B. P. R.
Bollettino della Provincia Romana C. Ss. R.
Anno 57. Nuova serie, n. 6 – 20 giugno 2012
COME, QUANDO E PERCHÉ
250 ANNI FA S. ALFONSO VENNE NOMINATO VESCOVO
Giuseppe Orlandi____________________
Fotografie di p. Marcelli
Quello tra gli inizi di marzo e la metà di giugno del 1762 fu uno dei periodi più
difficili della vita di s. Alfonso. Era lui stesso a dirlo, parlando dell’ordinazione
episcopale, conferitagli «contro sua voglia», costretto «ad accettare ciò che non
voleva, spaventato dal peso, e dai giudizi di Dio».
La promozione alla sede vescovile di Sant’Agata de’ Goti gli era giunta del
tutto improvvisa ed imprevista nel 1762, quando, anche per l’età, poteva ormai
considerarsi al riparo da un rischio al quale riteneva di essere definitivamente
scampato fin da quando, nel 1732, aveva lasciato Napoli per dedicarsi all’attività
missionaria. In realtà, in seguito dovette constatare che si trattava di una speranza infondata, dato
che più volte sarebbe stato in pericolo di venire promosso all’episcopato.
Nel 1736 era stato il padre a prospettargliene l’idea, sentendosi rispondere da Alfonso di non
palarne più, dato che era pronto a rinunciare anche all’arcivescovado di Napoli, per attendere
alla grande opera apostolica alla quale Gesù Cristo lo aveva chiamato. Più concreto fu il rischio
corso nel 1747, allorché la Corte lo candidò ad una sede vescovile non identificata (ma non a
quella di Palermo, come è stato erroneamente detto). In seguito, il suo nome apparve varie volte
nelle liste preparate dal governo napoletano. Per esempio, nel 1752 per l’arcivescovado di
Otranto (figurava al terzo e ultimo posto, con la seguente nota: «D. Alfonso Liguori, Patrizio
Napoletano di Piazza, sacerdote di sufficiente dottrina, di santi costumi, e continuamente
impiegato per le campagne e villaggi, in far missioni e nell’istruir la gente più povera ed
ignorante nella nostra santa religione»), e nel 1759 all’arcivescovado di Salerno (era al quinto ed
ultimo posto, con la seguente nota: Il sacerdote Don Alfonso di Liguori, fondatore della casa di
Missione de’ Padri Giurani, dimorante in Nocera de’ Pagani, otto miglia distante da Salerno,
d’anni 59, applicato indefessamente alle sante missioni; soggetto di somma bontà di vita, e la cui
dottrina è ben nota per le varie opere, specialmente della teologia morale, date da lui alle
stampe»).
Uscito indenne da tali pericoli, Alfonso nel 1762 poteva ormai considerarsi al sicuro, anche
perché allora nel Regno di Napoli i vescovi venivano scelti fra i candidati che avevano tra i 45 e
i 52 anni (l’età minima era di 30 anni), quindi ben più giovani di lui che di anni ne aveva ormai
66. A far vacillare le sue certezze fu un messaggero della nunziatura di Napoli, presentatosi il 9
marzo nella porteria di Pagani, latore di una lettera proveniente da Roma. Era di mons. Andrea
Negroni, uditore del papa (detto anche Uditore santissimo), che lo informava che Clemente XIII
lo aveva nominato vescovo di Sant’Agata de’ Goti. Per Alfonso fu come un fulmine a ciel sere-
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Anonimo, Alfonso in abiti episcopali. Tela conservata
nella Casa dei Redentoristi di Scifelli FR.
no, anche se non tardò a convincersi che –
informandolo della situazione in cui si trovava
– gli sarebbe stato facile indurre il papa ad
accettare la sua rinuncia. Nella lettera inviatagli
lo ringraziava della bontà usata nei suoi
confronti, ma nello stesso tempo gli esponeva
la propria insufficienza, l'avanzata età, il cattivo
stato di salute, il voto emesso di non accettare
cariche fuori della Congregazione, e il
conseguente scandalo che ne sarebbe derivato
per i confratelli se egli avesse accettato il
vescovado. Il passo fu inutile, dato che una
decina di giorni dopo gli giunse da Roma la
conferma della nomina. L’inconsueta fermezza
con cui il papa rifiutava di tornare sulla sua
decisione era dettata anche dalla convinzione
che – preferendogli un outsider come il padre
de Liguori – avrebbe resa meno amara
l’esclusione ai numerosi aspiranti alla sede
santagatese,
tutti
raccomandati
da
ragguardevoli personaggi.
Ad Alfonso non restava che rassegnarsi alla
volontà di Dio, espressa per mezzo del suo Vicario. Si recò a Napoli per espletarvi le formalità
d’uso, e procurarsi le insegne vescovili. Da vescovo userà due croci pettorali: nei giorni ordinari,
una di rame dorata; e nelle funzioni episcopali, l’altra di argento dorato, munito di pietre false.
Dell’anello episcopale dirà che aveva «fatto la sua figura a Roma, perché nessuno sapeva che io
avevo rotto la mia più bella bottiglia per farmi segare questo diamante». L’altro anello, che era
appartenuto allo zio materno, mons. Emilio Cavalieri, lo venderà per darne il ricavato ai poveri.
Il 19 aprile, lunedì in Albis, partì da Napoli per Roma, dove – superato il prescritto esame –
avrebbe ricevuto l’ordinazione episcopale. Viaggiava sulla carrozza, acquistata con il denaro
anticipatogli da suo fratello Ercole. Lo accompagnava il p. Andrea Villani, che gli serviva da
guida, essendo stato a Roma quattordici anni prima a svolgervi le trattative per l’approvazione
della regola. Alfonso non doveva avere perso del tutto la speranza di riuscire a sottrarsi
all’episcopato, dato che prima di giungere nella Città Eterna si recò a Cisterna, a conferire con il
card. Giuseppe Spinelli, ex arcivescovo di Napoli e attuale prefetto di Propaganda Fide e
vescovo di Ostia e Velletri. Il Santo sapeva che era stato lui a suggerire al papa la sua
«disgraziata» nomina, ma dovette sperare che, se avesse constatato di persona il suo precario
stato di salute, si sarebbe trasformato in patrocinatore della sua causa, cioè della rinuncia. Come
era prevedibile, il tentativo non sortì l’esito sperato. Il Cardinale lo assicurò che era Dio che lo
voleva vescovo, e che pertanto doveva rassegnarsi al suo volere. Alfonso riprese il viaggio per
Roma, dove giunse il 25 aprile. Saputo del suo arrivo, vari cardinali ed altri ecclesiastici e
personaggi della nobiltà si recarono a fargli visita. Il principe Gaetano Boncompagni gli offrì per
il suo soggiorno romano un appartamento e una carrozza. Alfonso accettò la seconda per potersi
muovere più facilmente in città, mentre preferì l’ospitalità offertagli dai Pii Operai di S. Maria
dei Monti. Per due mesi, con Villani, visse con loro come in una casa del suo Istituto. Non
mancò di tenere il solito comportamento mortificato, come quando – essendogli stato offerto un
gelato in un giorno di grande calura – preferì una bevanda a base di solo zucchero e limone,
detta acquafresca. Durante il soggiorno a Roma uscì solo per visitare i luoghi sacri, o per rispon-
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Santa Maria dei Monti. A fianco, sulla sinistra, l’ospizio dei Pii
Operai.
dere agli inviti di personaggi che non poteva rifiutare.
Visitò la Biblioteca Vaticana, e naturalmente S. Pietro e
le altre Basiliche. Non sappiamo se percorrendo via
Merulana per recarsi da S. Maria Maggiore a S.
Giovanni il suo sguardo si posò, a sinistra, su Villa
Caserta, futura sede della Casa Generalizia della
Congregazione. Siamo invece sicuri che non
immaginava che, accanto ad essa, meno di un secolo
dopo sarebbe sorta una chiesa a lui dedicata. Dato che il
papa era partito per Civitavecchia il giorno stesso del
suo arrivo a Roma, Alfonso ne approfittò per recarsi a
Loreto – il viaggio durava quattro giorni – a visitarvi il
famoso santuario che conserva la casa in cui il Verbo
incarnato aveva trascorso quasi tutta la vita. Vi rimase
tre giorni, prima di rientrare a Roma, dove giunse l’8
maggio, quando i cannoni di Castel S. Angelo
salutavano il ritorno in città del papa.
Lo stato d’animo di Alfonso durante il soggiorno
romano è ben descritto nella lettera inviata a suo fratello Ercole: «Mi sembrano mille anni
scappare di Roma, e liberarmi da tante cerimonie, benché mi trattano con finezze immense... qui
le mancie mangiano vive le genti; grandi cerimonie, e grandi denari».
Nel frattempo, la macchina burocratica pontificia non restava inattiva. Per avere la prova (o,
per meglio dire, la conferma) dell’idoneità del candidato alla diocesi di Sant’Agata, negli ultimi
giorni di maggio la Dataria Apostolica istruì l’apposito processo, durante il quale furono
esaminati tre testimoni. Tra loro il p. Villani, che dichiarò che Alfonso «era persona dotata di
illibati costumi, e di dolce conversazione e fama», e che la sua nomina a vescovo sarebbe stata
di particolare vantaggio alla diocesi, e «di spirituale giovamento di quelle anime».
Il primo impegno che attendeva Alfonso era l’esame alla presenza del papa (coram
Sanctissimo), fissato per venerdì 11 giugno (i giorni stabiliti per tale adempimento erano il
martedì e il venerdì). Era rimasto famoso l’esame per l’episcopato di s. Francesco di Sales –
nominato vescovo coadiutore di Ginevra – trionfalmente da lui superato il 16 maggio 1625, alla
presenza di Clemente VIII e di otto cardinali, tra cui Federico Borromeo, Cesare Baronio e
Roberto Bellarmino. In vista del proprio esame, Alfonso fece visita agli esaminatori: il card.
Antonio Andrea Galli, penitenziere maggiore; il p. Michelangelo Monsagrati, abate di S. Pietro
in Vincoli; e il p. Agostino Ricchini, maestro dei Sacri Palazzi. Venne trattato da tutti con
grande rispetto, e, richiesto su quale materia desiderava essere interrogato, lasciò a loro la scelta.
Ma, cortesemente obbligato, al
cardinale indicò il trattato De
mutuo; e all’abate, quello De
legibus. Il p. Ricchini, che ben
sapeva quanto poco aspirasse
all’episcopato, scelse lui stesso
l’argomento
dell’esame,
dicendo: «Voglio darvi un
punto di vostro piacere, ed è Se
sia
lecito
desiderare
l’episcopato
(An
liceat
appetere episcopatum)».
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La zona dell’Esquilino come
si presentava nel 1775
Antonio
Tannoia
scrive che, il giorno
prima
dell’esame,
Alfonso fu «sorpreso da
tal emicrania, che non
davagli pace», attribuendone la causa al
«peso,
che era per
addossarseli». A noi
piace invece pensare
che, come ogni comune
mortale alla vigilia di
una prova impegnativa,
anche lui soffrisse una
crisi di ansia. Bisogna riconoscere che la procedura dell’esame non era tale da rassicurare il
candidato. La sala destinata era quella in cui si radunava il concistoro segreto. Ai lati del trono
pontificio, in appositi banchi, sedevano i cardinali – che erano giunti accompagnati dai
gentiluomini della loro anticamete (detti «cappe nere») e dal caudatario – mentre gli altri
esaminatori prendevano posto, in piedi, alle loro spalle. A destra del trono in cui sedeva il papa
– vestito di sottana, mozzetta e rocchetto – vi era, su uno sgabello, il campanello con il quale
egli avrebbe dato il segno della conclusione della prova. Giunta l’ora dell’inizio, il prelato
incaricato (Segretario dell’Esame) introduceva l’esaminando, che si inginocchiava su un
cuscino posto di fronte al trono pontificio, e vi restava per tutta la durata dell’esame. Le
domande e le risposte erano fatte in latino. Agli esaminatori veniva raccomandato di non fare
sfoggio di intelligenza e di erudizione, evitando di infierire sul promovendo, comprensibilmente
trepidante davanti al Capo della Chiesa, e ai cardinali e consultori che gli facevano corona. Al
termine dell’esame, se l’esito era stato positivo, il papa esprimeva la sua approvazione al
candidato, che da quel momento assumeva il titolo di «vescovo eletto» della diocesi
assegnatagli. Non erano mancati casi in cui l’esaminando si era smarrito davanti a un sì
imponente consesso. Se la sua idoneità e dottrina erano note, veniva allora esentato dal
proseguire l’esame. Era anche successo che il papa (per esempio Benedetto XIV) concedesse
una prova d’appello al malcapitato, esaminandolo privatamente. In qualche raro caso, il
candidato incapace di rispondere agli esaminatori non era stato promosso alla dignità vescovile.
Il giorno dell’esame, Alfonso era ancora visibilmente in preda della sua «emicrania». Gli
amici cardinali Orsini e Antonelli, che se ne
accorsero, gli si avvicinarono, lo
rincuorarono e lo introdussero nella sala. È
inutile dire che l’esame andò benissimo. A
dissipare la tensione contribuì anche
qualche battuta ironica. Al termine, invitato
da un cardinale a ringraziare come d’uso il
papa, Alfonso disse semplicemente:
«Beatissimo Padre, giacché vi siete degnato
di farmi vescovo, pregate Dio che non mi
perda l’anima».
Santa Maria sopra Minerva, La facciata.
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La cappella Grazioli dove Alfonso
ricevette l’ordinazione episcopale
Il 14 giugno ebbe luogo il
concistoro,
nel
quale
Alfonso venne preconizzato
vescovo di Sant’Agata de’
Goti. In tale occasione
indossò per la prima volta
l’abito prelatizio. Con la
professio fidei, la consegna
della bolla (concessa, per
espresso volere del papa,
gratuitamente) e l’ordinazione episcopale si concludeva
l’iter stabilito.
L’ordinazione gli venne
conferita la domenica seguente, 20 giugno, nella basilica di S. Maria sopra Minerva, dal
cardinale cortonese Ferdinando Maria Rossi, prefetto della S. Congregazione del Concilio,
assistito da mons. Domenico Giordani, arcivescovo titolare di Nicomedia e vicegerente, e da
mons. Innocenzo Gorgoni, arcivescovo titolare di Emesa. Si ignora il perché della scelta di quel
luogo sacro. Ma forse non è privo di significato il fatto che nel transetto della basilica si erge la
statua del Redentore (di Michelangelo), e che sull’altare della cappella in cui avvenne la
consacrazione vescovile si trova un dipinto del Salvatore (attribuito al Perugino).
L’indomani, Alfonso si recò a celebrare la messa nella cameretta di s. Luigi, presso la chiesa
gesuitica di S. Ignazio. Poi andò a congedarsi dal papa. Prima di partire da Roma, da qualcuno
gli era stato suggerito di procurarsi qualche privilegio. Per esempio, quello di potere tenere in
testa lo zucchetto anche durante la celebrazione della messa, naturalmente dietro pagamento di
una piccola tassa. Ma egli rispose di non capire perché avrebbe dovuto pagare, per poter
mancare di rispetto a Gesù Cristo.
Il pomeriggio dello stesso giorno, 21 giugno, Alfonso partì per Napoli, dove giunse il giorno
25. Nel viaggio di ritorno avrebbe desiderato incontrare a San Germano due nipoti benedettini di
Montecassino, i padri Alessandro e Andrea Lanza, che non si presentarono all’appuntamento. Il
mancato incontro, attribuito dai biografi del Santo a un semplice malinteso, aveva
probabilmente una motivazione diversa, legata alla ruggine esistente tra le due famiglie
Durante il soggiorno romano, Alfonso era stato ricevuto varie volte in udienza dal papa. In
una di queste, il p. Villani aveva informato il pontefice del comune desiderio dei confratelli che
Alfonso continuasse a ricoprire la carica di rettore maggiore della Congregazione, con la facoltà
di scegliersi un vicario. Il permesso venne concesso, dopo un iniziale rifiuto. Il passo compiuto
dal p. Villani – non del tutto disinteressato, essendo prevedibile la sua nomina a vicario – non
era affatto approvato da tutti i confratelli, specialmente dai giovani, come apparve chiaramente
in occasione del capitolo generale del 1764. Si trattò comunque di una decisione non immune da
conseguenze negative per la vita della Congregazione.
La riluttanza di Alfonso ad accettare l’episcopato era motivata dalla sua convinzione di
essere inadeguato alla grave responsabilità che comportava. Il suo altissimo concetto della
missione episcopale – che vedeva realizzata in maniera mirabile, e quasi inarrivabile, in modelli
come s. Carlo Borromeo e s. Francesco di Sales – lo induceva a ritenersi inadeguato anche al
peso di una diocesi, tutto sommato, di dimensioni modeste sia per estensione territoriale (la sua
lunghezza massima era di una ventina di km), che per numero di abitanti. Gli attuali vescovi
redentoristi sorrideranno, al pensiero che la diocesi di Sant’Agata de’ Goti contava 27.500
fedeli, ripartiti in 34 parrocchie, e 401 sacerdoti (benché la «legge di proporzione» ne fissasse il
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numero a uno ogni cento fedeli), ai quali andavano aggiunti quelli dei 13 conventi della diocesi.
È però vero che alla quantità degli ecclesiastici non corrispondeva sempre la qualità. Accanto ai
molti elementi esemplari ve ne erano altri poco inclini all’osservanza delle norme stabilite dai
sacri canoni. Tanto che il palazzo vescovile disponeva di carceri riservate agli ecclesiastici
discoli. Non molto sicure, per la verità, dato che una volta uno di loro fuggì, portando con sé –
come souvenir e come ultimo sberleffo al vescovo – il grosso catenaccio della porta della cella.
S. Alfonso fece il suo ingresso solenne in diocesi l’11 luglio 1762. Ricordando i suggerimenti
rivolti a suo tempo ai vescovi, non dovette tardare a rendersi conto delle difficoltà che ne
comportava l’applicazione pratica. All’impegno pastorale egli affiancò quello culturale, che gli
consentì – tra il 1762 e il 1775 – di comporre e pubblicare più di 50 opere.
Col passar degli anni le sue condizioni fisiche andarono sempre più deteriorandosi, tanto che
ben quattro volte ricevette il viatico e due volte l’unzione degli infermi. Le dimissioni,
presentate cinque volte, vennero finalmente accolte il 5 maggio 1775 da Pio VI, da poco elevato
al soglio pontificio. Quando la notizia si diffuse in diocesi, fu unanime il rammarico espresso
dalle autorità civili ed ecclesiastiche, dal clero, dai religiosi, dalle religiose – specialmente dalle
Monache del SS. Redentore, che egli aveva chiamato in diocesi – e dal popolo. Erano
soprattutto i poveri a dolersi della partenza di colui dal quale avevano sempre ricevuto conforto
ed aiuto. Tanto che d’inverno erano soliti portare i loro bambini nella sala del palazzo vescovile,
sicuri che vi sarebbero stati riscaldati, nutriti e custoditi. Alfonso non si dimenticò di loro anche
dopo il rientro a Pagani, destinandogli parte della pensione che percepiva come vescovo
emerito.
Chiesa di Sant’Ignazio, La cappella di san Luigi Gonzaga, dove Alfonso celebrò la sua prima Messa da vescovo
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A un certo punto, nel 1784, pensò che la carrozza – che gli era servita per visitare la diocesi e
che ora usava per le sempre più rare uscite di casa – costituisse ormai una spesa superflua, e
perciò la vendette. Vendette anche i cavalli, scrivendo al confratello che se ne era assunto
l’incarico: «Per questi cavalli che mando, io voglio restare senza scrupolo. Manifestate che uno
patisce nelle mascelle, e non può masticare la paglia e la biada; l'altro, cioè il più vecchio,
patisce di male di luna (licantropia), e da quando in quando si butta a terra. Ha giovato ad
alzarlo, afferrarlo per l'orecchio. Spiegate tutto questo, perché io voglio restar senza scrupolo». I
due animali furono venduti per una somma equivalente al prezzo di tre quintali di grano (o al
salario mensile di un muratore). Commento ironico di Tannoia: «Così finì in Monsignor Liguori
lo sfarzo della sua ricca e superba carrozza».
Anonimo, Due stemmi alfonsiani: a sinistra quello della C. Ss. R.;
a destra, quello episcopale
SUCCESSIONE APOSTOLICA E GENEALOGIA EPISCOPALE
DI SANT’ALFONSO
Per successione apostolica s’intende la discendenza dei vescovi dagli apostoli – attraverso la
genealogia episcopale – che spiega uno degli attributi della Chiesa cattolica: l'apostolicità. In
quanto successore degli apostoli, è scontato che ogni vescovo desideri sapere concretamente da
quale apostolo prenda origine la sua genealogia episcopale. Il che sarebbe facile, se fosse
possibile ripercorrere la catena completa delle ordinazioni vescovili, susseguitesi nel corso dei
secoli. Cioè l'elenco completo dei vescovi ordinanti, con la relativa data della loro ordinazione
(indicata tra parentesi come nella lista seguente dopo il nome), vale a dire l'albero genealogico
che mostra i rapporti tra vescovo ordinante e vescovo ordinato. Purtroppo le cose non stanno
così. A detta di Charles Bransom, che ha approfondito l’argomento, più del 95% dei circa 5.135
vescovi cattolici attualmente viventi (i dati si riferiscono al 2011), compreso Benedetto XVI,
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Donato de Vivo, Il beato Alfonso con le insegne del vescovo.
Chiesa di Santa Maria in Monterone.
discendono da un vescovo nominato nel 1541. Si tratta
di Scipione Rebiba, nato il 3 febbraio 1504 a San
Marco d’Alunzio (Messina), che fu vescovo ausiliare di
Chieti e di Napoli, vescovo di Mottola, arcivescovo di
Pisa, vescovo di Troia, patriarca latino di
Costantinopoli, cardinale (dal 1555) vescovo di Albano
e di Sabina. Morì a Roma il 23 luglio 1577. Per una
singolare circostanza, il Rebiba si colloca all'origine
della linea della successione apostolica della
maggioranza dei vescovi della Chiesa Cattolica. Chi ha
cercato di ricostruire la genealogia episcopale dei
vescovi ha dovuto arrestarsi a Rebiba, oltre il quale,
attualmente, non è possibile risalire. Infatti, egli fu
nominato vescovo nel 1541, è sicuro che venne
ordinato vescovo, ma si ignora il nome dell’ordinante.
Il che significa che per il momento – in attesa
dell’auspicabile ritrovamento di nuova documentazione
– egli è l'ultimo vescovo conosciuto in quel lignaggio (o
albero genealogico).
Quanto detto vale anche per s. Alfonso – ordinato a Roma il 20 giugno 1762 dal card.
Ferdinando Maria Rossi – la cui genealogia episcopale è la seguente (per ogni vescovo della
lista, il precedente è il suo ordinante, mentre il successivo è il suo ordinato):
 Cardinale Scipione Rebiba (1541)
 Cardinale Giulio Antonio Santori (1566)
 Cardinale Girolamo Bernieri, O.P. (1586)
 Arcivescovo Galeazzo Sanvitale (1604)
 Cardinale Ludovico Ludovisi (1621)
 Cardinale Luigi Caetani (1622)
 Cardinale Ulderico Carpegna (1630)
 Cardinale Paluzzo Paluzzi Altieri degli Albertoni (1666)
 Cardinale Flavio Chigi (1686)
 Cardinale Lorenzo Corsini (futuro Clemente XII) (1690)
 Cardinale Giovanni Antonio Guadagni, OCD (1724)
 Cardinale Ferdinando Maria Rossi (1739)
 S. Alfonso (1762)
Non risulta che s. Alfonso sia stato ordinante di nessun vescovo. Il che spiega perché sono
rimaste infruttuose le ricerche di quei vescovi redentoristi, che desideravano sapere se nella loro
genealogia episcopale risultava anche il Fondatore della Congregazione.
p. Ciuseppe Orlandi
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NOMINA E CONSACRAZIONE EPISCOPALE
NELLA BIOGRAFIA DEL TANNOIA
l 20 giugno 2012, ricorre il 250° anniversario della consacrazione episcopale di sant’Alfonso
Maria de Liguori. Un anniversario che ci riporta ad uno dei momenti cruciali della vita del
santo fondatore. Ripercorriamo brevemente le vicende che precedettero la sua consacrazione,
fino al giorno in cui fu consacrato, all’altare del Salvatore nella basilica romana di Santa Maria
sopra Minerva, il 20 giugno 1762. Rileggendo il Libro terzo della Biografia del Tannoia, si può
entrare nella vivacità di quei fatti e soprattutto si riesce a intravedere l’interiorità e lo stato
d’animo del santo di fronte a questo imprevisto della sua vita. Il racconto tannoiano,
circostanziato, fa emergere il contesto e le vicende storiche, ma lascia anche affiorare l’umanità
del santo e la sua fede, messa a dura prova. Riportiamo brevemente i fatti, lasciando la parola al
protagonista e al suo primo biografo nonostante qualche imprecisione. Tutte le citazioni,
riportate in corsivo, si trovano nell’opera del Tannoia, Libro III, cc. I – V.
A sessantasei anni, nella vita di sant’Alfonso avvenne un imprevisto terremoto. Il 12
ottobre 1761 moriva il vescovo di S. Agata de’ Goti, Mons. Flaminio Danza. Era questa una
delle diocesi più ambite per le rendite della mensa vescovile. Per ottenere infatti quel vescovato
si presentarono oltre sessanta concorrenti, muniti di ogni protezione e raccomandazione. L’unico
che non si presentò e che non avrebbe mai sognato la mitria, fu ritenuto idoneo a quella carica
perché altri lo presentarono al Papa. Tra questi suoi estimatori ci fu il Card. Spinelli, che lo
apprezzava per la sua vita da missionario e il suo zelo. Dopo aver fatto le consultazioni, il papa
diede incarico al nunzio mons. Locatelli di scrivere a Napoli e a mons. Negroni, uditore, di
comunicare ad Alfonso la decisione pontificia. Fu questa la lettera più drammatica che ricevette
in tutta la sua lunga carriera epistolare! Ignaro di tutto se ne stava a Pagani, occupato negli affari
della Congregazione. Aveva già evitato il Vescovato di Palermo e ormai pensava che nessuno
avrebbe potuto più disturbarlo, visti i suoi acciacchi e l’età. Ma il 9 marzo 1761, pervenne un
plico di mons. Uditore a Pagani. I Padri capirono e si fecero tutti attorno al fondatore, alcuni per
rallegrarsi, altri per consolarlo. Dopo l’attimo di smarrimento e di confusione, si affrettò a
scrivere la rinuncia. Spedì il plico a Roma commentando: Ho dovuto perdere un ora di tempo e
ducati quattro per questa freddura! La paura di essere vescovo lo aveva gettato nella
costernazione. Non voleva lasciare la Congregazione che aveva fondato, per la quale aveva
sofferto e che amava con tanto trasporto. Ai padri ripeteva: Non cambierei la Congregazione con
tutti i regni del GranTurco! I giorni passavano e la risposta da Roma non veniva. Ripensando
alla risposta del papa diceva: Se viene la staffetta disse ai padri Ferrara e Mazzini, e lo ripetè più
volte, non me la fate vedere, che mi pare vedere il boja col capestro alla mano!
La sera del 18 marzo si vide sulle ventiquattro la staffetta del nunzio in Nocera. Il Papa
dopo un momento di esitazione, da un giorno all’altro, gli diede il precetto formale di ubbidienza
perché accettasse. Dopo la lettura della bolla si inginocchiò e con le lacrime agli occhi disse:
Questa è la volontà di Dio; Iddio mi caccia di Congregazione per li peccati miei; non vi
scordate di me, ah ci abbiamo da dividere dopo esserci amati per trent’anni! Quella nomina lo
costringeva a lasciare i suoi confratelli, con i quali aveva stretto vincoli di profonda fraternità.
Intanto la sua rinunzia, cosa rara a quei tempi, e anche ai nostri, per chi fosse stato eletto
vescovo, fece grande notizia, fè senso e restò edificata tutta Roma per lo rifiuto che Alfonso
aveva fatto della vescovil chiesa di S. Agata: maggior edificazione si rilevò poi per la sua cieca
ubbidienza, e per la totale subordinazione ai voleri del Papa. Fervevano i preparativi e si voleva
che anche Mons. de Liguori avesse carrozza, livrea e seguito. A sentire queste cose, rispondeva:
Se per ubbidienza ho accettato il Vescovado, debbo imitare li Santi Vescovi e non mi state a dire
carrozze e livree. Che ho d’andare facendo il Bagascio per Napoli? Tutto era pronto per
I
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partire, quando una febbre violenta e tanti sintomi di indisposizione lo costrinsero per lungo
tempo a letto. Clemente XIII informato della malattia esclamò: Se muore noi li diamo la nostra
apostolica benedizione ma se vive lo vogliamo in Roma! A coloro che venivano a visitarlo,
volendolo consolare, Alfonso ripeteva: Iddio mi vuole vescovo e io voglio esser vescovo!
Il sabato santo predicò ai nocerini nella chiesa del collegio e congedandosi dalla folla
profetizzava: Non vi rammaricate che io parto: vi do parola che anche qui verrò a morire!
Giunto a Napoli iniziarono, una dopo l’altra, le visite di circostanza e gli incontri con la
nobiltà e i funzionari del regno. In un momento di sfogo al p. Villani confidava: Se non vado in
pazzia ora non ci vado più. Ho lasciato il mondo da giovane ed ora vecchio ho da ricominciare
a trattare col mondo. Il fratello Ercole era preso dall’entusiasmo e avrebbe voluto ogni solennità
ed eleganza ma Alfonso era di tutt’altro parere. Il suo corredo episcopale fu sobrio ed essenziale,
l’anello prelatizio non costò che pochi carlini, non guernito che di misero vetro. False furono
ancora le pietre della crocetta. Dopo aver soddisfatto tutti, il lunedì in albis diciannove aprile
unito Alfonso col medesimo p. Villani s’incamminò per Roma. Fece una sosta a Velletri. Da qui
si portò a Cisterna, per incontrare il Cardinale Spinelli, in visita pastorale. Giunto a Roma, i Pii
Operai lo vollero in propria casa, a Santa Maria dei Monti. Molti cardinali, vescovi e personalità
dello stato pontificio vennero ad ossequiarlo, tre volte fu a visitarlo il p. Ricci, generale dei
gesuiti. Visitò anche Frascati.
I padri della Missione lo invitarono a pranzo, ma rifiutò dicendo che il suo pranzo lo
dessero ai poverelli e così evitò ogni invito, tra i molti che ricevette. Preferiva rimanere in casa o
soffermarsi in preghiera nelle basiliche romane. Il suo stile di vita rimase immutato: mutando
stato non mutò abito Alfonso ed in Roma facevasi gloria vestir la tonaca di sua Congregazione.
Il papa era assente da Roma perché a Civitavecchia, approfittando del tempo a disposizione volle
recarsi a Loreto. A p. Villani che temeva per gli strapazzi del viaggio rispondeva: Quando sarò
per ricevere un'altra volta occasione così bella? Tutto è poco se ho la consolazione di visitare
questa casa dove il Verbo si fè uomo per me! Partì dunque per raggiungere quella meta.
Trasformò il viaggio e la carrozza in un convento per la continua preghiera e il raccoglimento:
Umiltà e povertà era il suo corredo. Zimarra e sottana nostra era il suo vestire. Stette per tre
giorni continui chiuso nella santa Casa, baciando quelle mura. Al ritorno si fermò a Spoleto,
ricevuto con grandi onori dal vescovo di quella terra. L’8 maggio era di nuovo a Roma, per
sostenere l’esame ed essere consacrato. Il papa volle riceverlo personalmente, restò così preso il
papa per Alfonso che più volte lo volle solo a solo.
Dopo aver esposto a voce la sua rinuncia e aver pregato il papa di esonerarlo, pregò il
pontefice: Beatissimo padre giacchè vi siete degnato di farmi vescovo pregate Iddio che non mi
perda l’anima!
Il giorno di S. Basilio, 14 del mese di Giugno [1762], fu consacrato all’altare del
Salvatore nella Minerva e nol fecero che con somma soddisfazione il Cardinal de Rossi, Mons.
Macedonio e non so chi altro. Mons. Mastrilli, teatino, fu tra quelli che assistettero al rito. Tutti
erano pieni di gioia, tranne lui: Giornata per lui non vi fu di questa più mesta e dolorosa.
Dopo l’ordinazione, come era consuetudine, ogni vescovo poteva chiedere qualche grazia
al papa. Ad Alfonso che non aveva nulla da chiedere, fu suggerito di chiedere il permesso di
poter tenere lo zucchetto in testa anche durante la messa, visti i suoi acciacchi. Con la solita
ironia rispose: O bella, ho da pagare danaro per fare una mala creanza a Gesù Cristo!
Negli ultimi giorni prima della partenza, visitò le basiliche maggiori e la biblioteca
vaticana. Visitò ancora il Noviziato dei pp. Scolopi nella Traspontina, per veder la processione
del Corpus Domini. Anche dopo l’ordinazione, vestì sempre, come dissi, da missionario, con la
corona alla cinta e con cappello ordinario e aperto. Nell’ultimo congedo dal santo, il pontefice
disse ai presenti: Nella morte di Mons. Liguori avremo un altro santo nella chiesa di Gesù
Cristo!
p. Vincenzo La Mendola
GOVERNO PROVINCIALE___________________________________________________pagina 11 [83]
Prot. 15.12
Rev. di
PADRI E FRATELLI
della Provincia
LORO SEDI
OGGETTO: Considerazioni post visita, comunicazioni
Carissimi confratelli
Terminata la Visita fraterna alle comunità, e ascoltati i consiglieri
che a turno mi hanno accompagnato, è bene che ci si fermi per qualche
considerazione che possa essere utile ai singoli, alle comunità e quindi alla
Provincia e alla sua Missione.
Voglio anzitutto ringraziarvi di cuore per la calorosa accoglienza
riservataci: non è retorico dire che ovunque ci siamo trovati bene e che non
abbiamo trovato in nessuno, né in alcuna comunità, chiusure preconcette o
preclusioni inaccessibili; dovunque abbiamo avuto momenti di preghiera
comunitaria nella ricerca della volontà di Dio, colloqui sereni e franchi, e
non sono mancati neanche i tempi di relax e di gioia per lo stare insieme. È
stata una visita particolare, con il chiaro obiettivo di sensibilizzare e
prendere coscienza della nuova Struttura che il XXIV Capitolo Generale ci
ha dato per rinnovare ed essere fedeli alla nostra Missione: quella della
Conferenza dei Redentoristi d’Europa. Ho trovato ovunque un autentico
interesse e una sana curiosità e volontà di conoscere meglio questa realtà,
confermandomi nell’idea che le ormai prossime assemblee zonali, nelle
quali ascolteremo il Coordinatore della Conferenza p. Jacek Zdrzalek,
possano essere l’occasione buona per un ulteriore approfondimento prima di
disporci alla piena accoglienza adeguando anche il nostro Progetto pastorale
provinciale e le nostre priorità apostoliche perché siano in sempre maggiore
sintonia con quelle dei confratelli europei.
In ogni comunità ho lasciato la relazione nella quale ho riportato i
rilievi particolarmente degni di nota, sia in positivo, e quindi in forma di
lode, che in negativo, come invito e sprone ad un maggior impegno e
attenzione. Guardando però complessivamente la situazione della Provincia,
e dopo che ci siamo confrontati insieme nel Consiglio provinciale, credo
doveroso soffermarmi sui seguenti punti:
1. Vita comunitaria – Ci si dia da fare senza indugi per favorire nelle
comunità una vita serena che sia davvero “apostolica”, ricordandoci a
vicenda che “dalla testimonianza della vita e della carità sorge la
testimonianza della Parola” (Cost. 10); è questo un dono da invocare nella
preghiera personale e comunitaria: “invocheranno lo Spirito santo: è lui che
dispone ogni cosa, suggerisce le parole più adatte e apre le vie del cuore”
(Cost. 10).
2. Progetto pastorale comunitario per il quadriennio – Poche comunità lo
hanno già predisposto e presentato al Consiglio per la necessaria
approvazione: è uno strumento molto importante che deve essere di guida e
di aiuto nella vita delle comunità; sia preparato quanto prima.
Pagina 12 [84]_________________________________________GOVERNO PROVINCIALE
3. Risposte al questionario e/o relative proposte – Le comunità che ancora
non lo hanno fatto provvedano con celerità a far pervenire il materiale al
presidente della Commissione preparatoria del Capitolo.
4. Formazione permanente – è necessario che si abbia maggiore attenzione a
questo tema, in particolare facendo tesoro del materiale che arriva alle
comunità da parte del responsabile provinciale e dai segretariati. Le
comunità limitrofe collaborino maggiormente in questo settore. Si
raccomanda anche la partecipazione alle iniziative interprovinciali.
5. Conti bancari o postali personali – Poiché uno dei miei compiti (cfr. Can
1276, §2) è quello di “ordinare l’intero complesso della amministrazione dei
beni” mi permetto richiamare il Can 668 § 3: “Tutto ciò che un religioso
acquista con la propria industria o a motivo dell’istituto, rimane acquisito
per l’istituto stesso. Ciò che riceve come pensione, sussidio, assicurazione, a
qualunque titolo, rimane acquisito dall’istituto, a meno che il diritto proprio
non disponga diversamente”: Non esistono nel nostro diritto norme che
dispongano diversamente da quanto enuncia il Canone. Invito a rileggere
anche quanto prevede il nostro Statuto R10. Pertanto solo ove fosse
strettamente necessario, e questo lo valuti il superiore, si possono avere
conti personali, e comunque in tali conti deve avere la firma operativa anche
il superiore o un confratello da lui delegato.
6. Quota - vacanze, e case per le vacanze – Ogni comunità corrisponderà ai
confratelli la quota di € 650,00. Si prende atto che alcune delle nostre case
sono frequentate dai confratelli italiani e stranieri per passarvi le vacanze: in
particolare Venezia, Francavilla al Mare, San Sperate e Roma san
Gioacchino: tenuto conto che ognuno ha a disposizione la sua quota
vacanze, sarà dovere versare alla comunità che ospita la somma giornaliera
di € 15,00 oltre la celebrazione della santa Messa. È bene ricordare anche
che la quota vacanze non è cumulabile e pertanto se non si spende per le
vacanze deve essere resa al superiore.
ALCUNE COMUNICAZIONI IMPORTANTI:
STAGE DI MORALE: dal 18 al 21 giugno a Colle sant’Alfonso, sul
tema “La coscienza cristiana di fronte alle problematiche bioetiche”. (Prof
P. Faggioni OFM)
RITIRI SPIRITUALI:
3 – 7 settembre a Ciorani;
24 – 28 settembre a Scifelli.
Un caro saluto a tutti e a ciascuno dal vostro fratello in Cristo Redentore.
Roma, 24 maggio 2012
p. Giovanni Congiu
(Superiore Provinciale)
GOVERNO PROVINCIALE___________________________________________________pagina 13 [85]
Prot. 13.12
Oggetto: Convocazione del Capitolo Provinciale
Viste le Cost. 98 e 123, gli Statuti 0140, 0146, 0147, 0152, R17, R22; sentito il Consiglio
Provinciale Ordinario, con la presente
CONVOCO IL CAPITOLO PROVINCIALE
che si celebrerà nella nostra casa di Francavilla al Mare (CH) a partire da lunedì 15 ottobre
2012 alle ore 17.
Scopo primario del Capitolo sarà l’aggiornamento del Progetto Pastorale Provinciale per il
quadriennio in corso e la revisione degli Statuti Provinciali alla luce degli Statuti e delle Priorità
apostoliche della Conferenza dei Redentoristi d’Europa, ma a giudizio dei pp. Capitolari si
potranno trattare anche altri temi riguardanti la vita della Provincia. Chi volesse presentare al
Capitolo richieste o proposte è pregato di inviarle al Presidente della Commissione preparatoria
che è così composta: p. Franco Desideri, p. Pietro Sulkowski, p. Raffaele Jaworski, p. Gianni
Congiu che ne è Presidente.
In ogni comunità si preghi per il Capitolo secondo lo schema allegato a partire dal 1
settembre e fino alla sua conclusione; ma raccomandiamo già da oggi al Cristo Redentore i nostri
lavori, perché siano secondo il suo cuore e per il bene dei fratelli ai quali siamo mandati a
predicare il Vangelo in modo nuovo, con speranza rinnovata, cuori rinnovati e strutture rinnovate
per la Missione. La nostra Madre del Perpetuo Soccorso, il nostro padre s. Alfonso, S. Gerardo, e
gli altri Santi e Beati redentoristi, ci aiutino e ci guidino con benevolenza.
Roma, 15 maggio 2012
p. Vincenzo Ricci
(Segretario Prov.le)
p. Giovanni Congiu
(Superiore Provinciale)
PREGHIERA
PER IL CAPITOLO PROVINCIALE
(Ultima invocazione a Lodi e Vespri)
Infondi nei confratelli capitolari il tuo Spirito di intelletto, di
verità e di pace.
Perché con le loro decisioni ci aiutino a predicare il Vangelo in
modo sempre nuovo, con speranza rinnovata, cuori rinnovati e
strutture rinnovate per la Missione.
Pagina 14 [86]_______________________________________________________________________CRONACA
FESTA NELLA FAMIGLIA REDENTORISTA
DI BUSSOLENGO
Noemi Girelli
______
Bussolengo, 29 aprile 2012
aestoso e solenne il suono dell’organo accompagna all’altare padre Carlo Rizzardo che,
proprio 50 anni fa, saliva per la prima volta l’altare del Signore, come Missionario
Redentorista.
”Il tuo popolo in cammino, cerca in te la guida” sono le parole che il CORO ALFONSIANO canta in
questa domenica che celebra Gesù “Buon Pastore”
Una coincidenza che ben si addice con la festa di padre Carlo, pastore di anime per 39 anni in
Paraguay e per 50 anni pastore del gregge di Cristo.
“Resta sempre con noi, Signore!” è il grido dell’anima in questa resa dei conti, in questo sguardo
all’indietro. Si, resta con noi oggi, domani, sempre, nella vita, nel lavoro quotidiano, in famiglia, nelle
comunità, quando la strada va in salita e le forze vengono a mancare, quando la fatica e la solitudine ci
assalgono.
Ma oggi è il momento della gioia, soprattutto per padre Carlo che è qui per dire il suo “GRAZIE”
per la vocazione ricevuta, per essere stato nel gregge di quel Pastore buono ed unico che è Cristo,
L’umile preghiera di lode e di ringraziamento oggi è espressa da quel popolo in cammino
costituito da fratelli, sorelle, amici, parenti che insieme invocano e si affidano ancora a Lui, pastore delle
nostre anime. Lui che ha gettato il seme d’una vocazione in ciascuno, lui che ne segue la crescita, lo
sviluppo, la maturazione. Lui che ci rende fedeli dopo che il seme è stato accolto. E oggi si celebra
proprio la festa della fedeltà, della riconoscenza a Colui che ci conosce profondamente, intimamente,
personalmente uno ad uno. Come diventa consolante questa verità, come addolcisce l’anima, l’avvolge di
tenerezza e ne rinnova l’energia. Nei momenti di sconforto tale verità deve farci sentire protetti, sicuri,
salvi. Del resto non è Lui che ha versato il suo sangue, ha dato la sua vita per noi? Dare la vita è il valore
più grande che una persona può compiere, è il significato massimo che può assumere un gesto, e per
questo “gesto” siamo diventati figli di Dio.
Il Buon Pastore dà la vita per le sue pecore poiché le conosce tutte… e per nessuna esita. In questo
suo “dare la vita per salvarci” egli stabilisce un rapporto di
appartenenza, così che noi diventiamo veramente suoi. «Tu sei
mio, ti conosco per nome» sembra dirci Gesù. Ed allora
dobbiamo fidarci. E questo “fidarsi del Signore” è stato lo stile
di vita di padre Carlo: un abbandonarsi a lui totalmente
lasciandosi un po’ guidare da Colei che tanto amiamo e che
invochiamo come “Madre del Perpetuo Soccorso”.
“Oggi raccogliamo davvero i frutti di tanta fede! Siamo
grati al Signore di tutto questo; siamo grati a padre Carlo. Io sono
fiero di averlo nella mia Comunità, sono fiero perché Dio l’ha
scelto, come ha scelto ciascuno di noi. Gloria, lode,
ringraziamento a Lui nei secoli dei secoli”.
Con queste toccanti parole di padre Luis Perez si è
conclusa la riflessione evangelica mentre all’altare venivano
portate le offerte. Tra queste spicca il libro delle
COSTITUZIONI, caro ad ogni Redentorista poiché contiene la
traccia del cammino spirituale dettato da sant’Alfonso.
Una concelebrazione sentita che vede attorno all’altare
otto concelebranti e tanta partecipazione dell’assemblea che
ormai conosce e vuole bene a padre Carlo.
M
CRONACA_________________________________________________________________________pagina 15 [87]
La concelebrazione con la comunità e
con don Antonio Sona, parroco di
Lugagnano e vicario foraneo.
A conclusione di ogni
Messa è stato distribuito un mini
opuscolo, corredato da foto e
commenti che padre Luis ha
voluto raccogliere per illustrare
l’attività apostolica e missionaria
di padre Carlo. Un gesto, un
ricordo, una traccia, una
testimonianza di vita che ci
auguriamo possa trasformarsi in
“seme” per altri giovani.
Presenti a questa Messa
anche un gruppo di “Peruviani”
che alla domenica beneficiano delle celebrazioni eucaristiche in lingua spagnola da parte di padre Luis e
padre Carlo. Proprio i Peruviani hanno allietato la festa con un balletto in costume. Ritmo, musica,
folklore, suoni e colori hanno dato un tocco nostalgico e caro a quel popolo latino-americano che padre
Carlo porta ancora nel cuore.
Il pranzo con i parenti si è svolto in un clima di grande cordialità che ha favorito la gioia dello
stare insieme. La famiglia redentorista ha offerto una bella testimonianza di accoglienza che fa onore, ma
soprattutto conferma quell’apertura di mente e di cuore che devono caratterizzare le nostre Comunità. Un
“grazie” doveroso ai Padri che hanno favorito questa festa regalando momenti indimenticabili a tutti e
quel senso di appartenenza al gregge di Cristo di cui, fortunatamente, facciamo parte.
Al termine della Messa, foto ricordo col fratello p. Armando e il gruppo dei parenti
Pagina 16 [88]_______________________________________________________________________CRONACA
SINTESI DI UNA VITA
P. Carlo Rizzardo
_________
Bussolengo, 29 aprile 2012
difficile racchiudere in poche righe 50 anni di vita, vissuti con persone che mi hanno aiutato e
accompagnato nel mio cammino sacerdotale fino ad oggi.
Sono nato a Volpago del Montello (TV) il 4 novembre 1934, nono di tredici figli.
Ringrazio la mia famiglia per come mi ha educato, orientandomi alla fede, all’amore verso Dio e verso il
prossimo, al senso della vita, alla preziosità delle cose, alla Provvidenza che non abbandona che crede e
confida fermamente.
Ricordo con immenso piacere che ogni sera, dopo la cena, si recitava tutti insieme il santo rosario
davanti all’immagine della Madonna del Perpetuo Soccorso; e non immaginavo che un giorno il Signore
mi avrebbe scelto fra tanti giovani del mio paese a diventare suo ministro.
Il compianto arciprete don Luigi Panizzolo un giorno mi chiamò e mi parlò del seminario di
Bussolengo (VR). Fu il primo passo verso la meta del cammino sacerdotale.
Successivamente andai a Scifelli per completare gli studi e poi a Colle Sant’Alfonso per il
noviziato. Quindi passai allo studentato di Cortona (AR) dove il 29 aprile 1962 venni ordinato sacerdote
dal vescovo Mons. Franciolini.
Quelli furono anni ricchi di doni del Signore, di grazia, di opportunità, di esempi grandi per la mia
crescita spirituale. Accanto avevo l’amore e gli aiuti di tanti confratelli, i loro suggerimenti, la
comprensione, la tolleranza. Tutto contribuì alla mia formazione umana, culturale e spirituale.
Poi la grande opportunità di realizzare il mio sogno missionario: la Congregazione mi concesse di
andare in Paraguay, un dono che si è protratto per 37 anni e che mi ha arricchito fortemente, consolidato e
fortificato. Ho vissuto tante esperienze tristi, dolorose, sofferte accanto ai poveri, agli abbandonati. Ho
vissuto con gli umili condividendo gioie, dolori, ansie e speranze. Una vocazione bellissima che ancor
oggi mi rievoca e riempie il cuore di gioia.
In Paraguay mi fu assegnata una zona di circa 100 chilometri, col più del 60% occupato da paludi;
una terra che si colloca tra i fiumi Paranà e Paraguay. Zona di facili inondazioni, di grandi disagi, con
pochissima gente: circa 60.000 abitanti, e tutti in povere capanne.
Per visitare queste persone percorrevo ogni anno, per sei mesi e a cavallo, tutta la zona; e sul posto
tenevo catechesi, prime comunioni, sacramenti, visite agli ammalati ecc.
Devo a questa gente, al loro legame umano e spirituale, tante esperienze e ricordi belli della mia
vita. Il mio cuore ancor oggi è pieno di loro. Grazie a quanto ho vissuto in quell’ambiente, ho realizzato
in pienezza il mio apostolato sacerdotale e missionario. Ne sono fiero, ma umilmente devo tutto a Dio che
mi ha guidato e tenuto per mano.
Poi la salute: i problemi di cuore mi hanno sbarrato il passo, ed eccomi qui, con voi, a ringraziare,
lodare, benedire il Signore per l’abbondanza dei suoi doni ricevuti in questi 50 anni di apostolato. A lui
affido i miei giorni e nelle sue mani misericordiose consegno la mia vita. Al Signore altissimo rivolgo le
parole di Maria: «L’anima mia magnifica il Signore», come pure quelle del profeta Davide: «Miserere
mei, Deus, secundum magnam misericordiam tuam», abbi pietà di me, o Dio, secondo la tua grande
misericordia.
Oggi, Signore, depongo ai tuoi piedi, presso il tuo altare, la mia umile offerta della vita, dei giorni,
del tempo, delle cose, delle persone che poni sul mio cammino. Tutto diventi, per la tua grazia, lode,
ringraziamento, supplica, dono d’amore.
È
CRONACA________________________________________________________________________ Pagina 17 [89]
ERA D’APRILE____________
di
NOEMI GIRELLI
Tu che l’altare in un giorno lontano.
in ginocchio salisti, portando del grano….
Spiga dorata coi chicchi d’amore…
e l’anima offristi a Cristo Signore.
Tu che il suo volto, in terra straniera,
annunciasti alle genti dal mattino alla sera,
in villaggi e capanne fatte di legno,
portasti l’amore e l’avvento del Regno.
Oggi si compie per Te la promessa…
Le spighe son “mille” in questa tua Messa.
E lode e gloria all’eterno Signore.
La lode sia piena col canto del cuore.
Accanto ai fratelli, amici e parenti,
la gioia sia grande in tutti i presenti!
Auguri e grazie a Te, caro fratello:
il traguardo raggiunto è grande, e è bello.
Maria, la Madonna che sempre hai pregato,
benedica e fruttifichi ogni tuo operato;
e sotto il suo manto raduni e consoli
chi porti nel cuore: “Non li lasci mai soli.”
Il ballo folkloristico di amici peruviani alla festa di p. Carlo
Pagina 18 [90]_______________________________________________________________________CRONACA
Grande festa a Scifelli per P. Dario Martino
A SERVIZIO DI DIO E DELLA COMUNITÀ
(Nicoletta Fini, La Provincia, 24 maggio 2012)
G
iornata indetta da Benedetto XVI per le
vocazioni sacerdotali
e religiose
“Sacerdote dono dell’Amore di Dio” e
grande festa per il 50esimo anno di sacerdozio di
Padre Dario Martino, missionario Redentorista.
La solenne concelebrazione si è tenuta il 29
aprile scorso a Scifelli
nella parrocchia del
Buon
Consiglio,
allietata dalla Schola
Canthorum
e
alla
presenza
di
parrocchiani, parenti e
amici del festeggiato.
Con
lui
hanno
concelebrato
Padre
Nicola e Padre Alfredo.
Ha tenuto l’omelia il
teologo prof. Giovanni
Velocci.
A conclusione, lettura
della pergamena con la
benedizione del Papa e
del festeggiato. Già le
partecipazioni
invitavano ad una festa
vocazionale
e
dovunque si è pregato
per le vocazioni, sia a
Scifelli il 29 aprile,
come a Frosinone,
nella parrocchia di San
Gerardo il 28 aprile. Si
pregherà anche a San
Sosio di Arpino il
lunedì di Pentecoste in
occasione della festa del Santo Patrono, dove per
otto anni Padre Dario ha esercitato il suo
ministero, e a Supino, S. Pio X, in una domenica
di giugno, come anche a Colleberardi.
Il Redentorista ha rinnovato l’amore di Dio e la
chiamata di Gesù eterno sacerdote, per seguirlo e
servirlo nella sua chiesa. Un missionario a
servizio di Dio e della comunità.
Comunità che apprezza i suoi insegnamenti e lo
spirito con cui diffonde messaggi importanti. Tra
questi,
l’ultimo
condiviso dalla parola
del Santo Padre di
domenica scorsa in
occasione
della
Giornata
Mondiale
delle
Comunicazioni
Sociali. Padre Dario,
riprendendo le parole di
Benedetto XVI, ha
sottolineato l’importanza
di imparare ad
ascoltare oltre che a
parlare. «Il silenzio è
parte integrante della
comunicazione.
Là
dove i messaggi sono
abbondanti, il silenzio
diventa
essenziale».
L’esempio più grande:
ascoltare la Parola del
Signore, meditare e
riflettere in silenzio o
con la preghiera.
Auguri e felicitazioni
per la meta raggiunta
sono arrivati dalla
Provincia Romana dei
Redentoristi, da diverse
comunità
religiose,
dall’Anspi Nazionale e Regionale e da amici di
diverse città.
Al coro si unisce la nostra redazione: “Ad multos
annos”.
CRONACA_________________________________________________________________________Pagina 19 [91]
I CONCERTI DI SAN GIOACCHINO
NELL’ANNO PASTORALE 2011-2012
Cesare Pinca
I
l Concerto di Pentecoste di domenica 27 maggio 2012 ha
concluso la serie dei cinque concerti organizzati dalla
Parrocchia di San Gioacchino, in collaborazione con l’Accademia
Romana d’Organo C. Franck e del maestro Juan Paradell Solé,
organista titolare della Basilica di San Pietro.
E’ il secondo anno che la Parrocchia organizza tali eventi
soprattutto con il proposito di sottolineare i momenti forti della
liturgia, ma anche per offrire a tutti dei momenti di cultura
musicale, in modo speciale di musica sacra, con la partecipazione
di professionisti affermati. Lo scopo è anche quello di far conoscere
l’organo della chiesa, che è un prezioso strumento installato nei
primi del ‘900, di origine franco-belga e di recente restaurato con
uno sforzo finanziario non irrilevante.
Facciamo ora una breve rassegna dei concerti di quest’anno.
IL CONCERTO DI AVVENTO: è stato un concerto di organo e coro, con la
partecipazione di un gruppo di lingua inglese, residente a Roma, diretto dal maestro Tom
Hammond Davis, direttore dei cori di St. Michael North Gate (Oxford) e Blenheim Singers.
All’organo ha suonato il maestro Stefano Vasselli, attualmente direttore musicale e
organista della chiesa di San Paolo dentro le Mura di Roma. Sono state suonate musiche di
Dupré, Liszt, Bach, Arcadelt e Franck.
IL CONCERTO DI NATALE: lo scorso anno, in molti, abbiamo
scoperto la bellezza della musica che nasce da due strumenti, la
tromba e l’organo, che all’apparenza sembrano così diversi. Anche
quest’anno se ne è avuta la conferma. Il concerto è stato tenuto
dal maestro Enrico Zanovello, all’organo e dal maestro Domenico
Agostini alla tromba, due affermati professionisti in campo
internazionale. Sono state suonate musiche di Balbastre, Purcell,
Lefebure-Wely, Mouret, Bret, Guilmant e Haendel.
IL CONCERTO DI QUARESIMA ha
visto la partecipazione di un grande organista spagnolo, José
Enrique Ayarra Jarne, titolare organista della Cattedrale di Siviglia,
che oltre ad essere sacerdote, è concertista di fama, è docente in
varie Università americane e giapponesi, ricercatore e giornalista.
Il maestro Ayarra ha suonato musiche di Bach, Mendelssohn,
Lefebure-Wely, Castello e Torres.
IL CONCERTO DI PASQUA ha visto la partecipazione del
maestro Valentin Gascon Villa, titolare della chiesa di Notre Dame di Chatou (Francia). Il
maestro Valentin ha suonato musiche di Anonimo del XVII secolo, di Bach, di de Elias,
Widor, Estrada e, in conclusione, ci ha offerto una sua improvvisazione sul tema “Victimae
Paschali Laudes”.
Pagina 20 [92]_______________________________________________________________________CRONACA
IL CONCERTO DI PENTECOSTE è stato un concerto
per canto e organo. Ha visto la partecipazione del soprano
Teresa Chirico, cantante, musicologa e docente di canto
barocco presso il Conservatorio “L. Refice” di Frosinone, e il
maestro Tuomas Pyrhonen, organista titolare della chiesa
di Joensuu (Finlandia).
Sono stati interpretati brani di Bach, Stolzel, Reger e
Vasks. Durante il concerto il maestro ha anche offerto una
improvvisazione sul tema del “Veni Creator Spiritus”.
I concerti si sono tenuti di domenica pomeriggio, con ingresso libero e hanno avuto una
buona partecipazione di appassionati provenienti non solo dalle parrocchie vicine, ma anche
da diverse altre zone della città. Tutti i concertisti sono stati applauditi con convinzione,
tutti hanno sempre dovuto offrire il bis che i presenti richiedevano con insistenza.
CONVEGNO REGIONALE SARDO CISM E USMI
I
l 28 aprile 2012 si sono riuniti, a Tramatza (OR), in un Convegno Regionale Sardo i religiosi di vari
ordini e congregazioni religiose, provenienti da tutte le diocesi della Sardegna; quasi 350 religiosi e
religiose si sono incontrati per affrontare insieme il tema: Quale profezia della vita consacrata? A un
decennio dal Concilio Plenario Sardo.
I relatori del convegno erano S. E. Mons. Mauro Maria Morfino, Vescovo di Alghero-Bosa, che
ha presentato una riflessione sul tema: "Perché la profezia che è la Vita Consacrata non si spenga nella
Chiesa di Sardegna”; poi Suor Grazia Papola, orsolina di San Carlo, che ha trattato il tema: “La
comunità Religiosa racconta la vita buona del Vangelo". Le due relazioni erano ricchissime e hanno dato
un nuovo sostegno e una nuova visione a tutti i partecipanti del convegno. Mons. Morfino ha arricchito
tutti con le sue parole preziose e la sua semplicità umana, invece suor Papola ha nutrito gli uditori con i
numerosi riferimenti biblici.
Prima del pranzo, tutti i partecipanti hanno celebrato l’Eucaristia che è stata presieduta da S.E.
Mons. Paolo Atzei, Arcivescovo di Sassari e delegato episcopale per la Vita Consacrata. La Santa Messa
è stata celebrata secondo l’intenzione per tutta la vita consacrata, in modo particolare in Sardegna, e
perché il buon pastore mandi nuove vocazioni al suo gregge. P. Fadi Rahi, ha presentato La
Congregazione dei missionari Redentoristi, ed in modo particolare la comunità di San Sperate (CA) al
convegno, partecipando in maniera attiva: intervenendo e facendo domande.
Tutti noi, vogliamo continuare le nostre preghiere perché il Signore mandi nuove vocazioni alla
sua Chiesa per poter continuare la sua missione nel mondo intero, specialmente nella nostra isola di
"Sardegna".
P. Fadi Rahi, C.Ss.R.
_____________________________________________
Direttore p. Ezio Marcelli Via Monterone 75 00186 Roma
[email protected]
http://portale.cssr.it/Bollettino
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giugno 2012 - CSSR - Missionari Redentoristi