Teatro
Carlo Cocconi
SALVACONDOTTO
- Atto Unico -
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INDICE
Personaggi, luoghi, periodo
p. 3
SALVACONDOTTO
p. 4
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Personaggi:
Lenny Smith, assicuratore, aspirante scrittore, 30 anni.
Samuel Donenberg, ricco industriale, 70 anni.
Jennifer, moglie di Donenberg, 25 anni.
Frank Gordon, principale di Lenny, 50 anni.
Wendy, editore, 40 anni.
Kate, vice di Wendy, 35 anni.
Ada, cameriera di Jennifer, 40 anni.
Luoghi:
New York, redazione di una casa editrice (a sinistra del palco
verso il proscenio), soggiorno in casa di Samuel Donenberg (a
destra del palco in fondo), ufficio di Frank Gordon (a destra del
palco verso il proscenio), soggiorno in casa di Lenny Smith (a
sinistra del palco in fondo).
Periodo:
Anni ’30 del Novecento.
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QUADRO PRIMO
Wendy, Kate, Lenny Smith.
Redazione della casa editrice, ufficio di Wendy e Kate. La stanza è
arredata con mobili dal taglio lineare, funzionale, ambiente sobrio,
elegante. Wendy è seduta alla scrivania intenta a leggere un manoscritto,
Kate sta in piedi vicino alla finestra, guarda fuori, una matita in mano che
tamburella contro la tempia. Le luci si alzano lentamente con musica jazz
in sottofondo che sfuma alle prime battute di dialogo. Subentra il
ticchettio, prima sommesso poi amplificato, di un orologio che non si
vede.
WENDY – (Si alza dalla scrivania dopo aver chiuso il manoscritto. Lo
indica a Kate) Lo hai letto? Che ne pensi?
KATE – Uno su cui si può puntare. L’idea del baseball è nuova.
WENDY – (Guarda Kate con aria furba) Ammetti che ti sei presa
una cotta per questo pivello.
KATE – (Sorride) Lo sai che m’innamoro facilmente. Se la penna
è buona passo sopra a tutto. Questo qui, comunque, ha le
carte in regola. Potrebbe essere quello giusto. Non credi?
WENDY – A quanto pare. Tuttavia sembra un po’ deboluccio …
come persona intendo, il carattere. Lo hai chiamato?
KATE – Per te se non sono eroi non li guardi nemmeno.
Dovrebbe essere qui … (guarda l’orologio) adesso.
WENDY – Vediamo se è puntuale, sarebbe già un buon inizio.
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Squilla il citofono, Kate risponde.
KATE – Fallo passare, grazie. (Ripone la cornetta; rivolta a Wendy)
Allora?
WENDY – (In tono accondiscendente) Mh, staremo a vedere.
Entra Lenny, vestito elegante, di
soprabito, cappello in mano, come chi va
E’ visibilmente emozionato. Il ticchettio
ancora udibile e lo sarà per tutta la durata
scuro, giacca, cravatta, gilè,
a un appuntamento importante.
dell’orologio si abbassa ma è
del quadro.
KATE - (Gli va incontro; Wendy rimane seduta a osservarlo)
Buongiorno mister Smith. Posso chiamarla Lenny, senza
tante
formalità?
LENNY – Buongiorno. Certo, con piacere (rimane in piedi in mezzo
alla stanza senza sapere cosa fare).
KATE - Si accomodi, prego (gli indica una delle due sedie davanti
alla scrivania dove è seduta Wendy; Lenny non si muove). Le
presento Wendy, la responsabile dell'ufficio editoriale, (con
scherzosa magniloquenza) il deus ex machina della nostra
piccola casa editrice. Io sono Kate.
LENNY - (Porge la mano con deferenza) Molto piacere mistress
Wendy. Piacere mistress Kate.
WENDY - Non faccia caso a Kate, le piace scherzare. In realtà
se non ci fosse lei, ben poco qua dentro andrebbe avanti.
Comunque è vero, siamo una piccola casa editrice, ma
facciamo del nostro meglio per pubblicare grandi autori.
LENNY - Per me è un onore essere qui. Quando, due mesi fa,
ho spedito i miei raccontini non avrei mai pensato che ...
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WENDY - Sì, sì, la ringrazio Lenny, ma, se non le spiace,
andrei subito al sodo.
LENNY - Ah, certo, certo, è la cosa migliore (si toglie il
soprabito, finalmente si siede).
WENDY- Bene. Allora: i suoi racconti. Li ha letti prima Kate.
Lei legge tutto quello che arriva, se le piace passa a me.
Kate è una lettrice veloce, io no, per questo ci siamo divise
i compiti in questo modo …
KATE - Non è proprio così, ma ti ringrazio del complimento ...
WENDY - (La guarda sorridendo) Dicevo, se a Kate qualcosa
piace me lo segnala. Raramente fa cilecca, io ho completa
fiducia nel suo giudizio. E i suoi “raccontini”, come li
chiama lei, ci sono piaciuti.
LENNY - Bene, bene ...
WENDY - (Sottolineando gli aggettivi) Quello che abbiamo trovato
curioso, piacevolmente curioso, e nuovo, è il ritratto che
lei fa del mondo del baseball. Trasformare in racconto, e
per giunta avvincente, (guarda Kate in cerca di assenso) una
partita di baseball …
KATE - … gli allenamenti …
WENDY - … i prepartita …
KATE - … i dopopartita …
WENDY - … il mondo dei dirigenti …
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KATE - … degli allenatori ...
WENDY - … le trasferte ...
KATE - … le vittorie e le sconfitte …
WENDY - … insomma, tutto quello che ruota attorno al
baseball. In breve, ci è piaciuta la scommessa: si può
scrivere seriamente anche di sport.
LENNY - (Sempre emozionato, confuso, con atteggiamento sciocco)
Ah, sì, be', sì, io ... così, sapete … come dire … è stato un
tentativo. Con il mio lavoro non ho molte soddisfazioni ...
ma non è questo, non voglio apparire l'autore frustrato che
si sfoga nella scrittura ... (Con aria ingenua) No, è che ... a
me semplicemente … piace il baseball. (Ridacchia
stupidamente) Eh, eh, eh … non saprei che altro dire …
WENDY - (Fissandolo perplessa) Già, già. (Riprende in tono serio)
Vede, Lenny, l'abbiamo invitata qui, oggi, per comunicarle
ufficialmente che siamo interessate al suo lavoro.
Vorremmo ricevere la raccolta completa dei racconti.
Immagino che quello che ci ha mandato sia un estratto,
giusto? (A Kate) Quanti ne abbiamo ricevuti?
KATE - Una decina, in totale un centinaio di pagine.
WENDY - Appunto. Da quello che ho letto, mi pare che i
racconti formino una specie di trama, descrivano una storia
corale, se non sbaglio sono ambientati tutti nella stessa
cittadina, parlano della stessa squadra ...
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LENNY - (Si entusiasma) Sì, esatto, il luogo è immaginario, una
città del Mid-West dove il baseball rappresenta un po',
come dire, il fiore all'occhiello della comunità. La squadra è
molto forte, vince tutte le partire, i giocatori sono amati ...
WENDY - Sì, sì, ecco, proprio questo aspetto ci ha
particolarmente interessate. La cittadina che coccola i
giocatori, la descrizione della loro vita quotidiana. Sembra
tutto normale, a prima vista, ma lo sguardo è nuovo,
l'atmosfera come da sogno ... un taglio inedito sulla vita
della provincia americana …
LENNY – (Di nuovo imbarazzato) Be', sì, io … ho cercato di fare
del mio meglio.
Pausa, nessuno sa cosa dire.
KATE – (Rompendo il silenzio, in tono conclusivo) Bene! Allora, se ci
manda tutto quello che ha scritto, noi lo leggeremo,
vedremo di comporre un quadro d’insieme, poi ci
risentiamo per discutere il progetto. D'accordo, Lenny?
LENNY - Certo, certo. (Si alza, stringe calorosamente le mani a
Wendy e Kate) Grazie, grazie ancora. Invio tutto domani
stesso (raccoglie soprabito e cappello, esce).
Wendy e Kate si guardano dopo qualche attimo di silenzio.
WENDY - (Perplessa) Spero tu abbia visto giusto.
KATE - (Anche lei poco convinta) A leggerlo mi aveva fatto
un'impressione migliore. Come persona, intendo.
WENDY – Sembra … sembra (cerca la definizione giusta) ... Ecco,
mi dà l'impressione dell'allocco.
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KATE - Anche a me ... Staremo a vedere. Mettiamolo alla
prova.
WENDY – Sì, mettiamolo alla prova.
Wendy riprende il manoscritto, Kate, alla finestra, guarda fuori. Le
luci si abbassano. Il ticchettio dell’orologio sfuma.
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QUADRO SECONDO
Samuel Donenberg, Lenny Smith.
Da questo quadro al settimo compreso l’illuminazione, l’arredamento,
le scene, i costumi devono dare essere tali da dare l’impressione allo
spettatore di assistere a una rappresentazione in bianco e nero, con
colori di tono uniforme verso il grigio.
Soggiorno in casa di Samuel Donenberg. L’arredamento è lussuoso,
in evidenza una scrivania di legno massiccio, una poltrona di fronte la
scrivania, un divano, piante ad alto fusto, sullo sfondo e sulla sinistra
grandi statue di arte primitiva. Il vecchio è in piedi accanto alla finestra,
guarda fuori il panorama di Manhattan che da lì, dal trentesimo piano, è
particolarmente maestoso. E’ vestito elegante, in completo grigio chiaro,
fuma un sigaro. Squilla il citofono.
SAMUEL – (Alza la cornetta) Sì? Ah, bene, fallo passare (posa la
cornetta, spegne il sigaro).
Entra Lenny, aspetto gioviale, disponibile, attento ai bisogni del
cliente, vestito elegante, di scuro come nel quadro precedente, solo che
qui ha in mano una borsa di pelle, è senza cappello e soprabito.
LENNY – (Avanza verso Donenberg con la mano tesa) Mister
Donenberg, finalmente ho il piacere di conoscerla.
SAMUEL – Lenny Smith?
LENNY – Sì, signore, al suo servizio.
SAMUEL – Smith è il suo vero nome? Su Lenny non ho dubbi,
ma di Smith ce ne sono così tanti che ogni volta penso a un
falso. Qualcosa da nascondere? Scheletri nell’armadio?
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LENNY – (Preso in contropiede) No, perdio, perché mai? Mi
chiamo Smith, le mostro un documento …
SAMUEL – Non serve, le credo. Ho conosciuto molti Smith in
vita mia, per metà impostori. L’ultimo si spacciò per
violinista. Fu qualche anno fa, a Londra, un ricevimento di
Sua Maestà. Volle a tutti i costi invitarmi al concerto che
avrebbe tenuto il giorno dopo. Venne fuori che era del
servizio segreto britannico. Sa, ho in piedi degli affarucci
con un Paese di recente costituzione … (sottovoce) l’ex
impero russo (fa un vago gesto delle mani). Adesso le cose là
vanno in un certo modo, bisogna tener d’occhio,
controllare … così hanno pensato di controllare anche me.
LENNY – Le assicuro, mister Donenberg, che mi chiamo Smith,
lavoro per la compagnia di assicurazioni di mister Frank
Gordon e non sono un impostore.
SAMUEL – Bene, bene (estrae un portasigari, ne offre a Lenny,
fumano). D’altronde non ha nessuna importanza. Anzi, se
fosse del servizio segreto sarebbe meglio, due piccioni con
una fava. Ho ancora degli interessi da quelle parti.
LENNY - (Imbarazzato) Non saprei, non è il mio campo …
SAMUEL – (Lo scruta) Già, non è il suo campo. Si accomodi,
Lenny. Se permette vengo subito al punto.
Si siedono entrambi, Samuel alla scrivania, Lenny sulla poltrona.
LENNY – L’ascolto, mister Donenberg.
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SAMUEL – Bene. L’anno scorso, per festeggiare i cinque anni
di matrimonio, ho regalato a mia moglie un collier di
diamanti. Si tratta di un pezzo tratto da una piccola ma
prestigiosa collezione. In seguito mi si è presentata
l’occasione di acquistare il resto e non me la sono lasciata
sfuggire. Alla piccola Jennifer i diamanti le stanno
d’incanto. Conosce mia moglie?
LENNY – Non ho avuto il piacere.
SAMUEL – Bene, meglio così, renderà più semplice il suo
lavoro. Subito dopo l’acquisto ho, naturalmente, assicurato
tutta la collezione. Frank in persona si è occupato della
faccenda. Recentemente, però, ho deciso di rivedere le
clausole del contratto, ritoccare la polizza. Sa com’è,
trattandosi dei Glen, non si è mai abbastanza sicuri.
LENNY – (Sbalordito) I Glen? Ma … dice sul serio?!
SAMUEL – (Si alza ridendo compiaciuto, cammina per il soggiorno) Le
stanno già sudando le mani, vero? Non si aspettava tanta
abbondanza. Il colpo della sua vita, Lenny. Stia a sentire,
ora. I pezzi che ho comprato dopo l’acquisto della collana li
ho assicurati per una cifra ragguardevole, adeguata al
prestigio della collezione. Visto che c’ero, mi sono detto:
perché non ritoccare anche la polizza della collana? Mia
moglie l’ha indossata poche volte, un paio in tutto, in
occasioni ufficiali. E’ lì che ho notato gli occhi avidi degli
ospiti, abbagliati dalla bellezza della mia consorte, ma
ancora di più dalla brillantezza dei diamanti. La scorsa
settimana ho detto a Jennifer che avrei rinnovato
l’assicurazione ai Glen e che per il prossimo ricevimento,
in programma fra una decina di giorni, avrebbe potuto
indossare la collezione completa che, come lei presumo già
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sappia, è formata da collana, spilla, fermaglio, orecchini,
braccialetto, anello (si ferma, osserva Lenny).
LENNY – Qui c’è un “ma”?
SAMUEL – Bravo, ragazzo. Qui c’è un “ma”. Quando ieri sera
sono sceso nel caveau qui sotto (indica il pavimento, in tono
confidenziale), sa com’è, li tengo in casa, non mi fido delle
banche … quando sono sceso nel caveau, dicevo, per
controllare che tutto fosse in ordine: sorpresa! I Glen spariti.
LENNY – No!
SAMUEL – Sì!
LENNY – Ed è a questo punto che entro in gioco io.
SAMUEL – Proprio così. Davanti a quel triste spettacolo,
capirà, ho iniziato a riflettere. Mi sono posto tre domande:
Quando? Come? E, soprattutto, chi?
LENNY – Ha già qualche sospetto?
SAMUEL – Sì. Più che un sospetto è una certezza: (pausa, fissa
Lenny in modo significativo) mia moglie.
LENNY – Sua moglie? Come fa a esserne sicuro?
SAMUEL – Il problema non è esserne sicuro, il problema è
dimostrare che è stata lei. (Si avvicina a Lenny, gli poggia una
mano sulla spalla, cambia tono, passa al “tu”) Sarai tu, Lenny, a
trovare le prove della colpevolezza di Jennifer.
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LENNY – (In difficoltà) Un momento, mister Donenberg, prima
bisogna essere certi che sia stata effettivamente sua
moglie.
SAMUEL – Appunto. Tu, cercando gli indizi, proverai la sua
colpevolezza. Purtroppo per la legge non basta l’evidenza,
bisogna anche dimostrare.
LENNY – Sa com’è, uno dei capisaldi del diritto …
SAMUEL – Non farmi la lezione, Lenny, guadagnavo milioni di
dollari quando tu ancora succhiavi il latte dal seno di
mamma. (Cambiando tono, che ora si fa minaccioso) Sono
arrabbiato, Lenny, furibondo, i Glen mi sono stati rubati
prima che la nuova polizza fosse completamente attiva.
Devono passare quindici giorni dalla stipula per ottenere la
copertura del cento percento altrimenti, in caso di furto, mi
rifondono solo la metà del capitale assicurato. (Torna
apparentemente calmo) Uno stupido cavillo, ma tant’è. Capisci,
ora, perché devi provare la colpevolezza di mia moglie?
D’altronde non può essere stata che lei.
LENNY – Ci sono segni di effrazione?
SAMUEL – Nessuno. Adesso ti sarà chiaro perché il mio è
qualcosa di più di un sospetto.
LENNY – La servitù?
SAMUEL – Escluso. Non hanno accesso alle mie stanze private,
tanto meno al caveau.
LENNY – Perdoni la domanda sciocca, mister Donenberg, ma
ne ha parlato con sua moglie?
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SAMUEL – Sicuro, è la prima cosa che ho fatto, ma tieni
presente che lei non conosce la combinazione d’accesso al
caveau.
LENNY – Quindi …?
SAMUEL – Rifletti, Lenny! Usa il cervello! Il mio caveau è
sicuro come la Federal Reserve. In qualche modo deve
averla scoperta!
LENNY – La combinazione?
SAMUEL – Cos’altro, sennò?
LENNY – La polizia? E’ stata informata?
SAMUEL – Ho intenzione di farlo fra un paio di giorni se tu non
riesci a cavarci fuori nulla. Sai com’è, un furto di gioielli
appena assicurati è roba che puzza per i piedipiatti,
sospetterebbero subito una qualche mia implicazione. No,
niente polizia, per il momento. Trovate le prove della
colpevolezza di Jennifer farò la denuncia.
LENNY – (Si alza per congedarsi) Bene, Mister Donenberg, la
situazione è molto delicata, ne parlerò subito a mister
Gordon e …
SAMUEL – (Lo interrompe) Ti facevo più perspicace, Lenny. Se
avessi voluto che Frank ne fosse al corrente avrei
chiamato direttamente lui, non credi?
LENNY – Ma ...
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SAMUEL – (In tono definitivo) Niente ma. Sospetto che Frank sia
d’accordo con mia moglie. Forse non lo sai, ma negli ultimi
tempi le cose nella vostra compagnia non vanno troppo
bene. (Sorride alla vista dello sconcerto di Lenny) Brutta
giornata, oggi, eh, Lenny? Quante novità. Così va il mondo,
ragazzo, e tu faresti bene a stare dalla parte del più forte.
Risolvi il caso e io ti prometto un futuro roseo alle mie
dipendenze. So essere generoso con chi mi è fedele.
LENNY – (Incerto) D’accordo, mister Donenberg, le farò sapere
gli sviluppi delle indagini.
SAMUEL – Bravo, Lenny, bravo. Chiamami appena hai notizie
per me.
Samuel accompagna Lenny alla porta. Le luci si abbassano.
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QUADRO TERZO
Frank Gordon, Lenny Smith.
Ufficio di Frank Gordon. Arredamento sobrio, poco elegante ma
funzionale. Due sedie, una scrivania, uno schedario. Frank siede alla
scrivania. Fuma, pensieroso, in attesa di qualcuno. Bussano alla porta.
FRANK – Avanti! (Entra Lenny, Frank spegne la sigaretta, gli fa segno
di accomodarsi). Lenny, finalmente … Allora, che ti ha detto
il vecchio Sam? Si è sbottonato?
LENNY – (Sta in piedi, gironzola per l’ufficio) Ha detto e non ha
detto. O meglio, ha detto: che è stata la moglie, ma di
prove neanche l’ombra.
FRANK – (Riflette) La moglie? Mh, interessante. D’altronde, me
l’aspettavo. Nient’altro?
LENNY – La sostanza è questa: “E’ stata Jennifer, ne sono
sicuro”. Poi mi ha incaricato di indagare senza farne parola
con te. Mi ha offerto un posto nella sua organizzazione.
Figurati! Ah, dimenticavo … sospetta che tu sia d’accordo
con la moglie.
FRANK – Però! (Pausa) E’ nel suo stile. Lo fa con chiunque entri
in rapporto con lui. E’ furbo, cerca alleanze, crea
un’apparente solidarietà, elargisce amicizia, promette
denaro, ne dà, anche, è generoso, ispira fiducia.
Dev’essere sicuro di controllare la situazione.
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LENNY – Sì, è così. (Si siede) Devo ammettere che se non mi
avessi messo in guardia prima d’incontrarlo, avrei creduto
a tutto. Ha un carisma che cattura. Credi a quello che dice.
FRANK – Questo è Samuel! Una specie di mago.
LENNY – Mi ha parlato di certi affari che ha in Unione
Sovietica.
FRANK – Sì, trattiene rapporti con i bolscevichi. Anche con i
comunisti oggi si fanno soldi. Ha ereditato le relazioni che
aveva con lo zar. Ma il bello è che è in affari anche con gli
esuli russi che risiedono a Parigi. E’ amico della famiglia
imperiale. Di quello che ne rimane.
LENNY – Se le cose gli vanno bene non capisco la necessità di
occultare i Glen. E poi non ha nessuna prova che sia stata
la moglie. Lui vuole che lei sia colpevole, ma non mi ha
fornito nemmeno il movente.
FRANK – Trucchi, Lenny, trucchi. Lui sa che non l’hai bevuta,
ma sa anche che tenterai di dimostrare la colpevolezza di
Jennifer, perché questo è il tuo lavoro. Tu sei un
investigatore assicurativo, non puoi esimerti dall’incarico,
soprattutto se ad affidartelo è uno dei nostri clienti più
importanti. Ultimamente gli affari non gli vanno molto
bene.
LENNY – Ma Frank, è evidente che …
FRANK – (Lo interrompe, si alza) Cos’è evidente, Lenny? Cosa?
Che ti parlo in questo momento? Ne sei sicuro? Ci sono
testimoni oltre noi due? Le parole sono inafferrabili,
Lenny, i sensi, fra loro, incommensurabili. Come può l’udito
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discernere la verità delle parole? Come possono le parole
riportare la verità di ciò che vedono gli occhi? Puoi
descrivere un colore?
LENNY – Assurdità, Frank. Se mi dici che questo libro (ne indica
uno sulla scrivania) è un gatto, non ti credo, è chiaro che non
lo è! Non può esserlo!
FRANK – Ne sei sicuro? Se lo fossi veramente non perderesti
il tuo tempo a dimostrare ciò che è di per sé evidente.
Quindi anche tu, che credi di essere sicuro che questo sia
un libro e non un gatto, devi prima convincere te stesso.
Cosa significa, questo?
LENNY – (Scoraggiato) Dimmelo tu, Frank.
FRANK – Significa che nemmeno tu sei davvero sicuro che sia
un libro. Devi rifletterci sopra, soppesare la mia obiezione.
Sai perché?
LENNY – Perché, Frank?
FRANK – Perché non credi che io possa veramente
fraintendere una cosa talmente chiara. Questo è un libro,
accidenti, Come cazzo si fa a scambiarlo per un gatto?
Frank è una persona ragionevole, esperta, ha i suoi begli
anni, ne ha viste di tutti i colori! Eppure un piccolo,
minuscolo
dubbio
s’insinua.
Per
scomparire
immediatamente, all’evidenza di ciò che ti restituiscono gli
occhi. Eppure per un attimo, di cui ti vergogni, hai preso in
considerazione la possibilità che questo libro possa essere
un gatto.
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LENNY – Basta così, Frank, questo rimarrà un libro (lo prende
fra le mani, lo sfoglia, poco convinto), puoi parlare finché vuoi,
puoi, puoi …
FRANK – (Cambiando tono) Veniamo a noi, ora. Ti ho detto
questo per metterti in guardia. Il vecchio Sam è furbo, non
farti ingannare dalle apparenze. Riassumiamo la situazione.
Facciamo un’ipotesi sulla colpevolezza del vecchio: ti
convoca a mia insaputa, ti chiede di indagare sul furto dei
gioielli, la spaccia come operazione preliminare alla
denuncia che sicuramente farà in un secondo tempo per
intascare la parziale, ma comunque consistente,
assicurazione sui Glen. Grazie alle tue indagini potrà
incolpare la moglie da cui sta per divorziare.
LENNY – Sta per divorziare dalla moglie?
FRANK – Sì. Non lo sapevi? Non te l’ha detto, ovviamente. La
solita vecchia tattica: dire solo ciò che è strettamente
necessario.
LENNY – Questo apre nuove prospettive …
FRANK – Capisci, ora, il suo gioco? Incolpando la moglie del
furto può intascare il premio e vendere i Glen al miglior
offerente. Incolpare Jennifer è per Sam la soluzione più
logica. Non ha bisogno di inscenare furti con scasso,
stanze con mobili rivoltati, finestre rotte o altri trucchi da
cinematografo. Di compratori, poi, ce ne sono, soprattutto
in Sud America, gente danarosa, collezionisti che
farebbero carte false per impossessarsi di quei diamanti.
Questa è la prima ipotesi. La seconda è che a rubarli
potrebbe essere stata, effettivamente, la moglie.
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LENNY – (Poco convinto) Lo ritieni possibile?
FRANK – L’hai conosciuta?
LENNY – No.
FRANK – (Sorride ironico) Allora ne riparliamo. Gli affari di
Donenberg ultimamente non vanno molto bene, la moglie lo sa.
Visto che stanno per divorziare, lei con i gioielli si può
assicurare un futuro tranquillo. E’ una pista da seguire,
potrebbe riservare sorprese. Non sottovalutare nessuna
traccia. Jennifer è una donna scaltra, giovane, immensamente
bella. Il cervello non le manca, nemmeno la possibilità di
conquistarsi amicizie influenti. Finora ha vissuto nell’ombra,
ma, ne sono convinto, più per calcolo che per devozione verso
il marito. Vuole creare attorno a sé l’attesa, la curiosità: la
bellissima moglie del magnate, affascinante, misteriosa,
irraggiungibile. Molti degli amici sudamericani di Sam
darebbero una fetta del loro impero per averla, con la stessa
brama con cui metterebbero le zampe sui Glen.
LENNY – Che devo fare, Frank?
FRANK – Comportati esattamente come ti ha detto il vecchio.
Svolgi le indagini, fingi di essere convinto della colpevolezza
della moglie, fagli dei resoconti precisi, dettagliati. Mettici
dentro più verità possibili, particolari, dettagli, infarcisci il
racconto con notizie assolutamente vere ma prive di reale
significato, una rete di autentiche futilità. Avvolgilo in una
verità inconsistente, insignificante, ammantalo di parole senza
corpo ma che corrispondano al vero, senza dirgli, peraltro,
nulla di sostanziale. Fagli credere che stai lavorando per lui e,
intanto, sonda il terreno. Attraverso le domande che ti farà
cerca di capire il corso dei suoi pensieri. Dobbiamo scoprire
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dove sono andati a finire quei maledetti diamanti prima che
siano venduti. Non ho intenzione di sborsare un milione di
dollari, soprattutto al vecchio Sam. Deve ancora nascere chi
riuscirà a fregarmi.
LENNY – Non sarà facile, Frank.
FRANK – Credi che ti paghi per riposarti?
Le luci si abbassano.
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QUADRO QUARTO
Jennifer, Lenny Smith, Ada.
Soggiorno in casa di Samuel Donenberg. La scena è illuminata dalla
luce esterna. E’ mattina, giornata soleggiata. Jennifer cammina toccando i
mobili, la sigaretta in mano, atteggiamento altero. Squilla il citofono.
JENNIFER – (Alza la cornetta) Grazie, Ada. Fallo passare.
Entra Lenny, accompagnato dalla cameriera di Jennifer, Ada. Lenny
è sempre vestito elegante ma senza cappello e soprabito, al posto della
cravatta un foulard.
LENNY – Mistress Donenberg, piacere di conoscerla. Sono …
JENNIFER – So chi è, si accomodi. Qualcosa da bere?
LENNY – Quello che prende lei.
JENNIFER – Ada, per favore, due Martini con soda.
La cameriera esegue. Rimarrà presente per tutta la scena. Jennifer e
Lenny si accomodano sul divano.
JENNIFER – Mi dica mister Smith, in cosa posso esserle utile?
LENNY – Non vorrei farle perdere troppo tempo, mistress
Donenberg, quindi sarò breve.
JENNIFER – Non si preoccupi del mio tempo, ne ho in
abbondanza. Non ho nulla da fare, se non vedere le
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amiche, fare acquisti addebitando le spese sul conto di mio
marito o chiacchierare con la mia amata Ada (indica la
cameriera che risponde con un inchino).
LENNY – Ah, bene, mistress Donenberg, bene. Però, vede … il
motivo per cui sono qui è un po’ delicato, credo sia più
opportuno discuterne a quattr’occhi.
JENNIFER – Eviti di chiamarmi mistress Donenberg, mi chiami
Jennifer. Riguardo ad Ada, non ho segreti per lei, può
parlare liberamente in sua presenza.
LENNY – (Aggiustandosi sulla sedia, imbarazzato) Be’, se le cose
stanno così, allora … Sono qui per i gioielli, i Glen.
Senz’altro saprà che sono spariti.
JENNIFER – Mio marito me l’ha detto.
LENNY – Bene, bene. Ecco, io volevo sapere se lei ha qualche
sospetto, se pensa ci sia una ragione … (interrompendosi,
consapevole di aver detto una sciocchezza) sì, una ragione c’è
senz’altro visto che si tratta di un milione di dollari …
insomma, vorrei sapere: lei si è fatta qualche idea sulla
sparizione dei diamanti?
JENNIFER – (Con aria distratta) No e, sinceramente, non me ne
importa niente. Quei gioielli li ho indossati un paio di volte,
ma sono di mio marito. (Lo guarda con attenzione) Tuttavia le
posso venire in aiuto in un altro modo: Samuel pensa che li
abbia presi io. Teoria ridicola, considerato che non ho
accesso a quel dannato caveau e che mi sono sempre
completamente disinteressata del suo patrimonio e dei suoi
fottuti affari. Ma lui è fatto così, sospetta di tutto e di tutti.
Adesso, poi, che stiamo per divorziare …
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LENNY – Sì, ho sentito, mi dispiace …
JENNIFER – (Rivolta alla cameriera) Visto, Ada? Che ti avevo
detto? Il nostro giovane amico fa finta di essere ingenuo
ma è ben informato, è al corrente di ogni cosa.
ADA – Sì, Jennifer, ma non agitarti, non ti fa bene.
JENNIFER – Cara Ada, sempre preoccupata per me. E’ stata la
mia balia, mi ha allevato lei. L’ho voluta con me quando
sono arrivata qui.
LENNY – Già, perché lei viene da …
JENNIFER - Caraibi. Mai stato là?
LENNY – Temo di no, Jennifer.
JENNIFER – Così va meglio, mi chiami Jennifer.
LENNY – Non creda che sia piacevole per me essere qui a
farle queste domande, solo che, capirà, i diamanti sono
spariti, si tratta di un mucchio di soldi, i Glen … La mia
agenzia deve investigare prima di pagare il premio. E’ la
prassi.
JENNIFER – (Facendogli eco) E’ la prassi, è la prassi. Mi sembra
di sentire Sam. Così disse quando mi costrinse ad
abbandonare la mia terra, i miei genitori. “Vieni a New
York, ci sposiamo là, tu diventi cittadina americana, mia
moglie, ma dobbiamo andare in America, è la prassi”.
Avevo diciotto anni. Tutto quello che ho portato con me è
qui dentro, in questa stanza, lo può vedere anche lei: Ada e
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queste statue (si alza, si dirige verso le alte statue di arte
primitiva che raffigurano uomini, donne, animali, le accarezza).
Quando sono triste le guardo e a volte, se mi sforzo, riesco
a vederci il sole dei tropici brillare, all’alba, sull’acqua che
accarezza la spiaggia … (si sente in sottofondo rumore di onde,
barche a remi di pescatori che scivolano sul pelo dell’acqua; Lenny
non capisce da dove arrivino questi suoni, si guarda attorno
sconcertato; Jennifer e Ada, invece, sono calme, hanno l’aria
sognante, Ada ondeggia leggermente le braccia a destra e sinistra,
smette, poi riprende. Quando smette il suono cessa. Lenny, che la
osserva, capisce che il suono delle onde è provocato da Ada) il
mare azzurro, trasparente, le palme, cesti di banane, il
pesce cotto sulla riva del mare al tramonto … la pioggia
che scivola sul corpo …
L’atmosfera cambia, si fa più confidenziale, le luci si abbassano
mantenendo, tuttavia, la luminosità del mattino.
LENNY – (Tenta di riprendere l’argomento per cui è venuto) Jennifer,
a proposito dei diamanti, suo marito, mister Donenberg,
ritiene che lei ne sappia più di quello che …
JENNIFER – (Ormai non lo ascolta, si avvicina a Lenny, gli sfiora la
testa con delicatezza) Non so perché, ma lei non ha l’aspetto
dell’investigatore assicurativo. Lei mi sembra … (riflette,
poi, dopo aver trovato la parola esatta, lancia un’esclamazione) uno
scrittore! Ecco, uno scrittore.
LENNY – (Folgorato da quell’intuizione) Ma … Jennifer … come …
sì, in effetti, io … io … (come vergognandosi dell’ammissione
che sta per fare) scrivo. (Pausa; Lenny è incredulo delle sue stesse
parole) L’ho detto! Sì, scrivo.
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JENNIFER – (Batte le mani, contenta di aver indovinato) Lo sapevo!
Lei non ha l’espressione dell’investigatore. Dalle domande
che fa, poi, non mi pare abituato a interrogare le persone.
LENNY – Mistress Jennifer, non sono un brutale poliziotto,
sono …
JENNIFER - … un amabile segugio di Frank Gordon. Che
differenza fa?
LENNY - (Offeso) Mistress Jennifer, non credo che lei possa
permettersi di giudicare, di …
JENNIFER – … offenderla? (Ride) La stavo prendendo in giro,
Lenny. Su, un po’ di senso dell’umorismo, perdio. Dov’è
l’anima dello scrittore? Dell’artista? A proposito, di cosa
scrive? Sa, io sono un’accanita lettrice. Leggo tutto,
onnivora, un libro al giorno.
LENNY – (Incerto se Jennifer lo stia prendendo in giro o meno, ma
stuzzicato nella sua segreta vanità) Racconti. Scrivo racconti.
JENNIFER – Racconti? Fantastico. E dica, che genere di
racconti? Storie d’amore? Le adoro, non farei altro che
leggere storie d’amore.
LENNY – No, non proprio (accigliato, convinto, ora, che Jennifer si
stia burlando di lui). Baseball.
JENNIFER - Baseball? Che c’entra il baseball? Le ho chiesto
che genere di racconti scrive.
LENNY - Baseball, racconti sul baseball.
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JENNIFER – E’ un giornalista sportivo?
LENNY – (Si alza, innervosito) No, non sono un giornalista
sportivo. Scrivo racconti sul baseball. Lei crede che non si
possa scrivere seriamente di sport? Solo recensioni di
partite?
JENNIFER – (Riflette) Non saprei, non ci ho mai pensato. Una
scelta così originale … E poi non mi piace il baseball.
Quella mazza, la palla, correre attorno al campo …
LENNY – Il diamante.
JENNIFER – Okay, il diamante o come diavolo si chiama.
LENNY – Mistress Donenberg, con tutto il rispetto, credo che
lei non sappia …
JENNIFER – (Fingendosi sorpresa) … cosa dico?
LENNY – Non intendevo questo …
JENNIFER – Ada, cara, hai sentito il nostro Lenny? Pensa che
non sappia quello che dico.
ADA – (Smette di dondolare le braccia, il suono delle onde cessa,
l’atmosfera ritorna quella che c’era all’inizio del quadro) Ho
sentito.
JENNIFER – Cosa ne pensi?
ADA – Penso che mister Lenny voglia concludere le sue
domande e andarsene al più presto.
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JENNIFER – (Assume un’aria severa) Lo penso anch’io. Allora,
investigatore delle assicurazioni, dove eravamo rimasti con
l’interrogatorio?
LENNY – (Con foga, come chi ha perso la pazienza) Mistress
Jennifer, io non la sto interrogando, sto cercando di capire
che fine hanno fatto i diamanti. La metto al corrente che
suo marito ha intenzione di incolpare lei e denunciarla alla
polizia se … (ha perso le staffe, si pente di quello che ha detto).
JENNIFER – (Lo guarda con un sorriso complice) Eh, eh (lo minaccia
con il dito indice), Lenny, Lenny, non si fa così, ha commesso
un errore. Mi ha appena detto quali sono le vere intenzioni
di mio marito, mi ha svelato l’incarico del cliente. Lenny,
lei ha violato il segreto professionale.
LENNY – (Confuso, consapevole dell’errore) No, no, che segreto …
Accidenti a lei, Jennifer, mi ha fatto confondere con quelle
chiacchiere sul baseball.
JENNIFER – Ada, il nostro amico è in difficoltà. Credo che
abbia bisogno di un po’ di riposo.
ADA – Lo credo anch’io. Lo accompagno alla porta?
JENNIFER – Sì, prima che mi sveli qualcos’altro e si metta
definitivamente nei guai.
Ada si avvicina a Lenny, ormai completamente confuso, lo prende
delicatamente per un gomito, lo accompagna alla porta. Lenny si lascia
condurre fuori.
JENNIFER – (Si distende sul divano, accende una sigaretta)
Comunque, Lenny, le voglio dire che non c’è niente che lei
possa dirmi che io non sappia già. Conosco mio marito, le
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sue intenzioni. Dei suoi maledetti Glen non so niente e se
ne sapessi qualcosa non lo confiderei certo a uno come lei.
Mi dispiace che torni da Gordon a mani vuote, ma così va il
mondo. Buonanotte, scrittore.
Lenny si gira a guardare Jennifer che ora, distesa, gli volge le
spalle. Dopo un attimo di esitazione esce accompagnato da Ada. Le luci si
abbassano lentamente. Dopo che Lenny è uscito e Ada rientrata e di
nuovo immobile nella posizione precedente, riprende il suono delle onde,
come una musica soave. Jennifer intona una canzone triste, Ada muove
ritmicamente le braccia. La scena, quasi al buio, viene colpita da giochi di
luce bianca intermittente che imitano le onde del mare. Poi buio.
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QUADRO QUINTO
Samuel Donenberg, Lenny Smith.
Soggiorno in casa di Samuel Donenberg. Il vecchio è in piedi accanto
alla finestra, guarda fuori, fuma, come nel secondo quadro. E’ sera.
L’atmosfera soleggiata, luminosa, del quadro precedente – sparita. Lenny
siede su una poltrona, teso, pallido in viso, come in preda a uno shock
interiore. E’ a disagio, pare un automa.
SAMUEL – (Rimane girato verso la finestra) Allora, Lenny? Com’è
andato il colloquio con mia moglie?
LENNY – (Cerca le parole, a fatica) Bene, mister Donenberg.
SAMUEL – (Si gira a fissare Lenny) Ti sei fatto un’idea di come
possono essere andati i fatti?
LENNY – Sì, mister Donenberg.
SAMUEL – Sei convinto della colpevolezza di Jennifer?
LENNY – Sì, mister Donenberg, credo sia stata sua moglie a
rubare i Glen. Aveva ragione lei.
SAMUEL – (Spegne la sigaretta, si sfrega le mani soddisfatto, cammina
per il soggiorno) Bene, bene. Molto bene. Sai, mia moglie è
giovane, bella, appetitosa. E’ stato un errore, (guarda Lenny)
il matrimonio, intendo. Un imperdonabile errore. Alla mia
età ho voluto soddisfare il piacere degli occhi, gli ultimi
bagliori della potenza virile. Ho ceduto a un momento di
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debolezza, creduto di poter trovare di nuovo l’amore della
gioventù, la passione, la devozione di una persona cara con
cui dividere i giorni che restano … Mi sbagliavo. Non
credere siano stati cinque brutti anni, tutt’altro. Jennifer mi
ha sempre accontentato in tutto, senza mai tirarsi indietro,
senza accampare scuse. Una sposa modello … ma un altro
mondo. Dopo qualche mese era chiaro che non avevamo
più nulla da dirci. Anche la bellezza, se vista ogni giorno,
può essere ripetitiva. (Guarda Lenny che continua a fissare un
punto indistinto davanti a sé, come estraniato dalla scena) Sono
soddisfatto del tuo lavoro. Aspetta qui, vado a prendere il
libretto degli assegni. Saldiamo i conti (esce).
Lenny si alza, gira a casaccio per il soggiorno, sposta oggetti,
guarda distrattamente i soprammobili, si avvicina alle statue caraibiche,
le accarezza. Si sente il suono delle onde del mare.
LENNY – (Come ipnotizzato) Jennifer, Jennifer … dove sei? Ti
amo.
Si allontana dalle statue indietreggiando, urta la scrivania, cadono
degli oggetti fra cui una scatola. La scatola si apre, escono dei gioielli.
Lenny non realizza subito, si china, li raccoglie.
LENNY – (Incredulo, tornato in sé) Non è possibile! I Glen! Ma,
allora … (Rimette tutto a posto, torna a sedersi in poltrona).
Rientra Samuel col libretto degli assegni, sfuma il suono delle onde.
SAMUEL – (Si siede alla scrivania, compila l’assegno) Se dovessi
avere delle noie con Frank vieni a trovarmi. Un lavoro
adatto alle tue capacità lo trovo in cinque minuti. (Lo fissa a
scrutarlo) Avrei già un’idea di dove collocarti.
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LENNY – (Di fretta) Grazie, mister Donenberg. Devo proprio
andare.
SAMUEL – Non ti trattengo, Lenny, il lavoro prima di tutto. Mi
raccomando, non sparire. Teniamoci in contatto.
Si stringono la mano, Lenny esce. Le luci si abbassano.
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QUADRO SESTO
Jennifer, Lenny Smith.
Soggiorno in casa di Lenny. Una stanza non grande, arredamento
modesto, da scapolo. Scaffali con cumuli di libri accatastati, una scrivania
con una macchina per scrivere, il piano pieno di carte sparse,
un’impressione di ambiente chiuso.
JENNIFER – (Sola, parla al telefono) Non mi ami più … Non mi hai
mai amato … Se il punto non è questo, allora qual è? Credi
che ti abbia sposato per i soldi? Pensi davvero che abbia
lasciato la casa di mio padre per la tua ricchezza? … Ma io
avevo già tutto! Il sole, le spiagge, il mare più azzurro che
tu abbia mai visto … E, sì, tanti uomini, belli, giovani,
intelligenti, pronti a gettarsi ai miei piedi se solo avessi
fatto così (schiocca le dita) … Ma tu, Sam, lo capisci questo?
Lo capisci? … l’hai fatto apposta, Sam, a sposarmi nel
giorno del mio compleanno per ricordarmi sempre a chi
“devo tutto” … io, Sam, a te non devo niente … (entra
Lenny, sorpreso di vedere Jennifer in casa sua, al telefono; si
avvicina incredulo, lei gli fa segno di aspettare) No, sono io che
me ne vado. Addio, Sam … non m’importa più niente di te,
dei tuoi soldi, dei gioielli, di quei dannati Glen (mette giù la
cornetta).
LENNY – Mistress Donenberg, che ci fa in casa mia? Com’è
entrata?
JENNIFER – (Con atteggiamento civettuolo, amabile, confidenziale, in
contrasto con la severità dell’incontro precedente) Il portiere
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dello stabile è una persona simpatica. Lo sapevi che ama il
baseball? Gli ho procurato due biglietti per la partita di
domenica, ci porta il figlio, un caro bambino di undici anni,
anche lui tifoso dei Dolphins.
LENNY – (Desiste da ulteriori proteste) Il portiere … ho capito.
Immagino che non avrà dovuto faticare molto per
convincerlo a farla entrare.
JENNIFER – No, in effetti è stato facile, ho chiesto e sono stata
accontentata.
LENNY – Come, suppongo le capiterà spesso.
JENNIFER – Sì, abbastanza. Ma cos’è questo tono? Per chi mi
hai preso, Lenny? Per una ragazza facile? So di dare
questa impressione, ma non è affatto così. Ti
meraviglieresti se ti raccontassi la mia vita sentimentale,
quanto è stata povera di avvenimenti interessanti …
piccanti …
LENNY – (Si toglie soprabito e cappello, li getta sul divano, si tiene
lontano da Jennifer, cerca di non guardarla negli occhi; lei, invece, lo
fissa con insistenza) Le credo, mistress Jennifer. Si sieda, ho
qualcosa da dirle.
JENNIFER – (Si accomoda su una sedia vicino alla scrivania) Dimmi,
caro scrittore, sono tutta orecchi.
LENNY – Ho sentito che parlava al telefono con mister
Donenberg.
JENNIFER – Sì, l’ho piantato.
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LENNY – Conosco poco suo marito, ma mi pare che non sia la
persona che si può lasciare tanto facilmente, a meno che
non sia lui a volerlo.
JENNIFER – L’ho piantato.
LENNY – Va bene, mistress Donenberg …
JENNIFER – Ti prego! Chiamami Jennifer.
LENNY – Jennifer. Devo farle una confessione. Mi sono
sbagliato sul suo conto.
JENNIFER – Ah, sì? Ma guarda!
LENNY – Non sto scherzando, Jennifer. Dopo il nostro primo
colloquio, forse influenzato dalle parole di suo marito, ero
convinto, chissà perché visto che non ne avevo le prove,
che lei avesse trafugato i Glen.
JENNIFER – (Ride) Io?
LENNY – Sì, lei. Per venderli o per … non so perché, ma
pensavo fosse colpevole. Mi sono sbagliato. Ieri per un
caso fortuito ho scoperto i diamanti nel soggiorno di casa
vostra, suo marito li teneva in una scatola, sul tavolo.
Forse si sta preparando a venderli. Sono confuso, Jennifer,
non so che fare, che pensare. Ieri sera ho vagato per la
città per ore, ma non è servito a niente, non so decidermi.
JENNIFER – (Si avvicina a Lenny, lo accarezza sui capelli, sulle guance,
il suo sguardo è dolce, premuroso) Povero caro, povero il mio
scrittore.
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LENNY – (Trattenendosi) Non faccia così, Jennifer, è peggio.
JENNIFER – (Lo attira a sé per abbracciarlo, Lenny resiste, poi si lascia
andare rimanendo però inerte; Jennifer parla con voce suadente,
come in un sussurro) Povero Lenny, hai riconosciuto il tuo
errore, caro il mio bambino. Lo apprezzo molto, sai? So
che non mi ritieni una poco di buono, una ragazza di facili
costumi, una che … hai capito …
LENNY – No, come potrei, se io … (s’interrompe).
JENNIFER – Già povero Lenny, come potresti se tu … Non mi
hai detto tutto, vero? La confessione più importante, quella
che ti sta dilaniando l’anima è ancora chiusa nel tuo cuore,
non è così?
LENNY – Sì, è così.
Squilla il telefono. Lo lasciano squillare, ma il telefono non smette.
Lenny si riscuote, lascia l’abbraccio di Jennifer, si avvia verso la
cornetta.
LENNY – E’ meglio che risponda. (Alza la cornetta; alle prime
parole dell’interlocutore cambia aspetto e tono) Oh, ciao! Non
pensavo di sentirti oggi … No, che dici, sono contento che
tu abbia telefonato … Sì, sto bene … Solito … Ho un
contatto con un editore. Be’, in verità è qualcosa di più di
un contatto, mi hanno chiamato, sono interessati ai
racconti … Vorrebbero pubblicare tutta la raccolta … Sì, è
fantastico, finalmente, dopo tutti questi anni … Lo so, tu
hai sempre creduto in me, mi hai sempre sostenuto, come
posso dimenticarlo … Quando torni? Ah, già la prossima
settimana … mercoledì … No, no, ne sono felice …
Avverto i tuoi, vengo a prenderti in stazione … Sì … Sì …
anch’io, lo sai … Adesso non posso (guarda in direzione di
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Jennifer) … Sì … Un amico … non ci vediamo da un po’ …
Ciao … ciao (ripone la cornetta, rimane pensieroso).
JENNIFER – (Dopo una pausa in cui lo ha scrutato) Come si chiama?
LENNY – (Riprendendosi dal torpore) Cosa?
JENNIFER – Come si chiama, lei?
LENNY – Margareth.
JENNIFER – (Con finta noncuranza) Un bel nome. (Si avvicina al
carrello dei liquori, si versa da bere). State insieme da tanto?
LENNY – Quindici anni.
JENNIFER – Quindici anni? Ma è una vita! Che romantico. Un
amore nato agli albori della giovinezza che resiste alle
bufere del tempo. Quasi un matrimonio.
LENNY – (La guarda, afflitto) Ci sposiamo il mese prossimo.
JENNIFER – (Meravigliata) Questa sì che è una novità! Come
farai adesso?
LENNY – Cosa intende dire?
JENNIFER – Adesso che ti sei innamorato di me.
LENNY – (La guarda con occhi tristi ma pieni di speranza, la speranza
che da Jennifer possa venire la risposta al dilemma) Ti amo,
Jennifer.
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Jennifer si avvicina a Lenny, sempre fermo accanto alla cornetta del
telefono. Lo prende per mano, si sente di nuovo il suono delle onde del
mare, le luci si abbassano, appaiono i giochi di luce che sembrano onde.
JENNIFER – Le senti, Lenny? Le senti le onde? Saranno queste
onde che ci porteranno via, insieme (lo abbraccia, accennano
un passo di valzer), solo tu ed io. Scappiamo, Lenny,
scappiamo da questo mondo ostile, crudele, io e te, i puri
di cuore, per sempre insieme.
LENNY – (Si lascia trasportare dal suono delle onde, abbraccia Jennifer
con passione) Sì, amore mio, andiamocene. Tutta la vita ho
atteso qualcosa che desse un senso alla fatica di vivere, ai
giorni, agli attimi. Tutta la vita ho atteso … te.
JENNIFER – (Con finta premura) Ma tu ti devi sposare, la tua
fidanzata arriva la prossima settimana, mercoledì, devi
andare a prenderla in stazione, avvisare i suoi genitori, ci
sono i preparativi del matrimonio, non puoi, non devi …
LENNY – (Concitato) Io posso, invece! Devo! Tu non sai, non sai
com’è stata la mia vita! Vivere come vogliono gli altri,
guadagnare, “farsi una posizione” perché così vuole il
futuro suocero, scavarsi una nicchia di mezz’ora al giorno
quando va bene, di un’ora il fine settimana, per scrivere,
perché lì ti senti realizzato … perché solo così sei
veramente te stesso … Ma ho trovato te, tu sei la vita, tu
sei la luce, tu sei ogni cosa … Non ti lascerò più …
Jennifer si divincola dolcemente da Lenny, il suono delle onde cala
fino a cessare, la luce torna normale, Jennifer va a prendere la borsetta,
la porta verso Lenny, la apre, tira fuori i Glen.
JENNIFER – Guarda, amore mio, la nostra assicurazione sulla
vita.
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LENNY – I Glen! (Guarda Jennifer con l’ombra del sospetto sul volto)
Ma allora …
JENNIFER – Ieri dopo che te ne sei andato sono rincasata e li
ho scoperti per caso anch’io. Sam li aveva lasciati nella
scatola che hai visto tu. Deve essersi deciso a venderli, ma
è talmente sicuro di sé che ha pensato che non potessi
trovarli.
LENNY – Hai rubato!
JENNIFER – (Arrabbiata) Sì, ho rubato a un maiale, a un ladro, a
un essere ignobile che tratta la gente come spazzatura!
Secondo te, è furto questo? No, caro, no, amore mio,
questa è giustizia! (Lo abbraccia con passione, riprende il suono
della marea) Andiamocene, Lenny, scappiamo stanotte
stessa, prendiamo il treno, andiamo in Canada, o in
Messico dove non ci potranno mai più trovare. Là vivremo
felici, tu scriverai, esprimerai il tuo talento, farai del bene
alla gente con la tua arte, non come Samuel, lui le persone
le uccide un po’ alla volta, dentro, qui, qui (indica il cuore).
LENNY – Sì, andiamo! andiamo! partiamo subito, lasciamoci
tutto alle spalle. Solo io e te. Io e te per sempre.
Iniziano a raccogliere vestiti, qualche oggetto, girano impazziti per la
stanza mentre il rumore delle onde riprende e aumenta fino a diventare
assordante tanto da non sentire più le loro voci. Dopo un paio di minuti,
quando il rumore è al massimo le luci si spengono di colpo, subentra
immediato il silenzio. La scena rimane al buio.
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QUADRO SETTIMO
Frank Gordon, Samuel Donenberg.
La scena si illumina lentamente sull’ufficio di Frank Gordon. Frank e
Samuel sono seduti uno di fronte l’altro alla scrivania. Frank serve da
bere whisky a Sam e a sé.
FRANK – (Alza il bicchiere per un brindisi). A noi due, amico mio.
All’ennesimo colpo! E’ stato più facile del previsto.
SAMUEL – (Risponde al brindisi, sorseggiano soddisfatti) Come bere
un bicchier d’acqua.
FRANK – (Apre il cassetto della scrivania, tira fuori un pacco avvolto in
un panno di velluto blu, lo appoggia sul tavolo, lo apre: i Glen)
Domani arriva l’acquirente, lo incontriamo al Palace Hotel
a mezzanotte.
SAMUEL – Ottimo. (Si alza, si sgranchisce le mani, le gambe) Notizie
dei due piccioncini?
FRANK – Sì, li hanno fermati a Pasadena, volevano passare in
Messico.
SAMUEL – Con la roba?
FRANK – Sicuro. Tenevano i gioielli in valigia, nel doppiofondo.
Che dilettanti. E’ proprio vero che l’amore rende ciechi …
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SAMUEL – … e fa commettere un mucchio di sciocchezze.
Contavo proprio su questo.
FRANK – Adesso dovranno spiegare un bel po’ di cose alla
polizia.
SAMUEL – Che, da nostre istruzioni, non crederà a una parola.
La condanna è certa.
FRANK – (Guarda Sam interrogativo) Come facevi ad essere sicuro
che avrebbero abboccato?
SAMUEL – Ho lasciato i gioielli falsi in una scatola sul tavolo
del salotto. Non in evidenza, ma in una posizione che prima
o poi sarebbe stata scoperta. E infatti … Da lì è stato un
gioco da ragazzi. Sapevo che Lenny non avrebbe avuto il
coraggio di prenderli: onesto, probo impiegato! L’avevo
convinto che era stata Jennifer a rubarli. Dovevi vedere la
faccia che aveva quando sono rientrato in salotto con il
libretto degli assegni! Mi ha guardato come fossi il diavolo,
ma non ha detto niente. Di mia moglie non avevo dubbi.
Non è stata innamorata neanche un secondo di quell’idiota,
ma ha capito che poteva far leva su di lui per scappare. E
infatti …
FRANK – (Soddisfatto) Ti avevo detto che Lenny era il pollo
giusto da infinocchiare. Leale, scrupoloso, onesto, ma con
un’ambizione segreta da realizzare. Quelli sono i tipi più
malleabili. Persone deboli … l’arte … (ridono).
SAMUEL – Già, come l’hai trovato?
FRANK – Nel modo più normale: ha mandato il curriculum, è
venuto per un colloquio. La sua passione segreta l’ho
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scoperta subito: un paio di domande ben piazzate e cosa
salta fuori? Il nostro pollo ama scrivere. Eccolo, mi sono
detto.
SAMUEL – E nel modo più normale se l’è presa lì.
Ridono, si versano ancora da bere, le luci si abbassano.
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QUADRO OTTAVO
Wendy, Kate.
In questo quadro scene, costumi e luci tornano a colori naturali come
all’inizio dell’atto.
Redazione della casa editrice. Wendy sta in piedi vicino alla finestra,
fuma una sigaretta, Kate sfoglia senza convinzione il manoscritto di
Lenny. Si sente amplificato il ticchettio di un orologio che non si vede.
WENDY – (Dopo un lunga pausa) Pare che stavolta tu abbia fatto
cilecca.
KATE – (Dopo una pausa) Pare.
WENDY – Capita.
KATE – Capita.
WENDY – Ti rode, lo capisco.
KATE – Sì, molto. Su Lenny ci avrei scommesso … tutto.
WENDY – Per scrivere, scrive bene, te lo concedo, ma …
KATE – Non dirmelo, lo so. Non si è dimostrato all’altezza.
WENDY – Purtroppo.
KATE – Purtroppo. La prova, però, era veramente dura.
WENDY – Dici?
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KATE – Sì, temo che questa volta abbiamo giocato pesante: i
sentimenti, l’amore … Siamo andate troppo in là.
WENDY – Non credo. D’altronde se non affondi sui sentimenti,
sull’amore, come fai a capire se è all’altezza? Non
dimenticare: più grande è il talento, più difficile la prova. E
Lenny, come talento, è un pezzo da novanta.
KATE – Qualche volta credo che siamo dei giudici troppo
severi.
WENDY – Non darti addosso. Noi, in fondo, li mettiamo davanti
a una scelta, loro decidono liberamente. Nessuno, finora, si
è mai accorto che siamo io e te a dirigere il gioco.
Neanche quelli a cui è andata bene, quelli che pubblicano
di più e hanno successo sospettano nulla. Pensano di
essersi fatti strada da soli. In un certo senso, è vero, salvo
essere stati scelti per la prova. La via dell'arte è irta di
difficoltà, bisogna essere persone come si deve per
percorrerla fino in fondo, bisogna avere … carattere.
KATE – (In tono conclusivo, buttando il manoscritto sulla scrivania) Sì,
forse. Dunque a Lenny Smith niente lasciapassare.
(Immaginando di rivolgersi a Lenny) Caro Lenny, il tuo
salvacondotto per il Paese dell’arte lo teniamo ancora noi.
WENDY – In attesa di tempi migliori.
KATE – (Sempre rivolta idealmente a Lenny) In attesa che tu esca di
galera.
WENDY – Fra qualche anno. Gli riconosceranno le attenuanti …
e anche noi lo faremo.
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KATE – (Sorridente, contenta) Dici sul serio?
WENDY – (Rassicurante) Sì, credo che tutto sommato gli
possiamo concedere una seconda possibilità. Uno strappo
alla regola.
KATE – Bene, allora questo lo rimettiamo qua dentro (riprende il
manoscritto, lo ripone in un cassetto chiuso a chiave della scrivania) .
In attesa di tempi migliori.
Cessa il ticchettio, inizia in sordina poi sempre più udibile una
musica ballabile di jazz che si protrarrà fino a sipario chiuso.
WENDY – (Va verso la scrivania, alle spalle di Kate) Allora, chi è il
prossimo?
KATE – (Tira fuori da un altro cassetto un nuovo manoscritto) Direi di
tentare con questo: Erwin Johnson. Non più giovane, ma un
tipo simpatico. Scrive polizieschi, basati sulla sua
esperienza di piedipiatti.
WENDY – Non come quello dell’anno scorso, spero?
KATE – No, questo è proprio bravo. Li ambienta a Chicago.
Dovresti dargli un’occhiata …
Wendy e Kate continuano a parlare. La musica continua fino alla
fine, le luci si abbassano lentamente fino al buio completo. Il sipario si
chiude.
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(2010)
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