UNIONE CAMERE PENALI ITALIANE OSSERVATORIO FORMAZIONE GIOVANI LE RADICI DELL’UNIONE ED IL FUTURO A CONFRONTO 1 Le radici dell’Unione ed il futuro a confronto. Interpreto o mi piacerebbe interpretare il titolo che è stato dato alla imporimportante iniziativa dell’Unione: e trovo nel lemma utilizzato “confronto” il punto di partenza, e lo snodo centrale dell’essere parte della Unione delle Camere Penali. Dal confronto con se stessi, con i colleghi, con le altre parti del processo, la Giustizia intesa nel senso più autentico trae nuova linfa; e la vitalità che l’Unione dimostra è il segno tangibile che le intuizioni dei padri fondatori e la lungimiranza da essi mostrata non appartengono al passato, sia pure glorioso; che le energie spese nel corso degli anni da chi ha fatto dell’essere avvocato una missione, ed ha fatto in modo che tale fosse percepita dalla collettività la funzione svolta dall’avvocato, sono state energie ben spese e non sprecate. E’ un patrimonio, questo, frutto delle continue sinergie, dell’impulso al rinnovamento, della consapevolezza del ruolo, che non deve essere disperso; ed è l’unico patrimonio trasmissibile. Per queste considerazioni, si è fatta strada - con impeto, in realtà- la idea di rintracciare nei principi che hanno ispirato la fondazione della Unione la guida che indichi la strada da percorrere ai giovani - e sono tanti – che si affacciano alla professione, spinti dalla passione e dall’entusiasmo che solo la consapevolezza della missione dell’essere Avvocato può donare. Nel ripensare a quei principi, l’elemento che più di ogni altro balza all’evidenza è la volontà - manifestata nel corso della riunione di Salerno del 14 Febbraio 1982 e cristallizzata nel testo dell’art. 2 dello Statuto tutt’ora vigente - di porre al centro della attività e dello svolgimento del ruolo del difensore nell’ambito del processo penale, la funzione sociale dell’Avvocato. Si tratta di una novità assoluta, di una prospettiva inedita rispetto a quella che fino a quel momento aveva relegato l’esercizio della professione forense in un ambito, certamente nobile, ma fruibile ai soli operatori del diritto; nel quale le aggettivazioni prevalevano sui sostantivi, le suggestioni sulle argomentazioni. Erano anni difficili; cominciava ad avvertirsi la necessità di superare gli schemi di una difesa - e prima ancora di una modalità di partecipazione alla vita della comunità - che superasse l’idea dell’avvocato arroccato su posizioni di privilegio proprie di una casta inaccessibile. Venne il tempo allora della introduzione e regolamentazione della deontologia forense; e venne il tempo del processo (con il modulo accusatorio) come strumento di affermazione della legalità. Controllo delle regole; occasione per occasione per riaffermare il primato della norma; estrinsecazione del principio di garanzia dell’individuo. Osservando la realtà e le modificazioni di essa, la professione forense ha saputo rinnovarsi, interpretare il suo tempo, dare voce alla esigenza di cambiamento che in quegli anni si avvertiva. Modellandosi su una società complessa e in continua evoluzione, e sapendo fare proprie le istanze volte ad ottenere - o quanto meno a pretendere di ottenere - il rispetto delle regole e la tutela effettiva del cittadino. Dunque per la prima volta, esplicitamente dichiarandolo, il richiamo forte era fatto alla necessità di organizzare il pianeta giustizia perché esso fosse funzionale allo scopo per il quale la Giustizia, ed il processo che è il luogo d’eccellenza deputato alla affermazione di essa, esiste e deve essere amministrata. Se la giustizia costituisce la base di riferimento di ogni sistema democratico e di ogni convivenza civile, il processo è - insieme ed allo stesso tempo - lo strumento attraverso il quale garantire i diritti fondamentali del cittadino, dalla sicurezza al giusto processo; dal diritto alla tutela delle garanzie al diritto alla libertà. La unità delle Toghe penali è stato dunque un forte segnale di modernità per l’Avvocatura, liberale per indole, ma orientata a superare le istanze individualizzanti, nel solco di una tradizione che l’aveva vista partecipe di tutte le lotte sociali. Negli ultimi 40 anni la professione legale ha subito notevoli e profondi cambiamenti, che hanno inciso sulla organizzazione della attività e degli studi; e che, prima ancora, hanno posto forte il tema della revisione del modo stesso di intendere il ruolo ed esplicare la funzione dell’avvocato. Sicché diveniva indispensabile unire gli sforzi e dare linee progettuali ed attuative comuni alla avvocatura penalista. Questa la nuova – o meglio rinnovata - caratterizzazione dell’avvocato: al di là della specializzazione (per vero, da sola, non sufficiente a garantire l'assistito) e oltre all’aggiornamento (certamente necessario e costante) si aggiungeva la esigenza di una ricerca comune per la formazione e l’approfondimento della professione, sul versante culturale e di comporta- mento, in modo da reggere il confronto con le altre parti del processo. Questo divenendo il metodo di un costante ed instancabile impegno intellettuale. Ciò può essere conseguito solo facendo leva sui valori della nostra storia, che sono tanto più attuali e forti quanto più è attuale e forte il richiamo alla dignità della professione; e che l’Unione si incarica di ricordare ed affinare, a confronto dei sempre più dilatati poteri che fanno del processo penale un campo utile anche per ottenere “effetti collaterali”, quali le carriere, la presenza privilegiata su giornali e televisioni; la notorietà presso il pubblico. Le conquiste della avvocatura additano alle nuove generazioni di avvocati che il valore aggiunto di una difesa tecnica sta proprio nella autorevolezza di chi la svolge, e nell’apprezzamento della serietà del difensore da parte di chi deve giudicare. Laddove la autorevolezza deve trovare modo di manifestarsi molto spesso in un processo nel quale il magistrato “occupa” tutti gli spazi. Discende infatti dalla funzione sociale della difesa - o meglio dell’avvocato - ricordare e pretendere che il magistrato sia mediatore tra il diritto dei singoli ed il potere. Parafrasando Galbraith il potere ha in sé il crisma della diffusività: se lo si lascia libero, ingombra. Fino a schiacciare. Il magistrato è chiamato ad equilibrare il potere e ha l’obbligo di questa mediazione. Guai se l’avvocato lasciasse spazio al magistrato di esercitare egli stesso il potere, perché verrebbe meno al dovere di esserne mediatore rispetto al diritto del cittadino. Perciò un processo di parti nel quale il giudice sia distinto e veramente terzo si pone come esigenza imprescindibile e non più differibile. Solo in tal modo potrà garantirsi la parità delle armi, la terzietà del giudice, la garanzia del contraddittorio. In sostanza un processo che sia giusto anche perché equo. L’eredità da coltivare per offrirla alle nuove generazioni, e da queste condivisa con chi è neofita della professione, e proprio il principio della autorevolezza e della dignità della toga. Eredità che non genera conflitti tra i destinatari, potendone usufruire tutti in egual misura; tutti riscoprendo uno stile fatto di rispetto per ciò che è giusto e doveroso, ma senza servilismi; tenendo fermo il baluardo forse ultimo della effettiva garanzia dei diritti dell’individuo. Aprirsi al dialogo con i colleghi, con le altre parti del processo; tracciare percorsi condivisi, attraverso lo scambio dialettico ed intellettuale. Così il confronto diviene il metodo che lascia traccia e fa crescere chi lo accetta e ne comprende il senso. Fare in modo che la esigenza di raggiungere il risultato non sacrifichi il rispetto delle regole; che la volontà di sconfiggere il crimine non sia avvertita come prerogativa esclusiva di una parte del processo. Perché è chiaro che la battaglia alla criminalità, di qualsiasi specie, e soprattutto quella mafiosa, passa attraverso il ruolo di Comunicazione sociale del processo. Ruolo che può essere assolto compiutamente ed efficacemente solo se potrà giungersi ad un processo giusto. In questo contesto è allora essenziale che il giovane avvocato intenda la importanza di interpretare sempre e senza eccezioni detta funzione: comprenda cioè che l’esercizio della professione involge anzitutto un dovere sociale correlato al diritto di difesa, pilastro di ogni costituzione democratica. E che quindi va esercitata con competenza e dignità; evitando pericolose commistioni con l’assistito; anteponendo il rispetto delle regole (processuali e deontologiche), alla tentazione di un certo oltranzismo defensionale, nel quale la ragionevolezza degli argomenti cede il posto alla pretestuosità degli stessi. Il comune sentire si sviluppa dunque per un verso attraverso la tutela del proprio assistito, in un momento nel quale quotidianamente nel processo penale si saggia la tenuta di un sistema; e dall’altra nella necessità di riscoprire nella formula dello stare insieme il valore e la forza della omogeneità della Avvocatura penale. La consapevolezza e la dignità della Toga in virtù delle quali è stata immaginata e creata l’Unione richiamano allora a quella unità che caratterizza la Unione. Sicché lontano da corporativismi e classificazioni di categoria, si palesi nel valore della appartenenza il significato dell’essere avvocati. Il ruolo di coloro i quali hanno dato corso sulla spinta aggregatrice di quegli anni, alla formazione della Unione è quello di spiegare ai più giovani il senso alto della funzione del difensore nell’ambito della comunità socia- le; non già con sermoni e men che mai con l’elegia forse fine a se stessa di tempi ormai trascorsi; ma con il valore della testimonianza. E’ per quella funzione, per quei valori che la professione forense non potrà scomparire; l’avvocatura continuerà ad esistere; perché la funzione dell’uomo che si china su un altro uomo, sia esso autore o vittima di un reato qualifica di umanità la professione; è un modo di essere che fonda la solidarietà, l’anelito della giustizia, il senso di appartenenza ad una storia e ad un destino comuni. L’Avvocato deve avvertire di essere portatore di una missione. Che egli porta avanti, non sostenendone da solo il fardello, ma insieme a colleghi con i quali si condivide l’impegno alla quotidiana conquista di una dignità personale e sociale: cercata e voluta da una realtà, quale l’Avvocatura, che dalla coesione derivante dalla unità trae un forte senso di appartenenza. La professione forense è autonoma ed individuale, m a ha anche acquisito la consapevolezza di appartenere alla storia di una comunità ed al suo futuro. Da quel San Valentino ad oggi Questo dovettero pensare i giovani avvocati cresciuti con gli scritti di Gramsci e Maritain; che si appassionavano alla arringhe di De Marsico, Porzio e Casalinuovo, che nella riunione di Salerno del 1982 intuirono la necessità di trovare delle linee comuni e di condividere scelte che portassero l'avvocatura penale a leggere le istanze di modernizzazione che da più parti la comunità sociale sollecitava. La foto, simile ad un polveroso dagherrotipo, che ritrae i 19 fondatori mentre firmano a Salerno il patto federativo tra le camere penali rappresentate, ritrae l’entusiasmo ed insieme la consapevole certezza che era un fatto storico, quello che vedeva la luce in quel momento. Nel 1989, al Congresso straordinario di Amalfi, l'Unione adotta il suo primo statuto ed assume una veste giuridica, mettendo al centro il cittadino ed, ovviamente, i valori etici e di solidarietà che tuttora informano lo “stare insieme” all'interno dell'Unione degli avvocati penalisti italiani. Sulla base di questo senso di condivisione e coesione si moltiplica il numero delle camere penali e cresce esponenzialmente il numero degli iscritti. L'ampliamento anche su base territoriale impone una revisione statutaria anche al fine di rendere possibile l'elezione del Presidente come frutto di una scelta condivisa dal Congresso. Tale esigenza si concretizza nel corso del Congresso di Alghero del 23/09/1995. Negli anni successivi sempre ad Alghero, i penalisti intuiscono, stante il proliferare dei numeri dell'avvocatura, la necessità di formare i giovani, non solo dal punto di vista delle cognizioni professionali, ma per prepararlo alla sua nuova funzione, fornendo al giovane avvocato strumenti etici e deontologici adeguati alle nuove sfide. Da questa esigenza nasce, nel 1997, il primo corso nazionale di deontologia e tecnica del penalista da cui deriva, negli anni successivi, la inaugurazione di numerosi corsi territoriali frequentati da centinaia di giovani avvocati penalisti; che esprimono tutte una comune connotazione, tipica delle scuole UCPI che ne ha caratterizzato sempre più la specificità, l'alto grado di coinvolgimento, che quasi spontaneamente esse hanno creato su base territoriale. Segno evidente che al di là di una innegabile utilità formativa, era avverti- to forte il senso e la voglia di confrontarsi con i colleghi in una scambio reciproco, fonte di sicuro arricchimento; mentre diveniva sempre più avvertita e pressante la esigenza di porre le basi per una formazione specialistica e che fornisse all'avvocato la consapevolezza del valore del ruolo, oltre che gli strumenti idonei per interpretarlo con dignità. Il dibattito culturale svoltosi in questi anni, porta il legislatore ad introdurre nell'anno 2001, con la legge n. 60, (art. 29, I bis disp. att. c.p.p.), la possibilità per il difensore di frequentare un corso organizzato dall'Unione e dalle camere penali territoriali finalizzato anche al rilascio dell'attestato di idoneità utile per iscriversi all'elenco dei difensori di ufficio di cui all'art. 97 c.p.p. Per la prima volta viene riconosciuto il valore ed il significato del lavoro svolto dalle camere penali con il formale riconoscimento nel codice di rito; e – insieme - l’esigenza di un avvocato qualitativamente idoneo a rendere effettiva la parità delle parti introdotta dal nuovo art. 111 della Costituzione. L'avvocato degli anni 2000 ha sempre più la necessità di formarsi non solo nei luoghi classici riservati all'Avvocatura, quali lo studio professionale e le aule di giustizia, ma tenendo conto anche di momenti di confronto intellettuale all'interno di vere e proprie aule didattiche. L'Unione ha colto da sempre questa necessità prevedendo due livelli di formazione : le scuole di primo livello, diretta emanazione delle camere penali territoriali, e le scuole di secondo livello e/o di specializzazione, diretta promanazione dell'Unione. In quest'ottica è opportuno incentivare uno scambio di informazioni, dal tenore ovviamente formativo, sia in chiave contenutistica che formalistica tra l'Osservatorio formazione giovani e le scuole territoriali presenti all'interno dei territori di appartenenza delle singole camere penali al fine di condividere e scambiare le reciproche esperienze. In questo modo l'Osservatorio potrà raccogliere preziose informazioni e contribuire a diffondere i principi dell'associazione e l'importanza di una formazione e di un aggiornamento che contribuiscono alla crescita di un avvocato pronto a difendere i diritti dei più deboli e ad un sempre maggiore accrescimento dell'amore e della passione per la Toga che i giovani penalisti si apprestano ad indossare. Dunque, è indispensabile che le scuole territoriali svolgano un ruolo di formazione pratica e concreta dei penalisti anche con il supporto delle idee elaborate dallo scrivente osservatorio. Indubbiamente il ruolo dell'avvocato si è totalmente modificato con l'entrata in vigore del nuovo processo penale ormai risalente all'anno '89; non a caso, negli anni immediatamente successivi, l'Avvocato Vittorio Chiusano, mai dimenticato Presidente UCPI, così descriveva il cambiamento del ruolo dell'Avvocato: “… l'arte oratoria onorata nel passato dai più grandi avvocati (da Demostene a Cicerone per arrivare quasi ai giorni nostri ai De Nicola ed ai Porzio) rischia la morte e con essa la possibilità per il penalista di invocare nel suo discorso le regulae iuris” e, così concludeva, “con la speranza che se Cicerone è ormai in soffitta, al piano nobile possa almeno rimanere un estratto del suo dire che, per l'intelligenza con cui è stato ordinato dovrebbe avere la fortuna di non prendere polvere”. Sicché non è senza significato (ed anzi va colto l’intimo collegamento tra gli eventi qui richiamati) che proprio l'Unione si sia fatta portatrice di un disegno di legge costituzionale che poi è sfociato nell'introduzione dell'art. 111 Cost., Legge Cost. 23/11/1999 n. 2, inserendo i principi del giusto processo. Una storia, dunque, che se letta nella sua complessità dimostra come l’Unione abbia saputo cogliere per tempo le novità degli anni ’70 fino alla fine del “secolo breve” che avrebbero scosso la vita del paese; e del suo sistema giustizia. Con la Corte Costituzionale ad assestare il rapporto tra un modo di sentire forgiato alla luce dei vecchi codici e l’urgenza della nuova legislazione democratica e repubblicana; il potere legislativo ad eliminare i residui di un neopositivismo (si pensi alla modifica dell’art. 59 e 118 c.p.); la realtà del terrorismo da combattere mantenendo ferme le garanzie della difesa. Con i suoi caduti ed i suoi eroi: tra i quali coloro che indossarono la toga pur sapendo del pericolo al quale si esponevano; e chi morì, per mantenere alto il valore della toga - simbolo di libertà - e della difesa, da svolgere in favore di chiunque; quale che fosse il delitto per il quale veniva giudicato. Lungo il percorso di questa storia, l’Unione ancora una volta comprende ed anticipa la necessità di garantire effettivamente il cittadino, e di porre l'uomo e la sua storia al centro del processo; di garantire il principio di oralità come mezzo essenziale perché nel processo la garanzia del contraddittorio assurga a garanzia delle ragioni dell'individuo. Solo così, un giudice autenticamente terzo può rendere una sentenza che, attraverso la motivazione, assolve pienamente alla funzione dello iuris dicere. Rimane così innegabile il valore dell’impegno dell’Unione per il nuovo codice e l’ulteriore conquista dell'Unione con la approvazione della Legge n. 397/2000, rubricata come “investigazioni difensive”; la lunga battaglia perchè il legislatore ordinario attuasse i principi normati nel terzo comma dell'art. 111 Cost. darà infatti i suoi frutti, poichè ha consentito al difensore di poter svolgere autonomamente attività investigativa in favore dell'assistito senza la necessità della previa autorizzazione della autorità giudiziaria. Nel contempo onerandolo del corretto uso di uno strumento di inestimabile valore per rendere concreta la parità delle parti; e proprio per questo emblematicamente da difendere e preservare da inquinamenti e – peggio valutazioni di ridotta qualità probatoria. Certo ancora tanto c'è da fare al fine di rendere effettiva e concreta l'attuazione dei principi del giusto processo nell'ordinamento processual- penalistico. Proprio per questo l’Avvocatura penale deve difendere le sue conquiste; non con arroganza, ma con la autorevolezza e la dignità di chi ha le qualità per farlo. Ed è per questo che i giovani delle camere penali, senza fare aggio sulle competenze quesite, devono trovare nuovi spunti e nuove forme di dialogo tra loro, con l'Unione e con le altre parti del processo e della comunità sociale, per proporsi quali araldi di un rinnovamento culturale, prima ancora che professionale. Ad oggi. E poi...? Questa la fotografia dello stato attuale, in termini estremamente semplificati, della partecipazione dei giovani alle camere penali territoriali, resa senza il crisma della scientificità e sulla base di una indagine a campione svolta dai singoli componenti dell'Osservatorio, avendo come parametro i colleghi con non più di quindici anni di anzianità di iscrizione all'albo, si attesta intorno al 40 %. Demandando le conclusioni e le prospettive di azione collegate ad una analisi più approfondita e questa volta propriamente scientifica da compiersi in un futuro prossimo, il dato rilevato appare significativo perché segnala una partecipazione importante ma che può ben essere incrementata su base territoriale alle camere penali da parte dei giovani avvocati. Interessa dunque porre in campo strumenti ed iniziative che portino ad aumentare il numero dei giovani iscritti, rendendo sempre più consapevoli le nuove generazioni di avvocati del valore di appartenenza alle camere penali. È evidente che per fare l'avvocato è sufficiente essere iscritti al consiglio dell'ordine; ma è altrettanto evidente che l'essere avvocato fa sorgere una identità che rinviene non solo dagli studi, dalla passione, dalla voglia di partecipare alla creazione di una giustizia autentica; ed è una identità che si rafforza in virtù di un sentire comune, proprio di quella appartenenza che ha mosso i padri fondatori dell'Unione delle Camere Penali Italiane. Perché il coinvolgimento che è dato dalla condivisione non rimanga un mero proposito o una mera intenzione, l'Osservatorio formazione giovani intende farsi carico della realizzazione concreta di iniziative che allarghino la base di partecipazione; che coinvolgano i giovani avvocati, sicché tutti e ciascuno divengano propulsori e artefici di proposte che vengano veicolate all'interno dell'Unione, e che, ove ritenuto, costituiscano un punto di partenza o quantomeno uno spunto di riflessione per migliorare il funzionamento della Giustizia. Alla luce di quei principi che sono il faro di un cammino, quale quello intrapreso dalla moderna avvocatura, difficile ma entusiasmante. Ricordando che nessuno è se stesso senza le proprie radici. Questo libretto è stato ideato, curato e redatto dal gruppo di lavoro dell’Osservatorio Formazione Giovani dell’Unione delle Camere Penali Italiane composto da: Responsabile avv. Sergio Lapenna – Camera Penale di Basilicata avv. Barbara Amedei – Camera Penale di La Spezia avv. Bruno Barbieri – Camera Penale di Milano avv. Franco Di Paola – Camera Penale di Sala Consilina – Lagonegro avv. Massimo Galasso – Camera Penale di Pescara avv. Giuseppe Ledda – Camera Penale di Cagliari avv. Chiara Luciani – Camera Penale “V. Chiusano” del Piemonte Occidentale e Valle d'Aosta avv. Federico Lugoboni – Camera Penale di Verona avv. Michele Morena – Camera Penale di Perugia avv. Marco Russo–Camera Penali di Viterbo avv. Salvatore Sansone – Camera Penale di Termini Imerese avv. Alessandro Sarti – Camera Penale di Rimini avv. Vincenzo Sguera – Camera Penale di Benevento avv. Clara Veneto – Camera Penale di Palmi avv. Shara Zolla – Camera Penale di Basilicata Queste riflessioni sono volutamente aperte, per consentire a chiunque volesse di consegnare esperienze, istanze, proposte, per rendere effettivo e concreto l'intento della creazione di una giovane Avvocatura penalista dinamica, moderna e capace di affrontare le sfide del futuro con la consapevolezza che è data dalla forza della storia. Finito di stampare nel mese di giugno 2015 in Potenza