatessera Ogni volta che vogliadiverse, a volte anche morizzare tutti i nostri per raccapezzarsi tra mo entrare in un monin negozi di altre reti acquisti e conoscere le 14 do di servizi per avere dei vantaggi, ad esempio leggere la posta elettronica, ritrovare le nostre fotografie, acquistare un libro o usufruire di un programma distribuito in rete, ci viene chiesto di accedere con il nostro account. Invece di strisciare una carta di plastica, inseriremo il nostro nome utente (o “username”) e una password, parola chiave nota solo a noi, poi il gioco è fatto. In cambio, chi fornisce i servizi, esattamente come il supermercato, può tenere traccia dei nostri movimenti per poi proporci offerte profilate sulle nostre abitudini. 1. La prima volta che intendiamo usufruire di un servizio, la posta ad esempio, utilizzata per ogni puter, ma anche con dobbiamo presentarservizio. Conviene tablet, smartphone o ci e richiedere la creanche fare un esercon qualunque altro azione di un account. cizio di memoria dei computer connesso Ci sarà richiesto di marchi utilizzati sul ad Internet. Google, riempire un modulo web, perché spesso Apple, Microsoft, online con i nostri rimandano a marFacebook, Yahoo, dati personali, alcuni chi maggiori, quindi Dropbox, Amazon obbligatori altri no. richiedono la stessa e tanti altri possono Probabilmente dotessera di ingresso, dunque essere visti vremo fornire almeossia lo stesso accome catene di suno un altro nostro count. Ad esempio, permercati dove non identificativo (un dia Google fanno capo si comprano (solo) verso account di ponomi come Gmail, merci fisiche, ma si sta o un numero di Google Drive, Goaccede a servizi di cellulare) dove verrà ogle Play, Blogger, vario genere, come inviato un codice in eccetera. A Microposta, documenti, modo da provare la soft si riferiscono informazioni, condinostra identità. FatWindows, Office, visione con gli amici. to questo primo pasOneDrive, Hotmail, saggio più o meno 3. Si può entrare nel Outlook. Apple commondo Google con laborioso, siamo enprende iCloud. l’account Microsoft trati del club dei foro in quello Apple con 4. Quanti account sertunati possessori di vono? Dipende da l’account Facebook? un account. quanti e quali servizi Evidentemente no. È 2. Con il nostro account vogliamo utilizzare. bene dunque ricorpotremo usufruiCertamente ne abdare le credenziali, re dei servizi offerti biamo tutti molti e il cioè la coppia “userdal gestore non solo rischio di confusione name e password” con il nostro com15 è sempre presente. Bisognerebbe anche parlare di come si scelgono le password e di come si conservano, ma questo sarà oggetto di un’altra nota. 5. Che succede se perdiamo la password? Beh, dovremo attivare il servizio di recupero, che di solito compare nella schermata iniziale in cui facciamo il login. Normalmente una riga più piccola a margine della finestra di registrazione chiede: “Hai dimenticato la password?” Oppure: “Non riesci ad accedere con il tuo account?”. Cliccando si passa ad una procedura guidata che, dopo alcuni passi per verificare la nostra identità, ci permette di reimpostare la password e ripartire con lo stesso account. In conclusione, provate a pensare a tutte le volte in cui avete creato un nuovo account e contate quante tessere avete accumulato. Magari riuscirete a conservarle con cura escogitando qualche trucco personale che conoscete solo voi. 16 do you like veramente? Il bottone “Like” con il pollice alzato è stato inventato da Facebook nel 2009 dopo un lungo processo di discussione interna e numerose bocciature da parte del fondatore Mark Zuckenberg. È stato lanciato per dare agli utenti un modo di esprimere gradimento a qualsiasi post con un semplice clic, molto più facile ed immediato che scrivere un commento con parole di approvazione. Like significa “mi piace” e da allora è diventato il modo universale per esprimere approvazione sui social media e dintorni. Infatti viene proposto ed usato anche su vari blog, forum e siti web di informazione. Sostantivo maschile che trae origine da un verbo, “to like” che significa piacere, viene spesso usato con indicazione della quantità. Ad esempio: • Ho dato un like alla foto della festa • Il mio post con il gattino ha ricevuto un sacco di like La rappresentazione grafica di un like è il pollice alzato, gesto anglosassone con il significato di OK, oppure il cuore, usato su Instagram dove si gioca molto sulle emozioni susci- tate dalle fotografie. Il significato intrinseco di un like non è molto intenso, certamente molto più debole di “love”, infatti molti frequentatori di social media sono generosi di like senza interrogarsi troppo sull’effettiva gradevolezza dei post che guadagnano il loro consenso. In generale si potrebbe tradurre un like con: “visto e non dispiaciuto”. Ultimamente la comunità Internet ha discusso sulla necessità di introdurre il bottone “dislike” in modo da consentire di esprimere disapprovazione con un semplice clic: il pollice verso contrapposto al pollice alzato. Per il momento è presente solo su YouTube, mentre pare che Facebook opponga resistenza a mostrare 17 ciò che non piace: ottimismo americano oppure timore di spaventare i brand che pagano per mettere in evidenza i loro post pubblicitari? In verità, un like si dà e si può anche togliere, ma di solito nessuno si prende mai la briga di farlo. Una buona dose di like può rischiarare una giornata uggiosa, inorgoglire anche una persona bruttina e far contento un responsabile marketing. Chissà come facevamo ad esprimere il nostro godimento prima del 2009? 18 cosi' lontani cosi' vicini Un tempo chi andava in paesi lontani, vuoi per necessità vuoi per piacere o per spirito di avventura, perdeva i contatti con il luogo di origine, affidando a rare missive l’unico legame con gli affetti rimasti a casa. Poi è arrivato il telefono che ha unito molte zone del pianeta, avvicinando persone che vivevano in posti lontani, ma i costi erano alti, così le chiamate oltreoceano erano riservate a poche parole scambiate durante le grandi occasioni. Per il resto c’erano le lettere scritte a mano ed affidate al sistema postale tradizionale: succedeva così che, se una dichiarava di avere il raffreddore, si sentiva chiedere se era guarita circa un mese dopo, quando ormai se ne era completamente dimenticata. La posta elettronica ha contribuito ad avvicinare le persone soprattutto perché ha reso molto più veloce la comunicazione: stamattina io ti scrivo e stasera, o al massimo domani, tu mi rispondi. Ha permesso di scambiarsi molto facilmente fotografie e di diffondere le stesse informazioni a più persone contemporaneamente. Ci sentivamo quasi in colpa le prime volte che facevamo il “copia e incolla” di interi brani della stessa lettera per inviarle alla mamma, alla sorella e alla cugina, limitando il lavoro di 19 scrittura all’intestazione e a poche righe personalizzate. Poi è arrivato Skype, che ha costretto ogni studente Erasmus a mettere in ordine la propria stanza prima di videochiamare la mamma. Le famiglie hanno cominciato a riunirsi attorno al focolare del PC per chiamare il parente lontano ed alcuni bambini hanno creduto che i nonni esistessero per lo più dietro uno schermo. Oggi, accanto alla mail e a Skype, esiste un regno di chat di tutti i tipi – WhatsApp è la regina – per scambiarsi continuamente commenti, fotografie, posizioni, barzellette e indirizzi reali o virtuali. Si può comunicare contemporaneamente con intere comunità di individui lontani tra di loro bombardando decine di persone con i primi vagiti della propria creatura (consigliamo di fuggire velocemente dai gruppi su WhatsApp!) e le distanze si sono ancor di più accorciate. Si sta verificando, però, anche un fenomeno opposto: avete mai mandato una mail al vicino di scrivania? In ambiente di lavoro, ci si sente giustificati dal fatto che bisogna comunque tenere traccia di quello che si fa, oppure far sapere al capo che certi ordini sono stati eseguiti, ma ormai anche nella vita quotidiana non riusciamo a fare a meno di scrivere su uno schermo messaggi destinati anche a chi è vicinissimo a noi. Non si chiede più il nome di un ristorante ma si riceve il link di TripAdvisor, non si dà un indirizzo di un negozio, ma si invia l’indirizzo del sito, magari accompagnato da una foto scattata agli oggetti acquistati proprio lì. In ufficio ci si chiama su Skype prima di andare a bere un caffè dove una barzelletta non si racconta ma si gira sulla chat preferita. Possiamo scambiare in tempo reale confidenze molto intime con amici lontani che vivono dall’altra parte del pianeta, oppure agire da perfetti sconosciuti con il vicino di casa, del quale non conosciamo neppure l’indirizzo email. Per fortuna restano cose che hanno senso solo se si sta nella stessa stanza… 20 Libri Di Carta e di bit Da quando i libri non sono più soltanto di carta e non si acquistano più soltanto in libreria, ma arrivano anche da luoghi virtuali più o meno sconosciuti sotto forma di ebook, su questo fenomeno sono stati scritti fiumi di parole di carta e di bit. Come al solito, si sono formate fazioni contrapposte: da una parte gli adoratori del profumo della carta rifiutano per principio qualunque tecnologia che si inserisca nel rapporto fisico con il libro, dall’altra i progressisti fanatici butterebbero al rogo non solo i libri ma anche ciò che vi è scritto sopra. Noi abbiamo riflettuto sull’argomento e, per arrivare al nostro succo della questione, abbiamo applicato la regola del tre1. 1 A questo proposito si può leggere il pezzo “Tre” su “Farina del mio sacco”. Tre buone ragioni per leggere ebook 1. Le parole di bit hanno grande praticità: un ereader pesa poco ed è facile da trasportare, così si può viaggiare o andare in vacanza con l’intera biblioteca contenuta in pochi grammi. A parità di significato, le parole di bit sono molto più leggere di quelle di carta. L’ereader non costa troppo e si può mettere nella borsa da spiaggia senza sentirsi tremare i polsi se arriva una pallonata, come succederebbe con un iPad. 2. Un ebook ha una migliore visibilità, si può leggere anche al buio e senza occhia- li. Le parole di bit si ingrandiscono e si illuminano molto meglio di quelle di carta, così si può finire il romanzo preferito anche quando il marito (o la moglie) dorme beato. Si possono perfino comperare libri nel pieno della notte e iniziare subito a leggere. 3. Il vocabolario è integrato e, quando si legge in lingua straniera, si possono facilmente trovare definizioni nella lingua stessa, così si può andare avanti senza interrompersi e si impara anche qualcosa, invece di abbozzare facendo finta di aver capito. 21 Tre ottimi motivi per preferire libri di carta 1. Certi tipi di libri hanno senso solo sulla carta. I libri d’arte hanno bisogno di spazio, carta lucida o patinata, riflessi di luce e spessore adeguato. Le strisce a fumetti richiedono le dimensioni precise del foglio di carta e perdono significato se liquefatte nel mare dei bit. 2. I libri hanno la loro fisicità. Si possono sfogliare per farsi un’idea, si possono mostrare, usare come puntello sotto le gambe dei tavoli, disporre in biblioteca per ricavarne piacere nello sguardo e considerazione dagli amici. Nessuno dirà mai: “Come sei colto con tutti quei libri!” semplicemente guardando l’indice del nostro ereader, anche perché non si permetterebbe mai di ficcare il naso. 3. Regalare un libro di bella edizione, copertina gradevole e peso non solo intellettuale procura emozioni intense e si può accompagnare con cioccolatini o rose rosse. Poi resta il ricordo: anche quando il donatore ha ormai preso altre strade, il dono può restare con noi a lungo e risvegliare dolci memorie, non parliamo poi se poi tra le pagine si trovano petali di rose. Al contrario, imma- ginate la tristezza di un: “Cara, il tuo regalo è nel numero di voucher che ti ho spedito su WhatsApp”: lei probabilmente tirerebbe dritto per la sua strada senza degnare lui di alcuna considerazione. Mica per niente su Amazon.it, dove la sanno lunga, regalare ebook non si può fare. In conclusione di quanto si perde, conviene concentrarsi su ciò che si guadagna. Da parte mia, leggo per lo più libri di bit, ma a mio nipote, che ha appena compiuto otto anni ed usa benissimo l’iPad, ho regalato quattro volumi di carta. (*) A questo proposito si può leggere il pezzo “Tre” su “Farina del mio sacco“. Google Secondo noi, libri e ebook conviveranno a lungo, come recita una famosa vignetta in cui una ramazza dice ad un libro: “Rilassati, amico. Hanno inventato l’aspirapolvere, eppure io sono ancora qui!”. Quando le cose cambiano, invece di aver paura 22 Dove vai se la mappa non ce l'hai Un tempo per orientarsi in città c’era la mappa topografica, un lenzuolo ripiegato in formato tascabile con una caratteristica infallibile: il luogo cercato si trovava sempre esattamente su una piega. Sul retro della mappa c’era un lungo elenco di vie in ordine alfabetico: si cercava via Mazzini e ne usciva, ad esempio, H13 così noi, esattamente come nel gioco della battaglia navale, voltavamo la carta alla ricerca del quadrato per colpire ed affondare. Poi venne il Tuttocittà, che riuscì a mettere tutte le strade in un libretto comodamente sfogliabile. Negli anni Tuttocittà si arricchì di informa- zioni di utilità al di fuori della pura mappa e diventò indispensabile: ce n’era uno in ogni casa, in ogni automobile e in ogni borsa di commesso viaggiatore. Infine c’erano i tassisti che, quando ancora non si sentivano minacciati da Uber, conoscevano a memoria ogni segreto della toponomastica cittadina, compresi i numeri di interno e i sensi di marcia. Come facciamo oggi a trovare la strada? Tutto questo oggi ha perso di valore, a parte che nelle nicchie che un valore ce l’hanno veramente (ad esempio, le carte di montagna) 23 perché abbiamo in tasca tutte le mappe del mondo in qualsiasi momento. Ci sono mappe online e mappe visibili anche quando non siamo collegati, ce ne sono di migliori e di peggiori, di più o meno adatte ai nostri scopi, ma certamente la più diffusa ed universale si chiama, guarda caso, Google Maps. Anche Apple ci ha provato con le mappe, addirittura bloccando per un periodo ai suoi clienti l’accesso alle mappe di Google, ma quando ogni possessore di iPhone si è trovato dalla parte sbagliata della città per un appuntamento importante ed ha protestato fieramente, ha dovuto cedere il passo a Google. Come usare le E mappe online Che cosa possiamo fare con Maps? Trovare luoghi sconosciuti e costruire itinerari con un solo clic scegliendo se vogliamo andare a piedi, usare l’automobile o i mezzi pubblici. Se abbiamo in tasca uno smartphone, grazie a Maps possiamo trasformarlo in un vero e proprio navigatore con tanto di voce femminile che ci intima di girare alla rotonda, terza uscita. Purtroppo le orecchie di quelli di Torino patiscono nel sentire via Bèrtola e la Reggia di Venària, ma tant’è. quando c'e' Resta un mistero traffico? Un’altra funzione fantastica e ancora poco conosciuta di Maps è quella del traffico: attivandola dal menu si vede in tempo reale lo stato di congestione della rete stradale: • Verde – via sgombra; • Giallo – così così, ma ce la potete fare; • Rosso – preparatevi a fare la coda; • Rosso scuro – meglio girare alla larga. In conclusione, con tutte queste meraviglie, resta un mistero: perché ogni giorno incontro per la strada qualcuno che mi chiede dov’è via Meucci o via Confienza mentre brandisce in mano uno smartphone da centinaia di euro? La curiosità è che la situazione del traffico viene stimata in ogni punto misurando quanti telefoni cellulari sono collegati alla rete in ogni punto, nell’ipotesi che chi si muove non possa non essere connesso. 24 il senso di google per la vita Ormai abbiamo imparato che, quando siamo nei pasticci e non sappiamo che pesci pigliare, possiamo rivolgerci a Google e cercare lì una risposta ai nostri perché. Una data storica, il significato di una parola, tutti i nomi dei sette nani, come si cuce un bottone o si cucina la torta di mele: con una buona ricerca online si trova di tutto, così spes- so diciamo che Google è il nostro migliore amico. Google ormai è dappertutto: nel nostro smartphone, a volte anche nel nostro frigorifero, regola le nostre giornate e ci manda un trillo quando è ora di partire per il prossimo appuntamento, si ricorda dove abbiamo parcheggiato l’auto, ci guida per le strade, conosce per filo e per segno tutti i nostri amici, ci fa vedere foto e video, gestisce la nostra posta e il nostro blog. È diventato difficile immaginare lontanamente come fosse la vita prima di Google. Oltre a dove si trova un benzinaio o ai risultati delle partite di calcio, a Google possiamo chiedere suggerimenti su come scrivere una lettera d’amore e come vivere un matrimonio felice in trentacinque passaggi (per chi è scrupoloso) o con soli cinque segreti (per chi ha fretta, evidentemente) o seguendo dieci consigli (una sana via di mezzo). Possiamo anche spingerci a chiedere la ricetta della felicità ed ecco subito pronte otto cose da fare per essere felici, con tanto di citazioni di studi scientifici di famose università. Stupisce che una di queste, individuata in Giappone da un gruppo di ricercatori, sia la capacità di dare un senso alla vita, senza ulteriore spiegazione. Viene allora naturale chiedere a Google. Prima di tutto arrivano le citazioni di Wikisource, capace di mescolare il filosofo greco Zenone con il Dr. House, Do25 stoevskij con Roberto Baggio, così ognuno può trovare spunti e far muovere le sue personali corde emotive in sintonia con qualche ispirato pensiero. Wikipedia prova a dare una risposta con un breve compendio di storia della filosofia, poi compare la Bibbia ed infine partono una sfilza di siti con riflessioni di persone varie e qualche sorpresa. Innanzitutto sensodellavita.it è diverso da sensodellavita.com, poi il-senso-della-vita.it è diverso da senso-della-vita.meaning-of-life. tv, che dà le spiegazioni in cinque lingue. Sul senso della vita esiste un mix di cinquanta video su YouTube, una spiegazione per bambine di sei anni e una pagina Facebook con citazioni me- lense e qualche errore di grammatica. In conclusione, di che cosa dobbiamo ancora lamentarci? La felicità è a portata di mano, anzi di clic. 26 amarcord Proviamo a fare un po’ di “amarcord” dei primi siti web. Riusciremmo ancora ad immaginare la vita senza Internet? Difficile, addirittura impossibile per chi è cresciuto in un mondo connesso. Eppure è molto recente tutto questo bendidio che ci fa restare con gli occhi incollati ad un piccolo schermo anche quando camminiamo, con il serio rischio di sbattere contro un altro essere umano ugualmente immerso nella ragnatela. Ecco alcune azioni quotidiane che abbiamo quasi dimenticato: ascoltare le ultime notizie al telegiornale della sera, leggere gli orari del treno su un apposito libretto (servivano competenze non da poco per decifrarlo!) per poi comprare i biglietti in agenzia, tenere in tasca una o più mappe, cerca- re una cabina telefonica per avvertire di un ritardo, consultare la guida telefonica, quella stessa dove i bambini imparavano l’ordine alfabetico. Non vogliamo certo farci prendere dalla nostalgia (di che cosa, poi?), ma piuttosto ricordare con tenerezza i primi siti web che apparvero sulla scena dando inizio ad un nuovo stile di vita. In Italia i pionieri lanciarono i loro siti alla fine del 1996. Pensate che quello della Fiat riportava in Home Page un alberello di Natale che oggi non disegnerebbe neanche una bambina avvezza ai videogame. Alla fine degli anni Novanta anche le banche debuttarono sul web, ma erano di là da venire i bonifici online, la compilazione dei modelli F24 e la gestione dei titoli con un clic! La Stampa uscì anch’essa a fine 1996 con 27 una testata e un elenco di titoli cliccabili che rimandavano alle notizie. Anche altri quotidiani italiani allestivano i loro primi siti web, ma oggi chi leggerebbe online testate senza fotografie, blog, video e instant poll? Forse solo la pagina di Google è rimasta quasi immutata nel tempo a preservare la sua essenzialità fatta di tutto arrosto e niente fumo. Dove si trovano questi ricordi? Come ogni cosa che si rispetti, anche il mondo Internet ha costruito il proprio archivio fatto di istantanee di siti raccolti nel tempo. Si chiama Wayback Machine, si trova con una semplice ricerca su Google e si rivela come una vera e propria macchina del tempo che ci può far scoprire la storia dei no- stri siti preferiti. Fateci un giro e vi divertirete. Magari donate anche qualche dollaro, visto che si tratta di un progetto no-profit di conservazione della nostra identità digitale. 28 FARe bei sogni? con netflix si puo' Fare bei sogni? Con Netflix si può Ci sono film che si guarderebbero milioni di volte perché assicurano sogni ed emozioni o mettono un cerotto alle ferite dell’animo ogni volta che ce n’è bisogno. Alcuni vengono trasmessi e ritrasmessi periodicamente dai canali televisivi che conoscono le nostre preferenze da prima che fossero inventati i cookie. Ci sono milioni di signore dai sette ai novantasette anni che in certi momenti di sconforto ritrovano la pace guardando film romantici con attore belloccio, dove si realizzano anche i sogni impossibili. Ci sono signore dili- genti e ben organizzate che, mentre guardano i film preferiti, danno una ripassata all’inglese ascoltando l’avverarsi dei sogni in lingua originale, magari con i sottotitoli per non perdere nessuna sfumatura. Ci poi sono signore indaffarate che non riescono a ritagliarsi un paio d’ore per immergersi nei sogni evocati dai film, ma ogni tanto dedicherebbero una mezz’oretta per ammirare uomini affascinanti ed abili nell’arte del corteggiamento. Ebbene è arrivata anche in Italia la TV online che permette di accendere sogni ogni volta che si vuole, anche se non c’è un televisore nelle vicinanze. Il servizio più noto è Netflix, società nata (guarda caso) in California, che mette a disposizione titoli a scelta in qualunque momento del giorno e della notte, da guardare anche su PC, tablet o smartphone. Si possono scegliere lingua e sottotitoli, interrompere la visione in qualunque momento e riprenderla dallo stesso punto anche da un apparecchio diverso. Il primo mese è gratuito, poi ci sono abbonamenti che costano poco e possono essere condivisi da più utenti: forse vale la pena di fare un club di signore su Netflix per guardare Hugh Grant da sole o in compagnia. 29