la domenica DI REPUBBLICA DOMENICA 25 GENNAIO 2015 NUMERO 516 “...IN QUEL MOMENTO GIUNSERO DUE CARABINIERI CHE GIUDICARONO PINOCCHIO UNICO RESPONSABILE...”. DISEGNO DI CARLO RAMBALDI, 2002 Cult La copertina. La serializzazione di un’idea Straparlando. Angela Bianchini, vivere in esilio Mondovisioni. Metti una sera a cena a Lima Carlo Rambaldi, papà di E.T., aveva un sogno: dare vita al burattino più amato del mondo Prima di andarsene ci è riuscito. Eccolo qua CONCITA DE GREGORIO S Ì, VA BENE, TRE OSCAR. Certo: King Kong, Alien, naturalmente E.T. Sì, sì, l’America. I laboratori degli Studios. Tutto il tempo tutto il denaro, il riguardo e il sostegno di cui un genio ha bisogno per dare anima e movimento alla materia inanimata. Sì, lo sapete: Spielberg, Ridley Scott, David Lynch. Nessuno al mondo è meglio di te, Carlo. Please, we need you. Tutti gli onori, tutti i premi. Però Carlo Rambaldi da Vigarano Mainarda — i portici e il bar Eden, i pioppi allineati sul tavolo della pianura padana, la latteria e la bicicletta — quello che voleva davvero, da tutta la vita, era diventare Geppetto. Fin da piccolo e sempre: essere Geppetto, fare Pinocchio. «Ne collezionava edizioni in tutte le lingue, vecchie e nuove», racconta suo figlio Victor. «Per lui era il libro dei libri. Il suo sogno fin da quando costruiva marionette per il teatrino di Vigarano». Dare lo sguardo, il sorriso, il movimento al burattino di legno. Pinocchio telefonocasa >SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE CON UN RICORDO DI VICTOR RAMBALDI Il reportage. Quel che resta della Berlino di Hitler L’officina. John Berger, diario di un’operazione alla cataratta Spettacoli. Perché i Verdena fanno pochi dischi Next. Cosa scopriremo nel 2015 L’incontro. Ken Follett: non solo thriller, fatemi parlare di politica LA DOMENICA la Repubblica DOMENICA 25 GENNAIO 2015 26 La copertina. Telefono casa Ci ha provato tutta una vita, ma non glielo hanno mai lasciato fare Così il genio degli effetti speciali decise di disegnarlo per i nipotini E ora, per la prima volta, il suo Pinocchio si può finalmente ammirare <SEGUE DALLA COPERTINA C ONC ITA DE GREGORI O C I ERA ARRIVATO VICINISSIMO, nel 1969. Lo aveva fatto, in verità: i progetti e i disegni per il Pinocchio Rai di Comencini erano pronti, il prototipo — magnifico — realizzato. Un Pinocchio con gli occhi enormi, liquidi, umani. Come sarebbe stato E.T. tanti anni dopo: quegli occhi che bastano soli. Non si fece per ragioni di soldi, ma questa è una storia che racconteremo fra poco. Prima bisogna dire della favola: c’era una volta un re, il re delle macchine animate e fantastiche, che prima di morire voleva realizzare il primo e più semplice dei desideri, quello che aveva coltivato per tutta la vita e che nessuno dei grandi dignitari di corte, dei sovrani dei paesi vicini, dei suoi alleati nelle battaglie e dei sultani proprietari di tesori gli aveva mai chiesto, mai permesso di costruire. Voleva fare Pinocchio. Quando ormai vecchio si ritirò, con tutti gli onori, chiamò a raccolta i suoi nipoti bambini e disse loro. Ecco, piccoli: adesso che non ho più da viaggiare e combattere, da dirimere questioni di terre e di regni farò per voi ciò che ho sempre desiderato. Aspettate e vedrete. Portano la data del 2002 i disegni magnificenti che Carlo Rambaldi ha realizzato per la sola gioia domestica dei suoi nipoti, facendosi finalmente, da ralmente, semplicissimo. Come poultimo, Geppetto. Che, vedete, gli so- teva essere una marionetta fatta da miglia. Ha i suoi capelli i suoi ciuffi un pezzo di legno da un povero falesulle tempie, il suo viso scavato, le gname? Poteva somigliare al Pinocsue mani grandi, la sua gioia bambi- chio di Disney, l’unico visto al cinema na davanti all’oggetto compiuto. Del- quando alla fine degli anni Sessanta le tavole che l’editore Rubbettino gliene commissionarono uno? Certo manda in stampa in un grande pre- che no. Doveva essere fatto con uno zioso libro a colori davvero fantastica scalpello e un martello, il busto una è la numero dodici, quella dove Gep- tavoletta rettangolare quasi bidipetto Rambaldi salta di gioia sulla se- mensionale, sottile, le braccia e le dia davanti al burattino in tredici gambe due coppie di parallelepipedi pezzi ancora da assemblare. Il pezzo snodati, il collo lungo, i piedi grandi. numero uno sono i capelli, il tredice- Non poteva far altro che questo, il fasimo i piedi. Il celebre naso arriva so- legname del paese. E del resto i bello al quarto posto, dopo gli occhi. Per- lissimi disegni di Carlo Chiostri ed ché sono gli occhi, anche nel buratti- Enrico Mazzanti, i primi illustratori no di legno, i custodi dell’anima. Solo delle prime edizioni del libro, lo avegli occhi resteranno gli stessi quando vano immaginato così. Ruvido, rigialla fine della fiaba diventerà bambi- do. Un burattino. A quei disegni si era no. Solo gli occhi, in ogni essere vi- ispirato il padre, racconta Victor, nel ‘69 quando felice della commissione vente, non cambiano mai. Il Pinocchio di Rambaldi è, natu- aveva proposto ai produttori del film SU RTV-LAEFFE IN REPTV NEWS (ORE 19.45, CANALE 50 DEL DIGITALE E 139 DI SKY) IL VIDEORACCONTO DI CONCITA DE GREGORIO SUL PINOCCHIO DI CARLO RAMBALDI CarloRambaldi la Repubblica DOMENICA 25 GENNAIO 2015 IL LIBRO LE ILLUSTRAZIONI DI QUESTE PAGINE SONO TRATTE DA “IL MIO PINOCCHIO” DI CARLO RAMBALDI, EDITO DA RUBBETTINO (215 PAGINE, 48 EURO) IN LIBRERIA DA MERCOLEDÌ 28 GENNAIO. LA PREFAZIONE, PUBBLICATA QUI SOTTO, È DEL FIGLIO VICTOR. NELLA FOTO IN BASSO A SINISTRA, CARLO RAMBALDI (1925-2012) CON E.T., LA CREATURA CHE GLI VALSE IL TERZO OSCAR NEL 1982 DOPO “KING KONG” (1976) E “ALIEN” (1979) per la tv un Pinocchio esile, longilineo, «gli occhi grandi e rotondi, la bocca smorfiosa e impertinente, simpaticissimo e tenero». Il prototipo di quel Pinocchio fu scelto per rappresentare l’Italia all’Expo di Osaka. Fu scartato dal regista e dai produttori italiani, invece. Lo ritennero troppo caro, costoso da realizzare. Rambaldi aveva immaginato una sorta di animazione a distanza utilizzando micro motori a servo. Qualcosa che anticipava di decenni quella che oggi si chiama motion capture. Attraverso un’imbracatura l’animatore riusciva a far muovere a distanza il burattino. Il quale però, un metro e dieci di altezza, non poteva contenere tutti i meccanismi in un solo corpo. Dunque ne servivano diversi, uno per ogni specialità: il Pinocchio che corre, quello che salta, quello che ride, quello che piange. Nei provini con gli attori risultò formidabile. Rambaldi lo aveva realizzato a sue spese. Scrive, negli appunti dell’epoca: «Ho cominciato a modellare il viso in creta e gesso, infine ho usato una materia plastica che imita molto bene il legno. Mi hanno aiutato i miei studi fatti in gioventù a Bologna, dove mi laureai in Accademia di Belle Arti. Ho finalmente realizzato il Pinocchio che sognavo grazie ad alcuni ritocchi essenziali, primo tra tutti una maggiore grandezza dell’iride degli occhi, mobilissimi in tutte le direzioni». Gli occhi, sempre, il segreto. Il progetto fu bocciato dalla Rai. Anonimo il funzionario. Scrisse Sergio Saviane su l’Espresso, l’11 ottobre 1970: «La Rai ha già sacrificato decine di milioni per il burattino. L’unico che tra tanti ne ha visto poco più di uno è stato il povero Geppetto (Rambaldi) che ha lavorato dei mesi rimettendoci perfino di tasca propria». Fu una grande ARLO RAMBALDI HA SEMPRE PENSATO A PINOCCHIO. Fin da bambino mio padre lo ha sognato, lo ha plasmato con la creta, ci ha giocato. In una parola, lo ha amato. Era il suo personaggio di fantasia preferito, il suo eroe adolescenziale, quello che più di qualunque altro stuzzicava la sua immaginazione. Per Carlo, Pinocchio era il libro dei libri. A casa ne custodiva una preziosa collezione, alcuni molto antichi, e persino diverse edizioni in lingua straniera. Forse perché Pinocchio un po’ rispecchiava la sua personalità, così dinamica e vivace. Infatti, anche al futuro “mago” degli effetti speciali per il cinema, da ragazzo piaceva fare gli scherzi. Nel piccolo paese natale, raccoglieva intorno a sé un manipolo di amici e insieme a loro, attraverso burle innocenti di ogni tipo, si divertiva a studiare le reazioni, osservare i comportamenti delle sue “vittime”. Ai suoi occhi, quel burattino magico era l’amico perfetto, con il quale partire per mille avventure e condividere momenti felici. Una volta, per un progetto televisivo, ne costruì uno tutto suo, cercando però di rispettare, almeno in parte, i disegni degli illustratori originali della fiaba. Studiò molti tipi di legno, selezionandoli per individuare le venature giuste, l’esatto colore e aspetto. Poi, duplicò il legno in materiale plastico. Ne venne fuori un capolavoro di tale simpatia e stile da essere esposto anche in Giappone. Queste tavole, realizzate in tempi recenti per i propri nipotini, rappresentano un tributo affettuoso e personalissimo alla saga di Collodi, che lo aveva così tanto appassionato da ragazzo. Carlo come Pinocchio, dunque, ma anche come il suo creatore Geppetto, per continuare a disegnare e costruire pupazzi ai quali dare un cuore e una vita cinematografici. Ma soprattutto un’anima umana, la stessa che continua a pulsare in Pinocchio oggi, icona e simbolo immortali del fanciullo che è in noi, nell’immaginario collettivo di infinite generazioni di adulti e bambini. delusione. Scrisse Carlo, dopo lo stop ai lavori: «Pinocchio non è mica Giamburrasca e nemmeno Cappuccetto rosso. Pinocchio è un pezzo di legno con una personalità precisa e complicata, pieno di sorprese e imprevisti. Non si può farlo in questi termini. È un’assurdità». Non se ne faceva una ragione. Tredici anni dopo i grandi occhi di Pinocchio sono diventati i laghi azzurri nel volto di E.T. Trentatré anni dopo, quando ormai era solo per la felicità dei nipoti che lavorava, hanno riempito i quaderni che vedete oggi riprodotti qui. Il tratto a volte è semplice, quasi solo abbozzato. Altre volte precisissimo, da progettista. In qualche tavola sembra di riconoscere un omaggio futurista, o impressionista, oppure anche una semplice allusione ironica ai molti grandi illustratori di Pinocchio che certo Rambaldi aveva nella sua collezione, da Sergio Tofano a Jacovitti. Certo il primo, quello di Enrico Mazzanti, è quello che più si affaccia sotto il cappello bianco di mollica di pane, morbido fungo di bosco. Aveva cominciato, ragazzo, disegnando e progettando uno storione per il documentario di un amico sulla pesca nel delta del Po. Ha finito — Carlo Rambaldi il genio, il mito, il maestro — disegnando un pescecane. Un «terribile pescecane», scrive di suo pugno in stampatello, nelle cui viscere Pinocchio ridente lo incontra: lui, Geppetto, seduto a un tavoluccio di legno, al lume di una candela, davanti a un piatto vuoto. In mezzo a timoni divorati, ancore di navi e intestini alza mani e piedi in un balzo verso la sua creatura. Alla fine della vita, gli occhi stretti nel più largo dei sorrisi, felice. © RIPRODUZIONE RISERVATA © RIPRODUZIONE RISERVATA Mio padre, un ragazzino con un burattino per amico VI CTO R RA M BAL DI C Geppettosono io 27 LA DOMENICA la Repubblica DOMENICA 25 GENNAIO 2015 28 Il reportage. Giornata della memoria Là dove sorgeva il bunker in cui settant’anni fa si uccise il Führer, oggi c’è un parco giochi Dal Reichstag all’Olympiastadion viaggio alla ricerca dei luoghi del nazismo In una capitale che ancora non sa se ha davvero voglia di ricordare 2 Olympiastadion INAUGURATO NEL 1936 PER LE OLIMPIADI, IL PROGETTO DI OTTO E WERNER MARCH FU RIVISTO DA ALBERT SPEER E DA HITLER STESSO. IL BALCONE DEL FÜHRER VENNE DEMOLITO DOPO LA GUERRA. LO STADIO È STATO RISTRUTTURATO IN VISTA DEI MONDIALI DI CALCIO DEL 2006. NELLE FOTO, HITLER CON UMBERTO II DI SAVOIA DURANTE LE OLIMPIADI DEL 1936 E, SOTTO, MARCELLO LIPPI CON LA NAZIONALE AZZURRA LA SERA DELLA VITTORIA DEI MONDIALI IL 9 LUGLIO 2006 WLO DEK GOLD K ORN BERLINO L À , DOVE SORGEVA il bunker in cui Adolf Hitler scese per non uscirne più, il 16 gennaio 1945, undici giorni prima che i soldati dell’Armata rossa aprissero i cancelli di Auschwitz, oggi c’è un minuscolo parco giochi: un piccolo variopinto scivolo e un box con sabbia a uso dei bambini. Attorno un parcheggio con decine di utilitarie da impiegati di medio livello e grigi palazzi, Plattbauten li chiamano in tedesco, costruiti in materiale prefabbricato negli ultimi anni della Ddr. Al margine del parcheggio, a due passi da una sbarra che ne segna l’ingresso, una bacheca, difficilmente visibile, segnala l’importanza storica di questo luogo. La bacheca è stata messa lì pochi anni fa per venire incontro alle esigenze di centinaia di turisti che ogni giorno, a Berlino, cercano di ripercorrere le orme del Führer. Altrimenti, e per decenni, tutto quello che riguarda l’uomo che ordinò lo sterminio di sei milioni di ebrei e l’annientamento definitivo di un mondo, l’universo di coloro che parlavano, scrivevano, cantavano e sognavano in yiddish, era condannato alla damnatio memoriae. O forse lo è ancora. Il bunker, posto nel giardino dell’imponente edificio della Cancelleria del millenario Reich, un palazzo che Hitler ha voluto monumentale con un cortile d’onore lungo quasi settanta metri e un ingresso addobbato da due sculture di 2 STRASSE DES 17 JUNI OLYMPIASTADION 3 1 Wannsee LUOGO DI VILLEGGIATURA SULLA SPONDA DEL LAGO OMONIMO. QUI IL 20 GENNAIO 1942, IN UNA VILLA DELLE SS, SI TENNE UNA CONFERENZA DI QUINDICI FUNZIONARI NAZISTI, GUIDATI DA REINHARD HEYDRICH, PER COORDINARE I MODI E I TEMPI DELLO STERMINIO DEGLI EBREI 1 VILLA DI WANNSEE Cosa resta della Berlino di Hitler maschi nudi, raffiguranti il Partito e la Wehrmacht, fu a sua volta teatro di eventi che i loro protagonisti pensavano avessero i caratteri di un’epocale tragedia, ma che invece assomigliavano a un farsesco kitsch. Quel che accadeva lì, mentre i soldati sovietici avevano scoperto da mesi i resti dei campi di sterminio di Treblinka, Belzec e Sobibor, e stavano entrando nella capitale tedesca in rovine, è stato magistralmente narrato ne La caduta di Oliver Hirschbiegel. In quel film l’attore Bruno Ganz sembra più Hitler di Hitler per quanto riesce a non distinguere tra recitazione e verità. Qui dunque il Führer, che il giorno prima aveva vergato il suo testamento politico e sposato Eva Braun, il 30 aprile commette il suicidio. Ma, finita la guerra, una delle prime preoccupazioni dei vincitori, soprattutto dei sovietici, cui in base agli accordi tra gli alleati toccò la gestione del settore orientale e del centro della città, è stata cancellare ogni traccia del regime nazista. La memoria di quel periodo doveva essere annullata; come se si volesse esorcizzare il Male, ma anche non lasciare intatto alcun luogo dove potessero affluire gli eventuali nostalgici del nazismo. Dei tedeschi non ci si fidava. Il bunker fu fatto saltare in aria. Qualche resto è rimasto però, data la resistenza del cemento ar- mato. Finché negli anni Ottanta tutto il terreno, che nel frattempo confinava con il Muro eretto nel 1961, venne bonificato per far posto alle nuove abitazioni. Neanche dell’edificio della Cancelleria ci sono tracce. Strana città Berlino. In apparenza la capitale della Germania riunificata, dell’esibizione della sua complicata e violenta storia ha fatto una specie di marchio di fabbrica. Monito alla coscienza della nazione ed esca per le masse di visitatori di tutto il pianeta, tra musei d’arte eredità del periodo guglielmino e memoriali alle vittime del nazismo: ebrei, omosessuali, sinti e rom. Ma se chiedete a un giovane nei pressi della Wilhelmstrasse, la ricostruita strada centro del Potere (del bunker e dei più importanti ministeri), dove erano i luoghi di Hitler, la reazione sarà un sorriso, un gesto sconsolato delle mani, un’alzata di spalle, un girare la testa per evitare lo sguardo di chi fa l’imbarazzante domanda. Hitler è tabù, un fantasma da non evocare. La Wilhelmstrasse è a due passi dalla Porta di Brandeburgo e dall’edificio del Reichstag, dove alla vigilia della guerra il Führer fece il suo “discorso profetico”: annunciò l’annientamento dell’“ebraismo mondiale”. L’edificio oggi ha una cupola di vetro a simbolo della trasparenza e un recinto, sempre trasparente con sopra stampati alcuni articoli della Costituzione. Il primo recita: “La dignità umana è inviolabile”. Di fronte, sull’ansa della Sprea, i nuovi palazzi della Cancelleria: dotati di finestre enormi. Trasparenza, e ancora trasparenza. La Wilhelmstrasse è ricostruita e tirata a lucido in modo da non poter riconoscere nulla del passato. Dei vecchi edifici è rimasto in piedi solo l’enorme ex ministero dell’aviazione, regno di Göring, oggi sede del dicastero delle finanze; altrettanto importante. Là invece dove sorgeva il lussuoso Hotel Kaiserhof, abitazione di Hitler, prima di diventare cancelliere e dove al caporale austriaco venne conferita nel 1932 la cittadinanza tedesca, c’è oggi l’austero edificio dell’ambasciata nordcoreana. Nella vicina Unter den Linden nessun ricordo delle marce con le fiaccole e con libri che venivano bruciati davanti all’edificio dell’Opera, in una piazza che oggi porta il nome di August Bebel, colui che definì l’antisemitismo come “socialismo degli imbecilli”. Hitler non amava Berlino; troppo caotica, facile a smarrirvisi come annotava Walter Benjamin, un autore che il Führer certamente ignorava. Sognava assieme al suo architetto Albert Speer di trasformarla in Germania, una metropoli di otto milioni di abitanti, geometrica e monumentale. Intanto stava cambiando l’esi- 8 Tempelhof AEROPORTO FIORE ALL’OCCHIELLO DI HITLER. I LAVORI DI COSTRUZIONE INIZIATI NEL 1936 VENNERO COMPLETATI NEL 1941, CON ABBONDANTE USO DI OPERAI-SCHIAVI. AI TEMPI DEL BLOCCO DI BERLINO OVEST DA PARTE DEI SOVIETICI (1948-49), QUI ATTERRAVANO GLI AEREI MILITARI OCCIDENTALI CON GLI AIUTI ALLA POPOLAZIONE. CHIUSO NEL 2008, OGGI È UN PARCO la Repubblica DOMENICA 25 GENNAIO 2015 3 Strasse des 17 Juni 29 4 Reichstag LA STRADA FA PARTE DELL’ASSE EST-OVEST DELLA CAPITALE TEDESCA E INIZIA DALLA PORTA DI BRANDEBURGO. ALLARGATA AI TEMPI DEL NAZISMO, AL SUO CENTRO FU POSTA LA STATUA DELLA VITTORIA ALATA. IN RICORDO DELLA RIVOLTA OPERAIA A BERLINO EST NEL 1953 FU RIBATTEZZATA 17 GIUGNO. NELLE FOTO, LA STRADA NEL 1945 E, SOTTO, OGGI SEDE DEL BUNDESTAG, IL PARLAMENTO. L’EDIFICIO FU INAUGURATO NEL 1894. NEL 1933 VENNE INCENDIATO. LA COLPA FU DATA AI COMUNISTI. PARZIALMENTE DISTRUTTO DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE, È STATO RISTRUTTURATO DALL’ARCHITETTO NORMAN FOSTER DOPO LA RIUNIFICAZIONE DELLA GERMANIA (NELLA FOTO IN BASSO). SOPRA, HITLER PARLA AL PARLAMENTO IL 18 MARZO 1938 5 Wilhelmstrasse 4 UNA DELLE PRINCIPALI STRADE DEL CENTRO DI BERLINO DOVE FINO ALLA FINE DELLA GUERRA AVEVANO SEDE I MINISTERI PIÙ IMPORTANTI E LA CANCELLERIA DEL REICH. DEVASTATA NEL CORSO DELLA BATTAGLIA PER LA CITTÀ E AI TEMPI DELLA DDR, TAGLIATA IN DUE DAL MURO NEL 1961, È STATA RICOSTRUITA DOPO LA RIUNIFICAZIONE. NELLA FOTO IN ALTO, LA FOLLA DÀ IL BENVENUTO A HITLER DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE REICHSTAG WILHELMSTRASSE 5 6 BUNKER 7 TOPOGRAPHIE DES TERRORS 6 Bunker A HITLER NON PIACEVA L’ARCHITETTURA ROCOCÒ DELLA VECCHIA CANCELLERIA NEL PALAZZO RADZIWILL. INCARICÒ NEL 1938 ALBERT SPEER DI COSTRUIRE UN NUOVO EDIFICIO. I LAVORI FURONO ULTIMATI IN TEMPI RECORD GRAZIE A MIGLIAIA DI SCHIAVI. NEI SOTTERRANEI E NEL GIARDINO VENNE EDIFICATO IL BUNKER IN CUI IL FÜHRER SI SUICIDÒ. NELLE FOTO, LA CANCELLERIA DISTRUTTA NEL 1945 E, SOTTO, IL PARCO GIOCHI DOVE OGGI UNA BACHECA SEGNALA L’IMPORTANZA STORICA DEL LUOGO 8 TEMPELHOF 7 Gestapo LÀ DOVE C’ERA LA SEDE DELLA POLIZIA SEGRETA NAZISTA, NELLA EX PRINZ ALBRECHTSTRASSE (FOTO IN ALTO, 1945), OGGI SORGE “TOPOGRAPHIE DES TERRORS”, SPAZIO ESPOSITIVO CON MOSTRA PERMANENTE IN CUI LO SPETTATORE SEGUE L’EVOLUZIONE DEL REGNO DEL TERRORE: DALLE FOTO DI HITLER ACCLAMATO DALLA FOLLA NEL 1933 AI PROCESSI AI CRIMINALI NAZISTI stente. Allargò l’asse Est Ovest, la strada che da Mosca porta a Parigi e che ora si chiama Strasse des 17 Juni in ricordo della rivolta del 1953 a Berlino Est. Vi portò la statua della vittoria alata e la issò altissima al centro di una rotonda. Oggi, vi sciamano orde di turisti tra bancarelle di souvenir. In direzione Ovest dell’asse c’è l’Olympiastadion, costruito da Werner March. Qui, in una struttura di dimensioni faraoniche, e con rimandi a simbologia esoterica, in pietra marrone scuro, sovrastata da un’alta torre simbolo dell’orgoglio nazionalsocialista, Hitler nel 1936 festeggiò il (provvisorio) trionfo della sua estetica, con la regia di Leni Riefenstahl. Il balcone da cui il Führer si mostrava al mondo è stato demolito per ordine dei britannici. Lo stadio venne ristrutturato per i mondiali di calcio del 2006, che l’Italia vinse battendo la Francia proprio su quell’erba e oggi nella postmoderna struttura gioca l’Hertha Berlin, una squadra con una delle tifoserie più miti e politicamente corrette del pianeta. Del complesso fa parte la Waldbühne, un teatro all’aperto con all’ingresso bassi rilievi nazisti, visibilmente non restaurati. Questo luogo da alcuni anni è il prediletto dal direttore d’orchestra ebreo e pacifista Daniel Barenboim. Tempelhof, nelle intenzioni di Hitler, entu- siasta degli aerei e dell’aviazione e che da qui partiva e tornava dai suoi viaggi, doveva essere l’aeroporto più grande del mondo. Le piste dell’atterraggio sono oggi un gigantesco parco cittadino. L’edificio, invece, enorme, in pietra calcarea gialla, con strette e alte finestre che danno a tutto il complesso l’aria di un luogo verticale e marziale, ospita fiere, congressi, ma anche un night club, “La vie en rose”, dove tra i vari “amusement” (a Berlino adorano le parole francesi) c’è un “travestie show”. A pochi metri dall’ingresso di questo paradiso di trasgressione alcune targhe piccolissime, bianche e nere, in metallo, ricordano i lavoratori forzati, gli schiavi del Reich che qui hanno patito indicibili sofferenze. Il regno dell’indicibile vero è però Wannsee, un luogo in cui Hitler non c’era, ma dove il suo spettro è sempre stato presente ed è più vivo che mai. Il paesino, in cui nel gennaio 1942 si riunirono sotto la direzione di Reinhard Heydrich quindici burocrati di vari ministeri per coordinare “la soluzione finale del problema ebraico”, sembra una specie di Walhalla: villette tra i boschi, piccole pensioni sulla sponda dell’incantevole lago. Una di queste, Sanssouci, è accanto alla villa dove si svolse la conferenza. Sanssouci vanta una Sonnenterasse (terrazza per fare bagni di sole) e organizza feste di matrimonio. Nel menù: tortellini al tartufo e scampi. Nella villa adiacente che apparteneva alle SS, durante la conferenza ci fu pure un sontuoso buffet, con ottimi vini e cognac. Quella riunione è stata ricostruita, ma con troppi colpi di scena alla maniera di Hollywood, in un film con l’istrionico Kenneth Branagh nel ruolo di Heydrich. Dopo la guerra, l’edificio venne adibito a scuola. In seguito, un superstite di Auschwitz, Joseph Wulff, ebbe l’idea di trasformarlo in museo. Le resistenze furono molte e Wulff si suicidò. Oggi, con orgoglio, il direttore didattico Wolf Kaiser racconta di oltre centomila studenti che lo visitano ogni anno e mostra la biblioteca intitolata a Wulff, appunto. Negli ampi saloni ci sono pannelli con tante foto e tante scritte: raccontano la sorte degli ebrei. In uno di questi si intravede, tra i soldati della Wehrmacht, la faccia sconvolta di Leni Riefenstahl. Era il 12 settembre 1939 a Konskie, in Polonia. I militari tedeschi avevano appena fucilato ventidue ebrei. Lei protestò con il comandante, un generale dall’altisonante nome prussiano. Venne allontanata dal fronte, ma perdonata da Hitler. Poi la macchina dello sterminio si mise in moto. © RIPRODUZIONE RISERVATA LA DOMENICA la Repubblica DOMENICA 25 GENNAIO 2015 30 L’officina. Punti di vista “Questo dilatato senso di larghezza e lateralità invita a immaginare (come succede da bambini) una moltitudine di orizzonti alternativi” Prima lo sguardo e poi la parola SEB AST IA NO T R IUL ZI S E DAVVERO ESISTE UNA MALATTIA dell’occhio occidentale, John Berger ne è ancora oggi, a ottantotto anni, uno dei più fieri avversari. L’atto dello sguardo, che secondo lui viene prima dell’atto di parola, possiede un valore laicamente miracoloso: aiuta a dare un senso all’esperienza, svela la presenza di problematiche irrisolte, nella vita come nell’arte, offre la possibilità di interrogare la realtà, di rappresentarla, a patto che l’attenzione sia desta, a patto di fuggire a gambe levate dai luoghi comuni. I suoi libri sono incentrati sul senso della vista (talvolta fin dal titolo: Questione di sguardi, Fotocopie, Sul disegnare), narrano le immagini, dai capolavori alle opere dimenticate alle pubblicità ai luoghi visitati, precipitandole in un confronto continuo con la vita quotidiana. Così è anche per Cataratta, libricino in cui riporta i suoi pensieri dopo un intervento chirurgico agli occhi: si opera il sinistro lasciando passare un anno prima di intervenire sul destro, proprio per capire come cambia la visione e raffrontare sguardo nuovo, incontaminato, e quello corrotto. Lo accompagna in questa esplorazione del corpo, il tratto interrogativo, sorridente, leggero del disegnatore Selçuk Demirel. Berger annota che si sono potenziate lateralità, distanza, profondità, e soprattutto si lascia sommergere dalla luce, «dal carattere di primità» che trasmette: è l’intimità dei colori che cambia, come se volesse ritrovare la prima apertura sul mondo. L’operazione alla cataratta si trasforma così «in una rinascita visiva», il dolore in un’occasione di conoscenza; e forse con emozione Berger ritorna al bianco della cucina bianca della sua infanzia, superando le amnesie cui è soggetta la vista da adulti: un’epifania del colore colto da bambino, che si contrappone ai colori assuefatti dalla cataratta, simbolo dello sguardo sporcato dalla consapevolezza, e cioè grata, prigione che chiude in te stesso la visione. Per cui, alla fine, è un po’ come specchiarsi nel proprio occhio invece che nel mondo. John Berger Ci vuoleocchio © RIPRODUZIONE RISERVATA la Repubblica DOMENICA 25 GENNAIO 2015 “Sono acutamente consapevole di come tutto sia circondato dalla luce. Mentre i pesci vivono e nuotano nell’acqua, noi viviamo e ci muoviamo nella luce” 31 “Per me la nuova visibilità non è soltanto un dono, ma una conquista. La vittoria dei medici e degli infermieri nonché, in misura minore, del mio stesso corpo” JOHN BERGER Q UALCHE APPUNTO DOPO UN’ASPORTAZIONE DI CATARATTA DALL’OCCHIO SINISTRO. “Cataratta”, dal greco kataraktes, cascata o inferriata, un’ostruzione che discende dall’alto. Rimozione della grata che sbarrava l’occhio sinistro. Sull’occhio destro la cataratta resta al suo posto. Mi diverto a guardare un oggetto chiudendo prima l’occhio sinistro, quindi il destro. Le due visioni sono nettamente diverse. Definire la (le) differenza (e). Con il solo occhio destro pare tutto usurato, con il solo occhio sinistro pare tutto nuovo. Non vuol dire che l’oggetto osservato dimostri un’età diversa; i segni relativi alla sua età o alla sua freschezza restano gli stessi. Quel che cambia è la luce che cade su di esso e ne è riflessa. È la luce a ringiovanirlo o, quando diminuisce, a invecchiarlo. Un’altra differenza tra la visione dei due occhi riguarda la distanza. L’inferriata si chiude. Con l’occhio sinistro posso avventurarmi all’esterno e la distanza aumenta in due modi. Vedo più lontano e, nello stesso tempo, ogni misura di distanza si estende: un chilometro diventa più lungo, e così un centimetro. Divento più cosciente dell’aria, dello spazio tra le cose, perché quello spazio è pieno di luce come un bicchiere può essere pieno d’acqua. Con la cataratta, ovunque ci si trovi, si è, in un certo senso, in interni. La mia accresciuta percezione dello spazio fa sì che il mio senso della lateralità — di quel che accade da sinistra a destra, di quel che è parallelo all’orizzonte — sia potenziato. Ho mag- IL LIBRO IL TESTO DI JOHN BERGER E I DISEGNI DI SELÇUK DEMIREL SONO TRATTI DA “CATARATTA” IN LIBRERIA DA MERCOLEDÌ (GALLUCCI, 70 PAGINE, 12,50 EURO, TRADUZIONE DI MARIA NADOTTI) gior coscienza di quel che mi passa davanti, rispetto a quel che viene verso di me. Mentre la distanza diventa più lunga, la larghezza si fa più ampia. 30 maggio. Cielo insolitamente blu, da tutti i punti di vista, sopra Parigi. Alzo gli occhi verso il pino e ho l’impressione che i piccoli frammenti frattali di cielo che vedo tra i ciuffi di aghi siano i fiori blu dell’albero, del colore del delphinium. Domani saranno trascorse tre settimane dall’intervento. Se provassi a riassumere l’esperienza che ha trasformato il mio modo di guardare, direi che è come trovarsi d’un tratto in una scena dipinta da Vermeer. Per esempio La lattaia (Rijksmuseum, Amsterdam). Osservi gli oggetti e il pane sul tavolo su cui è posata una ciotola; la fanciulla versa il latte da un bricco, e la superficie di tutto quel che guardi è coperta da una rugiada di luce… QUALCHE ALTRO APPUNTO DOPO L’OPERAZIONE ALL’OCCHIO DESTRO (26 MARZO 2010), LA CUI CATARATTA ERA PIÙ RIGIDA E OPACA. Questa volta l’afflusso di luce è meno specifico e più generalizzato. Non è tanto che le cose mi appaiano illuminate meglio, quanto piuttosto che sono acutamente consapevole di come tutto sia circondato dalla luce. L’elemento aria è diventato l’elemento luce. Mentre i pesci vivono e nuotano nell’acqua, noi viviamo e ci muoviamo nella luce. L’asportazione di una cataratta è paragonabile alla rimozione di una particolare forma di smemoratezza. I vostri occhi cominciano a riricordare le prime volte. Ecco perché quel che sperimentano dopo l’intervento somiglia a una specie di rinascita visiva. Facciamo chiarezza sulle implicazioni di quel che sto dicendo. Va da sé che, finita l’infanzia, per vari decenni ho visto fogli di carta bianca bianchi come questo. A poco a poco, però, il biancore si è smorzato senza che me ne accorgessi. Perciò quel che chiamavo carta bianca cambiava, diventava più spento. Questo pomeriggio non sono io a rendermene conto con l’intelligenza: è il biancore del foglio a precipitare incontro ai miei occhi, e sono i miei occhi ad abbracciarlo come si fa con un amico che non si vede da molto tempo. Quando si apre un dizionario per consultarlo, si ritrova o si scopre per la prima volta la precisione di una parola. Non soltanto la precisione di ciò che quella parola denota, ma anche il posto preciso che essa occupa nella varietà della lingua. Adesso che mi sono state asportate entrambe le cataratte, quel che vedo con i miei occhi somiglia a un dizionario che posso consultare riguardo alla precisione delle cose. Riguardo alla cosa in sé, e anche al suo posto fra le altre cose. La familiare eterogeneità dell’esistente è meravigliosamente tornata. I due occhi, tolta di mezzo l’inferriata, non si stancano di registrare la continua sorpresa. (Traduzione di Maria Nadotti) © RIPRODUZIONE RISERVATA Un banale intervento chirurgico diventa occasione di conoscenza se chi lo ha affrontato è uno scrittore e critico d’arte particolarmente attento a ciò che vede. Eccoil suo diario di un’operazione alla cataratta LA DOMENICA la Repubblica DOMENICA 25 GENNAIO 2015 32 Spettacoli. Fuori dal coro Ha ormai vent’anni la band italiana più talentuosa e meno conosciuta (ma soltanto dagli over quaranta) Viene dalle valli bergamasche e suona dodici ore al giorno in un pollaio Sforna cd solo quando si sente pronta: ora LU CA V A LT O RTA ROMA H OTEL VICINO ALLA STAZIONE TERMINI. Alberto, voce, chitarra e innumerevoli altri strumenti tra cui il pianoforte, davanti a una tazza di doppio caffè nero all’americana. Nora, la sua compagna, capelli decolorati praticamente bianchi e molti tatuaggi “indielike”. Alberto gioca con lo zucchero, Nora torna in camera: «Nora guarda che ho fatto un casino con la caffettiera, non so: è un po’ esplosa, c’è caffè dappertutto, non ho mica capito come funziona...». Vabbé, e gli altri? «Arriveranno». Quando non si sa. Sono passati quattro anni dall’uscita del loro ultimo album, Wow, altri quattro dal precedente Requiem. Chi ha più di quarant’anni forse non li ha mai neppure sentiti nominare i Verdena, probabilmente la più grande speranza della musica italiana oggi. Lo sono diventati fregandosene di qualsiasi regola legata al cosiddetto show business e portando la loro casa discografica sull’orlo di una crisi di nervi. Wow era un cd doppio considerato dalla Universal «un suicidio commerciale». «Ci dicevano: dopo Il suicidio del samurai, che era un nostro disco del 2004, adesso avete deciso di suicidarvi voi». Contro qualsiasi legge di mercato, invece, Wow debutta al secondo posto in classifica e viene salutato dalla critica e dal pubblico, per una volta compatti, come un capolavoro, tanto che alla fine dell’anno è al primo posto ovunque. Segue tournée trionfale: in un periodo in cui molte band faticano a riempire i club, i Verdena fanno ovunque il tutto esaurito. Poi, dopo un anno di live, basta: «Ci sarebbe sembrato di stancare la gente a farne di più», e tornano in studio. Lì inizia il «solito delirio». I Verdena vengono da Abbazia, provincia di Bergamo, lontano dal mondo. Lì hanno ricavato uno studio da un pollaio e l’hanno chiamato con un nome inglese dallo stesso significato “Henhouse”. Intanto, finalmente è arrivata anche Roberta. Suona principalmente il basso ma anche pianoforte, tastiere e altro. Come vi siete conosciuti? «Nel 1996 sono andata a vedere un loro concerto quando ancora si chiamavano Verbena. Avevo visto in giro un volantino con su scritto: “Verbena” e tra parentesi “(punk)”. Suonavano in un posto gigante. C’erano cinque persone. Ma erano bravissimi. L’incontro tra di noi non è stato molto positivo perché ero andata subito a rompere le palle dicendo che, secondo me, non erano per niente punk». Roberta SamI DISCHI marelli suonava con un gruppo femminile, IN SENSO ORARIO: le Porno Nuns (“pornosuore”, in pieno stile LA COPERTINA DELL’ALBUM riot grrrls, il movimento femminista del pe“REQUIEM”, DEL 2007. IL DOPPIO riodo grunge con band come Bikini Kill o le CD “WOW” DEL 2011, Hole di Courtney Love, compagna di Kurt CONSIDERATO DA CRITICA Cobain dei Nirvana). Gli altri Verdena sono E PUBBLICO IL CAPOLAVORO due fratelli: Alberto e Luca Ferrari. Alberto è DELLA BAND E, INFINE, il cantante ma è anche un multistrumenti“ENDKADENZ”, IL VOLUME sta e di fatto l’implacabile (soprattutto verUNO DI DUE ALBUM GEMELLI. so se stesso), ossessivo, geniale produttore IL SECONDO USCIRÀ e custode del suono del gruppo. Luca è il batALL’INIZIO DELL’ESTATE terista ma anche l’autore di disegni e colla- IL PAESE ABBAZIA DI ALBINO (BERGAMO), BADÉA IN DIALETTO, È IL PAESE IN CUI SI TROVA LO STUDIO DI REGISTRAZIONE DEI VERDENA ge spesso utilizzati per le copertine e gli album: è una persona timida e gentile che ama vivere lontano dal mondo in una casa tra le montagne. Quando si è rotto il riscaldamento non l’ha aggiustato. E nelle valli fa freddo. Una delle sue passioni, nei pochi momenti in cui non suona, è andare a funghi. Sa quali scegliere. Ancora Roberta: «Il basso ho iniziato a suonarlo per caso quando loro hanno mandato a casa il vecchio bassista perché non si era presentato a una prova». Alberto: «Il gruppo l’abbiamo creato io e mio fratello nel 1995. Da sempre siamo stati intransigenti: se qualcuno mancava a una prova era fuori perché voleva dire che non c’era la passione». Roberta: «A quel punto il nostro scopo era fare più concerti possibile perché era l’unico modo per farci conoscere. Abbiamo partecipato a un concorso di band, anche se non ci piacevano i concorsi. Nella giuria c’era quello che sarebbe poi diventato il nostro manager che adesso abbiamo lasciato. Due mesi dopo abbiamo registrato un demo a spese nostre, trecento copie. In due giorni abbiamo messo giù dodici pezzi. Con quello il manager ha bussato alle case discografiche. Alla Universal il demo è piaciuto, sono venuti a vederci suonare e poi ci hanno fatto un contratto. Era il 1997». Chi è il vostro manager adesso? «Io» dice Roberta. «Ma non è un vero lavoro perché mica vengo pagata». Un raggio di sole illumina il tavolino. «Certo che Roma è bellissima», dice Alberto. «Non venivamo qui da un bel po’ e ieri sera quando siamo arrivati, ci siamo rimasti: lungo la strada per venire in albergo c’era una piazza piena di gente che dormiva per terra». L’Italia di questo periodo. Non a caso il vostro nuovo disco si chiama Endkadenz, che suona come “in decadenza”. A Bergamo la crisi è meno forte? «Mah forse la gente ha ancora un po’ di soldi, e no, non c’è questa situazione, magari è più facile trovare l’imprenditore che si suicida». Luca (nel frattempo è arrivato), jeans e capelli lunghi, come nel primo periodo di Kurt Cobain: «Mi fa sentire male stare in un hotel e parlare di musica quando la gente non ha i soldi per mangiare. Comunque per me va bene se nel titolo del disco qualcuno ci vede questo senso di decadenza ma in realtà l’album è ispirato a un’altra cosa». Alberto: «È assurdo vedere la gente per terra. Mi viene in mente una frase di John Lennon che dice: “Ciascuno dovrebbe avere una casa”. Vabbé anche noi non è che abbiamo tutti questi soldi. Con il tempo che sono durate le registrazioni abbiamo finito tutto quello che avevamo guadagnato col tour». Roberta: «Abbiamo pagato il treno con la carta di credito perché contanti in cassa non ce ne sono più». Per il disco precedente era stata costretta a un certo punto a fare la cameriera in un ristorante: «Avevamo debiti con tutti, ma li abbiamo ripagati appena abbiamo iniziato a fare concerti». Anche questa volta la preparazione del disco è stata un’impresa mostruosa. Alberto: «Un anno di jam in cui suonavamo a caso dalle sette alle dodici ore al giorno. Io poi di notte riascoltavo e scremavo, fino a che ho mes- Chiedi chi sono iVerdena “Se facciamo pochi dischi è per non rompere troppo le balle” I TESTI PER ALBERTO CHE NE È L’AUTORE HANNO UN SIGNIFICATO COMPIUTO. IN REALTÀ SONO SUGGESTIONI CHE NASCONO COME SEMPLICE SUONO la Repubblica DOMENICA 25 GENNAIO 2015 LA BAND LO STUDIO LE ICONE DA SINISTRA: ALBERTO FERRARI È VOCE, CHITARRA E PRODUTTORE SUO FRATELLO LUCA È ALLA BATTERIA, ROBERTA SAMMARELLI AL BASSO “HENHOUSE” LETTERALMENTE SIGNIFICA “POLLAIO”: È IL LUOGO DOVE I VERDENA SI SOTTOPONGONO A QUOTIDIANE, INFINITE JAM SESSION GLI ISPIRATORI DELLA BAND BERGAMASCA SONO ASSAI DIVERSI: DAI BEATLES AL PUNK PIÙ ESTREMO, DAI BEACH BOYS AI NIRVANA 33 so insieme dodici cd da trenta pezzi l’uno». E una canzone vera e propria come nasce? «Prendiamo i cd e risuoniamo i pezzi e vediamo se da lì si sviluppa qualcosa, cosa possiamo tenere e cosa no. Poi arriva la parte più cervellotica, quella delle sovraincisioni in cui devi essere molto preciso. Anche per questo lavoro è andato via un anno». Ma tu conosci la musica? «No». Però suoni anche il piano? «Io non so suonare il piano. Faccio tutto a orecchio». Come hai scoperto la musica? «A sei anni ho visto Ritorno al futuro e alla fine c’era una jam session. Mi piaceva da matti quella cosa lì. Poi c’era mio zio che faceva free jazz e suonava un piano tutto scordato, che mi ha passato una cassetta dei Beatles: per sei anni ho ascoltato solo loro, non me ne fregava niente di altro, in casa mi odiavano tutti. Un giorno ho comprato un metodo di chitarra in edicola e così ho imparato gli accordi: “che figata, si possono mischiare!”. Poi c’è stato il punk: il gruppo preferito di nostro zio erano i Germs e io e Luca quando ascoltavamo questo pezzo, No God, andavamo fuori di testa: urlavamo, ci picchiavamo». Quando funziona una canzone? «Quando c’è il testo in italiano. Una volta che il pezzo è pronto musicalmente ragiono solo seguendo il suono, poi è una cosa inspiegabile le parole vengono: ci può volere un giorno o un mese. In questo disco le linee vocali sono molto ritmiche, il che ha reso le cose complicatissime». I vostri testi sono molto particolari... Alberto: «Io so di cosa parlano i miei testi. Non hanno diversi significati, come pensa qualcuno. Io non vorrei dar fastidio alla musica con un concetto troppo forte. Ma non vorrei nemmeno essere troppo poco fastidioso da non essere forte nel testo». L’altra volta un doppio cd, questa volta due album, uno che esce martedì, l’altro invece all’inizio dell’estate. Perché? Alberto: «Non volevamo rompere le palle. A parte che la casa discografica ci ha detto che oggi, vista la crisi i doppi cd non li fanno più. Questa volta i dischi durano centoventi minuti in tutto, quaranta in più di Wow». Roberta: «Un po’ come per il mio regista preferito, Lars Von Trier con Nymphomaniac: se avesse fatto un solo film sarebbe stato un po’ pesantino credo. Lui è molto simile a noi». In che senso? Roberta: «Fa solo le cose che vuole lui». Alla fine, possiamo rivelare il vero significato di Endkadenz? Luca: «Alberto e Roberta mi hanno regalato un libro con tutti i tipi di percussioni del mondo. Mi è caduto l’occhio su un compositore, Mauricio Kagel, un pazzo che voleva dare un effetto teatrale alle sue performance obbligando il percussionista a infilarsi con tutto il busto nel timpano e rimanerci dentro alcuni minuti. È la “cadenza finale”, l’ultimo “colpo”. Ci piaceva l’idea che il nostro disco fosse questo: il colpo finale del concerto». Mentre se ne vanno Alberto sfrega le braccia lungo il bancone bianco luccicante al centro del bar dell’hotel saltellando ed emettendo qualche strano suono, quasi come se una lieve Tourette lo obbligasse a farlo. «Non ho dormito niente per finire il disco e la settimana scorsa mi è anche venuto via un dente». Nella hall di sotto Luca e Roberta si sono appollaiati su modernissimi divani di design sfogliando riviste, mentre eleganti businessmen passano accanto guardandoli con una certa curiosità. La visione in effetti è strana e, non so perché, mi sembra che sappia di libertà. © RIPRODUZIONE RISERVATA I TESTI LA SEQUENZA IL LIBRETTO ECCO COME NASCE UN TESTO DEI VERDENA: IN “HO UNA FISSA” CHE APRE IL NUOVO ALBUM “SIMULA UN’IDEA” DIVENTA “STIPULA” I BRANI HANNO NOMI DI PROVA CHE CAMBIANO NEL TEMPO. ANCHE LA SEQUENZA È IL RISULTATO DI UN LUNGO LAVORO DI ASCOLTO PARTICOLARE CURA SEMPRE ANCHE NEL LIBRETTO E NELLA COPERTINA: “PER SCEGLIERLA DEVE ANDARE BENE PER TUTTI I BRANI” LA DOMENICA la Repubblica DOMENICA 25 GENNAIO 2015 34 Next. In laboratorio Eureka 2015 Spugne che scelgono cosa assorbire,geni su misura, pianeti nani MAR CO CATTANEO L’ INCONTRO DI ROSETTA con la cometa e i robot cooperativi, l’origine degli uccelli e l’elisir di eterna giovinezza. Ma anche microchip che simulano il cervello, metodi per estendere l’alfabeto della vita aggiungendo nuove basi al Dna, cellule che potrebbero curare il diabete, immunoterapia del cancro e lotta all’Ebola. Come ogni anno, le principali riviste scientifiche hanno da poco stilato le loro classifiche delle scoperte più sensazionali del 2014, e già si rincorrono le previsioni su quali saranno le novità dell’anno appena iniziato. C’è chi punta sulla maturazione di nuove tecnologie basate sul grafene, una forma di carbonio costituita da strati dello spessore di un solo atomo. E chi invece è pronto a scommettere che con la riaccensione di Lhc, il grande collisore del Cern, potrebbero esserci sorprese sul fronte dell’enigmatica materia oscura, per esempio, che costituisce l’85 per cento della 20,5 miliardi di euro È LA SPESA PER LA RICERCA SCIENTIFICA IN ITALIA NEL 2012, PARI ALL’1,26 PER CENTO DEL PIL: RISPETTO ALL’ANNO PRECEDENTE È AUMENTATA SIA IN TERMINI REALI (+1,9 PER CENTO) CHE NOMINALI (+3,5 PER CENTO), MA È SEMPRE SOTTO LA MEDIA UE, DOVE SI INVESTE OLTRE IL 2 PER CENTO DEL PIL ROBERTO BATTISTON PRESIDENTE DELL’AGENZIA SPAZIALE ITALIANA Astrofisica Nanotecnologie Epidemiologia M di nuovi materiali pensiamo ai materiali superleggeri per i trasporti, allo sviluppo di contatti nanostrutturati per batterie di altissima capacità e basso peso, allo sviluppo di catalisi per applicazioni ambientali ed energetiche. Un settore in crescita è quello dei materiali ecosostenibili, come plastiche biodegradabili e materiali biocompatibili con proprietà multifunzionali: spugne che scelgono che cosa assorbire, catalizzatori in grado di eliminare gas nocivi dai carburanti ecologici, carta che diventa antibatterica o idrorepellente per applicazioni sanitarie o di imballaggio dei cibi. Infine, una possibile rivoluzione dietro l’angolo include genomica computazionale e sperimentale, sviluppo di tessuti artificiali sempre più simili a quelli naturali e studio di nanoparticelle in grado di identificare una mutazione a livello molecolare per la diagnostica super precoce e a bassissimo costo, e di trasportare nelle cellule malate dosi infinitesime di medicinali per terapie selettive e personalizzate. Q EPIDEMIA DI EBOLA apparsa in Africa occidentale nel 2014 è solo l’ultima delle epidemie virali che destano allarme sociale. Finora ha infettato più di ventimila persone e ne ha uccise oltre ottomila, numeri destinati ad aumentare. Secondo l’ultima stima, prodotta dalla Columbia University lo scorso 31 dicembre, continuerà a crescere, anche se più lentamente, nei prossimi tre mesi. Per bloccarla occorre un’azione coordinata, con l’identificazione certa dei casi, l’isolamento dei pazienti, la raccolta sistematica dei dati, l’informazione della popolazione, la formazione degli operatori sanitari, un’adeguata gestione clinica. Nel 2015 continueranno gli studi su patogenesi e modalità di trasmissione, finora poco chiare, e procederà la valutazione delle centinaia di farmaci candidati. Secondo la Banca Mondiale, Ebola potrebbe costare fino a 32,6 miliardi di dollari entro la fine del 2015, e per questo bisogna creare un team internazionale di esperti in malattie infettive in grado di operare anche in aree della logistica e di evacuazioni mediche. il centenario della relatività generale di Einstein, sarà lanciato in orbita il satellite Lisa Pathfinder (finanziato da Asi e Istituto nazionale di fisica nucleare e guidato da un italiano, Stefano Vitale, dell’Università di Trento), uno strumento che dovrà testare le tecnologie alla base dell’interferometro Lisa, destinato alla misura delle onde gravitazionali nello Spazio. E nei primi mesi dell’anno i dati rilevati dal satellite Planck, dell’Esa, permetteranno di verificare i risultati dell’esperimento Biceps2 sulle onde gravitazionali primordiali, ma soprattutto di ricostruire una mappa dettagliata dell’universo nei primi istanti di vita. Ma il 2015 sarà soprattutto l’anno dei pianeti nani. Il 6 marzo la sonda Dawn, della Nasa, arriverà nell’orbita di Cerere, il corpo più voluminoso della fascia degli asteroidi. Il 14 luglio, invece, New Horizon, sempre della Nasa, lanciata nel 2006, raggiungerà Plutone, per studiare la geologia e la morfologia del pianeta e del suo satellite Caronte. ENTRE SI CELEBRA ROBERTO CINGOLANI DIRETTORE SCIENTIFICO DELL’ISTITUTO ITALIANO DI TECNOLOGIA L’ UANDO PARLIAMO DI SVILUPPO GIUSEPPE IPPOLITO DIRETTORE SCIENTIFICO DELL’ISTITUTO NAZIONALE PER MALATTIE INFETTIVE SPALLANZANI la Repubblica DOMENICA 25 GENNAIO 2015 DONATELLA SPANO PRESIDENTE DELLA SOCIETÀ ITALIANA PER LE SCIENZE DEL CLIMA Sei scienziati italiani ci raccontano le scoperte dell’anno massa dell’universo. E chi pensa invece che potrebbero cominciare a dare qualche frutto i grandi investimenti di Europa e Stati Uniti nello Human Brain Project e nella Brain Initiative, i due programmi decennali per lo studio del cervello avviati all’inizio del 2013. Secondo Nature, che ha azzardato una lista di temi caldi per il 2015, potrebbero arrivare sul mercato nuovi farmaci anti-colesterolo, anche considerati i risultati positivi dei trial clinici condotti quest’anno. Ma potrebbero esserci scoperte rivoluzionarie anche nel campo della paleoantropologia. Se si dovesse riuscire a sequenziare il genoma completo di un esemplare di Homo sapiens di quattrocentomila anni fa, proveniente dal sito spagnolo di Sima de los Huesos, si chiarirebbero i legami evolutivi tra i nostri antenati, l’uomo di Neanderthal e un altro enigmatico gruppo umano, i denisoviani, scoperto solo pochi anni fa. Per ricordare una cautela che molti attribuiscono al grande fisico danese Niels Bohr, «è difficile fare previsioni, soprattutto sul futuro». Tuttavia abbiamo chiesto ad alcuni dei più celebri scienziati italiani di raccontarci che cosa si aspettano da sei settori di ricerca in particolare fermento, alcuni dei quali erano già stati sotto i riflettori lo scorso anno. Ecco il quadro che ne è uscito. © RIPRODUZIONE RISERVATA Medicina N ALBERTO MANTOVANI DIRETTORE SCIENTIFICO DELL’ISTITUTO HUMANITAS E DOCENTE ALL’HUMANITAS UNIVERSITY EGLI ULTIMI ANNI le armi del sistema immunitario si sono affiancate alle terapie tradizionali nella lotta al cancro. Gli anticorpi, innanzitutto, hanno cambiato la storia dei linfomi e di tumori solidi come mammella e polmone. Tra i nuovi farmaci in sperimentazione, uno su tre è un anticorpo, e la nuova frontiera è coniugare agli anticorpi i chemioterapici, veicolandoli contro il cancro e riducendone la tossicità sui tessuti sani. Ancora, sono in fase di sviluppo metodi mirati a togliere alle nostre difese i “freni molecolari” che il tumore attiva. E stanno muovendo i primi passi in clinica farmaci e anticorpi che bloccano componenti del sistema immunitario che aiutano il cancro. Grandi speranze, poi, sono legate alle terapie cellulari, che già danno risultati incoraggianti nei tumori ematologici: oggi possiamo prelevare cellule del sistema immunitario, farle crescere, educarle e poi reinfonderle nei pazienti. Infine, abbiamo imparato a usare i vaccini: quelli preventivi sono già realtà, quelli terapeutici una speranza su cui si lavora in tutto il mondo. 35 Clima Genetica N E NUOVE CONOSCENZE riguarderanno probabilmente il ruolo regolativo dei microRna, piccole molecole di Rna non più lunghe di 20-22 nucleotidi. Per essi scopriamo sempre nuove funzioni e nuove implicazioni nei fenomeni biologici più diversi. Saranno i protagonisti della biologia del prossimo futuro. Sono anche in corso molti studi sulla genetica delle malattie ereditarie a carattere complesso, come la schizofrenia o l’autismo. Sono studi che necessitano la collaborazione di più laboratori, perché occorre analizzare migliaia di casi, procedendo “alla cieca”: si analizza il genoma dei pazienti e lo si confronta con quello di parenti sani, una forma di “caccia ai geni” impossibile da attuare prima di oggi. Sul piano applicativo invece si moltiplicano i metodi per modificare i geni a piacimento. L’ultimo grido è la Crispr, una tecnica che sfrutta sequenze ripetute presenti nel genoma della nostra specie. Faremo geni su misura e cellule su misura; ma anche uomini e donne su misura? Non perdiamoci questo capitolo appassionante e allo stesso tempo inquietante. L EL 2015 CISIASPETTANO scelte politiche forti sulle emissioni di gas serra, anche in seguito agli accordi bilaterali tra Stati Uniti e Cina dello scorso anno. Scelte che dovrebbero arrivare con la Conferenza sul clima di Parigi che si aprirà il 30 novembre. A quell’appuntamento la scienza dovrà arrivare con nuovi modelli climatici che permettano di avere informazioni locali e dettagliate. Senza trascurare i modelli globali, sono necessarie analisi sul piano locale, perché l’impatto del cambiamento climatico è molto diverso da regione a regione. E questi modelli dovranno permettere di valutare non solo le conseguenze ambientali, ma anche quelle socioeconomiche dei mutamenti in atto. Dal punto di vista scientifico, l’attenzione sarà puntata sullo studio delle aree più fragili, come l’Artico, le regioni costiere, le barriere coralline. Ma occorrerà concentrarsi anche sull’incremento degli eventi meteorologici estremi, di cui fino a oggi molti modelli climatici non riuscivano a tenere conto. EDOARDO BONCINELLI GENETISTA E RICERCATORE LA DOMENICA la Repubblica DOMENICA 25 GENNAIO 2015 36 Sapori. Per gastronauti UN SECOLO ESATTO DOPO L’INVENZIONE RIVOLUZIONARIA DEL PYREX, CIOÈ IL VETRO BOROSILICATO DELLE PIROFILE, LA TECNOLOGIA OFFRE OGGI TANTI ALTRI STRUMENTI SOFISTICATI E GENIALI PER COTTURE SEMPRE PIÙ SORPRENDENTI. A SAPERLI USARE 8 utensili di precisione Coravin Ha un ago sottilissimo che perfora capsula e tappo insufflando argon (un gas naturale) e facendo defluire il vino. Il contenuto della bottiglia, senza ossigeno, si conserva intatto per anni L’appuntamento Si svolgerà dall’8 al 10 febbraio a Milano l’undicesima edizione di Identità Golose, congresso internazionale di cucina d’autore. Tra i temi, la cucina estrema declinata da alcuni tra i più creativi cuochi italiani e internazionali, come Paolo Lopriore e Daniel Burns Abbattitore domestico Nato sull’onda del rischio anisakis (parassita del pesce che muore sotto i -18° e sopra i 72°), surgela così rapidamente da formare micro-cristalli di ghiaccio, che non rovinano la consistenza della polpa Il festival Sifoni, essiccatori e cotture sottovuoto saranno protagonisti in cucina lunedì prossimo in occasione di “Tour-tlen il festival del tortellino” che ogni anno mette a confronto le ricette tradizionali e creative di otto tra i migliori chef della scena bolognese e modenese Caramellizzatore Metà cannello della fiamma ossidrica e metà pistola, caricato a gas butano, sprigiona una fiamma regolabile, ideale per caramellizzare la crème brûlée, scaldare, scottare le superfici di pesci e carni La cucina hi-tech. Addio vecchio mattarello tutto ilpotere a iGrill abbattitori emicroplane “U LICIA GRANELLO Il libro In doppia edizione, italiana e inglese, il primo libro di Massimo Bottura si intitola “Vieni in Italia con me”: racconta la storia e l’evoluzione del cuoco italiano che più di tutti ha saputo interpretare la cucina di territorio adattandola ai gusti del nuovo millennio iGrill Sincronizzato con la app dedicata, il termometro digitale connesso via Bluetooth permette di controllare le temperature di cottura direttamente dallo smartphone e di modificare eventualmente i gradi NA PYREX È PER SEMPRE”. Se esistono punti di non ritorno nella storia dell’evoluzione in cucina, uno è sicuramente fissato all’inizio del 1915, quando le primissime pirofile in vetro borosilicato furono immesse sul mercato. Un secolo dopo, la magia del vetro che resiste al freddo e al fuoco desta ancora un piccolo brivido. Negli anni, abbiamo imparato a leggere i libri sui tablet e a programmare intere serie televisive con un clic sullo smartphone. La tecnologizzazione di utensili e stoviglie ci affascina come l’affaccio su una nuova frontiera. Malgrado la crisi persistente, il successo di reality e tutorial televisivi ha trasformato i negozi di utensili da cucina — upgrade dei buoni, vecchi empori di casalinghi — in luoghi di culto gastronomico, dove spendere tempo e denaro per ispirarsi, vuoi in cimenti personali, vuoi in regali mirati. Il guaio è che abbiamo conservato la memoria degli attrezzi da cucina tradizionali, senza più saperli (o volerli) usare, ma ancora fatichiamo a la Repubblica DOMENICA 25 GENNAIO 2015 37 Così creai il gelato al fumo di sigaro JOAN R OCA M Big Green Egg Mini Il più piccolo dei barbecue in commercio (diametro interno di 25 centimetri) ha pareti e coperchio di ceramica e temperatura finemente regolabile. Può funzionare da grill, affumicatore o per cotture lente Bilancino digitale Un tempo solo ad appannaggio degli orafi, il bilancino che misura a partire da 0.01 grammi (fino a 100120 grammi) calcola le grammature minime di polveri addensanti per le ricette della nuova cucina Alla giusta temperatura Bistecca di manzo alla griglia cotta sul barbecue, con termometro per carne © RIPRODUZIONE RISERVATA Microplane Utilizza il sistema delle raspe da falegname, la grattugia speciale che polverizza o taglia a scaglie finissime — a seconda delle lame — regalando un effetto nuvola a tartufi, agrumi, noce moscata DISEGNI DI ANNALISA VARLOTTA maneggiare con disinvoltura i nuovi gioielli della tecnologia casalinga. Così, mandati in soffitta mattarelli e trinciapolli, guardiamo con ansia da prestazione culinaria i nuovi chef che soffiano, evaporano, essiccano, addensano come piccoli chimici cresciuti. Eppure, la gastro-tecnologia è un supporto straordinario per una cucina più buona, sana, diversa. Se la generazione dei cuochi cinquantenni è stata illuminata dalle intuizioni geniali di Ferran Adrià e Joan Roca, quella successiva cerca di trovare la sintesi tra sperimentazione e semplicità. Gusti netti, puliti, a volte anche inconsueti, estratti ed esaltati grazie ai nuovi strumenti. La ricerca ha spesso la faccia e il genio di artigiani con la passione del cibo addosso. Il veronese Paolo Schirò, da venticinque anni nel campo delle macchine per la cucina, ama le verdure. La bollitura le uccide, il vapore mitiga i danni, il microonde abbrevia i tempi di cottura, ma non entusiasma. La cottura sottovuoto è inapplicabile alle foglie (spinaci, erbette...) che ne escono snervate e malamente appiattite. La soluzione è una teglia in acciaio con coperchio, valvola per estrarre l’aria e termometro digitale. Tra i primi a credere nell’invenzione di Schirò, la famiglia Baudracco, storica proprietaria di una delle migliori gastronomie d’Italia (a Torino). I Baudracco provano, scoprono che i pesci riescono morbidissimi, gli arrosti succulenti, le verdure verdi e croccanti come appena colte, pur se cotte, con volume e consistenza intatti. I clienti, deliziati e stupiti, non capiscono come si possa ottenere una cottura tanto speciale. Nei prossimi mesi, la teglia con sottovuotatore Tecla verrà lanciata in formato domestico. Discorso analogo per il vino. I Ceretto, famiglia di barolisti illustri, hanno deciso di importare l’utensile ideato da Greg Lambrecht, ingegnere biomedico americano innamorato del vino. La gravidanza della moglie — costretta a limitare l’assunzione di alcol — l’aveva messo di fronte a un bivio: smettere di aprire le bottiglie migliori o lasciarle aperte a metà. L’idea di utilizzare un ago da endovena per forare il tappo senza danneggiarlo si è trasformata in un prototipo sperimentato su vini importanti, invecchiati. A distanza di cinque anni, nessuna differenza dal primo assaggio. E il Coravin è stato messo in produzione. Tempi duri per l’aceto fatto in casa. Piastra di sale Arriva dalle saline dell’Himalaya la mattonella rosa che una volta scaldata sul fuoco basso o in forno (200°C) cuoce senza bruciare e mantiene a lungo il calore. Ottima anche per servire il pesce crudo ALGRADO I MIEI FRATELLI E IO siamo nati e cresciuti in una famiglia di ristoratori molto tradizionali, negli ultimi anni abbiamo sviluppato tecniche che hanno rinnovato il Dna del nostro ristorante, dando al tempo stesso, credo, un contributo alla cucina contemporanea. Abbiamo impostato il nostro lavoro — Josep nel mondo del vino e dell’accoglienza, Jordi in pasticceria e io in cucina — affascinati dall’idea di inseguire il non evidente. Nascondere la tecnica per potenziare il sapore, come in un gioco di specchi. Abbiamo cominciato a studiare il sottovuoto nel 1997, sviluppando un termostato a immersione termica, il Roner, per il controllo della temperatura dell’acqua di cottura. In questo modo, si sono allungati i tempi e abbassati i gradi, attuando delle cotture lente e delicate. Quattro anni più tardi, è stata la volta di una macchina in grado di aspirare il fumo di un sigaro e insufflarlo nella gelatiera, per avere in bocca il sapore del fumo di un sigaro Avana. Il dolce in cui abbiamo messo in pratica questa tecnica, “Viaggio a L’Avana”, composto da un finto sigaro di cioccolato riempito con gelato mantecato al fumo, è uno dei dessert a cui siamo più legati. Un’altra tecnica che ci è molto cara è quella dello zucchero, soffiato e modellato come un vetro di Murano, colorato con l’aerografo e farcito con una mousse ricavata dalla polpa del frutto imitato, come l’albicocca. Nel 2005 abbiamo poi ideato il Rotaval, ovvero un distillatore sottovuoto a bassa temperatura, così da non bruciare gli aromi. Il piatto-simbolo di questa innovazione è l’ostrica con distillato di terra. L’ostrica è protagonista anche della texturizzazione dello spumante spagnolo, il Cava: una tecnica che permette di addensare il vino, facendone una salsa di accompagnamento, senza disperdere l’anidride carbonica al suo interno. Il vino abbiamo imparato anche a cuocerlo davanti ai nostri clienti, trasformandolo in vapore per profumare un determinato piatto. La nostra nuova sfida si chiama ora Tierra Animada: vogliamo distillare l’anima del nostro ambiente botanico — piante, foglie, fiori, steli e radici — elaborando oli essenziali, profumi e distillati. Per far questo, abbiamo inserito nella nostra squadra un botanico, due chimici e un alchimista. Il nostro intento è coinvolgere tutti i sensi di chi si siede ai nostri tavoli, dando piacere e facendo riflettere sulla meraviglia dei cibi che madre Natura ci mette a disposizione. (Traduzione di Luis E. Moriones) Joan Roca gestisce insieme ai fratelli “El Celler de Can Roca” di Girona, tre stelle Michelin e al secondo posto nella classifica “The World’s 50 Best Restaurants” © RIPRODUZIONE RISERVATA LA DOMENICA la Repubblica DOMENICA 25 GENNAIO 2015 38 L’incontro. Bestsellers NON BASTA DIRE: SCRIVERE MI DIVERTE SE IO DICESSI MIA MOGLIE MI PIACE DIREI LA COSA SBAGLIATA. LA FRASE GIUSTA È: AMO MIA MOGLIE COSÌ È ANCHE PER LA SCRITTURA. NON È IL DIVERTIMENTO LA MOLLA, È LA NECESSITÀ “Vengo da una famiglia del Galles molto religiosa. A quindici anni cominciai a cercare nei filosofi la risposta ai grandi interrogativi: esiste Dio? La Bibbia è vera? Durò poco, le risposte trovate mi hanno convinto a diventare ateo e laburista” racconta lo scrittore da centocinquanta milioni di copie vendute nel mondo. Che qui parla di welfare (“la ricetta? il sussidio di disoccupazione”), Obama (“è vero che i neri vengono ancora mo». Una professione di fede a tutti gli effetti, non c’è che dire. La parola “festrappa a Follett un sorriso. «Vengo da una famiglia molto religiosa e cominciai presto a discutere di religione con mio padre. A quindici anni ho ammazzati per strada da poli- de” cominciato a cercare nei filosofi la risposta alle grandi domande: esiste Dio? La Bibbia è vera? Grazie alla filosofia ho trovato una risposta importante: ateo. Non credo alla fede perché mi chiede di credere senza prove, e ziotti bianchi, ma almeno adesso sono io senza prove non credo a niente. Peraltro, ne I pilastri della Terra ho raccontato un prete profondamente animato da una vera fede. Padre Philip la cattedrale per la gloria di Dio. È il mio personaggio più riuscifanno notizia”) e generi letterari: costruisce to». Pausa. «Ironia», precisa, tanto per essere chiari. Se politica e filosofia scaldano mister Follett, cancellando quell’iniziale di educato distacco, parlare di scrittura lo eccita. «Potrei dire: “Preferisco il thriller al mistery sensazione scrivere mi diverte. Ma non basta. Se io dicessi: mia moglie mi piace, direi la cosa sbagliata. La frase giusta è: amo mia moglie. Amore. Così è per la Non è il divertimento la molla. È la necessità. Scrivere coinvolge perché nel thriller la domanda scrittura. l’intero mio essere». Ma non c’è amore, naturalmente, senza metodo. «In genere parto da una che mi colpisce. Una volta catturata l’idea, spendo molto temnon è chi è stato oppure ce la situazione po a preparare il progetto del libro, anche sei mesi, un anno. Alla fine ho uno schema di una settantina di pagine dal quale non mi distacco mai. Ho tutto in mente prima ancora di scrivere la prima parola. Mi tengo fedele alfarà? Bensì: ce la farò? “ lo schema, ma mi prendo tutto il tempo del mondo per scrivere». Scrittore puro, Follett considera con benevola tolleranza i numerosi adattamenti Ken Follett G I A NCA RLO DE C AT A LDO K ROMA EN FOLLETT ADORA IL BLUES. Suona il basso a orecchio «da quan- do ero alto così». A sentire quelli di Mondadori (il suo editore italiano) quando Ken si lascia andare è un vulcano. In questa mattina di pioggia, però, sprofondato in una poltrona nella “Sala delle Capre” dell’elegante hotel Hassler Medici di Trinità dei Monti, con la chioma candida, l’aria concentrata, l’impeccabile grisaglia con cravatta e fazzoletto al taschino e una altrettanto impeccabile pronuncia posh, più che uno scatenato bluesman, Follett sembra il ritratto vivente del perfetto gentiluomo anglosassone. Distaccato, lucido, ironico. In ogni caso, l’inglese rotondo e vagamente affettato dell’upper class sorprende in un figlio del Galles minerario. Per giunta orgogliosamente socialista. «Sono laburista, da sempre. Non proprio un amico di Blair, se vuole saperlo. E comunque l’antipatia era ricambiata. Il Ventesimo secolo è stato il secolo della grande socialdemocrazia. Welfare, istruzione e sanità per tutti: non riesco a pensare a un modello migliore. La bestia nera dei reazionari: il popolo legge, si istruisce, vuole progredire. Tutto questo è molto più pericoloso di qualunque rivoluzione. Il comunismo, che predicava la rivoluzione, è stato un fallimento totale». Toni piacevolmente controcorrente, oggi che welfare suona quasi come una parolaccia. Follett scuote la testa. «Le dirò: IL ROMANZO STORICO CI FA SCOPRIRE CHE PERSONE TANTO LONTANE NEL TEMPO AVEVANO LE NOSTRE STESSE ESIGENZE: SPOSARSI, FARE FIGLI, LAVORARE, MA IN UN CONTESTO MOLTO PIÙ FEROCE. COSÌ CI CHIEDIAMO: E IO, COME MI SAREI COMPORTATO? sono convinto che in un momento di crisi come questo la chiave per salvare il welfare sia nel sussidio di disoccupazione. E le dirò un’altra cosa: abbiamo il sussidio, possiamo permettercelo, grazie al vituperato capitalismo. Proprio perché produciamo ricchezza possiamo farci carico degli strati più bassi della società. Tuttavia, il capitalismo ha bisogno di un principio di temperamento, non può essere lasciato a se stesso. Senza la socialdemocrazia, il capitalismo è fuori controllo. Dobbiamo riprenderci il welfare, vigilare perché non venga distrutto. Ma io non riesco a essere pessimista. Ce la fare- delle sue opere letterarie. «Nella serie tratta dai Pilastri ho recitato nella piccola particina di un mercante francese. Ma la serie l’hanno fatta senza di me. In genere mi tengo alla larga dalle trasposizioni cinematografiche o televisive delle mie opere. A volte vengono bene, altre meno. Però La cruna dell’ago è un gran film. Sono uno scrittore solitario, la fiction è un’attività di gruppo, perderei tempo e ne farei perdere agli altri». Fra thriller e mistery non ha dubbi: la sua preferenza va al primo. «Nel mistery la domanda è: chi è stato? Come fare a prenderlo? Ce la farà? Nel thriller la domanda è: ce la farò? È questo che mi interessa. Per esempio, in Una fortuna pericolosa fui ispirato dalla vicenda di un banchiere vittoriano finito in miseria, abbandonato da tutti, letteralmente costretto a lavarsi da sé la biancheria, una disperazione totale, insomma. Ma nello stesso tempo questo ex potente caduto in disgrazia è finalmente costretto a misurarsi con la realtà. E a porsi la domanda fatidica: ce la farò?». È la stessa domanda delle grandi epopee storiche che Follett ama reinventare. «Nel romanzo storico c’è un nucleo maledettamente affascinante. Sta nello scoprire che le vite di persone tanto lontane da noi nel tempo, in fondo, rispondono alle nostre stesse esigenze di oggi: sposarsi, fare figli, lavorare, sopravvivere, ma in un contesto molto più feroce, brutale. Perciò la domanda è: io, trasportato in quel tempo, come mi sarei comportato? Ce l’avrei fatta?». La sua ultima fatica, I giorni dell’eternità, che chiude la monumentale trilogia del secolo passato, è una grande narrazione che dagli anni Sessanta arriva sino ai giorni nostri. «Anche questo è un romanzo storico, con qualche tratto autobiografico. Io c’ero, per dire, alle manifestazioni contro la guerra del Vietnam. Il romanzo è percorso da una dialettica continua fra conservazione e cambiamento. Anche se nel cambiamento ci possono es- NELLA SERIE TRATTA DAI “PILASTRI” HO FATTO UNA PARTICINA, MA IN GENERE MI TENGO LONTANO DALLE TRASPOSIZIONI SU PICCOLO E GRANDE SCHERMO PERÒ “LA CRUNA DELL’AGO” È UN GRAN FILM sere tanti errori, gli uomini cambiano, e senza cambiamento c’è solo morte. Prenda l’Europa: sino a metà del secolo scorso tedeschi e francesi si combattevano senza tregua. Oggi sono alleati in un grande progetto politico comune. Cambiamento, cambiamento. Negli anni della Guerra Fredda i più conservatori erano i comunisti. Non volevano saperne del cambiamento. Il peggio viene dopo Kruscev, quando è chiaro che il sistema agonizza, ma loro non intendono ragioni. E tuttavia, quello di Kennedy e di Kruscev era un tempo di grandi speranze. Si confrontavano caratteri complessi, ma di grande intelligenza. Kruscev era un uomo abile. I Kennedy erano amabili e cinici. Tutti insieme salvarono il mondo dalla crisi di Cuba». E chissà come sarebbe andata a finire, senza il piombo di Dallas. Follett si concede una bella risata. «Chiesi una volta a Gore Vidal: ma che sarebbe successo se JFK non fosse stato ucciso a Dallas? Lui rispose: Onassis non avrebbe sposato la vedova. Comunque, senza i Kennedy non ci sarebbe stato Obama, il primo presidente nero della storia americana. Una svolta epocale». E come la mettiamo con la polizia razzista, la rabbia dei neri e via dicendo? Sembra che sia cambiato poco o niente, in realtà. «Al contrario. È cambiato tutto. L’elezione di Obama ha mandato su tutte le furie i conservatori. Cinquant’anni fa se un poliziotto bianco uccideva un nero era un fatto normale, oggi se ne parla in tutto il mondo, dall’Asia all’Europa. Continuo a essere ottimista». E allora perché non salutare i lettori con una frase ottimistica? Follett allarga le braccia. «Una frase? Ma come può uno come me abituato a scrivere minimo tremila pagine? Poche parole non è il mio campo, sorry». © RIPRODUZIONE RISERVATA