MARTEDÌ 8 MARZO 2005 LA REPUBBLICA 45 DIARIO DI L’ATTENTATO DI MADRID UN ANNO DOPO (segue dalla prima pagina) l contrario, invece, la massiccia mobilitazione dei cittadini francesi di discendenza o di confessione musulmana a sostegno di Christian Chesnot e Georges Malbrunot — presi in ostaggio in Iraq in agosto e liberati a Natale — la cui sopravvivenza pareva essere collegata dai loro rapitori alla legge sulla laicità nella scuola pubblica, perora la causa di un impegno decisivo dei musulmani europei contro l’islamismo radicale. Quali sono i criteri che possono permetterci di apprezzare l’evoluzione di questo rapporto di forza? Quali sono le politiche pubbliche che i singoli Stati europei e l’Unione tutta possono mettere in atto? Qual è, infine, la strategia cui ricorreranno gli islamisti di diversi orientamenti per perseguire i loro obiettivi? Leggendo le rivendicazioni del gruppo islamista che ha compiuto l’attentato di Madrid — sufficientemente al corrente della vita politica spagnola da perpetrarlo in coincidenza con le elezioni legislative, sì da riuscire a modificarne l’esito — si osserva che nell’abituale prolissità con la quale si predica la caduta dell’Occidente compaiono altresì minacce inequivocabili contro la Spagna, nei confronti della quale i jihadisti annunciano di cominciare a «regolare i vecchi conti». Nel loro linguaggio questo significa che la penisola iberica altro non è che l’antica Andalusia musulmana, una terra annessa all’islam che bisogna riconquistare costi quel che costi, e che i suoi abitanti non musulmani sono usurpatori «il cui sangue è pertanto lecito versare». Il massacro degli innocenti, quale si è verificato nei treni devastati dalle bombe, è pienamente giustificato. Non c’è dubbio che per la stragrande maggioranza di cittadini europei di origine musulmana questa visione del mondo è aberrante: è tuttavia sufficiente che ne siano convinte alcune dozzine di individui indottrinati dalla corrente salafita-jihadista radicale, e che questi si dotino di esplosivi, perché centinaia di persone perdano la A IlgiornoincuiAlQaedaattaccòl’Europa GILLES KEPEL vita, e che in conseguenza di ciò i musulmani europei si ritrovino indiziati, presi in ostaggio. Ecco un altro degli obiettivi dei jihadisti: moltiplicando i sospetti, gli attentati — quello dell’11 settembre prima di ogni altro — hanno accresciuto le scissioni e favorito la predicazione degli islamisti — moderati, questa volta — che oggi in Europa sono tra i primi responsabili dell’indottrinamento musulmano. Innumerevoli musulmani disorientati, dilaniati tra il rifiuto della violenza e il so- spetto che leggono nello sguardo altrui, hanno fatto affidamento sui conforti della religione, che hanno rinvenuto in una forma di ripiegamento comunitario caldeggiato dalla Fratellanza musulmana e dalla sua sfera di influenza. Costoro non predicano la violenza: alcuni considerano l’Europa una terra islamica a tutti gli effetti — per la presenza di cittadini europei musulmani — e chiedono che questi ultimi possano viverci seguendo i principi e le norme della legge islamica, la sha- JÜRGEN HABERMAS 11 MARZO IL TERRORISMO ha acquisito un nuovo profilo. A questo proposito mi pare che soprattutto una circostanza sia rilevante: non si sa veramente chi sia il nemico. La persona di Osama Bin Laden assolve al massimo una funzione vicaria. Il confronto con partigiani e terroristi comuni ne offre una prova incontrovertibile. Anche i partigiani combattono spesso in piccole unità decentralizzate che decidono autonomamente. Anche nel caso dei partigiani manca una concentrazione di forze armate o un centro organizzativo che si offra come obiettivo naturale di un attacco. Ciononostante i partigiani combattono su un territorio conosciuto, con finalità dichiarate, per la conquista del potere. Questo li distingue dai terroristi sparsi in tutto il mondo, collegati con metodi da servizi segreti, di cui si può riconoscere tutt’al più la motivazione fondamentalista, ma che non perseguono un programma che vada oltre la distruzione e la produzione di insicurezza. Il terrorismo che noi per il momento associamo con il nome di Al Qaeda rende impossibile l’identificazione del nemico ed una valutazione realistica del rischio. “ “ Un atto terroristico che richiama in parte l’attacco alle Twin Towers 11MARZO ria. Altri, invece, consapevoli dell’impatto negativo di questa parola su un’opinione pubblica non musulmana e prevenuta nei confronti del proselitismo, preferiscono definire l’Europa “terra di predicazione” (da’wa) o terra di shahada — termine arabo che significa “testimonianza”, ma anche “professione di fede islamica”. Per questo secondo gruppo l’obiettivo primario è quello di costituire una “comunità”, definita in primo luogo dall’esacerbazione dei criteri di identità religiosa, che possa negoziare con i poteri pubblici uno statuto di “minoranza” e costituire uno spazio politico balcanizzato nel quale il sostegno elettorale a questa o quella corrente politica sarà patteggiato in funzione delle concessioni che essa garantirà per promuovere l’ascendente degli islamisti sui loro correligionari. Questa spirale è una fatalità inevitabile? La mobilitazione dei cittadini francesi musulmani per tutto l’autunno in sostegno dei due giornalisti ostaggi dei jihadisti in Iraq, nel momento stesso in cui la legge sulla laicità nelle scuole (che proibisce di indossare capi di abbigliamento e simboli religiosi, tra cui l’hijab, il velo) era oggetto di ricatto da parte dei rapitori, dimostra il contrario. Ma questo suppone che le autorità abbiano una politica forte ed efficace nei riguardi dell’integrazione politica, sociale e culturale, delle pari opportunità, della piena partecipazione democratica dei nostri compatrioti europei di origine musulmana, che in gran parte appartengono ad ambienti svantaggiati, anche se oggi si riscontra un’apprezzabile mobilità sociale verso l’alto, specificatamente tra le giovani donne. In occasione della legge sulla laicità, i Fratelli musulmani e i loro compagni di strada nel movimento no-global ed ecologista hanno organizzato alcune manifestazioni in nome della libertà di scelta contro una legislazione “liberticida”, uno slogan adatto sotto cui raggrupparsi al di là delle frontiere comunitarie. Per i Fratelli musulmani si tratta di una grossa sfida, perché il velo è un criterio decisivo per misurare l’ascendente di cui godono presso i loro correligionari, e dare così un fondamento alla pretesa di negoziare a nome loro presso i poteri pubblici. Impegnandosi per la liberazione dei loro due compatrioti giornalisti, fino all’avvenuta liberazione, i cittadini francesi di origine musulmana hanno sconfessato i Fratelli, che non hanno potuto mettere in atto quanto avevano previsto di fare affinché la legge non fosse applicata. Hanno altresì manifestato il loro rigetto assoluto dei salafiti-jihadisti e del ricatto che essi esercitano sull’Europa dal Triangolo sunnita in Iraq o altrove. Un anno dopo Madrid, tocca alle autorità politiche europee agire: la jihad non è inevitabile, l’islamismo nei nostri paesi non è ineluttabile. Occorrerà però fare di tutto per incoraggiare l’adesione dei nostri concittadini di origine musulmana ai valori costitutivi dell’Europa, quegli stessi valori che permetteranno loro di modernizzare l’islam. (traduzione di Anna Bissanti) Quali effetti politici quel gesto ha prodotto nel nostro continente DIARIO 46 LA REPUBBLICA LE TORRI 11 SETTEMBRE 2001 Due Boeing si schiantano contro le Twin Towers di New York. Tre quarti d’ora dopo un aereo si abbatte sul Pentagono. I morti sono 2992. Dietro la strage, bin Laden e la rete terroristica di Al Qaeda LE TAPPE DEL TERRORE INDONESIA 12 OTTOBRE 2002 A Bali tre esplosioni distruggono un locale notturno frequentato di turisti uccidendo 202 persone. Principale sospettata la rete islamica Jemaah Islamiah, legata a Al Qaeda MARTEDÌ 8 MARZO 2005 ISTANBUL 15 NOVEMBRE 2003 Due autobomba contro due sinagoghe provocano 25 morti e oltre 300 feriti, in gran parte passanti. Il 20 Al Qaeda colpisce il consolato britannico e la banca inglese Hsbc: 27 morti e 450 feriti LA POLITICA PRIMA E DOPO LE ELEZIONI SPAGNOLE DA AZNAR A ZAPATERO NEI GIORNI DELLE BOMBE GUIDO RAMPOLDI n una mattina luminosa di un anno fa, quando mancavano cinque giorni alle elezioni spagnole, a Madrid tre esplosioni aprirono altrettanti treni “come scatole di tonno”, dirà un ferroviere. Mezz’ora dopo davanti alla stazione di Atocha c’era ancora il silenzio immobile e definitivo che segue i bombardamenti; una folla ammutolita pareva chiedersi se quella fosse Madrid o Bagdad, l’Europa o l’Iraq. Ma col passar del tempo il silenzio divenne la misura d’una compostezza di cui la Spagna tuttora è fiera, ci pare con ragione. Altrove sarebbero risuonate grida strozzate e incitamenti alla giustizia sommaria: invece la folla che quell’11 marzo si raccolse alla Porta del Sol, per donare il sangue e per dimostrare di non aver paura, scandì: «Qui siamo, noi non ammazziamo». Altri governi avrebbero minacciato punizioni bibliche: i politici spagnoli ripeterono parole sommesse, “Stato di diritto”, “giustizia”, “serenità”, “fermezza”. Colpiti dalla più grande carneficina mai prodotta dal terrorismo nel continente, gli spagnoli non s’ubriacarono di compassione verso se stessi; non vi furono ammazzamenti di musulmani; e nessuno invocò Dio, altre Guantanamo o leggi equivalenti al Patriot Act. Nel momento più difficile la Spagna seppe interpretare la miglior Europa. Ma nei giorni successivi quella compostezza franò per l’esplodere d’una questione cruciale e da allora irrisolta: la questione della verità. Nella cosiddetta “guerra al terrorismo” l’entità della minaccia e l’identità del nemico vengono definiti da apparati segreti che dipendono dal governo. Di conseguenza quel governo o quegli apparati sono in grado di ingannare l’opinione pubblica. Questo accadde appunto all’indomani della strage. Subito dopo l’attentato il governo Aznar accusò l’Eta, nelle prime ore in buona fede; ma per non smentirsi alla vigilia del voto, o per ricavarne un vantaggio politico, mantenne il punto anche quando cominciò ad essere chiaro quanto sappiamo adesso: gli attentatori erano islamisti nordafricani, una cellula spontanea però in qualche modo affacciata sulla grande rete ispirata a Bin Laden. Ressero il gioco di Aznar tutti i media filo-governativi. Poche ore prima che si aprissero le urne la tv di Stato arrivò a cambiare la programmazione per inserire un film su un omicidio dell’Eta che ammiccava alla tesi cara all’esecutivo. Ma nelle stesse ore la controinformazione organizzata dal giornalismo filo-socialista smascherò il governo. Di più: ricordò all’elettorato che l’invasione dell’Iraq, di cui Aznar era stato tra i I I LIBRI JASON BURKE Al Qaeda. La vera storia Feltrinelli 2004 IAN BURUMA, AVISHAI MARGALIT Occidentalismo Einaudi 2004 AMOS OZ Contro il fanatismo Feltrinelli 2004 ZYGMUNT BAUMAN La società sotto assedio Laterza 2002 ULRICH BECK Un mondo a rischio Einaudi 2003 ROBERT KAGAN Paradiso e potere Mondadori 2003 JEAN BAUDRILLARD Lo spirito del terrorismo Raffaello Cortina 2002 PAUL BERMAN Terrore e liberalismo Einaudi 2004 ANDREW SINCLAIR Storia del terrorismo Newton & Compton 2003 TZVETAN TODOROV Il nuovo disordine mondiale Garzanti 2003 ‘‘ ,, PROPAGANDA La televisione di Stato appoggiò la tesi di Aznar che aveva attribuito all’Eta l’attentato Ma la versione non resse grandi propugnatori, poggiava su “verità” assai dubbie. E questa percezione probabilmente contribuì alla vittoria di Zapatero. Ma da allora il problema della verità continua a incalzare l’Europa. Valga quanto accade adesso in Gran Bretagna. In questi giorni una legge in discussione al parlamento ripropone il dilemma doloroso se per difendere i principi dello Stato di diritto, cioè l’identità dell’Occidente, si possa mettere a rischio la vita di alcune centinaia di umani. Conservatori e lib-dem considerano quella norma lesiva delle libertà individuali. Invece il ministro dell’Interno Clarke la ritiene indispensabile per evitare, dice, che a Londra si ripeta quanto accadde a Madrid; e fa dire al capo della polizia britannica che nel Regno Unito circolano 100-200 terroristi pronti a colpire. Quest’ultima è una tesi verosimile: però inverificabile. C’è insomma un deficit di trasparenza, tanto nella relazione instabile tra Stato di diritto e antiterrorismo quanto nelle scelte di politica estera. A questo può ovviare, come accadde in Spagna, una informazione onesta? Detronizzato Aznar, Zapatero colse il messaggio dell’elettorato, e invece di fare della Tvela propria televisione, ha nominato una commissione di saggi per riformarla; il prossimo direttore generale non sarà scelto per cooptazione, ma per concorso. In altre parole il governo socialista ha fatto della correttezza della tv di Stato una questione centrale alla democrazia. Stiamo parlando di un’emittente pubblica che al tempo d’Aznar neanche nei programmi più manipolati raggiunse ‘‘ ,, CAMBIAMENTO La Spagna ha punito il governo di destra preferendo il socialista Zapatero. Le novità della sua gestione sono state molte gli abissi nei quali fluttua ormai in permanenza la Rai. Ma pulire le tv di Stato più sgangherate e negare al giornalismo un’assoluzione preventiva in nome del “diritto all’errore”, non garantirebbe automaticamente alle democrazie europee l’accesso alla verità. Per esempio l’Iraq. In un recente convegno organizzato da Rainews24 un caporedattore di alArabiya ammetteva che perfino il giornalismo arabo ormai non riesce più a lavorare neppure a Bagadad (la tv ha avuto 8 morti, 5 uccisi dalla guerriglia, 3 dagli americani). Siamo all’informazione senza informazioni. Col risultato che ognuno può inventarsi il “suo” Iraq secondo propensioni ideologiche e convenienze, trasformarlo in una questione di politica interna, usarlo per marcare la distanza dagli avversari. Il risultato è bizzarro. In Italia conservatori come il britannico Douglas Hurd o liberali come l’economista americano Jeffrey Sachs risulterebbero “non moderati” perché sostengono che le elezioni irachene non riscattano il caos sanguinolento in cui l’invasione americana ha gettato il Paese. Un anno fa, in un Iraq ancora decifrabile, Zapatero decise di ritirare le truppe spagnole dall’Iraq. Alcune destre sostennero che aveva vinto Bin Laden. Ma quella scelta assai discutibile semmai fu motivata da un ragionevole pessimismo sul futuro della “Coalizione dei volenterosi”. A giudicare dal fatto che altri contingenti hanno fretta di rimpatriare, la situazione non è migliorata. Però tra gli Iraq virtuali in circolazione da alcune settimane è in rimonta il più rassicurante. Vuole che le elezioni siano state un decisivo punto di svolta, per l’Iraq e per tutto il Medio Oriente, su cui adesso soffierebbe il vento della democrazia. Questa è anche l’impressione di alcuni liberali arabi. Ma l’islamismo arabo “moderato”, probabile beneficiario di elezioni davvero libere, vede le cose diversamente. Non s’entusiasma per le elezioni in Iraq, tantomeno per le manifestazioni a Beirut. Non modifica il giudizio sull’invasione dell’Iraq e sugli Usa, che considera una potenza coloniale. E crede che Washington voglia cambiamenti cosmetici, non la democrazia. Il suo fiero sentimento anti-americano è largamente condiviso dalle popolazioni arabe. E rischia di diventare ciò che finora non è, un sentimento anti-occidentale. Se questo è vero, allora dobbiamo chiederci se l’allergia alla verità che colse Aznar all’indomani della strage di Madrid non sia una malattia del potere. Se insomma gli establishment occidentali non tendano anch’essi a costruire auto-inganni per non vedere realtà assai poco consolanti. CANDELE E FIORI Qui sopra e accanto, Madrid, la commemorazione per i morti nella strage alla stazione di Atocha. Sotto, gli oggetti personali delle vittime dell’attacco terrorista in cui morirono 192 persone e altre 1500 furono ferite l tavolo di formica in un Mac Donald, una miniera di argilla nelle Asturie, una casa colonica, la promisquità di Tribulete, una chiassosa calle su cui affacciano una barberia, un ristorante, un call center. Il canovaccio della strage che ha cancellato 192 vite umane e cambiato per sempre la storia della Spagna annoda oggi i nomi dei suoi responsabili ad una geografia dei luoghi che fissa la memoria e dà misura della genesi dell’orrore. E’ un prezioso mosaico, che ha preso forma nei dodici mesi dell’indagine che ha scritto un primo provvisorio capitolo di quel che accadde l’11 marzo 2004, prima, durante e dopo le dieci esplosioni delle 7.37 sui treni dei pendolari. Del perché accadde. Del come. Nel rassegnare le conclusioni delle ottomila pagine di istruttoria che manderà a giudizio entro l’estate 74 tra uomini e donne, quali asseriti mandanti, autori e fiancheggiatori della mattanza, il giudice Juan Del Olmo ha scritto: «L’11 marzo è stata opera di tre gruppi, diversi e semiautonomi, uniti dal loro odio per la Spagna e l’Occidente, per la posizione assunta dal nostro Paese sull’Iraq (…)». Nessun Bin Laden pianificò la strage nel buio di una caverna afghana. Al contrario – annota Del Olmo – in un massacro che reclama oggi molti padri intellettuali (tra loro anche l’egiziano Osman el-Sayed Ahmed Rabei, arrestato a Milano e quindi estradato in Spagna), «l’ideologia integralista salafitajihadista» diventa piano stragista nel «barrio, nel quartiere di Lavapies». «Qui trova i suoi autori materiali» e qui si «autoinnesca». E qualche errore non impedirà che si compia. I *** L’11 marzo, l’orrore arrivò fulmineo. Tra le 7.37 e le 7.40 del mattino. Quattordici bombe viaggiano con seimila passeggeri su quattro treni. Ne esplodono dieci. I morti sono 192, i feriti 1.500. E’ una macelleria che il governo Aznar battezza politicamente («E’ stata l’Eta») e che politicamente lo travolge. Perché chi ne è davvero responsabile non è basco e ha lasciato tracce importanti: le schede telefoniche dei cellulari utilizzati per l’innesco di ordigni che non deflagrano e l’esplosivo da cava cui sono collegati: il “Goma 2”. E’ il fotogramma di coda di una sequenza cominciata otto mesi prima. A Madrid, in gennaio, intorno al tavolo di un Mac Donald, le cui vetrine guardano uno dei grandi ospedali cittadini. Uno di fronte all’altro siedono due uomini. Il primo ha grandi denti, occhi piccoli e una cicatrice. Ha 34 an- DIARIO MARTEDÌ 8 MARZO 2005 LA REPUBBLICA 47 MADRID 11 MARZO 2004 Dieci esplosioni in diverse stazioni di Madrid provocano 192 morti e 1500 feriti. Al Qaeda rivendica gli attentati. Il 14 marzo i socialisti di Zapatero vincono le elezioni LE IMMAGINI GLI AUTORI L’11 marzo 2004, il giorno dell’attentato, la gente di Madrid scende in piazza. La Porta del Sol è invasa da una folla compatta che dice “no al terrorismo”, “qui siamo, noi non ammazziamo”. E il giorno dopo, e poi ancora a una settimana dalla strage, e a un mese dalla strage, continuano le manifestazioni: per commemorare i 192 morti nella strage (e i 1500 feriti), e per ribadire il no al terrorismo. Il Sillabario di Jürgen Habermas è tratto da “Fondamentalismo e terrore” (in “Filosofia del terrore. Dialoghi con Jürgen Habermas e Jacques Derrida” di Giovanna Borradori, Laterza 2003). Gilles Kepel, sociologo e arabista, insegna all’Istituto di studi politici di Parigi, dove dirige il dottorato sul mondo arabo-musulmano. Tra i suoi libri più recenti, “Fitna. Guerra nel cuore dell’islam”, Leterza 2004 OTTOMILA PAGINE DI ISTRUTTORIA CHE MANDERÀ A GIUDIZIO MANDANTI, AUTORI E FIANCHEGGIATORI DELLA MATTANZA ECCO I PIANI DELLA STRAGE PER COLPIRE L’OCCIDENTE CARLO BONINI ni, è marocchino, si chiama Jamal Ahmidan, ma lo conosco come “il cinese”. Il secondo, è più giovane di lui di sette anni. E’ spagnolo e si chiama José Emilio Suarez Trashorras. E’ stato, o forse è ancora, un confidente della polizia. Il “cinese” – lo sanno tutti nel giro – traffica normalmente in eroina e hashish, ma questa volta, curiosamente, ha bisogno di esplosivo. Tanto esplosivo. Trashorras, che chiama quel marocchino “mowgly”, perché tanto gli ricorda il personaggio del Libro della Giungla, fa al caso suo. Ha lavorato come minatore alla “Conchita”, una miniera di argilla bianca nelle Asturie. Può facilmente recuperare quello che gli viene chiesto. E lo dimostra. Tra gennaio e la prima metà di febbraio, con tre viaggi diversi, tre dei suoi “ragazzi” trasportano tra Oviedo e Madrid tre borse imbottite di 20 chili di Goma 2. Uno di loro, è un minorenne. Lo chiamano “el Gitanillo”, “lo zinma, alle 11 del mattino, la golf nera garello”. Se ne fidano e sbagliano. del Cinese è all’appuntamento in Perché quando la polizia, dopo l’11 miniera. In macchina con lui, marzo, arriva a lui, lui non smette più Mohammed Oulad e Andennabi di parlare. Anche Kounjaa. Fanno se questo, ormai, un primo carico. non può più salChe ripetono il vare nessuno. giorno successiCIFRE Il “Gitanillo” vo. Ancora una racconta dunque volta con la golf che, testata la nera e con una merce, il Cinese seconda macchidecide di fare sul na, una Toyota serio. Il 27 febCorolla prestata braio Trashorda Trashorras. E’ ras, che è appena domenica 29 febrientrato a Oviebraio. Nel bagado dalla sua luna gliaio di ciascuna di miele, si presenta all’ingresso deldelle due vetture sono ora 200 chilola “Conchita”. Parla con due minagrammi di Goma2. Le due macchine tori. Telefona al cinese e lo avverte si mettono in movimento per rienche la “cosa” è per il giorno succestrare a Madrid. sivo. Il 28 febbraio, un sabato. Quel Alle 7.37 dell’11 marzo mancano giorno, le Asturie sono sotto la neve, soli 11 giorni. E il destino dà agli uo- ‘‘ ,, L’ordine arrivò tra le 7.37 e le 7.40 del mattino. I morti furono 192, i feriti 1500 JAVIER MARIAS mini un’ultima possibilità per deviarne il corso. Alle 16,25, sulla statale N-623, a 19 chilometri da Burgos, una pattuglia della “Guardia Civil” ferma la Toyota Corolla guidata dal “Cinese”. Viaggia a 84 chilometri orari. Oltre il limite. L’agente porta la mano al basco e chiede a quel tipo dai tratti non spagnoli che sorride facendo mostra dei denti, patente di guida, libretto di circolazione e assicurazione. Il Cinese ha solo la patente, che risulta rilasciata in Belgio all’uomo che lui dice di essere, Youssef Ben Salah. Non ha né libretto, né assicurazione, perché la macchina su cui viaggia (forse lui non lo sa) è stata rubata a Madrid nel settembre del 2003. L’agente chiama la centrale per un controllo, si prepara a chiedere al conducente di scendere e aprire il bagagliaio. Ma nevica, le comunicazioni radio sono interrotte, e con la centrale non si riesco- FERNANDO SAVATER Tredici bombe sono scoppiate di mattina presto, quando i treni locali sono pieni di gente che va al lavoro, di studenti che vanno a scuola, di persone assonnate che si sono appena svegliate Vedo infine compiuto il massacro, quel massacro che si andava cercando almeno da Natale, quei chili di esplosivo che questa volta non si è riusciti a intercettare Quel silenzio la mattina presto Autopsia di una strage che cambia la Spagna AMOS OZ MICHAEL WALZER Per Bin Laden per difendere l’islam bisogna non solo colpire l’Occidente, e colpire duro, bisogna alla fine convertire l’Occidente. Bin Laden fondamentalmente vi ama Se, negli Stati Uniti o in Europa occidentale, circolano persone che pensano e vogliono mettere bombe in luoghi pubblici, schiantarsi con gli aerei sugli edifici, bisogna occuparsene Contro il fanatismo La libertà e i suoi nemici LA PIAZZA Sotto, Madrid, un mese dopo la strage di Atocha: una ragazza musulmana a una manifestazione contro il terrorismo no a controllare i dati di quella Toyota. Restituisce la patente. Augura buon viaggio e chiede di fare più attenzione. *** La notte di domenica 29 febbraio, a Chinchon, 35 chilometri da Madrid, in una casa colonica riparata da filari di ulivi, sulla piana del fiume Tajuna, c’è qualcuno che grida felice. La Goma2 è arrivata. La neve delle Asturie sembra lontanissima. L’esplosivo va solo confezionato e con attenzione ne devono essere preparati gli inneschi. E’ lavoro di una settimana. Per il “Cinese”, certo, ma soprattutto per l’uomo dei “telefonini”. Jamal Zougam, 31 anni, il marocchino che veste “Lacoste”, gira in Kawasaki e a cui piacciono tanto quelle ragazze dell’est con il piercing all’ombelico che invita di tanto in tanto in campagna per i suoi barbecue. Come per l’ultima festa nella domenica che precede la strage. Sulla griglia carne macellata secondo il rito e 400 chili di dinamite nascosti dietro il pollaio per fare scempio della Spagna. Zougam, che sarà il primo degli arrestati per la strage, svelandone la paternità alla vigilia del voto, non è solo un nome. È il lacerto su un grumo di odio che Madrid ha nella sua pancia, nel barrio di Lavapies, a un passo dalla Porta del Sol. Cinquanta etnie e una a farla da padrone, quella marocchina. Jamal Zougam è il proprietario del “Locutorio nuevo siglo”, il call center da dove arrivano le schede dei telefonini per gli inneschi. E’ un tratto della calle Tribulete, il vicolo dove affacciano non solo le vetrine del suo “Locutorio”, ma anche quelle del ristorante “Alhambra”, della barberia “da Abdou” (oggi chiusa). Sono trecento metri di strada stretta, chiassosa, allegra. Dove la sera – lo sa ogni madrileno – compri buon hashish a buon prezzo. E dove Jamal arruola, coinvolge, contagia. L’11 marzo trova qui i suoi macellai che – raccontano ora - «bevevano acqua della Mecca» nella barberia dove si ritrovavano. Per «purificarsi» e prepararsi alla Jihad. Strappando il sorriso agli anziani per tanta sbruffoneria priva di senso e rigore religioso (l’«acqua della Mecca» è un’invenzione, una burla). Invece l’orrore incubava. E l’11 marzo avrebbe poi avuto il suo 3 aprile, con i “maritiri” di Leganes assediati dalla polizia e suicidi in un apparatmento di periferia. Quel giorno, dilaniato dalla Goma 2, il “Cinese” sarebbe stato cancellato con sei degli uomini della sua cellula assassina. Ma neppure così la Spagna avrebbe ritrovato la sua pace. I LIBRI RENZO GUOLO, FEDERICO ROMERO America/Isla m. E adesso? Donzelli 2003 MARK JUERGENS MEYER Terroristi in nome di Dio Laterza 2003 KHALED FOUAD ALLAM Lettera a un kamikaze Rizzoli 2004 MAGDI ALLAM Kamikaze made in Europe Mondadori 2004 JOHN GRAY Al Qaeda e il significato della modernità Fazi 2004 SERGIO ROMANO Anatomia del terrore. Colloquio con Guido Olimpio Rizzoli 2004 BRUNO ETIENNE L’Islamismo radicale Rizzoli 2001 MICHAEL WALZER La libertà e i suoi nemici Laterza 2003 Sulla guerra Laterza 2004 CHRISTOPH REUTER La mia vita è un’arma. Storia e psicologia del terrorismo suicida Longanesi 2004