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OMBRE dal PASSATO
Di: Michele Barbieri
Una
pioggia fine e insistente inzuppava la città oramai da
giorni, in un tardo autunno che già annunciava cupo i grigiori
apatici dell’inverno imminente.
Il detective Renesto Santino entrò nel grande atrio della
biblioteca
universitaria
con
il
bavero
dell’impermeabile
tirato sino sulla testa per ripararsi dalla pioggia. Si guardò
intorno, e nel silenzio mistico della vasta sala dai rosoni
ottocenteschi e dai marmi levigati e lucidi da cattedrale,
scrollò
l’impermeabile
fradicio,
subito
pentito
del
gesto
sconsiderato alla vista del pavimento di marmo a mosaici.
Il silenzio impregnante di quel santuario della cultura, come
i
volti
cerulei
di
satiri
e
grifoni
sporgenti
dalla
semi
oscurità dei cornicioni di gesso dei soffitti, gli dettero un
senso di disagio.
“DOTTORE!” La voce tuonò improvvisa, rimbombando infranta in
mille echi distorti dagli spazzi dell’atrio.
Santino trasalì voltandosi di scatto, già quasi portando la
mano sul calcio della rivoltella che portava, più per obbligo
che per altro, in cintura.
“ Maresciallo, maledizione… “ Lo ammonì il detective.
“Venga. Venga dottore, che la stavamo aspettando”.
“DETECTIVE!”
I due percorsero un corridoio dall’alto soffitto ad archi e
dalle pareti colme di ritratti di fantomatici occhialuti e
barbuti accademici, dall’aria imbalsamata e stantia.
Arrivarono in una saletta adibita a studio, le cui pareti
prive
di
finestre
scaffalature
cariche
erano
di
interamente
volumi.
Una
coperte
imponente
da
massicce
scrivania
in
stile era posta al centro della stanza, sopra ad un pavimento
in legno consunto. Un uomo vi stava riverso sopra, accasciato
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su di un manoscritto dall’ aria antica; congelato dal tocco
della morte in quella posizione di eterna quiete.
La
stanza
era
occupata
da
alcuni
agenti,
oltre
il
medico
legale ed una donna che Santino non conosceva.
Il Maresciallo fece un cenno ad un agente che accompagnò fuori
la donna.
“Chi è?” Domandò Santino, riferendosi ad essa.
“La bibliotecaria”, rispose il Maresciallo. “Ha trovato lei il
Professore”.
Santino porse la sua attenzione al medico legale. “Ciao Doc.,
come va la vitaccia?”
“Me la cavo, Renesto”.
Santino girò intorno al cadavere. “Chi è?”
Il
Maresciallo
aprì
solerte
una
cartelletta
dove
aveva
raccolto dati e annotazioni. “La vittima è il…”
“Cosa ci fa presupporre che sia morto assassinato?” Interruppe
Santino.
Il Maresciallo lanciò un’ occhiata d’aiuto al medico, che
intervenne.
“Il cadavere è stato trovato circa mezz’ora fa, mentre presumo
che la morte sia sopraggiunta circa due ore prima. Non direi
d’infarto,
ma
sembra
quasi
essere
passato
da
uno
stato
di
paralisi ad un collasso cardiocircolatorio. Inoltre presenta
questo piccolo segno sul collo”.
“Una puntura, un’iniezione?”
“Forse”.
“Vuoi dire quindi che non è una morte naturale, ma provocata?”
“Direi di sì, anche se solo l’ autopsia ci darà la conferma”.
“Maresciallo!”
“Sì dottore?”
“Avete fatto i rilevamenti e le foto?”
“Certamente dot… “
“Detective, detective, Maresciallo. Fate portare il cadavere
all’
obitorio”,
ordinò
l’autopsia per cortesia”.
“Ma…”
Santino.
“E
tu
Doc.
fai
subito
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“Subito, Doc”.
“O.K. Renesto”.
Infilati un paio di guanti in lattice Santino sfilò il grosso
volume da sotto il cadavere. L’antico manoscritto rilegato in
cuoio
era
un
voluminoso
trattato
in
una
lingua
a
Santino
sconosciuta.
“ Stava dicendo della vittima, Maresciallo?”
Il militare scattò sull’ attenti e riprese a leggere i suoi
appunti.
“Dunque, vediamo”. Sfogliò qualche pagina di un block notes.
“Allora, Maresciallo?” Lo incalzò Santino.
“Sì,
ecco:
Professor
Enrico
Neri.
Anni
sessantuno.
Famoso
studioso di egittologia e scienze occulte ed orientali. Non
risulta si sia mai sposato, o abbia figli o parenti prossimi”.
“Già”,
commentò
Santino.
“E
di
questo
libro
che
si
sa?
Sembrerebbe antico, forse prezioso”.
“Beh, veramente…”
“Va bene, va bene. Chiami la bibliotecaria”.
Pochi istanti dopo il Maresciallo rientrò con la donna. “Ecco,
dottore”.
“Bene, bene”.
Santino guardò la donna, snella ed elegante, e stimò avesse
una quarantina d’anni.
“Sa a cosa stesse lavorando il professore?”
Lei si sistemò la gonna e gli occhiali. “Da tempo era dedito
alla traduzione di quell’ antico manoscritto”, indicò il tomo
che Santino reggeva ancora in mano.
“Di che tratta?”
“Esattamente non lo so, ma dovrebbe essere una raccolta di
maledizioni redatta da un frate, che lo stesso professor Neri
trovò nel monastero di Santa Caterina in Egitto”.
Santino
posò
il
libro
istintivamente,
quasi
gli
scottasse
improvvisamente le mani. “Ha trovato lei il Professore morto?”
“Sì”.
“Chi altri è entrato in questa stanza quando era ancora vivo?”
“Nadir Mustàfà, e l’ assistente del professore”.
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“Chi è questo Mustàfà?”
“E’ l’aiutante del Professore. Lo ha incontrato quindici anni
fa durante gli scavi in Egitto”.
“Si conoscono da allora?”
“Sì, è il suo braccio destro”.
“Dove è ora questo Mustàfà?”
“Presumo a casa sua”.
“Sa dove abita?”
“Certo, ha un appartamento al quartiere est vicino alla casa
del Professore Neri. Ho l’ indirizzo se vuole”.
Santino fece un cenno con il capo al Maresciallo. “Si faccia
dare
l’
indirizzo,
Maresciallo,
e
poi
faccia
preparare
un
mandato”.
“Subito Dottore”.
“E
la
sua
assistente?”
Continuò
Santino
rivolto
alla
bibliotecaria.
“Si chiama Piera, Piera Vanelli”.
“Conosceva da molto il professore?”
“E’ una studiosa anche lei di egittologia e scienze occulte.
Si sono incontrati proprio qui due anni fa circa, e fra di
loro è nata subito una intesa un pò più che accademica… non so
se mi spiego”.
“Sono coetanei?”
“Coetanei?!” La donna sorrise. “Lei ha venticinque anni”.
“Dove la trovo la signorina Vanelli?”
“E’ partita per Londra proprio questa mattina. È passata a
salutare il professore. Li ho visti baciarsi e abbracciarsi
appassionatamente e… “
“e?…”
“E poco dopo che lei se ne è andata, mentre portavo un libro
che il professore mi aveva chiesto, l’ ho trovato morto”.
“Bene. Maresciallo, Vediamo cosa riusciamo a trovare su questa
Piera Vanelli, e si procuri un mandato anche per casa sua”.
“Ho l’indirizzo anche della dottoressa Vanelli se occorre”,
aggiunse la bibliotecaria.
“Bene. Maresciallo provveda”.
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“Agli ordini, dottore!”
“De-te-ct-ive.
Quante
volte
glielo
devo
dire
maledizione”,
sbottò Santino.
Il detective Santino uscì dalla biblioteca e si soffermò un
istante sulla gradinata di marmo. Guardò pensoso il plumbeo
cielo
e
maledisse
quella
pioggia
insistente
che
da
giorni
allagava la città. Si tirò il bavero sin sulla testa e a passi
veloci si diresse alla sua auto.
Il
telefono
sulla
scrivania
squillò
e
Santino
sollevò
il
ricevitore portandoselo all’ orecchio.
“Detective Renesto Santino… Si va bene, vengo subito”.
Guardò
quell’
mandati
l’orologio
istante
per
appeso
entrò
casa
il
dell’
alla
parete:
erano
Maresciallo.
egiziano,
le
“Dottore,
ma
per
19:15.
In
abbiamo
i
quelli
della
dottoressa Vanelli credo ci siano un pò più di complicazioni.
Sa, essendo via… e non siamo ancora sicuri che sia omicidio, e
poi…”
“O.k.,
O.k.
Maresciallo”,
Santino
si
alzò
da
sedere
e
si
infilò il soprabito. “Lasci il mandato lì sulla scrivania e
continui il suo lavoro”.
Il medico legale era già in abiti civili, ed in evidente
apprensione.
“Ciao Doc. Mi dispiace di farti tardare alla cena, ma ho
bisogno subito del referto”.
“Certo,
certo.
Siediti
lì”,
indicò
l’
unica
seggiola
disponibile in un mare di carte e cartelle di referti.
“Allora Doc.?”
“Il nostro uomo è stato avvelenato, ho quanto meno dall’ esame
tossicologico si desume che sia morto per una piccola dose di
un
letale
veleno
estratto
dalla
radice
di
una
pianta.
Un
stampa
da
veleno che veniva usato nell’ antichità”.
“Un po’ particolare, direi”.
“Particolare
e
insolito”,
il
medico
porse
una
computer. “Ho svolto una ricerca su Internet. Questo veleno
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era usato nell’ antichità da alcuni sacerdoti o stregoni del
Sudan
per
creare
uno
stato
comatoso
nelle
proprie
vittime
sacrificali. Questa usanza è caduta in disuso da millenni e
anche l’ uso di questo distillato. Ora, chi ha usato questo
veleno doveva averne conoscenze storiche o essere venuto a
conoscenza di come si prepara da fonti non solite”.
“Vuoi dire che non è un veleno facilmente reperibile?”
“Assolutamente no . Occorre una pianta che cresce solamente in
Sudan e poche altre regioni Africane, e fra l’ altro occorre
anche conoscere il modo di preparare tale veleno. Non credo
che comuni testi di chimica dicano come fare, e anche i testi
di botanica accennano a malapena alla tossicità della radice
di questa pianta, che fra l’altro se non viene mescolata ad
altre sostanze non è letale”.
“Veramente particolare non trovi?”
“Già, sembra quasi che qualcuno dal passato sia venuto ad
uccidere il professore”.
“Non diciamo fesserie Doc., rimaniamo coi piedi per terra”.
Il dottore porse delle foto del cadavere a Santino.
“Guarda qui”.
“Cosa devo vedere?”
“Quel piccolo puntino sul retro del collo del professore Neri.
La puntura di cui ti parlavo”.
“E’ il foro di un ago?”
“No. Troppo poco profondo per un qualsiasi ago in commercio, e
soprattutto ha lasciato un forellino di forma conica”.
“Una puntura di insetto?”
“Potrebbe sembrare un pungiglione, ma non di certo animale.
Ecco diciamo una sorta di spilla, per farti un’ esempio”.
“Da tutto ciò possiamo dedurre che è stato assassinato”, disse
Santino più a se stesso che al medico.
“Sì”.
“Una bella storia!”
“Già: buon divertimento”.
“O.k. Ciao Doc, e porgi le mie scuse alla moglie”.
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Era appena l’ alba e Nadir Mustàfà stava armeggiando con erbe
e bricchi nella cucina del suo appartamento. Bussarono alla
porta, e quel suono cupo echeggiò inaspettato e sgradito nel
silenzio dell’appartamento. L’egiziano si guardò intorno con
apprensione ed un accenno di nervosismo per quella inopportuna
e
imprevista
intrusione.
La
preparazione
del
càrcàdè
mattutino, per Nadir, era un vero e proprio rito da eseguire
con religiosa concentrazione.
Mustàfà socchiuse lievemente la porta per vedere chi fosse il
disturbatore mattutino.
“Detective
Renesto
distintivo.
Santino”,
L’egiziano
disse
chiuse
la
l’uomo
mostrandogli
porta.
Santino
un
rimase
immobile a fissare il battente, mentre l’uomo dall’altra parte
armeggiava con il catenaccio, dopodiché aprì l’uscio.
“Buongiorno Detective”, salutò cordialmente Nadir. “Presumo
che sia qui in seguito alla spiacevole morte del professore
Neri”.
“Certamente”,
ammirando
regnava
rispose
Santino,
l’arredamento
e
guardandosi
l’atmosfera
nell’appartamento,
in
attorno
ed
arabo
che
stile
odorante
di
aromi
che
in
Italia”,
e
gusti
orientali.
“Sono
quasi
quindici
anni
vivo
proruppe
l’egiziano, quasi avesse letto nella mente di Santino. “Ma
sono fortemente legato alle mie origini e alla mia terra”.
Santino
non
commentò,
continuando
a
guardarsi
intorno
incuriosito dai mille oggetti e da centinaia di libri sparsi
un po’ ovunque.
“Mi vuole scusare un istante?”
“Come?”
“Non mi aspettavo una visita così mattutina…”
“Mi rendo conto…”
“Stavo preparando del càrcàdè. Posso offrirgliene una tazza?”
“Sì, con piacere. Grazie”.
“Si accomodi pure nel salone, la raggiungo subito”.
Santino varco la soglia a forma d’arco del salone. Alcuni
tappeti persiani giacevano a terra a coprire interamente il
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pavimento. L’arredamento era composto interamente da tavolini
e librerie in cedro del libano dall’aria molto artigianale,
ricoperti da libri e manufatti e reperti archeologici. Santino
incuriosito prese alcuni libri leggendo i titoli sui dorsi, o
sfogliando
qualche
egittologia,
copertina
e
pagina.
scienze
in
cuoio
Tutti
occulte.
e
trattati
Un
dall’aria
di
piccolo
molto
archeologia,
libretto
dalla
vissuta
attirò
improvvisamente la sua attenzione. Santino sfogliò quello che
risultò essere un diario fitto di appunti, date, e annotazioni
in tre lingue: arabo, inglese e italiano. Frugò furtivamente
fra
le
pagine
sino
quando
una
frase,
scritta
in
modo
frettoloso e in un inchiostro differente dal resto della bella
calligrafia
araba
scritta
in
quella
pagina,
attirò
la
sua
attenzione: Enrico per il tesoro lo uccise.
Il
tintinnio
di
un
vassoio
carico
di
bicchieri
destò
il
detective dalla sua meditazione, Santino posò frettolosamente
il
diario;
istintivamente
infilò
le
mani
nelle
tasche
del
soprabito dove trovò il mandato di perquisizione che in una di
esse giaceva.
Nadir Mustàfà entrò nella stanza recando in mano un vassoio in
peltro su cui vi era posto uno splendido servizio di tazze ed
una
cuccuma
un’occhiata
a
splendidamente
Santino.
“Si
decorata.
tolga
il
L’egiziano
soprabito,
lanciò
detective”,
disse appoggiando il servizio. Santino si tolse il soprabito e
glielo porse.
“Lo appoggi pure dove vuole”, disse Nadir facendo un passo
verso di lui e poi dirigendosi verso il tavolino dove giaceva
il diario. “Ah! Eccolo. Lo dimentico sempre in giro”, commentò
Nadir raccogliendo il volumetto e infilandoselo nella tasca
della
tunica
che
indossava.
Poi
si
dedicò
con
certosina
meticolosità a servire il càrcàdè. Versò il bollente e fumante
liquido color rosso rubino nelle tazze, ed un aroma dolciastro
di cannella ed altre spezie più pungenti invasero la stanza.
“Sa, lo preparo seguendo una ricetta di migliaia di anni fa”,
prese a spiegare Nadir Mustàfà. “La trovai in un antico testo
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scritto su papiro durante una spedizione archeologica in Nubia
circa dodici anni fa”.
“Interessante”, commento laconico Santino.
“Richiede
l’utilizzo
di
erbe
un
po’
rare
e
altrettanto
difficili da reperire qui da voi”, sorrise sorseggiando la
bevanda.
“Ma
io
me
le
faccio
mandare
da
alcuni
amici
direttamente dal mio paese”.
“In che rapporti era con il professore?”
“Ci
conosciamo
da
quindici
anni.
Ci
conoscemmo
in
Egitto
durante gli scavi della tomba di Achenmernefer II. Beh, in
realtà
lui
era
già
cinque
anni
che
lavorava
a
quello
che
sarebbe stata la scoperta della sua vita e che in seguito lo
lanciò anche alla ribalta delle cronache di tutto il mondo per
i fatti accaduti”.
“Da allora lei è divenuto il suo aiutante?”
“Sì, ma lavoravo già allo scavo da tre anni anche se solo come
manovale”.
“E
come
divenne
collaboratore
del
professor
Neri
E…
Non
ricordo il nome”.
“Enrico”.
“Gia,
Enrico”,
Santino
sorseggiò
il
dolcissimo
infuso
bollente.
“Avenne dopo la morte del professore Elio Rodari. Fu un caso”.
“Chi è il parente più prossimo del professore?”
“Nessuno”.
“E la signorina Vanelli?”
“La dottoressa è l’assistente del professore”.
“Solo assistente?”
“Piera è
una gran brava ragazza. E’ affascinata quasi in
maniera maniacale dal Egittologia e dai suoi studi”.
“Lei e il professore si sono conosciuti due anni fa se non
erro?”
“Sì, più o meno”.
“Sapeva della loro relazione?”
“Lei poteva essere sua figlia”.
“Sapeva?!”
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“Sì, ne ero al corrente”.
Santino indugiò bevendo un lungo sorso di càrcàdè, e lanciando
un’ occhiata da sopra la tazza all’egiziano.
“Non condivideva il loro rapporto?”
“Credo che Piera fosse più affascinata dagli studi e dalla
fama del professore che dall’ uomo”.
“Lei conosce bene la signorina Vanelli?”
“Eravamo molto in confidenza. Come le ho già detto era una
ragazza molto brava ed intelligente”.
“Sì, questo me lo ha gia detto”.
“Veniva spesso qui a casa mia, anche senza il professore”.
“A che fare?”
“Diceva che le piaceva molto l’atmosfera orientale di questa
casa. Ma veniva soprattutto per… “ Nadir bevve un lungo sorso.
“Per?” Incalzò Santino.
“Le piaceva ascoltare le mie lunghe narrazioni sulle ricerche
esoteriche
e di egittologia a cui ho partecipato”.
“Cosa ne avrebbe potuto ricavare dalla morte del professore?”
“Sospetta di lei?” Nadir era allibito, quasi indignato.
“Sospetto di tutti,” rispose sintetico Santino.
“Allora anche di me?”
Santino
si
alzò
in
piedi.
“Risponda
alla
mia
domanda”,
incalzò.
“Niente. Assolutamente niente”.
La porta si spalancò e la sagoma apparve tozza sull’ uscio.
“Mi scusi dottore se non ho bussato”.
Santino stava seduto alla scrivania, ed il commissario posò le
due
tazze
di
caffè
che
reggeva
in
mano
fra
le
pile
di
scartoffie che riempivano il piano d’appoggio. “Le ho portato
il caffè”.
“Grazie Maresciallo”.
Poi porse a Santino un fascicolo di carte che aveva stretto
sotto l’ascella. “Ecco dottore. Qui c’è tutto quello che ho
trovato su quel professore Elio Rodari”, sfogliò alcuni fogli.
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“Non è molto, a parte il fatto che è morto, e che sua moglie
abita nella zona residenziale con la figlia… “
“Moglie?”
“Sì, la signora Sandra Rodari”.
“E di questo Nadir Mustàfà?”
“Nulla di irregolare su di lui”.
“E su Neri?”
“Beh su di lui c’è un lungo fascicolo. Pare proprio che fosse
una celebrità. Ma forse è meglio che legga lei stesso”.
Santino guardò il plico di fogli che il Maresciallo gli porse.
“Va bene. E… mi dica di questa Piera? Che ha scoperto di
questa fantomatica dottoressa Vanelli?”
Il Maresciallo si grattò il capo, poi sospirò e con aria
solenne disse: “A parte il fatto che non esiste… niente”.
Santino
alzò
lo
sguardo
sul
Maresciallo
che
aveva
improvvisamente destato la sua attenzione. Si alzò in piedi.
“Non esiste?!”
“No”, confermò il Maresciallo. “Non esiste nessuna Dottoressa
Piera Vanelli”.
“Ma abbiamo il suo indirizzo”.
“Sì”.
“Forse non è il suo vero nome”.
“Può darsi dottore. Sa, anche mia moglie la chiamano Nina, ma
si chiama Giannina”.
“Sì,
sì.
O.K.”
Santino
prese
il
soprabito
ed
uscì
dall’ufficio. “Andiamo, forza Maresciallo”.
Il militare posò frettolosamente la tazza che reggeva in mano,
e
girandosi
sui
tacchi
rincorse
il
detective.
“Ma
dove
corriamo dotto… “
“All’ appartamento della Vanelli”.
“Guidi! Santoiemma!” Urlò il Maresciallo impartendo l’ordine
ai due militari. “Presto con me, muovete quelle chiappe!”
12
Santino
era
impaziente,
passeggiava
avanti
e
indietro
sul
pianerottolo mentre i tre militari cercavano di forzare la
porta che opponeva una strenua resistenza.
“Allora, Maresciallo dobbiamo chiamare i pompieri?!”
“Un
secondo
dottore.
Abbia
pazienza
è
questione
di
un
secondo”.
“Ma che secondo e secondo. E’ mezzora che state cercando di
aprirla!”
Sbottò
Santino
sempre
più
esasperato.
“Fatevi
da
guardare
l’
parte”.
“Ma che state facendo, che succede!”
I
quattro
si
girarono
contemporaneamente
a
individuo che saliva dalle scale.
“Si può sapere cosa sta accadendo?”
“Detective
Renesto
Santino”,
si
presentò
porgendo
il
distintivo. “Questa è una operazione di polizia”.
“Di
polizia?!”
sbottò
perplesso
il
Maresciallo.
”Ma
siamo
carabinieri”.
“Zitto
Maresciallo!”
Lo
ammonì
Santino,
lanciandogli
un’occhiataccia.
“La questione non la riguarda, quindi si allontani”, proseguì
Santino rivolgendosi all’ individuo.
“Mi
riguarda
eccome.
Quello
è
l’appartamento
della
mia
ragazza!” Protestò questo.
Santino lanciò una occhiata di traverso al Maresciallo, che si
strinse nelle spalle.
“Avete un mandato?”
“Maresciallo!” Il Maresciallo mostrò il mandato. “E magari lei
ha le chiavi… vero?”
“Sì, certo”.
“Come si chiama?”
“Lodi, Roberto Lodi”.
“Mi dia le chiavi”.
13
Lodi porse le chiavi a Santino, che si apprestò ad entrare
nell’
appartamento.
Poco
dopo
il
detective
riapparve
sulla
porta. “Entri signor Lodi”.
I due rimasero in piedi nel piccolo atrio dell’ appartamento,
mentre gli agenti frugavano in giro.
“Così lei sarebbe il fidanzato della dottoressa”.
“Sì, è così”.
“Abitate assieme?”
“No. Io abito qui di fronte”.
“E da quanto conosce la Vanelli?”
“Da quando ha preso questo appartamento in affitto… circa due
anni fa”.
“E adesso sa dove è?”
Lodi guardò il detective con aria stupita. “Certo”.
“Dove?”
“A Londra… ma”.
“Conosceva il professore Enrico Neri?”
“Di nome. Piera era la sua assistente, lavorava gia per lui
quando la conobbi”.
“Sa che il professore è morto?” Santino fissò negli occhi l’
uomo. “E sapeva che aveva una relazione con Piera?”
Lodi
ebbe
un
moto
di
irrequietezza.
“Morto?
Ma
che
dice
detective?”
“Non crede che sia morto?”
“No, non credo che Piera potesse avere una relazione con lui.
Aveva trentacinque anni di meno!” Lodi passeggiò inquieto nel
piccolo atrio.
“Aia!
Maledizione!”
Sbottò
all’improvviso
il
Maresciallo
lasciando cadere un oggetto.
“Maresciallo, ma che combina?!” lo ammonì Santino.
Il Maresciallo raccolse l’oggetto e lo porse al detective. “Mi
scusi
dottore,
ma
è
che
mi
sono
punto
con
questo
strano
bracciale”, si scusò il Maresciallo. Santino prese il monile,
dall’
aria
molto
antica,
e
lo
esaminò.
Rappresentava
due
serpenti attorcigliati che si fronteggiavano e che culminavano
in una unica coda appuntita. Santino lo avvolse nel fazzoletto
14
e lo infilò in tasca; tornò a rivolgere la sua attenzione al
giovane.
“Cosa è andata a fare a Londra?”
“Doveva portare a compimento uno studio per il suo dottorato”.
“Egittologia?”
“Gia, una vera e propria mania”.
“Mania?”
“Sì. Io non la condivido, per lei è quasi una ossessione, e
quasi maniacale”, Lodi si passò una mano tra i capelli, e fra
i due ci fu un istante di silenzio. “Si figuri detective che
pensa persino di essere una reincarnazione di una certa… “,
gesticolò cercando di ricordare. “…Non ricordo chi, ma certe
volte firma addirittura con un altro nome”.
Santino
lo
guardò
di
traverso
incuriosito.
“Quale
nome?”
Santino
uscì
Insistette.
“Non ricordo, non ricordo”.
“Ha una foto della signorina Piera Vanelli?”
“Si, certo. Nel mio appartamento”.
“Bene,
la
dia
al
Maresciallo
e…”
dall’appartamento “Pensi a quel nome. Se le viene in mente mi
chiami al commissariato. Maresciallo!”
“Comandi dottore”.
“Vada a prendere la foto. Io vado a casa dalla vedova del
professor Rodari”.
“Certamente dottore”.
“Detective, detective, detective!”
La zona dei quartieri residenziali era immersa nella quiete e
nella
fredda
staticità
di
un
livida
giornata
di
pioggia.
L’urbanistica degli anni cinquanta e sessanta, maggior periodo
di sviluppo di quell’area urbana, e la predominanza di grigi
in
tutte
le
loro
varianti,
creavano
ancor
più
un
effetto
stantio da vecchia cartolina postale; ricordo di un tempo in
cui il vecchio quartiere doveva godere dei fasti della nobiltà
che lo abitava.
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Il detective Renesto Santino percorse lentamente il viale su
cui
si
affacciavano,
ordinate,
vecchie
ville
dall’aria
deteriorata dall’usura di tempi moderni che scorrono troppo
veloci.
Finalmente
trovò
il
numero
civico
che
cercava.
Posteggiò l’auto e scese tirandosi il bavero del soprabito
sino sopra la testa.
Un cancello di ferro battuto interrompeva l’alto muro di cinta
in evidente stato di decadenza. Santino suonò insistentemente
il campanello.
“Maledizione!” Imprecò.
Suonò altre due volte con insistenza: niente. Decise che non
doveva esserci nessuno.
quando
alle
sue
spalle
Si girò per tornare sui suoi passi
risuonò
il
meccanico
rumore
di
una
serratura che scatta. Il detective, in mezzo al marciapiede,
fissò
il
fatiscente
cancello
che
lievemente
socchiuso
lo
invitava ad entrare nell’aria tetra di un giardino abbandonato
oramai a se stesso da chi sa quanto tempo.
Santino
attraversò
il
vialetto
immerso
dalla
vegetazione
incolta, con un certo disagio, e quando portò la mano alla
cintura per cercare la fondina della rivoltella si rammaricò
di averla lasciata, come accadeva spesso, nella cassetta di
sicurezza del suo ufficio.
Salì una rampa di scale di marmo e varcò una veranda prima di
arrivare
all’uscio
della
villa;
fissò
perplesso
la
porta
socchiusa. Improvvisamente si spalancò facendolo sobbalzare.
“Oh!
Mi
scusi,
l’
ho
spaventata”.
L’
anziana
signora
dai
capelli bianchi doveva avere l’età della casa, una sessantina,
calcolò Santino.
“Detective Renesto Santino”, si presentò all’anziana signora
che già era rientrata in casa.
“Immagino sia qui per la morte del professore Neri”, disse lei
dandogli le spalle.
Santino guardò intorno nell’appartamento immerso nella semi
oscurità, e gli parve che lì il tempo si fosse fermato. L’aria
mista da santuario-museo di tempi passati gli dettero un senso
misto di curiosità e disagio, si sentì come un archeologo che
16
dopo migliaia di anni profani il sacro equilibrio di una tomba
che abbia attraversato intatta il tempo senza che esso nulla
potesse su di essa.
“Io sono Sandra Rodari, la moglie del professore Elio Rodari”.
Il detective si scosse dalla sua meditazione. “E?…”
“Dicevo che…”
“Si certo, la signora Rodari”.
“E’ qui per sapere di Enrico?”
“Sì”.
“Ma lei è fradicio”.
“Sa, fuori piove e… “, disse Santino come se stesse parlando
ad
un
internato.
“…Ed
ho
avuto
qualche
problema
con
il
campanello…“
“Mi dia il soprabito”, lo interruppe Sandra, che sembrava
nemmeno ascoltarlo. “Venga accomodiamoci nel salotto”.
I due attraversarono un ampio atrio ed entrarono in una sala
dove la stessa polvere ricopriva i ricordi e i fasti di un
tempo, ormai lontano, in eguale misura.
L’ anziana con gesti lenti e meticolosi tolse un telo da un
sofà. “Si accomodi”.
Santino sedette su quel divano che da troppo tempo non doveva
più
accogliere
gli
interessanti
ospiti
che
dovevano
aver
frequentare quella casa.
La donna si versò da bere, con mani tremanti che facevano
tintinnare la bottiglia sul bordo del bicchiere.
“Vuole da bere, detective?”
“Beh, ecco… “
“Che
sciocca
sono”,
interruppe
lei
senza
degnare
Santino
d’ascolto. “Dimentico che voi non potete bere in servizio”.
“In che rapporti era con il professore Enrico Neri?” Tagliò
corto santino.
“Con Enrico?”
“Sì”.
“Sono più di venti anni che non ci frequentiamo”.
“Ma credo però che lo conosca bene”.
17
“Già”, ammise la donna, e sparì in una stanza attigua al
salone.
Santino
si
alzò
in
piedi
di
scatto.
“Signora!
Signora
Rodari?!”
La donna ricomparve recando in mano un grosso album. “Oh, per
favore mi chiami Sandra. La signora Rodari è scomparsa tanti
anni fa nelle sabbie di Quasr Quarun, in Egitto”.
Santino prese il grosso volume che la donna gli porse e lo
aprì.
All’interno
giornali,
di
esso
quotidiani,
vi
erano
settimanali,
raccolti
o
articoli
giornali
interi
di
che
recavano quasi tutti la data del 1980. Il detective si mise a
leggere alcuni di essi:
“La maledizione del Faraone colpisce la spedizione italiana a
El Fayyum.
L’esimio egittologo professor Elio Rodari ucciso dalla lama di
tremila anni
del Faraone.
Achenmernefer II uccide il profanatore della sua tomba.”
“Può continuare a leggere per giorni se vuole, detective.
Furono
versati
mari
d’inchiostro
e
fiumi
di
parole
sulla
maledizione del faraone”.
Santino chiuse l’album e guardò la donna.
“La stampa ci sguazzò per anni in quella faccenda. Tutti ci
costruirono
su
storie
e
leggende,
e
soprattutto
faraonici
tornaconto su quello che nessuno volle vedere come omicidio. E
uno in assoluto ne trasse beneficio”.
“Neri?”
“Mio marito e l’esimio professore erano compagni di studi.
L’esoterismo
e
l’egittologia
erano
il
loro
solo
pane.
Partirono insieme per quello che doveva essere la scoperta del
secolo. Partii anch’ io, benchè incinta, e quando mia figlia
compì
cinque
anni,
finalmente,
in
trovarono la tomba di Achenmernefer”.
quel
mare
di
sabbia
18
“E poi che accadde?”
“Quella sera era il compleanno di Pamela, mia figlia compiva
il suo quinto anno. Elio tardava per la piccola festicciola
che avevamo organizzato; così mandai la piccola a chiamare
papà”.
“…..”
“Pamela rimase per sempre scioccata. Trovò su padre riverso
sul sarcofago che stava esaminando, trafitto da una spada del
corredo funerario”.
Santino fece per dire qualcosa, ma poi si trattenne vedendo
che la donna pareva immersa in una sorta di trance indotto dai
ricordi evocati.
“Una spada di tremila anni che portava incisa sull’elsa una
maledizione rivolta ai nemici del Faraone. Subito gli egiziani
che
prendevano
parte
alla
spedizione
cominciarono
a
fantasticare sulla “maledizione della tomba”.
“Crede che sia stato Neri ad…”
“Ci furono delle indagini, ma tutti furono scagionati. Enrico
era poi uno dei pochi ad avere un alibi. Una ragazza del luogo
testimoniò di essere stata con lui nell’ ora dell’omicidio,
tutti sapevano della sua debolezza per il gentil sesso, oltre
che per la ricchezza, e nessuno dubitò”.
“Lei si però”.
“Enrico
è
sempre
stato
un
filibustiere,
e
del
resto
può
constatare lei stesso cosa gli è rimasto della fama e della
ricchezza. Conosceva mio marito da tanto, ma condividere con
lui quella scoperta lo avrebbe potuto privare di quei fasti e
di
quella
gloria
di
cui
avrebbe
saputo
e
si
voleva
circondare”.
Santino prese dal mobile una cornice d’argento in cui vi era
la foto di una giovane donna, con un taglio di capelli corti e
dal volto gentile. “E’ sua figlia?” Domandò.
“Sì”.
“Abita con lei?”
“No. Seppellita qui oramai sono rimasta solo io”.
“Dove è?”
19
“Lei ha preso dal padre. Vive a Londra dove dedica la sua vita
all’egittologia. La stessa smania di suo padre”.
Santino sollevò un sopracciglio. “Già, naturalmente”.
“Comunque
sulla
colpevolezza
del
professore
Enrico
Neri,
furono sempre solo mie supposizioni. Non ebbi mai le prove”.
“Sua figlia non torna mai?”
“Verrà a fine mese, ma non rimane mai troppo. Qui ci sono
troppe ombre dal passato”.
Da circa tre quarti d’ora se ne stava seduto in macchina a
fissare, oltre i vetri su cui la pioggia creava uno strato
fluido
che
deformava
caseggiato.
Nadir
le
cose
Mustàfà
come
una lente,
rientrò,
Santino
il
gli
dozzinale
corse
in
contro. “Mustàfà!”
L’egiziano si voltò sorpreso. “Ancora lei detective?”
“Devo farle alcune domande”.
“Lei giunge sempre negli orari meno appropriati”.
“Credo sia meglio salire in casa”, continuò Santino.
“Possiamo parlare qui”.
“Piove”, fece notare il detective. “Non mi costringa ad usare
questo”. Santino sfilò di tasca il mandato di perquisizione.
“Mi regga l’ombrello, mentre apro la porta”, si arrese Nadir.
I due arrivarono nell’appartamento dopo una silenziosa salita
in ascensore.
“Allora, detective, cosa vuole sapere ancora?”
“Cosa sa della “maledizione della tomba”?”
L’egiziano
sorrise.
“Si
riferisce
alla
vecchia
storia
del
ritrovamento della tomba di Achenmernefer II ?”
“Sì, proprio a quella”.
“Aspetti qui”. Mustàfà andò in un'altra stanza. Santino guardò
in giro, quando una foto in bianco e nero che ritraeva il
professore
Neri
con
Mustàfà
ed
una
ragazza
attirò
la
sua
attenzione.
Improvviso l’egiziano rientrò nella stanza brandendo una lunga
spada egizia. “Ecco la maledizione del faraone!”.
20
Santino lasciò cadere la foto facendo istintivamente alcuni
passi indietro e finendo con le spalle addosso ad un mobile.
“Morte ai nemici del faraone che disturbano il sonno eterno di
colui che è giusto davanti agli Dei”, la voce dell’egiziano
tuonò
enfatica
rimbombando
nella
stanza.
Calando
la
lama
aggiunse: “Ecco la sua maledizione, detective”, e la porse a
Santino, pallido e sorpreso.
“Conosco tutta la storia del ritrovamento, e di ciò che ne
conseguì,
sebbene
io
allora
non
lavoravo
ancora
per
il
professore Neri”.
“Ho visto il suo diario questa mattina. Perché scrisse quella
frase?”
Nadir prese il diario dalla tasca della giacca. “”Enrico per
il tesoro lo uccise”. E’ questa che dice?”
“Sì”.
“Venni a sapere che la ragazza egiziana che testimoniò per il
professore
era
stata
pagata
profumatamente
per
la
sua
testimonianza”.
Santino raccolse la foto caduta. “Conosce Pamela?”
“No! Chi è?”
Santino voltò la foto verso l’egiziano. “E’ La Vanelli?”
“Sì”.
“La Vanelli sapeva dei suoi sospetti su Neri?”
“Sì. La reputo una persona di estrema fiducia, così le feci
leggere il mio diario dove annoto formule, date, e dove ho
anche scritto informazioni sulla vita del
professore”.
“Lo ammirava?”
“Il
professore
era
uno
strano
miscuglio
di
fascino,
intelligenza e anche… “
“Scorrettezza?”
“Non
direi
piuttosto
scorrettezza
che…
che…
Che
nel
non
senso
di
disdegnava
malvagità,
percorrere
alternative”.
“Forse troppo alternative per chi gli stava intorno”.
“Che vuole dire?”
“Sapeva dei suoi sospetti?”
direi
strade
21
“Dei miei? Ma… che centra?”
“Conosce il signor Lodi Roberto?”
“No, dovrei?”
“E’ mai stato a casa della Vanelli?”
“Beh… ecco… sì”.
“Per quale motivo?”
“Detective, io non vedo…”
“Si limiti a rispondere. Per quale motivo è stato a casa della
Vanelli?”
“Era normale, posseggo anche una coppia delle chiavi. Capitava
spesso che le portassi a casa dei libri o altre cose inerenti
agli studi che lei e il professore stavano facendo”.
“Sa cosa stava studiando il professore Neri prima di morire?”
“Certo. Stava traducendo dal Copto un antico testo ritrovato…“
“Sì, sì, d’accordo. Ma di che parlava questo libro?”
“Maledizioni. Una raccolta di formule di maledizioni”.
“Già!” Santino estrasse il bracciale che aveva in tasca. “Che
mi dice di questo?”
Nadir
Mustàfà
prese
il
monile.
“E’
un
antico
bracciale
cerimoniale”.
“L’ ho
trovato nell’appartamento della Vanelli . Lei sa come
ci è arrivato?”
L’ egiziano guardò Santino. “Strano”.
“Strano?”
“Sì, voglio dire è strano che Piera lo lasci in giro. Aveva
una
vera
tanto
che
e
propria
alla
fine
mania
il
per
questo
professore
monile,
glielo
ed
donò.
insistette
Lo
portava
sempre, come… come… una sorta di amuleto”.
“Cosa rappresenta?”
“E’ un bracciale cerimoniale. I due serpenti rappresentano il
bene e il male”, Mustàfà lo appoggiò sul palmo mostrandolo al
detective. “Vede, i serpenti si avvinghiano l’uno all’altro
creando un circolo, una sorta di equilibrio tra le forze in
gioco in un cerchio simbolo di protezione”.
“Equilibrio, il bene e il male… gia”, disse Santino sottovoce
meditando.
22
“I sacerdoti egizi lo usavano per il rito della protezione”.
“Una maledizione?”
“No, gli antichi egizi non usavano quella che noi definiamo
“magia nera”. Con questa punta, vede, il sacerdote faceva un
piccolo
foro
sul
collo
dietro
alla
nuca
della
persona
da
proteggere. Faceva uscire una gocciolina di sangue sulla quale
metteva un miscuglio di erbe… una sorta di profumo, il cui
scopo
era
quello
di
attrarre
la
benevolenza
degli
Dei
che
tramite il sangue potevano entrare in contatto con l’anima
dell’ individuo”.
“Lei era la persona più vicina al professore”.
“Non capiso… che vuole dire?”
“Prima che arrivasse la Vanelli, intendo”.
“E con ciò?”
“No, no… niente sono mie meditazioni… arrivederci”, tagliò
corto Santino infilando l’uscio senza lasciare all’ egiziano
il tempo di controbattere.
Santino era rientrato in ufficio. Oramai tutte le idee e gli
indizi erano nella sua mente, si trattava solo di metterli in
fila
e
farli
funzionare
come
in
una
sorta
di
circuito
elettrico mentale.
Nella penombra continuava a fissare il bracciale e a pensare
alla storia della maledizione.
Bussarono
alla
porta
e
il
detective
fu
distolto
dai
pensieri. “Chi è?”
“Dottore, sono il Maresciallo!”
“Maledizione! Detective, non dottore!” urlò Santino.
Il Maresciallo aprì la porta ed entrò. “Mi scusi dott…”
“Che le avevo detto Maresciallo?”
“Ah, sì. Detective no dot… “
“No, no, no!”
“No?”
“Le avevo detto di non disturbarmi!”
suoi
23
“Certo dottore, ma le volevo dare la foto che ho preso a casa
di
Lodi,
e
dirle
che
il
professore
Neri
non
aveva
alcun
testamento”.
Santino
guardò
la
foto:
ritraeva
una
ragazza
dai
lunghi
capelli biondi e dagli occhi azzurri.
“No?!”
“No
dottore,
e
del
resto
avrebbe
lasciato
poco”,
il
Maresciallo posò sulla scrivania un foglio. “E’ scritto tutto
qui”.
“Va bene, ora vada… anzi no!”
“Dottò che faccio?!”
“Porti questo bracciale alla scientifica da Gaetano, gli dica
che è per me. E’ urgentissimo voglio le impronte digitali e
tutta
la
documentazione
sui
legittimi
proprietari
delle
medesime”.
“Vado dot…”
“No! Corra Maresciallo!”
“Corro, corro”.
Rimasto solo Santino alzò la cornetta del telefono per fare
una telefonata.
“Pronto?
Sonno
il
Detective
Renesto
Santino…
la
signora
Sandra?”
Immerso nella fredda penombra dello studio della biblioteca,
il detective Renesto Santino stava seduto allo scrittoio sul
quale
avevano
tempo,
spesse
lì
trovato
dentro,
sembrava
scaffalature
sorvegliata
congelati,
a
morto
vista
spuntavano
il
imbalsamato,
affollate
da
dai
soffitto. Pur tuttavia che
professore
da
gessati
quattro
Enrico
ed
una
putti,
angoli
Neri.
Il
intrappolato
da
antica
che,
di
cultura,
come
un
spettri
elaborato
quel luogo fosse avvolto e isolato
in quello stato di idilliaca staticità, protetto da spesse
pareti,
il
forte
temporale
che
imperversava
sulla
città
penetrava quel luogo stemprando rimbombanti echi di tuoni, che
rimbalzavano
nei
meandri
dei
labirintici
corridoi
di
monumento alla cultura, sottoforma di sommessi brontolii.
quel
24
Santino
si
guardava
intorno
in
quella
stanza,
rigirando
meccanicamente fra le mani il resoconto della scientifica, e
riordinando mentalmente tutti gli indizi come un puzzle che
andava prendendo forma.
“E’ lei il detective…”
“…Renesto Santino? Sì sono io”.
Santino guardò la bella ragazza apparsa sulla porta della
stanza. Alta, slanciata, capelli cortissimi rossi. Un aspetto
e un look sobrio, quasi esenziale, pratico, che non nascondeva
la femminilità e la giovane solarità di quella donna.
“Dottoressa Paola… Paola Rodari?”
“Bhe, non ancora Dottoressa”, precisò lei.
“Si accomodi e chiuda la porta, Paola. Posso chiamarla Paola?”
“Certo”.
“Sa perché l’ ho fatta venire?”
“Credo mi debba parlare del Professore Neri, non è così?”
“Sì, è così”.
“Io credo…”
“Penso di essermi fatto una idea di come sono andate le cose”,
la interruppe Santino.
“Non vedo cosa possa centrare io, sono tornata ora… “
“Da Londra, certo. Ma ho una teoria che lei mi aiuterà a
confermare”.
“Sono di fretta è due anni che…”
“Non ha importanza, mi ascolti”.
Santino si alzò in piedi, e si diresse verso una scaffalatura
come se stesse cercando un volume.
“La prima domanda, banale se vogliamo, che mi sono posto è
stata: Chi poteva volere la morte di Neri? Poi mi sono chiesto
naturalmente perché. Ed un perché evidente non c’era.
Non c’ era una eredità, o una rivalità o cose del genere.
Pensai allora alla gelosia. Poteva averlo ucciso Lodi? Geloso
della relazione di Neri con la sua fidanzata? Peccato però che
lui, intendo Lodi, non ne fosse al corrente. Lui disse così, e
io gli credei; sa perché?”.
“No”.
25
“Lodi avrebbe potuto montare tutta la messa in scena? No. Non
conosceva nemmeno Neri se non per sentito dire. E poi come
avrebbe potuto conoscere un veleno la cui ricetta non rimane
che su qualche vecchio papiro e… “
“E?…”
“…E su qualche diario”.
“Diario?!”
“E già. Ed ecco entrare in gioco il mio primo indiziato: Nadir
Mustàfà”, Santino fece una pausa teatrale, fissando
Paola che
a sua volta lo fissava.
“Era l’unico che poteva creare tutta la messa in scena. Lui
sapeva del bracciale, con cui è stato ucciso il professore.
Sul suo diario c’è la traduzione dal geroglifico per preparare
il veleno. Allora: uccide Neri, poi mette il bracciale in casa
della Vanelli, lui stesso ammette di avere le chiavi dell’
appartamento”.
“E il motivo quale sarebbe?”
“Giusto. Quale motivo? Forse l’egiziano ne avrebbe più di
uno”.
“Addirittura?”
“Forse la gelosia e la paura di essere messo in disparte dal
professore, che lui venera e segue da sempre, a favore della
giovane assistente?
O ancora meglio: E se Mustàfà a conoscenza del passato poco
chiaro di Neri lo ricattasse?
Già, ma in tutti e due i casi l’ egiziano avrebbe perso
tutto”.
“……”
“Ma forse non è stato lui, e forse chi
ha ucciso Neri lo ha
fatto per vendetta?”
“……”
“Forse
sua
madre,
Paola?
La
moglie
del
povero
professor
Rodari?”
“….”
“No, l’ ho esclusa subito. La povera Sandra vive chiusa nei
suoi ricordi, e poi come poteva procurarsi il bracciale se non
26
conosceva nemmeno la Vanelli? Per non parlare della solita
storia del Veleno”.
“E allora?”
“Allora
non
ci
rimane
che
la
Vanelli,
che
possedeva
il
bracciale, che aveva libero accesso alla casa del professore,
ma soprattutto era in confidenza con Nadir…. Gia, ma quale
motivo?”
“Non c’è movente”.
“No, come non c’è nessuna Piera Vanelli!”
“Che?”
“Ci
sono
solo
gli
strascichi
della
maledizione,
dopo
vent’anni; ombre del passato che tornano a fare giustizia,
anche se una giustizia un po’ privata”.
“Non credo di capire”, disse Paola confusa.
“Credo
che
lei
stia
mentendo,
e
che
capisca
benissimo”,
Santino buttò tre foto sullo scrittoio.
“Sa quando ho avuto il primo dubbio? Quando a casa di Mustàfà
ho trovato questa foto in bianco e nero. Mi venne in mente
questa che avevo visto a casa di sua madre, Paola”.
“A parte i capelli, i lineamenti sono identici. Poi ho avuto
questa terza foto a colori. Capelli lunghi, lenti a contatto
azzurre, non abbastanza per ingannare una foto in bianco e
nero. In seguito rammentai le parole di Lodi: “…a volte firma
con un altro nome…”.
“……”
“Quel
nome
è
Paola
Rodari,
come
sono
di
Paola
Rodari
le
impronte digitali su questo”, Santino gettò platealmente il
bracciale, dentro ad un sacchetto di plastica trasparente,
sullo scrittoio. “Il passato ritorna come una maledizione, ma
la maledizione vive tramite gli occhi di una bambina di cinque
anni che vede il padre e il suo piccolo mondo trafitto dalla
lama di un abominevole demonio: il professore Enrico Neri. E’
così che glielo dipinge sua madre. Ed allora lei, due anni fa,
all’insaputa di tutti torna da Londra ed assume l’identità di
Piera
Vanelli,
entra
nelle
grazie
del
professore
ed
in
simpatia di Nadir a tal punto che le fa leggere il diario
27
personale,
dove
lei
trova
le
conferme
a
dubbi
covati
vent’anni, e l’idea dell’omicidio coperto dalla maledizione”.
Paola Rodari pareva improvvisamente pietrificata, e Santino
lesse sul suo volto tutto l’orrore di una bimba di cinque anni
che
scopre
la
morte
in
tutto
il
suo
lato
peggiore,
la
violenza.
“Mi aveva quasi ingannato. Il veleno, introvabile a tal punto
che si poteva pensare non esistere. La fantomatica Vanelli.
Tutto faceva pensare a spiriti venuti a reclamare vendetta.
Peccato che abbia dimenticato, nella fretta di partire, il
bracciale.
Peccato
che
Nadir
abbia
l’
abitudine
di
usare
pellicole in bianco e nero…. Già, peccato”.
“Ora andrò in carcere?”
Santino prese il sacchetto con il bracciale e lo infilò in
tasca. Poi strappando il resoconto della scientifica disse:
“Ora la farò accompagnare all’aeroporto dove prenderà il primo
volo per Londra, dove si laureerà, e dove si farà mandare in
qualche oasi sperduta a scavare il passato”.
Paola guardò stupita il detective. “Ma… io… io…”
“Peccato
che
qualcuno
abbia
dimenticato
di
registrare
il
bracciale, e che questo esito sia solo un piacere di un amico…
e del resto il passato è passato. Se lo ricordi!”
“Non so, non so cosa dire io…”
“Addio, non c’è altro da dire”.
Santino
uscì
nel
corridoio,
il
temporale
si
era
placato.
Arrivò sulla scalinata di marmo d’accesso alla biblioteca.
“Maresciallo!” Gridò.
Il Maresciallo accorse. “Agli ordini dottore”.
“Appuntato, faccia accompagnare la signorina Paola Rodari a
prendere
le
sue
cose
a
casa,
e
poi
all’aeroporto,
assicurandosi che parta per Londra sul primo aereo”.
“Sì dottore, ma…”
“E poi appuntato faccia spiccare un mandato di cattura per
Piera Vanelli”.
“Come ordina dottore, ma… “
28
“Insomma appuntato! Ma che cosa?!”
“No.
Volevo
solo
dirle
che
io
sono
Maresciallo,
non
appuntato”.
“E io detective”.
“Sì Dottore!”
Un raggio di sole trafisse un piccolo lembo d’azzurro, mentre
la
coltre
di
nuvole
andava
pian
piano
dissolvendosi,
il
detective Renesto Santino si avviò lentamente alla sua auto
sorridendo. Guardò la piccola porzione di celo frugata dal
sole: dopotutto era una bella giornata, e si sarebbe concesso
un gelato.
FINE.
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