PER MOZART Proposta di lavoro in occasione dei 250 anni dalla nascita C i sono molti modi per celebrare la gloria e le gesta di un personaggio famoso. Scriverne semplicemente; eseguirne le opere nei Teatri, nelle sale di Musica, o nelle Chiese se si tratta di un compositore; declamarne i versi se è un letterato; recitarlo, quando si tratti di un drammaturgo; oppure affiggere, là dove egli ha dimorato, una stele commemorativa a memoria della cittadinanza. Nel caso di Wolfgang Amadeus Mozart e più in specifico in occasione del Giubileo per i 250 anni dalla sua nascita viene in mente un solo modo per festeggiarlo, cui centinaia di Istituzioni pronte a fare lo stesso a livello planetario non si conformeranno, perdendo così un’occasione: allontanarsi da lui. Spiegandosi meglio. Fossi un esecutore, un interprete, un direttore d’Orchestra o il responsabile di un ente musicale il mio interesse sarebbe rivolto a ribaltare l’approccio più scontato. Ciò che solleciterebbe la mia curiosità non sarebbe udire cosa Mozart ha scritto, ma udire cosa Mozart ha ascoltato. Impiegare allora i migliori virtuosi, le migliori orchestre, i migliori teatri e le più elaborate SURGX]LRQL SHU OH VRQDWH GL .RåHOXK L Klaviertrios di Pleyel, i quartetti di Hoffmeister o per allestire La grotta di Trofonio di Salieri, L’Arbore di Diana di Martin y Soler o il Re Teodoro a Venezia di Paisiello. Evitando inoltre l’uso della più pedante filologia: via dunque le corde di budello, l’intonazione degli strumenti a 415 anziché gli odierni 440 o il fortepiano che per data e loco di produzione possa risultare il più fedele all’originale; tutti quei mezzi cioè impiegati con frequenza nelle occasioni in cui i “minori” settecenteschi vengono riproposti. Come se rappresentarli fosse una sorta di rito o un ritorno impossibile al tempo che fu dal quale bandire le ‘distrazioni’ del nostro quotidiano. Sono convinto che, fintantoché resterà questa la Ratio e si frapporranno tali filtri, la partita per la ri-scoperta dei ‘minori’ sarà tendenzialmente persa e la loro musica condannata a non interagire con la nostra sensibilità. Riscoprire i contemporanei di Mozart e relazionarli nuovamente a lui non avrebbe il significato di sminuirne il ruolo e la figura. Tutt’altro; offrirebbe l’opportunità di tornare a Mozart più consapevoli di prima. Ci aiuterebbe a comprenderne meglio la scrittura: la grande capacità di sintesi come la simultaneità dell’uso di più piani espressivi. Analogamente la proposta di lavoro sul terreno delle opere musicali va estesa alla sempre aperta discussione sull’uomo e alle relazioni con il mondo che lo circondava. Un terreno scivoloso su cui i Biografi continuano a divergere, con il risultato paradossale che quanto la sua musica è immediatamente riconoscibile anche ad un ascoltatore non espertissimo, altrettanto non si può dire della 1 personalità, sfuggente ad un modello unico, e delle sue vicissitudini biografiche, ancora fonte di interpretazioni contrastanti. Mozart sopravisse in ‘eroica povertà’ gli ultimi anni della sua vita, patendo in prima persona le conseguenze del proprio desiderio di autonomia e l’impreparazione di un contesto non ancora maturo per consentire ad un musicista la libera professione oppure le risorse finanziarie non gli vennero mai meno, e anzi sperperò enormi somme al gioco e visse al di sopra delle proprie possibilità ? Dovette subire per la satira delle Nozze di Figaro la vendetta della Nobiltà, che gli voltò le spalle disertandone le accademie e bandendolo come Maestro di piano dalle proprie dimore, oppure la guerra contro la Turchia imponeva restrizioni per tutti o forse aveva semplicemente ragione il Conte d’Arco, che era buon conoscitore delle genti viennesi, pronosticando giustamente l’epilogo ? Fu un eterno genio-bambino, burlone, ingenuo e insolente, quasi imbarazzante al di fuori della creazione musicale od un conoscitore della socialità di corte, capace di intrighi, fine intellettuale, sensibile e partecipe agli epocali cambiamenti di un’era di transizione ? Morì di febbre miliare acuta enfiando le gote nel tentativo di simulare i tromboni del Requiem oppure fu vittima di un complotto ordito dalla massoneria o della gelosia di un marito tradito ? Sono alcune tematiche centrali nello studio della sua personalità e note a chiunque abbia una minima confidenza con le sue peripezie biografiche. E nonostante le fonti andate in secca da ormai quasi un trentennio1 — e forse proprio in virtù di questo — va dato atto che in questo arco di tempo non sono mancati contributi capaci di rileggere con arguzia il materiale a disposizione così come tentativi di superare cliché logori e rinnovare l’immagine stantia ereditata dalle biografie più pigre. Ne risulta un corpo bibliografico arricchito e rigenerato nelle idee, ma anche un accentuato disorientamento per le antinomiche immagini prodotte. Ciò proprio in virtù del fatto che si tratta di interventi che coprono un vasto raggio di interessi, dalla psicologia alla sociologia, dall’estetica alla letteratura sino alla biografia. Della molteplicità dei volumi prodotti la scelta cade su tre ai quali dedicarsi brevemente: Elias, Buscaroli e Bramani. Diversi nell’impostazione, per non dire antitetici nelle conclusioni, sono per questo paradigmatici dei diversi filoni presi in questi ultimi anni. L’analisi introspettiva e al tempo stesso sociologica di Norbert Elias2, che fu sociologo e storico attento, di un Mozart morto per mancanza di amore della moglie e della città sulla quale aveva riposto le proprie aspettative si genera sulla base di una lunga tradizione di stereotipi ereditati acriticamente o perlomeno è il segno della mancanza di ricerca diretta3. Pur non rinnovandone l’immagine, con l’introduzione degli strumenti e delle 1 E. DEUTSCH, Mozart die Dokumente seines Lebens. Addenda und Corrigenda, Zusammengestellt von Joseph Eibl, Kassel, 1978. 2 N. ELIAS, Mozart: sociologia di un genio. Il Mulino, Bologna, 1990. 3 Non convince la sua tesi di un contesto, quello viennese negli anni di Mozart, immerso nelle regole vincolanti e gerarchiche della società d’Ancien Regime. È un tema che verrà affrontato distesamente nel corso dell’articolo. Quanto all’idea che Mozart avvertisse negli ultimi anni di vita una sensazione di abbandono o di mancanza di successo l’impressionante trionfo della Zauberflöte e l’effetto galvanizzante che ebbe su di lui, può bastare da solo a respingerla recisamente. 2 problematiche proprie dell’analisi sociologica indica alcuni stimolanti percorsi di ricerca. Il Buscaroli, che è critico scorbutico a cui non manca certo la capacità di osare, disegna con metodologia investigativa un ‘Curriculum Mortis’ alquanto insolito rispetto a quanto siamo abituati a leggere. Il suo saggio4 rappresenta ad ogni modo un punto di riferimento imprescindibile per chiunque sia interessato ad uno studio biografico. La Bramani5 tenta di ribaltare il cliché del genio capriccioso e infantile. Lo fa affrontando organicamente un tema delicato (perché suscettibile ad una ridda di interpretazioni le più disparate), quale è quello della massoneria relazionata alla produzione musicale, e aprendo uno squarcio sui fermenti culturali e politici implicitamente o esplicitamente connessi al mondo musicale, ma un uso parziale e arbitrario delle fonti rende il suo saggio più letterario che veramente storico-biografico6. L’interesse multi-disciplinare che la figura di Mozart ha suscitato è diventato paradossalmente spia di una certa stanchezza della ricerca e la tendenza editoriale di privilegiare il moltiplicarsi di biografie romanzate ne è ulteriore conferma. Resto invece convinto che le problematiche che la vita e l’opera di Mozart suscitano diventerebbero più comprensibili con un cambiamento di prospettiva che invece del singolo ponesse al centro dell’indagine il contesto in cui è vissuto. Retrocedere Mozart in una posizione che cessi di essere privilegiata rispetto ai suoi contemporanei, come in genere si fa secondo un approccio falsamente retrospettivo che fa valere aprioristicamente principi estetici emersi marcatamente solo a posteriori, può assumere una molteplice valenza, a seconda del campo di indagine che suscita la nostra attenzione. Cominciamo allora gettando un rapido sguardo alla fisionomia della capitale dell’impero asburgico. Vienna nel Settecento era una città cosmopolita, crocevia di esperienze e culture diverse, che attirava, per un alto standard di vita garantito dalla presenza di una Corte imperiale e di famiglie della grande aristocrazia, commercianti, artisti e mercanti provenienti dai più disparati angoli dell’impero. Schiere di tedeschi, ungheresi, boemi, italiani vi si trasferivano in cerca di fortuna. Con la morte dell’Imperatrice-Madre Maria Teresa e la conduzione unica di Giuseppe II la politica riformista si fece più radicale e introdusse cambiamenti 4 P. BUSCAROLI, La morte di Mozart, Rizzoli, Milano, 1996. L. BRAMANI, Mozart massone e rivoluzionario, Mondatori, Milano, 2005. 6 C’è nella Bramani la tendenza a ridurre di valore od omettere quelle testimonianze che renderebbero meno granitico l’apparato concettuale su cui poggia la tesi principale del suo volume. Per limitarsi ad un paio di esempi basti citare il depotenziamento che fa dell’aspro commento di Mozart per la morte di Voltaire in una celebre epistola al padre durante il soggiorno parigino. Ivi pp. 24-25, pp. 79-80 .O la fugace citazione della scrittrice Pichler ricordata come la figlia di quel Franz Sales von Greiner, massone e consigliere di corte, il cui salotto era frequentato da « intellettuali e artisti come i fratelli Schleghel, Grillparzer, Brentano, Beethoven e Schubert ». Ivi p. 57. In realtà la Pichler è nota alle cronache mozartiane per aver lasciato un profilo psicologico e intellettuale non proprio lusinghiero del maestro salisburghese: « Mozart e Haydn, io li conobbi bene. Erano uomini comuni, a frequentarli non rivelavano speciali segni di potenza intellettuale: a stento si coglieva in loro qualche traccia di una educazione spirituale, o di un qualsiasi superiore interesse culturale. Mentalità ordinarie, scherzi triviali e, nel primo, una condotta irresponsabile, erano tutto ciò che si osservava in loro compagnia; …». E. DEUTSCH, Mozart. Die Dokumente seines Lebens, Kassel, 1961 pp. 472 e seg. 5 3 economici e sociali che andarono ad intaccare alcune tradizionali aree di privilegio e portarono a cospicue ascese sociali specialmente nell’industria. Un contesto così riformato non poteva non avere le sue positive ripercussioni anche sulle attività musicali, e così fu. La musica a Vienna, benché in ambito operistico attivissima e produttrice di fondamentali novità, ancora alla metà degli anni settanta del Secolo si dimostrava languente sul versante delle attività concertistiche e dell’editoria, specialmente se creiamo una linea di confronto con alcune delle principali città europee. Un operatore musicale che si fosse recato a Vienna nel corso del Settecento avrebbe impiegato il suo talento e legato le sue fortune al mondo dell’opera o ad un ingaggio presso la Corte o una famiglia della grande aristocrazia. L’universo musicale era in questo senso ancora specchio della società d’Ancien Regime, il cui modello dominante era quello mecenatesco fondato su schemi comportamentali paternalistici e auto-celebrativi, ed eccettuate le stelle del canto o compositori particolarmente in voga non esisteva libera professione musicale. È però durante il decennio Giuseppino che si viene concretizzando un decisivo punto di svolta7: lo evidenziano la diffusione dell’editoria musicale, della musica pianistica e dell’esecuzione di accademie strumentali a pagamento, queste ultime realizzate in occasioni e spazi diversi. Tutti fattori fra loro strettamente correlati che introducevano approcci nuovi all’ascolto così come alla pratica strumentale. La socialità musicale veniva modificandosi e ad una dimensione collettiva e celebrativa se ne affiancava, rafforzandosi sempre più, una individuale, il cui fine era verosimilmente il mero piacere e la cui discriminante sembra essere data dal potere d’acquisto dell’oggetto musicale. Questo cambiamento poneva inoltre le basi per la configurazione di una nuova tipologia di libero professionista musicale, per cui in un mercato musicale più ricco e dinamico un musicista vedeva aumentare il ventaglio delle opportunità per mettere a frutto il proprio talento: dalla didattica ad una variabile partecipazione nell’editoria, dalla composizione di opere all’esecuzione di accademie strumentali fino alle committenze più bizzarre. Una conferma di questo viene dai numeri, ma anche dalle biografie. Sul versante editoriale chi fece da precorritore fu la famiglia Artaria8. Originaria di Como si era trasferita stabilmente in Vienna dal 1769 dove vendeva nel suo ‘Kunsthandlung’ sulla Kleinen Dorotheergasse incisioni di vedute artistiche e carte geografiche, barometri, e altri apparecchi ottici. Dal 1776 introdusse fra gli 7 K. KOMLÓS, The viennese keyboard trio in the 1780s: sociological background and contemporary reception, in ‘Music & Letters’, july 1987, pp. 222-235. M. S. MORROW, Concert life in Haydn’s Vienna: aspects of a Developing Musical and Social Institution, Pendragon Press, Stuyveisant, 1988. Quest’ultimo da leggere con le integrazioni e correzioni del suo censore Dextor Edge. D. EDGE, Review Article: Mary Sue Morrow, Concert life in Haydn’s Vienna: aspects of a Developing Musical and Social Institution, Pendragon Press, Stuyveisant, 1988, in ‘Haydn Yearbook’, XVII, 1992, pp. 108-166. 8 R. HILMAR, Der Musikverlag Artaria & Comp., Geschichte und Probleme der Druckproduktion, Pubblikationen des Instituts für österreichische Musikdokumentation, herausgegeben von Franz Grasberger. Verlegt bei Hans Schneider, Tutzing, 1977. 4 scaffali del proprio negozio spartiti musicali sia manoscritti che a stampa, che erano stati acquistati all’estero. Un commercio che dovette essere particolarmente proficuo e incoraggiante se soltanto due anni dopo la famiglia Artaria decise di dedicarsi, prima impresa in Vienna, alla stampa di note musicali. Questa attività conobbe una vertiginosa crescita, tanto che nel giro di pochi anni il suo catalogo poteva annoverare i più celebri compositori europei e divenire un punto di riferimento per l’editoria musicale europea. Un tale successo fece da detonatore ed incitò una lunga schiera di emuli, i quali si trovarono ulteriormente facilitati nei loro propositi dalla Zensurpatent emanata dall’Imperatore l’11 giugno 1781, che introduceva una maggiore liberalità nella concessione di licenze per la vendita libraria9. Eccettuando Torricella e il parigino Huberty, che principiarono la propria attività quasi contemporaneamente agli Artaria, iniziarono negli anni ottanta a dedicarsi all’editoria musicale Lausch (1781), Traeg (1781), Löschenkohl (1782), Frister (1783), Stöckl (1783), Hoffmeister (1784).RåHOXK6XNRZDW\3HQQDXHU5DNND ( 1789) e infine Eder (1789)10. Dallo studio in generaledi essi si delineano le varie modalità in cui l’editoria musicale si sviluppò: con l’estensione del campo di vendita, da parte di venditori di libri, al settore musicale, con la trasformazione da vendita ad editoria e infine con la diretta partecipazione di musicisti sia nell’editoria che nella vendita al dettaglio. Fra questi ultimi suscitano particolare LQWHUHVVH +RIIPHLVWHU H .RåHOXK OH ORUR vicende biografiche sono particolarmente indicative nel mostrare come una nuova fase si fosse aperta e un compositore dotato di spirito imprenditoriale potesse gestirsi autonomamente e affrancarsi dalla protezione di un singolo mecenate. Franz Anton Hoffmeister, originario di Rothenburg dove era nato nel 1754 si recò a Vienna nel 1769 per completare i suoi studi giuridici, terminati i quali dedicò sempre più tempo alla musica. Di lui esiste una impressionante produzione che spazia dai concerti ai Singspiel fino alla musica cameristica per organici ridotti (Gebrauchsmusik). L’attività editoriale nacque proprio in conseguenza della maturata consapevolezza del musicista che per vivere del proprio mestiere era necessario liberarsi dalla dipendenza delle case editrici e tentare una strada autonoma che gli consentisse di promuovere, pubblicandoli, i propri lavori. Poco esperto nel settore, Hoffmeister si affiancò inizialmente ad un venditore di libri, Rudolf Gräffer, ma questo sodalizio durò solo pochi mesi: il tempo necessario per comprendere le dinamiche del lavoro e proseguire da solo un’attività che raggiunse il suo vertice con l’apertura di una filiale a Linz nel 1791 e che fra 9 Non esistendo una legislazione apposita per i ‘Kunsthandlungen’ i regolamenti presi per i ‘Buchhandlungen’ si applicavano automaticamente ai venditori di spartiti musicali. R. HILMAR, op. cit., pp. 53-55. 10 A. WEINMANN, Wiener Musikverleger und Musikalenhändler von Mozarts Zeit bis gegen 1860, Veröffentlichungen der Kommission für Musikforschung, herausgegeben von Erich Schenk. In Kommission bei Rudolf M. Rohrer, Wien, 1956, p. 37. 5 successivi alti e bassi terminò nel 1806 con la cessione dell’attività11. Non molto GLVVLPLOHODYLFHQGDGL.RåHOXK$QFK¶HJOLSURYHniente dalla provincia, era nato nel 1747 a Wellwarn in Boemia e, terminati gli studi giuridici in Praga, si trasferì nel 1778 a Vienna per tentare la via musicale. Il suo destino si lega in modo singolare a quello di Mozart. Nel 1781, quando quest’ultimo si licenziò dall’impiego a Salisburgo, l’eccentrico Arcivescovo Colloredo pensò bene di rimpiazzare l’ingrato fanciullo prodigio con un noto virtuoso della tastiera, .RåHOXK SHU O¶DSSXQWR LO TXDOH evidentemente informato della situazione lasciata dal suo predecessore, declinò l’invito. Undici anni più tardi, pochi mesi GRSR OD PRUWH GL 0R]DUW IX SURSULR .RåHOXK D VXbentrare al suo posto alla +RIEXUJ ,Q TXHVWR GHFHQQLR TXLQGL .RåHOXK YLVVH GD Lndipendente, senza un ingaggio permanente e vincolante, grazie all’ attività editoriale (che ebbe inizio in seguito a divergenze con l’editore Torricella e con la pubblicazione di lavori propri), a quella concertistica e didattica. Frutto anche del suo contributo, nell’ultimo quarto del Secolo, era esplosa in Vienna la moda del fortepiano ed aveva contagiato persone di varia estrazione sociale: le donne costituivano la maggior parte degli allievi ed erano le destinatarie di molte pubblicazioni. Il cerchio virtuoso sollecitato dalla musica cameristica ed in particolar modo pianistica completava il suo giro con l’attività concertistica che permetteva al compositore di turno, come d’altronde a quei musicisti che lo accompagnavano, di esibirsi in pubblici e privati concerti presso teatri, sale da ballo o saloni affittati per l’occasione, parchi come l’Augarten o abitazioni dell’ aristocrazia. Mozart, in un contesto del genere e con il talento che possedeva, realizzò molto ed investigò a fondo tutte le possibilità che questo mercato gli poteva dare, eccettuando l’impresa editoriale cui si dedicò in prima persona solo raramente con la vendita per sottoscrizione. È indubbiamente singolare il fatto che negli ultimi anni di vita, allorché divenne stipendiato della corte e perse in senso assoluto lo status di libero artista, andasse incontro ad alcune difficoltà economiche. Ma non fu mai povero e questo si chiarisce specialmente superando quella semplicistica quanto assurda proprietà transitiva che pone sullo stesso piano debiti e povertà. Per corroborare ipotesi pauperistiche si fa generalmente riferimento alle dirette testimonianze di Mozart stesso, vale a dire le commoventi lettere indirizzate al creditore frammassone Puchberg che sembrerebbero giustificare il noto leit-motiv. Ma qui l’errore sta proprio nell’ignorare la mentalità dell’epoca ed è liberandosi della prospettiva univoca, concentrata asfitticamente sulle vicende di un singolo, che si possono evitare mistificazioni fuorvianti. Voglio quindi riportare a titolo di esempio comparativo un caso affine cronologicamente e nella sostanza. Il noto violinista livornese Pietro Nardini12 nel 1792, quando era ormai al crepuscolo della propria carriera, subì, durante una stagione di riduzione delle spese di corte iniziata sotto il governo del Granduca 11 A. WEINMANN, Die Wiener Verlagswerke von F. A. Hoffmeister, Wien 1964. Pietro Nardini (Livorno 1722 – Firenze 1793). Dopo aver completato la propria formazione in Padova sotto la guida del Maestro Tartini, esercitò la propria professione in diverse città italiane ed europee, fino poi a stabilirsi definitivamente in Firenze nel 1768 come stipendiato alla corte di Pietro Leopoldo. 12 6 Pietro Leopoldo, una decurtazione dello stipendio ad opera di Ferdinando, figlio e successore al trono di Toscana di Pietro Leopoldo. A ciò seguì una supplica del violinista livornese il quale lamentava che lo stipendio annuale (350 scudi, il più alto fra i musicisti ed equiparabile a quello degli uomini posti al vertice della corte) gli fosse stato « appena sufficiente fin qui per provvedere ai propri giornalieri bisogni »13, e che il nuovo non bastasse al « sostentamento del proprio individuo ». Si consideri inoltre che il Nardini aveva altre consistenti entrate provenienti dall’attività didattica e concertistica, che non aveva famiglia a carico e che soltanto pochi anni prima (1786) aveva redatto un testamento, confermato da un successivo codicillo stilato nel 1789, da cui si evince come in realtà i giornalieri bisogni avessero la fisionomia di « mobili, immobili, tanto liberi che livellari, semoventi, ragioni, azioni, crediti presenti e futuri »14 a cui vanno aggiunte altre consistenti ‘briciole’. Diviene di conseguenza più chiaro che, pur prendendo le dovute distanze dalla pretesa di voler equiparare due situazioni e due individui diversi, la drammatizzazione — che poi si trasformava in deformazione — della propria situazione era prassi codificata nel richiedere denaro, condizione necessaria affinché il creditore — borghese e massone o Sovrano che fosse — aprisse la borsa. Se poi per comprendere un individuo bisogna conoscerne le aspirazioni dominanti15 e ci domandiamo come Mozart si vedesse collocato tout court nella società viennese, dovremmo porci alcuni quesiti. Sottolineare ad esempio il fatto che Mozart rinunci a metà del suo stipendio annuale di corte (800 fiorini) per pagare la retta al collegio degli Scolopi – luogo ottimo per la salute, ma inutile sul piano educativo16 — del primogenito Carl Thomas ha un significato più profondo del rifiuto, fondato sulla constatazione di un mero dato matematico, di ipotesi pauperistiche sugli ultimi anni della sua vita17. Sarebbe interessante invece conoscere quale funzione avesse tale collegio nella Vienna dell’epoca, chi fossero i compagni di scuola del piccolo Carl Thomas e da quali famiglie provenissero, se fossero nobili, industriali, commercianti, artisti in ascesa o alti funzionari di corte. Per chi, come Mozart, era ossessionato dal senso dell’onore18 e attento a curare la propria immagine sociale, vestendo alla moda e dando sfoggio di lusso ogni volta che se ne prestasse occasione, la scelta di una certa scuola per l’educazione del figlio non fu certamente un semplice dettaglio. Corrispondeva verosimilmente alla posizione sociale che egli si era assegnato nell’articolata gerarchia economico-sociale della società viennese. Parallelamente al Mozart visto da sé, va esplorato il Mozart visto dagli altri. Intendendo con ciò non le note descrizioni dei contemporanei sulle sue caratteristiche fisiche e psicologiche o i racconti relativi a più o meno bizzarri fatti anedottici. Il riferimento in questo senso va al mondo politico e all’uso che 13 Archivio di Stato di Firenze (d’ora in poi ASF) Imperiale e Reale Corte, F. 3552. ASF, Notarile Moderno, Protocolli, N. 27618, Notaio Francesco Ragazzini, cc. 26-27. 15 N. ELIAS, Mozart sociologia di un genio, op. cit. p. 7 e sgg. 16 P. BUSCAROLI, La morte di Mozart, op. cit., p. 328 17 Ivi p. 340. 18 R. ANGERMÜLLER, Auf Ehre und Credit, die Finanzen des W.A. Mozart, Ausstellung der Internationalen Stiftung Mozarteum Salzburg, der Staatlichen Münzsammlung München, und der Bayerischen Vereinsbank, München, 1983. 14 7 esso fece del teatro d’opera per veicolare i propri messaggi in una delicata fase di rinnovamento della società e della socialità. L’Opera di Corte a Vienna era da sempre, oltre che un laboratorio per sperimentazioni di vario genere e punto di riferimento per tutte le altre capitali europee, un istituzione aderente alle politiche degli Asburgo. Dal tempo delle sontuose messe in scena barocche allestite dall’imperatore Leopoldo I sino a quello di suo nipote Carlo VI, l’Opera fu parte integrante dell’etichetta di Corte e di eventi celebrativi, in cui soggetti di natura mitologica e classica dominavano la scena e avevano il compito di dare prestigio al Casato e esaltarne la potenza al mondo. La successiva Era apertasi con il governo di Maria Teresa si caratterizzò sin dall’inizio per un andamento più parsimonioso e, nell’ultimo periodo (1766-1776), per la gestione dei teatri di Corte secondo un sistema impresariale. Era il segno dei tempi. Le continue guerre avevano prosciugato le casse imperiali, ma anche le infiltrazioni di matrice illuminista facevano sentire il proprio peso nell’ottica di una organizzazione più razionale delle risorse. Politica e Opera avevano comunque continuato il loro percorso durante la gestione del Conte Durazzo, il quale introdusse nella riforma del melodramma da lui coordinata elementi filo-francesi, specchio della alleanza militare maturata nel corso della guerra dei sette anni e preludio di una politica di incroci matrimoniali fra le due Monarchie, e, sotto la tutela dell’Imperatore Francesco I, aspetti illuministici e a sfondo massonico19. Quando Giuseppe II decise nel 1776 di prendere su di sé la responsabilità di riportare il teatro d’opera sotto la diretta gestione della Corte, fondando il Nationaltheater e dando vita alla Schauspielfreiheit, vi erano ragioni di carattere politico ed economico20. Era importante da un punto di vista politico dare dei segnali anche attraverso il mondo teatrale, inserendovi quell’opera di germanizzazione che stava abbracciando tutte le realtà istituzionali dei diversi paesi dell’Impero. Perciò salì alla ribalta il Singspiel che dominò le scene del Burgtheater e del Kärtnertortheater sino al 1782. In che direzione poi conducesse la politica economica giuseppina lo si vede soprattutto con gli effetti sortiti dalla liberalizzazione teatrale seguita alla Schauspielfreiheit, che oltre a permettere l’uso dei teatri di Corte per concerti, accademie e opere quando non erano impegnati dalle truppe tedesche, incentivò nel decennio successivo l’apertura nei sobborghi di Vienna di numerosi teatri popolari, fra i quali il Theater auf der Wieden e il Leopoldstädter Theater. Si trattava di un provvedimento che faceva il paio con la liberalizzazione (1781) sopra accennata in campo editoriale, che oltre a rendere più vivace la vita musicale viennese produsse più opportunità per i musicisti e in generale per tutti 19 B. A. BROWN, Gluck and the French Theatre in Vienna, Oxford, 1991, J. E. CUMMING, Gluck’s Iphigenia Operas: Sources and Strategies, in “Opera and the Enlightment”, ed. Thomas Bauman and Marita McClymonds, Cambridge, 1995, pp.217-240. 20 F. HADAMOWSKY, Die Wiener Hoftheater (Staatstheater) 1776-1966: Verzeichnis der aufgeführten Stücke mit Bestandnachweis und täglichem Spielplan, Vol. 1: 1776-1810, Wien : George Prachner, 1966. O. MICHTNER, Das alte Burgtheater als Opernbühne: Von der Einführung des deutschen Singspiel (1778) bis zum Tod Kaiser Leopolds II. (1792). Wien: Österreichische Akademie der Wissenschaften, 1970. 8 coloro che di musica vivevano: dai cantanti agli attori, dai figuranti agli impresari, dai copisti agli editori, dai garzoni ai macchinisti. L’elenco potrebbe lungamente proseguire ma ciò che preme sottolineare è che in questa dinamica si rende chiaramente visibile quella crescita della società auspicata da Giuseppe II con le sue riforme e si rispecchia la ricerca del Bonheur dei propri sudditi, che all’Imperatore stava a cuore. Sono però le ragioni che spinsero al ritorno dell’opera buffa italiana nel 1783 e i sette anni di attività che ne seguirono fino alla morte dell’imperatore, che suscitano ancora le maggiori problematiche e sempre nuovi spunti di interesse, ma che, nonostante l’enorme attenzione suscitata negli studiosi per la presenza catalizzante di Mozart, attendono ancora spiegazioni convincenti. Le origini di questo cambiamento non sono presenti, a scorno di tutti gli affezionati alla prova documentaria, in nessun documento, ma si può tentare di individuarne le opportunità ripercorrendo quel settennato secondo un percorso analitico ed organico. I contributi, come detto, non mancano, e non c’è dubbio che presentino vari meriti. Ciò che manca è invece un diverso metodo di ricerca, la capacità di liberarsi da un utilizzo piatto di una certa tipologia di fonti e sopra ogni cosa il superamento di fratture disciplinari. Problemi in questo senso si riscontrano nel cercare le risposte al funzionamento di cariche e competenze del teatro d’opera limitandosi all’uso della fonte archivistica, non sempre incrociata felicemente con altre tipologie di fonti, come lettere, gazzette o memoriali; nella tendenza a fare il calco dapontiano, pur riconoscendone la frequente inattendibilità; nell’uso maldestro, perché monotematico, dei diari del Conte Zinzendorf, il quale si trova suo malgrado (ma in fondo con la sua grafomania se l’era cercata) a vedersi cucito addosso il vestito di rappresentante degli umori e delle reazioni della nobiltà viennese ogni qual volta si reca a teatro e lascia la sua annotazione cronachistica. Ci si appunta appassionatamente sui suoi gettoni di presenza ad eventi musicali21 rendendolo un esperto di teatro quale non fu mai, e si dimentica l’uomo che si cela dietro i 76 volumi del suo diario giornaliero che abbraccia un cinquantennio ed è ricco di riferimenti alla politica, alla cultura e alla società in generale. Il suo è uno di quei casi paradigmatici di una condizione frequente negli Studi, per cui succede che fra campi disciplinari diversi non si comunica o più semplicemente ci si ignora. L’Opera a Vienna non fu solo quella specie di “operetta” fatta di rivalità e cabale che amano descrivere il Da Ponte22 su tutti o altri protagonisti di quella stagione, come Mozart, a caldo nelle lettere al padre, o il tenore Kelly affidandosi anch’egli ai ricordi23. Certo a Giuseppe II non doveva dispiacere quel teatrino di libelli, suppliche e liti fra cantanti, compositori e librettisti. Lusingava la sua 21 D. LINK, The National Court theatre in Mozart’s Vienna, sources and Documents 1783-1792, Clarendon Press Oxford, 1998. 22 L. DA PONTE, Memorie. Libretti mozartiani, Le Nozze di Figaro-Don Giovanni–Così fan tutte, introduzione di Giuseppe Armani, Garzanti 1976. 23 M. KELLY, Reminescences, a cura di Roger Fiske, Londra, 1975. 9 necessità di essere adulato e forse era medicina per lenire la noia24. Ma il suo progetto teatrale aveva un respiro più ampio di quello che appare e venne realizzato in funzione delle sue esigenze politiche. Giuseppe II a questo fine disegnò una squadra di lavoro affidabile non solo per la qualità degli allestimenti prodotti, ma compatibile con il suo carattere, con la sua visione del mondo e con il suo progetto di trasformazione della società. Il gruppo allestito a ben guardare presentava molte affinità, che si caratterizzano per un marcato anti-clericalismo, per la spregiudicatezza dei costumi sconfinante nel libertinismo e per le tangenze —variabili di intensità a seconda del personaggio — con tematiche illuministiche o la politica in generale. Il Conte Orsini Rosenberg, gli abatini Casti e Da Ponte e lo stesso Mozart rappresentavano nel complesso una vera squadra d’assalto, le cui biografie tutt’altro che conformiste, costituivano per l’Imperatore una garanzia. Anche i ruoli furono distribuiti secondo le competenze e se il Conte Orsini Rosenberg rappresentava un intelligente consigliere oltre che un fidato coordinatore, al Casti venne affidata la cura di opere che dovevano fare da contrappunto alla politica estera, mentre al Da Ponte, in buona parte con la collaborazione di Mozart, fu assegnata una programmazione scandalistica ed edificante che toccava la morale e i costumi ma anche i privilegi sociali. Il conte Orsini Rosenberg rappresenta uno dei maggiori gap conoscitivi nella storia di questo periodo e su di lui sembra essersi posata più che mai quella ‘maledizione’ cui ho accennato sopra in riferimento alle fratture disciplinari; come non si trova uno storico che sia disposto ad indugiare sui suoi interessi musicali, per semplice disinteresse oppure nel timore di vedere depotenziati gli edificanti ritratti che di lui si fanno come protagonista di un virtuoso quinquennio di assestamento e razionalizzazione a Firenze. Altrettanto succede all’opposto in ambito musicologico, dove non c’è un solo studioso che si soffermi ad evidenziare le sue competenze in ambito politico ed economico e il fatto che fosse uno degli uomini di punta della famiglia Asburgo. Ce lo troviamo dal 1778 al supremo grado della scala gerarchica nella gestione del teatro più importante d’Europa a prendere ordini dall’Imperatore (ordini provenienti anche dal campo di battaglia), senza che alcuno si prenda la briga di abbozzarne un minimo profilo biografico o professionale. Lo si fa entrare in scena casualmente nello stesso modo — verrebbe da dire — in cui Da Ponte, favoleggiando sul suo ingaggio da parte dell’Imperatore, fa il suo ingresso nell’empireo teatrale viennese con il titolo di «Musa vergine»25. Così, casualmente anche lui. C’è da aggiungere che queste lacune sono conseguenza dell’abitudine a ridurre l’interesse di Studio ad una determinata area geografica e all’uso di, spesso necessarie, periodizzazioni. Il risultato, per quante attenuanti si possano trovare, resta comunque inalterato, ed è che a Firenze si ignora il Rosenberg viennese e viceversa a Vienna quello fiorentino e che il suo ruolo di Sovrintendente teatrale attende conseguentemente di essere ancora studiato. Eppure il materiale sul Rosenberg non manca: a 24 Così stando alla severa «Relazione del viaggio e del soggiorno fatto da S.A.R. in Vienna nel luglio 1984» stesa da un «commesso della Segreteria » sotto dettatura del Granduca Pietro Leopoldo. Cfr. A. WANDRUSZKA, Pietro Leopoldo, un grande riformatore, Vallecchi Editore, Firenze, 1968, pp. 472-482. 25 L. DA PONTE, Memorie, op.cit., p. 90. 10 Klagenfurt c’è un ricco carteggio che testimonia la corrispondenza con Pietro Leopoldo, continuata assiduamente anche dopo l’esperienza fiorentina, e con altri insigni personaggi dell’epoca; inoltre il carteggio metastasiano invita a stimolanti letture. Quanto sia necessario per approfondire questo tema muoversi sul lungo periodo e allargare il campo di interesse al capoluogo toscano ce lo dimostra anche la vicenda del Casti. Proprio a Firenze inizia nel 1765 il suo legame con gli Asburgo. Qui, bene accolto dalla Corte, divenne in breve poeta di Corte e protetto del Rosenberg, che lo condusse con sé a Vienna nel 1772. Questa l’origine della «casti-rosembergica» famiglia26. La sua vena poetica a Firenze ebbe occasione di mostrare il proprio ingegno con la pubblicazione delle Anacreontiche27 e sempre qui ebbe inizio il suo avvicinamento al mondo operistico28. Ma ciò che spinse il Rosenberg a puntare su di lui fu, oltre il talento poetico, la consapevolezza di essere di fronte ad un uomo dotato di straordinaria acutezza politica e di una capacità descrittiva fuori del comune. Sono certamente queste le doti che mossero chi comandava a dargli fiducia e a investirlo dell’insolito incarico di accompagnatore del figlio del Principe Kaunitz, l’Eminenza grigia della Monarchia, nei suoi viaggi fra il diplomatico e l’istruttivo nelle principali corti d’Europa, a Berlino, Stoccolma, Lisbona e San Pietroburgo. Muresu sposa la causa dell’indipendenza e giura che il Casti affrontasse tanti viaggi per piacere e irrequietudine di spirito29. Chi scrive è invece convinto che per un ventennio buono l’abatino fosse al soldo della Monarchia asburgica in qualità di ‘Spion’ e che le sue continue trasferte fossero vere e proprie missioni diplomatiche, il cui compito era quello di scandagliare il terreno e fornire acute descrizioni a tutto campo, dalla fisionomia della società allo stato del governo, alla situazione militare. Sono aspetti che, accompagnati ad uno spirito polemico e ad una satira mordace, emergono anche nel Poema tartaro, canzonatura acuta dei popoli di Russia e della Semiramide del Nord, nonchè dell’atteggiamento di quei Philosophes che esaltavano l’opera di Caterina II per via di un conformismo, frutto di disinformazione30. La morte di Metastasio nell’aprile 1782 si dice avesse acceso nel Casti la brama di essere fatto poeta imperiale, ma egli, con tempismo perfetto, è di nuovo a Vienna non prima del settembre 1783 in concomitanza con l’apertura di una nuova stagione teatrale viennese, quella dell’opera-buffa. L’esordio un anno dopo con il Re Teodoro a 26 Ivi, p. 95. «Il Sig. Canonico Casti Poeta celebre per altre opere stampate, nell’istessa mattina di Domenica ebbe l’onore di presentare alla LL.AA.RR., una sua nuova raccolta di poesie intitolata “Poesie liriche di Gio Battista Casti Poeta di S.A.R. il GranDuca di Toscana, dedicate alla Real Granduchessa Maria Luisa, Arciduchessa d’Austria ecc.”, e le LL.AA.RR. l’accolsero con particolari segni di benignità. Il libro che è di Pagine 192 e che è diviso in due parti, la prima di Anacreontiche, e la seconda di cantate, si troverà vendibile a prezzo discreto alle due Botteghe de’ Pagani, e cosi resterà soddisfatto il pubblico, che pur troppo conosce, per averlo sentito spesse volte recitato, in diverse Accademie, qual sia la leggiadra maniera di comporre del nominato soggetto». Gazzetta Toscana, 22 luglio 1769. 28 Con un «componimento boschereccio» su musica di Pazzaglia allestito a Villa la Petraia in occasione del passaggio da Firenze in direzione Napoli di Maria Carolina, sorella del Granduca Pietro Leopoldo. Gazzetta Toscana, 13 marzo 1768. 29 G. MURESU, Le occasioni di un libertino (G.B.Casti), Casa Editrice G. D’Anna, Messina-Firenze, 1973, p. 81; p. 114. 30 Ivi, p. 92. 27 11 Venezia, su musica di Paisiello, valeva già come una dichiarazione di intenti della direzione presa dal nuovo corso. Dietro al gioco della commedia, veniva messo alla berlina il Re fisiocrate Gustavo III di Svezia31, preso nuovamente di mira dal Casti, dopo il Poema Tartaro, per le sue manie di grandezza poco corrispondenti a effettive possibilità. Seguì nel 1785 La grotta di Trofonio, musica del Salieri, satira rivolta ai filosofi vani e maghi imbroglioni e poi nel 1786 Prima la musica e poi le parole, che pare si rivolgesse al Da Ponte, ma che nell’insieme parodizzava tutto il sistema produttivo teatrale. Un ritorno più reciso all’opera con richiami alla politica estera si doveva materializzare con l’allestimento del Cublai, Gran Kan de’ Tartari, opera tratta dall’undicesimo canto del Poema Tartaro che riprendeva nuovamente la sua satira della corte russa e a cui Salieri lavorò per un paio d’anni32. Salieri non era certo autore che componesse senza garanzia di essere rappresentato e l’inizio dell’opera nel 1786 durante il soggiorno parigino, così come la sua carica al Burgtheater, rendono difficile pensare a qualcosa di diverso da una precisa ordinazione. L’opera era praticamente giunta a conclusione nel 1788, ma, a ulteriore conferma del suo contenuto politico, non venne rappresentata per la sua inadeguatezza rispetto all’attuale panorama della politica estera, che vedeva la Monarchia Asburgica impegnata a fianco proprio della Zarina in una impopolare guerra contro i Turchi. Casti non aveva perso la sua popolarità presso l’Imperatore, ed anzi la fiducia che poneva in lui lo condusse ad un viaggiomissione in Turchia proprio nei mesi della guerra con Vienna, da cui scaturì una relazione in cui non mancano, fra le altre cose, precisi riferimenti alla situazione militare turca33. La nuova configurazione delle alleanze politico-militari ne suggeriva opportunamente un allontanamento dalle scene teatrali e dalla città, ma la sua buona stella a Vienna non era affatto venuta meno. La carica a poeta teatrale la ricevette pochi anni dopo dal nipote del suo antico estimatore, Francesco I. Ma questa è un’altra storia. Da Ponte difettava certamente delle passioni politiche che animavano il Casti. Faceva il tifo per sé e per chi lo sosteneva, al punto da mostrarsi eternamente riconoscente verso il principale benefattore incontrato nella sua lunga vita, Giuseppe II, del quale nelle Memorie realizzò il profilo più edificante che a questo discusso personaggio sia mai stato attribuito. La Vienna di quegli anni 31 Insieme a quella di Pietro Leopoldo e del Margravio di Baden, la sua politica rappresentò a cavaliere fra gli anni sessanta e settanta del Secolo fu un punto di riferimento per la fisiocrazia europea. Cfr. A. WANDRUSZKA, op. cit. p. 280. 32 V. BRAUENBEHRENS, Salieri, un musicista all’ombra di Mozart, traduzione di Silvia Tuja, La Nuova Italia, Scandicci (Firenze) 1997. Edizione originale 1989, pp.183 e seg. Su Salieri in generale si veda anche il più recente e documentato saggio di Rice. J. A. RICE, Antonio Salieri and viennese Opera, University of Chicago Press, 1998. 33 Nel passo sulla scarsa forza difensiva dei Dardanelli Casti relaziona che i quattro castelli sono « sì mal in ordine, sì antiquati e sì mal custoditi, che sono persuaso, che poca truppa con improvvisa sorpresa sbarcando potrebbe facilmente impadronirsene, né so comprendere come questo pensiero facile a venire in mente a chi d’appresso li considera non sia mai stato posto in esecuzione». Muresu però continua ad assicurare che, in fondo, si trattava di interessi secondari. G. MURESU, op. cit., p. 117. 12 pullulava di poetastri ambiziosi, avventurieri, libertini e raccomandati alla maniera di Da Ponte, perciò il suo ingaggio al teatro di Corte con il titolo poco rassicurante di « Musa vergine » resta avvolto nel mistero. Ad ogni modo la scelta di Giuseppe II fu vincente davvero, non solo per le contingenze ma anche per la Storia e questo dato da solo dovrebbe mettere in guardia coloro che accusano l’Imperatore di scarse competenze teatrali. Egli dimostrò con quella scelta di intendersi di teatro e musica in generale, ma anche di umanità (perlomeno quella più funzionale ai suoi scopi). Con Da Ponte Giseppe II trovò un librettista non solo capace di sfornare capolavori, ma anche dotato di quella rapidità e versatilità necessarie a sostenere ritmi produttivi impressionanti. Ce lo dimostra la stagione teatrale a cavaliere tra il 1787 e il 1788, in cui Da Ponte si trovò impegnato contemporaneamente su tre libretti (L’Arbore di Diana, Don Giovanni e Axur re d’Omus) e che rappresentò, per i contenuti delle opere ma anche per le contingenze in cui maturarono, la fase più politicizzata dell’intero settennato. Per la politicizzazione del suo lavoro si seguì il filone parigino e una primaria fonte di ispirazione (ispirata naturalmente dai vertici della Hofburg) venne dai più chiacchierati lavori del versatile Beaumarchais. L’esordio da questo punto di vista avvenne con Le Nozze di Figaro, inscenato al Burgtheater nel maggio 1786 a distanza di due anni dalla prima parigina e l’anno successivo alla prima viennese allestita da Schikaneder in versione teatrale, ma proibita all’ultimo momento dall’Imperatore. Sull’impatto sociale dell’opera e sulla sua funzionalità alla politica giuseppina di riduzione dei privilegi così come su una edulcorazione del libretto rispetto all’originale si è scritto molto e c’e una sostanziale convergenza fra gli studiosi. Si dibatte invece, e molto, sulla sua genesi, sulla sentita partecipazione ideologica di Mozart alle tematiche del libretto o al contrario su una sostanziale indifferenza o perlomeno inconsapevolezza delle eventuali compromissioni che esso conteneva. Senza entrare nel merito di questa questione mi limito ad osservare un dato e cioè che il Figaro fu un operazione politica fortemente voluta dall’Imperatore. L’auditorio del Burgtheater era il luogo ideale per proseguire sotto forma di divertimento e commedia quanto si stava realizzando sul piano legislativo. La riduzione di aree di privilegio poco funzionali ad un funzionamento dinamico dello Stato e della Società doveva coprire tutti i territori raccolti sotto la corona Asburgica. Quindi, per comprenderne al meglio il senso, non bisogna perdere d’occhio quanto succedeva a Firenze, dove il fratello Granduca, benché infastidito dalle continue ingerenze di Giuseppe II negli affari toscani34, conduceva una politica fotocopia in materia ecclesiastica e su molti altri temi. A Firenze il Figaro era stato messo all’indice dei libri proibiti dalla censura granducale nel 178435, ma nel maggio 1788 venne riabilitato e allestito al teatro della Pergola, in prima assoluta italiana, in coppia 34 Si veda in particolare il piano d’unione di Giuseppe II del 1784, che prevedeva l’incorporamento della Toscana nella Monarchia austriaca. Cfr. A. WANDRUSZKA, op. cit., pp. 460-470. 35 S. LANDI, Il governo delle opinioni, censura e formazione del consenso nella Toscana del Settecento, il Mulino, Bologna 2000, p. 202 13 con il Barbiere di Siviglia36. Firenze, o meglio la linea dinastica fiorentina, era già stata frattanto protagonista, come fonte ispiratrice, di un ciclo di opere paradigmatico delle intenzioni politiche dell’Imperatore. L’occasione era venuta da un valzer di feste e occasioni mondane tenutesi a cavallo fra l’ottobre del 1787 e il gennaio 1788, per i matrimoni di due appartenenti alla prole di Pietro Leopoldo: quello dell’Arciduchessa Maria Teresa sposa a Clemente di Sassonia e quello del futuro Imperatore Francesco I con la Principessa Elisabeth Wihelmine von Württemberg. I libretti delle opere allestite in concomitanza con quelle festività portarono tutti la firma di Da Ponte. Essi per via della trasversalità delle questioni trattate — da quelle di ambito religioso a quelle sociali sino a quelle relative alla funzione dell’istituto monarchico nella società — avevano, nell’ottica di Giuseppe II, uno scopo istruttivo per il successore al trono in primis, ma anche per tutta la buona società che assisté a quei festeggiamenti. Il primo ottobre 1787, in onore dello sposalizio della primogenita di Pietro Leopoldo, andò in scena L’Arbore di Diana. Sul contenuto politico dell’opera è lo stesso Da Ponte nelle Memorie ad indicare, con la verve teatrale che sempre lo distingue, la strada. Da Ponte scrive che l’opera, oltre ad avere qualche merito di novità, « aveva quello di dar mirabilmente nel genio al mio augusto protettore e sovrano » per il riferimento al «santo decreto» che aveva abolito « intieramente la barbara istituzione monacale negli Stati ereditari»37. L’opera doveva fare da contrappunto alla risoluta politica ecclesiastica che Giuseppe II conduceva già da diversi anni e, laddove nello sviluppo della trama si fa riferimento ad Amore tentatore ma anche vincente e positivo verso la casta Diana, si può notare non solo una posizione istituzionale ma anche una convinzione etica proiettata all’eudemonismo. L’appuntamento successivo si materializzò due settimane dopo a Praga, dove era in programmazione per la coppia di sposi la prima assoluta del Don Giovanni; che però, per ritardi nelle prove, venne rimandata. Bisognava trovare un’opera che la sostituisse e si pensò al Figaro, che tanta fortuna, proprio a Praga, aveva portato a Mozart ed era stato all’origine della richiesta dell’impresario Guardasoni di bissarne il successo con una nuova opera. Ma, come ci racconta Mozart in una lettera scritta durante quel soggiorno all’amico musicofilo Jaquin38, i contenuti del Figaro vennero ritenuti indecorosi ed offensivi per l’evento celebrato da una dama della alta aristocrazia praghese, la quale tramò, con successo, per ottenere dal governo degli Stati boemi l’annullamento di quella esecuzione. A risistemare il quadro secondo l’ordine stabilito ci pensò chi quella programmazione aveva concepito, cioè Giuseppe II, il quale ordinò che se non era pronto il Don Giovanni si desse il Figaro. Don Giovanni, che andò in scena a Praga il 29 ottobre e a Vienna nel maggio 1788, è un’opera non meno audace per i suoi contenuti del Figaro e certamente più complessa per le reazioni che suscitano nello spettatore i suoi protagonisti. Opera cronologicamente a metà strada fra le 36 M. DE ANGELIS, Melodramma spettacolo e musica nella Firenze dei Lorena, Giunta regionale toscana/editrice bibliografica, Firenze 1991, pp. 496-497. 37 L. DA PONTE, Memorie,op cit. p. 127. 38 H. ABERT, Mozart, la maturità 1783-1791, EST, 2000, p. 365. 14 Nozze di Figaro e il Così fan tutte, lo è anche per i soggetti trattati: dalla prima riprende le problematiche legate alla suddivisione della società per ceti, ma per le caratteristiche del suo protagonista imperniate su una libido sessuale che si impone come forza trasversalmente disgregatrice rispetto all’ordine sociale prefigura già aspetti salienti della seconda. Con l’Axur re d’Omus, rappresentato l’8 gennaio 1788 a Vienna per celebrare il matrimonio di Francesco I, termina con la massima solennità quel ciclo di opere a carattere politico. Da Ponte si trovò a lavorare nuovamente su un soggetto di Beaumarchais, Tarare, che però a differenza del Figaro era maturato in condizioni completamente diverse. Tarare era nato come opera lirica ed era stato musicato da Salieri. Il libretto dell’opera, andata in scena sei mesi prima a Parigi, andava trasportato in italiano, ma compositore e librettista si accorsero presto che una semplice traduzione non era sufficiente e decisero di ricostruirla secondo un carattere più consono al pubblico viennese. La sua esecuzione sulle scene viennesi fu un desiderio di Giuseppe II, il quale era rimasto entusiasta del piano dell’opera ma anche del rumore che aveva suscitato nella capitale francese. L’opera era dotata di un forte impianto simbolico e educativo che soddisfaceva Giuseppe II perché riassumeva la sua concezione dell’istituto monarchico, fondato sul merito e sulla ricerca del bene per il proprio popolo, perché metteva in luce l’abuso della Chiesa, quando si dimentica dei suoi doveri e perché poneva il problema della legittimazione del potere, che deve rifuggire da tirannia ed arbitrio39. Axur re d’Omus fu in sintesi un’opera-manifesto delle migliori intenzioni del suo Assolutismo illuminato. L’opera a mio giudizio più problematica di quel settennato fu proprio quella che andò a chiuderlo, vale a dire il Così fan tutte. La sua prima rappresentazione (26 gennaio 1790) anticipò di pochi giorni la morte di un Imperatore stanco, malato da tempo, depresso e deluso per i fallimenti della propria politica che lo vedevano sconfitto, con gli insuccessi nel conflitto con la Turchia, la rivolta dei Paesi Bassi, l’insoddisfazione serpeggiante in Ungheria, la crisi economica e finanziaria che toccava un po’ ovunque i domini della Monarchia. Sulla genesi dell’opera non ci sono praticamente informazioni, ma i suoi contenuti scandalistici, il suo attacco alla moralità delle donne e all’istituto familiare che ne consegue, danno l’impressione che dietro la commissione di quel lavoro si nasconda il colpo di coda di un uomo che si sentiva abbandonato da tutti e incompreso nella sua azione, il cui fine — così egli diceva — era sempre stato quello di cercare il bene dei propri sudditi. Quanto il Così fan tutte fosse un’opera dotata di potente carica disgregatrice lo si misura con la reazione moralistica dei posteri: i primi biografi mozartiani, pur rimarcando che si era trattato di una commissione imposta, lamentavano che Mozart avesse sprecato il proprio talento su un soggetto tanto miserabile40. Ma un’idea ancora più chiara di come il suo messaggio fosse percepito pericolo39 V. BRAUENBEHRENS, Salieri, op. cit., pp. 165 e seg, pp.177-179. F. NIEMETSCHEK, Leben des k.k. Kappelmeisters Wolfgang Gottlieb Mozart nach Orignalquelle beschrieben, in Niemetschek-Schlichtegroll/ Mozart, a cura di Giorgio Pagliaro, EDT, Torino, 1990, p. 42. 40 15 samente nell’Ottocento borghese viene dalle numerose interpolazioni cui l’opera fu soggetta soprattutto in ambito tedesco. Così, quello che fu senza dubbio il più bel libretto scritto da Da Ponte per Mozart si trovò ad essere deformato nell’ambientazione, nei nomi dei personaggi, e nella struttura drammaturgica, con l’intento evidente di riabilitare l’integrità morale delle donne41. Chi si voleva scandalizzare allora con quell’opera ? La nobiltà viennese doveva avere familiarità con un certo tipo di abitudini sessuali e lo stesso valga anche per alcune famiglie borghesi, come quella di Mozart per esempio. Oppure, ponendo il quesito sotto altri termini, si potrebbe chiedere : chi si sentì scandalizzato da quell’opera ? Seguendo il filo delle reazioni indignate dell’Ottocento moralista e borghese, a posteriori si potrebbe dire che l’obiettivo di quella satira fu proprio quella valorizzazione dei sentimenti e degli affetti familiari che ebbe le sue radici in un grande successo editoriale del Settecento, la Nouvelle Héloïse di Rousseau, che divenne il modello base della famiglia borghese trionfante nel Secolo a venire. Ciò che è sicuro è che da parte dei suoi realizzatori come da parte dei suoi ispiratori non ci fu tempo di elaborare tali suggestioni e nemmeno di studiare le immediate reazioni all’opera. La morte dell’Imperatore e il nuovo corso che si apriva con la venuta di Pietro Leopoldo poneva nuovi scottanti quesiti. Il nuovo Sovrano disapprovava radicalmente molte scelte del fratello defunto e provava diffidenza per tutti coloro che avevano fatto parte del suo entourage. La squadra teatrale allestita da Giuseppe II dovette intuire che il nuovo clima era potenzialmente ostile e questo timore si riversò anche sulla loro forza creativa. Successe così che il primo anno della nuova Era scorse in uno stato di calma apparente per via dell’atteggiamento di totale disinteresse di Pietro Leopoldo verso ogni attività teatrale e la conseguente assenza di nuovi allestimenti nei teatri di Corte. Non appena furono sistemate le questioni più urgenti dello sconquassato impero, il nuovo Sovrano decise che era venuto il momento di dedicarsi anche al Teatro ed ebbe così inizio la diaspora del gruppo di lavoro che aveva animato il precedente settennato teatrale. E se il 1790 fu, da un punto di vista compositivo, un anno nero, non solo per Mozart, ma anche per i suoi compagni d’avventura teatrale, Salieri e Da Ponte (un dato che la dice lunga sul vuoto che l’Imperatore aveva lasciato e sull’influenza che egli aveva sulle loro menti), con il 1791 iniziarono le epurazioni. Il primo a farne le spese fu Da Ponte, la cui disgrazia in seno ai nuovi regnanti fu, oltre tutto, frutto di invidie personali e vendette affidate a libelli e delazioni di ogni tipo, che stavano caratterizzando come non mai la Vienna del nuovo corso 42. 41 L. LOGI, “Si cangiò la sorte mia”. Appunti per la carriera di una libertina, in “Così fan tutte” libretto di sala del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, stagione 2004-2005, pp. 185-189. 42 O. MICHTNER, Der Fall Abbé Da Ponte, „Mittelinungen des Österreichischen Staatsarchiv“, 19 band, Wien, 1996. R. CAIRA LUMETTI, Da Ponte esiliato da Vienna. Con una appendice di documenti, Aracne, Roma, 1996. 16 Salieri, la cui vena creatrice andò in secca per un paio d’anni, mantenne il suo incarico di Hofkappelmeister, ma venne anch’egli costretto ad allontanarsi dalle vicende teatrali. Con lui venne adoperato il bon ton istituzionale e si disse che un compositore di così alto livello avrebbe dovuto solo scrivere opere e non «sedere la sera all’opera al clavicembalo»43. Pietro Leopoldo voleva portare su di sé tutte le responsabilità di gestione delle attività teatrali44, perciò anche il Conte OrsiniRosenberg venne congedato dalle attività teatrali con la nomina compensativa a Principe dell’Impero. Venne sostituito dal conte Ugarte, il nuovo Musikgraf, colui che, per bocca di Da Ponte, veniva considerato dal nuovo Sovrano semplicemente « un sacco di paglia»45. Mozart, infine, a parte l’esecuzione praghese de La Clemenza di Tito maturata per una serie di circostanze a lui favorevoli, non doveva essere amato, in quanto esponente di punta della squadra teatrale di Giuseppe II, dalla nuova Corte. Egli lo aveva probabilmente intuito e per questo cominciò a rivolgere il proprio talento altrove. Ne nacque il più incredibile e popolare successo sulle scene viennesi, Die Zauberflöte. In un clima arroventato per gli eventi francesi, la nuova Corte, usa com’era a delatori di ogni specie per avere tutto sotto controllo, dovette osservare con preoccupazione e anche con un certo fastidio il successo crescente di un’opera che costringeva il pubblico ad accalcarsi all’ingresso tre ore prima della rappresentazione. Due mesi dopo la prima rappresentazione della Zauberflöte, Mozart prendeva, in circostanze fitte di misteri, il suo congedo dalla vita terrena. L’impressionante folla di coincidenze che si legano alla sua dipartita finale rendono ancora oggi plausibile l’ipotesi che la sua morte fu tutt’altro che naturale. Una morte in cui la Casa d’Austria dovette rivestire un ruolo non proprio marginale. Oggi però siamo a festeggiare la nascita del più divino dei compositori, non a indagare le circostanze della sua morte. Perciò mi riservo di trattare questo tema in un’altra occasione. Meine herzlichen Wünschen Herr Kappelmeister Wolfgang Amadeus Mozart Firenze, 27/1/2006 Duccio Pieri 43 V. BRAUENBEHRENS, Salieri, op. cit., p. 199. J. RICE, Emperor and Impresario: Leopold II and the transformation of viennese musical theater 1790-92, Ann Arbor - Michigan, Diss. Ph D, University of California, Berkeley, 1987. 45 L. DA PONTE, Memorie, p. 149. 44 17 L’AUTORE. Nato e cresciuto a Firenze, si è laureato nell’anno accademico 2003-2004 presso quella Università degli Studi in “Storia degli antichi stati italiani” con una tesi sulla musica a corte negli anni del Granduca Pietro Leopoldo (Vita di corte: attività musicali a Pitti nel periodo lorenese (1765-1790)”, relatore prof. Pasta). Ha scritto per l’Associazione “Tesori musicali Toscani” un articolo La musica in Toscana al tempo di Pietro Leopoldo, pubblicato sulla rivista musicale “Orfeo” (dicembre 2003-gennaio 2004, pp. 26-36). Sta attualmente lavorando a un progetto comparativo che metta in relazione il contesto musicale viennese e fiorentino alla fine del diciottesimo secolo e svolgendo ricerche sulle produzioni oratoriali concernenti Santa Maria Maddalena de’ Pazzi, nell’ambito dei festeggiamenti in occasione dei quattrocento anni dalla morte della Santa. 18