Il signor Amadeus Mozart languiva ormai da secoli in un silenzio deprimente. La morte, che aveva sempre immaginato come una grande, nuova avventura aveva deluso tutte le sue aspettative. Era sempre stato certo di essere destinato al Paradiso, ma alla giovane età di 35 anni aveva scoperto di avere torto. Superbia, lussuria e accidia avevano segnato la sua breve e sfolgorante vita: era stato condannato all’isolamento eterno, nella desolante landa vuota del Purgatorio. Solo il giorno dell’anniversario della sua dipartita, a mo’ di festeggiamento, gli era concesso interrompere la sua solitudine e il suo ozio perenne, in modi sempre diversi: il centesimo anno, suo padre gli aveva fatto visita - e non era stato un incontro piacevole - l’anno seguente gli era stata consentita una pila di libri, un altro ancora erano apparsi penna, pentagramma e calamaio e aveva potuto trascorrere la giornata riversando su carta una delle tante melodie che gli ronzavano in testa da decenni. Quella volta, allo scoccare dell’ora in cui un tempo lontano il suo cuore aveva smesso di battere, gli erano piovute addosso una miriade di lettere. Tutte sigillate con ceralacca rossa, tutte scritte su pergamene ruvide dall’aria ufficiale. Mozart aveva aperto gli occhi stanchi, ormai disavvezzi alla luce abbagliante del giorno, ed era rimasto immobile per qualche istante, rannicchiato sul pavimento freddo e bianco. Non aveva voglia di muoversi. Fosse dipeso da lui, avrebbe venduto la coscienza al miglior offerente per sprofondare nell’oblio dell’Inferno e diventarne il re. Il Purgatorio, né montagna né pianura, né buio né luce, era terribilmente frustrante per un’anima che aveva ambito alla superiorità e all’eccellenza per tutta la sua esistenza. Sapeva che la mediocrità faceva parte della sua punizione, così come la farsa di continuare a celebrare l’anniversario della sua morte. Di sicuro, qualcuno ai piani alti doveva trovare la cosa piuttosto divertente. Si scrollò le lettere di dosso. Notò che ai suoi piedi giacevano una pila di fogli intonsi, una piuma e dell’inchiostro. Vagamente incuriosito - se si poteva definire curiosità il debole fremito di aspettativa che agitava il suo spirito - si scostò un ciuffo di parrucca dalla fronte e afferrò la lettera più vicina. Aprendola, scoprì che era vergata in una scrittura fitta e ordinata. Carissimo Mozart, ho avuto il piacere di assistere ad una delle rappresentazioni del tuo magnifico Don Giovanni: per carità, caruccio… Una bella ouverture, simpatico il duetto “Là ci darem la mano”, ma anche tu, caro il mio Mozart, sei caduto nel solito errore, nel solito clichè in cui vengono chiuse tutte le donne. Voi compositori, infatti, vi comportate un po’ come tutti gli uomini d’oggi che passeggiano tenendo per mano la loro misoginia e, quando noi donne smettiamo di essere belle e giovani, non scrivete più nulla per noi; per riuscire ad ottenere una parte occorre fare le svenevoli, per poi interpretarle ancora una volta ottenuta la parte. Proprio non riuscite a capirlo che non possiamo indossare continuamente una maschera? Fiordiligi Caro, caro, carissimo Wolfgang Amadeus, da quando sono entrata nel mondo della musica tutto mi è sempre sembrato un incanto: la magia che ti investe quando poggi piede su un palcoscenico, la musica che ti avvolge facendoti percepire tutto come uno splendido sogno, la carica che un applauso può donarti, l’intensità dei ruoli… Io ti devo ringraziare, caro Mozart: la tua capacità di descrivere e scandagliare il cuore di una donna è stata straordinaria. Alla fine Don Giovanni viene punito, no? Non è forse questa la cosa importante? La prova della rivalsa delle donne. Grazie. Elvira Caro Ama, ho letto ciò che Fiordy ti ha scritto e mi dispiace ma credo di aver capito di essere totalmente solidale con lei, addirittura io ho scampato all’ultimo istante uno “ius primae noctis”, un’ esperienza da oscurantismo medievale (ho sentito che si dice così). Certo, la musica è brillante eh, niente da dire, ma ciò non toglie che la mia situazione sia stata in pericolo dalla prima (e dico PRIMA) scena. E cosa puoi dirmi di questo certo Don Giovanni, seduttore senz’anima? Lusinghe, sotterfugi, menzogne, imbrogli e cattiverie pur di giungere a conquistare le donne che gli interessano. Inviterei sweet Elvira ad abbandonare le sue lenti deformanti. Con affetto, Susanna “tutta panna” “ Ti ho amato dal primo istante in cui ti ho visto, dal primo istante in cui mi hai notata e immediatamente conquistata con dolci parole, per te abituali, parole alle quali mi sono affidata ciecamente... Tu invece hai ricambiato il mio amore, il mio onore e la mia fedeltà con una fiammata di passione, effimera quanto l’attimo che hai impiegato ad assicurarti di aver indebolito l’anima della tua nuova preda e di averla ammaliata con i tuoi modi suadenti, dettati da un cuore traditore! Le parole indimenticabili che mi hai rivolto con tanta leggerezza, per te erano vere nel solo instante in cui le hai pronunciate, ma poi? Poi hai negato di avermi giurato amore eterno per dedicarti ad altre donne, nobili, contadine, fanciulle, giovani spose, senza alcuno scrupolo morale, senza alcun rimorso! Sempre alla ricerca di una donna che si lasci abbindolare dal tuo bell’aspetto e dalle tue continue e irritanti bugie. Mentre tu ti dedicavi ai tuoi numerosi e falsi amori, la tua Elvira cercava di convincere il suo cuore innamorato che in fondo la amavi ancora e che saresti tornato da lei, stanco di dedicare ogni giorno ad una donna diversa e pentito delle tue malefatte. Ah... che sciocca! Ma a chi rivolgevo questi nobili pensieri all’epoca? A un gentiluomo forse? A un uomo arrogante, presuntuoso e troppo sicuro di sé; una sicurezza così solida che sarebbe crollata al primo rifiuto di una coraggiosa dama capace di resistere al tuo incredibile fascino e alle tue ingannevoli parole. Sarebbe davvero raffinata vendetta vederti anziano, ancora alla patetica ricerca di giovani donne capaci di regalarti un solo momento d’amore, l’unico fine che hai sempre seguito, un vecchio dai capelli bianchi indebolito dagli anni, ma incapace di provare un sentimento vero, in grado di trasformarti in un uomo di parola, in un’anima onesta e gentile. Trascorrerai la vita come hai sempre desiderato, ma poi ti ritroverai senza servo e senza un’anima affettuosa accanto e ti spegnerai in un’atroce solitudine che hai sempre e inutilmente scacciato ancora ignaro delle tue malefatte.” Elvira Egregio Wolfgang Amadeus Mozart, le scrivo per avere dei chiarimenti in merito alla sua opera ‘buffa’ Don Giovanni, che ha composto su libretto di un certo Lorenzo Da Ponte, il quale ha reso omaggio, diciamo così, alla pièce di Molière, un francese che ha portato al successo le vicende di un tipo mio omonimo, che un gesuita spagnolo in vena di moralismi chiamava El Burlador de Sevilla: opera della quale sono il protagonista. Lei mi ha descritto come una persona egoista, egocentrica, amorale, priva di qualsiasi sentimento e incapace di provare amore verso qualsiasi essere. Quel che è peggio, poi, è che io risulto un essere scortese, indegno del titolo nobiliare di cui mi fregio, tanto che in troppe scene sono rappresentato sprezzante, sgarbato, opportunista, persino vigliacco, interessato solo a mascherare sotto una condotta raffinata e galante il desiderio di conquistare una donna o la speranza di sfuggire alla giusta punizione. Attendo con ansia una risposta. Senza rancore. Don Giovanni Carissimo Don Giovanni, le scrivo per informarla ho appena ricevuto il suo scritto di lamentele per quanto riguarda la mia opera. Comincio subito dicendole che non intendo di certo tornare sui miei passi o addirittura dichiararmi pentito di quanto ho scritto sul suo conto. La musica che anima il libretto del mio caro amico Lorenzo da Ponte è frutto di studi e ricerche accurati sulla sua persona e su tutto ciò che la concerne. Wolfgang Amadeus Mozart Tra le numerose trasposizioni e reinterpretazioni cinematografiche attuate nel corso degli anni da svariati registi, tra fedeltà all’originale e intrepidi cambiamenti, ci sono due film-opera degni di grande considerazione. Questi sono: il Don Giovanni del 1979 diretto da Joseph Losey, e quello di Peter Sellars del 1990. L’accostamento di questi due film non è casuale. Le due presentazioni confermano l’immortalità spettacolare e insuperabile del capolavoro di Mozart. Infatti, nel primo viene offerta ai nostri occhi una pellicola fedele e travolgente che ci trasporta direttamente in un viaggio nel tempo fino agli anni ottanta del Settecento, proponendo Vicenza come lussureggiante set cinematografico tra maestose ville palladiane e incantevoli giardini. Quale dunque è il modo migliore per contrapporsi a tutta questa bellezza? Ambientare tutto ciò alla realtà moderna, in specifico a quella squallida e avvilente del Bronx newyorkese dove il degrado è di casa. Cambia tutto; gli abiti lussuosi tipici settecenteschi e le eccentriche acconciature si trasformano in blue jeans ,giacche di pelle e abitini da sera brillantinati. Tutte le problematiche del Bronx sono condannate attraverso quest’opera: prostituzione, delinquenza, droga, violenza. Una scelta per lo più azzardata quella di Sellars, facile alle critiche e al biasimo. Ma Sellars non è scaduto come alcuni pensano, sminuendo e togliendo serietà e onori all’originale... il suo genio sta proprio nella sua fantasia, nel suo coraggio e nelle cose che rendono il suo lavoro apprezzato per la sua particolarità che stupisce. Chi si sarebbe mai aspettato di trovare un Don Giovanni nero? E ancora, di trovare sdoppiato il protagonista facendo interpretare la parte di quest’ultimo e di Leporello ai due attori gemelli Herbert e Eugene Perry? Sicuramente non è una casualità, ma una chiara frecciata al tema del doppio, nel quale Don Giovanni si dibatte tra la gioia di vivere e la paura della morte, la compensazione che trova nelle donne e il timore del castigo unito ai sensi di colpa. Don Giovanni, a cenar teco….. m’invitasti, e son venuto!... Carissimo Wolfgang Amadeus Mozart, vi scrivo questa lettera per informarvi di aver recentemente assistito alla vostra ultima opera ‘Il dissoluto punito ossia il Don Giovanni’ e mi è difficile nascondere un certo stupore al riguardo. Ho molto apprezzato alcune delle vostre melodie ma mi domando perché utilizzarle per descrivere un personaggio di un’indole tanto bassa come Don Giovanni. Alcuni osano canzonarmi affermando che lui è il mio opposto, ma io non ho orecchie per sentire null’altro che i dolci suoni dell’orchestra. Non credo che l’Imperatore sia soddisfatto: ho avuto occasione di colloquiare con lui e ha trovato il vostro lavoro ‘pesantuccio’. Ho notato che invece il pubblico ha molto gradito la vostra rappresentazione, ma senza dubbio saprete meglio di me che v’è più gente che parla di quella che ascolta laggiù. Non mi dilungo in chiacchiere superflue, attendo con ansia e curiosità una vostra risposta. Kammerkomponist Antonio Salieri Salve Salieri! Sono molto contento che le siano piaciute le mie musiche, anche secondo me erano veramente sensazionali. Per quanto riguarda il mio personaggio, invece, credo che sia tanto diverso da lei quanto vicino a me, di conseguenza se lei ha qualcosa da ridire su di lui tanto vale che si rivolga a Mozart! Don Giovanni ha sfidato la morte, ha vissuto la sua vita senza perdere un istante di tempo e ha avuto il coraggio di rifiutare di pentirsi, ben conscio delle conseguenze del suo gesto. L’Imperatore può pensare ciò che vuole. Detto tra noi, non distinguerebbe il verso di un cavallo da quello di una scrofa. Preferisco di gran lunga il giudizio di un pubblico meravigliosamente rumoroso e rozzo che riempie il mio cuore di gioia con un infinito applauso. A lei non fanno sempre venire i brividi quelle acclamazioni così lunghe che arrivano quando si è ancora di spalle? Spero di rivederla presto a teatro perché ho già altre grandiose idee per la testa! Wolfgang Amadeus Mozart Carissimo Wolfgang, vi scrivo perché dopo molto tempo ho trovato il coraggio di esprimere tutta la mia indignazione. Eravamo amici, avevate bisogno di un favore, ma con quel “Don Giovanni” avete proprio superato il limite! Ho frequentato il seminario, ho preso gli ordini minori, sono riuscito a diventare prete, ma poi? Poi arrivate voi! Con la vostra opera moralmente discutibile. Lo sapevate cosa si diceva di me a quei tempi: un libertino. Mai accusa è stata più infondata, ma di certo facendovi questo favore non mi sono smentito! Va bene le donne, va bene la corruzione, va bene anche il tradimento, ma ora dovete spiegarmi quale enorme torto ho commesso per affidarmi le azioni di un mascalzone che si fa beffe persino del demonio! Non è stata la morte di Giuseppe II a rovinarmi, è stata colpa del vostro Don Giovanni. Inoltre siete stato un ipocrita: “un’opera leggera” dicevate. “Non è nulla di eccessivo”. Cosa vi diceva la testa, Wolfgang! Cosa vi è saltato in mente? Ad un uomo di chiesa! Pretendo una risposta soddisfacente, l’attendo con ansia. A presto. Lorenzo Caro amico, bisogna subito che io smentisca le vostre affermazioni., un po’ troppo drastiche, in verità! Non ho affatto superato il limite. Io vi ho chiesto questo favore proprio perché avevate una certa dimestichezza in questo campo. Non venite a raccontarmi che siete un’anima buona e pura: anche voi le avete combinate le vostre malefatte. Per quanto riguarda le donne, la corruzione e il tradimento non brancolate di certo nel buio, suvvia siete un esperto. Non incolpate la mia opera di avervi rovinato la reputazione, incolpate piuttosto la vostra amante che vi diede ben due pargoletti urlanti . Non vi ho ingannato affatto, dopotutto è un’opera leggera e sicuramente non eccessiva dato che, voi m’insegnate, questi fatti accadono tutti i giorni. Vi confesso che sono offeso dai vostri rimproveri, in fin dei conti il vostro lavoro sul “Don Giovanni” è stata la ciliegina sulla torta! E non vi preoccupate: qualunque sia la vostra attuale posizione sono più che certo che vi sarete già adattato . Spero con tutto il cuore di avervi risposto in modo esauriente. Arrivederci e siate ottimista che proprio grazie al nostro “Don Giovanni” siete diventato ancora più famoso. Wolfgang Il povero Wolfi –ricordate, così si rivolgeva Costanza al marito- usò le ultime energie per la difesa se non di sé, qualche torto ahimé l’aveva avuto, in vita, almeno del suo immortale capolavoro. Chiese all’angelo custode lì a fianco che gli fornisse un’altra penna e si accinse a chiarire, una volta per tutte, la faccenda dell’ouverture, sì la storia che l’avrebbe scritta così di fretta, per la solita abitudine degli studenti discoli di rimandare all’ultima ora. Eccola qui. Nell’opera Don Giovanni, ho deciso di rappresentare sentimenti diversi mediante l’uso di tempi differenti: un Andante per la tensione delle scene più drammatiche e un Molto Allegro per le scene più buffe e divertenti. La mia partitura prevede l’utilizzo di un’orchestra composta da : due flauti, due oboi, due clarinetti, due fagotti, due corni, due trombe, tre tromboni, i timpani, il mandolino e gli archi. Poiché la parola ouverture deriva dal francese ouver “apertura” e ci indica la sua funzione di anteporsi all’opera lirica, ho deciso di inserire all’interno di questa, atipicamente da quanto ho fatto in precedenza, il brano completo del Don Giovanni. In tal modo lo spettatore può essere portato ad immaginarsi ciò che avverrà e che diverrà poi la realtà concreta dell’azione. L’ouverture del Don Giovanni rispecchia quindi il contenuto completo dell’opera. L’Andante inizia con due accordi di tutta l’orchestra interrotti da due pause di tre quarti di battuta sulla base di un rullo dei timpani a rappresentare un senso di inquietudine e di ansia che verrà poi ripreso nel finale dell’opera. Seguono le lunghe note dei legni e all’undicesima battuta ho inserito una frase sincopata, per quattro battute, dei violini, per dare l’idea di un lamento e di un pianto addolorato. A questo punto i legni interrompono il motivo di ottave da loro iniziato in seguito alla frase dei violini per lasciare spazio a due accordi discendenti. I violini primi possono quindi dare inizio a una ripetizione per quattro volte di una terzina di biscrome intrecciata ad una figura di semicrome proposta dai violini secondi. Finisco cosi la prima parte dell’Ouverture utilizzando in particolar modo le sincopi che, secondo il mio modesto parere, generano un sentimento di ansia e angoscia, persino in me che ne sono il compositore. Inizio la seconda parte di questa introduzione con delle scale ascendenti e discendenti di violini primi e flauti, della durata di quattro battute, sulle note dei legni e sul rullo dei timpani. Seguono quattro battute (due forte e due piano) caratterizzate da un motivo grave dei bassi e da un motivo più acuto dei legni. In mescolanza a ciò ho unito il rullo dei timpani, una melodia tremolante di archi e uno spiccato ritmo dei corni. Vorrei dare a quest’opera un aspetto romantico, quasi sublime… voglio che il Don Giovanni appaia agli spettatori come qualcosa di imprevedibile, ma che allo stesso tempo questi possano immaginare le sue possibili azioni di fronte a una donna, bella o brutta che sia. Lo spettatore vorrei che fosse spaventato dai suoi comportamenti quasi sapesse la fine che farà e in modo tale da dare a tutti loro un esempio da non imitare. Ho pensato di dare inizio ad un nuovo Allegro con una breve scala cromatica ascendente proprio per cercare di rappresentare l’aspetto romantico del protagonista. Inserisco nuovamente un motivo sincopato, seguito da quartine di crome discendenti e in conclusione a questa seconda parte due battute di Marcia affidate ai fiati e ai sempre presenti timpani. Ho previsto inoltre una ripetizione di questo tema ma, per dare inizio al secondo, ho pensato di concluderlo con un motivo saltellante di archi e fagotti. Ho affidato agli archi il ritmo del secondo tema che dovrebbe apparire più leggero grazie ad archi e, in seguito, ad oboi e clarinetti. Ho contrapposto a ciò un nuovo ritmo dei violini che svolgono una figurazione staccata e insistente. Segue un motivo grave di archi e legni con una frase discendente di note staccate al quale i violini rispondono con una melodia leggera e quasi di scherno, che ripetono subito dopo. I violini vengono messi a tacere da un suono discendente e pesante e inizia quindi un intreccio di legni e archi. Concludo l’Ouverture con i violini che compiono una figurazione molto ritmica che porta poi ud un motivo di quartine di crome. Infine, dopo una ripetizione di sei volte di note discendenti con risposte di acuti, i violini svolgono nuovamente delle quartine di crome sopra ai lunghi accordi dei legni. Ora non vi resta che ascoltare e apprezzare; vi sembra lo sforzo di un paio d’ore? Vedete voi se dar retta al diario di Costanza… A questo punto, il nostro autore, pronto a tornare nel suo limbo indeterminato, ebbe la piacevole sorpresa d’esser tornato famoso; l’angelo della misericordia lo chiamava per un aggiornamento dell’interpretazione psico-socio-political-notcorrect della sua opera; complici, un certo S. Freud e, reporter free-lance, I ragazzi del Newton…I nostri amabili concorrenti!