MARTEDÌ 8 MARZO 2005
LA REPUBBLICA 45
DIARIO
DI
L’ATTENTATO DI MADRID UN ANNO DOPO
(segue dalla
prima pagina)
l contrario, invece,
la
massiccia mobilitazione dei
cittadini francesi di discendenza o di confessione musulmana a sostegno di Christian
Chesnot e Georges Malbrunot
— presi in
ostaggio in Iraq
in agosto e liberati a Natale —
la cui sopravvivenza pareva
essere collegata
dai loro rapitori
alla legge sulla
laicità nella
scuola pubblica, perora la
causa di un impegno decisivo
dei musulmani
europei contro
l’islamismo radicale. Quali
sono i criteri che possono
permetterci di apprezzare
l’evoluzione di questo rapporto di forza? Quali sono le
politiche pubbliche che i
singoli Stati europei e l’Unione tutta possono mettere in atto? Qual è, infine, la
strategia cui ricorreranno
gli islamisti di diversi orientamenti per perseguire i loro obiettivi?
Leggendo le rivendicazioni del gruppo islamista che
ha compiuto l’attentato di
Madrid — sufficientemente
al corrente della vita politica
spagnola da perpetrarlo in
coincidenza con le elezioni
legislative, sì da riuscire a
modificarne l’esito — si osserva che nell’abituale prolissità con la quale si predica
la caduta dell’Occidente
compaiono altresì minacce
inequivocabili contro la
Spagna, nei confronti della
quale i jihadisti annunciano
di cominciare a «regolare i
vecchi conti». Nel loro linguaggio questo significa
che la penisola iberica altro
non è che l’antica Andalusia
musulmana, una terra annessa all’islam che bisogna
riconquistare costi quel che
costi, e che i suoi abitanti
non musulmani sono usurpatori «il cui sangue è pertanto lecito versare». Il massacro degli innocenti, quale
si è verificato nei treni devastati dalle bombe, è pienamente giustificato. Non c’è
dubbio che per la stragrande maggioranza di cittadini
europei di origine musulmana questa visione del
mondo è aberrante: è tuttavia sufficiente che ne siano
convinte alcune dozzine di
individui indottrinati dalla
corrente salafita-jihadista
radicale, e che questi si dotino di esplosivi, perché centinaia di persone perdano la
A
IlgiornoincuiAlQaedaattaccòl’Europa
GILLES KEPEL
vita, e che in conseguenza di
ciò i musulmani europei si
ritrovino indiziati, presi in
ostaggio. Ecco un altro degli
obiettivi dei jihadisti: moltiplicando i sospetti, gli attentati — quello dell’11 settembre prima di ogni altro —
hanno accresciuto le scissioni e favorito la predicazione degli islamisti — moderati, questa volta — che
oggi in Europa sono tra i primi responsabili dell’indottrinamento musulmano.
Innumerevoli musulmani
disorientati, dilaniati tra il
rifiuto della violenza e il so-
spetto che leggono nello
sguardo altrui, hanno fatto
affidamento sui conforti
della religione, che hanno
rinvenuto in una forma di ripiegamento comunitario
caldeggiato dalla Fratellanza musulmana e dalla sua
sfera di influenza. Costoro
non predicano la violenza:
alcuni considerano l’Europa una terra islamica a tutti
gli effetti — per la presenza
di cittadini europei musulmani — e chiedono che questi ultimi possano viverci seguendo i principi e le norme
della legge islamica, la sha-
JÜRGEN HABERMAS
11 MARZO
IL TERRORISMO ha acquisito
un nuovo profilo. A questo proposito mi pare che soprattutto
una circostanza sia rilevante: non si sa veramente chi sia
il nemico. La persona di Osama Bin Laden assolve al massimo una funzione vicaria. Il confronto con partigiani e terroristi comuni ne offre una prova incontrovertibile. Anche
i partigiani combattono spesso in piccole unità decentralizzate che decidono autonomamente. Anche nel caso dei
partigiani manca una concentrazione di forze armate o un
centro organizzativo che si offra come obiettivo naturale
di un attacco. Ciononostante i partigiani combattono su
un territorio conosciuto, con finalità dichiarate, per la conquista del potere. Questo li distingue dai terroristi sparsi
in tutto il mondo, collegati con metodi da servizi segreti,
di cui si può riconoscere tutt’al più la motivazione fondamentalista, ma che non perseguono un programma che
vada oltre la distruzione e la produzione di insicurezza. Il terrorismo che noi per il momento associamo con
il nome di Al Qaeda rende impossibile l’identificazione del nemico ed una valutazione realistica del rischio.
“
“
Un atto terroristico
che richiama in
parte l’attacco
alle Twin Towers
11MARZO
ria. Altri, invece, consapevoli dell’impatto negativo di
questa parola su un’opinione pubblica non musulmana e prevenuta nei confronti
del proselitismo, preferiscono definire l’Europa “terra di
predicazione” (da’wa) o terra di shahada — termine arabo che significa “testimonianza”, ma anche “professione di fede islamica”. Per
questo secondo gruppo l’obiettivo primario è quello di
costituire una “comunità”,
definita in primo luogo dall’esacerbazione dei criteri di
identità religiosa, che possa
negoziare con i poteri pubblici uno statuto di “minoranza” e costituire uno spazio politico balcanizzato nel
quale il sostegno elettorale a
questa o quella corrente politica sarà patteggiato in funzione delle concessioni che
essa garantirà per promuovere l’ascendente degli islamisti sui loro correligionari.
Questa spirale è una fatalità inevitabile? La mobilitazione dei cittadini francesi
musulmani per tutto l’autunno in sostegno dei due
giornalisti ostaggi dei jihadisti in Iraq, nel momento
stesso in cui la
legge sulla laicità nelle scuole
(che proibisce
di indossare capi di abbigliamento e simboli
religiosi, tra cui
l’hijab, il velo)
era oggetto di ricatto da parte
dei rapitori, dimostra il contrario. Ma questo suppone che
le autorità abbiano una politica forte ed efficace nei riguardi dell’integrazione politica,
sociale e culturale, delle pari
opportunità,
della piena partecipazione democratica dei
nostri compatrioti europei di
origine musulmana, che in
gran parte appartengono ad ambienti
svantaggiati, anche se oggi
si riscontra un’apprezzabile
mobilità sociale verso l’alto,
specificatamente tra le giovani donne. In occasione
della legge sulla laicità, i Fratelli musulmani e i loro compagni di strada nel movimento no-global ed ecologista hanno organizzato alcune manifestazioni in nome
della libertà di scelta contro
una legislazione “liberticida”, uno slogan adatto sotto
cui raggrupparsi al di là delle frontiere comunitarie. Per
i Fratelli musulmani si tratta
di una grossa sfida, perché il
velo è un criterio decisivo
per misurare l’ascendente
di cui godono presso i loro
correligionari, e dare così un
fondamento alla pretesa di
negoziare a nome loro presso i poteri pubblici. Impegnandosi per la liberazione
dei loro due compatrioti
giornalisti, fino all’avvenuta
liberazione, i cittadini francesi di origine musulmana
hanno sconfessato i Fratelli,
che non hanno potuto mettere in atto quanto avevano
previsto di fare affinché la
legge non fosse applicata.
Hanno altresì manifestato il
loro rigetto assoluto dei salafiti-jihadisti e del ricatto
che essi esercitano sull’Europa dal Triangolo sunnita
in Iraq o altrove.
Un anno dopo Madrid,
tocca alle autorità politiche
europee agire: la jihad non è
inevitabile, l’islamismo nei
nostri paesi non è ineluttabile. Occorrerà però fare di
tutto per incoraggiare l’adesione dei nostri concittadini
di origine musulmana ai valori costitutivi dell’Europa,
quegli stessi valori che permetteranno loro di modernizzare l’islam.
(traduzione
di Anna Bissanti)
Quali effetti
politici quel gesto
ha prodotto nel
nostro continente
DIARIO
46 LA REPUBBLICA
LE TORRI 11 SETTEMBRE 2001
Due Boeing si schiantano contro le Twin
Towers di New York. Tre quarti d’ora dopo
un aereo si abbatte sul Pentagono. I morti
sono 2992. Dietro la strage, bin Laden e la
rete terroristica di Al Qaeda
LE TAPPE
DEL TERRORE
INDONESIA 12 OTTOBRE 2002
A Bali tre esplosioni distruggono un locale
notturno frequentato di turisti uccidendo
202 persone. Principale sospettata la rete
islamica Jemaah Islamiah, legata a Al
Qaeda
MARTEDÌ 8 MARZO 2005
ISTANBUL 15 NOVEMBRE 2003
Due autobomba contro due sinagoghe
provocano 25 morti e oltre 300 feriti, in
gran parte passanti. Il 20 Al Qaeda
colpisce il consolato britannico e la banca
inglese Hsbc: 27 morti e 450 feriti
LA POLITICA PRIMA E DOPO LE ELEZIONI SPAGNOLE
DA AZNAR A ZAPATERO
NEI GIORNI DELLE BOMBE
GUIDO RAMPOLDI
n una mattina luminosa di un
anno fa, quando mancavano
cinque giorni alle elezioni spagnole, a Madrid tre esplosioni aprirono altrettanti treni “come scatole di tonno”, dirà un ferroviere.
Mezz’ora dopo davanti alla stazione di Atocha c’era ancora il silenzio
immobile e definitivo che segue i
bombardamenti; una folla ammutolita pareva chiedersi se quella
fosse Madrid o Bagdad, l’Europa o
l’Iraq. Ma col passar
del tempo il silenzio
divenne la misura
d’una compostezza
di cui la Spagna tuttora è fiera, ci pare
con ragione. Altrove
sarebbero risuonate
grida strozzate e incitamenti alla giustizia sommaria: invece la folla che
quell’11 marzo si
raccolse alla Porta
del Sol, per donare il
sangue e per dimostrare di non aver
paura, scandì: «Qui
siamo, noi non ammazziamo». Altri governi avrebbero minacciato punizioni
bibliche: i politici
spagnoli ripeterono
parole sommesse,
“Stato di diritto”,
“giustizia”, “serenità”, “fermezza”.
Colpiti dalla più
grande carneficina
mai prodotta dal terrorismo nel continente, gli spagnoli
non s’ubriacarono
di compassione verso se stessi; non vi furono ammazzamenti di musulmani; e nessuno invocò
Dio, altre Guantanamo o leggi equivalenti al Patriot Act.
Nel momento più
difficile la Spagna
seppe interpretare
la miglior Europa.
Ma nei giorni successivi quella compostezza franò
per l’esplodere d’una questione
cruciale e da allora irrisolta: la questione della verità. Nella cosiddetta
“guerra al terrorismo” l’entità della
minaccia e l’identità del nemico
vengono definiti da apparati segreti che dipendono dal governo. Di
conseguenza quel governo o quegli
apparati sono in grado di ingannare l’opinione pubblica. Questo accadde appunto all’indomani della
strage.
Subito dopo l’attentato il governo Aznar accusò l’Eta, nelle prime
ore in buona fede; ma per non
smentirsi alla vigilia del voto, o per
ricavarne un vantaggio politico,
mantenne il punto anche quando
cominciò ad essere chiaro quanto
sappiamo adesso: gli attentatori
erano islamisti nordafricani, una
cellula spontanea però in qualche
modo affacciata sulla grande rete
ispirata a Bin Laden. Ressero il gioco di Aznar tutti i media filo-governativi. Poche ore prima che si aprissero le urne la tv di Stato arrivò a
cambiare la programmazione per
inserire un film su un omicidio dell’Eta che ammiccava alla tesi cara
all’esecutivo. Ma nelle stesse ore la
controinformazione organizzata
dal giornalismo filo-socialista
smascherò il governo. Di più: ricordò all’elettorato che l’invasione
dell’Iraq, di cui Aznar era stato tra i
I
I LIBRI
JASON
BURKE
Al Qaeda. La
vera storia
Feltrinelli
2004
IAN
BURUMA,
AVISHAI
MARGALIT
Occidentalismo
Einaudi 2004
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Contro il
fanatismo
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La società
sotto assedio
Laterza 2002
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rischio
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KAGAN
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potere
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2003
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BAUDRILLARD
Lo spirito del
terrorismo
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Cortina 2002
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BERMAN
Terrore e
liberalismo
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SINCLAIR
Storia del
terrorismo
Newton &
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2003
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TODOROV
Il nuovo
disordine
mondiale
Garzanti 2003
‘‘
,,
PROPAGANDA
La televisione di Stato appoggiò
la tesi di Aznar che aveva
attribuito all’Eta l’attentato
Ma la versione non resse
grandi propugnatori, poggiava su
“verità” assai dubbie. E questa percezione probabilmente contribuì
alla vittoria di Zapatero.
Ma da allora il problema della verità continua a incalzare l’Europa.
Valga quanto accade adesso in
Gran Bretagna. In questi giorni una
legge in discussione al parlamento
ripropone il dilemma doloroso se
per difendere i principi dello Stato
di diritto, cioè l’identità dell’Occidente, si possa mettere a rischio la
vita di alcune centinaia di umani.
Conservatori e lib-dem considerano quella norma lesiva delle libertà
individuali. Invece il ministro dell’Interno Clarke la ritiene indispensabile per evitare, dice, che a Londra si ripeta quanto accadde a Madrid; e fa dire al capo della polizia
britannica che nel Regno Unito circolano 100-200 terroristi pronti a
colpire. Quest’ultima è una tesi verosimile: però inverificabile. C’è insomma un deficit di trasparenza,
tanto nella relazione instabile tra
Stato di diritto e antiterrorismo
quanto nelle scelte di politica estera. A questo può ovviare, come accadde in Spagna, una informazione onesta?
Detronizzato Aznar, Zapatero
colse il messaggio dell’elettorato, e
invece di fare della Tvela propria televisione, ha nominato una commissione di saggi per riformarla; il
prossimo direttore generale non
sarà scelto per cooptazione, ma per
concorso. In altre parole il governo
socialista ha fatto della correttezza
della tv di Stato una questione centrale alla democrazia. Stiamo parlando di un’emittente pubblica che
al tempo d’Aznar neanche nei programmi più manipolati raggiunse
‘‘
,,
CAMBIAMENTO
La Spagna ha punito il governo di
destra preferendo il socialista
Zapatero. Le novità della sua
gestione sono state molte
gli abissi nei quali fluttua ormai in
permanenza la Rai.
Ma pulire le tv di Stato più sgangherate e negare al giornalismo
un’assoluzione preventiva in nome del “diritto all’errore”, non garantirebbe automaticamente alle
democrazie europee l’accesso alla
verità. Per esempio l’Iraq. In un recente convegno organizzato da
Rainews24 un caporedattore di alArabiya ammetteva che perfino il
giornalismo arabo
ormai non riesce più
a lavorare neppure a
Bagadad (la tv ha
avuto 8 morti, 5 uccisi dalla guerriglia, 3
dagli americani).
Siamo all’informazione senza informazioni. Col risultato che ognuno può
inventarsi il “suo”
Iraq secondo propensioni ideologiche e convenienze,
trasformarlo in una
questione di politica
interna, usarlo per
marcare la distanza
dagli avversari. Il risultato è bizzarro. In
Italia conservatori
come il britannico
Douglas Hurd o liberali come l’economista americano
Jeffrey Sachs risulterebbero “non moderati” perché sostengono che le elezioni
irachene non riscattano il caos sanguinolento in cui l’invasione americana ha
gettato il Paese.
Un anno fa, in un
Iraq ancora decifrabile, Zapatero decise
di ritirare le truppe
spagnole dall’Iraq.
Alcune destre sostennero che aveva
vinto Bin Laden. Ma
quella scelta assai
discutibile semmai
fu motivata da un ragionevole pessimismo sul futuro della “Coalizione dei
volenterosi”. A giudicare dal fatto
che altri contingenti hanno fretta di
rimpatriare, la situazione non è migliorata. Però tra gli Iraq virtuali in
circolazione da alcune settimane è
in rimonta il più rassicurante. Vuole che le elezioni siano state un decisivo punto di svolta, per l’Iraq e
per tutto il Medio Oriente, su cui
adesso soffierebbe il vento della democrazia. Questa è anche l’impressione di alcuni liberali arabi. Ma l’islamismo arabo “moderato”, probabile beneficiario di elezioni davvero libere, vede le cose diversamente. Non s’entusiasma per le
elezioni in Iraq, tantomeno per le
manifestazioni a Beirut. Non modifica il giudizio sull’invasione dell’Iraq e sugli Usa, che considera una
potenza coloniale. E crede che Washington voglia cambiamenti cosmetici, non la democrazia. Il suo
fiero sentimento anti-americano è
largamente condiviso dalle popolazioni arabe. E rischia di diventare
ciò che finora non è, un sentimento
anti-occidentale. Se questo è vero,
allora dobbiamo chiederci se l’allergia alla verità che colse Aznar all’indomani della strage di Madrid
non sia una malattia del potere. Se
insomma gli establishment occidentali non tendano anch’essi a costruire auto-inganni per non vedere realtà assai poco consolanti.
CANDELE
E FIORI
Qui sopra e
accanto,
Madrid, la
commemorazione
per i morti
nella
strage alla
stazione di
Atocha.
Sotto, gli
oggetti
personali delle
vittime
dell’attacco
terrorista
in cui
morirono 192
persone e
altre 1500
furono ferite
l tavolo di formica in un Mac Donald, una miniera di argilla nelle
Asturie, una casa colonica, la
promisquità di Tribulete, una
chiassosa calle su cui affacciano una
barberia, un ristorante, un call center. Il canovaccio della strage che ha
cancellato 192 vite umane e cambiato per sempre la storia della Spagna annoda oggi i nomi dei suoi responsabili ad una geografia dei luoghi che fissa la memoria e dà misura
della genesi dell’orrore. E’ un prezioso mosaico, che ha preso forma
nei dodici mesi dell’indagine che ha
scritto un primo provvisorio capitolo di quel che accadde l’11 marzo
2004, prima, durante e dopo le dieci
esplosioni delle 7.37 sui treni dei
pendolari. Del perché accadde. Del
come. Nel rassegnare le conclusioni
delle ottomila pagine di istruttoria
che manderà a giudizio entro l’estate 74 tra uomini e donne, quali asseriti mandanti, autori e fiancheggiatori della mattanza, il giudice Juan
Del Olmo ha scritto: «L’11 marzo è
stata opera di tre gruppi, diversi e semiautonomi, uniti dal loro odio per
la Spagna e l’Occidente, per la posizione assunta dal nostro Paese sull’Iraq (…)». Nessun Bin Laden pianificò la strage nel buio di una caverna afghana. Al
contrario – annota Del Olmo –
in un massacro
che reclama oggi
molti padri intellettuali (tra loro
anche l’egiziano
Osman el-Sayed
Ahmed Rabei,
arrestato a Milano e quindi estradato in Spagna),
«l’ideologia integralista salafitajihadista» diventa piano stragista
nel «barrio, nel
quartiere di Lavapies». «Qui trova i suoi autori materiali» e qui si
«autoinnesca». E qualche errore
non impedirà che si compia.
I
***
L’11 marzo, l’orrore arrivò fulmineo. Tra le 7.37 e le 7.40 del mattino.
Quattordici bombe viaggiano con
seimila passeggeri su quattro treni.
Ne esplodono dieci. I morti sono 192,
i feriti 1.500. E’ una macelleria che il
governo Aznar battezza politicamente («E’ stata l’Eta») e che politicamente lo travolge. Perché chi ne è
davvero responsabile non è basco e
ha lasciato tracce importanti: le schede telefoniche dei cellulari utilizzati
per l’innesco di ordigni che non deflagrano e l’esplosivo da cava cui sono collegati: il “Goma 2”. E’ il fotogramma di coda di una sequenza cominciata otto mesi prima. A Madrid,
in gennaio, intorno al tavolo di un
Mac Donald, le cui vetrine guardano
uno dei grandi ospedali cittadini.
Uno di fronte all’altro siedono due
uomini. Il primo ha grandi denti, occhi piccoli e una cicatrice. Ha 34 an-
DIARIO
MARTEDÌ 8 MARZO 2005
LA REPUBBLICA 47
MADRID 11 MARZO 2004
Dieci esplosioni in diverse stazioni di
Madrid provocano 192 morti e 1500
feriti. Al Qaeda rivendica gli attentati. Il
14 marzo i socialisti di Zapatero
vincono le elezioni
LE IMMAGINI
GLI AUTORI
L’11 marzo 2004, il
giorno dell’attentato, la gente di
Madrid scende in
piazza. La Porta del
Sol è invasa da una
folla compatta che
dice “no al terrorismo”, “qui siamo,
noi non ammazziamo”.
E il giorno dopo,
e poi ancora a una
settimana dalla
strage, e a un mese
dalla strage, continuano le manifestazioni: per commemorare i 192
morti nella strage
(e i 1500 feriti), e
per ribadire il no al
terrorismo.
Il Sillabario di Jürgen Habermas è
tratto da “Fondamentalismo e terrore” (in “Filosofia
del terrore. Dialoghi con Jürgen Habermas e Jacques
Derrida” di Giovanna Borradori,
Laterza 2003).
Gilles Kepel, sociologo e arabista,
insegna all’Istituto
di studi politici di
Parigi, dove dirige
il dottorato sul
mondo arabo-musulmano. Tra i suoi
libri più recenti,
“Fitna. Guerra nel
cuore dell’islam”,
Leterza 2004
OTTOMILA PAGINE DI ISTRUTTORIA CHE MANDERÀ A GIUDIZIO MANDANTI, AUTORI E FIANCHEGGIATORI DELLA MATTANZA
ECCO I PIANI DELLA STRAGE
PER COLPIRE L’OCCIDENTE
CARLO BONINI
ni, è marocchino, si chiama Jamal
Ahmidan, ma lo conosco come “il cinese”. Il secondo, è più giovane di lui
di sette anni. E’ spagnolo e si chiama
José Emilio Suarez Trashorras. E’
stato, o forse è ancora, un confidente della polizia. Il “cinese” – lo sanno
tutti nel giro – traffica normalmente
in eroina e hashish, ma questa volta,
curiosamente, ha bisogno di esplosivo. Tanto esplosivo. Trashorras,
che chiama quel marocchino “mowgly”, perché tanto gli ricorda il personaggio del Libro della Giungla, fa al
caso suo. Ha lavorato come minatore alla “Conchita”, una miniera di argilla bianca nelle Asturie. Può facilmente recuperare quello che gli viene chiesto. E lo dimostra. Tra gennaio e la prima metà di febbraio, con
tre viaggi diversi, tre dei suoi “ragazzi” trasportano tra Oviedo e Madrid
tre borse imbottite di 20 chili di Goma 2. Uno di loro, è un minorenne.
Lo chiamano “el Gitanillo”, “lo zinma, alle 11 del mattino, la golf nera
garello”. Se ne fidano e sbagliano.
del Cinese è all’appuntamento in
Perché quando la polizia, dopo l’11
miniera. In macchina con lui,
marzo, arriva a lui, lui non smette più
Mohammed Oulad e Andennabi
di parlare. Anche
Kounjaa. Fanno
se questo, ormai,
un primo carico.
non può più salChe ripetono il
vare nessuno.
giorno successiCIFRE
Il “Gitanillo”
vo. Ancora una
racconta dunque
volta con la golf
che, testata la
nera e con una
merce, il Cinese
seconda macchidecide di fare sul
na, una Toyota
serio. Il 27 febCorolla prestata
braio Trashorda Trashorras. E’
ras, che è appena
domenica 29 febrientrato a Oviebraio. Nel bagado dalla sua luna
gliaio di ciascuna
di miele, si presenta all’ingresso deldelle due vetture sono ora 200 chilola “Conchita”. Parla con due minagrammi di Goma2. Le due macchine
tori. Telefona al cinese e lo avverte
si mettono in movimento per rienche la “cosa” è per il giorno succestrare a Madrid.
sivo. Il 28 febbraio, un sabato. Quel
Alle 7.37 dell’11 marzo mancano
giorno, le Asturie sono sotto la neve,
soli 11 giorni. E il destino dà agli uo-
‘‘
,,
L’ordine arrivò tra le
7.37 e le 7.40 del
mattino. I morti furono
192, i feriti 1500
JAVIER MARIAS
mini un’ultima possibilità per deviarne il corso. Alle 16,25, sulla statale N-623, a 19 chilometri da Burgos, una pattuglia della “Guardia Civil” ferma la Toyota Corolla guidata
dal “Cinese”. Viaggia a 84 chilometri orari. Oltre il limite. L’agente porta la mano al basco e chiede a quel tipo dai tratti non spagnoli che sorride facendo mostra dei denti, patente di guida, libretto di circolazione e
assicurazione. Il Cinese ha solo la
patente, che risulta rilasciata in Belgio all’uomo che lui dice di essere,
Youssef Ben Salah. Non ha né libretto, né assicurazione, perché la macchina su cui viaggia (forse lui non lo
sa) è stata rubata a Madrid nel settembre del 2003. L’agente chiama la
centrale per un controllo, si prepara
a chiedere al conducente di scendere e aprire il bagagliaio. Ma nevica,
le comunicazioni radio sono interrotte, e con la centrale non si riesco-
FERNANDO SAVATER
Tredici bombe sono scoppiate di
mattina presto, quando i treni
locali sono pieni di gente che va
al lavoro, di studenti che vanno
a scuola, di persone assonnate
che si sono appena svegliate
Vedo infine compiuto il
massacro, quel massacro
che si andava cercando almeno
da Natale, quei chili di
esplosivo che questa volta
non si è riusciti a intercettare
Quel silenzio la mattina
presto
Autopsia di una strage che
cambia la Spagna
AMOS OZ
MICHAEL WALZER
Per Bin Laden per difendere
l’islam bisogna non solo colpire
l’Occidente, e colpire duro,
bisogna alla fine convertire
l’Occidente. Bin Laden
fondamentalmente vi ama
Se, negli Stati Uniti o in Europa
occidentale, circolano persone
che pensano e vogliono mettere
bombe in luoghi pubblici,
schiantarsi con gli aerei sugli
edifici, bisogna occuparsene
Contro
il fanatismo
La libertà
e i suoi nemici
LA PIAZZA
Sotto, Madrid,
un mese dopo
la strage di
Atocha: una
ragazza
musulmana a
una
manifestazione
contro il
terrorismo
no a controllare i dati di quella Toyota. Restituisce la patente. Augura
buon viaggio e chiede di fare più attenzione.
***
La notte di domenica 29 febbraio,
a Chinchon, 35 chilometri da Madrid, in una casa colonica riparata da
filari di ulivi, sulla piana del fiume
Tajuna, c’è qualcuno che grida felice.
La Goma2 è arrivata. La neve delle
Asturie sembra lontanissima. L’esplosivo va solo confezionato e con
attenzione ne devono essere preparati gli inneschi. E’ lavoro di una settimana. Per il “Cinese”, certo, ma soprattutto per l’uomo dei “telefonini”.
Jamal Zougam, 31 anni, il marocchino che veste “Lacoste”, gira in Kawasaki e a cui piacciono tanto quelle ragazze dell’est con il piercing all’ombelico che invita di tanto in tanto in
campagna per i suoi barbecue. Come
per l’ultima festa nella domenica che
precede la strage. Sulla griglia carne
macellata secondo il rito e 400 chili di
dinamite nascosti dietro il pollaio per
fare scempio della Spagna.
Zougam, che sarà il primo degli
arrestati per la strage, svelandone la
paternità alla vigilia del voto, non è
solo un nome. È il lacerto su un grumo di odio che
Madrid ha nella
sua pancia, nel
barrio di Lavapies, a un passo
dalla Porta del
Sol. Cinquanta
etnie e una a farla
da padrone,
quella marocchina. Jamal Zougam è il proprietario del “Locutorio nuevo siglo”, il call center
da dove arrivano
le schede dei telefonini per gli inneschi. E’ un tratto della calle Tribulete, il vicolo dove affacciano non
solo le vetrine del suo “Locutorio”,
ma anche quelle del ristorante
“Alhambra”, della barberia “da Abdou” (oggi chiusa). Sono trecento
metri di strada stretta, chiassosa, allegra. Dove la sera – lo sa ogni madrileno – compri buon hashish a buon
prezzo. E dove Jamal arruola, coinvolge, contagia. L’11 marzo trova qui
i suoi macellai che – raccontano ora
- «bevevano acqua della Mecca» nella barberia dove si ritrovavano. Per
«purificarsi» e prepararsi alla Jihad.
Strappando il sorriso agli anziani per
tanta sbruffoneria priva di senso e rigore religioso (l’«acqua della Mecca» è un’invenzione, una burla).
Invece l’orrore incubava. E l’11
marzo avrebbe poi avuto il suo 3
aprile, con i “maritiri” di Leganes assediati dalla polizia e suicidi in un apparatmento di periferia. Quel giorno, dilaniato dalla Goma 2, il “Cinese” sarebbe stato cancellato con sei
degli uomini della sua cellula assassina. Ma neppure così la Spagna
avrebbe ritrovato la sua pace.
I LIBRI
RENZO
GUOLO,
FEDERICO
ROMERO
America/Isla
m. E adesso?
Donzelli 2003
MARK
JUERGENS
MEYER
Terroristi in
nome di Dio
Laterza 2003
KHALED
FOUAD
ALLAM
Lettera a un
kamikaze
Rizzoli 2004
MAGDI
ALLAM
Kamikaze
made in
Europe
Mondadori
2004
JOHN GRAY
Al Qaeda e il
significato
della
modernità
Fazi 2004
SERGIO
ROMANO
Anatomia del
terrore.
Colloquio con
Guido Olimpio
Rizzoli 2004
BRUNO
ETIENNE
L’Islamismo
radicale
Rizzoli 2001
MICHAEL
WALZER
La libertà e i
suoi nemici
Laterza 2003
Sulla guerra
Laterza 2004
CHRISTOPH
REUTER
La mia vita è
un’arma.
Storia e
psicologia del
terrorismo
suicida
Longanesi
2004
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Il giorno in cui Al Qaeda attaccò l`Europa