ERMIONE Libretto di Andrea Leone Tottola Musica di Gioacchino Rossini Pesaro Rossini Opera Festival TEATRO COMUNALE G. ROSSINI 22 agosto 1987 Ermione Andromaca Astianatte Pirro Oreste Cleone Pilade Fenicio Cefisa Attalo Monserrat Caballé Marilyn Horne Enrico Gimelli Chris Merritt Rockwell Blake Daniela Lojarro Giuseppe Morino Giorgio Surjan Paola Romanò Enrico Facini Maestro concertatore e direttore Gustav Kuhn Maestro del coro Ferenc Sapszon Scene e costumi Enrico Job Regia Roberto De Simone Orchestra Giovanile Italiana Coro di Radio Budapest Ancella La scenografia di Ermione,nell’allestimento di De Simone e Job,era un’impianto fisso, a cornici concentriche, di legno naturale e stucchi bianchi, dall’effetto prospettico “a cannocchiale”. Snelle colonne bianche modellate e principali dipinti scandivano le varie scene. Sul fondo, al centro, un portale, come di un palazzo patrizio della Napoli della Restaurazione borbonica. L’invenzione scenografica lasciava spazio soprattutto alla musica,e così la regia che aveva ridotto le azioni al minimo,abbandonandosi totalmente all’emozione musicale di un Rossini splendidamente maturo (n. d. r.). “Il fascino di quest’opera? – viene domandato a De Simone – Ma è un capolavoro musicale tale che anche il movimento scenico è riduttivo rispetto alla rilevanza musicale. Lavorarci significa avvicinarsi all’opera con tutto il rispetto possibile e un desiderio apprensivo di rendere al massimo la visualizzazione di un capolavoro di musica… tutta l’opera sembra costituire un’operazione di revival, con il fondale che riproduce la scena del famoso sipario ritrovato del Teatro Rossini... Ma l’idea va oltre: il coro è vestito in abiti borbonici, per dare l’impressione di una società nostalgica di canoni estetici e comportamentali di un’altra epoca, che tiene in vita il neoclassicismo con un’operazione di gusto artificiale, per riaffermare quei valori estetici. Solo che poi quello che agisce nella vicenda va al di là dell’estetismo neoclassico, preannuncia, come dicevo, drammi romantici” (L. Nice., Delirio di morte per eroi negativi, Il Corriere Adriatico, 15 agosto 1987). “Al Rossini s’incontra proprio De Simone solo, incantato, nella sala deserta illuminata dalle mezze luci, che risponde alla quieta, penetrante bellezza della scena. Gira felice nell’universo fittizio, per lui più vero del vero, che Job gli ha costruito. La storia di Ermione, in questo allestimento pesarese, rispetta ed esalta un’ideale purezza delle forme assai cara all’artista napoletano, pur essendo, di per sé, scontro di forti passioni, deflagrazione di magni, duri, tragici sentimenti” (Rita Sala, Ermione, orgia del potere, Il Messaggero, 19 agosto 1987). “È l’epoca della dura repressione borbonica, – spiega De Simone – quando si restaura il potere assoluto dopo il ’99 e il periodo murattiano. Non credo che sia Ermione, in De Simone and Job’s production, had a fixed set, in concentric frames, of natural wood and white stucco, creating a “telescopic” effect of perspective. Slender white modeled columns and painted essentials marked out various scenes. At the back, in the centre, there was a portal, like that of a noble Neapolitan palace of the Bourbon Restoration.The set design left space above all for the music, as did the direction, which reduced the actions to the minimum, abandoning itself totally to the musical emotion of a splendidly mature Rossini (ed.). When De Simone was asked what was the fascination of this opera, he answered,“It is such a musical masterpiece that even the movement on stage is reductive compared to its musical importance. Working on it means coming closer to the opera with the greatest possible respect and an apprehensive desire to lend the greatest possible visual expression to the musical masterpiece... The whole opera seems to constitute an operation of reproduction, with the backdrop which restores the scene of the famous, recently restored original curtain of the Teatro Rossini... But the idea goes beyond this: the chorus is dressed in Bourbon costumes to create the impression of a society which is nostalgic for the aesthetic and behavioural canons of another time and which keeps neo-classicism alive as an operation of artificial taste in order to reaffirm these aesthetic values. But what happens in the plot goes beyond neo-classical aestheticism, and, as I was saying, heralds romantic drama” (L. Nice., Delirio di morte per eroi negativi, Il Corriere Adriatico, 15 August 1987). “At the Teatro Rossini we come upon De Simone himself, alone, bewitched, in the deserted theatre illuminated by dimmed lights, who responds to the quiet, penetrating beauty of the set. He wanders happily in this pretend universe, for him more real than reality, which Job has constructed.The story of Ermione, in this production in Pesaro, respects and enhances an ideal purity of forms much cherished by the Neapolitan artist, even though it is in itself a clashing of strong passions, a conflagration of great, harsh, tragic sentiments (Rita Sala, Ermione, orgia del potere, Il Messaggero, 19 August 1987). “This was the period of Bourbon repression”, explains De Simone, “when absolute 13 (pagina seguente) Ermione. La grotta del sipario storico del “Rossini” di Pesaro, priva dei personaggi 138 un caso che Barbaja e Rossini abbiano scelto proprio L’Andromaca di Racine.Pirro è rappresentato come un simbolo della centralità e della verticalità del potere assoluto, così abbiamo scelto con Enrico Job di ambientare l’opera all’epoca in cui fu rappresentata. Ecco allora i prigionieri troiani vestiti da lazzari napoletani e il coro nei panni di cortigiani borbonici. Per i protagonisti della vicenda, invece, immagini e costumi dal ‘teatro del coturno’, secondo un gusto tipicamente neoclassico” (Matilde Passa, Il Rossini segreto non finisce mai, l’Unità, 22 agosto 1987). “Nell’affrontare la partitura – dice De Simone – mi sono reso conto con Job che ci si doveva basare su due presupposti fondamentali: che il testo di parola, l’Andromaca di Racine, diventa, nell’opera di Rossini, teatro del bel-canto; che i temi personali dimostrano ancora una volta come i figli non imparino mai nulla dai loro padri… ma mi interessava anche l’aspetto storico-politico del regicidio di un monarca assoluto, in relazione ai tempi in cui l’opera venne rappresentata” (Armando Caruso, Caballè: Io, schiava di Ermione, La Stampa, 22 settembre 1987). “L’Ermione che originariamente era stata pensata in quattro atti da Rossini – afferma Job – in questa edizione è stata risolta in due tempi… Ad apertura di sipario assistiamo al pianto dei prigionieri troiani nella prigione. Poi si svela una sorta di tunnel, una serie di cerchi concentrici in prospettiva, ventre cupo della tragedia, con fioriture decorative però, come il canto rossiniano. La gioia del bello è per Rossini-Racine una condizione vitale anche nella tragedia” (Anonimo, Job:“Un ventre di fiori per Racine”, La Stampa, 22 settembre 1987). Concorrevano a creare questo mondo fittizio, antirealistico e “meraviglioso”, tutti gli oggetti di scena,are,troni e la scultura della fiamma dell’amore di gusto arcadico.I giudizi della critica furono discordanti:una buona parte apprezzò l’impianto scenico-registico,godendo dell’andamento solenne ed estroso e dell’opulenza figurativa della messinscena; altri, sottolinearono la disarmonia degli elementi stilistici che componevano la scenografia, a loro parere non del tutto idonea ai conflitti rappresentati (n. d. r.). “Tale dimensione irreale ha trovato un preciso riscontro nelle scene e nei costumi di Job, oscillanti tra mondo classico e mondo borbonico e nelle acrobazione belcantistiche dei protagonisti” (Maria Rita Tonti, L’Ermione dopo 168 anni, Il Nuovo Amico, 8 novembre 1987). “Tra fregi Luigi XV, paesaggi che ricordano l’Arcadia e le cineserie, fra colonne sceniche in morbidi ovali, De Simone e lo scenografo-costumista Enrico Job lasciano che i personaggi della tragedia, quelli veri, portino, teatro nel teatro, gli abiti della tragedia greca” (Mario Pasi, Tante “stelle” rossiniane per Ermione, Corriere della Sera, 24 agosto 1987). “… realizzando una fuga prospettica di arcate lignee circolari come una carena, ma con il singolare effetto che si ha quando si guardano da sotto in su gli affreschi di una cupola barocca, qui però stilizzata secondo i canoni neoclassici. Entro questa cornice sono calati, fra elementi paesaggistici e architettonici, fra i personaggi splendidamente togati della tragedia, i testimoni coevi all’opera in costumi d’epoca napoleonica. E il capriccio si fa più complesso ma sorvegliatissimo nel gusto arcadico impresso da De Simone e nel tocco di ‘naiveté’ dei prigionieri intorno a un’Astianatte ignudo come uno scugnizzo. La messinscena ha così un andamento solenne ed estroso nella sua opulenza figurativa, cui la musica, specie per la direzione salda e infiammata di Kuhn, assicura una vitale grandiosità” (Gianni Gori, Miracolo ‘Ermione’, Il Piccolo, 24 agosto 1987). “Roberto De Simone ed Enrico Job hanno ben centrato la particolare rivisitazione del soggetto classico relegandolo su uno sfondo dove l’olimpica serenità, le immacolate suggestioni coloristiche e architettoniche, i velati riferimenti paesaggistici di un’epoca lontana rivivono come oggetti filtrati dalla memoria, racchiusi all’interno circolare dalla geometria conchiusa, immutabile e perfetta delle forme antiche, al di qua della quale invece con concitata e icastica evidenza fremono e pulsano le umane passioni e si delinea inesorabile l’incombere del fato.Una scenografia elegante e prodiga di appaganti suggestioni visive,con costumi anch’essi deputati a fungere da spartiacque, sulla loro differenziata foggia d’età neoclassica e d’età della Restaurazione, del recupero del mito in atteggiamento di maggiore modernità” (Fabio Brisighelli, La musa nuova e dolente dell’impervia ‘Ermione’, Il Corriere Adriatico, 24 agosto 1987). “La regia di De Simone – scene e costumi anch’essi sono ispirati in tal senso – non cerca deliberatamente di sovrapporsi al ruolo della musica ovvero alle ragioni del bel canto. Anzi l’asseconda proponendo un impianto neoclassico” power was restored after 1799 and Murat’s repression. It is no coincidence that Barbaja and Rossini chose Racine’s Andromache. Pyrrhus is represented as a symbol of the centrality and verticality of absolute power, so we decided, with Enrico Job, to set the work in the period in which it was written. So we have Trojan prisoners dressed as Neapolitan beggars, and the chorus in the attire of Bourbon courtiers. For the main characters, there are the images and costumes of ‘buskin theatre’, according to typically neo-classical taste” (Matilde Passa, Il Rossini segreto non finisce mai, l’Unità, 22 August 1987). “In tackling the score”, De Simone says,“I realized, together with Job, that we had to proceed on the basis of two assumptions: that the written text, Racine’s Andromache, becomes a work of ‘bel canto’ in Rossini’s opera, and that the personal themes demonstrate once again that sons never learn anything from their fathers... But I was also interested in the historical-political aspect of regicide in an absolute monarchy, in the light of the period in which the opera was produced” (Armando Caruso, Caballè: Io, schiava di Ermione, La Stampa, 22 September 1987). “Ermione, which was originally conceived in four acts”, explains Job, “has, in this production, been reduced to two parts... The curtain rises upon the lamenting of the Trojan prisoners in the prison.Then a kind of tunnel is revealed, a series of concentric circles in perspective, the dark belly of the tragedy, but with decorative flourishes, like Rossini’s music.The joy of the beautiful is, for Rossini and Racine, a vital condition, even in tragedy” (anon., Job: “Un ventre di fiori per Racine”, La Stampa, 22 September 1987). All the props contributed to making this fictional, anti-realistic and “marvellous” world: altars, thrones and the Arcadian style sculpture of the flame of love. The critics were divided: many appreciated the director and set designer’s format, appreciating the solemn, moody development and the visual opulence of the staging. Others stressed the clashing of the stylistic elements of which the set design was composed, maintaining that it was not entirely suited to the conflicts represented (ed.). “This unreal dimension was reflected in Job’s sets and costumes, which oscillated between the classical and Bourbon worlds, and in the ‘bel canto’ acrobatics of the main characters” (Maria Rita Tonti, L’Ermione dopo 168 anni, Il Nuovo Amico, 8 November 1987). “Amid Louis XV friezes, landscapes reminiscent of Arcadia and chinoiserie, and soft, oval columns, De Simone and set and costume designer Enrico Job have allowed the true characters of the opera to wear the costumes of Greek tragedy, a play within a play” (Mario Pasi, Tante “stelle” rossiniane per Ermione, Corriere della Sera, 24 August 1987). “... achieving a ‘trompe d’oeil’ of arched circular lines like the keel of a ship, but with the singular effect of looking up at the frescos inside a baroque dome, here, however, stylized according to neo-classical canons. And into this frame, amid the elements of architecture and landscape, amid the main characters of the tragedy in their splendid togas, have entered witnesses contemporary to the opera, dressed in the costumes of the Napoleonic era.And the game becomes more complex, but extremely well-controlled, in the Arcadian taste impressed upon it by De Simone and in the touch of naiveté in the prisoners around Astyanax, who is naked as a street urchin.The staging therefore has a solemn and moody development in its visual opulence, for which the music, especially under Kuhn’s firm, impassioned direction, ensures a vital grandiosity” (Gianni Gori, Miracolo ‘Ermione’, Il Piccolo, 24 August 1987). “Roberto De Simone and Enrico Job have well centred their particular representation of the classical subject, placing it against a backdrop in which Olympian serenity, immaculate effects of colour and architecture and veiled references to landscapes of long ago take on a new life as objects filtered by the memory, enclosed within the circular interior which has the closed, unchanging, perfect geometry of ancient forms, but in front of which human passions seethe and pulse with excited, figurative evidence and the inexorable course of destiny is played out.The set design is elegant and full of satisfying visual effects, with costumes with also have the role of functioning as watersheds, on their differentiated style of neo-classical and Restoration ages, of recovery of the myth in an attitude of greater modernity” (Fabio Brisighelli, La musa nuova e dolente dell’impervia ‘Ermione’, Il Corriere Adriatico, 24 August 1987). “De Simone’s direction deliberately attempts not to substitute the role of the music, the purposes of ‘bel canto’, and set design and costumes are also similarly (Franco Chieco, L’Ermione di Rossini un vortice di passioni, La Gazzetta del Mezzogiorno, 24 agosto 1987). “L’atmosfera drammatica contrasta con l’allestimento scenico di Job che appare come una sontuosa recita di corte: un re, una regina e alcuni principi decidono un giorno di recitar cantando, si vestono da eroi e tutti i loro dignitari, le loro dame di compagnia li assecondano pur senza indossare abiti di scena. Da questo contrasto lo stupore e lo stravolgimento che costringe lo spettatore all’abbandono emotivo o sull’onda di una ‘visione musicale’ altissima, o del sogno e dell’immaginario colto, facilitato da una regia, quella di De Simone, che non ha mai impostato a realtà nessun gesto o atteggiamento. Insistendo anzi su alcune astrazioni esasperate, giochi di corte, petali e coriandoli per riti d’amore, al limite del kitsch” (Ivana Baldassari, Una ‘Ermione’ di protagonisti, Il Resto del Carlino, 24 agosto 1987). “Roberto De Simone ed Enrico Job non hanno inventato una drammaturgia visiva.Tutto procedeva secondo un disegno oratoriale, con qualche sottolineatura ironica non sempre motivata, ma l’accostamento di costumi napoleonici e di un finto arcaismo era suggestivo” (Mario Messinis, Dedizione e furore, Il Gazzettino, 24 agosto 1987). “La regia di De Simone e le scene di Job – spiega Gustav Kuhn – hanno osato mostrare non i greci contemplati dalla storia, bensì la grecità contemplata da Rossini e dalla sua epoca, qualcuno s’è trovato a disagio” (Rita Sala, Rossini val bene uno scontro, Il Messaggero, 25 agosto 1987). “E tutti stanno con i loro gesti abituali e tradizionali, in costumi mirabili come fuori dal tempo, fra i cori in abiti borbonici o Impero, nella gran scena a cannocchiale che Job ha stilizzato con mano da scultore d’alta classe, a disegnar figure in cui la regia di Roberto De Simone ha sintetizzato le componenti francesi e napoletane, armonizzate e contraddittorie, di quest’opera che pare aprire, non volendolo, l’Ottocento, rimanendo inimitabile” (Lorenzo Arruga, L’occasione fa il direttore, Panorama, 1 settembre 1987). Pirro 140 inspired. Indeed, it supports it, by presenting a neo-classical set” (Franco Chieco, L’Ermione di Rossini un vortice di passioni, La Gazzetta del Mezzogiorno, 24 August 1987). “The dramatic atmosphere contrasts with Job’s set design, which has the appearance of a sumptuous court recital: one day a king, a queen and some other princes decide to give a sung performance and dress up as heroes, and all the court dignitaries and ladies in waiting join in without dressing up. It is this contrast which provides the amazement and disorientation which forces the audience to abandon itself emotionally, either on the wave of an extremely high ‘musical vision’, or on that of a dream and of the cultivated imagery of the opera, facilitated by De Simone’s direction, which has not based any gesture or attitude on reality. On the contrary, he insists upon certain exaggerated abstractions, bordering on the kitsch: courtly games, petals and confetti for the rituals of love” (Ivana Baldassari, Una ‘Ermione’ di protagonisti, Il Resto del Carlino, 24 August 1987). “Roberto De Simone and Enrico Job have not invented a visual dramaturgy. Everything proceeded according to an oratorial plan, with a few, not always justified, ironic emphases, but the juxtaposition of Napoleonic costumes alongside a fake archaism was effective” (Mario Messinis, Dedizione e furore, Il Gazzettino, 24 August 1987). “De Simone’s direction and Job’s scenery”, explains Gustav Kuhn, “dared to display not the Greeks as seen by history, but Greekness as seen by Rossini and his period. Some people were uncomfortable with this” (Rita Sala, Rossini val bene uno scontro, Il Messaggero, 25 August 1987). “And everyone is there, with their habitual, traditional gestures, in costumes which are admirable because they are timeless, amid choruses in Bourbon or Empire garb, on the big, telescopic set which Job has styled with the hand of a top-class sculptor, cutting figures in which the direction of Roberto De Simone has synthesized the harmonized and contradictory French and Neapolitan components of this opera, which appears to open up the nineteenth century without wishing to and remains inimitable” (Lorenzo Arruga, L’occasione fa il direttore, Panorama, 1 September 1987). Oreste