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Rivista n° 11 del 22 Aprile 1992
PRESENTAZIONE DI LORIS FRANCESCO CAPOVILLA
DEL LIBRO SU L’ACQUA NEL SANTUARIO MARIA SS. DELLO
SPLENDORE, DI DON GAETANO MEAOLO,
SU RICHIESTA E SCHEMA DI P. PAOLINO POTALIVO
Mons. Loris Capovilla
Mi arresto sull’ultima pagina di questo sostanzioso saggio,
pregustato in bozze, mi guardo dentro e rimedio
l’ammonimento di Seneca: «Non refert quam multos libros,
sed quam bonos habeas. Poco importa che tu abbia molti libri,
importa che siano ottimi quelli che possiedi» (Epistolae. 45,1).
Come questo.
Il mio debito verso i Padri Cappuccini, che mi hanno
onorato chiedendomene la presentazione, non si esaurisce in
poche battute suggeritemi dalla devozione alla Madonna dello
Splendore e dall’amicizia verso mons. Gaetano Meaolo, bensì
mi obbliga ad andare sino in fondo, sino ad abbeverarmi alla
sorgente, sitibondo come sono, anch’io, di luce e di verità, di
giustizia, di amore e di pace.
Accade sovente che la prefazione ad un libro diventi pretesto di riassumerne
sbrigativamente il contenuto, col pericolo che gli acquirenti si sentano autorizzati a sorvolarne
le pagine.
Perciò non stendo la prefazione a “L’acqua utile, umile, preziosa e casta”, edito dal
Santuario, per i tipi di Grafiche Ballerini, riccamente illustrato, “studio biblico, mariologico e
liturgico in onore della Vergine santissima dello Splendore, venerata nel suo omonimo
Santuario in Giulianova”.
Mi accontento di presentarlo, giacché non è libro di lettura. Fosse solo questo, basterebbe
scomporne il contenuto nei vari capitoli, accennare alle fonti bibliografiche che trovano nelle
antologie e nelle enciclopedie più ampio respiro. Non è nemmeno un mazzo di fiori, da cui
estrarre l’uno o l’altro da offrire alla delizia e al giudizio di intenditori.
E’ un libro di meditazione, originato dalla storia giuliese, che ha il suo fuoco nella
benevolenza della Vergine e nella fede schietta e semplice di un oscuro uomo del contado
abruzzese. Di lui nemmeno il casato conosciamo. Ed egli ritorna a noi, dalla distanza di oltre
quattro secoli, chiamato familiarmente Bertolino, come si direbbe dell’umile sagrestano o
campanaro del villaggio.
Sullo sfondo dell’Apparizione, comprovata da segni inoppugnabili, cantata dalla tradizione
popolare, mantenuta fresca come acqua sorgiva, monsignor Meaolo, paziente tessitore di
storie bibliche, di eventi timbrati dal sole, dalle acque, dal fuoco, ci prende per mano e ci
~i~
introduce nel vetusto Santuario. Né si accontenta di narrarci la leggenda e di citarne le fonti; ci
prepara ad accostarci al Simulacro, a piedi nudi, per ottenere la grazia di essere inondati
dall’acqua che salva e posseduti dalla speranza che non delude.
Prima di moderni restauri e rifacimenti, sul frontone del Santuario stava scolpito il monito
sapienziale: “Executite pulverem de pedibus vestris et sic mundi ingredimini Templum hoc et in
splendore suo Deiparam adorate Mariam. Scuotete la polvere dai vostri calzari per entrare
degnamente nella Casa di Dio ad onorarvi Maria nel suo splendore”.
Noi siamo stati affidati a Lei; Lei è stata affidata a noi. L’affidamento è un onore ed un
impegno. Non lo si prende alla leggera.
Attorno a Gesù e a Maria, noi formiamo la dolce famiglia armoniosamente compaginata in
tutti i suoi membri: famiglia che prega, si accosta ai sacramenti, custodisce la tradizione di
pietà e di bontà trasmessaci dagli avi.
Scuotiamo pertanto la polvere dei nostri calzari: polvere è il peccato, l’indifferenza
religiosa, la profanazione del giorno festivo e del nome del signore, l’egoismo che impedisce
l’apertura ai nostri simili.
Libretto di preghiere per la Madonna dello Splendore (L’Aquila 8 Settembre 1937)
(Collezione Giulio Di Michele)
Occorre che qualcuno ci aiuti ad uscire dalle strettoie del compromesso e della tiepidezza.
Giovanni XXIII amava ripetere il verso di un antico poeta persiano: “Apri il cuore umano e
vi troverai il sole”. L’acqua si ottiene perforando la terra; l’oro e i diamanti, frantumando la
roccia; la perla preziosa, sventrando l’ostrica faticosamente pescata.
Affidiamoci a Maria. Lei conosce l’arte di aprire i nostri cuori e sprigionarne il sole. La Madre
celeste viene a dirci che abbiamo bisogno del suo Gesù, più che non dell’acqua, dell’oro e dei
diamanti, più che non della perla rifulgente.
Entrati nel Tempio santo, adorato il Signore, ci volgiamo alla Madre dello Splendore, con
confidenza filiale, con speranza inespugnabile.
~ ii ~
Quanto è bello questo titolo, che si colloca accanto ai molti altri che la pietà popolare ha
coniato in onore della Madre di Dio: Madonna dell’aurora, della luce, della luna, del sole, delle
stelle, dei fiori, dell’acqua, del fuoco! Il titolo dello Splendore fa riflettere ed esige corretta
interpretazione.
Gli splendori di Maria sono l’immacolato suo concepimento, la divina maternità, i suoi dolori
in unione con la passione redentrice del Figlio suo, l’assunzione in cielo, in anima e corpo.
Lei è la più bella e la più alta di tutte le creature; tuttavia è ossa delle nostre ossa, sangue
del nostro sangue.
La sentiamo tanto vicina, la sentiamo nostra, siamo sorretti dalla sua fortezza materna,
dalla sua tenerezza femminile. Lei ci ricorda che il Figlio di Dio ha voluto sulla terra una sua
famiglia, una casa, una madre, un maestro di lavoro, san Giuseppe, Maria di Nazareth ricorda
tutto questo.
E ci invita a fare spazio anche alle invenzioni della ingenua devozione che si esprime con
gesti e canti, senza mai dimenticare che la nostra vita è ascensione a Dio, tramite l’esercizio
delle virtù cristiane e le sofferenze.
Da soli non ce la facciamo a raggiungere la meta.
Soltanto se gli splendori della Madonna ci toccano, riusciamo a raggiungere la vetta e ad
onorare il proposito di mantenerci fedeli al messaggio che sta racchiuso nel Tempio della
Madonna dello Splendore: fedeli alle nostre radici battesimali per procedere tenendo sollevate
davanti a noi le lampade delle virtù teologali e del messaggio d’amore consegnatoci da Gesù
nel Cenacolo.
Maria ci guarda, ci protegge, ci ama. Con Lei faremo un bel tratto di strada nel tempo,
sicuri di approdare un giorno con lei al tempio dello splendore etern.
I capitoli del volume si succedono in armoniosa litania.
Essi inducono a gustare le dolcezze della comunione con Dio e della materna intercessione
della Madre sua e nostra: l’acqua nel Pentateuco, nei Libri storici dell’antico testamento, nei
salmi, nei profeti, nel Cantico dei cantici.
Man mano che scorrono le pagine, ci invade struggente ed ineffabile nostalgia di perdono e
di grazia:
«Amore, che mi formasti
a immagine dell’Iddio che non ha volto,
Amore che sì teneramente
mi ricomponesti dopo la rovina,
Amore, ecco, io mi arrendo;
sarò il tuo splendore eterno,
Amore, che mi hai eletto fin dal giorno
che le tue mani plasmarono il corpo mio,
Amore, celato nell’umana carne,
ora simile a me interamente sei,
Amore, ecco, mi arrendo:
sarò il tuo possesso eterno.
Amore, che al tuo giogo
anima e sensi, tutto m’hai piegato,
Amore, tu m’involi nel gorgo tuo,
il cuore mio non resiste più,
ecco, mi arrendo, Amore:
mia vita ormai eterna»
(Davide M. Turoldo, I Salmi, Ed Paoline 1987, 514).
La litania di mons. Meaolo continua, in un crescendo di ardore e di letizia che trascina: Il
battesimo di Gesù nell’acqua e nel sangue. Gesù e l’acqua di Cana tramutata in vino. Gesù e
l’acqua alla festa dei Tabernacoli. Le domeniche battesimali di quaresima, Maria di Nazareth e
l’acqua. L’acqua e i santuari mariani. Suggella il volume l’accorata supplica dell’anima
consapevole della propria condizione, dell’anima che si rivolge a Dio, ma passando attraverso
la mediazione della Madonna:
«Senza te siamo sommersi
~ iii ~
in un gorgo profondo
di peccati e di tenebre.
Il tuo braccio potente
ci conduca a un approdo
di salvezza e di pace».
(Uff lett. martedì III sett.)
L’esimio Autore ci introduce nell’aula sacra. E noi vi ci troviamo così bene che vorremmo
abitarvi per sempre, come è vero che il volume non ci cadrà di mano: “Una lettura che sia
piaciuta, anche rinnovata dieci volte piacerà sempre. Lectio quae placuit, decles repetita
placebit” (Orazio, Ars poetica, 365). Vogliamo abitare nella casa del Signore e della Madre sua
per apprendere l’arte di “vedere, giudicare, agire” da cristiani, posti in grado di discernere i
“segni dei tempi”: “La nostra epoca è percorsa e penetrata da errori radicali, è straziata e
sconvolta da disordini profondi, però è pure un’epoca nella quale si aprono allo slancio della
Chiesa possibilità immense di bene” (Giovanni XXIII, Mater et magistra, 224). sino ad abituarci
ad indicare a tutti “la via aperta della divina misericordia alla vita riconciliata (Giovanni Paolo
II).
L’acqua ci ripulisce, ci disseta, ci nutre così che col poeta - uno dei tanti che hanno bevuto
alla fonte della devozione mariana - possiamo cantare e con lui parlare alla Madonna dello
Splendore:
«…e le donne concepiscano ancora
e ti offrano i loro figli
come tu offristi il tuo frutto a noi».
Secondo la storia santa sono quattro i giorni del mondo: quello della creazione quando lo
Spirito aleggiava sulle acque, i giorni dell’incarnazione e della pentecoste, poi l’ultimo quello
della parusia, del ritorno glorioso di Gesù. Quattro giorni che sono come i quattro punti
cardinali e i paralleli del creato e della vita. Mentre tu, o Maria, sei annunciata come il grande
segno apparso nel cielo, finalmente immagine dell’umanità liberata e credente.
Tu, presente in tutti quattro i tempi, strumento amoroso all’essere e all’operare di tuo
Figlio, il solo Signore della storia. Dopo, i testi santi di Te non dicono più nulla. E fanno bene.
Ti sappiamo, per fede, assunta in cielo in anima e corpo. E da lassù, a noi vieni e vai, in
misteriose vicende di cui è bene non dire. E già dono quando si riesce a cantare.
Sei la palma di Cades
orto sigillato per la santa dimora.
Sei la terra che trasvola
carica di luce
nella nostra notte.
Vergine, cattedrale del silenzio,
anello d’oro
del tempo e dell’eterno
tu porti la nostra carne in paradiso
e Dio nella carne.
Vieni e vai per gli spazi
a noi invalicabili.
Sei lo splendore dei campi,
roveto e chiesa bianca
sulla montagna.
Non manchi più vino alle nostre mense,
o vigna dentro nubi di profumi.
Vengano a te le fanciulle
ad attingere la bevanda sacra,
e le donne concepiscano ancora
e ti offrano i loro figli
come tu offristi il tuo frutto a noi.
~ iv ~
Amorosa attendi che si avveri
la nostra favolosa vicenda,
creazione finalmente libera.
Il Dio morente sulla collina chiese
una seconda volta il tuo possesso,
quando partecipava perfino alle tombe
la nostra ultima nascita.
Noi ti abbiamo ucciso il Figlio,
ma ora sei nostra madre:
viviamo insieme la risurrezione.
(Davide M. Turoldo, Ave Maria, Gei, Milano 1948).
Sotto il Monte Giovanni XXIII, 11 febbraio 1992, Immacolata di Lourdes.
† Loris Francesco Capovilla
Arcivescovo Tit. di Mesembria
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