Anno XI - Numero 36 - 17 giugno 2005 L’Intervista Parla il Regista Renzo Giacchieri A Pag 2 Orientalismo Francese Il raffinato esotismo di Thaïs A Pag 7 Prix de Rome Il concorso con soggiorno a Roma vinto da Massenet A Pag 8 - 9 e 10 Romanzo e Libretto Le differenze tra le due Thaïs A pag. 11 THAÏS di Jules Massenet Thaïs 2 Il Parla Renzo Giacchieri che ha ripreso la regia di Samaritani Stagione Estiva Un allestimento storico senza pesantezze brechtiane fiori di tulle compresi che si e stare in scena di quegli anni ’Opéra di Parigi erano interamente schiacciati. di contestazioni. Abbiamo appare all’apertura Poi, a distanza di 27 anni era anche tolto i sei prostituti che della scena. Un paril caso di ricostruire la regia in quell’allestimento volevano allelo, che in una immagcon una visione meno rappresentare una provoine racconta la storia della brechtiana: è finito il tempo cazione. Oggi questo non ha Thaïs: una danzatrice cortidel teatro nel teatro. In genpiù senso. Purtroppo i travesgiana nell’Alessandria del erale abbiamo modificato titi, i viados li vediamo ogni IV Sec. d.C.; una ballerina giorno all’angolo corrotta nella Parigi delle nostre stradell’800 ed anche de. Abbiamo invequel teatro dove ce lasciato la bell’opera ebbe il suo lissima immagine debutto il 16 marzo dell’Opéra all’inizio 1894. L’opera è ed anche leggermessa in scena mente alla fine, su nella sua seconda quei grandi respiri versione, quella che accompagandata in scena nano il finale». nella ripresa parigiMa la storia na del 13 aprile potrebbe avere 1898 al Palais Renzo Giacchieri con il soprano Amarilli Nizza un finale positiGarnier, quattro anni poche cose, solo per necessità vo, al di la del libretto: dopo il debutto. Ci sono sei sceniche. Insomma abbiamo «Nel balletto del secondo cambi di quadro, brevissidato un soffio per buttar via la atto, dopo la “Meditation”, mi, e due intervalli. A polvere, un soffio per tagliare ho chiesto al coreografo nel dirigere è il maestro le cose invecchiate, ridando divertissment di riprendere 47enne francese Pascal una grande eleganza al tutto la vicenda con un finale triRophé, della scuola di togliendo – come detto – quelonfante dove Thaïs è salva. Pierre Boulez, al suo la freddezza brechtiana di Ma è solo, appunto, un debutto nella direzione di allora. Questo anche per il divertissment». un’opera in Italia. A Roma modo disarmonico di muoverAndrea Marini ha diretto solo a Santa Cecilia. Ci sarà anche il debutto nel ruolo della protagonista della bella Teatro Costanzi, 17 – 25 giugno 2005 soprano milanese Amarilli Nizza che a Roma abbiamo ascoltato nel Tabarro Comédie lyrique in tre atti e sette quadri (Giorgetta) e nel ruolo dal romanzo di Anatole France Libretto di Louis Gallet della protagonista in Musica di Jules Massenet Francesca da Rimini. In scena, nel balletto, sarà Prima rappresentazione: Parigi, Opèra, 16 marzo 1894 anche Carla Fracci. Maestro concertatore e Direttore Pascal Rophé L’allestimento del Teatro Maestro del coro Andrea Giorgi dell’Opera di Roma è lo Allestimento di Pier Luigi Samaritani Riproposto da Renzo Giacchieri stesso del 1978, firmato da Coreografia Wayne Eagling Pier Luigi Samaritani, …o Disegno luci Patrizio Maggi quasi. «Dopo la scomparsa di Personaggi / Interpreti Samaritani, di questo allestiAtanaele, Cenobita (Bar) Patrice Berger / mento non esisteva una Louis Otey / (18, 21, 23/6) Nicia, giovane filosofo Sibarita (T) Claudio Di Segni / memoria storica, non c’erano Valeriano Gamghebeli (18, 22, 24/6) libri di regia o note varie», Palemone, vecchio Cenobita (B) Armando Caforio / dice Renzo Giacchieri, che Roberto Nencini (22, 23, 24, 25/6) Un servo (Bar) Mario Bertolino ha ripreso la regia per Thaïs, Commediante e Cortigiana (S) Amarilli Nizza / questa occasione. «Abbiamo Danielle Streiff (18, 22, 24, 25/6) dovuto ricostruire le idee da Crobila, schiava (S) Orit Gabriel Mirtale, schiava (Ms) Géraldine Mélac foto, da interviste, come poteAlbina,Abbadessa (Ms) Anna Schiatti vamo. Poi le scene. Alcune La incantatrice (S) Magalie Léger / erano molto rovinate, dei parLetizia Colajanni (22, 23, 24, 25/6) ticolari si erano persi. C’è ORCHESTRA, CORO E CORPO DI BALLO DEL TEATRO DELL’OPERA voluta la migliore pazienza ed Allestimento del Teatro dell’Opera abilità dei laboratori del In lingua originale con sovratitoli in italiano Teatro per ricreare il tutto, L ~~ La Locandina ~ ~ THAÏS Giornale dei Grandi Eventi alle Terme di Caracalla 5 e 6 luglio ROMEO E GIULIETTA balletto su musica di Sergej Prokof’ev da William Shakespeare Coreografia: Jean-Cristophe Maillot Interpretato dalla Compagnia Les Ballet de Monte-Carlo Dal 9 luglio MADAMA BUTTERFLY opera in tre atti su musica di Giacomo Puccini Donato Renzetti Direttore: Dal 23 luglio AIDA opera i quattro atti su musica di Giuseppe Verdi Placido Domingo / Stefano Reggioli Nuovo allestimento Direttore: Dal 10 agosto IL LAGO DEI CIGNI balletto in quattro atti su musica di Pêter Ciaikovskij Allestimento del Teatro dell’Opera Al Costanzi si torna a settembre 22 – 29 settembre LE NOZZE DI FIGARO di Wolfgang Amadeus Mozart Direttore: Gianluigi Gelmetti Anna Rita Taliento, Laura Cherici, Marco Vinco, Laura Polverelli Regia e Scene: Quirino Conti NUOVO ALLESTIMENTO DAS RHEINGOLD (L’Oro del Reno) di Richard Wagner Direttore: Will Humburg Ralf Lukas, Kristian Frantz, Hartmunt Welker, Katia Litting, Hanna Schwarz, Eva Matos Regia, Scene e Costumi: Pier’ Alli ALLESTIMENTO TEATRO ALLA SCALA In lingua originale con sovratitoli 18 – 25 ottobre 23 Novembre – 1 Dicembre LA SONNAMBULA di Vincenzo Bellini Direttore: Bruno Campanella Stefania Bonfadelli, Nina Makarina Dimitri Korchak, Enzo Capuano Regia: Pier Francesco Maestrini Il G iornale dei G randi Eventi Direttore responsabile Andrea Marini Direzione Redazione ed Amministrazione Via Courmayeur, 79 - 00135 Roma e-mail: [email protected] Editore A. M. Stampa Tipografica Renzo Palozzi Via Vecchia di Grottaferrata, 4 00047 Marino (Roma) Registrazione al Tribunale di Roma n. 277 del 31-5-1995 © Tutto il contenuto del Giornale è coperto da diritto d’autore Kodak Le fotografie sono realizzate in digitale con fotocamera Kodak DC290 Il Thaïs Giornale dei Grandi Eventi D opo quasi un mese e mezzo di pausa, l’opera torna sul palcoscenico del Teatro Costanzi. Questa volta in scena Thaïs, commedia lirica in tre atti e sette quadri di Jules Massenet. Un’opera di grande bellezza e liricità, che però non è facile ascoltare: prima di oggi a Roma è stata rappresentata solo sei volte (1907, 1915, 1917, 1921, 1946 e 1978) e soltanto tre volte è andata in scena in Italia nel dopoguerra, a Roma e Torino con questo allestimento del Teatro dell’Opera di Roma ed a Venezia con regia e scene di Pier Luigi Pizzi. La storia della cortigiana redenta (di cui parla anche Dante nell’Inferno della Divina Commedia), con i suoi moti interiori, lascia spazio ad una grande forza drammatica e lirica che la musica di Massenet riesce ad esaltare, riuscendo a toccare momenti di grande poesia, di grande introspezione psicologica nel continuo confronto-scontro tra l’amore terreno e quello spirituale. L’opera del musicista francese, il quale trascorse un lungo periodo a Roma presso l’Accademia di Francia a Villa Medici che lo vide anche vincitore del prestigioso Prix de Rome, andò in scena per la prima volta all’Opéra di Parigi il 16 marzo 1894 senza grande successo di pubblico. Successo che arrivò, invece, cinque anni dopo, il 13 aprile 1898 quando fu riproposta al Palais Garnier con la correzione da parte dell’autore di alcune parti e la sosti- 3 tuzione di altre con balletti, versione che è poi quella che è in scena qui al Costanzi in edizione integrale. Sul podio questa volta il maestro francese Pascal Rophé, al suo debutto con un’opera in Italia. A Roma ha già diretto solo a Santa Cecilia. L’allestimento ideato nel 1978 per l’Opera di Roma da Pier Luigi Samaritani è stato ripreso da Renzo Giacchieri con alcune piccole modifiche. Il ruolo di Thaïs, commediante e cortigiana, è affidato alla bella Amarilli Le Repliche Sabato 18 giugno, ore 18.00 Domenica 19 giugno, ore 17.00 Martedì 21 giugno, ore 20.30 Mercoledì 22 giugno, ore 20.30 Giovedì 23 giugno, ore 20.30 Venerdì 24 giugno, ore 20.30 Sabato 25 giugno, ore 18.00 Nizza e Danielle Streiff, mentre quello di Atanaele a Patrice Berger e Louis Otey. L’opera è presentata in lingua originale, il francese, con sovratitoli in italiano. L’opera di Jules Massenet solo 3 volte in Italia nel dopoguerra Thaïs, la redenzione di una cortigiana L a vicenda si svolge nella Tebaide e ad Alessandria d’Egitto nel IV Sec. d.C ATTO I – L’affascinante danzatrice Thaïs è responsabile, secondo il cenobita Atanaele di condurre all’immoralità ed alla lussuria i giovani della città di Alessandria, spingendoli al culto di Afrodite. Per questo Atanaele, deciso a redimere la donna, lascia la Tebaide, presso le rive del Nilo, alla volta di Alessandria, dove è ospitato dall’amico Nicia, al momento amante di Thaïs. Durante un banchetto organizzato in onore della cortigiana, l’asceta ammonisce la donna a cambiar vita, abbandonando i costumi dissipati. Ella, apparentemente noncurante, si esibisce nella pantomima degli amori di Afrodite, La Trama ma poi tenta di avvicinare Atanaele, che si allontana promettendole di aiutarla a ritrovare la propria dignità. ATTO II – Durante un colloquio con Atanaele, il quale comincia ad essere turbato dalla bellezza della donna, Thaïs è illuminata sull’importanza dell’amore eterno (qui è una pagina di grande lirismo – la Méditation - con un Andante per violino con accompagnamento d’arpa, che ben descrive il cambiamento spirituale) e decide di seguire il consiglio del cenobita di lasciare tutte le sue ricchezze terrene per ritirarsi nel convento delle monache, retto dalla romana Albina. Thaïs, ormai redenta, porge un canto d’addio alla statuetta dell’Eros fanciullo. Per un taglio radicale con il passato, la casa di Thaïs è data alle fiamme, mentre Atanaele comunica a Nicia che la donna d’un tempo non esiste più. Thaïs esce vestita di una semplice tunica. Nicia distrae i presenti regalando loro monete preziose, poi saluta la donna commosso. ATTO III – Il monastero si trova nei pressi di un’oasi nel deserto. Thaïs, accompagnata da Atanaele, giunge stremata all’oasi. In lontananza si ode il Pater Noster recitato dalle monache. E’ il momento della separazione. Thaïs è accolta nel monastero da Albina e dalle altre monache, mentre Atanaele torna nella Tebaide. Ma nella sua capanna il cenobita si accorge di rivolgere continuamente i propri pensieri alla donna che ha redento e che nel monastero, tra preghiere e meditazioni, ha trovato la serenità interiore. Egli però una notte nel sonno sogna la donna morente. Svegliatosi di soprassalto, si precipita da lei. Thaïs, stremata da tre mesi di penitenza, è ormai sulla via della santità, distaccata dalle cose terrene. Distesa su un letto nel giardino del convento, vedendo Atanaele gli manifesta riconoscenza per averla riportata verso la fede ed assorta in una dolce estasi muore tra le braccia dell’uomo, senza udire le parole con cui l’angosciato Atanalele le proclama in extremis il proprio amore. Il Giornale dei Grandi Eventi Thaïs 5 Amarilli Nizza e Danielle Streiff Patrice Berger e Luis Otey Thaïs, danzatrice e cortigiana L’anacoreta Athanaël I l ruolo di Thaïs sarà interpretato dalla milanese Amarilli Nizza (17, 19, 21, 23 giugno) e dalla francese Danielle Streiff (18, 22, 24, 25 giugno). Amarilli Nizza ha vinto giovanissima il concorso per giovani voci Maria Battistini; ha esordito come protagonista in Madama Butterfly al Teatro F. Vespasiano di Rieti, cantando in seguito presso importanti teatri e festival di livello internazionale. Ha interpretato i ruoli di Mimì (la Bohème), della Tosca, di Giorgetta e Suor Angelica (il Trittico), dell’Aida, di Violetta (la Traviata), di Adriana Lecouvrier, di Luisa Miller, di Elena (i Vespri Siciliani). Di particolare rilievo sono i successi che ha ottenuto nel 2001 come Aida presso i teatri di Atene, Macerata, Rovigo, Pisa, Trento e negli anni seguenti come Tosca a Lecce, Parma e Tokyo. Al Teatro dell’Opera di Roma l’abbiamo ascoltata come Giorgetta ne Il Tabarro per Amarilli Nizza l’inaugurazione della stagione 2002 diretta dal maestro Gelmetti. Nel 2003 il suo debutto – sempre all’Opera di Roma nel ruolo di protagonista in Francesca da Rimini diretta da Donato Renzetti. Sempre nel 2003 ha debuttato in Aida a Berlino, ottenendo il premio del pubblico del Deutsche Oper, e nel 2005 ne I Masnadieri di Verdi, presso l’Opéra Royal de Wallonie Liegi. Danielle Streiff, francese, si è diplomata con il massimo dei voti al CNR di Bordeaux in canto. Notata dal direttore dell’Opéra parigina B.Lefort, ha studiato altri quattro anni all’Ecole d’Art Lyrique de l’Opéra de Paris Garnier, debuttando accanto a personalità del calibro di N. Ghiaurov e G. Strehler. E’ grande conoscitrice delle opere di Massenet; in particolare ha registrato Amadis con l’orchestra dell’Opéra di Parigi e l’opera religiosa La Vierge. Ha cantato sui palcoscenici di Pittsburgh (su invito di L. Maazel), di Los Angeles (invitata da P. Domingo), di Wallonie, di Maastricht, di Tokyo, di Osaka oltre che nei principali teatri francesi. In Italia ha cantato all’Arena di Verona nel ruolo di Blanche nei Dialogues des Carmélites di Poulenc; inoltre si è esibita a Trieste, a Napoli, a Catania. A Roma nel dicembre scorso ha sostenuto la parte della protagonista Rosalinde ne Il Pipistrello. Torna a Roma come Thaïs, ruolo tanto caro a Georges Pretre, il quale ascoltandola le assegnò il ruolo nel film omonimo. Claudio Di Segni e Valeriano Gamghebeli Nicia, giovane filosofo amante di Thaïs I tenori che interpreteranno Nicia sono rispettivamente Claudio Di Segni (17, 19, 21, 23, 26 giugno) e Valeriano Gamghebeli (18, 22, 24 giugno). Claudio Di Segni, nato a Roma nel 1958, si è diplomato presso il Conservatorio di S. Cecilia, proseguendo gli studi con G. Morelli e presso il Mozarteum di Salisburgo. Ha vinto concorsi importanti (il concorso internazionale Toti Dal Monte, il concorso Mattia Battistini di Rieti, il concorso Briccialdi di Terni). Ha cantato con regolarità al Teatro dell’Opera di Roma, debuttando nel 1988 nel Poliuto di Doninzetti come protagonista; nel 1989 ha cantato la prima assoluta di Charlotte Corday di Ferrero diretto da Roberto Abbado. Si è esibito in Falstaff, ne I dialoghi delle Carmelitane di Poulenc, nel Rigoletto, nella Bohème, in Adina di Rossini. Oltre che nei principali teatri italiani, si è esibito all’estero a Stoccolma, al Festival di Montpellier e Radio France, a Israele, a Pretoria, ad Osaka. Nell’estate del 2000 è stato Cavaradossi in Tosca allo Stadio Olimpico di Roma. Ha doppiato, nella versione italiana, il ruolo tenorile del filn The Phantom of the I l personaggio di Athanaël avrà la voce dei baritoni Patrice Berger (17, 19, 22, 24, 25 giugno) e Luis Otey (18, 21, 23 giugno). Patrice Berger ha scoperto il canto solo dopo i suoi studi di tuba e direzione d’orchestra presso il Conservatoire National Supérieur di Parigi. Ha studiato con J.P. Blivet ed è risultato vincitore di numerosi concorsi internazionali, tra i quali l’internazionale di Marmande, il Tournoi des Voix d’Or, il concorso di Saint-Chamond e quello di Beziers. Ha debuttato come Monterone in Rigoletto al Festival Lirico di Nevers ed si è esibito, oltre che sulle scene francesi, sui palcoscenici di Amsterdam, Liège, Brescia, Roma. Padroneggia un Amarilli Nizza e Patrice Berger vasto repertorio di opere francesi ed italiane. Louis Otey ha calcato le scene dei maggiori teatri del mondo: si è esibito nel ruolo di Don Giovanni per Opera di St Louis, di Houston, di Graz (Austria), del Connecticut, di Hamilton e di Indianapolis; ha debuttato in Europa (a Basel, in Svizzera) nel ruolo del protagonista nell’Eugene Onegin, cantando poi in Francia, Germania, Inghilterra. Particolarmente prestigiose le sue esibizioni come Figaro e Danilo ne La Vedova allegra con la New York City Opera, come Marcello nella Bohème ed ancora come Danilo con la Dallas Opera, come Scarpia in Tosca a Forth Worth; come Einstein, infine, nel Die Fledermaus con la Lyric Opera of Chicago, l’Opera de Montreal, il Teatro Comunale di Firenze, la Royal Opera House e il Covent Garden. opera. Dal 1987 alterna all’attività professionale quella di insegnante di canto nei conservatori di Lecce e Salerno. Valeriano Gamghebeli, tenore spinto georgiano, ha studiato piano, dizione corale e canto nel Conservatorio Superiore di Tibilisi. Ha vinto significativi premi internazionali come il premio internazionale di canto Francesco Viñas e il premio José Carreras di Pamplona. Ha perfezionando la tecnica vocale con A. Krauss, R. Scotto e A. Stella. Dopo l’eccellente debutto nel 1997 con il ruolo di Don José in Carmen all’Opera di Sabadelle e l’interpretazione del Duca in Rigoletto alla Deutsche Oper di Berlino, ha ottenuto grandi successi in Spagna, Portogallo, Claudio Di Segni Germania, Francia e Italia. Il repertorio di Gamghebeli, che canta in sette lingue, è centrato sulle opere di Doninzetti, Verdi, Mascagni, Leoncavallo, Puccini, Albeniz, e sulle musiche di compositori russi e tedeschi (in particolare Wagner, Mahler e Beethoven). A Roma ha cantato nel Trittico di Puccini per l’apertura della stagione 2002. Pagina a cura di Diana Sirianni – Foto Corrado M. Falsini Thaïs 6 Il Giornale dei Grandi Eventi Storia dell’opera Massenet affascinato dal contrasto tra amore terreno ed amore spirituale I l lavoro di Jules Massenet (1842-1912) per la composizione della Thaïs cominciò nel 1892, quando, già da tempo Louis Gallet si stava dedicando alla trasformazione in libretto d’opera dell’omonimo romanzo di Anatole France (18441924). Il soggetto era piaciuto molto a Massenet, il quale in solo un anno completò la partitura. I due avevano già collaborato in più di un’occasione. La prima risaliva al 1873, quando Gallet aveva scritto per Massenet il dramma sacro per soli, coro e orchestra, Marie Magdeleine, cui era seguita, due anni dopo, l’ Eve. Di Gallet è anche il libretto della prima opera, propriamente lirica, di successo, di Massenet: Le Roi de Lahore, il cui debutto avvenne a Parigi nel 1877. Nelle memorie del pianista compositore Saint Saens, Gallet è descritto come un infaticabile artista, sempre seduto alla scrivania del proprio ufficio Amministrazione per i Poveri, penna alla mano, intento alla stesura di articoli, novelle, libretti e, per distrazione e divertissement, sonetti in versi! Thaïs, Taide in italiano, è uno di quei personaggi inossidabili che in epoche diverse è tornato ad imporsi nei modi e nei contesti più vari. Nata come cortigiana di buon cuore, con il nome di Criside, nella “commedia dei tipi” del greco Menandro, passò poi nell’Eunuco di Terenzio (185?-159 a.C.) e, solo in forma di citazione, nel Lelio o De Amicitia di Cicerone. In epoca cristiana la sua storia cambiò di segno e Taide divenne una seduttrice redenta dall’incontro con un santo anacoreta e da lui, a sua volta, fatta santa. Tal’è almeno la storia del IV secolo tramandataci nelle Vite dei Santi. Diversa quella di Dante, che doveva averne letto in Cicerone, e che nell’Inferno (XVIII-133) costrinse Taide fra gli adulatori, nella seconda bolgia dell’ottavo cerchio. Dopo un passaggio in uno dei Drammi della monaca medioevale Rosvita, il personaggio divenne protagonista del romanzo di France, che sembra riunire insieme le sue due nature: quella pagana di raffinata cortigiana e quella cristiana di santa che rinuncia ai piaceri sensuali per trovare l’estasi mistica. La musica di Massenet tenterà, invece, di conciliare le sue due vite, lasciando però che il prodigio della conversione si svolga in segreto, durante un intermezzo sinfonico. Il romanzo di Anatole France apparve inizialmente a puntate nel 1889 sulla Revue des Deux Mondes con il titolo del protagonista maschile, Paphnuce e, successivamente, in volume, nel 1890 con il nome Taide in Dante (43°-44°-45° terzina del XVIII Canto dell’Inferno) (127) (130) (133) (136) Appresso ciò lo duca: «Fa che pinghe», mi disse, «il viso un poco più avante, sì che la faccia ben con l’occhio attinge di quella sozza e scapigliata fante che là si graffia con l’unghie merdose, e or s’accoscia e ora è in piedi stante. Taide è, la puttana che rispose al drudo suo, quando disse: ‘Ho io grazie grandi appo te?’ – ‘Anzi maravigliose!’ E quinci sian le nostre viste sazie ». Taide in una incisione di Gustave Dorè D ante pone Taide tra i lusingatori, che per la legge del contrappasso sono immersi nello sterco. Siamo nell’VIII cerchio dell’Inferno, in un luogo di pietra livida detto Malebolge, con il fondo diviso in dieci valli concentriche (bolge). I lusingatori si trovano nel fondo oscuro della seconda bolgia. Dopo aver riconosciuto ed interpellato Alessio Interminei, cavaliere di antica famiglia lucchese (nominata anche Interminelli o Antelminelli) della fazione dei Bianchi, Dante è richiamato da Virgilio che lo induce a guardare un poco più avanti, così da poter scorgere con l’occhio la «sozza e scapigliata fante», ossia la meretrice con i capelli lunghi ed imbrattati di sterco, la quale si graffia con le unghie sporche, infliggendo a se stessa le sofferenze che Cerbero imponeva ai golosi. E’ Taide, celebre etèra di Atene. Per questo esempio di lusinga Dante si rifà al De Amicitia di Cicerone, che a propria volta si era ispirato all’Eunuco di Terenzio, nel quale il mezzano Gnatone, interrogato da Trasone suo signore, sul fatto che Taide avesse gradito o meno il suo regalo di una giovane schiava sonatrice, rispose che n’era rimasta contentissima (Magnas vero agere gratias Thais mihi? – Ingentes!). Molti sostennero che Dante avesse scambiato il mezzano con la prostituta, attribuendo alla donna le parole dell’uomo. Ma il Poeta, in realtà, non cadde in errore, ma ripresa la materia dai testi antichi la riplasmò alle sue necessità letterarie. Il XVIII Canto si conclude con un ultimo verso nel quale Virgilio afferma che dopo aver visto tanto sporco in questo luogo «le nostre viste sono sazie» e così dicendo prosegue con Dante verso la bolgia dei simoniaci. Mic. Ma attuale. Il testo riprende il dialogo filosofico e ripercorre la dialettica peccato-redenzione, carnespirito, materialismo-misticismo, propria della cultura francese all’epoca di Verlaine e Flaubert, nonché di Massenet. Nel libretto, prevedibilmente, l’ironia e il filosofeggiare del testo originale vanno un po’ perdute ma, esotismo raffinato, eleganza Parnasse, psicologismo e sensualità rimangono inalterate. Massenet riservò il ruolo della protagonista alla bellissima soprano americana ventottenne Sybil Sanderson, che dal 1891 aveva un contratto con l’Opéra-Comique. Quando il contratto giunse alla scadenza, all’inizio del 1893, la Sanderson ne firmò un’altro con Gailhord, direttore dell’Opéra, il che costrinse la Thaïs a seguire la cantante nel nuovo teatro e a subire delle prime variazioni per adattarsi agli usi e ai costumi della nuova sede. La prova generale pubblica dell’opera non riscosse il favore della stampa e l’autore fu costretto ad apportare alcune altre modifiche alla partitura. La prima versione dell’opera andò in scena il 16 marzo 1894 all’Opéra di Parigi, protagonista femminile appunto Sybil Sanderson, diretta da Paul Vidal con la coreografia di Joseph Hansen. Il successo fu discreto e persino Anatole France si congratulò con l’autore: «Caro Maestro, Lei ha innalzato al più alto livello consentito a un’eroina del melodramma la mia povera Thais. E’ la mia gloria più dolce. Sono in una vera estasi… l’aria a Eros, il duetto finale, tutto è di una bellezza grande e incantevole. Sono felice e fiero di averle fornito il soggetto su cui lei ha sviluppato le frasi più ispirate. Le stringo le mani con gioia…». Nonostante l’entusiasmo dello scrittore, la stampa non riservò a questa prima rappresentazione un egual calore. Gran parte delle critiche riguardavano le ascendenze wagneriane dell’opera (specialmente in riferimento al Parsifal, dramma di redenzione di Wagner).Vi fu però anche chi pensò la Thais come «l’opposto del Parsifal, una satira del wagnerismo», è questo il caso di Réné de Récy, giornalista della Revue Bleue. Le critiche spinsero comunque il musicista a correggere alcune parti o a sostituirle con balletti di repertorio. La nuova versione modificata andò in scena al Palais Garnier, il 13 aprile 1898. Questa volta il successo coinvolse oltre al pubblico anche la critica, soddisfatta dalle nuove pagine. La seconda versione si presenta in effetti meno trasgressiva dal punto di vista formale, più equilibrata e convenzionale. La prima italiana, avvenuta al Teatro Lirico di Milano nel 1903, con l’eccellente interpretazione di Lina Cavalieri, è tra le rappresentazioni memorabili di quest’opera, insieme con quella del 1908 al Manhattan Opera House di New York, con Mary Garden nel ruolo della protagonista. A Roma Thaïs fu rappresentata per la prima volta al Teatro Costanzi il 26 gennaio 1907 con interpreti Carmen Melis (sostituita poi in alcune repliche da gemma Bellincioni) e Mattia Battistini, guidati dalla bacchetta del direttore d’orchestra Rodolfo Ferrari. Maria Elena Latini Il Thaïs Giornale dei Grandi Eventi 7 Nel filone dell’orientalismo francese Thaïs, il raffinato esotismo di Jules Massenet «L a sua voce risuonò in modo magico, stupefacente, nell’aria della Regina della Notte dal Flauto magico... insieme alla rarità di questo strumento naturale, avevo subito riconosciuto nella futura artista un’intelligenza, una fiamma, una personalità che si riflettevano luminosamente nel suo sguardo mirabile...». Scriveva così Massenet ricordando l’incontro avvenuto nel 1887 in un salotto di Parigi con la cantante americana Sybil Sanderson. L’artista aveva solo 21 anni, da due studiava nella capitale francese. Aveva una voce splendida, limpida negli acuti. Ed era bellissima, tanto che il quarantacinquenne musicista ne rimase immediatamente conquistato. Capita spesso che il fascino di un’artista condizioni l’estro di un compositore. In questo caso, Massenet scrisse per la giovanissima americana ben due opere, Esclarmonde e Thaïs. Esclarmonde seguì di cinque anni il trionfo di Manon (1889). L’ambientazione a Bisanzio portò Massenet a puntare sulla sensualità e la trasgressione, approntando una partitura dalla tavolozza di colori straordinariamente variegata, con un’orchestrazione che sfrutta ogni modulo espressivo, sostegno per una vocalità esplorata in tutte le sue possibilità, dal canto poeticamente lirico, agli sconfinamenti negli estremi limiti delle tessiture. Nel 1894 (due anni dopo Werther) Massenet varò Thaïs nel quale confluirono atmosfere di Esclarmonde ma anche di Le roi de Lahore. L’opera rientrava infatti in quel filone dell’orientalismo raffinato, un po’ fiabesco che in Francia aveva un certo seguito (si pensi anche alla Lakmè di Delibes del 1883). Il soggetto era tratto dal romanzo omonimo che Anatole France aveva pubblicato dapprima a puntate nel 1867 come poema sulla Revue des deux mondes con il titolo di Paphnuce dal nome del protagonista, e quindi nel 1889 come romanzo con il titolo definitivo. Al centro della storia una bellissima fanciulla, sensuale e amorale, ricondotta sulla retta via da un monaco che rimane però turbato dalla sua straordinaria personalità. Un ruolo costruito su misura per la Sybil Sanderson. Un libretto in prosa poetica Opera d’estrema raffinatezza, Thaïs si basa su un libretto di Louis Gallet costruito non in versi, ma in una sorta di prosa poetica dai tratti Sybil Sanderson, prima interprete di Thais scritto Maurizio Modugno nel suo libro “Guida all’ascolto di Massenet” (Mursia, 1994), non a caso, «Thaïs è l’opera in cui vanno in quiescenza i fuochi dell’attenzione di Massenet per il mondo musicale tedesco. E’ un addio, ideale ma importante per comprendere – ad un punto di svolta qual è Thaïs – i modi e le cause del proseguimento del cammino creativo massenetiano su percorsi che saranno per lungo tempo diversi e segnati da altre affinità elettive». Massenet, insomma, si staccava dal romanticismo esplorato sul doppio versante franco-tedesco (wagneriano) per sperimentare le atmosfere simbolicoimpressioniste, dominanti nella Parigi fra fine Ottocento e primo Novecento. Le due versioni Jules Massenet in una caricatura estremamente originali che consentì una particolare libertà nel periodare musicale. Massenet visitò, dunque, ancora una volta l’Oriente, ma gli esiti qui furono diversi rispetto alle precedenti esperienze: si avverte una maggiore levigatezza, meno esuberanza melodica, un alleggerimento della scrittura, una più ricca tavolozza armonica. Un’orchestra di rara leggerezza e varietà coloristica a conferma della grande perizia di Massenet orchestratore. E poi il canto, elegante, fine, prezioso di Thaïs. Si pensi alla pagina in cui Thaïs si spoglia dei suoi beni ter- reni, o ancora alla straordinaria conclusione dell’opera con la ragazza ormai morente e in estasi che parla già il linguaggio degli angeli. Per contro, qua e là, il senso di religiosità si scontra con l’erotismo: così è nella “Visione” del primo atto, solo strumentale, o nel canto di Crobyle e Myrtale o di Nicias. Celebre la “Meditation” affidata al violino: è puro lirismo, teso e coinvolgente, riflessione sul passato, autocritica silenziosa di Thaïs, non a caso tema conduttore del dolcissimo epilogo. Infine, la rarefazione sonora, l’indugio sui silenzi, quasi una dilatazione dei tempi musicali, un presentimento di Debussy. Non va dimenticato che proprio il 1894 fu l’anno del debussyano Prelude a l’apres midi d’un faune, punto d’avvio dell’impressionismo in musica. Come ha Va ricordato che di Thaïs esistono in realtà due versioni, quella del 1894 e quella della ripresa quattro anni dopo. Forse più agile e fantasiosa la prima edizione, più strutturata ed equilibrata la seconda. Dopo il debutto del ‘94 Anatole France scrisse a Massenet: «Caro Maestro, Lei ha innalzato al più alto livello consentito ad un’eroina del melodramma la mia povera Thaïs. E’ la mia gloria più dolce. Sono in una vera estasi. “Assieds-toi pres de nous”, l’aria ad Eros, il duetto finale, tutto è di una bellezza grande e incantevole. Sono felice e fiero d’averle fornito il soggetto su cui lei ha sviluppato le frasi più ispirate...». Per quanto riguarda la Sanderson, poco tempo dopo sposò un ricco cubano e si ritirò dalle scene. Alla morte del marito, azzardò senza fortuna un ritorno al teatro. L’artista che aveva fatto sognare tanti spettatori con la sua voce e il suo charme morì appena trentottenne nel 1903. Roberto Iovino Thaïs 8 Il Giornale dei Grandi Eventi Il Prix de Rome, vinto da Massenet nel 1863 Un concorso francese per conoscere l’Italia A rroccata e svettante con due bianche torri dalla collina del Pincio, Villa Medici ospita l’Accademia di Francia a Roma, fondata da Colbert e Le Brun nel 1666, al tempo di Luigi XIV. Scopo dell’Accademia è di favorire la comprensione vera e profonda delle opere d’arte presenti in Italia e, per questo, è stata fin dall’inizio destinata ad ospitare il “Prix de Rome”, un ambito premio che forniva ai giovani talenti il privilegio di perfezionarsi con un soggiorno di vari anni nella Città eterna. L’Accademia sul Pincio Simbolo della Francia a Roma, l’Accademia fu chiusa negli anni della Rivoluzione francese e quindi trasferita dal Palazzo Mancini di Via del Corso (dove si trovava dal 1725) a Villa Medici. Nello stesso anno, Bonaparte aggiunse ai premi di pittura, scultura ed architettura, anche un prix de musique per i compositori, seguito poco dopo dai premi per gli incisori. Oggi, oltre alle discipline tradizionali, sono previste la storia dell’arte, la letteratura, il restauro, la fotografia, il design, la sceneggiatura e perfino le arti culinarie. Con la riforma napoleonica, il concorso fu affidato all’Académie des Beaux-Arts del prestigioso Institut de France, a cui rimase fino al 1968, quando – già molte volte accusato di esagerato conformismo – fu soppresso. Il premio, però, continua ancor’oggi a vivere sotto altri nomi, poiché dal 1971 l’Académie de France à Rome gode di una giurisdizio- ne ed un’amministrazione indipendenti, è posta sotto la tutela del Ministère des Affaires Culturelles ed ha un nuovo statuto, promosso dall’allora ministro Malreaux e dal direttore Balthus, che regola la vita dei pensionnaires, quest’anno quattordici. Attualmente, i candidati al soggiorno presso l’Accademia di Francia a Roma, tutti francesi o francofoni, devono essere già impegnati nella vita professionale ed avere un’età compresa fra i 20 e i 35 anni. L’ammissione avviene sulla base di un concorso per titoli, accompagnato dalla presentazione di un progetto di studio che viene valutato da un’apposita Commissione, mentre nei secoli passati bisognava superare un esame lungo e durissimo. retta, aveva una sua loge, con un letto, una sedia ed un pianoforte. Nella loge l’esaminando restava tutto il giorno finché il custode non lo liberava per il pasto serale, che si consumava in comune, talvolta con amici e spesso con tanto vino e champagne. Una vera e propria reclusione nel caldo dell’estate, che in alcuni periodi arrivò a durare anche un mese, o più, come nel caso dei pittori che avevano fino a 72 giorni di tempo per realizzare la tela di cui avevano presentato lo schizzo nella prova preliminare. Dopo tanta fatica, il vincitore era però ben pre- François Nicolas Chifflart - Villa Medici, dal lato del giardino loro e riceveva una medaglia d’oro. Sempre in autunno, i compositori presentavano l’opera del concorso anche alla seduta pubblica annuale del Conservatoire Royale. Tuttavia, il premio più ambito era la possibilità vano aggiungersi un secondo Premier Grand Prix, due Seconds Grand Prix e la Mention. Inizialmente, il primo Grand Prix era invitato a soggiornare in Italia per cinque anni; in seguito il periodo si è accorciato o è Una mise en loge per conquistare Roma I candidati erano chiamati a compiere la prova preliminare o concours d’essai, che per i compositori consisteva nel produrre in un solo giorno una partitura per coro o una fuga, il cui soggetto era tratto a sorte fra quelli proposti dai membri della giuria. Una volta dimostrata la sensibilità melodica, la conoscenza della strumentazione e degli elementi indispensabili alla composizione, si passava alla prova principale: la rinomata cantata su soggetto imposto. Quest’ultima prova era organizzata con una mise en loge: i candidati venivano segregati in un luogo chiuso, spesso un castello sulla Senna, come Compiègne o Fontainebleu. Ciascuno, dietro pagamento di una J.B.C. Corot - La vasca di Villa Medici miato. Innanzi tutto era esonerato dal servizio militare e poi otteneva il diritto di presentare la sua scena lirica – o nel caso di altri artisti il frutto dell’esame – al pubblico dell’Académie des Beaux-Arts, nel corso di una cerimonia solenne, durante la quale veniva cinto di una corona d’al- di diventare pensionnaire dell’Accademia di Francia a Roma, dove il vincitore giungeva – e giunge tutt’oggi – coperto da un rimborso spese e dotato di una cospicua cifra di denaro. Il vincitore assoluto si fregiava del titolo di primo Premier Grand Prix de Rome, a cui pote- stato abbinato a soggiorni in altri paesi europei. Oggi va dai sei mesi ai due anni. Una città tutta da copiare Nell’Ottocento, oltre a direttori celebri, come Ingres e David d’Angers, fra i nomi dei compositori ospitati a Villa Medici troviamo Halévy (1813), Il Thaïs Giornale dei Grandi Eventi Berlioz (1830), Thomas (1832), Gounod (1839), Bizet (1857), Massenet (1863), Debussy (1884), Charpentier (1887). Il clima che regnava a Villa Medici era determinato dalla personalità del direttore in carica e celebri rimasero le serate particolarmente gaie organizzate al tempo di Vernet. Ogni anno i pensionnaires dovevano mandare a Parigi un envoi, un saggio del loro progresso negli studi. L’envoi era diverso per ogni anno di studio: ai compositori potevano essere richiesti brani di musica da camera o per coro ed orchestra, una sinfonia o un poema sinfonico, un mottetto per gli anni iniziali; due atti di un’opera, un’ouverture sinfonica negli anni successivi; e, infine, una composizione religiosa. Sempre, però, era necessario ispirarsi alla musica italiana, possibilmente rispettando i toni classico-mitologici o ispirati alle sacre scritture che tanto piacevano alle giurie francesi. Ma, soprattutto, era obbligatorio raccogliere arie popolari e cantiche, nonché trascrivere manoscritti musicali inediti o sconosciuti in Francia. Tutto questo materiale, insieme alle copie delle opere d’arte richieste ai pittori e agli scultori, andava ad arricchire il patrimonio artistico d’oltralpe. Tuttavia, nonostante le rigide regole ed il programma di lavoro imposto ai pensionnaires, i giorni e, spesso, le notti trascorsi in giro per Roma producevano un senso di abbandono e di affrancamento dalle teorie e dalle costrizioni accademiche, che talvolta arrivarono a sconvolgere gli artisti, trasformando radicalmente il corso della loro opera. Elena Cagiano 9 Jules Massenet a Roma Il soggiorno che influenzò una vita Q uando vinse il Prix de Rome, Jules Emile Fréderic Massenet aveva 21 anni ed era in cerca di fortuna, soprattutto finanziaria. Era l’autunno del 1863 e, insieme a lui, furono premiati per la musica Titus Constantin con il “Second Grand Prix” e Gustave Ruiz con la menzione d’onore. Massenet aveva già tentato il prestigioso concorso bandito dall’Académie des Beaux-Arts l’anno precedente, con la cantata Louise de Mézières, che gli aveva fruttato la menzione d’onore, ed il “Second Grand Prix” per il contrappunto e la fuga. Allievo del Conservatorio di Parigi, nella romanzata autobiografia Mes souvenirs, Massenet raccontò di aver sostenuto le spese per il concorso impegnando il suo orologio d’oro per sedici franchi. Per la prova principale aveva prodotto la cantata David Rizzio, ispirata al segretario italiano di Maria Stuarda, fatto uccidere dal secondo marito della Regina. La composizione era stata interpretata da tre artisti dell’Opéra ed ebbe un buon riscontro da parte del pubblico e della giuria, composta dal maestro di Massenet Ambroise Thomas, da Auber e da Berlioz, che sostenne la validità dell’assegnazione del primo premio, con l’ambito soggiorno a Roma ed i 3000 franchi di rendita annuale che lo accompagnavano. Massenet partì per l’Italia nel dicembre dello stesso 1863, in treno e poi in battello per il tratto da Livorno a Civitavecchia. La tradizione di Villa Medici prevedeva che i primi mesi di vita romana fossero dedicati alla scoperta della Città e all’inserimento nell’Accademia, allora diretta da Victor Massenet al tempo del soggiorno a Roma Schnetz. Come da copione, Massenet dovette affrontare gli scherzi goliardici degli anziani, che una notte lo “seminarono” nei pressi del Colosseo, in una zona allora tutta dedali e viuzze, dove fu costretto a dormire in attesa della luce del giorno che gli chiarisse il cammino per tornare alla Villa. Un topos, quello di dormire all’aperto, che ricorre spesso nell’aneddotica dei giovani “esploratori” della Città Eterna. Nel secondo anno seguente intervento del console francese. In questa atmosfera goliardica, Massenet riuscì a compiere anche i suoi doveri verso l’Accademia, componendo musica da camera, una Messa, un Requiem e la suite sinfonica Pompeia, che fu presentata a Parigi il 24 febbraio 1866. Ma oltre agli envois, i due anni trascorsi nel Bel Paese dovevano lasciare un segno ben più duraturo nella vita del compositore. La sera di Natale del 1864 egli si recò alla Messa Come previsto dal programma accademico, il secondo anno Massenet compì lunghi viaggi di studio. Si recò a Firenze, Siena, Assisi, Venezia, Capri, Pompei e a Napoli dove, con due compagni, scese dal treno vestito da galeotto, provocando i sospetti della polizia partenopea ed il con- Manifesto opera “Roma” di Jules Massenet di Mezzanotte nella chiesa dell’Aracoeli che, a sentire i colleghi, doveva fargli meglio assaporare il palpito ed il colore di Roma. Secondo il racconto che sa di fiabesco dello stesso musicista, tutto quella notte sembrava predisposto per un evento suggestivo: aria tersa, plenilunio e una giovane donna bellissima che, accompagnata da una più anziana, saliva la ripida scala che conduce alla chiesa. La silhouette della damigella restò impressa nell’animo del pensionnaire e tanta fu la sua sorpresa nell’incontrarla due giorni dopo ad un ricevimento, al quale era presente anche Liszt, che in quell’epoca soggiornava presso il cardinale Hohenlohe. Il maestro ungherese, venuto a conoscenza del colpo di fulmine di Massenet, si prodigò affinché la fanciulla prendesse lezioni di pianoforte dal giovane francese. Le lezioni durarono poco, ma l’amore fu grande, tanto che, tornati in Francia, Massenet e Louise-Constance de Gressy, detta Ninon (18411938), si sposarono nella piccola chiesa di Avon, vicino a Fontainebleau, l’8 ottobre del 1866 e due anni dopo ebbero una figlia, Juliette. Comunque, il soggiorno romano lasciò in Massenet un ricordo indelebile della Città Eterna, spesso idealizzata nei Souvenirs, ed ebbe la sua conclusione spirituale nella partitura di Roma, un’opera tragica in cinque atti su libretto di Henri Cain, tratta da Rome vaincue di Alessandro Parodi e rappresentata la prima volta al Teatro Reale dell’Opera di Monte Carlo il 17 febbraio 1912, sei mesi prima della morte di Massenet e quasi cinquant’anni dopo il suo meraviglioso viaggio in Italia. E. Ca. Thaïs 10 Il Giornale dei Grandi Eventi La vita quotidiana dei vincitori del “Prix de Rome” a Villa Medici Tra entusiasmo e nostalgia, il soggiorno romano degli artisti francesi «L a festa si è conclusa nell’atelier di Falguière, illuminato a giorno a nostre spese. Le danze a questo punto ci hanno trascinato in modo così inebriante che tutti abbiamo finito per danzare in coppia con i trasteverini il saltarello conclusivo...Abbiamo mangiato, bevuto: le donne soprattutto hanno molto apprezzato il nostro punch!” » Questa è la descrizione di una festicciola informale a Villa Medici, tra i pensionnaires francesi e i popolani di Trastevere, con musicanti in costume tradizionale, contenuta in una lettera di Jules Massenet al suo maestro Ambroise Thomas. Entrambi i compositori erano stati vincitori del celebre Prix de Rome, (Thomas nel 1832 e Massenet nel 1863). Dal vivace racconto dell’autore di Thaïs, saremmo portati a immaginare il soggiorno romano dei giovani artisti francesi come ricco di esuberanti distrazioni... . Tuttavia la vita mondana di Roma e le condizioni materiali del soggiorno all’Accademia delusero più di un pensionnaire, come risulta dalle lettere inviate da costoro a familiari ed amici. Il direttore Guérin, scrivendo alla moglie del suo successore nel 1828 così si esprimeva: «Vi è una cosa molto gradevole che qui è totalmente sconosciuta, Signora, alla mancanza della quale dovrete fin d’ora rassegnarvi: è il”comfort”». Ancora più ironico Chapu, che scriveva: «I mobili non sono certo lussuosi e sono pochi, è probabilmente notorio che abbiamo la mania di collezionare ogni tipo di cose. Ci lasciano così lo spazio per metter- Leon Cogniet: artista nella sua stanza a Villa Medici (1818) le.[...] Si teme che la civetteria ci dia alla testa e non abbiamo uno specchio». Sarcastico, ancora, Léon Cogniet, nella sua prima lettera alla famiglia: «Felice colui che ottiene il premio, felice colui che arriva a Roma, ancor più felice colui che rivede Parigi». In parte responsabile della disagevole vita degli artisti era la pesante situazione deficitaria che affliggeva l’istituzione francese fin dagli inizi e che nel 1810 raggiunse l’apice: mancavano i fondi per la biancheria, per gli alloggi e per i viaggi. Vi erano poi le condizioni di povertà e di arretratezza generale in cui versava Roma: una città schiacciata dal ricordo delle passate grandezze, infestata da febbri durante i mesi estivi, caratterizzata da un’alta società chiusa e retrograda e da una popolazione diffidente. Ancora, vi erano le difficoltà di comunicazione pagne, le rovine dell’antichità ed il popolino pittoresco offrivano un repertorio vastissimo e suggestivo per ispirare i giovani pittori, scultori, architetti e incisori d’Oltralpe. I pensionnaires vivevano in comune, pranzavano tutti insieme in un grande refettorio adorno dei ritratti dei predecessori, e questo forniva loro l’occasione per stringere amicizie e fondare cenacoli goliardico-intellettuali come quello dei Cipollésiens, che aveva come tradizione una zuppa di cipolle ogni sera, o quello dei Cald’arrosti, formatasi attorno a Jean Jacques Henner, (tra l’altro autore del quadro riprodotto nella copertina). La vita in comune provocava non pochi disagi agli ammogliati, che erano costretti a lasciare le consorti in città o addirittura in patria. La lontananza da Parigi aveva anche l’inconveniente di estraniare i gio- con la madrepatria (una lettera impiegava un mese per il tragitto Roma-Parigi). La vita mondana era ravvivata dalle grandi feste religiose, durante le quali l’Accademia si illuminava a giorno, e soprattutto dallo spirito d’iniziativa dei pensionnaires, che a volte ottenevano il permesso di organizzare piccole riunioni mondane cui partecipavano sovente popolani in costume tradizionale, come ricorda Massenet. Questa tendenza si era acuita nel corso dell’800, grazie al crescente interesse per il «pittoresco» e per gli usi e i costumi caratteristici dei popolani. Certamente il sole, le cam- F. J. Navez: Musicisti trasteverini vani talenti dal mercato dell’arte francese, di escluderli dal «giro» artistico. Per contro, c’era la possibilità di vivere per cinque anni senza grandi preoccupazioni economiche e liberi da ogni obbligo, a parte quello di inviare uno studio a Parigi ogni anno, il cosiddetto: envoi de Rome. Benché il Prix de Rome avesse visto progressivamente scemare il proprio grande prestigio durante il corso del Secolo e nonostante tutti i disagi materiali che il soggiorno romano comportava, ciò che esercitava un’irresistibile attrazione erano indiscutibilmente la mi-tezza del clima, il profumo degli aranceti della Villa, la vista panoramica dalle camere, il contatto diretto con la terra classica delle belle arti, le escursioni ai Castelli e nelle città vicine, la cameratesca amicizia dei compagni. Tutti aspetti che riempivano l’animo dei nuovi arrivati e che poi continuavano, anche a distanza di anni ad affollare la memoria degli «exromani» di brillanti e toccanti ricordi. Andrea Cionci Il Thaïs Giornale dei Grandi Eventi 11 Integrate nel contesto storico-culturale dell’800 francese Le due Thaïs, spirito di un’epoca N ata come racconto nel 1889 dalla mano dello scrittore Anatole France, e ripresa dopo appena cinque anni da Jules Massenet per essere rielaborata in forma di opera lirica, La Thäis si presenta come un esemplare prodotto dell’atmosfera culturale francese di fine Ottocento. La trama, ambientata in un misterioso Egitto alessandrino, è piuttosto semplice. Tutta l’opera è giocata sull’articolazione della dialettica che scaturisce dal binomio carne/spirito, peccato/redenzione, materialismo/misticismo. E l’elemento conclusivo di questa dialettica è, a prima vista, scandaloso, dato il trionfo finale dell’amor profano su quello sacro. Ma è davvero così? E’ davvero un finale “immorale”? O forse le due polarità, le due alternative che vengono proposte – l’ascetismo da un lato, il trionfo della carnalità dall’altro - non possiedono un peso e un significato davvero pieno? Non risente questa polarità, considerata nella modalità in cui è offerta nella Thäis, di un processo culturale che le ha fatto perdere il suo valore originario? Sembra, in effetti, che i pro- cessi siano due: difatti da un lato c’è un processo di esasperazione dei due estremi – l’attaccamento alla materia diventa una consacrazione alla dissolutezza e all’immoralità, la “spiritualità” diviene ascetismo e ripudio di ogni aspetto sensibile della realtà -, mentre dall’altro c’è, parallelamente a questa estremizzazione, uno svuotamento del significato delle due possibilità, che fa sì che entrambi i poli concettuali risultino in definitiva equivalenti. Da questo processo complessivo, da questa generale perdita di significato, derivano atmosfere culturali come quella decadentista. E in tale quadro è fondamentale considerare il ruolo giocato dalla sfera etico-politica, nel senso che generalmente questi svuotamenti hanno come causa e come effetto un ristagno dell’attività politica. Thäis può essere, dunque, considerata a pieno titolo portavoce dello spirito della sua epoca. In entrambe le sue forme – quella letteraria e quella musicale - non è stata interpretata da personaggi sconosciuti al loro tempo, bensì da celebri e riconosciuti rappresentanti della cultura dell’epoca. Esistono opere che, essendo in qualche misura anticipatrici di un tempo a venire, spesso, proprio a causa della loro preveggenza, sono incomprese dai loro contemporanei e prive di fortuna. Altre opere invece sono perfettamente integrate e interne al loro contesto storico e culturale, e per questo vengono apprezzate e approvate. Le due Thäis appartengono a questa seconda tipologia: sono opere che descrivono con grande eleganza, raffinatezza e maturità tecnica - la sensibilità del mondo a cui appartengono, opere che si muovono del tutto “all’interno” del loro contesto. Probabilmente, più che nel loro valore intrinseco (pur essendo entrambe opere estremamente valide e godibili), l’interesse delle due Thäis risiede proprio in questo valore di testimonianza culturale, o, più precisamente, nella loro capacità di esibire quella sensibilità estetica decadente e raffinata - che si era diffusa a fine secolo in Europa e in particolare in ambito francese (la Thäis di Massenet più della Thäis di France, dato che è giocata tutta sulle atmosfere di raffinato esotismo, sull’eleganza “Parnasse”, su psicologismo e sensualità; invece la secon- da Thäis è caratterizzata da alcuni aspetti razionalistici che si esprimono nel tono ironico e nel taglio filosofeggiante del racconto). E’ la sensibilità di una cultura estenuata, ripiegata su se stessa, sensuale, preziosa, il cui amore per la bellezza formale arriva a generare fenomeni come il movimento della poesia parnassiana (1861 – 1876); qui, la preoccupazione per l’eleganza della forma sostituisce completamente l’interesse per la sostanza tematica. Dal punto di vista politico gli esiti della cultura decadente sono tendenzialmente conservatori ed elitari. Tutte caratteristiche, queste, che si completano e nello stesso tempo si spiegano bene se si considera come fattore Il manifesto di Orazi per la Thaïs determinante di quest’atzionali che nel ‘48 avevano mosfera culturale il disimpescosso l’Europa intera, e la gno politico diffuso, la forte definitiva disgregazione nel ’51 estraniazione dell’intellighendi quel loro estremo prolungazia da qualsiasi progetto di mento che la Comune di Parigi trasformazione sociale. Così aveva rappresentato. si pagava, d’altra parte, il falDiana Sirianni limento di quei moti insurre- Non eccessive, ma necessarie e la costruzione del romanzo, densa di simboli e risonanze, semplificata. L’acqua, il sangue o le lacrime nel libretto scompaiono, così come i piccoli sciacalli che rappresentano le tentazioni del monaco nel suo eremitaggio nel deserto. Episodio, quest’ultimo, che Gallet omette completamente. Anche il lungo “banchetto filosofico”, che tanta parte occupa all’interno del romanzo, non trova spazio nel libretto se non come contorno dei giochi amorosi tra Nicias e Thaïs. La discussione, di argomento filosofico, prevedeva l’intervento di numerosi personaggi e poco si sarebbe prestata ad una scena d’opera. Gli imperativi del libretto costringono Gallet ad una semplificazione della materia letteraria. Ma ciò che nel libretto si perde, la musica di Massenet ricrea. Libretto e musica sono la trama dello stesso tessuto ed il piacere del romanzo viene restituito sotto un’altra forma. Mic. Mont. Le differenze tra romanzo e libretto L ’entusiasmo di Anatole France per il risultato della trasposizione in libretto d’opera della sua Thaïs ad opera di Louis Gallet è risaputo, anche se nei due testi si riscontrano inevitabili differenze dovute all’adattamento di un romanzo – opera di per se lunga e complessa – ai ritmi ed ai tempi teatrali, rischiando di impoverire i contenuti più profondi. Gli aspetti filosofici e simbolici che caratterizzano il romanzo di France non vengono resi nei versi del librettista e l’evoluzione psicologica dei personaggi trova poco spazio sulla scena. Come sempre, quest’ultimo fu proprio il compito più difficile per Gallet: trasformare in personaggi teatrali i protagonisti di un romanzo. Il personaggio che soffre di più dell’adattamento è quello di Thaïs. Pafnuzio diventerà Athanaël, ma Gallet, nell’insieme, non modificherà molto questa figura. France ci presenta Thaïs come una vittima, figlia di genitori terribili, condannata da subito alle durezze della vita. Nel romanzo la seducente Thaïs, conoscitrice dell’amore carnale, non è priva di valori morali, vive nel dubbio continuo, nella volontà di interrogarsi e di conoscere. Lo spirito di Dio appartiene ad essa ancor prima dell’incontro con Pafnuzio. E proprio quest’ultimo, il monaco integerrimo e senza peccato, risulterà il vero peccatore. Per Gallet, Thaïs incarna più semplicemente lo stereotipo della “femme fatale”, incantatrice e misteriosa, che si converte per opera di Athanaël. L’infanzia ed il battesimo dell’eroina, che certamente avrebbero contribuito a rendere più completo il personaggio, non vengono ripresi da Gallet. L’opera, a differenza del romanzo, è basata su opposizioni elementari, il sacro ed il profano, il lusso sofisticato di Alessandria e la nudità del deserto, il vizio e la virtù. L’erotismo è attenuato Thaïs 12 Il Giornale dei Grandi Eventi Il compositore Jules Massenet, musicista dall’animo nobile U ltimo di 21 figli, Jules Massenet nacque a Montaud, presso Saint-Etienne, il 12 maggio 1842. Studiò pianoforte con la madre e ad undici anni entrò nel conservatorio di Parigi, città dove la famiglia si era trasferita nel 1848. Gli anni dell’adolescenza furono tormentati da un’insofferenza alla disciplina familiare e dai disagi economici e che costrinsero il giovane Jules a sottrarre tempo agli studi per dedicarsi a piccoli lavori. Nonostante questo si distinse fra i compagni, fino a vincere nel 1863 il prestigioso “Prix de Rome” con la cantata David Rizzio, che gli valse un lungo ed importante soggiorno a Roma. Tornato a Parigi si misurò con diversi generi senza attirare Una poesia su Massenet Il Maestro Massenetto (da “Il Sacripante di Circassia”, giornale satirico di Genova, 1/2 febbraio 1896) Eccovi le sembianze inalterate Del Massenetto, il maestro francese; Qui corso apposta a gambe assai levate Per confortar l’italico paese; Ei ci diè tante e tante violinate Che vinti dal piacer tutti ci rese, Mostrandoci con vena italiana D’aver studiato un po’ la Rusticana. Il pubblico a plaudir fece ben presto E sciolse tosto la sgranchita mano. Perdio, diceva, che maestro è questo? E’m forse uno straccione d’italiano? Nemmen per sogno; è autentico foresto E ci è venuto proprio da lontano; Santo Entusiasmo deh saltaci addosso E facci applaudire a più non posso. troppa attenzione, il riscatto venne nel 1873 con il dramma sacro Marie Magdalene a cui seguirono altri successi che resero più salda la sua fama. Nel 1878 fu chiamato a succedere a Bazin nella classe di composizione al Conservatorio e ottenne la nomina a membro dell’Academie des BeauxArts. Sollevato dal peso delle preoccupazioni economiche che sempre lo avevano agitato, Massenet si dedicò completamente all’insegnamento e alla composizione consolidando la sua fama fino ad ottenere con Manon il riconoscimento e la piena affermazione. La sua umiltà lo spinse a non cimentarsi nel canto di a m p i affreschi musicali. Ai toni grandiosi preferiva le sfumature, riconobbe i propri limiti e li rispettò, non permise mai all’ambizio- ne di prendere il sopravvento. Timoroso delle critiche cercò sempre di accattivarsi le simpatie e il c o n senso del pubblico scegliendo toni amabili e misurati e privilegiò una musica piacevole, incline al sentimentalismo e attenta al gusto dell’epoca senza però sacrificare la tecnica O Massenetto del bel numero uno; Tu che hai s’ tondo il viso e sembri un frate Corri a Parigi e narra che per niuno Le cose tanto ben mai sono andate; E se notizie ti domanda alcuno Perfin le donne, dì, si son scaldate Gridando: “Massenetto anch’unna- volta Un po’ di Werde e un poco di Carlotta” Va Massenetto e se incontri per caso O Rocheforte o l’inclito Saint-Cèro Od altri cui siamo mosca sopra il naso (Ed è perciò che dicon bianco al nero) Narra la storia a lor di Affin che possan giudicare il vero E dicano: -In Italia son pur buoni: E sembrano persino…. (1) (1) Qui c’era una parola che il vento ha portato via. Chiediamo scusa ai lettori, pregandoli a mettervela di loro scelta Massenet in una caricatura riferita alle sue due opere: "Thais" e "Roma" sempre ricca ed evoluta. La sua arte è stata definita “femminile” perché proprio la donna nel suo teatro trova un’espressione e un carattere di rilievo. Le donne di Massenet rappresentano il dualismo tra la purezza e la carnalità, tra il misticismo e la corruzione terrena, eroine decadenti di cui esalta con discrezione la bellezza, la sensualità, la giovinezza, Salomè, Maria Maddalena, Eva, Esclar-monde, Thaïs, Arianna e persino l’animo femminile che emerge dalle spoglie maschili del Werther. Anatole France in seguito alla prima rappresentazione della Thaïs così si congratulò con l’autore: «Caro Maestro lei ha innalzato al più alto livello consentito a un’eroina del melodramma la mia povera Thais. E’ la mia gloria più dolce. Sono in una vera estasi». Universi magici e simbolici, storici e leggendari, cavallereschi e mistici che nel gusto sobrio del suo linguaggio e delle sue melodie ripetute gli permisero di essere amato come pochi altri artisti. Morì a Parigi il 13 agosto 1912. Lun. San. Il Giornale dei Grandi Eventi Thaïs 13 Schiacciato tra i due grandi musicisti europei Massenet fra Verdi e Wagner «I suoi colleghi non gli perdonarono quella capacità di piacere che è propriamente un dono.... Un tale successo fece sì che per un certo periodo andasse di moda copiare le manie melodiche di Massenet, poi improvvisamente gli stessi che lo avevano così tranquillamente saccheggiato lo trattarono duramente». Il passo, tratto dal “Signor Croche antidilettante” di Debussy, coglie lucidamente quello che fu il destino di Jules Massenet, all’epoca certamente uno dei compositori più amati e nello stesso tempo più discussi del teatro francese. Una cinquantina di lavori teatrali fra opere, operette, oratori e musiche di scena, un’ampia produzione di musica sinfonica, cameristica e vocale, Massenet è stato fra i grandi protagonisti della cultura francese del secondo Ottocento. Ha contribuito ad “europeizzare” il teatro del suo Paese che proprio in quegli anni invase i palcoscenici italiani facendo una concorrenza spietata ai nostri musicisti. Ha mosso i primi passi come successore di Gounod e ha chiuso la carriera, nei primi anni del Novecento, nella Francia di Debussy. Ha saputo destreggiarsi fra i due grandi colossi del teatro europeo dai quali era pressoché impossibile prescindere, Wagner e Verdi. Conobbe entrambi ed entrambi lasciarono su di lui una forte impressione. L’incontro con Wagner Al 1861 risale l’incontro fra il giovane musicista francese e Wagner: «Abitavo in una piccola camera accanto alla sua nel castello di Plessis-Trevise del celebre tenore Gustave Roger», ha raccontato nelle sue “Memorie”. «Roger conosceva il tedesco e si era candidato a curare la traduzione francese del più o meno del tutto bandito le cadenze perfette a partire da “Werther”, preferendo loro il più spesso possibile cadenze interrotte che si crede che essa stia per fermarsi». La sottile invidia di Verdi Nel 1879 Le roi de Lahore raggiunse la Scala. Recatosi a Milano, il musicista francese fu oggetto di calorosi festeggiamenti che l’austero Verdi stigmatizzò in una lettera da Genova alla Contessa Maffei: «...tutto questo movimento, questo fracasso per un’opera, tutte queste lodi o adulazioni, mi fanno ripensare al passato (si sa che i vecchi lodano sempre i loro tempi) quando Noi senza réclame, senza quasi conoscere persona presentavamo il nostro muso al pubVerdi, Wagner e Massenet (in alto a destra) in una litografia caricaturale blico e se ci applaudiva si diceva o non respingono inopinatamente “Tannhäuser”. Richard si diceva “grazie”. Se ci la musica in una direzione Wagner lo aveva raggiunto fischiava: “Arrivederci nuova nel momento in cui per curare l’accordo fra le un’altra volta”. Non so se parole francesi e la musica. Ricordo ancora la sua possente interpretazione quando suonava al piano i frammenti del suo capolavoro...». Massenet fu conquistato dalla personalità del tedesco e certamente alcune soluzioni armoniche da lui adottate derivarono da Wagner: «Sotto l’influenza di Wagner – ha scritto Gérard Condé analizzando l’opera Cleopatra Massenet aveva Incontro di Massenet con Siegfried Wagner, figlio del compositore Richard questo era più bello, ma era certamente più degno...». Erano, del resto, quegli anni, contrassegnati da un particolare interesse da parte dei nostri teatri e del nostro pubblico per la produzione d’oltralpe. A ciò non erano estranei il silenzio cui si era condannato proprio Verdi dopo Aida e il disagio con cui si muovevano i giovani autori italiani, schiacciati dal mito di Wagner, preoccupati dalla concorrenza francese, culturalmente chiusi fra un romanticismo al tramonto, una scapigliatura vitale solo nella critica “in negativo” e un verismo ancora all’orizzonte. Massenet e Verdi si incontrarono qualche anno dopo, nel novembre 1894, quando l’artista francese, nuovamente in Italia, passò da Genova e rese omaggio al suo più vecchio collega a Palazzo del Principe. Dopo aver attraversato una vasta anticamera e un salone affacciato su un’ampia terrazza, Massenet entrò nello studio di Verdi che sedeva al suo tavolo di lavoro. L’anziano compositore di Busseto si alzò, gli andò incontro e lo trattò con estrema affabilità. La conversazione si protrasse per una trentina di minuti e lasciò una profonda impressione sull’artista francese: «Passai in sua compagnia alcuni istanti di un fascino indefinibile, parlando con la più deliziosa semplicità nella sua camera, poi sulla terrazza da dove si dominava il porto di Genova e il mare. Ebbi l’illusione che fosse lui stesso un Doria che mi mostrasse con orgoglio la sua flotta vittoriosa». Francesca Oranges 14 Thaïs Il Giornale dei Grandi Eventi L’autore del romanzo alla base del libretto Il librettista Il Premio Nobel Anatole France Louis Gallet L ’opera di François-Anatole Thibault, che divenne famoso con lo pseudonimo di Anatole France, per il gusto della parola e l’ironia, incarna lo spirito razionalista francese. Nato a Parigi il 16 aprile 1844, da una famiglia appartenente alla piccola borghesia conservatrice, France fu dalla nascita legato al mondo della carta stampata (il padre era proprietario di una libreria). Studiò con alterni successi presso il Collegio Stanislas ma coltivò sempre la propria erudizione: già ad otto anni infatti scriveva e componeva poesie. Visse dapprima di impieghi editoriali, poi divenne bibliotecario presso il Senato. Collaborò attivamente a quotidiani e riviste. Cominciò ad interessarsi di teatro come autore drammatico verso il 1868. Il suo esordio letterario avvenne con alcune poesie inserite nel «Parnasse contemporain» del 1871. Poco dopo uscirono i Poemi dorati (Les poèmes dorés, 1873) dedicati a Leconte de Lisle. Presto però prevalse la sua maggiore attitudine per la prosa, prima con due racconti, Jocaste e Il gatto magro (Jocaste; Le chat maigre, 1879) che si guadagnarono gli elogi di Flaubert, e quindi con il romanzo Il delitto di Sylvestre Bonnard, membro dell’Institut (Le crime de Sylvestre Bonnard membre de l’Institut, 1881), satira impietosa del mondo accademico. France partecipò attivamente alla vita politica della Francia di fine secolo e intervenne in diverse questioni che divisero il Paese. Il suo pensiero fu sempre improntato alla tolleranza e al distacco dal fanatismo. Durante il processo Dreyfus si schierò con Zola nella difesa della libertà di pensiero ricorrendo alla più tagliente delle armi, l’ironia. Partecipò alla propaganda socialista e anticlericale dichiarandosi anche a favore delle idee comuniste e fu tra gli ispiratori delle leggi per la laicizzazione della scuola pubblica. Il suo impegno gli attirò le antipatie della Chiesa di Roma che negli anni Venti mise all’indice i suoi scritti. Il grande successo France lo ottenne con Thaïs (1889), romanzo ambientato in un decadente mondo alessandrino che concilia tradizioni pagane e cristiane nell’incoerente ma poetica figura della protagonista a cui l’autore restituisce, dissolvendo gli aspetti più torbidi, la redenzione negata dall’implacabile giudizio dantesco. Il lavoro, ispirato al dramma Paphnutius di Hrosvitha (X Sec.) ed integrato da altre letture come la Vita dei santi, era stato dapprima (1867) pubblicato a puntate come poema sulla Revue des deux mondes con il titolo di Paphnuce dal nome del protagonista e quindi, nel 1889, come romanzo con il titolo definitivo. Del 1893 sono le opere Le opinioni di Jérôme Coignard (Les opinions de Jérôme Coignard), La tragedia umana (L’humaine tragédie), e La rosticceria della regina Piedoca (La rôtisserie de la reine Pédauque), a cui seguirono una serie di quattro romanzi, raccolti con il titolo di Storia contemporanea (Histoire contemporain) che rivelano una maggiore sensibilità verso i temi sociali e politici ed una più ferma padronanza dei mezzi espressivi: L’olmo del viale (L’orme du mail, 1897), Il manichino di vimini (Le manniquin d’osier, 1897), L’anello d’ametista (L’anneau d’améthyste, 1899), e Monsieur Bergeret a Parigi (Monsieur Bergeret à Paris, 1901). France fu uno scrittore raffinato ed elegante che in un ironico disincanto e in indulgente epicureismo trovò la misura per esprimere la sua profonda partecipazione ai drammi dell’uomo moderno e il suo impegno in difesa della dignità umana. Nel 1921 ricevette il Nobel per la letteratura. Le motivazioni del premio: «Come riconoscimento delle sue brillanti conquiste letterarie, caratterizzate da una nobiltà di stile, una profonda simpatia umana, grazia e vero temperamento gallico». Tre anni più tardi, il 12 ottobre 1924 France morì a la Bechellerie nei pressi di Saint-Cyr-sur-Loire. Ludovica Sanfelice L ouis Gallet nasce in Francia nel 1835.Il suo debutto nel mondo musicale è del 1868 quando, insieme ad Edmond Blau si occupa della stesura del libretto per l’opera incompiuta di Massenet La coupe du Roi de Thule. Successivamente lavora per diversi compositori, tra i quali Gounod, Joucières, Guiraud, BourgaultDucoundray. Per Bizet compone il libretto di Djamileh (1872), tratto dal poema Namouna di Alfred de Musset. L’opera, nonostante le attestazioni di stima ricevute da musicisti quali Gustave Mahler e Camille Saint-Saëns, non riscosse grande successo forse a causa di un intreccio poco efficace a livello teatrale. Proprio Saint-Saëns, con il quale più volte Gallet si troverà a lavorare, dirà di lui: «La sua capacità di lavoro era prodigiosa. Potevi trovarlo nel suo ufficio presso l’Amministrazione per l’Assistenza ai poveri, sempre intento a scrivere su pezzi di carta redigendo rapporti, scrivendo novelle, articoli per varie riviste, commedie, libretti e, per rilassarsi, comporre sonetti». La collaborazione tra i due aveva prodotto diverse opere: La princesse jaune (1872), Etienne Marcel (1879), Ascanio (1890) e Déjanire (1911). Quest’ultima, da una tragedia omonima di Gallet per la quale SaintSaëns tredici anni prima aveva composto le musiche di scena, trasposta in veste operistica suscitò un’ottima accoglienza. I primi lavori di Gallet per Massenet furono le tragedie di argomento sacro Marie Magdeleine (1873) e Eve (1875). Successivamente egli si dedicò ai versi per Le Roi de Lahore (1877) prima composizione di Massenet per il grand-opéra e primo grande successo di pubblico. Insieme ad Auguste-Philippe d’Ennery ed Eduard Blau adatta, sempre per Massenet, una celebre opera della storia letteraria di Francia Le Cid ou L’honneur Castillan di Corneille (1638). Il libretto di Le Cid (1885) risultava ben riuscito anche se la versificazione si dimostrava poco adatta a fondersi con la partitura musicale. Dal romanzo Thaïs di Anatole France, Gallet realizzò il libretto per l’opera omonima musicata da Massenet da subito entusiasta del soggetto. L’opera, andata in scena all’Opéra di Parigi il 16 marzo 1894, ricevette tiepida accoglienza da parte degli spettatori, ma la piena approvazione dello stesso autore dell’opera letteraria Anatole France. L’adattamento del romanzo per il libretto pose a Gallet la necessità di una versificazione che risultasse adeguata alla rappresentazione operistica. «Un libretto è un lavoro in versi che viene consegnato al musicista in modo che egli lo trasformi in prosa» - scriveva Gallet nella prefazione al libretto della Thaïs. «Dato che i compositori inevitabilmente alterano o ignorano il ritmo di tale lavoro, perché un librettista dovrebbe passare attraverso la farsa della versificazione? D’altro canto una semplice prosa sarebbe troppo piatta…». Il risultato fu quello che egli stesso definì poésie mélique, una prosa ritmata che si prestava perfettamente ad essere trasformata in suono. Nonostante nel libretto si perda parte dell’ironia e del filosofeggiare del romanzo, rimangono intatte nell’opera le atmosfere esotiche, la sensualità, gli psicologismi che avevano caratterizzato il testo di Anatole France. Anche Dumas, George Sand, Zola furono tra gli autori che Gallet riadattò per il palcoscenico della lirica. Di talento versatile ed intelligente, dopo aver lavorato con i maggiori operisti francesi della sua epoca si spense a Parigi il 16 ottobre 1898. Mic. Mont. Il Giornale dei Grandi Eventi Dal mondo della musica 15 Dal 24 giugno la Stagione Estiva dell’Accademia di S. Cecilia “Classica sotto le stelle” e “Voci di donna” Q uattro grandi concerti sinfonici più quattro concerti di It’s wonderful dedicati ad altrettante Voci di donna formano la Stagione Estiva dell’Accademia Nazionale di S. Cecilia che anche quest’anno punta ad un’osmosi tra diversi generi musicali. Musiche di grande appeal anche per chi non è abituato a entrare in una sala da concerto. E per favorire la partecipazione del pubblico, in funzione anche il servizio di babysitting, che al costo di 5 Euro, permetterà ai bambini dai 4 agli 11 anni di passare due ore in compagnia di educatori che li faranno divertire con la musica. Concerti sinfonici Ad aprire la stagione dei concerti nella Cavea dell’Auditorium il 24 giugno è Richard Galliano, il Matrimonio segreto e Traviata Estate in musica ad Orvieto I l matrimonio segreto di Cimarosa e La traviata di Verdi formano l’interessante menù che l’associazione Spazio Musica di Genova, attiva da 27 anni, propone questa estate ad Orvieto. Dal 24 luglio al 31 agosto, nell’incantevole scenario della città etrusca, fra i suoi monumenti e lo splendido Teatro Mancinelli, si svolgerà la 27° edizione dei Corsi internazionali di Perfezionamento e del Laboratorio lirico che prevedono, con la guida di artisti di fama ed esperienza, la preparazione e la realizzazione in recite pubbliche delle opere Il Matrimonio segreto e La Traviata. Oltre alle opere liriche, parallelamente si terrà la stagione musicale con una serie di concerti dei docenti e dei migliori allievi. Il Teatro Mancinelli ospiterà inoltre la 10° edizione del Concorso Internazionale per cantanti lirici e la prima edizione del Concorso internazionale per direttori d’opera, ambedue con finale-concerto aperto al pubblico. Il Concorso per direttori d’opera sarà intitolato a Luigi Mancinelli, grande direttore, oltre che compositore e violoncellista, nato a Orvieto nel 1848, artista di primo piano nel secondo Ottocento, vivamente apprezzato da Verdi e da Wagner. Questo il calendario dei principali appuntamenti di Orvieto Il 25 luglio al Teatro Mancinelli concerto pubblico con i finalisti del Concorso lirico. Il 27 il Palazzo dei Sette recital del pianista Massimiliano Damerini, impegnato in pagine di Chopin e di Liszt. Il 12 agosto al Teatro Mancinelli (repliche 13 e 14) debutto del Matrimonio segreto con Fabio Maestri sul podio e la regia di Paolo Miccichè. Il 18 concerto dei finalisti del Concorso per direttori d’orchestra. Il 20 e il 22 (Palazzo dei Sette) due concerti affidati rispettivamente a Ubaldo Rosso e Danilo Costantini (flauto e cembalo) e a Paloma Tironi e Demetrio Comuzzi (viola e arpa). Dal 28 al 30, al Teatro Mancinelli, recite di Traviata, con la direzione di Aldo Faldi e la regia di Gabriella Ravazzi. Per informazioni: “Spazio Musica”, tel. 010/317192. Sito www.spaziomusica.org grande jazzista che torna a suonare l’amato Concerto per bandoneon e orchestra di Astor Piazzolla, abbinato al popolarissimo Bolero di Ravel. Sul podio il direttore Carlo Rizzi. Il programma sinfonico prosegue il 6 luglio con la prima mondiale, in forma di concerto, della colonna sonora del film The Passion of Christ, pluripremiata pellicola di Mel Gibson. La suite sinfonica di John Debney verrà diretta dall’autore. E sarà un’altra rarità, la Sinfonia dell’Aida a caratterizzare il 13 luglio il Gala Verdi nel quale l’Orchestra e il Coro dell’Accademia, diretti da Riccardo Frizza, eseguiranno Cori e Sinfonie tratti dalle più popolari opere verdiane, compresa la Sinfonia che Verdi compose nel 1872 per la prima dell’Aida alla Scala, ma mai eseguita in teatro per espresso divieto dell’autore. In occasioni diverse è stata diretta da Toscanini, Bernardino Molinari e Claudio Abbado. Il 20 luglio in programma la Sinfonia n.9 di Beethoven, diretta da Gustavo Dudamel, giovane compositore venezuelano, uno dei testimonial del risveglio musicale del Sudamerica. Voci di donna Quattro artiste simbolo di diverse culture e tradizioni musicali cantano la storia e le emozioni delle proprie terre nella rassegna Voci di donna. Il 4 luglio apre la rassegna Gal Costa, classe 1945, diva assoluta della musica brasiliana, in Italia dopo oltre dieci anni di assenza. Gal Costa è stata, insieme a Caetano Veloso e Gilberto Gil una presenza fondamentale del movimento tropicalista; tra le sue interpretazioni memorabili Divino Maravilhoso. Gal Costa considerata, insieme a Elis Regina, la più grande vocalist del Brasile moderno, presenterà le canzoni del nuovo album: “Todas As Coisas e Eu”, ma anche sue indimenticabili interpretazioni. L’11 luglio arriva Ute Lemper, classe 1963, che ha legato il suo nome alla grande tradizione del cabaret europeo, ridando vita al mito della Piaf e della Dietrich, ma anche sapendosi rinnovare con collaborazioni con artisti come Luciano Berio, Nick Cave e Michael Nyman. Straordinaria interprete di Kurt Weil e del musical, porta a Roma il suo ultimo progetto Voyage, vero e proprio viaggio in diverse culture. Cassandra Wilson, classe 1955, ritenuta la più grande jazz singer vivente, torna a Roma il 18 luglio. Versatile, brillantissima, dotata di tecnica impeccabile e pathos travolgente, riesce a re-inventare brani di Bob Dylan così come il blues dei vecchi maestri della sua terra natale sul delta del Mississippi. Il 21 luglio, a chiudere la rassegna, la diva sudafricana Miriam Makeba, classe 1932, nota internazionalmente come Mama Africa. Autentica icona della canzone africana. Vincitrice del Grammy vanta una produzione discografica di enorme successo: la sua canzone Pata Pata del 1967, un trionfo mondiale, riesce ancora a scatenare il pubblico. Un bel DVD di Thaïs I l maestro Marcello Viotti ed il regista Pier Luigi Pizzi sono gli artefici della bella edizione di Thaïs realizzata alla Fenice di Venezia e ora in commercio in un DVD edito dalla Dynamic. Pizzi, ben aiutato dalle coreografie di Gheorghe Iancu, ha accentuato gli aspetti sensuali ed esotici dell’opera. Danzatrici svestite, colori accesi a sottolineare le passioni, fiori rossi intorno a Thaïs. E poi, in contrasto, croci bianche a riempire il palcoscenico al momento della redenzione e del tragico, eppure sereno, epilogo. Da parte sua, Viotti ha riletto la partitura con duttilità e eleganza, curando il fraseggio, variando le dinamiche, assicurando una leggerezza melodica ammirevole. Lodevole il cast. Eva Mei garantisce a Thaïs una vocalità piena, agile negli acuti, ma intensa sul piano espressivo. Molto bene Michele Pertusi nel ruolo di Athanael, mentre William Joyner risolve con bravura la parte di Nicias e Christine Bouffle e Elodie Mechain formano un duo brillante nelle vivaci parti di Crobyle e Myrtale. Da segnalare ancora Letizia Giuliani, flessuosa ed affascinante ballerina, protagonista della suggestiva “Meditation” restituita con gusto dal violinista Roberto Baraldi. R.I.