NOESIS - BERGAMO
INCONTRI DI FILOSOFIA
LA PAROLA
2014 - 2015
Pierangelo Pelucchi
PAROLA E MUSICA: LA GENESI
DELL’EMOZIONE
Sulla musica e sulla sua nascita si sono sviluppate un’infinità di teorie, dalla mitologia greca agli
studi odierni.Non c’è musica se non si lega al linguaggio, anzi la musica è linguaggio, pensiero e
suono.
La scrittura della musica ad opera di Guido d’Arezzo (1013) è stata un salto epocale. Prima la
musica si trasmetteva oralmente di padre in figlio, gelosamente custodita all’interno della casta dei
musicisti. Nei monasteri era il praecentor (capocoro) che conservava e trasmetteva ai cantori e ai
monaci i pezzi musicali e le tecniche già risalenti ai greci. Il testo veniva declamato secondo una
melodia. Già con Gregorio Magno si riportarono segni (scrittura chiromonica) sopra le sillabe per
ricordare la direzione ascendente o discendente della melodia. Si cominciò a mettere i neumi
(note). La cosa si complicò quando si doveva indicare più note sulla stessa sillaba oppure la
tonalità o il semitono . Si disegnarono schemi a lato del testo, ma erano insufficienti nei brani
lunghi e richiedevano esecutori molto acculturati.
Guido D’Arezzo dettò le regole di scrittura: quattro linee sulle quali e tra le quali si mettevano le
note; in parte a una delle righe la F che voleva dire fa per la nota posta sopra. Sulla base di quella
era facile decifrare gli altri neumi, sol se appena sopra, mi se appena sotto e così via. Il Guittone,
così chiamato per la sua corporatura, mandò notazione e regole al suo collega, il monaco
Michele, che fu in grado di eseguirla.
Si ricuperava e conservava quell’ambito emozionale che aveva fatto parte della tragedia greca
quando il pubblico si immedesimava nella rappresentazione e dove parola, azione e suoni si
compenetravano con grande effetto drammatico.
Nel ‘300 si ebbe il passaggio alla musica polifonica. Nella ricerca di effetti, oltre alla
declamazione si aggiunse l’accordo strumentale. Si interpretarono i vari sentimenti, di odio,
amore, gioia, con ritmi differenti, rapidi per il primo sentimento, pacati per l’amore, leggeri per la
gioia. Protagonisti di allora furono i trovatori, tra i quali c’erano pure re, come Riccardo Cuor di
Leone, raccontando le gesta di Carlo Magno o dei Cavalieri della Tavola Rotonda.
Con la Guerra dei Cento Anni la gloriosa Scuola di Notre Dame si disperse, si trasferì nelle
Fiandre. Qui nacquero e si moltiplicarono le scuole donde provenirono i maestri di Coro o di
Cappella. A Bergamo, per il coro della Basilica di S. Maria Maggiore, ci fu un certo Johannes de
Flandra, a cui succedette Johannes de Borgundia.
La musica polifonica creò una forma di fugato, cioè voci che si susseguivano, si rincorrevano, si
sovrapponevano, con grande godimento del pubblico. Ma si finì per eccedere. La quantità prevalse
sulla qualità. Si arrivò ad eseguire brani con 60 e più voci. Spesso il risultato divenne confusione::
“un latrar di cani” definì uno storico del tempo il coro ascoltato ad una festa nelle Fiandre. Per non
parlare di compositori che mischiavano testi , lingue e caratteristiche musicali diverse: tutto per
stupire il pubblico.
Nel 1500 ci fu la frenata. Si stava avviando la Riforma protestante.. Lutero che già aveva
stampato la Bibbia in tedesco si propose di coinvolgere il popolo nel canto. Come ? Pensò alle
canzoni popolari delle sagre paesane o degli artisti di strada. Come istruire la gente analfabeta?
Innestò sulle facili melodie le nuove parole di fede. Il celebrante accompagnato dall’organo cantava
in una ritmica pacata la prima strofa, ad esempio “O capo insanguinato del dolce mio Signor”. Si
fermava, lasciava che il popolo ripetesse, quindi passava alla seconda strofa, e via di seguito. In tal
modo si riconciliò parola e musica. La Chiesa cattolica impiegò 300 anni per ricuperare.
Il Cinquecento fu un secolo tremendo, tra guerre e massacri, ma fu pure un tempo in cui le idee
circolarono, nacque un mecenatismo di più larghe vedute, che teneva conto non solo dei poeti, ma
anche dei pittori, degli architetti, dei musicisti. La musica si divise in sacra e profana. Questo ebbe
dei contraccolpi. Se da una parte un maestro di Cappella non poteva comporre musica profana,
dall’altra la musica profana portò innovazioni. Introdusse la struttura della scala in minore e
maggiore che conosciamo oggi. Diede sviluppo a generi musicali diversi.
L’esecuzione di un’opera di Clement Jancquin, in occasione della celebrazione della battaglia
di Marigliano, ne è un esempio. Francesco I di Francia, che con la battaglia conquistò il Ducato di
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A cura di Mauro Malighetti
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LA PAROLA
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Pierangelo Pelucchi
PAROLA E MUSICA: LA GENESI
DELL’EMOZIONE
Milano, assistette con tutta la sua corte all’esecuzione. La musica è un rincorrersi di voci che
rendono il senso di attesa, l’azione e la concitazione della battaglia, il correre dei cavalli, in un
gioco vivace di onomatopee, la gioia della vittoria. Il tutto dovette risultare una grandiosa
celebrazione per il re e per chi aveva partecipato. Questa composizione farà scuola, e la battaglia
diverrà una nuova forma compositiva.
Nel Seicento si sviluppò il melodramma. Si tornò alla parola sostenuta dalla melodia. Oggi tanti
di quei lavori non si riescono più ad ascoltare, ma quegli esperimenti portarono frutti duraturi. Ad
esempio l’aria , nelle diverse forme : il lamento, la preghiera, il dialogo giocoso, l’attestazione
d’amore.
Un esempio è l’Oratorio di S. Luigi Gonzaga musicato da Simone Mayr in cui il protagonista
esterna la volontà di essere guerriero di Cristo (brano cantato con grande intensità dalla soprano
Giulia Della Peruta).
Altro esempio è il finale del terzo Atto della Maria Suarda. Maria insieme alla sua corte sta
aspettando il colpo di cannone che precede l’ esecuzione. La regina si inginocchia e prega. Sarà il
fagotto, lo strumento preferito da Donizetti in queste circostanze, a sottolineare la forza d’animo
della regina che sorregge i compagni di sventura e si affida alla misericordia divina.
Altrettanto carica di pathos è la partenza dei suppliziandi in L’assedio di Calais (1836), opera
quasi dimenticata di Donizetti. Il grande operista aggiunge la battuta finale non prevista nel
libretto, “Addio per sempre. Andiam!” che trasforma le vittime in eroi.
Dal Flauto Magico di Mozart l’aria della Regina della Notte comunica il senso di
sconvolgimento della stessa Regina quando ormai bene e male si confondono.
Spesso l’aria divenne una prova di virtuosismo fine a se stesso, come nelle esibizioni dei castrati
che ricercatissimi e ben pagati finivano per sovvertire la struttura dell’opera stessa per soddisfare le
richieste del pubblico. Ma la vera musica andò avanti.
“Là dove finisce il potere della parola lì comincia quello della musica” (Wagner)
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A cura di Mauro Malighetti
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