1 OMBRE dal PASSATO Di: Michele Barbieri Una pioggia fine e insistente inzuppava la città oramai da giorni, in un tardo autunno che già annunciava cupo i grigiori apatici dell’inverno imminente. Il detective Renesto Santino entrò nel grande atrio della biblioteca universitaria con il bavero dell’impermeabile tirato sino sulla testa per ripararsi dalla pioggia. Si guardò intorno, e nel silenzio mistico della vasta sala dai rosoni ottocenteschi e dai marmi levigati e lucidi da cattedrale, scrollò l’impermeabile fradicio, subito pentito del gesto sconsiderato alla vista del pavimento di marmo a mosaici. Il silenzio impregnante di quel santuario della cultura, come i volti cerulei di satiri e grifoni sporgenti dalla semi oscurità dei cornicioni di gesso dei soffitti, gli dettero un senso di disagio. “DOTTORE!” La voce tuonò improvvisa, rimbombando infranta in mille echi distorti dagli spazzi dell’atrio. Santino trasalì voltandosi di scatto, già quasi portando la mano sul calcio della rivoltella che portava, più per obbligo che per altro, in cintura. “ Maresciallo, maledizione… “ Lo ammonì il detective. “Venga. Venga dottore, che la stavamo aspettando”. “DETECTIVE!” I due percorsero un corridoio dall’alto soffitto ad archi e dalle pareti colme di ritratti di fantomatici occhialuti e barbuti accademici, dall’aria imbalsamata e stantia. Arrivarono in una saletta adibita a studio, le cui pareti prive di finestre scaffalature cariche erano di interamente volumi. Una coperte imponente da massicce scrivania in stile era posta al centro della stanza, sopra ad un pavimento in legno consunto. Un uomo vi stava riverso sopra, accasciato 2 su di un manoscritto dall’ aria antica; congelato dal tocco della morte in quella posizione di eterna quiete. La stanza era occupata da alcuni agenti, oltre il medico legale ed una donna che Santino non conosceva. Il Maresciallo fece un cenno ad un agente che accompagnò fuori la donna. “Chi è?” Domandò Santino, riferendosi ad essa. “La bibliotecaria”, rispose il Maresciallo. “Ha trovato lei il Professore”. Santino porse la sua attenzione al medico legale. “Ciao Doc., come va la vitaccia?” “Me la cavo, Renesto”. Santino girò intorno al cadavere. “Chi è?” Il Maresciallo aprì solerte una cartelletta dove aveva raccolto dati e annotazioni. “La vittima è il…” “Cosa ci fa presupporre che sia morto assassinato?” Interruppe Santino. Il Maresciallo lanciò un’ occhiata d’aiuto al medico, che intervenne. “Il cadavere è stato trovato circa mezz’ora fa, mentre presumo che la morte sia sopraggiunta circa due ore prima. Non direi d’infarto, ma sembra quasi essere passato da uno stato di paralisi ad un collasso cardiocircolatorio. Inoltre presenta questo piccolo segno sul collo”. “Una puntura, un’iniezione?” “Forse”. “Vuoi dire quindi che non è una morte naturale, ma provocata?” “Direi di sì, anche se solo l’ autopsia ci darà la conferma”. “Maresciallo!” “Sì dottore?” “Avete fatto i rilevamenti e le foto?” “Certamente dot… “ “Detective, detective, Maresciallo. Fate portare il cadavere all’ obitorio”, ordinò l’autopsia per cortesia”. “Ma…” Santino. “E tu Doc. fai subito 3 “Subito, Doc”. “O.K. Renesto”. Infilati un paio di guanti in lattice Santino sfilò il grosso volume da sotto il cadavere. L’antico manoscritto rilegato in cuoio era un voluminoso trattato in una lingua a Santino sconosciuta. “ Stava dicendo della vittima, Maresciallo?” Il militare scattò sull’ attenti e riprese a leggere i suoi appunti. “Dunque, vediamo”. Sfogliò qualche pagina di un block notes. “Allora, Maresciallo?” Lo incalzò Santino. “Sì, ecco: Professor Enrico Neri. Anni sessantuno. Famoso studioso di egittologia e scienze occulte ed orientali. Non risulta si sia mai sposato, o abbia figli o parenti prossimi”. “Già”, commentò Santino. “E di questo libro che si sa? Sembrerebbe antico, forse prezioso”. “Beh, veramente…” “Va bene, va bene. Chiami la bibliotecaria”. Pochi istanti dopo il Maresciallo rientrò con la donna. “Ecco, dottore”. “Bene, bene”. Santino guardò la donna, snella ed elegante, e stimò avesse una quarantina d’anni. “Sa a cosa stesse lavorando il professore?” Lei si sistemò la gonna e gli occhiali. “Da tempo era dedito alla traduzione di quell’ antico manoscritto”, indicò il tomo che Santino reggeva ancora in mano. “Di che tratta?” “Esattamente non lo so, ma dovrebbe essere una raccolta di maledizioni redatta da un frate, che lo stesso professor Neri trovò nel monastero di Santa Caterina in Egitto”. Santino posò il libro istintivamente, quasi gli scottasse improvvisamente le mani. “Ha trovato lei il Professore morto?” “Sì”. “Chi altri è entrato in questa stanza quando era ancora vivo?” “Nadir Mustàfà, e l’ assistente del professore”. 4 “Chi è questo Mustàfà?” “E’ l’aiutante del Professore. Lo ha incontrato quindici anni fa durante gli scavi in Egitto”. “Si conoscono da allora?” “Sì, è il suo braccio destro”. “Dove è ora questo Mustàfà?” “Presumo a casa sua”. “Sa dove abita?” “Certo, ha un appartamento al quartiere est vicino alla casa del Professore Neri. Ho l’ indirizzo se vuole”. Santino fece un cenno con il capo al Maresciallo. “Si faccia dare l’ indirizzo, Maresciallo, e poi faccia preparare un mandato”. “Subito Dottore”. “E la sua assistente?” Continuò Santino rivolto alla bibliotecaria. “Si chiama Piera, Piera Vanelli”. “Conosceva da molto il professore?” “E’ una studiosa anche lei di egittologia e scienze occulte. Si sono incontrati proprio qui due anni fa circa, e fra di loro è nata subito una intesa un pò più che accademica… non so se mi spiego”. “Sono coetanei?” “Coetanei?!” La donna sorrise. “Lei ha venticinque anni”. “Dove la trovo la signorina Vanelli?” “E’ partita per Londra proprio questa mattina. È passata a salutare il professore. Li ho visti baciarsi e abbracciarsi appassionatamente e… “ “e?…” “E poco dopo che lei se ne è andata, mentre portavo un libro che il professore mi aveva chiesto, l’ ho trovato morto”. “Bene. Maresciallo, Vediamo cosa riusciamo a trovare su questa Piera Vanelli, e si procuri un mandato anche per casa sua”. “Ho l’indirizzo anche della dottoressa Vanelli se occorre”, aggiunse la bibliotecaria. “Bene. Maresciallo provveda”. 5 “Agli ordini, dottore!” “De-te-ct-ive. Quante volte glielo devo dire maledizione”, sbottò Santino. Il detective Santino uscì dalla biblioteca e si soffermò un istante sulla gradinata di marmo. Guardò pensoso il plumbeo cielo e maledisse quella pioggia insistente che da giorni allagava la città. Si tirò il bavero sin sulla testa e a passi veloci si diresse alla sua auto. Il telefono sulla scrivania squillò e Santino sollevò il ricevitore portandoselo all’ orecchio. “Detective Renesto Santino… Si va bene, vengo subito”. Guardò quell’ mandati l’orologio istante per appeso entrò casa il dell’ alla parete: erano Maresciallo. egiziano, le “Dottore, ma per 19:15. In abbiamo i quelli della dottoressa Vanelli credo ci siano un pò più di complicazioni. Sa, essendo via… e non siamo ancora sicuri che sia omicidio, e poi…” “O.k., O.k. Maresciallo”, Santino si alzò da sedere e si infilò il soprabito. “Lasci il mandato lì sulla scrivania e continui il suo lavoro”. Il medico legale era già in abiti civili, ed in evidente apprensione. “Ciao Doc. Mi dispiace di farti tardare alla cena, ma ho bisogno subito del referto”. “Certo, certo. Siediti lì”, indicò l’ unica seggiola disponibile in un mare di carte e cartelle di referti. “Allora Doc.?” “Il nostro uomo è stato avvelenato, ho quanto meno dall’ esame tossicologico si desume che sia morto per una piccola dose di un letale veleno estratto dalla radice di una pianta. Un stampa da veleno che veniva usato nell’ antichità”. “Un po’ particolare, direi”. “Particolare e insolito”, il medico porse una computer. “Ho svolto una ricerca su Internet. Questo veleno 6 era usato nell’ antichità da alcuni sacerdoti o stregoni del Sudan per creare uno stato comatoso nelle proprie vittime sacrificali. Questa usanza è caduta in disuso da millenni e anche l’ uso di questo distillato. Ora, chi ha usato questo veleno doveva averne conoscenze storiche o essere venuto a conoscenza di come si prepara da fonti non solite”. “Vuoi dire che non è un veleno facilmente reperibile?” “Assolutamente no . Occorre una pianta che cresce solamente in Sudan e poche altre regioni Africane, e fra l’ altro occorre anche conoscere il modo di preparare tale veleno. Non credo che comuni testi di chimica dicano come fare, e anche i testi di botanica accennano a malapena alla tossicità della radice di questa pianta, che fra l’altro se non viene mescolata ad altre sostanze non è letale”. “Veramente particolare non trovi?” “Già, sembra quasi che qualcuno dal passato sia venuto ad uccidere il professore”. “Non diciamo fesserie Doc., rimaniamo coi piedi per terra”. Il dottore porse delle foto del cadavere a Santino. “Guarda qui”. “Cosa devo vedere?” “Quel piccolo puntino sul retro del collo del professore Neri. La puntura di cui ti parlavo”. “E’ il foro di un ago?” “No. Troppo poco profondo per un qualsiasi ago in commercio, e soprattutto ha lasciato un forellino di forma conica”. “Una puntura di insetto?” “Potrebbe sembrare un pungiglione, ma non di certo animale. Ecco diciamo una sorta di spilla, per farti un’ esempio”. “Da tutto ciò possiamo dedurre che è stato assassinato”, disse Santino più a se stesso che al medico. “Sì”. “Una bella storia!” “Già: buon divertimento”. “O.k. Ciao Doc, e porgi le mie scuse alla moglie”. 7 Era appena l’ alba e Nadir Mustàfà stava armeggiando con erbe e bricchi nella cucina del suo appartamento. Bussarono alla porta, e quel suono cupo echeggiò inaspettato e sgradito nel silenzio dell’appartamento. L’egiziano si guardò intorno con apprensione ed un accenno di nervosismo per quella inopportuna e imprevista intrusione. La preparazione del càrcàdè mattutino, per Nadir, era un vero e proprio rito da eseguire con religiosa concentrazione. Mustàfà socchiuse lievemente la porta per vedere chi fosse il disturbatore mattutino. “Detective Renesto distintivo. Santino”, L’egiziano disse chiuse la l’uomo mostrandogli porta. Santino un rimase immobile a fissare il battente, mentre l’uomo dall’altra parte armeggiava con il catenaccio, dopodiché aprì l’uscio. “Buongiorno Detective”, salutò cordialmente Nadir. “Presumo che sia qui in seguito alla spiacevole morte del professore Neri”. “Certamente”, ammirando regnava rispose Santino, l’arredamento e guardandosi l’atmosfera nell’appartamento, in attorno ed arabo che stile odorante di aromi che in Italia”, e gusti orientali. “Sono quasi quindici anni vivo proruppe l’egiziano, quasi avesse letto nella mente di Santino. “Ma sono fortemente legato alle mie origini e alla mia terra”. Santino non commentò, continuando a guardarsi intorno incuriosito dai mille oggetti e da centinaia di libri sparsi un po’ ovunque. “Mi vuole scusare un istante?” “Come?” “Non mi aspettavo una visita così mattutina…” “Mi rendo conto…” “Stavo preparando del càrcàdè. Posso offrirgliene una tazza?” “Sì, con piacere. Grazie”. “Si accomodi pure nel salone, la raggiungo subito”. Santino varco la soglia a forma d’arco del salone. Alcuni tappeti persiani giacevano a terra a coprire interamente il 8 pavimento. L’arredamento era composto interamente da tavolini e librerie in cedro del libano dall’aria molto artigianale, ricoperti da libri e manufatti e reperti archeologici. Santino incuriosito prese alcuni libri leggendo i titoli sui dorsi, o sfogliando qualche egittologia, copertina e pagina. scienze in cuoio Tutti occulte. e trattati Un dall’aria di piccolo molto archeologia, libretto dalla vissuta attirò improvvisamente la sua attenzione. Santino sfogliò quello che risultò essere un diario fitto di appunti, date, e annotazioni in tre lingue: arabo, inglese e italiano. Frugò furtivamente fra le pagine sino quando una frase, scritta in modo frettoloso e in un inchiostro differente dal resto della bella calligrafia araba scritta in quella pagina, attirò la sua attenzione: Enrico per il tesoro lo uccise. Il tintinnio di un vassoio carico di bicchieri destò il detective dalla sua meditazione, Santino posò frettolosamente il diario; istintivamente infilò le mani nelle tasche del soprabito dove trovò il mandato di perquisizione che in una di esse giaceva. Nadir Mustàfà entrò nella stanza recando in mano un vassoio in peltro su cui vi era posto uno splendido servizio di tazze ed una cuccuma un’occhiata a splendidamente Santino. “Si decorata. tolga il L’egiziano soprabito, lanciò detective”, disse appoggiando il servizio. Santino si tolse il soprabito e glielo porse. “Lo appoggi pure dove vuole”, disse Nadir facendo un passo verso di lui e poi dirigendosi verso il tavolino dove giaceva il diario. “Ah! Eccolo. Lo dimentico sempre in giro”, commentò Nadir raccogliendo il volumetto e infilandoselo nella tasca della tunica che indossava. Poi si dedicò con certosina meticolosità a servire il càrcàdè. Versò il bollente e fumante liquido color rosso rubino nelle tazze, ed un aroma dolciastro di cannella ed altre spezie più pungenti invasero la stanza. “Sa, lo preparo seguendo una ricetta di migliaia di anni fa”, prese a spiegare Nadir Mustàfà. “La trovai in un antico testo 9 scritto su papiro durante una spedizione archeologica in Nubia circa dodici anni fa”. “Interessante”, commento laconico Santino. “Richiede l’utilizzo di erbe un po’ rare e altrettanto difficili da reperire qui da voi”, sorrise sorseggiando la bevanda. “Ma io me le faccio mandare da alcuni amici direttamente dal mio paese”. “In che rapporti era con il professore?” “Ci conosciamo da quindici anni. Ci conoscemmo in Egitto durante gli scavi della tomba di Achenmernefer II. Beh, in realtà lui era già cinque anni che lavorava a quello che sarebbe stata la scoperta della sua vita e che in seguito lo lanciò anche alla ribalta delle cronache di tutto il mondo per i fatti accaduti”. “Da allora lei è divenuto il suo aiutante?” “Sì, ma lavoravo già allo scavo da tre anni anche se solo come manovale”. “E come divenne collaboratore del professor Neri E… Non ricordo il nome”. “Enrico”. “Gia, Enrico”, Santino sorseggiò il dolcissimo infuso bollente. “Avenne dopo la morte del professore Elio Rodari. Fu un caso”. “Chi è il parente più prossimo del professore?” “Nessuno”. “E la signorina Vanelli?” “La dottoressa è l’assistente del professore”. “Solo assistente?” “Piera è una gran brava ragazza. E’ affascinata quasi in maniera maniacale dal Egittologia e dai suoi studi”. “Lei e il professore si sono conosciuti due anni fa se non erro?” “Sì, più o meno”. “Sapeva della loro relazione?” “Lei poteva essere sua figlia”. “Sapeva?!” 10 “Sì, ne ero al corrente”. Santino indugiò bevendo un lungo sorso di càrcàdè, e lanciando un’ occhiata da sopra la tazza all’egiziano. “Non condivideva il loro rapporto?” “Credo che Piera fosse più affascinata dagli studi e dalla fama del professore che dall’ uomo”. “Lei conosce bene la signorina Vanelli?” “Eravamo molto in confidenza. Come le ho già detto era una ragazza molto brava ed intelligente”. “Sì, questo me lo ha gia detto”. “Veniva spesso qui a casa mia, anche senza il professore”. “A che fare?” “Diceva che le piaceva molto l’atmosfera orientale di questa casa. Ma veniva soprattutto per… “ Nadir bevve un lungo sorso. “Per?” Incalzò Santino. “Le piaceva ascoltare le mie lunghe narrazioni sulle ricerche esoteriche e di egittologia a cui ho partecipato”. “Cosa ne avrebbe potuto ricavare dalla morte del professore?” “Sospetta di lei?” Nadir era allibito, quasi indignato. “Sospetto di tutti,” rispose sintetico Santino. “Allora anche di me?” Santino si alzò in piedi. “Risponda alla mia domanda”, incalzò. “Niente. Assolutamente niente”. La porta si spalancò e la sagoma apparve tozza sull’ uscio. “Mi scusi dottore se non ho bussato”. Santino stava seduto alla scrivania, ed il commissario posò le due tazze di caffè che reggeva in mano fra le pile di scartoffie che riempivano il piano d’appoggio. “Le ho portato il caffè”. “Grazie Maresciallo”. Poi porse a Santino un fascicolo di carte che aveva stretto sotto l’ascella. “Ecco dottore. Qui c’è tutto quello che ho trovato su quel professore Elio Rodari”, sfogliò alcuni fogli. 11 “Non è molto, a parte il fatto che è morto, e che sua moglie abita nella zona residenziale con la figlia… “ “Moglie?” “Sì, la signora Sandra Rodari”. “E di questo Nadir Mustàfà?” “Nulla di irregolare su di lui”. “E su Neri?” “Beh su di lui c’è un lungo fascicolo. Pare proprio che fosse una celebrità. Ma forse è meglio che legga lei stesso”. Santino guardò il plico di fogli che il Maresciallo gli porse. “Va bene. E… mi dica di questa Piera? Che ha scoperto di questa fantomatica dottoressa Vanelli?” Il Maresciallo si grattò il capo, poi sospirò e con aria solenne disse: “A parte il fatto che non esiste… niente”. Santino alzò lo sguardo sul Maresciallo che aveva improvvisamente destato la sua attenzione. Si alzò in piedi. “Non esiste?!” “No”, confermò il Maresciallo. “Non esiste nessuna Dottoressa Piera Vanelli”. “Ma abbiamo il suo indirizzo”. “Sì”. “Forse non è il suo vero nome”. “Può darsi dottore. Sa, anche mia moglie la chiamano Nina, ma si chiama Giannina”. “Sì, sì. O.K.” Santino prese il soprabito ed uscì dall’ufficio. “Andiamo, forza Maresciallo”. Il militare posò frettolosamente la tazza che reggeva in mano, e girandosi sui tacchi rincorse il detective. “Ma dove corriamo dotto… “ “All’ appartamento della Vanelli”. “Guidi! Santoiemma!” Urlò il Maresciallo impartendo l’ordine ai due militari. “Presto con me, muovete quelle chiappe!” 12 Santino era impaziente, passeggiava avanti e indietro sul pianerottolo mentre i tre militari cercavano di forzare la porta che opponeva una strenua resistenza. “Allora, Maresciallo dobbiamo chiamare i pompieri?!” “Un secondo dottore. Abbia pazienza è questione di un secondo”. “Ma che secondo e secondo. E’ mezzora che state cercando di aprirla!” Sbottò Santino sempre più esasperato. “Fatevi da guardare l’ parte”. “Ma che state facendo, che succede!” I quattro si girarono contemporaneamente a individuo che saliva dalle scale. “Si può sapere cosa sta accadendo?” “Detective Renesto Santino”, si presentò porgendo il distintivo. “Questa è una operazione di polizia”. “Di polizia?!” sbottò perplesso il Maresciallo. ”Ma siamo carabinieri”. “Zitto Maresciallo!” Lo ammonì Santino, lanciandogli un’occhiataccia. “La questione non la riguarda, quindi si allontani”, proseguì Santino rivolgendosi all’ individuo. “Mi riguarda eccome. Quello è l’appartamento della mia ragazza!” Protestò questo. Santino lanciò una occhiata di traverso al Maresciallo, che si strinse nelle spalle. “Avete un mandato?” “Maresciallo!” Il Maresciallo mostrò il mandato. “E magari lei ha le chiavi… vero?” “Sì, certo”. “Come si chiama?” “Lodi, Roberto Lodi”. “Mi dia le chiavi”. 13 Lodi porse le chiavi a Santino, che si apprestò ad entrare nell’ appartamento. Poco dopo il detective riapparve sulla porta. “Entri signor Lodi”. I due rimasero in piedi nel piccolo atrio dell’ appartamento, mentre gli agenti frugavano in giro. “Così lei sarebbe il fidanzato della dottoressa”. “Sì, è così”. “Abitate assieme?” “No. Io abito qui di fronte”. “E da quanto conosce la Vanelli?” “Da quando ha preso questo appartamento in affitto… circa due anni fa”. “E adesso sa dove è?” Lodi guardò il detective con aria stupita. “Certo”. “Dove?” “A Londra… ma”. “Conosceva il professore Enrico Neri?” “Di nome. Piera era la sua assistente, lavorava gia per lui quando la conobbi”. “Sa che il professore è morto?” Santino fissò negli occhi l’ uomo. “E sapeva che aveva una relazione con Piera?” Lodi ebbe un moto di irrequietezza. “Morto? Ma che dice detective?” “Non crede che sia morto?” “No, non credo che Piera potesse avere una relazione con lui. Aveva trentacinque anni di meno!” Lodi passeggiò inquieto nel piccolo atrio. “Aia! Maledizione!” Sbottò all’improvviso il Maresciallo lasciando cadere un oggetto. “Maresciallo, ma che combina?!” lo ammonì Santino. Il Maresciallo raccolse l’oggetto e lo porse al detective. “Mi scusi dottore, ma è che mi sono punto con questo strano bracciale”, si scusò il Maresciallo. Santino prese il monile, dall’ aria molto antica, e lo esaminò. Rappresentava due serpenti attorcigliati che si fronteggiavano e che culminavano in una unica coda appuntita. Santino lo avvolse nel fazzoletto 14 e lo infilò in tasca; tornò a rivolgere la sua attenzione al giovane. “Cosa è andata a fare a Londra?” “Doveva portare a compimento uno studio per il suo dottorato”. “Egittologia?” “Gia, una vera e propria mania”. “Mania?” “Sì. Io non la condivido, per lei è quasi una ossessione, e quasi maniacale”, Lodi si passò una mano tra i capelli, e fra i due ci fu un istante di silenzio. “Si figuri detective che pensa persino di essere una reincarnazione di una certa… “, gesticolò cercando di ricordare. “…Non ricordo chi, ma certe volte firma addirittura con un altro nome”. Santino lo guardò di traverso incuriosito. “Quale nome?” Santino uscì Insistette. “Non ricordo, non ricordo”. “Ha una foto della signorina Piera Vanelli?” “Si, certo. Nel mio appartamento”. “Bene, la dia al Maresciallo e…” dall’appartamento “Pensi a quel nome. Se le viene in mente mi chiami al commissariato. Maresciallo!” “Comandi dottore”. “Vada a prendere la foto. Io vado a casa dalla vedova del professor Rodari”. “Certamente dottore”. “Detective, detective, detective!” La zona dei quartieri residenziali era immersa nella quiete e nella fredda staticità di un livida giornata di pioggia. L’urbanistica degli anni cinquanta e sessanta, maggior periodo di sviluppo di quell’area urbana, e la predominanza di grigi in tutte le loro varianti, creavano ancor più un effetto stantio da vecchia cartolina postale; ricordo di un tempo in cui il vecchio quartiere doveva godere dei fasti della nobiltà che lo abitava. 15 Il detective Renesto Santino percorse lentamente il viale su cui si affacciavano, ordinate, vecchie ville dall’aria deteriorata dall’usura di tempi moderni che scorrono troppo veloci. Finalmente trovò il numero civico che cercava. Posteggiò l’auto e scese tirandosi il bavero del soprabito sino sopra la testa. Un cancello di ferro battuto interrompeva l’alto muro di cinta in evidente stato di decadenza. Santino suonò insistentemente il campanello. “Maledizione!” Imprecò. Suonò altre due volte con insistenza: niente. Decise che non doveva esserci nessuno. quando alle sue spalle Si girò per tornare sui suoi passi risuonò il meccanico rumore di una serratura che scatta. Il detective, in mezzo al marciapiede, fissò il fatiscente cancello che lievemente socchiuso lo invitava ad entrare nell’aria tetra di un giardino abbandonato oramai a se stesso da chi sa quanto tempo. Santino attraversò il vialetto immerso dalla vegetazione incolta, con un certo disagio, e quando portò la mano alla cintura per cercare la fondina della rivoltella si rammaricò di averla lasciata, come accadeva spesso, nella cassetta di sicurezza del suo ufficio. Salì una rampa di scale di marmo e varcò una veranda prima di arrivare all’uscio della villa; fissò perplesso la porta socchiusa. Improvvisamente si spalancò facendolo sobbalzare. “Oh! Mi scusi, l’ ho spaventata”. L’ anziana signora dai capelli bianchi doveva avere l’età della casa, una sessantina, calcolò Santino. “Detective Renesto Santino”, si presentò all’anziana signora che già era rientrata in casa. “Immagino sia qui per la morte del professore Neri”, disse lei dandogli le spalle. Santino guardò intorno nell’appartamento immerso nella semi oscurità, e gli parve che lì il tempo si fosse fermato. L’aria mista da santuario-museo di tempi passati gli dettero un senso misto di curiosità e disagio, si sentì come un archeologo che 16 dopo migliaia di anni profani il sacro equilibrio di una tomba che abbia attraversato intatta il tempo senza che esso nulla potesse su di essa. “Io sono Sandra Rodari, la moglie del professore Elio Rodari”. Il detective si scosse dalla sua meditazione. “E?…” “Dicevo che…” “Si certo, la signora Rodari”. “E’ qui per sapere di Enrico?” “Sì”. “Ma lei è fradicio”. “Sa, fuori piove e… “, disse Santino come se stesse parlando ad un internato. “…Ed ho avuto qualche problema con il campanello…“ “Mi dia il soprabito”, lo interruppe Sandra, che sembrava nemmeno ascoltarlo. “Venga accomodiamoci nel salotto”. I due attraversarono un ampio atrio ed entrarono in una sala dove la stessa polvere ricopriva i ricordi e i fasti di un tempo, ormai lontano, in eguale misura. L’ anziana con gesti lenti e meticolosi tolse un telo da un sofà. “Si accomodi”. Santino sedette su quel divano che da troppo tempo non doveva più accogliere gli interessanti ospiti che dovevano aver frequentare quella casa. La donna si versò da bere, con mani tremanti che facevano tintinnare la bottiglia sul bordo del bicchiere. “Vuole da bere, detective?” “Beh, ecco… “ “Che sciocca sono”, interruppe lei senza degnare Santino d’ascolto. “Dimentico che voi non potete bere in servizio”. “In che rapporti era con il professore Enrico Neri?” Tagliò corto santino. “Con Enrico?” “Sì”. “Sono più di venti anni che non ci frequentiamo”. “Ma credo però che lo conosca bene”. 17 “Già”, ammise la donna, e sparì in una stanza attigua al salone. Santino si alzò in piedi di scatto. “Signora! Signora Rodari?!” La donna ricomparve recando in mano un grosso album. “Oh, per favore mi chiami Sandra. La signora Rodari è scomparsa tanti anni fa nelle sabbie di Quasr Quarun, in Egitto”. Santino prese il grosso volume che la donna gli porse e lo aprì. All’interno giornali, di esso quotidiani, vi erano settimanali, raccolti o articoli giornali interi di che recavano quasi tutti la data del 1980. Il detective si mise a leggere alcuni di essi: “La maledizione del Faraone colpisce la spedizione italiana a El Fayyum. L’esimio egittologo professor Elio Rodari ucciso dalla lama di tremila anni del Faraone. Achenmernefer II uccide il profanatore della sua tomba.” “Può continuare a leggere per giorni se vuole, detective. Furono versati mari d’inchiostro e fiumi di parole sulla maledizione del faraone”. Santino chiuse l’album e guardò la donna. “La stampa ci sguazzò per anni in quella faccenda. Tutti ci costruirono su storie e leggende, e soprattutto faraonici tornaconto su quello che nessuno volle vedere come omicidio. E uno in assoluto ne trasse beneficio”. “Neri?” “Mio marito e l’esimio professore erano compagni di studi. L’esoterismo e l’egittologia erano il loro solo pane. Partirono insieme per quello che doveva essere la scoperta del secolo. Partii anch’ io, benchè incinta, e quando mia figlia compì cinque anni, finalmente, in trovarono la tomba di Achenmernefer”. quel mare di sabbia 18 “E poi che accadde?” “Quella sera era il compleanno di Pamela, mia figlia compiva il suo quinto anno. Elio tardava per la piccola festicciola che avevamo organizzato; così mandai la piccola a chiamare papà”. “…..” “Pamela rimase per sempre scioccata. Trovò su padre riverso sul sarcofago che stava esaminando, trafitto da una spada del corredo funerario”. Santino fece per dire qualcosa, ma poi si trattenne vedendo che la donna pareva immersa in una sorta di trance indotto dai ricordi evocati. “Una spada di tremila anni che portava incisa sull’elsa una maledizione rivolta ai nemici del Faraone. Subito gli egiziani che prendevano parte alla spedizione cominciarono a fantasticare sulla “maledizione della tomba”. “Crede che sia stato Neri ad…” “Ci furono delle indagini, ma tutti furono scagionati. Enrico era poi uno dei pochi ad avere un alibi. Una ragazza del luogo testimoniò di essere stata con lui nell’ ora dell’omicidio, tutti sapevano della sua debolezza per il gentil sesso, oltre che per la ricchezza, e nessuno dubitò”. “Lei si però”. “Enrico è sempre stato un filibustiere, e del resto può constatare lei stesso cosa gli è rimasto della fama e della ricchezza. Conosceva mio marito da tanto, ma condividere con lui quella scoperta lo avrebbe potuto privare di quei fasti e di quella gloria di cui avrebbe saputo e si voleva circondare”. Santino prese dal mobile una cornice d’argento in cui vi era la foto di una giovane donna, con un taglio di capelli corti e dal volto gentile. “E’ sua figlia?” Domandò. “Sì”. “Abita con lei?” “No. Seppellita qui oramai sono rimasta solo io”. “Dove è?” 19 “Lei ha preso dal padre. Vive a Londra dove dedica la sua vita all’egittologia. La stessa smania di suo padre”. Santino sollevò un sopracciglio. “Già, naturalmente”. “Comunque sulla colpevolezza del professore Enrico Neri, furono sempre solo mie supposizioni. Non ebbi mai le prove”. “Sua figlia non torna mai?” “Verrà a fine mese, ma non rimane mai troppo. Qui ci sono troppe ombre dal passato”. Da circa tre quarti d’ora se ne stava seduto in macchina a fissare, oltre i vetri su cui la pioggia creava uno strato fluido che deformava caseggiato. Nadir le cose Mustàfà come una lente, rientrò, Santino il gli dozzinale corse in contro. “Mustàfà!” L’egiziano si voltò sorpreso. “Ancora lei detective?” “Devo farle alcune domande”. “Lei giunge sempre negli orari meno appropriati”. “Credo sia meglio salire in casa”, continuò Santino. “Possiamo parlare qui”. “Piove”, fece notare il detective. “Non mi costringa ad usare questo”. Santino sfilò di tasca il mandato di perquisizione. “Mi regga l’ombrello, mentre apro la porta”, si arrese Nadir. I due arrivarono nell’appartamento dopo una silenziosa salita in ascensore. “Allora, detective, cosa vuole sapere ancora?” “Cosa sa della “maledizione della tomba”?” L’egiziano sorrise. “Si riferisce alla vecchia storia del ritrovamento della tomba di Achenmernefer II ?” “Sì, proprio a quella”. “Aspetti qui”. Mustàfà andò in un'altra stanza. Santino guardò in giro, quando una foto in bianco e nero che ritraeva il professore Neri con Mustàfà ed una ragazza attirò la sua attenzione. Improvviso l’egiziano rientrò nella stanza brandendo una lunga spada egizia. “Ecco la maledizione del faraone!”. 20 Santino lasciò cadere la foto facendo istintivamente alcuni passi indietro e finendo con le spalle addosso ad un mobile. “Morte ai nemici del faraone che disturbano il sonno eterno di colui che è giusto davanti agli Dei”, la voce dell’egiziano tuonò enfatica rimbombando nella stanza. Calando la lama aggiunse: “Ecco la sua maledizione, detective”, e la porse a Santino, pallido e sorpreso. “Conosco tutta la storia del ritrovamento, e di ciò che ne conseguì, sebbene io allora non lavoravo ancora per il professore Neri”. “Ho visto il suo diario questa mattina. Perché scrisse quella frase?” Nadir prese il diario dalla tasca della giacca. “”Enrico per il tesoro lo uccise”. E’ questa che dice?” “Sì”. “Venni a sapere che la ragazza egiziana che testimoniò per il professore era stata pagata profumatamente per la sua testimonianza”. Santino raccolse la foto caduta. “Conosce Pamela?” “No! Chi è?” Santino voltò la foto verso l’egiziano. “E’ La Vanelli?” “Sì”. “La Vanelli sapeva dei suoi sospetti su Neri?” “Sì. La reputo una persona di estrema fiducia, così le feci leggere il mio diario dove annoto formule, date, e dove ho anche scritto informazioni sulla vita del professore”. “Lo ammirava?” “Il professore era uno strano miscuglio di fascino, intelligenza e anche… “ “Scorrettezza?” “Non direi piuttosto scorrettezza che… che… Che nel non senso di disdegnava malvagità, percorrere alternative”. “Forse troppo alternative per chi gli stava intorno”. “Che vuole dire?” “Sapeva dei suoi sospetti?” direi strade 21 “Dei miei? Ma… che centra?” “Conosce il signor Lodi Roberto?” “No, dovrei?” “E’ mai stato a casa della Vanelli?” “Beh… ecco… sì”. “Per quale motivo?” “Detective, io non vedo…” “Si limiti a rispondere. Per quale motivo è stato a casa della Vanelli?” “Era normale, posseggo anche una coppia delle chiavi. Capitava spesso che le portassi a casa dei libri o altre cose inerenti agli studi che lei e il professore stavano facendo”. “Sa cosa stava studiando il professore Neri prima di morire?” “Certo. Stava traducendo dal Copto un antico testo ritrovato…“ “Sì, sì, d’accordo. Ma di che parlava questo libro?” “Maledizioni. Una raccolta di formule di maledizioni”. “Già!” Santino estrasse il bracciale che aveva in tasca. “Che mi dice di questo?” Nadir Mustàfà prese il monile. “E’ un antico bracciale cerimoniale”. “L’ ho trovato nell’appartamento della Vanelli . Lei sa come ci è arrivato?” L’ egiziano guardò Santino. “Strano”. “Strano?” “Sì, voglio dire è strano che Piera lo lasci in giro. Aveva una vera tanto che e propria alla fine mania il per questo professore monile, glielo ed donò. insistette Lo portava sempre, come… come… una sorta di amuleto”. “Cosa rappresenta?” “E’ un bracciale cerimoniale. I due serpenti rappresentano il bene e il male”, Mustàfà lo appoggiò sul palmo mostrandolo al detective. “Vede, i serpenti si avvinghiano l’uno all’altro creando un circolo, una sorta di equilibrio tra le forze in gioco in un cerchio simbolo di protezione”. “Equilibrio, il bene e il male… gia”, disse Santino sottovoce meditando. 22 “I sacerdoti egizi lo usavano per il rito della protezione”. “Una maledizione?” “No, gli antichi egizi non usavano quella che noi definiamo “magia nera”. Con questa punta, vede, il sacerdote faceva un piccolo foro sul collo dietro alla nuca della persona da proteggere. Faceva uscire una gocciolina di sangue sulla quale metteva un miscuglio di erbe… una sorta di profumo, il cui scopo era quello di attrarre la benevolenza degli Dei che tramite il sangue potevano entrare in contatto con l’anima dell’ individuo”. “Lei era la persona più vicina al professore”. “Non capiso… che vuole dire?” “Prima che arrivasse la Vanelli, intendo”. “E con ciò?” “No, no… niente sono mie meditazioni… arrivederci”, tagliò corto Santino infilando l’uscio senza lasciare all’ egiziano il tempo di controbattere. Santino era rientrato in ufficio. Oramai tutte le idee e gli indizi erano nella sua mente, si trattava solo di metterli in fila e farli funzionare come in una sorta di circuito elettrico mentale. Nella penombra continuava a fissare il bracciale e a pensare alla storia della maledizione. Bussarono alla porta e il detective fu distolto dai pensieri. “Chi è?” “Dottore, sono il Maresciallo!” “Maledizione! Detective, non dottore!” urlò Santino. Il Maresciallo aprì la porta ed entrò. “Mi scusi dott…” “Che le avevo detto Maresciallo?” “Ah, sì. Detective no dot… “ “No, no, no!” “No?” “Le avevo detto di non disturbarmi!” suoi 23 “Certo dottore, ma le volevo dare la foto che ho preso a casa di Lodi, e dirle che il professore Neri non aveva alcun testamento”. Santino guardò la foto: ritraeva una ragazza dai lunghi capelli biondi e dagli occhi azzurri. “No?!” “No dottore, e del resto avrebbe lasciato poco”, il Maresciallo posò sulla scrivania un foglio. “E’ scritto tutto qui”. “Va bene, ora vada… anzi no!” “Dottò che faccio?!” “Porti questo bracciale alla scientifica da Gaetano, gli dica che è per me. E’ urgentissimo voglio le impronte digitali e tutta la documentazione sui legittimi proprietari delle medesime”. “Vado dot…” “No! Corra Maresciallo!” “Corro, corro”. Rimasto solo Santino alzò la cornetta del telefono per fare una telefonata. “Pronto? Sonno il Detective Renesto Santino… la signora Sandra?” Immerso nella fredda penombra dello studio della biblioteca, il detective Renesto Santino stava seduto allo scrittoio sul quale avevano tempo, spesse lì trovato dentro, sembrava scaffalature sorvegliata congelati, a morto vista spuntavano il imbalsamato, affollate da dai soffitto. Pur tuttavia che professore da gessati quattro Enrico ed una putti, angoli Neri. Il intrappolato da antica che, di cultura, come un spettri elaborato quel luogo fosse avvolto e isolato in quello stato di idilliaca staticità, protetto da spesse pareti, il forte temporale che imperversava sulla città penetrava quel luogo stemprando rimbombanti echi di tuoni, che rimbalzavano nei meandri dei labirintici corridoi di monumento alla cultura, sottoforma di sommessi brontolii. quel 24 Santino si guardava intorno in quella stanza, rigirando meccanicamente fra le mani il resoconto della scientifica, e riordinando mentalmente tutti gli indizi come un puzzle che andava prendendo forma. “E’ lei il detective…” “…Renesto Santino? Sì sono io”. Santino guardò la bella ragazza apparsa sulla porta della stanza. Alta, slanciata, capelli cortissimi rossi. Un aspetto e un look sobrio, quasi esenziale, pratico, che non nascondeva la femminilità e la giovane solarità di quella donna. “Dottoressa Paola… Paola Rodari?” “Bhe, non ancora Dottoressa”, precisò lei. “Si accomodi e chiuda la porta, Paola. Posso chiamarla Paola?” “Certo”. “Sa perché l’ ho fatta venire?” “Credo mi debba parlare del Professore Neri, non è così?” “Sì, è così”. “Io credo…” “Penso di essermi fatto una idea di come sono andate le cose”, la interruppe Santino. “Non vedo cosa possa centrare io, sono tornata ora… “ “Da Londra, certo. Ma ho una teoria che lei mi aiuterà a confermare”. “Sono di fretta è due anni che…” “Non ha importanza, mi ascolti”. Santino si alzò in piedi, e si diresse verso una scaffalatura come se stesse cercando un volume. “La prima domanda, banale se vogliamo, che mi sono posto è stata: Chi poteva volere la morte di Neri? Poi mi sono chiesto naturalmente perché. Ed un perché evidente non c’era. Non c’ era una eredità, o una rivalità o cose del genere. Pensai allora alla gelosia. Poteva averlo ucciso Lodi? Geloso della relazione di Neri con la sua fidanzata? Peccato però che lui, intendo Lodi, non ne fosse al corrente. Lui disse così, e io gli credei; sa perché?”. “No”. 25 “Lodi avrebbe potuto montare tutta la messa in scena? No. Non conosceva nemmeno Neri se non per sentito dire. E poi come avrebbe potuto conoscere un veleno la cui ricetta non rimane che su qualche vecchio papiro e… “ “E?…” “…E su qualche diario”. “Diario?!” “E già. Ed ecco entrare in gioco il mio primo indiziato: Nadir Mustàfà”, Santino fece una pausa teatrale, fissando Paola che a sua volta lo fissava. “Era l’unico che poteva creare tutta la messa in scena. Lui sapeva del bracciale, con cui è stato ucciso il professore. Sul suo diario c’è la traduzione dal geroglifico per preparare il veleno. Allora: uccide Neri, poi mette il bracciale in casa della Vanelli, lui stesso ammette di avere le chiavi dell’ appartamento”. “E il motivo quale sarebbe?” “Giusto. Quale motivo? Forse l’egiziano ne avrebbe più di uno”. “Addirittura?” “Forse la gelosia e la paura di essere messo in disparte dal professore, che lui venera e segue da sempre, a favore della giovane assistente? O ancora meglio: E se Mustàfà a conoscenza del passato poco chiaro di Neri lo ricattasse? Già, ma in tutti e due i casi l’ egiziano avrebbe perso tutto”. “……” “Ma forse non è stato lui, e forse chi ha ucciso Neri lo ha fatto per vendetta?” “……” “Forse sua madre, Paola? La moglie del povero professor Rodari?” “….” “No, l’ ho esclusa subito. La povera Sandra vive chiusa nei suoi ricordi, e poi come poteva procurarsi il bracciale se non 26 conosceva nemmeno la Vanelli? Per non parlare della solita storia del Veleno”. “E allora?” “Allora non ci rimane che la Vanelli, che possedeva il bracciale, che aveva libero accesso alla casa del professore, ma soprattutto era in confidenza con Nadir…. Gia, ma quale motivo?” “Non c’è movente”. “No, come non c’è nessuna Piera Vanelli!” “Che?” “Ci sono solo gli strascichi della maledizione, dopo vent’anni; ombre del passato che tornano a fare giustizia, anche se una giustizia un po’ privata”. “Non credo di capire”, disse Paola confusa. “Credo che lei stia mentendo, e che capisca benissimo”, Santino buttò tre foto sullo scrittoio. “Sa quando ho avuto il primo dubbio? Quando a casa di Mustàfà ho trovato questa foto in bianco e nero. Mi venne in mente questa che avevo visto a casa di sua madre, Paola”. “A parte i capelli, i lineamenti sono identici. Poi ho avuto questa terza foto a colori. Capelli lunghi, lenti a contatto azzurre, non abbastanza per ingannare una foto in bianco e nero. In seguito rammentai le parole di Lodi: “…a volte firma con un altro nome…”. “……” “Quel nome è Paola Rodari, come sono di Paola Rodari le impronte digitali su questo”, Santino gettò platealmente il bracciale, dentro ad un sacchetto di plastica trasparente, sullo scrittoio. “Il passato ritorna come una maledizione, ma la maledizione vive tramite gli occhi di una bambina di cinque anni che vede il padre e il suo piccolo mondo trafitto dalla lama di un abominevole demonio: il professore Enrico Neri. E’ così che glielo dipinge sua madre. Ed allora lei, due anni fa, all’insaputa di tutti torna da Londra ed assume l’identità di Piera Vanelli, entra nelle grazie del professore ed in simpatia di Nadir a tal punto che le fa leggere il diario 27 personale, dove lei trova le conferme a dubbi covati vent’anni, e l’idea dell’omicidio coperto dalla maledizione”. Paola Rodari pareva improvvisamente pietrificata, e Santino lesse sul suo volto tutto l’orrore di una bimba di cinque anni che scopre la morte in tutto il suo lato peggiore, la violenza. “Mi aveva quasi ingannato. Il veleno, introvabile a tal punto che si poteva pensare non esistere. La fantomatica Vanelli. Tutto faceva pensare a spiriti venuti a reclamare vendetta. Peccato che abbia dimenticato, nella fretta di partire, il bracciale. Peccato che Nadir abbia l’ abitudine di usare pellicole in bianco e nero…. Già, peccato”. “Ora andrò in carcere?” Santino prese il sacchetto con il bracciale e lo infilò in tasca. Poi strappando il resoconto della scientifica disse: “Ora la farò accompagnare all’aeroporto dove prenderà il primo volo per Londra, dove si laureerà, e dove si farà mandare in qualche oasi sperduta a scavare il passato”. Paola guardò stupita il detective. “Ma… io… io…” “Peccato che qualcuno abbia dimenticato di registrare il bracciale, e che questo esito sia solo un piacere di un amico… e del resto il passato è passato. Se lo ricordi!” “Non so, non so cosa dire io…” “Addio, non c’è altro da dire”. Santino uscì nel corridoio, il temporale si era placato. Arrivò sulla scalinata di marmo d’accesso alla biblioteca. “Maresciallo!” Gridò. Il Maresciallo accorse. “Agli ordini dottore”. “Appuntato, faccia accompagnare la signorina Paola Rodari a prendere le sue cose a casa, e poi all’aeroporto, assicurandosi che parta per Londra sul primo aereo”. “Sì dottore, ma…” “E poi appuntato faccia spiccare un mandato di cattura per Piera Vanelli”. “Come ordina dottore, ma… “ 28 “Insomma appuntato! Ma che cosa?!” “No. Volevo solo dirle che io sono Maresciallo, non appuntato”. “E io detective”. “Sì Dottore!” Un raggio di sole trafisse un piccolo lembo d’azzurro, mentre la coltre di nuvole andava pian piano dissolvendosi, il detective Renesto Santino si avviò lentamente alla sua auto sorridendo. Guardò la piccola porzione di celo frugata dal sole: dopotutto era una bella giornata, e si sarebbe concesso un gelato. FINE.