la domenica
DI REPUBBLICA
DOMENICA 25 GENNAIO 2015 NUMERO 516
“...IN QUEL MOMENTO GIUNSERO DUE CARABINIERI CHE GIUDICARONO PINOCCHIO UNICO RESPONSABILE...”. DISEGNO DI CARLO RAMBALDI, 2002
Cult
La copertina. La serializzazione di un’idea
Straparlando. Angela Bianchini, vivere in esilio
Mondovisioni. Metti una sera a cena a Lima
Carlo Rambaldi, papà di E.T., aveva un sogno:
dare vita al burattino più amato del mondo
Prima di andarsene ci è riuscito. Eccolo qua
CONCITA DE GREGORIO
S
Ì, VA BENE, TRE OSCAR. Certo: King Kong, Alien, naturalmente E.T. Sì,
sì, l’America. I laboratori degli Studios. Tutto il tempo tutto il denaro, il riguardo e il sostegno di cui un genio ha bisogno per dare
anima e movimento alla materia inanimata. Sì, lo sapete: Spielberg, Ridley Scott, David Lynch. Nessuno al mondo è meglio di te,
Carlo. Please, we need you. Tutti gli onori, tutti i premi. Però Carlo Rambaldi
da Vigarano Mainarda — i portici e il bar Eden, i pioppi allineati sul tavolo della pianura padana, la latteria e la bicicletta — quello che voleva davvero, da
tutta la vita, era diventare Geppetto. Fin da piccolo e sempre: essere Geppetto, fare Pinocchio. «Ne collezionava edizioni in tutte le lingue, vecchie e nuove», racconta suo figlio Victor. «Per lui era il libro dei libri. Il suo sogno fin da
quando costruiva marionette per il teatrino di Vigarano». Dare lo sguardo, il
sorriso, il movimento al burattino di legno.
Pinocchio
telefonocasa
>SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE CON UN RICORDO DI VICTOR RAMBALDI
Il reportage. Quel che resta della Berlino di Hitler L’officina. John Berger, diario di un’operazione alla cataratta Spettacoli. Perché
i Verdena fanno pochi dischi Next. Cosa scopriremo nel 2015 L’incontro. Ken Follett: non solo thriller, fatemi parlare di politica
LA DOMENICA
la Repubblica
DOMENICA 25 GENNAIO 2015
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La copertina. Telefono casa
Ci ha provato tutta una vita, ma non glielo hanno mai lasciato fare
Così il genio degli effetti speciali decise di disegnarlo per i nipotini
E ora, per la prima volta, il suo Pinocchio si può finalmente ammirare
<SEGUE DALLA COPERTINA
C ONC ITA DE GREGORI O
C
I ERA ARRIVATO VICINISSIMO, nel 1969. Lo aveva fatto, in verità: i progetti e i disegni per il Pinocchio
Rai di Comencini erano pronti, il prototipo —
magnifico — realizzato. Un Pinocchio con gli occhi enormi, liquidi, umani. Come sarebbe stato
E.T. tanti anni dopo: quegli occhi che bastano soli. Non si fece per ragioni di soldi, ma questa è
una storia che racconteremo fra poco.
Prima bisogna dire della favola: c’era una volta un re, il re delle macchine animate e fantastiche, che prima di morire voleva realizzare il primo e più semplice dei desideri, quello che aveva
coltivato per tutta la vita e che nessuno dei grandi dignitari di corte, dei sovrani dei paesi vicini, dei suoi alleati nelle battaglie
e dei sultani proprietari di tesori gli aveva mai chiesto, mai permesso di costruire. Voleva fare Pinocchio. Quando ormai vecchio si ritirò, con tutti gli onori, chiamò a raccolta i suoi nipoti bambini e disse loro. Ecco, piccoli: adesso che
non ho più da viaggiare e combattere, da dirimere questioni di terre e di regni farò per voi ciò che ho sempre desiderato. Aspettate e vedrete.
Portano la data del 2002 i disegni magnificenti che Carlo Rambaldi ha realizzato per la sola gioia domestica dei
suoi nipoti, facendosi finalmente, da ralmente, semplicissimo. Come poultimo, Geppetto. Che, vedete, gli so- teva essere una marionetta fatta da
miglia. Ha i suoi capelli i suoi ciuffi un pezzo di legno da un povero falesulle tempie, il suo viso scavato, le gname? Poteva somigliare al Pinocsue mani grandi, la sua gioia bambi- chio di Disney, l’unico visto al cinema
na davanti all’oggetto compiuto. Del- quando alla fine degli anni Sessanta
le tavole che l’editore Rubbettino gliene commissionarono uno? Certo
manda in stampa in un grande pre- che no. Doveva essere fatto con uno
zioso libro a colori davvero fantastica scalpello e un martello, il busto una
è la numero dodici, quella dove Gep- tavoletta rettangolare quasi bidipetto Rambaldi salta di gioia sulla se- mensionale, sottile, le braccia e le
dia davanti al burattino in tredici gambe due coppie di parallelepipedi
pezzi ancora da assemblare. Il pezzo snodati, il collo lungo, i piedi grandi.
numero uno sono i capelli, il tredice- Non poteva far altro che questo, il fasimo i piedi. Il celebre naso arriva so- legname del paese. E del resto i bello al quarto posto, dopo gli occhi. Per- lissimi disegni di Carlo Chiostri ed
ché sono gli occhi, anche nel buratti- Enrico Mazzanti, i primi illustratori
no di legno, i custodi dell’anima. Solo delle prime edizioni del libro, lo avegli occhi resteranno gli stessi quando vano immaginato così. Ruvido, rigialla fine della fiaba diventerà bambi- do. Un burattino. A quei disegni si era
no. Solo gli occhi, in ogni essere vi- ispirato il padre, racconta Victor, nel
‘69 quando felice della commissione
vente, non cambiano mai.
Il Pinocchio di Rambaldi è, natu- aveva proposto ai produttori del film
SU RTV-LAEFFE
IN REPTV NEWS
(ORE 19.45,
CANALE 50
DEL DIGITALE
E 139 DI SKY)
IL VIDEORACCONTO
DI CONCITA DE GREGORIO
SUL PINOCCHIO
DI CARLO RAMBALDI
CarloRambaldi
la Repubblica
DOMENICA 25 GENNAIO 2015
IL LIBRO
LE ILLUSTRAZIONI DI QUESTE PAGINE SONO TRATTE
DA “IL MIO PINOCCHIO” DI CARLO RAMBALDI, EDITO
DA RUBBETTINO (215 PAGINE, 48 EURO) IN LIBRERIA
DA MERCOLEDÌ 28 GENNAIO. LA PREFAZIONE, PUBBLICATA
QUI SOTTO, È DEL FIGLIO VICTOR. NELLA FOTO IN BASSO
A SINISTRA, CARLO RAMBALDI (1925-2012) CON E.T.,
LA CREATURA CHE GLI VALSE IL TERZO OSCAR NEL 1982
DOPO “KING KONG” (1976) E “ALIEN” (1979)
per la tv un Pinocchio esile, longilineo, «gli occhi grandi e rotondi, la
bocca smorfiosa e impertinente, simpaticissimo e tenero». Il prototipo di
quel Pinocchio fu scelto per rappresentare l’Italia all’Expo di Osaka. Fu
scartato dal regista e dai produttori
italiani, invece. Lo ritennero troppo
caro, costoso da realizzare. Rambaldi
aveva immaginato una sorta di animazione a distanza utilizzando micro motori a servo. Qualcosa che anticipava di decenni quella che oggi si
chiama motion capture. Attraverso
un’imbracatura l’animatore riusciva
a far muovere a distanza il burattino.
Il quale però, un metro e dieci di altezza, non poteva contenere tutti i
meccanismi in un solo corpo. Dunque
ne servivano diversi, uno per ogni
specialità: il Pinocchio che corre,
quello che salta, quello che ride, quello che piange. Nei provini con gli attori risultò formidabile. Rambaldi lo
aveva realizzato a sue spese. Scrive,
negli appunti dell’epoca: «Ho cominciato a modellare il viso in creta e gesso, infine ho usato una materia plastica che imita molto bene il legno. Mi
hanno aiutato i miei studi fatti in gioventù a Bologna, dove mi laureai in
Accademia di Belle Arti. Ho finalmente realizzato il Pinocchio che sognavo grazie ad alcuni ritocchi essenziali, primo tra tutti una maggiore grandezza dell’iride degli occhi,
mobilissimi in tutte le direzioni». Gli
occhi, sempre, il segreto. Il progetto
fu bocciato dalla Rai. Anonimo il funzionario. Scrisse Sergio Saviane su
l’Espresso, l’11 ottobre 1970: «La Rai
ha già sacrificato decine di milioni
per il burattino. L’unico che tra tanti
ne ha visto poco più di uno è stato il
povero Geppetto (Rambaldi) che ha
lavorato dei mesi rimettendoci perfino di tasca propria». Fu una grande
ARLO RAMBALDI HA SEMPRE PENSATO A PINOCCHIO. Fin da bambino
mio padre lo ha sognato, lo ha plasmato con la creta, ci ha
giocato. In una parola, lo ha amato. Era il suo personaggio di
fantasia preferito, il suo eroe adolescenziale, quello che più di
qualunque altro stuzzicava la sua immaginazione. Per Carlo,
Pinocchio era il libro dei libri. A casa ne custodiva una preziosa collezione,
alcuni molto antichi, e persino diverse edizioni in lingua straniera. Forse
perché Pinocchio un po’ rispecchiava la sua personalità, così dinamica e
vivace. Infatti, anche al futuro “mago” degli effetti speciali per il cinema, da
ragazzo piaceva fare gli scherzi. Nel piccolo paese natale, raccoglieva intorno
a sé un manipolo di amici e insieme a loro, attraverso burle innocenti di ogni
tipo, si divertiva a studiare le reazioni, osservare i comportamenti delle sue
“vittime”. Ai suoi occhi, quel burattino magico era l’amico perfetto, con il
quale partire per mille avventure e condividere momenti felici. Una volta,
per un progetto televisivo, ne costruì uno tutto suo, cercando però di
rispettare, almeno in parte, i disegni degli illustratori originali della fiaba.
Studiò molti tipi di legno, selezionandoli per individuare le venature giuste,
l’esatto colore e aspetto. Poi, duplicò il legno in materiale plastico. Ne venne
fuori un capolavoro di tale simpatia e stile da essere esposto anche in
Giappone.
Queste tavole, realizzate in tempi recenti per i propri nipotini,
rappresentano un tributo affettuoso e personalissimo alla saga di Collodi,
che lo aveva così tanto appassionato da ragazzo. Carlo come Pinocchio,
dunque, ma anche come il suo creatore Geppetto, per continuare a
disegnare e costruire pupazzi ai quali dare un cuore e una vita
cinematografici. Ma soprattutto un’anima umana, la stessa che continua a
pulsare in Pinocchio oggi, icona e simbolo immortali del fanciullo che è in
noi, nell’immaginario collettivo di infinite generazioni di adulti e bambini.
delusione. Scrisse Carlo, dopo lo stop
ai lavori: «Pinocchio non è mica Giamburrasca e nemmeno Cappuccetto
rosso. Pinocchio è un pezzo di legno
con una personalità precisa e complicata, pieno di sorprese e imprevisti.
Non si può farlo in questi termini. È
un’assurdità». Non se ne faceva una
ragione.
Tredici anni dopo i grandi occhi di
Pinocchio sono diventati i laghi azzurri nel volto di E.T. Trentatré anni
dopo, quando ormai era solo per la felicità dei nipoti che lavorava, hanno
riempito i quaderni che vedete oggi
riprodotti qui. Il tratto a volte è semplice, quasi solo abbozzato. Altre volte precisissimo, da progettista. In
qualche tavola sembra di riconoscere un omaggio futurista, o impressionista, oppure anche una semplice allusione ironica ai molti grandi illustratori di Pinocchio che certo Rambaldi aveva nella sua collezione, da
Sergio Tofano a Jacovitti. Certo il primo, quello di Enrico Mazzanti, è quello che più si affaccia sotto il cappello
bianco di mollica di pane, morbido
fungo di bosco.
Aveva cominciato, ragazzo, disegnando e progettando uno storione
per il documentario di un amico sulla
pesca nel delta del Po. Ha finito —
Carlo Rambaldi il genio, il mito, il
maestro — disegnando un pescecane. Un «terribile pescecane», scrive
di suo pugno in stampatello, nelle cui
viscere Pinocchio ridente lo incontra:
lui, Geppetto, seduto a un tavoluccio
di legno, al lume di una candela, davanti a un piatto vuoto. In mezzo a timoni divorati, ancore di navi e intestini alza mani e piedi in un balzo verso la sua creatura. Alla fine della vita,
gli occhi stretti nel più largo dei sorrisi, felice.
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Mio padre, un ragazzino
con un burattino per amico
VI CTO R RA M BAL DI
C
Geppettosono io
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LA DOMENICA
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Il reportage. Giornata della memoria
Là dove sorgeva il bunker in cui settant’anni fa
si uccise il Führer, oggi c’è un parco giochi
Dal Reichstag all’Olympiastadion
viaggio alla ricerca dei luoghi del nazismo
In una capitale che ancora non sa
se ha davvero voglia di ricordare
2 Olympiastadion
INAUGURATO NEL 1936
PER LE OLIMPIADI, IL PROGETTO
DI OTTO E WERNER MARCH
FU RIVISTO DA ALBERT SPEER
E DA HITLER STESSO. IL BALCONE
DEL FÜHRER VENNE DEMOLITO
DOPO LA GUERRA. LO STADIO È
STATO RISTRUTTURATO IN VISTA
DEI MONDIALI DI CALCIO DEL 2006.
NELLE FOTO, HITLER CON UMBERTO
II DI SAVOIA DURANTE LE OLIMPIADI
DEL 1936 E, SOTTO, MARCELLO LIPPI
CON LA NAZIONALE AZZURRA
LA SERA DELLA VITTORIA
DEI MONDIALI IL 9 LUGLIO 2006
WLO DEK GOLD K ORN
BERLINO
L
À , DOVE SORGEVA il
bunker in cui Adolf Hitler scese per non uscirne più, il 16 gennaio
1945, undici giorni prima che i soldati dell’Armata rossa aprissero i
cancelli di Auschwitz,
oggi c’è un minuscolo
parco giochi: un piccolo
variopinto scivolo e un
box con sabbia a uso dei
bambini. Attorno un parcheggio con decine di
utilitarie da impiegati di medio livello e grigi palazzi, Plattbauten li chiamano in tedesco, costruiti in materiale prefabbricato negli ultimi
anni della Ddr. Al margine del parcheggio, a due
passi da una sbarra che ne segna l’ingresso, una
bacheca, difficilmente visibile, segnala l’importanza storica di questo luogo. La bacheca è
stata messa lì pochi anni fa per venire incontro
alle esigenze di centinaia di turisti che ogni giorno, a Berlino, cercano di ripercorrere le orme del
Führer. Altrimenti, e per decenni, tutto quello
che riguarda l’uomo che ordinò lo sterminio di
sei milioni di ebrei e l’annientamento definitivo di un mondo, l’universo di coloro che parlavano, scrivevano, cantavano e sognavano in
yiddish, era condannato alla damnatio memoriae. O forse lo è ancora.
Il bunker, posto nel giardino dell’imponente
edificio della Cancelleria del millenario Reich,
un palazzo che Hitler ha voluto monumentale
con un cortile d’onore lungo quasi settanta metri e un ingresso addobbato da due sculture di
2
STRASSE DES 17 JUNI
OLYMPIASTADION
3
1 Wannsee
LUOGO DI VILLEGGIATURA SULLA SPONDA
DEL LAGO OMONIMO. QUI IL 20 GENNAIO 1942,
IN UNA VILLA DELLE SS, SI TENNE UNA CONFERENZA
DI QUINDICI FUNZIONARI NAZISTI, GUIDATI
DA REINHARD HEYDRICH, PER COORDINARE
I MODI E I TEMPI DELLO STERMINIO DEGLI EBREI
1
VILLA DI WANNSEE
Cosa resta
della Berlino
di Hitler
maschi nudi, raffiguranti il Partito e la Wehrmacht, fu a sua volta teatro di eventi che i loro
protagonisti pensavano avessero i caratteri di
un’epocale tragedia, ma che invece assomigliavano a un farsesco kitsch. Quel che accadeva lì, mentre i soldati sovietici avevano scoperto da mesi i resti dei campi di sterminio di Treblinka, Belzec e Sobibor, e stavano entrando
nella capitale tedesca in rovine, è stato magistralmente narrato ne La caduta di Oliver Hirschbiegel. In quel film l’attore Bruno Ganz sembra più Hitler di Hitler per quanto riesce a non
distinguere tra recitazione e verità. Qui dunque il Führer, che il giorno prima aveva vergato il suo testamento politico e sposato Eva
Braun, il 30 aprile commette il suicidio.
Ma, finita la guerra, una delle prime preoccupazioni dei vincitori, soprattutto dei sovietici, cui in base agli accordi tra gli alleati toccò la
gestione del settore orientale e del centro della
città, è stata cancellare ogni traccia del regime
nazista. La memoria di quel periodo doveva essere annullata; come se si volesse esorcizzare il
Male, ma anche non lasciare intatto alcun luogo dove potessero affluire gli eventuali nostalgici del nazismo. Dei tedeschi non ci si fidava. Il
bunker fu fatto saltare in aria. Qualche resto è
rimasto però, data la resistenza del cemento ar-
mato. Finché negli anni Ottanta tutto il terreno, che nel frattempo confinava con il Muro
eretto nel 1961, venne bonificato per far posto
alle nuove abitazioni. Neanche dell’edificio della Cancelleria ci sono tracce.
Strana città Berlino. In apparenza la capitale della Germania riunificata, dell’esibizione
della sua complicata e violenta storia ha fatto
una specie di marchio di fabbrica. Monito alla
coscienza della nazione ed esca per le masse di
visitatori di tutto il pianeta, tra musei d’arte
eredità del periodo guglielmino e memoriali alle vittime del nazismo: ebrei, omosessuali, sinti e rom. Ma se chiedete a un giovane nei pressi
della Wilhelmstrasse, la ricostruita strada centro del Potere (del bunker e dei più importanti
ministeri), dove erano i luoghi di Hitler, la reazione sarà un sorriso, un gesto sconsolato delle
mani, un’alzata di spalle, un girare la testa per
evitare lo sguardo di chi fa l’imbarazzante domanda. Hitler è tabù, un fantasma da non evocare. La Wilhelmstrasse è a due passi dalla Porta di Brandeburgo e dall’edificio del Reichstag,
dove alla vigilia della guerra il Führer fece il suo
“discorso profetico”: annunciò l’annientamento dell’“ebraismo mondiale”. L’edificio oggi ha
una cupola di vetro a simbolo della trasparenza e un recinto, sempre trasparente con sopra
stampati alcuni articoli della Costituzione. Il
primo recita: “La dignità umana è inviolabile”.
Di fronte, sull’ansa della Sprea, i nuovi palazzi
della Cancelleria: dotati di finestre enormi. Trasparenza, e ancora trasparenza. La Wilhelmstrasse è ricostruita e tirata a lucido in modo da
non poter riconoscere nulla del passato. Dei
vecchi edifici è rimasto in piedi solo l’enorme ex
ministero dell’aviazione, regno di Göring, oggi
sede del dicastero delle finanze; altrettanto importante. Là invece dove sorgeva il lussuoso
Hotel Kaiserhof, abitazione di Hitler, prima di
diventare cancelliere e dove al caporale austriaco venne conferita nel 1932 la cittadinanza tedesca, c’è oggi l’austero edificio dell’ambasciata nordcoreana. Nella vicina Unter den
Linden nessun ricordo delle marce con le fiaccole e con libri che venivano bruciati davanti all’edificio dell’Opera, in una piazza che oggi porta il nome di August Bebel, colui che definì l’antisemitismo come “socialismo degli imbecilli”.
Hitler non amava Berlino; troppo caotica, facile a smarrirvisi come annotava Walter Benjamin, un autore che il Führer certamente ignorava. Sognava assieme al suo architetto Albert
Speer di trasformarla in Germania, una metropoli di otto milioni di abitanti, geometrica e
monumentale. Intanto stava cambiando l’esi-
8 Tempelhof
AEROPORTO FIORE ALL’OCCHIELLO DI HITLER. I LAVORI
DI COSTRUZIONE INIZIATI NEL 1936 VENNERO COMPLETATI
NEL 1941, CON ABBONDANTE USO DI OPERAI-SCHIAVI.
AI TEMPI DEL BLOCCO DI BERLINO OVEST DA PARTE
DEI SOVIETICI (1948-49), QUI ATTERRAVANO GLI AEREI
MILITARI OCCIDENTALI CON GLI AIUTI ALLA POPOLAZIONE.
CHIUSO NEL 2008, OGGI È UN PARCO
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DOMENICA 25 GENNAIO 2015
3 Strasse des 17 Juni
29
4 Reichstag
LA STRADA FA PARTE DELL’ASSE
EST-OVEST DELLA CAPITALE
TEDESCA E INIZIA DALLA PORTA
DI BRANDEBURGO. ALLARGATA
AI TEMPI DEL NAZISMO,
AL SUO CENTRO FU POSTA
LA STATUA DELLA VITTORIA ALATA.
IN RICORDO DELLA RIVOLTA
OPERAIA A BERLINO EST NEL 1953
FU RIBATTEZZATA 17 GIUGNO.
NELLE FOTO, LA STRADA NEL 1945
E, SOTTO, OGGI
SEDE DEL BUNDESTAG,
IL PARLAMENTO. L’EDIFICIO
FU INAUGURATO NEL 1894.
NEL 1933 VENNE INCENDIATO.
LA COLPA FU DATA
AI COMUNISTI. PARZIALMENTE
DISTRUTTO DURANTE
LA SECONDA GUERRA
MONDIALE, È STATO
RISTRUTTURATO
DALL’ARCHITETTO
NORMAN FOSTER
DOPO LA RIUNIFICAZIONE
DELLA GERMANIA (NELLA FOTO
IN BASSO). SOPRA, HITLER
PARLA AL PARLAMENTO
IL 18 MARZO 1938
5 Wilhelmstrasse
4
UNA DELLE PRINCIPALI STRADE
DEL CENTRO DI BERLINO DOVE
FINO ALLA FINE DELLA GUERRA
AVEVANO SEDE I MINISTERI
PIÙ IMPORTANTI
E LA CANCELLERIA DEL REICH.
DEVASTATA NEL CORSO
DELLA BATTAGLIA PER LA CITTÀ
E AI TEMPI DELLA DDR, TAGLIATA
IN DUE DAL MURO NEL 1961,
È STATA RICOSTRUITA
DOPO
LA RIUNIFICAZIONE.
NELLA FOTO
IN ALTO,
LA FOLLA DÀ
IL BENVENUTO
A HITLER DURANTE
LA SECONDA
GUERRA MONDIALE
REICHSTAG
WILHELMSTRASSE
5
6 BUNKER
7
TOPOGRAPHIE DES TERRORS
6 Bunker
A HITLER NON PIACEVA
L’ARCHITETTURA ROCOCÒ
DELLA VECCHIA CANCELLERIA
NEL PALAZZO RADZIWILL.
INCARICÒ NEL 1938 ALBERT
SPEER DI COSTRUIRE
UN NUOVO EDIFICIO. I LAVORI
FURONO ULTIMATI IN TEMPI
RECORD GRAZIE A MIGLIAIA
DI SCHIAVI. NEI SOTTERRANEI
E NEL GIARDINO VENNE
EDIFICATO IL BUNKER
IN CUI IL FÜHRER SI SUICIDÒ.
NELLE FOTO, LA CANCELLERIA
DISTRUTTA NEL 1945
E, SOTTO, IL PARCO GIOCHI
DOVE OGGI UNA BACHECA
SEGNALA L’IMPORTANZA
STORICA DEL LUOGO
8
TEMPELHOF
7 Gestapo
LÀ DOVE C’ERA LA SEDE DELLA POLIZIA SEGRETA NAZISTA,
NELLA EX PRINZ ALBRECHTSTRASSE (FOTO IN ALTO, 1945),
OGGI SORGE “TOPOGRAPHIE DES TERRORS”,
SPAZIO ESPOSITIVO CON MOSTRA PERMANENTE
IN CUI LO SPETTATORE SEGUE L’EVOLUZIONE DEL REGNO
DEL TERRORE: DALLE FOTO DI HITLER ACCLAMATO
DALLA FOLLA NEL 1933 AI PROCESSI AI CRIMINALI NAZISTI
stente. Allargò l’asse Est Ovest, la strada che da
Mosca porta a Parigi e che ora si chiama Strasse des 17 Juni in ricordo della rivolta del 1953 a
Berlino Est. Vi portò la statua della vittoria alata e la issò altissima al centro di una rotonda.
Oggi, vi sciamano orde di turisti tra bancarelle
di souvenir. In direzione Ovest dell’asse c’è
l’Olympiastadion, costruito da Werner March.
Qui, in una struttura di dimensioni faraoniche,
e con rimandi a simbologia esoterica, in pietra
marrone scuro, sovrastata da un’alta torre simbolo dell’orgoglio nazionalsocialista, Hitler nel
1936 festeggiò il (provvisorio) trionfo della sua
estetica, con la regia di Leni Riefenstahl. Il balcone da cui il Führer si mostrava al mondo è stato demolito per ordine dei britannici. Lo stadio
venne ristrutturato per i mondiali di calcio del
2006, che l’Italia vinse battendo la Francia proprio su quell’erba e oggi nella postmoderna
struttura gioca l’Hertha Berlin, una squadra
con una delle tifoserie più miti e politicamente
corrette del pianeta. Del complesso fa parte la
Waldbühne, un teatro all’aperto con all’ingresso bassi rilievi nazisti, visibilmente non restaurati. Questo luogo da alcuni anni è il prediletto dal direttore d’orchestra ebreo e pacifista
Daniel Barenboim.
Tempelhof, nelle intenzioni di Hitler, entu-
siasta degli aerei e dell’aviazione e che da qui
partiva e tornava dai suoi viaggi, doveva essere l’aeroporto più grande del mondo. Le piste
dell’atterraggio sono oggi un gigantesco parco
cittadino. L’edificio, invece, enorme, in pietra
calcarea gialla, con strette e alte finestre che
danno a tutto il complesso l’aria di un luogo verticale e marziale, ospita fiere, congressi, ma anche un night club, “La vie en rose”, dove tra i vari “amusement” (a Berlino adorano le parole
francesi) c’è un “travestie show”. A pochi metri dall’ingresso di questo paradiso di trasgressione alcune targhe piccolissime, bianche e nere, in metallo, ricordano i lavoratori forzati, gli
schiavi del Reich che qui hanno patito indicibili sofferenze.
Il regno dell’indicibile vero è però Wannsee,
un luogo in cui Hitler non c’era, ma dove il suo
spettro è sempre stato presente ed è più vivo
che mai. Il paesino, in cui nel gennaio 1942 si
riunirono sotto la direzione di Reinhard Heydrich quindici burocrati di vari ministeri per
coordinare “la soluzione finale del problema
ebraico”, sembra una specie di Walhalla: villette tra i boschi, piccole pensioni sulla sponda
dell’incantevole lago. Una di queste, Sanssouci, è accanto alla villa dove si svolse la conferenza. Sanssouci vanta una Sonnenterasse
(terrazza per fare bagni di sole) e organizza feste di matrimonio. Nel menù: tortellini al tartufo e scampi. Nella villa adiacente che apparteneva alle SS, durante la conferenza ci fu pure un sontuoso buffet, con ottimi vini e cognac.
Quella riunione è stata ricostruita, ma con
troppi colpi di scena alla maniera di Hollywood, in un film con l’istrionico Kenneth Branagh nel ruolo di Heydrich. Dopo la guerra, l’edificio venne adibito a scuola. In seguito, un superstite di Auschwitz, Joseph Wulff, ebbe l’idea di trasformarlo in museo. Le resistenze furono molte e Wulff si suicidò. Oggi, con orgoglio, il direttore didattico Wolf Kaiser racconta
di oltre centomila studenti che lo visitano ogni
anno e mostra la biblioteca intitolata a Wulff,
appunto. Negli ampi saloni ci sono pannelli con
tante foto e tante scritte: raccontano la sorte
degli ebrei. In uno di questi si intravede, tra i
soldati della Wehrmacht, la faccia sconvolta di
Leni Riefenstahl. Era il 12 settembre 1939 a
Konskie, in Polonia. I militari tedeschi avevano appena fucilato ventidue ebrei. Lei protestò
con il comandante, un generale dall’altisonante nome prussiano. Venne allontanata dal
fronte, ma perdonata da Hitler. Poi la macchina dello sterminio si mise in moto.
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LA DOMENICA
la Repubblica
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L’officina. Punti di vista
“Questo dilatato senso
di larghezza e lateralità
invita a immaginare
(come succede da bambini)
una moltitudine
di orizzonti alternativi”
Prima lo sguardo
e poi la parola
SEB AST IA NO T R IUL ZI
S
E DAVVERO ESISTE UNA MALATTIA dell’occhio
occidentale, John Berger ne è ancora oggi, a
ottantotto anni, uno dei più fieri avversari. L’atto
dello sguardo, che secondo lui viene prima dell’atto
di parola, possiede un valore laicamente
miracoloso: aiuta a dare un senso all’esperienza, svela la
presenza di problematiche irrisolte, nella vita come nell’arte,
offre la possibilità di interrogare la realtà, di rappresentarla, a
patto che l’attenzione sia desta, a patto di fuggire a gambe
levate dai luoghi comuni.
I suoi libri sono incentrati sul senso della vista (talvolta fin dal
titolo: Questione di sguardi, Fotocopie, Sul disegnare),
narrano le immagini, dai capolavori alle opere dimenticate
alle pubblicità ai luoghi visitati, precipitandole in un
confronto continuo con la vita quotidiana.
Così è anche per Cataratta, libricino in cui riporta i suoi
pensieri dopo un intervento chirurgico agli occhi: si
opera il sinistro lasciando passare un anno prima
di intervenire sul destro, proprio per capire
come cambia la visione e raffrontare
sguardo nuovo, incontaminato, e quello
corrotto. Lo accompagna in questa
esplorazione del corpo, il tratto
interrogativo, sorridente, leggero del
disegnatore Selçuk Demirel.
Berger annota che si sono potenziate
lateralità, distanza, profondità, e
soprattutto si lascia sommergere
dalla luce, «dal carattere di primità»
che trasmette: è l’intimità dei
colori che cambia, come se
volesse ritrovare la prima
apertura sul mondo.
L’operazione alla cataratta
si trasforma così «in una
rinascita visiva», il dolore in
un’occasione di conoscenza;
e forse con emozione Berger
ritorna al bianco della cucina
bianca della sua infanzia, superando
le amnesie cui è soggetta la vista
da adulti: un’epifania del colore
colto da bambino, che si
contrappone ai colori assuefatti
dalla cataratta, simbolo dello
sguardo sporcato dalla
consapevolezza, e cioè grata,
prigione che chiude in te stesso la
visione. Per cui, alla fine, è un po’ come
specchiarsi nel proprio occhio invece
che nel mondo.
John
Berger
Ci vuoleocchio
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DOMENICA 25 GENNAIO 2015
“Sono acutamente consapevole
di come tutto sia circondato
dalla luce. Mentre i pesci
vivono e nuotano nell’acqua,
noi viviamo e ci muoviamo
nella luce”
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“Per me la nuova visibilità
non è soltanto un dono,
ma una conquista. La vittoria
dei medici e degli infermieri
nonché, in misura minore,
del mio stesso corpo”
JOHN BERGER
Q
UALCHE APPUNTO DOPO UN’ASPORTAZIONE
DI CATARATTA DALL’OCCHIO SINISTRO.
“Cataratta”, dal greco kataraktes, cascata o
inferriata, un’ostruzione che discende dall’alto. Rimozione della grata che sbarrava l’occhio
sinistro. Sull’occhio destro la cataratta resta al
suo posto.
Mi diverto a guardare un oggetto chiudendo prima l’occhio sinistro, quindi il destro. Le
due visioni sono nettamente diverse. Definire
la (le) differenza (e).
Con il solo occhio destro pare tutto usurato,
con il solo occhio sinistro pare tutto nuovo. Non
vuol dire che l’oggetto osservato dimostri
un’età diversa; i segni relativi alla sua età o alla sua freschezza restano gli stessi. Quel che
cambia è la luce che cade su di esso e ne è riflessa. È la luce a ringiovanirlo o, quando diminuisce, a invecchiarlo.
Un’altra differenza tra la visione dei due occhi riguarda la distanza. L’inferriata si chiude.
Con l’occhio sinistro posso avventurarmi all’esterno e la distanza aumenta in due modi. Vedo più lontano e, nello stesso tempo, ogni misura di distanza si estende: un chilometro diventa più lungo, e così un centimetro. Divento
più cosciente dell’aria, dello spazio tra le cose,
perché quello spazio è pieno di luce come un
bicchiere può essere pieno d’acqua. Con la cataratta, ovunque ci si trovi, si è, in un certo senso, in interni.
La mia accresciuta percezione dello spazio
fa sì che il mio senso della lateralità — di quel
che accade da sinistra a destra, di quel che è parallelo all’orizzonte — sia potenziato. Ho mag-
IL LIBRO
IL TESTO
DI JOHN BERGER
E I DISEGNI
DI SELÇUK
DEMIREL
SONO TRATTI
DA “CATARATTA”
IN LIBRERIA
DA MERCOLEDÌ
(GALLUCCI,
70 PAGINE,
12,50 EURO,
TRADUZIONE
DI MARIA
NADOTTI)
gior coscienza di quel che mi passa davanti, rispetto a quel che viene verso di me. Mentre la
distanza diventa più lunga, la larghezza si fa
più ampia.
30 maggio. Cielo insolitamente blu, da tutti
i punti di vista, sopra Parigi. Alzo gli occhi verso il pino e ho l’impressione che i piccoli frammenti frattali di cielo che vedo tra i ciuffi di aghi
siano i fiori blu dell’albero, del colore del
delphinium.
Domani saranno trascorse tre settimane
dall’intervento. Se provassi a riassumere l’esperienza che ha trasformato il mio modo di
guardare, direi che è come trovarsi d’un tratto
in una scena dipinta da Vermeer. Per esempio
La lattaia (Rijksmuseum, Amsterdam). Osservi gli oggetti e il pane sul tavolo su cui è posata una ciotola; la fanciulla versa il latte da un
bricco, e la superficie di tutto quel che guardi è
coperta da una rugiada di luce…
QUALCHE ALTRO APPUNTO DOPO L’OPERAZIONE
ALL’OCCHIO DESTRO (26 MARZO 2010),
LA CUI CATARATTA ERA PIÙ RIGIDA E OPACA.
Questa volta l’afflusso di luce è meno specifico e più generalizzato. Non è tanto che le cose mi appaiano illuminate meglio, quanto piuttosto che sono acutamente consapevole di come tutto sia circondato dalla luce. L’elemento
aria è diventato l’elemento luce. Mentre i pesci
vivono e nuotano nell’acqua, noi viviamo e ci
muoviamo nella luce.
L’asportazione di una cataratta è paragonabile alla rimozione di una particolare forma di
smemoratezza. I vostri occhi cominciano a riricordare le prime volte. Ecco perché quel che
sperimentano dopo l’intervento somiglia a
una specie di rinascita visiva.
Facciamo chiarezza sulle implicazioni di
quel che sto dicendo. Va da sé che, finita l’infanzia, per vari decenni ho visto fogli di carta
bianca bianchi come questo. A poco a poco,
però, il biancore si è smorzato senza che me ne
accorgessi. Perciò quel che chiamavo carta
bianca cambiava, diventava più spento. Questo pomeriggio non sono io a rendermene conto con l’intelligenza: è il biancore del foglio a
precipitare incontro ai miei occhi, e sono i miei
occhi ad abbracciarlo come si fa con un amico
che non si vede da molto tempo.
Quando si apre un dizionario per consultarlo, si ritrova o si scopre per la prima volta la precisione di una parola. Non soltanto la precisione di ciò che quella parola denota, ma anche il
posto preciso che essa occupa nella varietà della lingua.
Adesso che mi sono state asportate entrambe le cataratte, quel che vedo con i miei occhi
somiglia a un dizionario che posso consultare
riguardo alla precisione delle cose. Riguardo
alla cosa in sé, e anche al suo posto fra le altre
cose.
La familiare eterogeneità dell’esistente è
meravigliosamente tornata. I due occhi, tolta
di mezzo l’inferriata, non si stancano di registrare la continua sorpresa.
(Traduzione di Maria Nadotti)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Un banale intervento chirurgico diventa occasione di conoscenza
se chi lo ha affrontato è uno scrittore e critico d’arte particolarmente
attento a ciò che vede. Eccoil suo diario di un’operazione alla cataratta
LA DOMENICA
la Repubblica
DOMENICA 25 GENNAIO 2015
32
Spettacoli. Fuori dal coro
Ha ormai vent’anni la band italiana
più talentuosa e meno conosciuta
(ma soltanto dagli over quaranta)
Viene dalle valli bergamasche e suona
dodici ore al giorno in un pollaio
Sforna cd solo quando si sente pronta: ora
LU CA V A LT O RTA
ROMA
H
OTEL VICINO ALLA STAZIONE TERMINI. Alberto, voce, chitarra e innumerevoli altri strumenti tra cui il pianoforte, davanti a una
tazza di doppio caffè nero all’americana. Nora, la sua compagna, capelli decolorati praticamente bianchi e molti tatuaggi
“indielike”. Alberto gioca con lo zucchero, Nora torna in camera: «Nora guarda che ho fatto un casino con la caffettiera,
non so: è un po’ esplosa, c’è caffè dappertutto, non ho mica capito come funziona...». Vabbé, e gli altri? «Arriveranno».
Quando non si sa. Sono passati quattro anni dall’uscita del loro ultimo album, Wow, altri quattro dal precedente Requiem.
Chi ha più di quarant’anni forse non li ha mai neppure sentiti
nominare i Verdena, probabilmente la più grande speranza
della musica italiana oggi. Lo sono diventati fregandosene di qualsiasi regola legata al cosiddetto show business e portando la loro casa discografica sull’orlo di una crisi di nervi. Wow
era un cd doppio considerato dalla Universal «un suicidio commerciale». «Ci dicevano: dopo
Il suicidio del samurai, che era un nostro disco del 2004, adesso avete deciso di suicidarvi
voi». Contro qualsiasi legge di mercato, invece, Wow debutta al secondo posto in classifica
e viene salutato dalla critica e dal pubblico, per una volta compatti, come un capolavoro, tanto che alla fine dell’anno è al primo posto ovunque. Segue tournée trionfale: in un periodo in
cui molte band faticano a riempire i club, i Verdena fanno ovunque il tutto esaurito. Poi, dopo un anno di live, basta: «Ci sarebbe sembrato di stancare la gente a farne di più», e tornano in studio. Lì inizia il «solito delirio». I Verdena vengono da Abbazia, provincia di Bergamo, lontano dal mondo. Lì hanno ricavato uno studio da un pollaio e l’hanno chiamato con
un nome inglese dallo stesso significato
“Henhouse”.
Intanto, finalmente è arrivata anche Roberta. Suona principalmente il basso ma anche pianoforte, tastiere e altro. Come vi siete conosciuti? «Nel 1996 sono andata a vedere un loro concerto quando ancora si chiamavano Verbena. Avevo visto in giro un volantino con su scritto: “Verbena” e tra parentesi “(punk)”. Suonavano in un posto
gigante. C’erano cinque persone. Ma erano
bravissimi. L’incontro tra di noi non è stato
molto positivo perché ero andata subito a
rompere le palle dicendo che, secondo me,
non erano per niente punk». Roberta SamI DISCHI
marelli suonava con un gruppo femminile,
IN SENSO ORARIO:
le Porno Nuns (“pornosuore”, in pieno stile
LA COPERTINA DELL’ALBUM
riot grrrls, il movimento femminista del pe“REQUIEM”, DEL 2007. IL DOPPIO
riodo grunge con band come Bikini Kill o le
CD “WOW” DEL 2011,
Hole di Courtney Love, compagna di Kurt
CONSIDERATO DA CRITICA
Cobain dei Nirvana). Gli altri Verdena sono
E PUBBLICO IL CAPOLAVORO
due fratelli: Alberto e Luca Ferrari. Alberto è
DELLA BAND E, INFINE,
il cantante ma è anche un multistrumenti“ENDKADENZ”, IL VOLUME
sta e di fatto l’implacabile (soprattutto verUNO DI DUE ALBUM GEMELLI.
so se stesso), ossessivo, geniale produttore
IL SECONDO USCIRÀ
e custode del suono del gruppo. Luca è il batALL’INIZIO DELL’ESTATE
terista ma anche l’autore di disegni e colla-
IL PAESE
ABBAZIA DI ALBINO (BERGAMO),
BADÉA IN DIALETTO, È IL PAESE
IN CUI SI TROVA LO STUDIO
DI REGISTRAZIONE DEI VERDENA
ge spesso utilizzati per le copertine e gli album: è una persona timida e gentile che ama
vivere lontano dal mondo in una casa tra le
montagne. Quando si è rotto il riscaldamento non l’ha aggiustato. E nelle valli fa freddo.
Una delle sue passioni, nei pochi momenti in
cui non suona, è andare a funghi. Sa quali scegliere.
Ancora Roberta: «Il basso ho iniziato a suonarlo per caso quando loro hanno mandato
a casa il vecchio bassista perché non si era
presentato a una prova». Alberto: «Il gruppo
l’abbiamo creato io e mio fratello nel 1995.
Da sempre siamo stati intransigenti: se qualcuno mancava a una prova era fuori perché
voleva dire che non c’era la passione». Roberta: «A quel punto il nostro scopo era fare
più concerti possibile perché era l’unico modo per farci conoscere. Abbiamo partecipato a un concorso di band, anche se non ci piacevano i concorsi. Nella giuria c’era quello
che sarebbe poi diventato il nostro manager
che adesso abbiamo lasciato. Due mesi dopo
abbiamo registrato un demo a spese nostre,
trecento copie. In due giorni abbiamo messo
giù dodici pezzi. Con quello il manager ha
bussato alle case discografiche. Alla Universal il demo è piaciuto, sono venuti a vederci
suonare e poi ci hanno fatto un contratto. Era
il 1997». Chi è il vostro manager adesso? «Io»
dice Roberta. «Ma non è un vero lavoro perché mica vengo pagata».
Un raggio di sole illumina il tavolino. «Certo che Roma è bellissima», dice Alberto.
«Non venivamo qui da un bel po’ e ieri sera
quando siamo arrivati, ci siamo rimasti: lungo la strada per venire in albergo c’era una
piazza piena di gente che dormiva per terra». L’Italia di questo periodo. Non a caso il
vostro nuovo disco si chiama Endkadenz,
che suona come “in decadenza”. A Bergamo
la crisi è meno forte? «Mah forse la gente ha
ancora un po’ di soldi, e no, non c’è questa situazione, magari è più facile trovare l’imprenditore che si suicida». Luca (nel frattempo è arrivato), jeans e capelli lunghi, come nel primo periodo di Kurt Cobain: «Mi fa
sentire male stare in un hotel e parlare di musica quando la gente non ha i soldi per mangiare. Comunque per me va bene se nel titolo del disco qualcuno ci vede questo senso di
decadenza ma in realtà l’album è ispirato a
un’altra cosa». Alberto: «È assurdo vedere la
gente per terra. Mi viene in mente una frase
di John Lennon che dice: “Ciascuno dovrebbe avere una casa”. Vabbé anche noi non è
che abbiamo tutti questi soldi. Con il tempo
che sono durate le registrazioni abbiamo finito tutto quello che avevamo guadagnato
col tour». Roberta: «Abbiamo pagato il treno
con la carta di credito perché contanti in cassa non ce ne sono più». Per il disco precedente era stata costretta a un certo punto a fare
la cameriera in un ristorante: «Avevamo debiti con tutti, ma li abbiamo ripagati appena
abbiamo iniziato a fare concerti».
Anche questa volta la preparazione del disco è stata un’impresa mostruosa. Alberto:
«Un anno di jam in cui suonavamo a caso dalle sette alle dodici ore al giorno. Io poi di notte riascoltavo e scremavo, fino a che ho mes-
Chiedi
chi sono
iVerdena
“Se facciamo pochi dischi
è per non rompere troppo le balle”
I TESTI
PER ALBERTO CHE NE È L’AUTORE
HANNO UN SIGNIFICATO COMPIUTO.
IN REALTÀ SONO SUGGESTIONI CHE
NASCONO COME SEMPLICE SUONO
la Repubblica
DOMENICA 25 GENNAIO 2015
LA BAND
LO STUDIO
LE ICONE
DA SINISTRA: ALBERTO FERRARI
È VOCE, CHITARRA E PRODUTTORE
SUO FRATELLO LUCA È ALLA BATTERIA,
ROBERTA SAMMARELLI AL BASSO
“HENHOUSE” LETTERALMENTE
SIGNIFICA “POLLAIO”: È IL LUOGO
DOVE I VERDENA SI SOTTOPONGONO
A QUOTIDIANE, INFINITE JAM SESSION
GLI ISPIRATORI DELLA BAND
BERGAMASCA SONO ASSAI DIVERSI:
DAI BEATLES AL PUNK PIÙ ESTREMO,
DAI BEACH BOYS AI NIRVANA
33
so insieme dodici cd da trenta pezzi l’uno». E
una canzone vera e propria come nasce?
«Prendiamo i cd e risuoniamo i pezzi e vediamo se da lì si sviluppa qualcosa, cosa possiamo tenere e cosa no. Poi arriva la parte più
cervellotica, quella delle sovraincisioni in
cui devi essere molto preciso. Anche per questo lavoro è andato via un anno». Ma tu conosci la musica? «No». Però suoni anche il
piano? «Io non so suonare il piano. Faccio tutto a orecchio». Come hai scoperto la musica?
«A sei anni ho visto Ritorno al futuro e alla fine c’era una jam session. Mi piaceva da matti quella cosa lì. Poi c’era mio zio che faceva
free jazz e suonava un piano tutto scordato,
che mi ha passato una cassetta dei Beatles:
per sei anni ho ascoltato solo loro, non me ne
fregava niente di altro, in casa mi odiavano
tutti. Un giorno ho comprato un metodo di
chitarra in edicola e così ho imparato gli accordi: “che figata, si possono mischiare!”. Poi
c’è stato il punk: il gruppo preferito di nostro
zio erano i Germs e io e Luca quando ascoltavamo questo pezzo, No God, andavamo
fuori di testa: urlavamo, ci picchiavamo».
Quando funziona una canzone? «Quando c’è
il testo in italiano. Una volta che il pezzo è
pronto musicalmente ragiono solo seguendo il suono, poi è una cosa inspiegabile le parole vengono: ci può volere un giorno o un
mese. In questo disco le linee vocali sono molto ritmiche, il che ha reso le cose complicatissime». I vostri testi sono molto particolari... Alberto: «Io so di cosa parlano i miei testi.
Non hanno diversi significati, come pensa
qualcuno. Io non vorrei dar fastidio alla musica con un concetto troppo forte. Ma non
vorrei nemmeno essere troppo poco fastidioso da non essere forte nel testo». L’altra
volta un doppio cd, questa volta due album,
uno che esce martedì, l’altro invece all’inizio
dell’estate. Perché? Alberto: «Non volevamo rompere le palle. A parte che la casa discografica ci ha detto che oggi, vista la crisi i
doppi cd non li fanno più. Questa volta i dischi durano centoventi minuti in tutto, quaranta in più di Wow». Roberta: «Un po’ come
per il mio regista preferito, Lars Von Trier
con Nymphomaniac: se avesse fatto un solo
film sarebbe stato un po’ pesantino credo.
Lui è molto simile a noi». In che senso? Roberta: «Fa solo le cose che vuole lui».
Alla fine, possiamo rivelare il vero significato di Endkadenz? Luca: «Alberto e Roberta mi hanno regalato un libro con tutti i tipi
di percussioni del mondo. Mi è caduto l’occhio su un compositore, Mauricio Kagel, un
pazzo che voleva dare un effetto teatrale alle sue performance obbligando il percussionista a infilarsi con tutto il busto nel timpano e rimanerci dentro alcuni minuti. È la “cadenza finale”, l’ultimo “colpo”. Ci piaceva l’idea che il nostro disco fosse questo: il colpo
finale del concerto».
Mentre se ne vanno Alberto sfrega le
braccia lungo il bancone bianco luccicante
al centro del bar dell’hotel saltellando ed
emettendo qualche strano suono, quasi come se una lieve Tourette lo obbligasse a farlo. «Non ho dormito niente per finire il disco
e la settimana scorsa mi è anche venuto via
un dente». Nella hall di sotto Luca e Roberta
si sono appollaiati su modernissimi divani
di design sfogliando riviste, mentre eleganti businessmen passano accanto guardandoli con una certa curiosità. La visione in effetti è strana e, non so perché, mi sembra
che sappia di libertà.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
I TESTI
LA SEQUENZA
IL LIBRETTO
ECCO COME NASCE UN TESTO
DEI VERDENA: IN “HO UNA FISSA”
CHE APRE IL NUOVO ALBUM
“SIMULA UN’IDEA” DIVENTA “STIPULA”
I BRANI HANNO NOMI DI PROVA
CHE CAMBIANO NEL TEMPO. ANCHE
LA SEQUENZA È IL RISULTATO
DI UN LUNGO LAVORO DI ASCOLTO
PARTICOLARE CURA SEMPRE ANCHE
NEL LIBRETTO E NELLA COPERTINA:
“PER SCEGLIERLA DEVE ANDARE
BENE PER TUTTI I BRANI”
LA DOMENICA
la Repubblica
DOMENICA 25 GENNAIO 2015
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Next. In laboratorio
Eureka 2015
Spugne che scelgono
cosa assorbire,geni
su misura, pianeti nani
MAR CO CATTANEO
L’
INCONTRO DI ROSETTA con la cometa
e i robot cooperativi, l’origine degli uccelli e l’elisir di eterna giovinezza. Ma anche microchip che simulano il cervello, metodi per
estendere l’alfabeto della vita aggiungendo nuove basi al Dna, cellule che potrebbero curare il diabete, immunoterapia del cancro e
lotta all’Ebola. Come ogni anno, le
principali riviste scientifiche hanno da poco stilato le loro classifiche delle scoperte più sensazionali del 2014, e già si
rincorrono le previsioni su quali saranno le novità
dell’anno appena iniziato. C’è chi punta sulla maturazione di nuove tecnologie basate sul grafene, una
forma di carbonio costituita da strati dello spessore
di un solo atomo. E chi invece è pronto a scommettere
che con la riaccensione di Lhc, il grande collisore del Cern,
potrebbero esserci sorprese sul fronte dell’enigmatica materia oscura, per esempio, che costituisce l’85 per cento della
20,5 miliardi di euro
È LA SPESA PER LA RICERCA SCIENTIFICA IN ITALIA
NEL 2012, PARI ALL’1,26 PER CENTO DEL PIL:
RISPETTO ALL’ANNO PRECEDENTE È AUMENTATA
SIA IN TERMINI REALI (+1,9 PER CENTO)
CHE NOMINALI (+3,5 PER CENTO),
MA È SEMPRE SOTTO LA MEDIA UE, DOVE
SI INVESTE OLTRE IL 2 PER CENTO DEL PIL
ROBERTO
BATTISTON
PRESIDENTE
DELL’AGENZIA
SPAZIALE
ITALIANA
Astrofisica
Nanotecnologie
Epidemiologia
M
di nuovi
materiali pensiamo ai materiali superleggeri per i trasporti, allo sviluppo di contatti nanostrutturati per
batterie di altissima capacità e basso peso, allo
sviluppo di catalisi per applicazioni ambientali
ed energetiche. Un settore in crescita è quello
dei materiali ecosostenibili, come plastiche biodegradabili e materiali biocompatibili con proprietà multifunzionali: spugne che scelgono
che cosa assorbire, catalizzatori in grado di eliminare gas nocivi dai carburanti ecologici, carta che diventa antibatterica o idrorepellente
per applicazioni sanitarie o di imballaggio dei cibi. Infine, una possibile rivoluzione dietro l’angolo include genomica computazionale e sperimentale, sviluppo di tessuti artificiali sempre
più simili a quelli naturali e studio di nanoparticelle in grado di identificare una mutazione a livello molecolare per la diagnostica super precoce e a bassissimo costo, e di trasportare nelle
cellule malate dosi infinitesime di medicinali
per terapie selettive e personalizzate.
Q
EPIDEMIA DI EBOLA apparsa in Africa occidentale nel 2014 è solo l’ultima delle epidemie virali che destano allarme
sociale. Finora ha infettato più di ventimila persone e ne ha uccise oltre ottomila, numeri destinati ad aumentare. Secondo l’ultima
stima, prodotta dalla Columbia University lo
scorso 31 dicembre, continuerà a crescere, anche se più lentamente, nei prossimi tre mesi. Per
bloccarla occorre un’azione coordinata, con l’identificazione certa dei casi, l’isolamento dei
pazienti, la raccolta sistematica dei dati, l’informazione della popolazione, la formazione degli
operatori sanitari, un’adeguata gestione clinica. Nel 2015 continueranno gli studi su patogenesi e modalità di trasmissione, finora poco chiare, e procederà la valutazione delle centinaia di
farmaci candidati. Secondo la Banca Mondiale,
Ebola potrebbe costare fino a 32,6 miliardi di
dollari entro la fine del 2015, e per questo bisogna creare un team internazionale di esperti in
malattie infettive in grado di operare anche in
aree della logistica e di evacuazioni mediche.
il centenario della
relatività generale di Einstein, sarà
lanciato in orbita il satellite Lisa
Pathfinder (finanziato da Asi e Istituto nazionale di fisica nucleare e guidato da un
italiano, Stefano Vitale, dell’Università di
Trento), uno strumento che dovrà testare le
tecnologie alla base dell’interferometro Lisa,
destinato alla misura delle onde gravitazionali
nello Spazio. E nei primi mesi dell’anno i dati rilevati dal satellite Planck, dell’Esa, permetteranno di verificare i risultati dell’esperimento
Biceps2 sulle onde gravitazionali primordiali,
ma soprattutto di ricostruire una mappa dettagliata dell’universo nei primi istanti di vita.
Ma il 2015 sarà soprattutto l’anno dei pianeti nani. Il 6 marzo la sonda Dawn, della Nasa, arriverà nell’orbita di Cerere, il corpo più voluminoso della fascia degli asteroidi. Il 14 luglio, invece, New Horizon, sempre della Nasa, lanciata nel 2006, raggiungerà Plutone, per studiare
la geologia e la morfologia del pianeta e del suo
satellite Caronte.
ENTRE SI CELEBRA
ROBERTO
CINGOLANI
DIRETTORE
SCIENTIFICO
DELL’ISTITUTO
ITALIANO
DI TECNOLOGIA
L’
UANDO PARLIAMO DI SVILUPPO
GIUSEPPE
IPPOLITO
DIRETTORE
SCIENTIFICO
DELL’ISTITUTO
NAZIONALE
PER MALATTIE
INFETTIVE
SPALLANZANI
la Repubblica
DOMENICA 25 GENNAIO 2015
DONATELLA
SPANO
PRESIDENTE
DELLA SOCIETÀ
ITALIANA
PER LE SCIENZE
DEL CLIMA
Sei scienziati italiani
ci raccontano
le scoperte dell’anno
massa dell’universo. E chi pensa invece che potrebbero cominciare a dare qualche frutto i grandi investimenti di Europa e Stati Uniti nello Human Brain Project e nella Brain Initiative, i due programmi decennali per lo studio del cervello
avviati all’inizio del 2013. Secondo Nature, che ha azzardato
una lista di temi caldi per il 2015, potrebbero arrivare sul mercato nuovi farmaci anti-colesterolo, anche considerati i risultati positivi dei trial clinici condotti quest’anno. Ma potrebbero esserci scoperte rivoluzionarie anche nel campo della paleoantropologia. Se si dovesse riuscire a sequenziare il genoma completo di un esemplare di Homo sapiens di quattrocentomila anni fa, proveniente dal sito spagnolo di Sima de
los Huesos, si chiarirebbero i legami evolutivi tra i nostri antenati, l’uomo di Neanderthal e un altro enigmatico gruppo
umano, i denisoviani, scoperto solo pochi anni fa.
Per ricordare una cautela che molti attribuiscono al grande
fisico danese Niels Bohr, «è difficile fare previsioni, soprattutto sul futuro». Tuttavia abbiamo chiesto ad alcuni dei più
celebri scienziati italiani di raccontarci che cosa si aspettano
da sei settori di ricerca in particolare fermento, alcuni dei quali erano già stati sotto i riflettori lo scorso anno. Ecco il quadro
che ne è uscito.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Medicina
N
ALBERTO
MANTOVANI
DIRETTORE
SCIENTIFICO
DELL’ISTITUTO
HUMANITAS
E DOCENTE
ALL’HUMANITAS
UNIVERSITY
EGLI ULTIMI ANNI le armi del sistema immunitario si sono affiancate alle terapie tradizionali nella lotta al cancro.
Gli anticorpi, innanzitutto, hanno
cambiato la storia dei linfomi e di tumori solidi come mammella e polmone. Tra i nuovi farmaci in
sperimentazione, uno su tre è un anticorpo, e la
nuova frontiera è coniugare agli anticorpi i chemioterapici, veicolandoli contro il cancro e riducendone la tossicità sui tessuti sani. Ancora, sono in fase di sviluppo metodi mirati a togliere alle nostre difese i “freni molecolari” che il tumore
attiva. E stanno muovendo i primi passi in clinica farmaci e anticorpi che bloccano componenti
del sistema immunitario che aiutano il cancro.
Grandi speranze, poi, sono legate alle terapie cellulari, che già danno risultati incoraggianti nei
tumori ematologici: oggi possiamo prelevare cellule del sistema immunitario, farle crescere,
educarle e poi reinfonderle nei pazienti. Infine,
abbiamo imparato a usare i vaccini: quelli preventivi sono già realtà, quelli terapeutici una
speranza su cui si lavora in tutto il mondo.
35
Clima
Genetica
N
E NUOVE CONOSCENZE riguarderanno probabilmente il ruolo regolativo dei microRna, piccole molecole di Rna non più
lunghe di 20-22 nucleotidi. Per essi scopriamo sempre nuove funzioni e nuove implicazioni nei fenomeni biologici più diversi. Saranno
i protagonisti della biologia del prossimo futuro.
Sono anche in corso molti studi sulla genetica
delle malattie ereditarie a carattere complesso,
come la schizofrenia o l’autismo. Sono studi che
necessitano la collaborazione di più laboratori,
perché occorre analizzare migliaia di casi, procedendo “alla cieca”: si analizza il genoma dei pazienti e lo si confronta con quello di parenti sani,
una forma di “caccia ai geni” impossibile da attuare prima di oggi. Sul piano applicativo invece
si moltiplicano i metodi per modificare i geni a
piacimento. L’ultimo grido è la Crispr, una tecnica che sfrutta sequenze ripetute presenti nel
genoma della nostra specie. Faremo geni su misura e cellule su misura; ma anche uomini e donne su misura? Non perdiamoci questo capitolo
appassionante e allo stesso tempo inquietante.
L
EL 2015 CISIASPETTANO scelte politiche
forti sulle emissioni di gas serra, anche in seguito agli accordi bilaterali
tra Stati Uniti e Cina dello scorso anno. Scelte che dovrebbero arrivare con la Conferenza sul clima di Parigi che si aprirà il 30 novembre. A quell’appuntamento la scienza dovrà arrivare con nuovi modelli climatici che permettano di avere informazioni locali e dettagliate. Senza trascurare i modelli globali, sono
necessarie analisi sul piano locale, perché l’impatto del cambiamento climatico è molto diverso da regione a regione. E questi modelli dovranno permettere di valutare non solo le conseguenze ambientali, ma anche quelle socioeconomiche dei mutamenti in atto.
Dal punto di vista scientifico, l’attenzione
sarà puntata sullo studio delle aree più fragili,
come l’Artico, le regioni costiere, le barriere coralline. Ma occorrerà concentrarsi anche sull’incremento degli eventi meteorologici estremi, di cui fino a oggi molti modelli climatici non
riuscivano a tenere conto.
EDOARDO
BONCINELLI
GENETISTA
E RICERCATORE
LA DOMENICA
la Repubblica
DOMENICA 25 GENNAIO 2015
36
Sapori. Per gastronauti
UN SECOLO ESATTO
DOPO L’INVENZIONE
RIVOLUZIONARIA
DEL PYREX,
CIOÈ IL VETRO
BOROSILICATO
DELLE PIROFILE,
LA TECNOLOGIA
OFFRE OGGI TANTI
ALTRI STRUMENTI
SOFISTICATI
E GENIALI
PER COTTURE
SEMPRE PIÙ
SORPRENDENTI.
A SAPERLI USARE
8
utensili
di precisione
Coravin
Ha un ago sottilissimo che perfora
capsula e tappo insufflando argon
(un gas naturale) e facendo defluire
il vino. Il contenuto della bottiglia,
senza ossigeno, si conserva intatto
per anni
L’appuntamento
Si svolgerà dall’8 al 10 febbraio
a Milano l’undicesima edizione
di Identità Golose, congresso
internazionale di cucina
d’autore. Tra i temi, la cucina
estrema declinata da alcuni
tra i più creativi cuochi italiani
e internazionali, come Paolo
Lopriore e Daniel Burns
Abbattitore domestico
Nato sull’onda del rischio anisakis
(parassita del pesce che muore
sotto i -18° e sopra i 72°), surgela
così rapidamente da formare
micro-cristalli di ghiaccio, che non
rovinano la consistenza della polpa
Il festival
Sifoni, essiccatori e cotture
sottovuoto saranno protagonisti
in cucina lunedì prossimo
in occasione di “Tour-tlen il festival del tortellino” che ogni
anno mette a confronto le ricette
tradizionali e creative di otto
tra i migliori chef della scena
bolognese e modenese
Caramellizzatore
Metà cannello della fiamma ossidrica
e metà pistola, caricato a gas butano,
sprigiona una fiamma regolabile,
ideale per caramellizzare la crème
brûlée, scaldare, scottare le superfici
di pesci e carni
La cucina hi-tech.
Addio vecchio mattarello
tutto ilpotere a iGrill
abbattitori emicroplane
“U
LICIA GRANELLO
Il libro
In doppia edizione, italiana
e inglese, il primo libro
di Massimo Bottura si intitola
“Vieni in Italia con me”:
racconta la storia e l’evoluzione
del cuoco italiano che più di tutti
ha saputo interpretare la cucina
di territorio adattandola ai gusti
del nuovo millennio
iGrill
Sincronizzato con la app dedicata,
il termometro digitale connesso
via Bluetooth permette di controllare
le temperature di cottura direttamente
dallo smartphone e di modificare
eventualmente i gradi
NA PYREX È PER SEMPRE”. Se esistono punti di non
ritorno nella storia dell’evoluzione in cucina,
uno è sicuramente fissato all’inizio del 1915,
quando le primissime pirofile in vetro borosilicato furono immesse sul mercato.
Un secolo dopo, la magia del vetro che resiste al freddo e al fuoco desta ancora un piccolo
brivido. Negli anni, abbiamo imparato a leggere i libri sui tablet e a programmare intere
serie televisive con un clic sullo smartphone.
La tecnologizzazione di utensili e stoviglie ci
affascina come l’affaccio su una nuova frontiera. Malgrado la crisi persistente, il successo di reality e tutorial televisivi ha trasformato i negozi di utensili da cucina — upgrade dei buoni, vecchi empori di casalinghi — in luoghi di culto gastronomico, dove spendere
tempo e denaro per ispirarsi, vuoi in cimenti personali, vuoi in regali mirati. Il guaio è che abbiamo conservato la memoria degli attrezzi da cucina
tradizionali, senza più saperli (o volerli) usare, ma ancora fatichiamo a
la Repubblica
DOMENICA 25 GENNAIO 2015
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Così creai
il gelato
al fumo
di sigaro
JOAN R OCA
M
Big Green Egg Mini
Il più piccolo dei barbecue
in commercio (diametro interno
di 25 centimetri) ha pareti e coperchio
di ceramica e temperatura finemente
regolabile. Può funzionare da grill,
affumicatore o per cotture lente
Bilancino digitale
Un tempo solo ad appannaggio
degli orafi, il bilancino che misura
a partire da 0.01 grammi (fino a 100120 grammi) calcola le grammature
minime di polveri addensanti
per le ricette della nuova cucina
Alla giusta
temperatura
Bistecca di manzo
alla griglia
cotta sul barbecue,
con termometro
per carne
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Microplane
Utilizza il sistema delle raspe
da falegname, la grattugia speciale
che polverizza o taglia a scaglie
finissime — a seconda delle lame —
regalando un effetto nuvola a tartufi,
agrumi, noce moscata
DISEGNI DI ANNALISA VARLOTTA
maneggiare con disinvoltura i nuovi gioielli della tecnologia casalinga. Così, mandati in soffitta mattarelli e trinciapolli, guardiamo con ansia da prestazione culinaria i nuovi chef che soffiano, evaporano, essiccano, addensano come piccoli chimici cresciuti.
Eppure, la gastro-tecnologia è un supporto straordinario per una cucina
più buona, sana, diversa. Se la generazione dei cuochi cinquantenni è stata illuminata dalle intuizioni geniali di Ferran Adrià e Joan Roca, quella successiva cerca di trovare la sintesi tra sperimentazione e semplicità. Gusti
netti, puliti, a volte anche inconsueti, estratti ed esaltati grazie ai nuovi
strumenti. La ricerca ha spesso la faccia e il genio di artigiani con la passione del cibo addosso. Il veronese Paolo Schirò, da venticinque anni nel
campo delle macchine per la cucina, ama le verdure. La bollitura le uccide,
il vapore mitiga i danni, il microonde abbrevia i tempi di cottura, ma non
entusiasma. La cottura sottovuoto è inapplicabile alle foglie (spinaci, erbette...) che ne escono snervate e malamente appiattite.
La soluzione è una teglia in acciaio con coperchio, valvola per estrarre
l’aria e termometro digitale. Tra i primi a credere nell’invenzione di Schirò,
la famiglia Baudracco, storica proprietaria di una delle migliori gastronomie d’Italia (a Torino). I Baudracco provano, scoprono che i pesci riescono
morbidissimi, gli arrosti succulenti, le verdure verdi e croccanti come appena colte, pur se cotte, con volume e consistenza intatti. I clienti, deliziati e stupiti, non capiscono come si possa ottenere una cottura tanto speciale. Nei prossimi mesi, la teglia con sottovuotatore Tecla verrà lanciata
in formato domestico. Discorso analogo per il vino. I Ceretto, famiglia di barolisti illustri, hanno deciso di importare l’utensile ideato da Greg Lambrecht, ingegnere biomedico americano innamorato del vino. La gravidanza della moglie — costretta a limitare l’assunzione di alcol — l’aveva
messo di fronte a un bivio: smettere di aprire le bottiglie migliori o lasciarle aperte a metà. L’idea di utilizzare un ago da endovena per forare il tappo senza danneggiarlo si è trasformata in un prototipo sperimentato su vini importanti, invecchiati. A distanza di cinque anni, nessuna differenza
dal primo assaggio. E il Coravin è stato messo in produzione. Tempi duri
per l’aceto fatto in casa.
Piastra di sale
Arriva dalle saline dell’Himalaya
la mattonella rosa che una volta
scaldata sul fuoco basso o in forno
(200°C) cuoce senza bruciare
e mantiene a lungo il calore. Ottima
anche per servire il pesce crudo
ALGRADO I MIEI FRATELLI E IO
siamo nati e cresciuti in
una famiglia di ristoratori
molto tradizionali, negli
ultimi anni abbiamo
sviluppato tecniche che hanno rinnovato
il Dna del nostro ristorante, dando al
tempo stesso, credo, un contributo alla
cucina contemporanea.
Abbiamo impostato il nostro lavoro —
Josep nel mondo del vino e
dell’accoglienza, Jordi in pasticceria e io
in cucina — affascinati dall’idea di
inseguire il non evidente. Nascondere la
tecnica per potenziare il sapore, come in
un gioco di specchi. Abbiamo cominciato
a studiare il sottovuoto nel 1997,
sviluppando un termostato a
immersione termica, il Roner, per il
controllo della temperatura dell’acqua di
cottura. In questo modo, si sono allungati
i tempi e abbassati i gradi, attuando delle
cotture lente e delicate. Quattro anni più
tardi, è stata la volta di una macchina in
grado di aspirare il fumo di un sigaro e
insufflarlo nella gelatiera, per avere in
bocca il sapore del fumo di un sigaro
Avana. Il dolce in cui abbiamo messo in
pratica questa tecnica, “Viaggio a
L’Avana”, composto da un finto sigaro di
cioccolato riempito con gelato
mantecato al fumo, è uno dei dessert a
cui siamo più legati. Un’altra tecnica che
ci è molto cara è quella dello zucchero,
soffiato e modellato come un vetro di
Murano, colorato con l’aerografo e
farcito con una mousse ricavata dalla
polpa del frutto imitato, come l’albicocca.
Nel 2005 abbiamo poi ideato il Rotaval,
ovvero un distillatore sottovuoto a bassa
temperatura, così da non bruciare gli
aromi. Il piatto-simbolo di questa
innovazione è l’ostrica con distillato di
terra. L’ostrica è protagonista anche
della texturizzazione dello spumante
spagnolo, il Cava: una tecnica che
permette di addensare il vino, facendone
una salsa di accompagnamento, senza
disperdere l’anidride carbonica al suo
interno. Il vino abbiamo imparato anche
a cuocerlo davanti ai nostri clienti,
trasformandolo in vapore per profumare
un determinato piatto. La nostra nuova
sfida si chiama ora Tierra Animada:
vogliamo distillare l’anima del nostro
ambiente botanico — piante, foglie, fiori,
steli e radici — elaborando oli essenziali,
profumi e distillati. Per far questo,
abbiamo inserito nella nostra squadra un
botanico, due chimici e un alchimista. Il
nostro intento è coinvolgere tutti i sensi
di chi si siede ai nostri tavoli, dando
piacere e facendo riflettere sulla
meraviglia dei cibi che madre Natura ci
mette a disposizione.
(Traduzione di Luis E. Moriones)
Joan Roca gestisce insieme ai fratelli
“El Celler de Can Roca” di Girona,
tre stelle Michelin
e al secondo posto nella classifica
“The World’s 50 Best Restaurants”
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LA DOMENICA
la Repubblica
DOMENICA 25 GENNAIO 2015
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L’incontro. Bestsellers
NON BASTA DIRE:
SCRIVERE
MI DIVERTE
SE IO DICESSI
MIA MOGLIE
MI PIACE
DIREI LA COSA
SBAGLIATA.
LA FRASE GIUSTA È:
AMO MIA MOGLIE
COSÌ È ANCHE
PER LA SCRITTURA.
NON È
IL DIVERTIMENTO
LA MOLLA,
È LA NECESSITÀ
“Vengo da una famiglia del Galles molto religiosa. A quindici anni
cominciai a cercare nei filosofi la risposta ai grandi interrogativi:
esiste Dio? La Bibbia è vera? Durò poco, le risposte trovate mi hanno convinto a diventare ateo e laburista” racconta lo scrittore da
centocinquanta milioni di copie vendute nel mondo. Che qui parla
di welfare (“la ricetta? il sussidio di disoccupazione”), Obama (“è
vero che i neri vengono ancora mo».
Una professione di fede a tutti gli effetti, non c’è che dire. La parola “festrappa a Follett un sorriso. «Vengo da una famiglia molto religiosa e
cominciai presto a discutere di religione con mio padre. A quindici anni ho
ammazzati per strada da poli- de”
cominciato a cercare nei filosofi la risposta alle grandi domande: esiste Dio?
La Bibbia è vera? Grazie alla filosofia ho trovato una risposta importante:
ateo. Non credo alla fede perché mi chiede di credere senza prove, e
ziotti bianchi, ma almeno adesso sono
io senza prove non credo a niente. Peraltro, ne I pilastri della Terra ho raccontato un prete profondamente animato da una vera fede. Padre Philip
la cattedrale per la gloria di Dio. È il mio personaggio più riuscifanno notizia”) e generi letterari: costruisce
to». Pausa. «Ironia», precisa, tanto per essere chiari.
Se politica e filosofia scaldano mister Follett, cancellando quell’iniziale
di educato distacco, parlare di scrittura lo eccita. «Potrei dire:
“Preferisco il thriller al mistery sensazione
scrivere mi diverte. Ma non basta. Se io dicessi: mia moglie mi piace, direi
la cosa sbagliata. La frase giusta è: amo mia moglie. Amore. Così è per la
Non è il divertimento la molla. È la necessità. Scrivere coinvolge
perché nel thriller la domanda scrittura.
l’intero mio essere».
Ma non c’è amore, naturalmente, senza metodo. «In genere parto da una
che mi colpisce. Una volta catturata l’idea, spendo molto temnon è chi è stato oppure ce la situazione
po a preparare il progetto del libro, anche sei mesi, un anno. Alla fine ho
uno schema di una settantina di pagine dal quale non mi distacco mai. Ho
tutto in mente prima ancora di scrivere la prima parola. Mi tengo fedele alfarà? Bensì: ce la farò? “
lo schema, ma mi prendo tutto il tempo del mondo per scrivere». Scrittore
puro, Follett considera con benevola tolleranza i numerosi adattamenti
Ken
Follett
G I A NCA RLO DE C AT A LDO
K
ROMA
EN FOLLETT ADORA IL BLUES. Suona il basso a orecchio «da quan-
do ero alto così». A sentire quelli di Mondadori (il suo editore italiano) quando Ken si lascia andare è un vulcano. In questa mattina di pioggia, però, sprofondato in una poltrona nella “Sala delle Capre” dell’elegante hotel Hassler Medici di
Trinità dei Monti, con la chioma candida, l’aria concentrata, l’impeccabile grisaglia con cravatta e fazzoletto al taschino e una altrettanto impeccabile pronuncia posh, più che uno scatenato bluesman, Follett sembra il ritratto vivente del perfetto gentiluomo anglosassone. Distaccato, lucido, ironico. In ogni caso, l’inglese rotondo e vagamente affettato dell’upper class sorprende in un figlio del Galles minerario. Per giunta orgogliosamente socialista. «Sono laburista, da
sempre. Non proprio un amico di Blair, se vuole saperlo. E comunque l’antipatia era ricambiata. Il Ventesimo secolo è stato
il secolo della grande socialdemocrazia. Welfare, istruzione e sanità per tutti: non riesco a pensare a un modello migliore. La bestia nera dei reazionari: il popolo legge, si istruisce, vuole progredire. Tutto questo è molto più pericoloso di qualunque rivoluzione.
Il comunismo, che predicava la rivoluzione, è stato un fallimento totale».
Toni piacevolmente controcorrente, oggi che welfare suona quasi come una parolaccia. Follett scuote la testa. «Le dirò:
IL ROMANZO STORICO CI FA SCOPRIRE CHE PERSONE
TANTO LONTANE NEL TEMPO AVEVANO LE NOSTRE
STESSE ESIGENZE: SPOSARSI, FARE FIGLI, LAVORARE,
MA IN UN CONTESTO MOLTO PIÙ FEROCE. COSÌ
CI CHIEDIAMO: E IO, COME MI SAREI COMPORTATO?
sono convinto che in un momento di crisi come questo la
chiave per salvare il welfare sia nel sussidio di disoccupazione. E le dirò un’altra cosa: abbiamo il sussidio, possiamo
permettercelo, grazie al vituperato capitalismo. Proprio
perché produciamo ricchezza possiamo farci carico degli
strati più bassi della società. Tuttavia, il capitalismo ha bisogno di un principio di temperamento, non può essere lasciato
a se stesso. Senza la socialdemocrazia, il capitalismo è fuori
controllo. Dobbiamo riprenderci il welfare, vigilare perché non
venga distrutto. Ma io non riesco a essere pessimista. Ce la fare-
delle sue opere letterarie. «Nella serie tratta dai Pilastri ho recitato nella
piccola particina di un mercante francese. Ma la serie l’hanno fatta senza
di me. In genere mi tengo alla larga dalle trasposizioni cinematografiche
o televisive delle mie opere. A volte vengono bene, altre meno. Però La cruna dell’ago è un gran film. Sono uno scrittore solitario, la fiction è un’attività di gruppo, perderei tempo e ne farei perdere agli altri». Fra thriller e
mistery non ha dubbi: la sua preferenza va al primo. «Nel mistery la domanda è: chi è stato? Come fare a prenderlo? Ce la farà? Nel thriller la domanda è: ce la farò? È questo che mi interessa. Per esempio, in Una fortuna pericolosa fui ispirato dalla vicenda di un banchiere vittoriano finito in
miseria, abbandonato da tutti, letteralmente costretto a lavarsi da sé la
biancheria, una disperazione totale, insomma. Ma nello stesso tempo questo ex potente caduto in disgrazia è finalmente costretto a misurarsi con
la realtà. E a porsi la domanda fatidica: ce la farò?». È la stessa domanda delle grandi epopee storiche che Follett ama reinventare. «Nel romanzo storico c’è un nucleo maledettamente affascinante. Sta nello scoprire che le
vite di persone tanto lontane da noi nel tempo, in fondo, rispondono alle
nostre stesse esigenze di oggi: sposarsi, fare figli, lavorare, sopravvivere,
ma in un contesto molto più feroce, brutale. Perciò la domanda è: io, trasportato in quel tempo, come mi sarei comportato? Ce l’avrei fatta?».
La sua ultima fatica, I giorni dell’eternità, che chiude la monumentale
trilogia del secolo passato, è una grande narrazione che dagli anni Sessanta
arriva sino ai giorni nostri. «Anche questo è un romanzo storico, con qualche tratto autobiografico. Io c’ero, per dire, alle manifestazioni contro la
guerra del Vietnam. Il romanzo è percorso da una dialettica continua fra
conservazione e cambiamento. Anche se nel cambiamento ci possono es-
NELLA SERIE TRATTA DAI “PILASTRI”
HO FATTO UNA PARTICINA, MA IN GENERE
MI TENGO LONTANO DALLE TRASPOSIZIONI
SU PICCOLO E GRANDE SCHERMO
PERÒ “LA CRUNA DELL’AGO” È UN GRAN FILM
sere tanti errori, gli uomini cambiano, e senza cambiamento c’è solo
morte. Prenda l’Europa: sino a metà del secolo scorso tedeschi e francesi si combattevano senza tregua. Oggi sono alleati in un grande
progetto politico comune. Cambiamento, cambiamento. Negli anni
della Guerra Fredda i più conservatori erano i comunisti. Non volevano saperne del cambiamento. Il peggio viene dopo Kruscev,
quando è chiaro che il sistema agonizza, ma loro non intendono ragioni. E tuttavia, quello di Kennedy e di Kruscev era
un tempo di grandi speranze. Si confrontavano caratteri
complessi, ma di grande intelligenza. Kruscev era un uomo abile. I Kennedy erano amabili e cinici. Tutti insieme
salvarono il mondo dalla crisi di Cuba». E chissà come sarebbe andata a finire, senza il piombo di Dallas. Follett
si concede una bella risata. «Chiesi una volta a Gore Vidal: ma che sarebbe successo se JFK non fosse stato ucciso a Dallas? Lui rispose: Onassis non avrebbe sposato
la vedova. Comunque, senza i Kennedy non ci sarebbe
stato Obama, il primo presidente nero della storia americana. Una svolta epocale». E come la mettiamo con la polizia razzista, la rabbia dei neri e via dicendo? Sembra che
sia cambiato poco o niente, in realtà. «Al contrario. È cambiato tutto. L’elezione di Obama ha mandato su tutte le furie i conservatori. Cinquant’anni fa se un poliziotto bianco
uccideva un nero era un fatto normale, oggi se ne parla in
tutto il mondo, dall’Asia all’Europa. Continuo a essere ottimista». E allora perché non salutare i lettori con una frase
ottimistica? Follett allarga le braccia. «Una frase? Ma come
può uno come me abituato a scrivere minimo tremila pagine?
Poche parole non è il mio campo, sorry».
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Carlo Rambaldi, papà di ET, aveva un sogno