ONEDO MEACCI
LA CATTEDRALE
DI CHIUSI
Figure e simboli
seconda parte
OPERA LAICALE DELLA CATTEDRALE
Copertina: Trionfo della Croce
Retro di copertina: Martirio di san Secondiano
Si ringrazia Don Antonio Canestri e Patrizia Sfligiotti per la loro collaborazione
Foto: Andrea Fuccelli - Chiusi (SI), Mario Appiani - Siena
Progettazione e realizzazione editoriale:
Edizione Luì - Via Galileo Galilei, 38 - Chiusi Scalo - SI
tel. 0578/226200
© 2002 Edizioni Luì
Tutti i diritti sono riservati
Vietata la riproduzione con qualsiasi mezzo senza autorizzazione dell’autore
Finito di stampare nel mese di febbraio 2002 da Minitipo - Majano (UD)
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QUASI UNA PRESENTAZIONE
“Dio vide, ed era cosa bella!”
Questo ritornello del libro della Genesi racconta i primi sguardi sul mondo.
Il primo vedere di Dio colse la bontà e la bellezza, misure nascoste, lasciate da
lui nelle cose che aveva creato.
Ogni cosa, da allora, è impronta accennata, segno che allude.
Poi alcune creature (cose, piante, animali), per eventi che le hanno coinvolte
o per rimandi e somiglianze, si sono caricate di significati diversi, più profondi
e più ampi di loro stesse.
È nato il simbolo: l’immagine dice ciò che raffigura e fa pensare a tanti altri
elementi che essa raccoglie in sé: simboleggia.
Da sempre il sacro e la fede hanno trovato nel simbolo e nelle figure la via
per esprimersi. Ma l’uno e le altre accennano soltanto, bisogna conoscerne la
storia, raccontarle, spiegarlo.
Questa è l’opera preziosa che Onedo Meacci ha fatto con sapienza d’amore e
ricerca accurata intorno alle figure e ai simboli della sua Cattedrale di Chiusi.
Le immagini, guardate e lette, adesso si manifestano appieno...
Parlano di Qualcuno, dei Suoi doni, della Sua Grazia, della Sua Vita.
Vanno oltre se stesse e annunciano il loro Creatore e Signore.
Ancora una volta, l’affetto grato di un cristiano per la sua Chiesa-madre (la
Cattedrale di san Secondiano), si fa strumento prezioso di storia, cultura e...
catechesi.
È il desiderio segreto con cui O. Meacci ha accompagnato per anni, giorno
dopo giorno , migliaia di visitatori.
Ha scritto questo libretto come un invito a portarsi negli occhi e nel cuore
quei simboli e quelle figure che, guardate e contemplate, possono farci intuire
la misura nascosta di tutto: la Bellezza e la Storia di Dio.
Rodolfo, vescovo
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CRISTO PANTOCRATORE
Una vetrata circolare nella parete del pronao, dipinta dal fiorentino Ulisse
de Matteis, raffigura il Cristo Pantocràtore, cioè “Cristo Onnipotente”.
«Io sono l’Alfa e l’Omega, dice il Signore Dio... Non temere! Io sono il primo
e l’ultimo, il vivente; giacqui morto, infatti; ma ora eccomi vivo per i secoli dei
secoli; nelle mie mani sono le chiavi della Morte e dell’Ade» (Ap 1,8.17-18).
Le lettere A e Ω, prima e ultima dell’alfabeto greco, si riferiscono all’eternità
e onnipotenza di Dio. Se scritte sul libro tenuto in mano da Gesù, indicano in
lui la pienezza della divinità e della rivelazione di Dio: «Dio nessuno l’ha mai
visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato»
(Gv 1,18).
E ancora san Giovanni: «Della sua pienezza infatti noi tutti ricevemmo e
grazia su grazia; poiché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità
vennero per mezzo di Gesù Cristo» (1,16-17).
Il Figlio di Dio si è fatto uomo per dare a coloro che lo accolgono “il potere
di diventare figli di Dio” (Gv 1,12).
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Navata centrale
Dopo aver considerato il Pantocràtore, guardiamo ora le immagini scolpite
sopra nove colonne.
I PULVINI
I pulvini della Cattedrale rappresentano una grande testimonianza del Cristianesimo dei primi secoli. Sono stati definiti “il più cospicuo ciclo di rilievi
della Tarda Antichità in Toscana” e costituiscono un interessante documento
della produzione scultorea della metà del VI secolo. Inoltre, come afferma P.
Sfligiotti a pag. 92 del libro “Chiusi Cristiana”: «hanno impresse vivezza ed
espressività che conferiscono loro credibilità in quanto simboli di speranza».
L’ignoto autore non solo ha pensato di decorare alcuni spazi vuoti, ma ha
voluto sicuramente proporre un messaggio legato alla sua fede cristiana. Per
questo non possiamo accontentarci di guardare unicamente gli aspetti tecnici
e artistici, ma dobbiamo lasciarci accompagnare in una meditazione che propone nei simboli i grandi misteri della nostra fede.
Dal punto di vista architettonico sono strutture di adattamento, in quanto le
colonne essendo di spoglio, sono di misure diverse.
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SIMBOLOGIA
Prima colonna a sinistra
Cantaro con doppia ansa. A sinistra un pavone con tre pennacchi, a destra
una colomba, come in movimento, vi si abbevera.
Pavone
Questo animale era già rappresentato prima dell’era cristiana nei monumenti
sepolcrali; nella sua coda dai cento ocelli gli antichi ravvisavano il cielo stellato.
Sant’Agostino riferisce una credenza secondo la quale al pavone fu concessa una
carne non soggetta a putrefazione, per questo era stato adottato come simbolo
d’immortalità. Per il rinnovarsi a primavera delle penne perdute durante l’autunno, in modo del tutto simile a ciò che avviene nel ciclo vegetale, venne anche
assunto a simbolo di resurrezione.
Lo troviamo spesso raffigurato nelle catacombe o in altri luoghi dell’arte
cristiana, a volte insieme a un cantaro (la vasca per le abluzioni che si trovava nelle basiliche orientali), a un grappolo d’uva o ad un vaso che simboleggia l’acqua della vita. Nel Duomo di Chiusi il pavone è rappresentato
con le zampe su un uovo, anch’esso segno di una nuova vita e simbolo di
resurrezione.
Colomba
È una figura usata spesso nella pittura cristiana perché simboleggia lo Spirito Santo che “in principio volava sulle acque”. Una colomba portò a Noè, dopo
il diluvio, una foglia di ulivo, segno che Dio aveva ristabilito la sua alleanza
con l’umanità (Gn 8,10-12). Essa non solo è considerata uccello della pace, ma
anche della luce. Come simbolo dello Spirito Santo, la colomba appare nei battisteri, sopra gli altari o al di sopra della croce (vedi il dipinto siglato FONS
VITAE, al lato destro della navata centrale). A volte dalla colomba parte un
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raggio di luce, come nella figura dell’Annunciazione (secondo dipinto nell’abside).
Inoltre, lo Spirito di Dio si manifesta in questa forma durante il battesimo di
Gesù nel fiume Giordano: «si aprirono a lui i cieli e vide lo Spirito di Dio discendere in forma di colomba e venire su di lui» (Mt 3,16).
In questi pulvini la colomba è usata per simboleggiare il credente che attinge ai beni della salvezza e all’Eucarestia.
Terza colonna a sinistra
Il pulvino è stato realizzato utilizzando un’ara o un cippo pagano.
Al centro si legge il nome del vescovo Florentino, promotore della costruzione della basilica (558).
Ai lati dell’iscrizione due tralci di vite con uva. Due colombe di profilo beccano degli acini; la colomba di sinistra è volta indietro.
Vite con uva
La vite nella Bibbia simboleggia la benedizione divina (Sal 104,15; Gn 27,28).
Per il valore di questa metafora talvolta il Signore viene rappresentato come il
guardiano di una vigna.
Gesù, usando l’immagine della vite, dice: «Io sono la vera vite e il Padre mio
è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo recide, e ogni tralcio
che porta frutto, lo monda» (Gv 15,1). Durante l’ultima cena con gli apostoli, fa
del “frutto della vite” l’eucarestia della nuova alleanza (Mt 26,29).
La rappresentazione delle colombe che beccano il frutto della vite è quindi
immagine dei credenti che partecipano all’eucarestia per la vita eterna (Gv 6,
53-56).
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Quarta colonna a sinistra
Vaso centrale a due anse. Due colombe con il capo volto indietro, verso il
centro. La colomba di sinistra tiene nel becco un pane, quella di destra un pesce.
Queste immagini sono una evidente citazione di Gv 6, 1-15: il miracolo della
moltiplicazione dei pani e dei pesci. Seguendo la narrazione dello stesso evangelista, questo miracolo apre l’annuncio dell’Eucarestia che Gesù fa nella sinagoga di Cafàrnao: il pane e il pesce sono Cristo, alimento dei credenti. Siamo
quindi di fronte ad una raffigurazione dell’Eucarestia e all’affermazione della
presenza di Cristo nel sacramento dove prevale la necessità di cercare e incontrare Lui, inviato del Padre, senza fermarsi ai pani e ai pesci moltiplicati: «Voi
mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei
pani e vi siete saziati. Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura
per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà» (Gv 6, 26-27).
Secondo gli studiosi il simbolo del pesce trova ragione nell’immagine scritta del suo stesso nome, in greco IXθYC (ichthys), che appunto formano il significativo acrostico
IHCOYC
(Jesous
Gesù
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XPICTOC
Christos
Cristo
θEOY
Theou
di Dio
YIOC
Hyios
figlio
CΩTHP
Soter)
Salvatore
Sesta colonna a sinistra
Due pavoni simbolo d’immortalità, con pennacchi e code lunghe, s’abbeverano ad una coppa.
Questo è il frutto della comunione eucaristica, la vita eterna: «Chi mangia la
mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna ed io lo risusciterò nell’ultimo
giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me ed io in lui. Come il Padre,
che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che
mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno» (Gv 6, 54-58).
Ottava colonna a destra
Due Angeli sorreggono un clìpeo centrale, composto da due cerchi concentrici
rappresentanti la triumphalis corona e contenente una croce greca con braccia
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terminali allargate, una particolarità stilistica tipica della tarda romanità (dal VVI sec. in poi), detta anche croce “ad estremità patenti”. Il clìpeo era uno scudo
rotondo, di cuoio, usato dai romani e la triumphalis corona veniva data al capo
supremo che tornava vincitore a Roma.
Nel passaggio dalla iconografia pagana a quella cristiana, la croce sostituisce il volto dell’imperatore trionfante, celebrando il trionfo di Cristo risorto.
La corona che racchiude la croce infatti, simboleggia la vittoria di Gesù Cristo
sul peccato e sulla morte: “trofeo perché con essa fu vinto il diavolo e col diavolo fu sconfitta la morte”, scrive sant’Andrea di Creta Vescovo.
Non più geni alati ma due angeli, dei quali si indica il nome per evitare
errori, sorreggono l’immagine clipeata.
Due iscrizioni incise sul bordo superiore infatti, riportano i nomi degli Arcangeli Raffaele e Michele: RAFAHEL (a sinistra) e MIKAHEL (a destra).
Di fronte a questo pulvino ci piace richiamare il brano del Vangelo di Giovanni che narra la vocazione dell’apostolo Bartolomeo, quando Gesù annunzia la gloria derivante dall’elevazione sulla croce, compiendo così l’antica figura della scala di Giacobbe (Gn 28, 10-17): «Gli rispose Gesù, perché ti ho
detto che ti avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose maggiori di queste!» Poi
gli disse: «In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio
salire e scendere sul Figlio dell’uomo» (Gv 1, 50-51).
Raffaele
“Dio ha sanato” o “guarisce”
Nel libro di Tobia (12,15) si definisce “uno dei sette angeli che sono al servizio di Dio e hanno accesso alla maestà del Signore”. Svolge una parte importante nella vita di Tobia (5,5-21) a cui spiega, fra le altre cose, come curare la
cecità del padre usando il fiele del pesce che aveva pescato. Infine, dinanzi a
Tobia e suo padre, si fa riconoscere e prima di scomparire, fa presente la necessità di lodare e benedire Dio, nonché pregare, digiunare e fare l’elemosina (12,8).
Si festeggia il 24 ottobre.
Michele
“Chi è come Dio?”
Nel libro del profeta Daniele (10,13) viene descritto come “uno dei primi
principi”. Michele è l’angelo protettore del popolo di Dio e in Ap 12,7 lo troviamo a combattere una guerra nel cielo contro Satana, che viene sconfitto (Ap
12,13).
Festa di san Michele: 29 settembre.
Settima colonna a destra
Grande vaso, privo di anse, con decorazioni (baccellature), su cui è posata
una colomba. Ai lati sono scolpite due croci greche con aste e con bracci allargati. Alla base, triangoli simili a quelli della colonna del vescovo Florentino.
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La forma della croce greca, chiamata in latino crux quadrata, è stata utilizzata dagli architetti paleocristiani come riferimento per la pianta di chiese bizantine e siriache.
La colomba raffigurata con il vaso richiama il refrigerium, cioè l’anima dei
fedeli uscita dal corpo in forma di colomba che partecipa al banchetto celeste.
Sesta colonna a destra
Nel pulvino, due colonne reggono un arco. All’interno, appeso ad un’asta,
ricade un tendaggio annodato in basso. Due colombe completano la scultura.
Mons. Francesco Liverani1 interpreta la raffigurazione come simbolo dell’Eucarestia, mentre Don. Giacomo Bersotti2 come “un arco trionfale velato, su cui
poggia una colomba (anima), per accedere alla vita eterna”.
1 - Liverani - Le catacombe, 1872, p. 216
2 - Bersotti - Guida Storia di Chiusi, p. 80
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Nel Vangelo di san Giovanni, Gesù parla di se stesso come pastore e porta
del gregge: «In verità, in verità vi dico: chi non entra per la porta nell’ovile
delle pecore, ma s’arrampica da un’altra parte, è un ladro e un bandito»; e
ancora: «Io sono la porta, chi entrerà attraverso di me sarà salvo; entrerà e
uscirà e troverà pascolo» (Gv 10,1.9). Pertanto i cristiani fin dall’inizio pensarono a Cristo come ad una porta, perché Egli è la via e il mezzo per trovare la
salvezza di cui l’uomo ha bisogno.
Cristo “porta”: per lui si entra in paradiso.
Il valore simbolico della porta si trova per la prima volta nei versetti dell’Esodo (cap. 12,22-23); lo stipite bagnato dal sangue dell’agnello salvò gli ebrei in
Egitto dall’ultima piaga.
Anche un Salmo (118,19-20) preannuncia il valore di questa porta: «Apritemi le porte della giustizia: voglio entrarvi e rendere grazie al Signore. Questa è
la porta della Giustizia: solo i giusti entrano per essa»; e inoltre: «Varcate le sue
porte con inni di grazie, i suoi atri con canti di lode; lodatelo, benedite il suo
nome» (Sal 100,4).
Sant’Ignazio di Antiochia dice che Gesù “è la porta del Padre, per la quale
passarono Abramo, Isacco, Giacobbe, i Profeti, gli Apostoli e la Chiesa”. Ciò indica che nessun uomo può accedere a Dio Padre, se non per mezzo del Figlio.
Quarta colonna a destra
Vi sono scolpiti due fiumi, che sono indicati come i corsi d’acqua del giardino dell’Eden: Pison e Ghicon. In alto si legge la parola CERVI, accompagnata
dalle due figure di animali. Quello di destra, con enormi corna, è in posizione
di bere; quello di sinistra, senza corna (dunque una femmina), si avvicina al
fiume.
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Cervo
Nel Vecchio Testamento l’acqua è spesso considerata il simbolo della vita
che Dio dona; nell’arte cristiana il cervo che si disseta alla sorgente è simbolo
dell’anima che giunge alla fonte della vita. Il salmista così si esprime: «Come
una cerva anela verso rivi di acqua, così l’anima mia anela verso di te, o Dio.
L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente. Quando potrò venire e contemplare il volto di Dio?» (Sal 42,2-3).
I cervi sono considerati anche simboli di rinnovamento, per il fatto che i
palchi delle loro corna vengono sostituiti tutti gli anni, ed ogni volta ricrescono sempre più ramificati.
Per comprendere il simbolo dell’acqua colleghiamo questa immagine alla
pittura soprastante che raffigura la sorgente di acqua viva accompagnata dalla
scritta Fons Vitae3 e leggiamo tre brani del vangelo di Giovanni.
Nel dialogo con la Samaritana Gesù afferma: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò non avrà mai più
sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna» (Gv 4,13-14). Nella festa delle capanne Gesù proclama:
«Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi
d’acqua viva sgorgheranno dal suo seno».
Questo egli dice riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in
lui dopo la sua glorificazione (Gv 7, 37-39). Sul calvario si compie la pienezza
del dono: «Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì
sangue ed acqua» (Gv 19,33-34).
Seconda colonna a destra
Pulvino decorato da un motivo geometrico, costituito da cerchi che circondano tre rose. Alternati, sei petali. Il cerchio fa riferimento a Cristo, “Sole di
giustizia” secondo il Vangelo di san Luca: «.. grazie alla bontà misericordiosa
3 - Meacci - La Cattedrale di Chiusi, p. 18 e 21
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del nostro Dio per cui verrà a visitarci un sole dall’alto, per illuminare quelli
che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte, per guidare i nostri passi sulla
via della pace» (Lc 1,78-79).
La rosa, per il suo profumo, la sua bellezza ed il colore rosso, simboleggia
l’amore; essa allude anche alla leggendaria coppa che raccolse il sangue di Cristo. Anche il tulipano, essendo un fiore con foglie a forma di calice, abbinato
alla rosa, può simboleggiare il calice eucaristico che raccoglie il sangue di Cristo. Il numero sei, riferito ai petali delle rosette, può riferirsi ai giorni della
creazione; un richiamo che troviamo anche in sant’Agostino, il quale intravedeva nel numero sei, formato dalla somma dei primi tre numeri cardinali
(1+2+3=6) il simbolo dell’ordine temporale della creazione4. Lo stesso numero
viene anche riferito alle opere di misericordia menzionate nel Vangelo: «Poiché: ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi deste da bere, ero pellegrino e mi ospitaste, nudo e mi copriste, infermo e mi visitaste, ero in carcere e
veniste a trovarmi» (Mt 25,35-36).
4 - Gard Heinz - Mohr - Lessico di iconografia cristiana, p. 300 e 247
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Le decorazione pittoriche
SIMBOLI DEI QUATTRO EVANGELISTI
Quattro sono gli esseri descritti dal profeta Ezechiele (1,5) nella visione del
carro di Jahweh, le cui caratteristiche verranno richiamate nel libro dell’Apocalisse (4,6-8), da san Giovanni che descrive una visione profetica: «In mezzo
al trono e intorno al trono v’erano quattro Viventi, pieni di occhi davanti e dietro. Ora il primo vivente era simile a leone, il secondo vivente era simile a vitello, il
terzo vivente aveva aspetto d’uomo e il quarto vivente somigliava a un’aquila in
volo. E i quattro Viventi, muniti di sei ali ciascuno, avevano occhi tutt’intorno
e al di dentro. Senza sosta ripetevano notte e giorno: Santo, santo, santo è il
Signore Dio, l’Onnipotente, Colui che era, che è, che viene!».
I quattro esseri viventi, i cui nomi richiamano le costellazioni, rappresentano la creazione. Complessivamente costituiscono l’icona di ciò che nel creato si
considerava nobile, forte, saggio e agile. A partire dal II sec. gli esegeti vi hanno visto simbolicamente le immagini dei quattro evangelisti, che l’arte cristiana ha poi raffigurato con un leone, un toro, un’immagine di uomo e un’aquila.
Sulla parete antistante al catino absidale ritroviamo appunto tali simboli.
Descriviamo il loro significato secondo l’ordine dei dipinti, da sinistra:
Toro – san LUCA
Il toro, come il vitello, era l’animale usato correntemente negli antichi sacrifici. Un richiamo al
sacrificio si trova per l’appunto al principio del vangelo di Luca. Il padre di Giovanni Battista, Zaccaria, per aver dubitato della parola dell’angelo, diviene muto. Anche Cristo, sacrificando se stesso per
la redenzione dell’uomo, ha indicato al cristiano
come superare le tentazioni del mondo e camminare nella via della sua giustizia.
Uomo – san MATTEO
L’evangelista Matteo presenta una nuova legge,
completamento di quella antica, iniziando con la
genealogia di Cristo: Dio che viene nel mondo per
liberare l’uomo dalla morte, il regno di Dio già annunziato dai profeti.
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Aquila – san GIOVANNI
L’apostolo san Giovanni ci presenta la sapienza
di Dio, la vera luce: «In lui era la vita e la vita era la
luce degli uomini». E continua: «Era la luce vera,
che illumina ogni uomo, quella che veniva nel mondo» (1,4.9). L’acume con il quale l’evangelista presenta l’incarnazione di Cristo è stato visto dai grandi
esegeti del passato come una dote affine alla vista
lungimirante dell’aquila. Inoltre l’aquila che vola
con le sue forti ali verso la luce del sole diventa simbolo dell’Ascensione di Cristo. Il cristiano, come
dice san Paolo, deve camminare con i piedi in terra
ma con lo sguardo rivolto verso il cielo, senza paura, confidando nel Dio eterno.
Leone – san MARCO
Il vangelo di Marco inizia con la predicazione di
Giovanni Battista, definito come «Voce di uno che
grida nel deserto» (1,3) nell’annunciare la venuta
di Cristo. Anche Marco annuncia la Buona Novella
con lo stesso vigore del leone, che con il ruggito rompe il silenzio della savana: un forte invito per ascoltare e accogliere la parola del Messia. Il leone però,
per la sua imponenza e forza, richiama il Cristo stesso, come afferma san Giovanni: «Non piangere,
ecco: ha vinto il Leone della tribù di Giuda, il Rampollo di Davide, per cui può aprire il libro e i suoi
sette sigilli» (Ap 5,5).
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PORTE
La prima figura presente in cattedrale, a sinistra della navata centrale, riguarda la città di Betlemme (Beth-lehem, la casa del pane), dove inizia la vita
terrena di Cristo: «Ma tu Betlemme di Efrata, la più piccola fra i clan di Guida,
da te uscirà per me colui che dovrà regnare sopra Israele! Le sue origini sono
da tempo remoto, dai tempi antichi!» (Mi 5,1). L’apostolo Giovanni così riporta di Cristo, in un richiamo al significato del nome Betlemme: «Io sono il pane
della vita. Chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più
sete» (6,35).
La seconda città, a destra della navata, è quella di Gerusalemme (la città
celeste), dove si è compiuta la missione di Gesù con la sua morte e la sua risurrezione. Dice il Profeta Zaccaria «Effonderò sulla casa di Davide e sugli abitanti di Gerusalemme uno spirito di pietà e d’implorazione; essi si volgeranno a
me che hanno trafitto» (12,10).
Giovanni nel libro dell’Apocalisse parla della città celeste, Dio stesso e l’Agnello saranno tempio e luce: «E vidi la Città Santa, la nuova Gerusalemme, discendere dal cielo da presso Dio, preparata come una sposa adorna per il suo sposo» (21,2).
PAVONE
Questo uccello raffigurato nel dipinto, lo ritroviamo scolpito sui pulvini della cattedrale. Per il
valore simbolico vedere la descrizione della prima colonna a sinistra.
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NAVICELLA DI PIETRO
La Scrittura riferendosi a Noè dice: « Non vuoi che le opere della tua sapienza restino inoperose: per questo gli uomini affidano la vita anche a un piccolissimo legno e, attraversando i flutti con una zattera, giungono sani e salvi. Di fatto,
anche in principio, mentre perivano i superbi giganti, la speranza del mondo si
rifugiò su di una zattera, che guidata dalla tua mano, conservò al mondo il seme
della generazione» (Sap 14,5-6).
La nave che subisce o resiste alle
onde tempestose diventa per il cristiano immagine della Chiesa che
conduce alla meta finale attraverso i
venti delle passioni, delle tentazioni, delle eresie, degli scismi e delle
persecuzioni del mondo. Cristo, timoniere della mistica barca della
Chiesa, è la via per effettuare il viaggio verso la meta celeste, il luogo
della salvezza.
AGNELLO AUREOLATO
L’agnello è un animale mansueto, che simbolicamente esprime l’innocenza e
la docilità. In Oriente era utilizzato non solo per l’alimentazione, ma anche per i
sacrifici del culto. Inviare un agnello ad un re esprimeva un atto di sottomissione, come riferisce la Sacra Scrittura quando parla del popolo moabita che, minacciato da invasione, cerca protezione dal re di Giuda: «Inviate gli agnelli al
sovrano del paese, da Sela verso il deserto, al monte della figlia di Sion»
(Is 16,1).
Il rito dell’agnello pasquale (Es 12)
è il simbolo di riscatto e redenzione
del popolo d’Israele. Il profeta Isaia
mette in evidenza l’aspetto umile del
servo di Jahweh: «Maltrattato, egli si
è umiliato e non aprì bocca; come un
agnello condotto al macello, come
pecora unta davanti ai suoi tosatori
non aprì bocca» (53,7).
Giovanni Battista, mentre sta battezzando il popolo a Betania, vede Gesù venirgli incontro e immediatamente proclama: «Ecco l’agnello di Dio che toglie il
peccato del mondo». Poi Giovanni testimonia: «Ho visto lo Spirito scendere dal
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cielo come una colomba, e si fermò sopra di lui. [...] Colui sul quale vedrai scendere lo Spirito e fermarsi su di lui, è lui che battezza con lo Spirito Santo. E io l’ho
visto e ho testimoniato che lui è il Figlio di Dio» (Gv 1,29.32-34).
Nel libro dell’Apocalisse (5,6) san Giovanni usa l’immagine dell’Agnello immolato per indicare Cristo. Nella liturgia il titolo “agnello di Dio”, sin dai primi
secoli, viene riferito a Gesù quale vittima senza macchia per la redenzione del
mondo, allo stesso modo, nell’iconografia viene indicato Cristo con l’agnello.
CROCE GEMMATA
La croce, strumento di supplizio, viene trasfigurata in segno di gloria dalla
risurrezione di Gesù. Per questo è raffigurata con la preziosità dell’oro e delle
gemme, quale immagine stessa della resurrezione.
Questa croce, dai bordi color oro,
è rappresentata dentro una corona
costituita da sedici stelle rosse a otto
punte. Al centro è arricchita da un
tondo con perle e da sei pietre preziose appese a lacci. Messa in relazione con la venuta finale del Figlio
dell’Uomo, rappresenta il segno glorioso ed il trionfo di Cristo, come riferisce l’evangelista Matteo: «Allora
apparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo e allora si batteranno il petto
tutte le tribù della terra e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo
con grande potenza e splendore» (24,30). In modo simile si esprime anche san
Giovanni nel libro dell’Apocalisse: «Ecco: viene fra le nubi, tutti gli uomini lo
contempleranno, anche quelli che l’hanno trafitto; e si batteranno per lui il petto
tutte le tribù della terra. Sì, amen!» (1,7).
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ALTARE
È la “mensa” su cui il sacerdote
celebra la Messa.
Oltre che per il suo uso liturgico
di mensa, l’altare è nella Chiesa uno
dei segni della presenza di Cristo
nell’assemblea. Per i cristiani, infatti, il vero altare è Cristo.
Egli compie il senso nascosto nei
segni dell’Antica Alleanza e dà loro
efficacia di salvezza.
Così recita un Prefazio Pasquale: «Offrendo il suo corpo sulla croce, diede compimento ai sacrifici antichi, e donandosi per la nostra redenzione
divenne altare, vittima e sacerdote».
Nell’Antico Testamento, l’altare più antico è quello costruito da Noè uscito
salvo dall’Arca: «Allora Noè edificò un altare al Signore: prese ogni sorta di
animali puri e offrì olocausti sull’altare» (Gn 8,20).
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TRIANGOLO
Nell’arte cristiana sono stati impiegati molti segni per esprimere la Trinità,
fra cui il triangolo. Il simbolo indicato presenta nell’interno un triangolo equilatero, punto centrale dell’unità, al quale sono collegati tre triangoli uguali, ad
indicare l’unione misteriosa e infinita della Santissima Trinità.
Scrive l’apostolo Giovanni: «Infatti colui che Dio ha mandato, dice le parole
di Dio, poiché dà lo Spirito senza misura. Il Padre ama il figlio e ha tutto rimesso nella sua mano» (3,34-35). Così prosegue l’Evangelista: «Quando verrà il
Paraclito che vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre,
egli mi darà testimonianza: e anche voi mi darete testimonianza, perché siete
con me fin dall’inizio» (15,26-27).
Le tre Persone Divine, Padre, Figlio e Spirito Santo, sono indicate in modo
distinto e con reciproche relazioni concrete di vita e di attività. Gesù è il Figlio
di Dio: «...E mentre stava in preghiera, il cielo si aprì e lo Spirito Santo discese
su di lui, in forma corporea, come colomba. E vi fu una voce che venne dal
cielo: Tu sei il Figlio mio amatissimo, in te io mi compiaccio» (Lc 3,21-22).
E il cristiano è colui che vive battezzato nel mistero della Trinità: «Andate
dunque, ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del
Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19).
21
DUE COLOMBE CON VASO
L’anima del cristiano è stata a volte raffigurata come
uscente dal corpo in forma di
colomba, per esprimere la
gioia e la partecipazione alla
beatitudine di Dio. Così scolpita nelle lapidi cristiane, è
spesso unita al grappolo
d’uva, ad indicare il refrigerio dell’anima del defunto,
come si vede anche in un bassorilievo conservato nella
sala paleocristiana del Museo della Cattedrale. La figura sopra riportata, con due colombe posate accanto al recipiente contenente
l’acqua viva, ovvero l’acqua della vita eterna, simboleggia le anime dei fedeli
che gioiscono dei beni spirituali di Cristo, concessi grazie alla sua risurrezione.
PALMA
Ricchi motivi di palme ornano le pareti della navata centrale: la palma rappresenta “l’albero della vita”.
I suoi frutti, ricchi di zucchero, sono un prezioso alimento per le popolazioni mediterranee. Una volta essiccati possono essere trasformati in farina che, insieme a zucchero e farina
d’orzo, formano gli ingredienti per la preparazione del pane del deserto. La pianta è ritenuta anche il simbolo della salute, della riproduzione e dell’amore, per l’esistenza di piante femmine e piante maschio. La palma è inoltre la pianta che raffigura il popolo ebraico
come testimoniano antiche monete giudaiche
e romane.
San Giovanni nel libro dell’Apocalisse ci dice che, nella sua visione, la “schiera sterminata degli eletti” stava ritta “davanti al trono e davanti all’Agnello,
indossavano vesti bianche e avevano palme nelle loro mani” (7,9).
I rami di palma tenuti in mano dai cristiani nella Domenica delle Palme ricordano l’ingresso trionfale di Cristo in Gerusalemme. In quell’occasione la
folla gli andò incontro con rami di palma, gridando «Osanna! Benedetto colui
che viene nel nome del Signore, il re di Israele!» (Gv 12,13).
22
PROFETI
Secondo la Sacra Scrittura profeta è colui che comunica agli uomini, in nome
di Dio, ciò che il Signore gli ordina e gli manifesta. Il profeta è in intima unione
con Dio: è un messaggero, un cultore che per la sua missione verso il popolo
diventa pastore, custode o vigile sentinella.
È l’unico portavoce e interprete del pensiero e della volontà di Dio: «Il Signore tuo Dio susciterà per te, fra i tuoi fratelli, in mezzo a te, un profeta come
me: lui ascolterete» (Dt 18,15). Ed ancora: «porrò le mie parole nella sua bocca,
ed egli dirà loro tutto ciò che gli ordinerò» (Dt. 18,13).
I due grandi profeti, raffigurati nella parete frontale dell’abside unitamente
all’albero di palma, sono Isaia e Geremia.
23
ISAIA (745 a.C.)
“Salute (è) Jahweh”
È il più importante dei profeti messianici; il Messia di cui parla nel suo libro
è un discendente di Davide, un annunciatore di pace che farà conoscere Dio:
«Egli sarà giudice fra le genti e arbitro di popoli numerosi» (Is 2,4); e ancora:
«Perciò il Signore stesso darà a voi un segno. Ecco la giovane donna concepirà
e partorirà un figlio e gli porrà nome Emmanuele» (7,14); infine: «Un bambino
ci è nato, un figlio ci è stato donato; nelle sue spalle riposa l’impero; e lo si
chiama per nome: Meraviglioso consigliere, Dio potente, Padre perpetuo, Principe della pace, per accrescere la potenza e per una pace senza fine, sul trono di
Davide e sul suo regno, per stabilirlo e rafforzarlo mediante il diritto e la giustizia da ora fino in eterno» (9,5-6).
GEREMIA (640 a.C.)
“Jahweh innalza”
Nato da famiglia sacerdotale, viene chiamato ancora giovane da Dio nel 627
per ascoltare la parola e vegliare su di essa.
Questo il messaggio che Dio vuole trasmettere per mezzo del giovane profeta: «Ecco io ho messo le mie parole nella tua bocca. Attento! Oggi
stesso ti stabilisco sopra le nazioni e sopra i regni per sradicare e
demolire, per abbattere e per distruggere, per edificare e per piantare» (Ger 1, 9-10).
Per manifestare in maniera più
chiara il programma divino, il Signore domanda: «Cosa stai tu vedendo, Geremia?» Risposi: «Un
ramo di mandorlo io sto vedendo». Il Signore mi rispose: «Hai visto bene: infatti io sto vigilando
sulla mia parola per eseguirla»
(Ger 1,11-12). Il mandorlo è la prima pianta che fiorisce a primavera e perciò è presa a simbolo della
vita nuova; qui mette in evidenza
“il Vigilante”, il Dio che costantemente vigila per attuare la sua parola e dare la vita.
24
La mandorla ellissoidale che racchiude la figura del profeta è un tipo particolare di nimbo e, data la sua forma, diventa simbolo di emanazione della luce
divina e dell’apoteosi; in questo modo viene attribuita una maggiore dignità
all’immagine che vi è racchiusa. Eccezionalmente, nella parete sinistra della
navata centrale sono raffigurati 11 profeti all’interno di nimbi ellissoidali, di
cui il primo è Baruc, scriba di Geremia. Seguono Ezechiele e Daniele “grandi
Profeti”, quindi i Profeti cosiddetti “minori”, vissuti tra l’VIII e il III sec. a.C.;
per ultimo è raffigurato Elia (865-850). Pur non essendo autore di alcun libro
canonico, è un profeta che è stato tenuto in grande considerazione dalla tradizione; le sue gesta sono descritte nel libro dei Re.
BARUC (605 a.C.)
“Benedetto”
Scriba di corte, aiuta il profeta Geremia a scrivere gli oracoli.
EZECHIELE (609 a.C.)
“Dio fortifica” o “Dio è forte”
Sacerdote e profeta. Importante il messaggio di speranza che ci dà con la
parola scritta nel suo libro, al capitolo 37, nel brano intitolato “Le ossa aride”.
Il popolo ebreo è schiavo a Babilonia, ma sarà liberato dal “paese della morte”
per ritornare a vivere. Certamente, solo Dio può farlo: «Così dice Dio, mio Signore: Dai quattro venti vieni, o spirito e spira in questi cadaveri sicché vivano». Il lamento del popolo, «Le nostre ossa sono secche, è svanita la nostra
speranza, siamo finiti», si trasformerà in esultanza con la presenza del Signore:
«Aprirò i vostri sepolcri, farò venire fuori dai vostri sepolcri, voi, mio popolo,
e vi condurrò nel paese d’Israele» ( 37,9.11).
25
DANIELE (640/609 a.C.)
“Dio è mio giudice”
Uomo saggio, cortigiano durante i regni di Nabucodonosor e Dario di Media.
Le storie bibliche più famose che lo riguardano sono “i tre giovani nella fornace”
(3,24) e “la casta Susanna” (13). (Immagini su avorio relative alla storia di Susanna, sono scolpite
sul cofanetto portareliquie del XV sec., esposto nel Museo della Cattedrale).
MICHEA (Metà VIII sec. a.C.)
“Colui che è come Jahweh”
Inviato di Dio e difensore dei poveri, fa sentire la sua forte eloquenza contro i
ricchi e i giudici corrotti.
MALACHIA (Seconda metà del V sec. a.C.)
“Mio messaggero” o “Nunzio di Jahweh”
Profeta della nuova alleanza, dice nel suo libro: “Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me” (3,1). Ciò si sarebbe compiuto nella predicazione di Giovanni Battista e nella vita di Gesù.
26
AMOS (783-743 a.C. )
“Che porta il fardello”
Profeta al tempo di Jeroboam, re d’Israele. Pastore e raccoglitore di sicomori.
Ricorda la giustizia del Signore che colpirà coloro che abusano del potere, che
commettono le ingiustizie sociali e denuncia inoltre la vita corrotta della città.
OSEA (783-743 a.C.)
“Dio aiuta” o “Jahweh salva”
Profeta nel periodo degli ultimi anni del regno di Ezechia. Paragona i rapporti di Dio con il suo popolo come rapporti tra madre e figlia, sposo e sposa, fidanzato e fidanzata: un amore totale.
JONAS (VIII sec. a.C.)
“Colomba”
Contemporaneo di Geroboamo (786/746). Per Giona Dio è universale; la salvezza non appartiene solo a Israele.
La presenza di Giona a Ninive e la morte apparente nel pesce, narrate nell’Antico Testamento, vogliono significare che la parola di Dio è rivolta a tutti e la
salvezza è data da Dio.
Gesù richiamerà la vicenda di Giona nel ventre del pesce per indicare la sua
resurrezione al terzo giorno.
27
GIOELE (Prob. tra il 538 e il 531 a.C.)
“Il signore è Dio”
Il messaggio del profeta, che si avvale di fenomeni naturali quali siccità e
invasioni di cavallette, manifesta il lamento del popolo a cui farà seguito il pentimento e la conversione: il Signore darà una nuova vita e un nuovo spirito.
ZACCARIA (522-486 a.C.)
“Jahweh si è ricordato” o “Dio ricorda”
Svolge la sua missione profetica durante il regno di Dario I, re di Persia. Al
rientro del popolo d’Israele dall’esilio incoraggia con la sua parola la ricostruzione del tempio e l’attesa escatologica: «In quel giorno il Signore proteggerà gli
abitanti di Gerusalemme; il più debole tra di loro sarà come Davide medesimo e
la casa di Davide come Dio, come l’angelo del Signore davanti a loro» (12,8).
ELIA (873-854 a.C.)
“Il mio Dio è Jahweh”
Le sue gesta sono ricordate nel libro dei Re. Profeta durante i regni di Achab e
di Ochozia, quando si introduce il culto di Baal-Melqart, si uccidono i profeti e si
distruggono gli altari per il culto di Jahweh. Elia annuncia il castigo divino e
ottiene da Achab di convocare sul Carmelo il popolo per un confronto determinante tra Jahvismo e culto di Baal (1Re 18,20-40), che termina con la vittoria di
Jahweh. Così il profeta Siracide ricorda Elia: «Allora sorse Elia, un profeta come
il fuoco, la cui parola ardeva come una fiamma. […] Niente era per lui difficile,
anche sepolto, il suo cadavere profetizzò. Nella sua vita fece prodigi e dopo morte
operò meraviglie» (Sir 48, 1. 13-14).
28
PATRIARCHI
Sulla parete destra sono ricordati 10 Patriarchi che hanno dato origine alla
dinastia di Davide, nonché il profeta Mosè.
Sono i principali capi famiglia, da Adamo a Giuda, elencati nella Bibbia e
vissuti secondo il libro della Genesi all’inizio del mondo. Rappresentano la fede
esemplare degli antenati, a proposito della quale scrive san Paolo: «La fede è
garanzia delle cose sperate, prova per le realtà che non si vedono. In questa infatti gli antichi hanno ricevuto una testimonianza» (Eb 11,1-2). Secondo il computo degli anni utilizzato nell’Antico Testamento, che considera una benedizione di Dio una vita lunghissima, i patriarchi vissero centinaia di anni. Con queste
indicazioni temporali, da non intendersi aderenti ad una reale cronologia, gli
antichi intendevano segnare le epoche passate con una prova concreta della bontà
di Dio verso l’uomo. Con il passare delle epoche, poi, l’età degli uomini mostra
di diminuire a causa del progressivo estendersi del male nel mondo.
ADAMO
“Uomo tratto dalla terra”
Come simboleggia il significato stesso del nome, è il primo uomo. Insieme a
sua moglie Eva genera Caino, Abele, Set e altri figli. La vita di Adamo, secondo
la Scrittura, fu di 930 anni: un’indicazione che la benedizione divina si era dispiegata anche sul primo peccatore della storia umana.
LAMECH
“Uomo vigoroso”
Figlio di Matusalemme, discendente di Set e, secondo la Scrittura, padre di
Noè all’età di 182 anni. Lamech, alla nascita del figlio, pofetizza: «Costui ci
consolerà del nostro lavoro e della sofferenza delle nostre mani, a causa del
suolo che il Signore ha maledetto» (Gn 5,29). Morì all’età di 777 anni.
29
NOÈ
“Giusto” o “Speranza del mondo”
«Era un uomo giusto, integro fra i suoi contemporanei e camminava con
Dio! Noè generò tre figli: Sem, Cam e Jafet» (Gn 6,9-10). «Per la fede Noè, avvisato di cose che non si vedevano ancora, preso da timore, preparò un’arca per
la salvezza della sua famiglia, e per questa fede condannò il mondo e divenne
erede della giustizia secondo la fede» (Eb 11,7). Noè visse 950 anni.
SEM
“Famoso” o “Jahweh, Dio di Sem” o “Dio d’Israele”
Primogenito di Noè. Insieme ai fratelli prese parte all’alleanza che Dio fece
con il padre; gli eredi di Sem ereditarono la Terra Promessa. L’età di Sem fu di
600 anni.
PHALEG
“Dividere”
Figlio di Eber e padre di Reu. Fu chiamato Péleg «perché ai suoi tempi fu
divisa la terra» (Gn 10,25). Alcuni studiosi ritengono che ciò indichi il periodo
immediatamente successivo alla “confusione delle lingue”, durante la costruzione della torre di Babele: «Per questo il suo nome fu detto Babele, perché
colà il Signore mescolò il labbro di tutta la terra e di là il Signore li disperse
sulla superficie di tutta la terra» (Gn 11,9). Péleg morì a 239 anni.
30
ABRAHAM
“Padre di una moltitudine”
Dio gli disse: «Ecco la mia alleanza con te: tu diventerai padre di una moltitudine di nazioni» (Gn 17,4). Aveva 100 anni quando ebbe l’atteso erede, Isacco, il figlio della Promessa. Per la sua fede è considerato “Padre di tutti i credenti”: «Per la fede Abramo, chiamato, obbedì, per andare verso un paese che
egli stava per ricevere in proprietà e uscì senza sapere dove andava. Per la fede
trasmigrò verso la Terra Promessa» (Eb 11,8-9).
«Per la fede Abramo ha offerto Isacco, quando fu provato. E stava per offrire
l’unico figlio, quello che aveva ricevuto le promesse, del quale era stato detto:
In Isacco tu avrai una discendenza, perché aveva ritenuto che Dio è potente anche
per risuscitare da morte» (Eb 11,17-19).
La vita di Abramo fu di 175 anni.
ISAAC
“Egli ride”
Figlio di Abramo e secondo patriarca di Israele. Dio promise ad Abramo che
Sara avrebbe partorito un figlio dandogli il nome di Isacco. Allora Abramo si
prostrò col viso a terra e rise, dicendo in cuor suo: «Ad uno di cento anni nascerà un figlio? E Sara, all’età di novant’anni, potrà partorire?» (Gn 17,17). «Poi
il Signore visitò Sara, come aveva promesso. Sara concepì e partorì ad Abramo
un figlio nella sua vecchiaia, al tempo che Dio gli aveva detto» (Gn 21,1-2).
L’episodio saliente della vita di Isacco è il sacrificio di cui doveva essere egli
stesso la vittima, per l’ordine che Dio aveva impartito ad Abramo al fine di
mettere a dura prova la sua obbedienza e temprarne la fede. Deposto il figlio
sull’altare, mentre stava per ucciderlo, un angelo del Signore lo chiamò dal
cielo e gli disse: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun
male» (Gn 22,12). Si realizzavano così le promesse fatte da Dio ad Abramo.
Isacco aveva 180 anni quando morì in Ebron.
IACOB
“Tallone” o “Il mio Dio protegge” o “Il popolo intero”
Secondogenito di Isacco e gemello di Esaù, nacque da Rebecca. Disse Dio a
Rebecca: «Due clan nel tuo ventre e due popoli dalle tue viscere si separeranno. Un popolo prevarrà sull’altro popolo e il maggiore servirà il minore» (Gn
25,23).
Un noto episodio biblico è la vendita dei diritti derivanti dalla primogenitura di Esaù a Giacobbe, in cambio di una minestra di lenticchie. Fatto misterioso
è invece quello in cui Giacobbe, dopo aver fatto attraversare dalla sua tribù il
guado dello Iabbok, rimase solo a lottare contro un uomo fino allo spuntar
dell’aurora. Lo straniero disse: «Lasciami andare, ché spunta l’aurora». Rispose: «Non ti lascerò partire se non mi avrai benedetto». Gli domandò: «Qual’è il
tuo nome?». Rispose: «Giacobbe». Riprese: «Non più Giacobbe sarà il tuo nome,
ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto» (Gn
32,27-29).
31
Israele significa “Dio è forte” o “Egli lotta con Dio”. È il segno che Giacobbe
diventerà il padre di Israele; da lui infatti si sarebbe formato il popolo ebraico,
per mezzo dei sui 12 figli, capostipiti delle 12 tribù: «La benedizione di tutti gli
uomini e l’alleanza ha fatto posare sul capo di Giacobbe, gli ha mantenuto le
benedizioni, dandogli la sua eredità divisa nelle varie porzioni per distribuirla
alle dodici tribù» (Sir 44, 23). La vita di Giacobbe fu di 137 anni.
IOSEP
“Dio accresce” o “Dio aggiunge altri 4 figli”
Figlio di Giacobbe e Rachele, suo primo amore, ma seconda moglie. La sua
fu una vita di sofferenza e molto movimentata. Venduto per invidia dai suoi
fratelli a una carovana di Ismaeliti che lo condussero in Egitto, venne detto al
padre che era stato ucciso da una bestia. Schiavo di Potifar, capitano della guardia del re, riuscì a conquistare la sua fiducia. Ma la moglie del suo padrone se
ne invaghì e Giuseppe, avendo rifiutato di cedere alle sue lusinghe, fu accusato ingiustamente e rinchiuso in prigione.
Grazie al dono che Dio gli aveva dato nell’interpretare i sogni, fu chiamato dal faraone per spiegare due
misteriose visioni, dal momento che i saggi d’Egitto
non erano riusciti a decifrarne il significato. «Io non
c’entro: è Dio che darà la risposta per la salute del faraone» (Gn 41,16), disse Giuseppe, che nella sua interpretazione annunciò una grande abbondanza per 7
anni, seguita da altri 7 anni di carestia. Allora il faraone, colpito dall’acutezza dell’interpretazione, affidò a
Giuseppe l’incarico di gestire questa situazione, attribuendogli un grande potere.
Grazie alle sue doti di uomo intelligente, saggio e
prudente, fu un ottimo amministratore e salvò l’Egitto dalla carestia.
32
Durante questo periodo la sua famiglia scese in Egitto ed egli riuscì a riconciliarsi con i fratelli, con grande soddisfazione del padre Giacobbe, felice di
aver ritrovato suo figlio.
Giuseppe storicamente visse tra il 1700 e 1550 a.C.. Morì all’età di 110 anni.
GIUDA
“Lode, plauso”
Figlio di Giacobbe e di Lia, sorella maggiore di Rachele, madre di Giuseppe.
Quando i fratelli, per gelosia, volevano uccidere Giuseppe, Giuda suggerì di
venderlo come schiavo: «Che vantaggio c’è che noi uccidiamo nostro fratello e
nascondiamo il sangue? Su vendiamolo agli Ismaeliti, e non sia la nostra mano
a colpirlo, perché è nostro fratello e carne nostra» (Gn 37,26-27).
Da una donna cananea figlia di Sua, Giuda ebbe tre figli: Er, Onan e Sela. Er
sposò Tamar, «ma Er era perverso agli occhi del Signore e il Signore lo fece
morire. Allora Giuda disse a Onan: «Accostati alla moglie di tuo fratello, fa’ il
dovere di cognato nei suoi riguardi e fa’ sussistere così una posterità per tuo
fratello». Ma Onan, sapendo che la prole secondo il diritto israelita non sarebbe stata la sua, pur unendosi a sua cognata non volle dare una posterità a suo
fratello. Ciò dispiacque agli occhi del Signore, che fece morire anche lui. Allora
Giuda disse alla nuora Tamar: «Ritorna a casa di tuo padre come vedova, fin
quando mio figlio Sela diverrà grande”» (Gn 38,7-11).
In seguito Tamar, visto che il giovane Sela non le veniva dato come marito,
con uno stratagemma si unì a Giuda e
generò due gemelli: Perez e Zerach.
Il padre Giacobbe, prima di morire
radunò i figli e li benedisse, ma del
quarto figlio disse: «Giuda, te loderanno i tuoi fratelli [...] a te si prostreranno i figli di tuo padre» (Gn 49,8). Così
venne annunciata la supremazia di
Giuda sulle altre tribù di Israele e infine assicurato che: «Non sarà tolto la
scettro da Giuda [..] e sua sia l’obbedienza dei popoli» (Gn 49,10).
La tribù di Giuda era la più numerosa e ricevette la porzione più importante nella divisione della Terra Promessa (Gn 15). Il figlio Perez proseguì
la linea diretta dei discendenti di Giuda, fra cui ricordiamo Davide, Salomone, Giosia e Giuseppe, lo sposo di Maria madre del Salvatore.
Giuda morì in Egitto all’età di 119
anni.
33
MOSÈ
“Salvato dalle acque”
Profeta di grande elevatezza nella storia della salvezza, è stato una figura
di riferimento importante nel Nuovo Testamento. Ecco come Mosè viene descritto nel libro del Deuteronomio: «Non sorse più profeta in Israele come Mosè,
che il Signore conosceva faccia a faccia, per tutti i segni e i prodigi che il Signore lo mandò a compiere nella terra d’Egitto per il faraone, per tutti i suoi servi
e per tutta la sua terra; per tutta la potenza della sua mano e per tutte le opere
terribili e grandi che compì Mosè agli occhi di tutto Israele» (34,10).
Personaggio destinato a liberare il popolo ebraico dalla schiavitù del faraone per condurlo alla Terra Promessa, è la prefigurazione di Cristo Salvatore,
guida del nuovo popolo di Dio verso la Gerusalemme celeste.
Ricordiamo alcuni grandi avvenimenti che, tramite Mosè, mostrano la potenza del Signore:
• Le piaghe d’Egitto e la Pasqua (Es 7ss);
• La manna e le quaglie (Es 16);
• Il serpente di bronzo (Nm 21,4-9);
• Il passaggio del mare (Es14,15-31);
• L’acqua che sgorga dalla roccia e la battaglia contro Amalek (Es 17);
• L’alleanza al Sinai e il Decalogo (Es 19).
Quest’ultimo episodio si concretizza come il momento cruciale della
storia di alleanza fra Dio e il popolo
d’Israele. I dieci comandamenti, “una
legge di vita e di intelligenza” (Sir 45,
5), costituiscono la summa di ogni
comportamento. Essi, da quel momento, vengono anteposti come il
fondamento dei rapporti dell’umanità con Dio e pongono anche tra gli
uomini i principi della vita morale,
validi per tutte le generazioni.
34
Nella colonna sono riportati i nomi più noti che
hanno formato la genealogia di Gesù.
«Ma un rampollo uscirà dal
tronco di Iesse e un virgulto
spunterà dalle sue radici.
Riposerà sopra di lui lo
spirito del Signore, spirito di
sapienza e di discernimento,
spirito di consiglio e di
fortezza, spirito di
conoscenza e di timore del
Signore» (Is 11,1-2).
«Lo sposo di Maria, dalla
quale nacque Gesù»
(Mt 1,16)
Fondatore del regno
d’Israele; secondo re dal 1000
al 960. Il profeta Natan così si
esprime: «La tua casa e il tuo
regno dureranno per sempre
alla mia presenza, il tuo
trono sarà saldo in eterno»
(2 Sam 7,16).
Abramo, «Padre di una
moltitudine di nazioni» (Gn
17,4), all’età di 100 anni
generò Isacco, il figlio della
promessa.
«Io farò sussistere la mia
alleanza con lui quale
alleanza perenne, per essere
il Dio per lui e per la sua
discendenza dopo di lui»
(Gn 17,19).
Il Messia nascerà dalla tribù
di Giuda: «non sarà tolto lo
scettro da Giuda né il
bastone di comando di tra i
suoi piedi» (Gn 49,10).
«Allora il Signore Dio
modellò l’uomo con la
polvere del terreno e soffiò
nelle sue narici un alito di
vita; così l’uomo divenne un
essere vivente» (Gn 2,7)
Primo uomo creato da Dio e
padre del genere umano.
35
I dipinti, stile mosaico,in alto della navata centrale, eseguiti nel 1892 dal
pittore senese Arturo Viligiardi, ricordano persone sepolte nelle catacombe di
santa Caterina e di santa Mustiola, scoperte rispettivamente nel 1848 e 1642/
1831. Evidenziamo alcune figure e la relativa epigrafe:
Lato destro
Monogramma di Cristo
FINIS
IVVEN
TVTIS
INITIV
M SAL
VTIS
Fine della
giovane età
principio
di salvezza
SEPOLTURA
DI CAPELIO
MERCOLEDI 3O SETT.
VISSE ANNI QUATTRO
E MESI TRE
Catacomba di
santa Caterina
Lato sinistro
Lato sinistro
CESIA BENIBOLA
CHE VISSE ANNI QUARANTAQUATTRO
E MESI QUATTRO E COL MARITO SUO
ANNI VENTOTTO E MESI QUATTRO
GIORNI VENTUNO: ALLA BENEMERITA
POSERO IL PADRE CON I FIGLI
SEPOLTA 13 MAGGIO
Catacomba di santa Caterina
36
Lato sinistro
ISCRIZIONE DI REDEMPTA
DATA CONSOLARE 29O
Catacomba di santa Mustiola
Lato sinistro
Santa Mustiola in trono
Di’ gaudente Chiusi:
che io sia protetta
da questa madre
ALLA BUONA MEMORIA DI GIULIA,
NOBILISSIMA DELLA STIRPE DI
SANTA MUSTIOLA CHE VISSE ANNI 37
IL MARITO POMPONIO FELICISSSIMO,
SPOSO INCOMPARABILE: SEPOLTA NEL
GIORNO DI DOMENICA, 20 DICEMBRE
Lapide proveniente dalla Catacomba di santa
Mustiola e murata nella parete di fondo della
navatella sinistra: essa conferma la tradizione
della nostra santa Patrona.
37
CAPPELLA SS. SACRAMENTO
Natività di Bernardino Cristofano Fungai, nato a Siena 1460 e morto nel 1516.
L’opera è riferita all’inizio del 1500 e ha come oggetto l’Adorazione del Bambino
tra i santi Secondiano e Girolamo.
Nella notte tra il 18 e il 19 gennaio
1994 la pala è stata oggetto da parte
di ignoti, di una forte mutilazione;
sono state asportate la predella e le
lesene laterali. Dopo il ritrovamento
degli stemmi laterali e delle prime
due raffigurazioni è stata restaurata
e sono stati predisposti gli spazi per
la collocazione, in caso di recupero,
dei dipinti trafugati.
San Secondiano, raffigurato a sinistra di san Giuseppe, era un illustre
personaggio, togato, con importanti
incarichi presso il palazzo imperiale,
al tempo di Decio, 251.
Convertitosi al cristianesimo, fu
consegnato dall’imperatore al consolare di Tuscia, Quarto Promoto, come
si deduce dal primo dipinto della
predella; durante il processo venne
torturato con pettini di ferro, con unghie di capra, con il fuoco e successivamente decapitato, come raffigurato nel secondo dipinto.
Attualmente il suo corpo si trova nella Chiesa di san Pietro Apostolo a Tuscania, insieme a quelli dei compagni di martirio: Veriano e Marcelliano.
38
La quarta e quinta figura della predella ricordavano due episodi della vita
di san Girolamo, nato a Stridone in Dalmazia (340), Dottore Massimo delle Sacre
Scritture, raffigurato nella pala dietro la Madonna.
San Girolamo rendeva mansueto un leone dopo avergli tolto una spina dalla zampa e viveva da penitente nel deserto.
Inoltre, l’altra immagine mancante al centro della predella, raffigurava la
visita dei re Magi.
39
Dipinto su tela (1644) - Ex voto.
Processione di canonici e popolo della Città di Chiusi, verso la Basilica di santa
Mustiola per ringraziare la Martire per aver ottenuto la grazia dalla Madonna,
di liberare la città da un grave pericolo, probabilmente una guerra.
BIBLIOGRAFIA
• G. Bersotti, Guida storico–artistica, Tip. Gentilini, Chiusi, 1974.
• E Dio disse. La Bibbia, nuovissima versione dai testi originali, Edizioni San Paolo, 1997.
• La Bibbia di Gerusalemme, Centro Editoriale Dehoniano, Bologna, 1974.
• Enciclopedia Cattolica, a cura dell’Ente per L’Enciclopedia Cattolica e per il Libro Cattolico
della Città del Vaticano, Firenze, Sansoni, 1949.
• Enciclopedia Ecclesiastica, Casa Editrice Dr. Francesco Vallardi, Milano 1963.
• F. Liverani, Le Catacombe e antichità cristiane di Chiusi, Tip. Ancora, Siena, 1872.
• Grande Dizionario Illustrato dei personaggi della Bibbia, Selezione dal Reader ’s
Digest, Milano, 1999 .
• G. Heinz–Mohr, Lessico di iconografia cristiana, IPL, Milano, 1984
• I Santi martiri, Secondiano, Veriano e Marcelliano, Protettori della Città di
Tuscania, a cura di Giuseppe Giontella e Luigi Tei, 1997.
• P. Sfligiotti, Materiali altomedioevali della Cattedrale e del Museo Diocesano di Chiusi, tesi
di laurea inedita discussa presso l’Università degli studi di Roma “La Sapienza”, a.a. 1986/87.
Abbreviazioni bibliche
Ap
Dt
Eb
Ef
Es
Ger
40
Apocalisse
Deuteronomio
Lettera agli Ebrei
Lettera agli Efesini
Esodo
Geremia
Gn
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Salmi
2° libro di Samuele
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