TANTO DI COPPOLA
“Un’idea per una nuova idea di coppola”
Quando qualcuno mi chiede com’è nata l’idea di questa mostra, non so bene da dove
cominciare. Ma andiamo con ordine. Una sera di sei anni fa, il mio amico fraterno
Guido Agnello, di passaggio a Milano, mi parlò di un certo suo progetto di rilancio
dell’artigianato siciliano nel mondo e più in generale dell’immagine stessa della
Sicilia attraverso un attento merchandising culturale. La messa a reddito del
patrimonio artistico del territorio e una rete di comunicazione informatica, di
progettazione e distribuzione organizzata da un centro “intelligente” e
aggiornatissimo.
L’idea mi piacque subito; da questo all’esserne coinvolta fu tutt’uno. Seguirono anni
di programmi condotti sempre con grande entusiasmo, alcuni andati anche in porto,
altri arenati nelle secche della macchina burocratica, pigra e vorace come in ogni
altro luogo e forse più. In ogni modo “Palazzo Intelligente” era nato, più tardi
sarebbe diventato Fondazione, e i suoi progetti interessavano vivamente l’Unione
Europea e fra mille difficoltà andavano avanti. Collaborare con il suo presidente
Guido Agnello in qualità di “consigliere del Principe” non era per me solo un gesto di
amicizia personale, ma un modo di esprimere l’amore per la Sicilia, la sua storia, la
sua gente. Un amore che viveva in me sin dai primissimi anni Settanta, quando
sulla Sicilia avevo curato un intero numero speciale di “Casa Vogue” (la rivista che
avevo fondato e diretto per un intero quarto di secolo fino al ‘93). Su quelle pagine
avevo cercato di raccontare non solo il fascino dei vecchi palazzi e l’interesse di
qualche nuova architettura, ma di far capire la singolarità di certi modi di abitare,
di vivere, di lavorare; non solo la bellezza dei paesaggi, ma anche delle cose più
semplici; l’artigianato più nobile, ma anche quello più umile e le tradizioni che già
allora andavano perdendosi e minacciavano di scomparire. Quella di fare in modo di
aggiungere futuro alla loro vita, mi pareva ora una sfida irrinunciabile.
L’amore per la Sicilia era poi cresciuto di pari passo all’amicizia per le persone che
vi ho incontrato e via via che scoprivo altri bellissimi luoghi, via via che trascorrevi
stagioni felici insieme al mio compagno di vita, Franco Ottolenghi, sull’isola di
Filicudi nelle Eolie.
Ma forse era un amore che mi portavo dentro da sempre senza saperlo, faceva
parte delle mie radici più antiche, che risalgono a uno o due rami della mia famiglia,
che secoli fa abitarono contrade siciliane.
Perciò quando mi chiedono quando e come è nato il primo germe di questa mostra,
mi viene voglia di scavare sempre più a fondo, di risalire sempre più lontano.
Ma l’occasione vera fu l’incarico alla Fondazione di studiare il modo di rilanciare
l’attività degli artigiani del centro storico di Palermo. Nel rilevamento delle varie
attività artigiane esistenti su questa porzione di territorio, notai che la mappa
tracciata segnalava anche la presenza di qualche “coppolaro”.
Facile, soprattutto con il sapiente aiuto di un esperto del settore artigianato,
l’architetto Ugo La Pietra, pensare al rilancio di argentieri e ceramisti, pupari e
decoratori. Ma che cosa fare con queste coppole, che avevano assunto una
connotazione così negativa, una coloritura mafiosa tale da suscitare antipatia e
diffidenza?
L’unico modo di salvare un oggetto in questi casi è quello di azzerarne l’immagine e
riprogettarla, ripartendo forse dalle origini. Pensai che avrei potuto chiedere il
regalo di farlo a molti amici miei che sono anche i migliori creativi di cui il
panorama progettuale odierno dispone in Italia: artisti, Stilisti, architetti, designer
ai quali va tutta la mia gratitudine.
Pensai che si poteva ricavarne una mostra da far girare per il mondo.
Pensai che le nuove coppole potevano essere fotografate sulla testa di ragazzi e
ragazze giovani, allegri simpatici anche buffi ma sorridenti facce serene facce pulite
capaci di far vedere che molto dipende anche da chi la porta questa nuova coppola;
e come. Pensai che con questi ritratti, uniti ai documenti fotografici e scritti
raccolti, si poteva fare un libretto-catalogo, e con una dozzina dei migliori anche un
manifesto gigante; e allora mi ricordai che qualcosa di simile era stato fatto, di
recente, per riscattare l’immagine del luogo siciliano per eccellenza, Corleone,
attraverso i ritratti dei suoi giovani, inquadrati dall’obiettivo sicuro e preciso di
Oliviero Toscani, con il suo stile inconfondibile.
Dicevano, quei ritratti: ecco guardateci, così siamo; abbiamo forse una faccia da
mafiosi? Dimentichiamo il passato noi siamo il presente e il futuro.
Un futuro con la faccia pulita. Telefonai allora da Palermo all’amico Oliviero. Restò
un attimo perplesso: “Sai che un’iniziativa simile voleva attivarla l’architetto
Turtula in un altro comune che sorge in territorio di mafia? Il comune è quello di
San Giuseppe Jato, Turtula è un suo consulente, così come era consulente di
Corleone quando mi aveva cercato per l’operazione ritratti”.
Così fu che avvenne l’incontro fra chi voleva aiutare i “coppolari” rinnovando
l’immagine della coppola e insieme quella della Sicilia stessa, e chi voleva aiutare la
gente di san Giuseppe Jato, riscattandola da una triste notorietà e creando
occupazione e benessere. Telefonai all’architetto Turtula: gli interessi della
Fondazione Palazzo Intelligente e quelli dell’amministrazione comunale
coincidevano, le loro strade si incrociavano e da quel crocicchio potevano
proseguire insieme. Già la giovane sindaco-donna di San Giuseppe Jato, Maria
Maniscalco, aveva manifestato interesse per l’attività della Fondazione, così come
molti altri sindaci di comuni siciliani, primo fra tutti il sindaco di Palermo, Leoluca
Orlando, il quale ne aveva addirittura assunto la presidenza onoraria, insieme con il
parlamentare europeo Luigi Colajanni, intellettuale sensibile e fine politico. A Luigi
e Gioe Colajanni, in particolare, sono sempre grata per l’affettuosa ospitalità con cui
mi hanno accolta nella loro bella casa per tutto il tempo in cui ho lavorato a
Palermo.
Quando si trovano dei partecipi compagni di strada, lavorare è più facile. Non si
trattava più di fare solo una mostra. L’entusiasmo si allargava a macchia d’olio. Non
soltanto San Giuseppe Jato – dove un dinamico imprenditore Giuseppe Taormina, si
offrì di aprire una piccola manifattura, la Sangiuseppe s.p.a., per fabbricare le
nuove coppole -; ma tutta la Sicilia scopriva una voglia di riscatto da esprimere
subito, cominciando con l’andare a “coppola alta”, come ha scritto Riccardo Agnello
sulla sua rivista “Mondello Lido”.
Man mano che da Milano andavo raccogliendo in tutta Italia i progetti di una
trentina di creativi – pronti ad offrire le loro idee per una nuova idea di coppola – e
documenti sui vari modi della coppola nel tempo e nel mondo, a Palermo tutta la
Fondazione lavorava intensamente a tradurre quelle idee in realtà, a preparare la
mostra, a comunicare e promuovere l’intera “operazione coppola”.
La mostra “Tanto di coppola” non era più soltanto una mostra.
Era diventata un simbolo.
Isa Tutino Vercelloni
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