UNO SGUARDO SAPIENTE
SULLE POVERTÀ UMBRE
Dossier 2005
Regione Ecclesiastica Umbra
Delegazione Regionale Caritas
2
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INDICE
SAC. VITTORIO NOZZA, Introduzione ........................................................................................... pag. 3
MONS. RICCARDO FONTANA, Presentazione ......................................................................... »
7
PAOLO MONTESPERELLI, Indagine quantitativa
La povertà in Umbria: un profilo sociologico
sugli utenti della Caritas ........................................................................................................................... » 13
PAOLO MONTESPERELLI, Relazione sulle interviste biografiche .... » 41
STELLA CERASA, Indagine qualitativa
L’immigrazione in Umbria .................................................................................................................... » 73
MARCELLO RINALDI, L’innovazione di Welfare in Umbria ................ » 81
DON LUCIO GATTI, La realtà delle Caritas parrocchiali
nelle nostre diocesi ................................................................................................................................................. » 93
APPENDICE
Interviste a persone che si rivolgono ai Centri Caritas .......... » 105
Dossier 2005
3
4
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
L
a pubblicazione di questo dossier regionale avviene nell’ambito
del Progetto Rete Nazionale, promosso dalla Caritas Italiana
nel 2003 e sviluppato nel corso di questi anni.
Questo progetto, promuovendo le attenzioni, le funzioni e i “luoghi” essenziali di ogni Caritas diocesana, vuole garantirne l’identità di organismo pastorale in tutti i contesti, a partire da quelli più
fragili. Tale azione è quanto compete come compito primario a
Caritas Italiana, evidenziato anche dall’itinerario compiuto negli
anni 2001-2004 che, rispondendo alla domanda Quale Caritas per
i prossimi anni? ha sottolineato:
- la necessità di assumere un metodo di lavoro basato sull’ascolto, l’osservazione e il discernimento;
- l’esigenza di scegliere, tra tutte quelle possibili, azioni capaci
di collegare emergenza e quotidianità;
- la scelta di costruire e proporre esperienze/percorsi educativi
in grado di incidere concretamente nella vita delle persone e delle
comunità.
Metodo, azioni e percorsi educativi, in estrema sintesi, costituiscono la “spina dorsale” dell’essere Caritas, le coordinate essenziali su cui, alla luce di un’esperienza ormai collaudata, costruire
le diverse progettualità.
In tale prospettiva assume fondamentale importanza curare i
“luoghi” senza i quali è impensabile essere ed esprimere, come organismo, la propria identità e i propri compiti pastorali:
- il Centro di Ascolto;
- l’Osservatorio delle Povertà e delle Risorse;
Dossier 2005
5
6
- il Laboratorio diocesano per la promozione delle Caritas parrocchiali.
La promozione di questi tre luoghi pastorali in ogni Caritas
diocesana è la finalità principale del Progetto Rete.
La raccolta dei dati relativi alle persone che si rivolgono ai Centri di Ascolto, con la cura quantitativa e qualitativa dei dati e delle
connessioni con il territorio, va considerata come un’azione necessaria soprattutto per abilitare le Caritas diocesane ad un lavoro più
sistematico e costante in tali realtà.
Inoltre, la promozione di un lavoro comune fra i tre luoghi pastorali propri, non fa del Progetto Rete solo un progetto importante, ma
del “modo di fare Caritas”, che impegna Caritas Italiana a sostenere lo sviluppo delle Caritas diocesane a partire da un progetto che
promuove la crescita armonica di tutte le loro funzioni essenziali e la
loro sintonia di fondo.
Ascoltare le persone in difficoltà, osservare la realtà nel suo complesso e discernere ciò che è necessario fare investe la responsabilità di tutta la comunità ecclesiale e la sollecita ad un coinvolgimento
puntuale e costante verso le situazioni di povertà vicine e lontane,
sia in termini di attenzione personale, ma anche di sensibilizzazione
e animazione verso la realtà sociale.
La necessità di tale metodo e impegno ci viene ricordata anche da
papa Benedetto XVI nella sua recente enciclica: “La società giusta
non può essere opera della Chiesa, ma deve essere realizzata dalla
politica. Tuttavia l’adoperarsi per la giustizia lavorando per l’apertura dell’intelligenza e della volontà alle esigenze del bene la interessa profondamente” (Deus Caritas est, n. 28)
La realizzazione e la pubblicazione di questo dossier regionale si
colloca pienamente in questa direzione, anche come stimolo alle
Caritas diocesane per valorizzare e sviluppare questo lavoro nei propri contesti territoriali.
sac. Vittorio Nozza
Direttore Caritas Italiana
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
L
a collaborazione della Chiesa con le istituzioni del territorio
ha avviato, nel decennio trascorso, apprezzabili studi sui dati
relativi alla povertà della nostra gente. Molti lavori sono stati fatti
in questi anni; di molte sofferenze si è data ragione, quanto meno
riconoscendole e fornendo, sia agli studiosi che ai politici, i dati
necessari programmare i rimedi opportuni.
Anche il presente Rapporto intende fornire un ulteriore contributo ad una collaborazione che è divenuta ormai tradizionale.
Nel presentare il frutto di una ricerca puntuale sul territorio,
fatta dalla Caritas, è invece doveroso chiedersi fino a che punto sia
accettabile che di anno in anno si faccia una registrazione anodina
delle difficoltà del prossimo. Per noi cristiani la povertà è una virtù, la miseria non lo è mai: l’una è la scelta di vivere con il solo
essenziale; l’altra è la mancanza del necessario per una sopravvivenza umana, cioè rispettosa della dignità della persona.
Non tocca ai Vescovi fare l’analisi delle cause che hanno determinato le storie di dolore che sono state censite. Non ne abbiamo
né la competenza, né il ruolo. Tocca invece al Vescovo – così già
recitava il diritto comune – dare voce a chi voce non ha: ai poveri
della terra che sono dietro i numeri del Rapporto che si dà alle
stampe, registrando le tribolazioni della gente dell’Umbria nel decorso anno 2005.
Siamo in tempo di trasformazioni. Così ci dicono gli studiosi;
così è facile registrare da chi con doverosa attenzione guarda la
cronaca quotidiana di questa Regione, che è bellissima e piena di
Dossier 2005
7
8
risorse, ma anche rischia marginalizzazione e, tra i tanti mali, vi
sono anche quelli che riguardano l’economia.
In un passato remoto la miseria aveva afflitto per generazioni il
nostro popolo. Gli studi sull’economia agricola dell’Umbria, in
particolare, dall’unità d’Italia alla Seconda Guerra Mondiale, danno
ampia ragione degli indici di povertà e delle relative cause. Qualcuno, improvvidamente, seguita ancora a ricordare gli Stati Pontifici e le loro gestioni come causa di povertà e di anticlericalismo.
Nella misura che l’asserto non è inutilmente generico e che la superficialità dei luoghi comuni non nasconde responsabilità dei
centocinquanta anni che ci separano dall’unità d’Italia, non vi è
difficoltà ad accettare, tra le concause, anche le responsabilità dell’amministrazione ecclesiastica. Non vorremmo tuttavia che dietro
ad un ombrello onnicomprensivo seguitassero a nascondersi precise responsabilità e carenze gravi di altre istituzioni, soprattutto perché rimuovendo le cause si aprano soluzioni per un futuro meno
oneroso per le persone in maggiori difficoltà del nostro territorio.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale in Umbria c’era ancora la
fame. Non certo in tutte le parti della Regione e neppure diffusa in
ogni fascia della popolazione. C’era anche più ignoranza di quello
che si ama far apparire. Anche quest’ultima non era prerogativa di
tutti ma, purtroppo, di una larga maggiornza della popolazione.
Vennero poi gli anni dell’industrializzazione diffusa. La fabbrica
arrivò in ritardo, con tutte le conseguenze che il fenomeno, ben studiato, ha comportato per la nostra gente. Un’Umbria moderna e
ben correlata con il mondo della cultura è l’immagine accreditata
di Perugia, con le sue due Università. Terni vivacissima di industrie
e ricca di tecnologie di avanguardia è lo stereotipo che è stato vero
almeno per qualche tempo. Quelle trasformazioni che resero, se
non possibile, almeno opinabile l’immagine della Regione che veniva accreditata, hanno imboccato strade senza ritorno. Noi vorremmo proprio che la civiltà dell’opulenza fosse a portata di mano
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
della nostra gente. Ma non è così. Tanto almeno documentano i
Rapporti annuali della Caritas e le povertà di nuovo insorgenti.
Il presente Rapporto attesta due filoni che paiano degni di essere raccomandati alla considerazione comune, perché vengano trovate le soluzini opportune con lo sforzo e la collaborazione di tutti.
Noi cattolici amiamo parlare di bene comune, che è una categoria
ben nota in dottrina, anche se altri i medesimi concetti preferiscono
esprimerli in altro modo o, aggregando diversamente i dati, prospettano modelli non coesi con quelli che a noi sono più familiari.
Piace poco prendere atto che alcuni italiani in Umbria non riescano, con i loro redditi, a coprire neppure le utenze dei servizi
ritenute necessari nel nostro tempo: acqua, luce, gas, riscaldamento, telefono ecc… Ovviamente ai Centri di ascolto della Caritas si
presenta chi è nella grande necessità. Le buone ragioni di chi è
avvezzo a studiare le povertà fa ritenere che, accanto al dato emerso, vi sia per lo meno una certa percentuale di sofferenze sommerse. Il lavoro e la casa fino a pochi anni fa erano aspirazione degli
immigrati giunti in Umbria da Paesi lontani. Credo che sia doveroso prendere atto che il fenomeno della disoccupazione è strisciante
un po’ dovunque in Regione e che la non occupazione coinvolge
molti dei nostri giovani. In alcune aree del territorio vi sono molte
seconde case (e anche terze); ci sono però giovani famiglie che stentano ad avere la prima. Il pubblico ha sempre maggiori difficoltà a
coprire l’area del mondo dei servizi. La Regione in passato ha goduto di particolari eccellenze, che qualche volta, in qualche luogo,
rasentavano addirittura l’utopia. Per buona sorte i rapporti, quasi
dovunque ottimi, tra le Istituzioni pubbliche e la Chiesa ci fanno
percepire che la collaborazione oggi non è solo doverosa, ma necessaria e talvota imprescindibile.
Gli stranieri (vorrei che la brutta parola extracomunitari fosse
lasciata soltanto al mondo della burocrazia) sono una risorsa e non
un problema, in una Regione dove il numero degli abitanti è tal-
Dossier 2005
9
10
mente esiguo da non coprire neppure le necessità. L’Umbria non è
l’unica parte d’Italia dove una politica demografica poco sensata,
anziché favorire il benessere, ha posto le basi di nuove e pericolose
fragilità. Vasti territori della Ragione sono abbandonati o stanno
per esserlo. Molti mestieri, che potrebbero essere un’eccellenza se
riletti modernamente, senza che schiavizzino le persone come nel
lontano passato, vanno a perdersi.
Ricordo ancora, accanto alle tematiche tipicamente benedettine
– Norcia nella mia diocesi dette i natali a S. Benedetto -, come al
comparire della globalizzazione si sprecavano visioni entusiaste
quanto irrealiste.
Un Rapporto è un sistema di dati; è ad un tempo il punto d’arrivo di uno studio e la partenza per ulteriori altre elaborazioni scientifiche. Le Caritas delle otto Chiese sorelle dell’Umbria offrono i
propri dati a tutti coloro che vorranno studiarli. Siamo infatti convinti che dallo studio parta la programmazione e da essa, con il
sussidio della previdenza e l’ausilio della collaborazione tra tutti,
si può costruire il nuovo.
Papa Benedetto XVI nella sua prima Enciclica, documento
programmatico per tutti i cattolici, ripropone il binomio dell’impegno per la giustizia e del servizio della carità. Il Papa insegna che
“il giusto ordine della società e dello Stato è compito centrale della
politica…alla struttura fondamentale del cristianesimo appartiene…la distinzione tra Stato e Chiesa o, come dice il Concilio Vaticano II, l’autonomia delle realtà temporali” 1. Tutti noi uomini di
Chiesa, principalmente i fedeli laici, abbiamo il dovere di collaborare perché le Istituzioni pubbliche operino per un giusto ordine
nella società, che sarà laica se lascerà spazio a tutti, se garantirà
che nessuno se ne appropri. Prosegue il Papa soggiungendo che
“le organizzazioni caritative della Chiesa costituiscono invece un
1
Lettera Enciclica Dues Caritas Est, numero 28
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
suo opus proprium, un compito a lei congeniale nel quale essa non
collabora collateralmente, ma agisce come un soggetto direttamente responsabile, facendo quello che corrisponde alla sua natura” 2.
Nel presentare alla stampa il Rapporto sui dati che riguardano
le povertà in Umbria nel decorso anno 2005 volgiamo ridire la nostra volontà di collaborare con tutti, massimamente con le Istituzioni pubbliche, perché siano alleviate le sofferrenze del prossimo.
Vogliamo anche riaffermare il titolo proprio intrinseco, per cui risponderemo con le nostre motivazioni interiori a quelle necessità
alle quali lo Stato non riesce a provvedere, quanto meno assicurando a tutti “l’attenzione del cuore”. Ci è cara l’occassione per riaffermare che l’amore è un’utopia irraggiungibile solo per chi non
prova a metterlo dentro la storia.
2
Ibide, numero 29
+ Riccardo Fontana
Arcivescovo di Spoleto
Delegato Ceu per il Servizio della Carità
11
Dossier 2005
12
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
PAOLO MONTESPERELLI
INDAGINE QUANTITATIVA
LE POVERTÀ IN UMBRIA: UN PROFILO
SOCIOLOGICO SUGLI UTENTI DELLA CARITAS
Premessa
Le pagine che seguono adottano una prospettiva che non è né
“prescrittiva” né “confermativa”: ossia, non è mio compito prescrivere scelte, individuare strade, suggerire opzioni; non ho neppure
una ipotesi da confermare (o dis-confermare). Molto più semplicemente, cerco di adottare un’ottica “esplorativa”, cioè di addentrarmi fra molti dati per cercarne il senso, il riflesso della realtà empirica.
Debbo aggiungere che, dal mio punto di vista, si tratta di dati
interessanti per varie ragioni: a quanto mi consta, all’esterno dei
circuiti Caritas né in Italia né in Umbria esistono informazioni analoghe sulla povertà e in particolare – come vedremo fra poco – sulle
forme più gravi di povertà 1. In secondo luogo i dati qui presentati
possono essere usati, sul piano sociologico, come analisi della realIn Umbria si sono svolte alcune ricerche su questo argomento, promosse dall’Osservatorio Regionale sulle povertà in collaborazione con la Caritas. Ma l’ultimo Rapporto (2004),
a differenza dei due precedenti, non ha potuto affrontare l’analisi delle “povertà estreme”.
In compenso ha analizzato la “mobilità sociale” e quindi anche la povertà in chiave dinamica e diacronica.
1
Dossier 2005
13
PAOLO MONTESPERELLI
tà esterna alla Caritas; ma offrono anche alcuni spunti, mi pare utili,
in chiave organizzativa.
1. Dati socio-anagrafici
I dati qui illustrati riguardano 1.020 persone che si sono rivolti
– quasi tutti fra marzo e maggio 2005 – alle Caritas dell’Umbria. Il
graf. 1 rappresenta come si ripartiscono queste persone a seconda
delle Diocesi di appartenenza dei Centri di Ascolto coinvolti nell’inchiesta. Per ulteriori informazioni sulla dislocazione di tali Centri, rinviamo all’Appendice.
Graf. 1 - UTENTI PER DIOCESI
(n = 1020)
Ass-Noc-Gu
13%
CdC
7%
To-Orv
28%
Fol
4%
Gubb
6%
Tr-Nar-Am
19%
14
Spo-Nor
2%
Pg-CdP
21%
Il successivo grafico riporta le varie classi d’età del campione e
mostra come sia di 29 anni l’età prevalente. Quella più giovane è
di 17 anni.
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
UN PROFILO SOCIOLOGICO SUGLI UTENTI DELLE CARITAS
Nel complesso, l’età media è di 42 anni, ma varia molto all’interno del campione 2, con un leggero squilibrio verso le classi d’età più
avanzate 3.
graf. 2 - ETA'
(n = 1020)
4
3,5
3
%
2,5
2
1,5
1
0,5
92
83
79
74
69
65
61
57
53
49
45
41
37
33
29
25
21
17
0
Mediamente, sono più giovani i maschi rispetto alle femmine
(rispettivamente, 41 e 43 anni) e gli stranieri rispetto agli italiani
(39 e 48 anni).
La maggioranza (40%) di tutto il campione è composta da coniugati, seguono (22%) i celibi/nubili 4.
Scarto-tipo o “deviazione-standard” = 13,7. Lo scarto-tipo è un valore che sintetizza la
dispersione intorno alla media.
3
Lo squilibrio, o “asimmetria”, si ha quando pochi casi presentano valori estremi (ad
esempio, vi è un caso di 102 anni. Nella distribuzione per età il valore assunto
dall’asimmetria è 0,93 e sta a confermare che in tutto il campione vi sono poche persone
con un’età particolarmente avanzata.
4
Questo ed altri grafici riportano, sotto il titolo, il numero delle persone su cui abbiamo
raccolto i dati. Ad esempio, nel graf. 3, “n = 861” vuol dire che abbiamo i dati su 861
persone.
2
Dossier 2005
15
PAOLO MONTESPERELLI
Fra i maschi vi è una maggiore presenza di celibi; fra le femmine
di vedove.
Il campione manifesta una prevalenza di donne significativa, ma
non particolarmente accentuata.
graf. 4 - SESSO
(n = 998)
16
maschio
46%
femmina
54%
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
UN PROFILO SOCIOLOGICO SUGLI UTENTI DELLE CARITAS
Più squilibrata è, invece, la distribuzione dei titoli di studio conseguiti (vedi graf. 5). Preliminarmente va precisato che il 45% di
tutto il campione non ha dichiarato il proprio livello d’istruzione.
Fra i restanti, la tendenza generale è verso i titoli più bassi: il 62%
non è andato oltre la scuola media inferiore. All’interno di questa
quota, l’11% è composto da coloro che sono analfabeti o non possiedono alcun titolo.
graf. 5 - ISTRUZIONE
(n = 562)
30
25
%
20
15
10
t ro
al
ea
la
ur
ta
si
er
iv
un
pl
om
a
ia
di
ed
m
za
en
ri o
pe
su
es
pr
a
li c
pl
om
r io
e
al
si
on
er
of
ia
ed
di
li c
en
za
en
m
za
in
f
en
t it
el
em
un
ss
li c
io
re
ta
o
ol
ta
be
ne
al
fa
an
re
0
re
5
L’età media è in relazione inversa rispetto al livello di istruzione:
infatti essa è alta (54 e 52 anni) negli analfabeti e in coloro che non
hanno alcun titolo di studio)5 , mentre decresce progressivamente in
corrispondenza dei livelli più alti d’istruzione, per giungere a 41
anni nei laureati.
Fra i meno scolarizzati i valori dello scarto-tipo sono però elevati (analfabeti 17,7;
privi di qualunque titolo 15,6): ciò sta ad indicare la presenza, in questo sotto-campione, di
persone con età molto distanti dalla media.
5
Dossier 2005
17
PAOLO MONTESPERELLI
Nelle donne vi è una maggiore presenza di un livello d’istruzione più alto rispetto a quanto si può riscontrare negli uomini.
Oltre 43% del campione si dichiara disoccupato 6; seguono gli
occupati (31%), le casalinghe (7%), i pensionati (5%), etc. Fra i
disoccupati prevalgono le donne (45% rispetto al 39% degli uomini).
Due terzi del nostro campione sono costituiti da stranieri privi di
cittadinanza italiana. In base alle informazioni disponibili 7, le componenti più numerose provengono dal Marocco, dalla Romania, dalla
Ucraina e dalla Moldavia, ma – nel complesso – le origini sono
molto variegate e riguardano l’Europa (soprattutto quella orientale), l’Africa e l’America Latina.
graf. 6 - CITTADINANZA
(n = 996)
doppia
cittadinanza
0%
italiana
34%
non italiana
66%
18
Fra tutti gli stranieri rilevati, il 27% è privo di permesso di soggiorno (vedi graf. 7). Chi è in attesa del rilascio ha un’età più avanzata rispetto alla media (44 anni rispetto alla media di 39). Inoltre
sono in proporzione maggiore le donne ad essere prive di permesso.
Hanno risposto a questa domanda 717 persone.
Allo stato attuale, le informazioni sulla nazione di origine presentano il 66% di informazioni non decodificabili.
6
7
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
UN PROFILO SOCIOLOGICO SUGLI UTENTI DELLE CARITAS
graf. 7 - POSSESSO PERMESSO SOGGIORNO
(n = 527)
no
27%
in attesa altro
2%
1%
sì
70%
Quasi il 13% di tutto il campione si dichiara senza fissa dimora
(vedi graf. 8); entro tale gruppo prevalgono i maschi e coloro che
sono più giovani.
graf. 8 - DIMORA ABITUALE
(n = 484)
senza fissa
dimora
13%
altro
2%
ha un domicilio
85%
Quasi un terzo vive da solo, ma nei maschi tale percentuale giunge ad oltre il 38%; anche nelle persone con età media più alta si
riscontra una tendenza maggiore a vivere da soli.
Dossier 2005
19
PAOLO MONTESPERELLI
Sul versante opposto, più della metà di tutto il campione dichiara
di abitare stabilmente insieme a familiari, parenti o amici (graf. 9).
graf. 9 - CON CHI VIVE
(n = 749)
istituto, comunità
1%
altro
1%
nucleo con
conoscenti/esterni
12%
solo
30%
nucleo con
familiari/parenti
56%
Oltre l’intervistato, mediamente sono quasi 3 le persone coabitanti nello stesso nucleo; ma dietro questa media, la numerosità dei
nuclei varia alquanto8 , tant’è che si arriva a convivenze molto più
estese (8-11 persone)9 .
graf. 10 - NUMERO CONVIVENTI
(n = 349)
30
25
%
20
15
10
5
20
0
0
8
9
1
Scarto tipo = 1,6.
Asimmetria = 0,58.
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
2
3
4
5
6
7
8
11
UN PROFILO SOCIOLOGICO SUGLI UTENTI DELLE CARITAS
Per oltre il 50%, nel proprio nucleo convivono stabilmente uno o
due figli minorenni. Fra tutti gli stranieri, oltre il 60% ha dovuto
lasciare i propri figli in patria e per oltre il 40% degli immigrati si
tratta di figli minorenni 10.
Come il lettore avrà notato, volta a volta abbiamo segnalato e
brevemente commentato alcune differenze fra maschi e femmine,
fra classi d’età, etc. 11. Si tratta di alcune diversità che possono emergere qua e là nel corso dell’elaborazione dei dati. Altre differenze,
invece, possono presentarsi in maniera un po’ meno saltuaria e più
sistematica.
10
In media in patria è rimasto un figlio per ogni soggetto che ha risposto a questa domanda (ma alcuni hanno dovuto separarsi da 5 figli). Sempre in media, vi è meno di un
figlio minore per ogni rispondente (ma per alcuni, i figli minori restati nella patria di origine arrivano a 4).
11
Per individuare tali differenze ho adottato tecniche di analisi bivariata, a partire dalla
costruzione di tabelle di contingenza, che sono lo “strumento principe” per le variabili
categoriali e ordinali. Se una delle due variabili era cardinale, ho confrontato le medie.
Attraverso l’analisi cella per cella, ho selezionato e commentato solo i dati che mi parevano statisticamente e semanticamente più interessanti. Per non appesantire il testo principale con nozioni e riferimenti troppo tecnici, mi sono limitato a commentare i dati nella
sostanza, ma le tabelle integrali, come output SPSS, sono state consegnate alla Caritas.
Una spiegazione un po’ più tecnica: per ogni cella di qualunque tabella di contingenza
vengono riportate (in ordine): le frequenze in valore assoluto (Count); le frequenze percentuali per riga (% within); gli scarti non standardizzati (Residual) e quelli standardizzati
(Std. Residual). Gli scarti riguardano la differenza fra le frequenze davvero registrate (frequenze osservate) e quelle che si sarebbero registrate se le due variabili fossero del tutto
indipendenti (frequenze attese). Sempre in termini concreti, lo “scarto standardizzato” aiuta a valutare la portata di ciascuno scarto comparato con altri scarti. In pratica, lo scarto
aiuta ad individuare eventuali relazioni fra una categoria della prima variabile e un’altra
della seconda variabile. Su questi scarti si fondano alcuni coefficienti, a partire dal “chi
quadrato”; ma non ho calcolato né questo coefficiente né i suoi derivati sia perché troppo
sintetici, sia perché il loro uso è giustificato solo da ragioni inferenziali, cioè quando si può
generalizzare i dati da un campione probabilistico all’insieme della popolazione. Ma la
nostra ricerca non ha potuto selezionare il campione secondo criteri probabilistici; inoltre
la nostra popolazione è sconosciuta.
Dossier 2005
21
PAOLO MONTESPERELLI
Per evidenziare questa maggiore sistematicità, riporto una prima
tabella che riassume le differenze fra italiani e stranieri. Lo sforzo
che ho fatto per rendere facilmente fruibili queste informazioni renderebbe ripetitivo ogni commento. Preciso solo che nella tabella
riferisco solo le informazioni più affidabili, perché significative dal
punto di vista statistico e sostanziale.
ITALIANI
STRANIERI
+ presenti a Foligno, Terni-Narni-Amelia
– presenti Todi-Orvieto
+ presenti a Perugia, Todi-Orvieto
– presenti a Terni-Narni-Amelia
+ celibi/nubili, + divorziati, + vedovi
– coniugati
+ coniugati
+ privi di titolo di studio, + licenza
elementare, + licenza media inferiore
+ diploma professionale
– senza fissa dimora
+ casalinghe, + inabili, + pensionati
+ occupati
+ vivono da soli
+ vivono con conoscenti/esterni,
+ vivono in istituti o comunità
Analogamente, riportiamo una seconda tabella con le differenze
più significative fra Diocesi.
22
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
UN PROFILO SOCIOLOGICO SUGLI UTENTI DELLE CARITAS
ASSISI
NOCERA
GUALDO
+ femmine, – maschi
+ attesa permessi di soggiorno
+ domicilio in dimora
– occupati, + casalinghe
+ persone che coabitano con familiari/parenti
immigrati: – figli rimasti in patria
– occupati, + disoccupati
CITTA’
+ figli minori conviventi
DI
CASTELLO
FOLIGNO + italiani
– occupati
+ persone che coabitano con conoscenti/esterni
immigrati: + figli minori conviventi
GUBBIO
+ diploma professionale
+ persone che vivono da soli
immigrati: + figli rimasti in patria
PERUGIA –femmine, + maschi
+ celibi/nubili, – coniugati
CITTA’
+ possesso permessi di soggiorno
DELLA
+ senza fissa dimora
PIEVE
immigrati: + figli minori conviventi
SPOLETO + femmine
NORCIA
+ diploma professionale
+ disoccupati
immigrati: + figli rimasti in patria
+ femmine
TERNI
+ separati legalmente
NARNI
+ licenza media inferiore, – diploma professionale
AMELIA
+ italiani, – stranieri
23
Dossier 2005
PAOLO MONTESPERELLI
2. Bisogni, richieste e interventi
Attraverso i colloqui con gli operatori della Caritas, sono stati
individuati 1.194 bisogni, ossia circa il 17% in più rispetto alle persone censite 12; in termini meno “matematici”, alcune persone rivelano più di un bisogno.
Il graf. 1 riporta la ripartizione per Diocesi dei bisogni emersi.
Le informazioni raccolte prevedono un ventaglio di bisogni molto ampio: il vantaggio sta nella capacità analitica, che però si ottiene a danno di quella sintetica. Per ovviare a tale limite, un così alto
numero di bisogni diversi è stato riassunto in 11 tipi differenti, le
cui frequenze sono riportate nel grafico che segue.
24
In realtà alcune persone potrebbero aver richiesto sostegno più volte alla Caritas ed in
questo caso verrebbero riconteggiate. L’esperienza passata e il tempo, relativamente breve, durante il quale si è svolta la rilevazione portano a supporre che siano molto limitati i
“conteggi multipli”.
12
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
UN PROFILO SOCIOLOGICO SUGLI UTENTI DELLE CARITAS
graf. 2 - TIPOLOGIA BISOGNI
%
(n = 1.194)
35
30
25
20
15
10
5
0
i
à
ri
o
e
e
ici
ia
ze
m
lit
ne
or
ut
t iv
...
ilia
le
t iz
io
bi
en
al
ig
om /la v
ta
s
b
z
i
m
a
s
d
n
o
a
m
iu
n
i
r
is
ru
ab
if
G
co
ne
/d
id
ip
pe
ist
/im
e
m
e
m
ltr
. e a zio
Di
ap
le
di
ch
ne
e
e
b
i
l
A
c
i
t
b
o
i
n
o
a
ro
zi
io
up
ob
nd
em
/p
Pr
ra
Pr
nz
cc
em
bl
ig
Ha
bl
rtà
te
ro
io
o
m
e
e
r
d
P
v
D
i
P
i in
Po le m
gn
b
o
o
s
Pr
Bi
Come si può osservare, prevalgono i bisogni primari, legati alla
carenza di beni materiali: le risorse economiche, il lavoro, l’abitazione. Potrebbe esulare dall’area dei bisogni primari la categoria
“Problemi familiari”: in realtà, oltre a difficoltà relazionali, questi
problemi potrebbero essere legati ad una difficile condizione materiale di esistenza.
In sostanza si conferma quanto già rilevato negli scorsi anni: le
persone che si rivolgono alla Caritas costituiscono in gran parte la
componente “estrema” delle povertà, cioè la quota significativa di
persone che soffrono per la carenza di beni primari 13.
Come nel precedente paragrafo, riportiamo alcune differenze,
affidabili 14 per la ricerca, fra Diocesi.
Per ragioni tecniche (due matrici disgiunte, con unità di analisi diverse) non è possibile “incrociare” questa variabile con quelle “socio-anagrafiche”; ciò impedisce di rilevare
differenze, per esempio, fra maschi e femmine, fra giovani e anziani o fra italiani e stranieri.
14
Come ho già detto nel precedente paragrafo, l’affidabilità è data da criteri statistici
(scarto fra frequenze osservate e frequenze attese) e semantici.
13
Dossier 2005
25
PAOLO MONTESPERELLI
A S S IS I
NOCERA
G UALDO
+ p ro b le m a tic h e a b ita tiv e
+ p ro b le m i fa m ilia ri
– p ro b le m i d i s a lu te
+ p ro b le m i d i o c c u p a z io n e /la v o ro
C IT T A ’
+ p o v e rtà , p ro b le m i e c o n o m ic i
DI
– b is o g n i d i m ig ra z io n e /im m ig ra z io n e
C A S T E L L O – p ro b le m i d i s a lu te
+ p ro b le m i d i o c c u p a z io n e /la v o ro
F O L IG N O
– b is o g n i d i m ig ra z io n e /im m ig ra z io n e
G U B B IO
– p ro b le m i fa m ilia ri
– b is o g n i d i m ig ra z io n e /im m ig ra z io n e
P E R U G IA
– p ro b le m a tic h e a b ita tiv e
C IT T A ’
+ b is o g n i d i m ig ra z io n e /im m ig ra z io n e
D ELLA
– p ro b le m i d i o c c u p a z io n e /la v o ro
P IE V E
+ d ip e n d e n z e
SPO LETO
– p ro b le m a tic h e a b ita tiv e
N O R C IA
+ p ro b le m i d i o c c u p a z io n e /la v o ro
TERNI
+ p ro b le m a tic h e a b ita tiv e
NARNI
– b is o g n i d i m ig ra z io n e /im m ig ra z io n e
A M E L IA
+ p ro b le m i d i s a lu te
– p ro b le m i d i o c c u p a z io n e /la v o ro
+ a ltri p ro b le m i
TODI
+ p ro b le m a tic h e a b ita tiv e
O R V IE T O
– p ro b le m i fa m ilia ri
+ h a n d ic a p /d is a b ilità
– b is o g n i d i m ig ra z io n e /im m ig ra z io n e
26
Se consideriamo non i 12 tipi riassuntivi, ma l’intera tipologia,
molto più ampia, di bisogni, si evidenzia la tabella che segue: nella
prima colonna riporto i bisogni suddivisi per aree; nella seconda si
leggono le frequenze e i totali parziali, entrambi in valori assoluti;
la terza traduce quelle frequenze in percentuali, il cui totale 100 è
calcolato in base a ciascun totale parziale; l’ultima colonna riporta
sempre le percentuali, ma sul totale generale (cioè su 1.194 bisogni).
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
UN PROFILO SOCIOLOGICO SUGLI UTENTI DELLE CARITAS
BISOGNI RILEVATI
v.a.
% parz.
% tot.
5
12
1
60
6
3
4
10
100
0,6
1,3
0,1
6,9
0,7
0,3
0,4
1,1
TOT
7
16
1
82
8
4
5
13
136
9
14
18
14
14
18
5
9
100
0,2
0,3
0,3
0,3
0,3
0,3
0,1
0,2
TOT
2
3
4
3
3
4
1
2
22
8
10
6
1
2
1
28
29
36
21
4
7
4
100
0,7
0,8
0,5
0,1
0,2
0,1
19
8
4
7
18
17
14
6
3
5
13
12
1,6
0,7
0,3
0,6
1,5
1,4
ABITAZIONE
Abitazione (generico)
Abitazione precaria/inadeguata
Coabitazione
Mancanza di casa
Residenza provvisoria
Sfratto
Sovraffollamento
Altro
DETENZIONE E GIUSTIZIA
Detenzione Giustizia (generico)
Arresti domiciliari
Detenzione
Libero con proc penale in corso
Misure di sicurezza
Post-detenzione
Coinvolgimento in crimin/devianza
Altro
DIPENDENZE
Da alcool
Da droga
Da farmaci
Da gioco
Da tabacco
Ex-dipendente
TOT.
FAMIGLIA
Problemi familiari (generico)
Abbandono
Allontanamento nucleo
Ass. sociale/sanitaria conviventi/parenti
Conflittualità di coppia
Conflittualità con parenti
segue tabella Dossier 2005
27
PAOLO MONTESPERELLI
Conflittualità genitori-figli
Divorzio/separazione (anche di fatto)
Abbandono tetto coniugale
Gravidanza/puerperio
Maltrattamenti, trascuratezze
Maternità nubile/genitore solo
Morte congiunto/familiare
Altro
14
10
1
1
5
6
1
10
100
1,7
1,2
0,2
0,1
0,6
0,7
0,1
1,2
TOT
20
14
2
1
7
8
1
14
140
9
36
45
9
100
0,1
0,3
0,4
0,1
TOT.
1
4
5
1
11
10
34
32
12
4
1
4
1
1
1
100
3,0
10,6
9,9
3,6
1,1
0,4
1,3
0,3
0,4
0,4
TOT.
36
127
118
43
13
5
15
3
5
5
370
40
38
3
10
3
1
3
3
100
2,6
2,5
0,2
0,7
0,2
0,1
0,2
0,2
TOT.
31
30
2
8
2
1
2
2
78
HANDICAP/DISABILITA'
Handicap/disabilità (generico)
Handicap organico/fisico/sensoriale
Handicap psico-mentale
Altro
POVERTA'/PROBLEMI ECONOMICI
Povertà/probl.econom. (generico)
Nessun reddito
Reddito insuff. per normali esigenze
Reddito insuff. per esigenze straordin.
Accattonaggio
Indebitamento/cattiva gestione reddito
Povertà estrema, grave emargin
Protesto/fallimento
Usura
Altro
28
BISOGNI IN MIGRAZIONE/IMMIGRAZIONE
Irregolarità giuridica
Pagamento rimesse/mantenim fam origine
Profugo/rifugiato
Richiedente asilo
Ricongiungimengto familiare
Tratta di esseri umani
Traffico di esseri umani
Altro
segue tabella Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
UN PROFILO SOCIOLOGICO SUGLI UTENTI DELLE CARITAS
ISTRUZIONE
Abbandono scolastico
Analfabetismo
Problemi linguistici
Ritardo/difficoltà scolastiche
Altro
Problemi di istruzione (generico)
Analfabetismo di ritorno
0,3
0,1
0,5
0,3
0,3
0,2
0,1
TOT.
3 15
1
5
6 30
3 15
4 20
2 10
1
5
20 100
2,2
14,6
0,1
1,2
0,7
0,2
1,1
1,6
TOT.
26 10
174 68
1
0
14
5
8
3
2
1
13
5
19
7
257 100
1,2
0,7
0,9
0,2
0,2
0,2
0,5
1,8
0,9
TOT.
14 18
8 10
11 14
2
3
2
3
2
3
6
8
22 28
11 14
78 100
0,4
0,1
1,8
0,6
1,2
0,4
TOT.
5
9
1
2
22 41
7 13
14 26
5
9
54 100
OCCUPAZIONE/LAVORO
Problemi di occupazione/lavoro (generico)
Disoccupazione
In cerca di 1a occupazione
Lavoro nero/minorile
Licenziamento/perdita lavoro
Mobbing/molestie
Sottoccupazione sfruttamento precarietà…
Altro
SALUTE
Problemi di salute (generico)
Tumori
Malattie cardiovascolari
Demenza
AIDS/Sieropositività
Malattie infettive
Patologie post-traumatiche
Malattie mentali
Altro
ALTRI PROBLEMI
Generico
Abuso sessuale/pedofilia
Probl. psicologici/relazionali
Prostituzione
Solitudine
Altro
TOTALE GENERALE
1194
100,0
Dossier 2005
29
PAOLO MONTESPERELLI
Sulla scorta di quell’ultima colonna, ho ordinato tutti i bisogni in
ordine decrescente.
BISOGNI RILEVATI
30
Disoccupazione
Nessun reddito
Reddito insuff. per normali esigenze
Mancanza di casa
Reddito insuff. per esigenze straordin.
Povertà/probl.econom. (generico)
Irregolarità giuridica
Pagamento rimesse/mantenim fam origine
Problemi di occupazione/lavoro (generico)
Malattie mentali
Probl. psicologici/relazionali
Conflittualità genitori-figli
Problemi familiari (generico)
Conflittualità di coppia
Conflittualità con parenti
Abitazione precaria/inadeguata
Povertà estrema, grave emargin
Divorzio/separazione (anche di fatto)
Lavoro nero/minorile
Problemi di salute (generico)
Solitudine
Accattonaggio
Sottoccupazione sfruttamento precarietà…
Malattie cardiovascolari
Da droga
Residenza provvisoria
Da alcool
Abbandono
Maternità nubile/genitore solo
Richiedente asilo
Licenziamento/perdita lavoro
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
(in ordine
decrescente)
%
% cumul
14,6
14,6
10,6
25,2
9,9
35,1
6,9
42,0
3,6
45,6
3,0
48,6
2,6
51,2
2,5
53,7
2,2
55,9
1,8
57,7
1,8
59,6
1,7
61,2
1,6
62,8
1,5
64,3
1,4
65,8
1,3
67,1
1,3
68,4
1,2
69,5
1,2
70,7
1,2
71,9
1,2
73,1
1,1
74,1
1,1
75,2
0,9
76,2
0,8
77,0
0,7
77,7
0,7
78,3
0,7
79,0
0,7
79,7
0,7
80,3
0,7
81,0
UN PROFILO SOCIOLOGICO SUGLI UTENTI DELLE CARITAS
Tumori
Abitazione (generico)
Ass. sociale/sanitaria conviventi/parenti
Maltrattamenti, trascuratezze
Prostituzione
Da farmaci
Problemi linguistici
Patologie post-traumatiche
Sovraffollamento
Handicap psico-mentale
Indebitamento/cattiva gestione reddito
Usura
Generico
Sfratto
Detenzione
Post-detenzione
Allontanamento nucleo
Handicap organico/fisico/sensoriale
Altro
Arresti domiciliari
Libero con proc penale in corso
Misure di sicurezza
Protesto/fallimento
Abbandono scolastico
Ritardo/difficoltà scolastiche
Detenzione Giustizia (generico)
Da tabacco
0,7
0,6
0,6
0,6
0,6
0,5
0,5
0,5
0,4
0,4
0,4
0,4
0,4
0,3
0,3
0,3
0,3
0,3
0,3
0,3
0,3
0,3
0,3
0,3
0,3
0,2
0,2
81,7
82,3
82,9
83,4
84,0
84,5
85,0
85,5
86,0
86,4
86,8
87,2
87,6
88,0
88,3
88,6
89,0
89,3
segue tabella 89,6
89,9
90,1
90,4
Dossier 2005
90,6
90,9
91,1
91,3
91,5
31
PAOLO MONTESPERELLI
Anche questi risultati confermano che prevale la carenza di beni
primari, legata cioè alla mancanza di risorse materiali indispensabili e alla mancanza delle condizioni minime che garantiscano la loro
acquisizione (lavoro, reddito sufficiente, abitazione). Si tratta di
un’area molto vasta, poiché riguarda oltre il 55% dei bisogni
rilevati 15.
Le richieste esplicite di aiuto sono state 1.487, rispetto alle quali
sono stati realizzati 2.976 interventi, il doppio delle richieste: il rapporto fra richieste e interventi mi pare indichi una notevole disponibilità e capacità d’azione da parte della Caritas.
32
15
Dalla tabella abbiamo escluso le percentuali relative alle categorie residuali (“altro”),
perché troppo generiche o minute. Ciò spiega perché il totale delle percentuali cumulate è
inferiore a 100.
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
Coab
Coinv
Da gi
Ex-di
Gravi
Morte
Hand
Tratta
Analf
Analf
In cer
Abus
UN PROFILO SOCIOLOGICO SUGLI UTENTI DELLE CARITAS
graf. 3 - RICHIESTE E INTERVENTI
70
60
50
40
%
richieste
interventi
30
20
10
al
tro
tà
ni
sa
sc
uo
la
so
/is
ci
tru
oz
as
si
st
su
en
ss
z
id
ie
co
n
la
or
vo
ie
ro
nt
am
en
to
al
lo
g
gi
o
be
as
ni
co
e
lto
se
rv
m
co
at
in
er
vo
co
l
g
ns
im
ul
en
p
ti
ro
fe
ss
io
n
0
Per le voci più comparabili, è possibile un confronto fra bisogni,
richieste e interventi (graf. 4) 16.
graf. 4 - BISOGNI / RICHIESTE / INTERVENTI
70
60
%
50
bisogni
40
richieste
interventi
30
20
10
ec
on
s
33
as
ru
z
ist
la
/
tà
ni
sa
sc
uo
o
la
vo
r
al
lo
gg
io
0
Per le richieste e gli interventi abbiamo sommato le percentuali delle categorie “beni
e servizi materiali” e “sussidi economici”.
16
Dossier 2005
PAOLO MONTESPERELLI
34
Il grafico evidenzia due ambiti per certi versi più interessanti dal
punto di vista sociologico. Negli “utenti” il bisogno di lavoro è più
presente delle richieste esplicite e, ancora di più, degli interventi di
risposta. Probabilmente ciò è dovuto al fatto che il lavoro è la causa
prima e indiretta delle richieste immediate presentate alla Caritas;
inoltre, rispetto alle richieste, gli interventi sono ridotti probabilmente per una molteplicità di cause (trovare un lavoro è oggettivamente difficile; inoltre gli operatori della Caritas possono indirizzare la persona che cerca lavoro presso altre organizzazioni, sindacati,
enti…).
Il secondo ambito da sottolineare riguarda l’assistenza economica. Qui la tendenza è inversa a quella osservata per il lavoro: rispetto ai bisogni, sono maggiori le richieste e, ancora di più, gli interventi. Una spiegazione possibile – in attesa di un confronto con gli
operatori Caritas e con la loro preziosa esperienza diretta – potrebbe essere la seguente: anche la persona che si rivolge alla Caritas è
un “utente competente”, sa che cosa è possibile chiedere all’interlocutore. Nella fattispecie, egli sa che l’assistenza economica è più
facilmente ottenibile dalla Caritas e perciò invoca soprattutto questa.
Una comparazione più estesa riguarda il rapporto fra richieste e
interventi. Il graf. 5 utilizza gli “scarti standardizzati” 17 relativi agli
interventi: in pratica questi valori ci dicono in quale ambito gli interventi sono stati maggiori o minori delle richieste. Rispetto al graf.
3 qui non si tiene conto delle frequenze in valori assoluti, cioè del
fatto che un ambito può essere più meno numeroso di un altro. Utilizzare gli scarti standardizzati è come se pareggiasse le colonnine
del graf. 3 e poi individuasse le differenze maggiori fra interventi e
richieste.
Per una pur breve spiegazione sugli “scarti standardizzati”, rinviamo al precedente
paragrafo.
17
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
UN PROFILO SOCIOLOGICO SUGLI UTENTI DELLE CARITAS
graf. 5 - INTERVENTI/RICHIESTE
(n = 4.463)
4
scarti standardizzati
2
0
-2
-4
as
la
al
be
or
co
co
vo
log
ien san
co
inv
ns
ni
ro
ità
lt o
gio
e
u
ta
o
l
lg
se
m
pr
im
e
rv
o
nt
fe
en
m
o
ss
ti
at
io
er
n
sc
al
so
su
tro
uo
cio
ss
la /
idi
a
is t
ss
ec
ru
ist
on
z
en
z
-6
-8
-10
Rispetto alle richieste, gli interventi numericamente più “carenti”
riguardano in primo luogo il lavoro, seguono i sussidi economici 18,
l’ascolto e il sostegno socio-assistenziale. Sul versante opposto, là
dove gli interventi sono proporzionalmente maggiori rispetto alle
richieste, spiccano, in ordine decrescente, i “beni e servizi materiali”, i “coinvolgimenti” (di altri gruppi, enti, singole persone), l’ambito abitativo, le consulenze professionali, etc.
La stessa tecnica degli scarti standardizzati viene applicata ripartendo per Diocesi il rapporto interventi/richieste (graf. 6). In pratica, attraverso la standardizzazione, è come se tutte le Diocesi avessero avuto lo stesso numero di utenti.
35
18
Come ho già spiegato in una nota precedente, i “sussidi economici” sono solo una
componente della “assistenza economica” riportata nel graf. 4.
Dossier 2005
PAOLO MONTESPERELLI
Graf. 6 - INTERVENTI/RICHIESTE
(n = 4.463)
8
scarti standardizzati
6
4
2
0
-2
Assisi
Noc Gua
Cd
Castello
Foligno
Gubbio
Pg Città
Pieve
Spoleto
Norcia
Tr Narni
Amel
Todi
Orvieto
-4
-6
36
Come si può notare, solo la Diocesi di Perugia - Città della Pieve
sembra registrare un volume di interventi molto maggiore rispetto
alle richieste. Una precisazione è d’obbligo: questo grafico non va
considerato, ovviamente, come una valutazione sulla qualità (buona o cattiva, alta o bassa) degli interventi operati dalle Caritas
Diocesane, poiché tiene conto solo di rapporti quantitativi. Né sarebbe giusto affidare a questi stessi dati un giudizio di maggiore o
minore impegno delle varie Caritas. Il grafico, com’è naturale, ha
una funzione meramente descrittiva, che invoca un’interpretazione,
o più interpretazioni possibili. Una di queste potrebbe riferirsi alla
realtà del capoluogo regionale, che offre più servizi, più gruppi ed
enti, più occasioni di risposta alle richieste di aiuto.
La tabella riporta le Diocesi per riga e gli ambiti di richiesta/
intervento per colonna. Come prima, indichiamo con un segno + o
un segno – se si hanno frequenze significativamente maggiori o
minori rispetto alla media. Per un più rapido confronto indichiamo
con il rosso le richieste e con il blu le risposte. Ad esempio, la prima
cella in alto sulla sinistra sta a dire che nella Diocesi di Assisi-Nocera-
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
UN PROFILO SOCIOLOGICO SUGLI UTENTI DELLE CARITAS
Gualdo le risposte relative all’ambito degli alloggi sono proporzionalmente più basse della media di tutto il campione 19.
Le situazioni potenzialmente più critiche sono quelle che presentano molte richieste e pochi interventi: seguendo la simbologia
qui adottata, si tratta di un + seguito da un – . Le celle così contrassegnate sono evidenziate con un doppio riquadro.
DIOCESI
Assisi
No Gual
Città di
Castello
Foligno
1
–
2
+
–
–
–
–
–
–
+
+
+
–
Gubbio
Pg Città
d Pieve
Spoleto
Norcia
Tr Narni
Amelia
Todi
Orvieto
+
+
+
–
–
+
–
3
–
–
+
+
–
–
–
–
–
+
–
–
–
+
4
RICHIESTE E INTERVENTI
5
6
7
8
+
+
+
+
+
+
–
+
–
+
–
Legenda20
Rosso = richieste Blu = interventi
1 alloggio
4 coinvolgimenti
2 ascolto
5 consul, prof.le
3 beni e servizi materiali 6 lavoro
–
–
+
+
–
+
–
–
+
+
+
9
+
+
10
11
+
+
+
–
+
+
–
–
+
–
–
7 orientamento
8 sanità
9 socio-ass.
+
–
–
–
–
–
10 sussidi economici
11 altro
Come si può osservare, le situazioni più “critiche” sono pochissime, appena tre, e riguardano esclusivamente Perugia e Terni.
Infatti il carattere è di colore blu (risposte) ed il segno è – (e quindi sta ad indicare una
tendenza più bassa della media). Per continuare con un altro esempio, sempre nella stessa
Diocesi ma nella cella corrispondente alla colonna 5, cioè alle consulenze professionali,
troviamo un + rosso (= il numero di consulenze professionali richieste è superiore alla
media di tutto il campione) ed un + blu (=il numero di consulenze professionali fornite è
superiore alla media di tutto il campione)
20
Nella tabella non appare l’ambito dell’istruzione per le sue bassissime frequenze.
19
Dossier 2005
37
PAOLO MONTESPERELLI
3. Conclusioni
38
Per riassumere i molti dati qui presentati, è possibile richiamare
il profilo “tipico” delle persone che chiedono sostegno alla Caritas 21.
Si tratta di una sintesi utile, ma che non fa giustizia di una realtà
molto più variegata: insomma, anche i nostri dati confermano i tanti
volti del disagio e della povertà. Riassumerli in una sola figura ha
comunque il valore di ricomporre numerosi tratti, in modo che non
si perdano, frammentati in tante tabelle e grafici.
L’utente-tipo è una donna di 42 anni e immigrata. Sa di condividere una condizione difficile con altri immigrati, ma anche insieme
ad una cospicua componente di italiani, sicché il disagio e l’indigenza è un fenomeno non circoscrivibile solo agli stranieri.
Lei non vive da sola, ma in un nucleo di parenti o di familiari,
anche se ha dovuto lasciare almeno un figlio nella patria di origine.
La presenza di questo nucleo familiare o parentale costituisce un
minimo sostegno, insufficiente visto che si è rivolta alla Caritas.
Non è determinante nemmeno il fatto che possiede un permesso di
soggiorno.
Infatti tutto ciò non le evita una situazione di disagio, per il concorso di almeno due fattori: la bassa istruzione e, ancora di più, la
mancanza di lavoro.
La sua situazione appare davvero ingarbugliata, per l’aggrovigliarsi di problemi che si cumulano: manca il lavoro e dunque le
risorse economiche; da qui ulteriori problemi che riguardano sia la
casa, sia i rapporti intra-familiari.
Per questa situazione va alla Caritas a chiedere l’indispensabile,
ciò che pensa più ottenibile dai propri interlocutori: assistenza ecoPer farlo considero la media nelle variabili cardinali e la categoria modale (cioè quella
con frequenze più alte) nelle altre variabili. Questa soluzione può (legittimamente) far
arricciare il naso a qualche statistico, ma mi pare comunque efficace e comprensibile.
21
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
UN PROFILO SOCIOLOGICO SUGLI UTENTI DELLE CARITAS
nomica, innanzi tutto; se possibile qualche soluzione per i problemi
abitativi. Ma anche qualcuno che possa ascoltarla, magari che possa
incoraggiare la speranza di un’occasione lavorativa, pur precaria.
Gli operatori della Caritas si danno da fare, anzi cercano più di
quanto lei abbia chiesto. Ottiene soprattutto beni e servizi materiali,
forse anche un miglioramento della propria situazione abitativa; là
dove non è possibile un sostegno diretto della Caritas, la nostra “utente-tipo” viene indirizzata lungo qualche filo di una “rete” di sostegno già tessuta fra diversi soggetti/gruppi/enti preposti al sociale.
È una storia di “ordinaria povertà”, come ce ne sono, purtroppo,
molte. È una storia “tipica” e quindi emblematica, la cui affidabilità
si regge – come abbiamo visto – su un’ampia messe di dati inediti,
che rende l’inchiesta della Caritas molto qualificante.
39
Dossier 2005
PAOLO MONTESPERELLI
Diocesi coinvolte
numero di CdA
per ogni
diocesi
1
Diocesano
1
Zonale - Vicariale
Parrocchiale
ASSISI-NOCERA-GUALDOTADINO (215)
1
1
1
Diocesano
Zonale - Vicariale
Parrocchiale
GUBBIO (218)
1
Diocesano
1
Zonale - Vicariale
Parrocchiale
ORVIETO-TODI (219)
1
PERUGIA-CITTA' DELLA PIEVE (220)
1
SPOLETO-NORCIA (221)
1
4
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
Diocesano
Zonale - Vicariale
Parrocchiale
FOLIGNO (217)
40
Diocesano
Zonale - Vicariale
Parrocchiale
CITTA' DI CASTELLO (216)
TERNI-NARNI-AMELIA (222)
tipologia di cda
Diocesano
Zonale - Vicariale
Parrocchiale
Diocesano
Zonale - Vicariale
Parrocchiale
Diocesano
Zonale - Vicariale
Parrocchiale
UN PROFILO SOCIOLOGICO SUGLI UTENTI DELLE CARITAS
PAOLO MONTESPERELLI
RELAZIONE SULLE INTERVISTE BIOGRAFICHE
Fra luglio e ottobre 2005 sono state raccolte 1 13 interviste biografiche a persone in stato di bisogno, che si sono direttamente rivolte alla Caritas per chiedere aiuto e sostegno. Di questi intervistati, 6 sono maschi, e cioè 2 italiani e 4 stranieri; le 7 femmine sono
composte da 4 italiane e 3 straniere. Quindi in totale (maschi e femmine) gli italiani sono 6 e gli stranieri sono 7.
Quanto alla tipologia familiare, 5 vivono in un nucleo formato
da propri familiari e/o parenti; 2 sono stranieri con famiglia nel proprio paese di origine; altri 2 intervistati vivono in una famiglia di
fatto (coppia non spostata, con o senza figli). Infine, una scelta di
vita autonoma come single, lo stato di separato (legale o di fatto), la
famiglia monogenitoriale e la condizione di vedovanza caratterizzano i rimanenti 4 intervistati (uno per ciascun tipo di status familiare).
Nessuno presenta sintomi né di dipendenza da sostanze (alcol,
droga…), né di patologia psichica; solo 2 manifestano altri segni,
uno di impazienza per mancanza di tempo e l’altro di disagio verso
l’intervista.
1
L’intervistatore è stato sempre Massimo Mandrelli.
Dossier 2005
41
PAOLO MONTESPERELLI
Nel complesso, è buono il giudizio dell’intervistatore sull’affidabilità delle informazioni raccolte: 9 interviste risultano del tutto
attendibili e le altre lo sono abbastanza.
Sono state condotte 2 interviste per ciascuna delle seguenti Diocesi: Assisi – Gualdo – Nocera Umbra; Città di Castello; Foligno;
Gubbio; Perugia – Città della Pieve. Nelle altre Diocesi, cioè Spoleto
– Norcia, Terni – Narni – Amelia e Todi – Orvieto, si sono raccolte
in tutto 3 interviste, una per Diocesi.
L’Appendice a questo capitolo contiene la descrizione degli intervistati e alcune note sullo svolgimento delle interviste. Ogni
stralcio che riportiamo nelle prossime pagine consente di rinviare a
tali note.
Osservazioni generali
42
Dalle interviste raccolte si trae conferma di come non esista un
unico profilo della povertà: quest’ultima, invece, assume molti volti, i cui tratti comuni sono scarsi. Infatti incontriamo donne e uomini, giovani e anziani, italiani e stranieri, persone con alta istruzione
e altri che dimostrano invece una scarsa scolarizzazione.
Alcuni intervistati rivelano notevoli capacità introspettive, analitiche, astrattive e generalizzanti; altri, al contrario, sembrano legati ai problemi contingenti della propria particolare e quotidiana condizione di indigenza e di disagio.
Anche il linguaggio adottato riflette questa differenziazione. Talvolta incontriamo una fluidità esemplare, che trae origine,
presumibilmente, da un notevole retroterra culturale (non necessariamente scolastico): da qui le vivide modalità espressive, le abilità
narrative e drammaturgiche nell’imbastire il proprio racconto biografico. Invece altre volte (non solo fra alcuni immigrati) la parola
stenta, i periodi sono particolarmente brevi, talvolta restano incom-
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
RELAZIONE SULLE INTERVISTE BIOGRAFICHE
piuti e comunque rievocano l’insegnamento di Don Dilani circa il
nesso fra linguaggio e marginalità.
Insomma, i variegati profili del disagio sociale inducono ad abbandonare il concetto di povertà al singolare, per adottare più opportunamente il plurale.
Sottoliniamo questo aspetto non per ragioni formalistiche, in ossequio all’eleganza lessicale; ma per motivi sostanziali: la povertà
non è una perché non è circoscrivibile entro una sola fascia sociale,
ma s’insinua anche fra chi dovrebbe esserne esente, fra chi è istruito, fra chi si nasconde dietro una facciata apparentemente “normale”.
Ai vari volti delle povertà corrispondono molte cause dell’impoverimento, sempre secondo le interviste raccolte. Ciò in un duplice
senso: più cause si cumulano nello spingere la persona verso una
condizione di disagio e d’indigenza; in secondo luogo, più punti di
partenza e differenti itinerari conducono comunque a quegli esiti.
I percorsi di povertà
«Da questa rovinazione
abbiamo perso tutte le speranze»
Nelle narrazioni che risalgono alle origini familiari degli intervistati, troviamo due modi diversi di raccontarsi. Per alcuni intervistati già le prime fasi della propria biografia assumono le tinte fosche del disagio familiare o della miseria, e sembrano preannunciare gli sviluppi futuri, ugualmente se non ancora più problematici.
43
«Io vengo da una famiglia, mamma , papà e quattro figli. Mio
padre era meccanico dentista ma aveva il problema dell’alcol,
mia mamma ha avuto un esaurimento, io sono stata in giro
per collegi, io e la mia sorella» (interv. 9).
Dossier 2005
PAOLO MONTESPERELLI
«Da noi è periodo per raccogliere i fagioli, lavoriamo per esempio un mese per la campagna e compriamo legna, farina per
tutto anno e tutta la famiglia mica c’abbiamo case grosse, abbiamo case tutte piccole così che dormiamo per terra che per
esempio qui in Italia sto 15 anni sto anda’ come per un figlio
che serve una camera, da noi non è importante questa. Noi
c’abbiamo tanti figli e dormiamo per terra mica c’ha quest’attrezzatura ancora come da mettere il pannolone noi usiamo
lenzuoli» (interv. 5).
Nell’esempio che segue il passato lascia irrisolti i problemi originari; e proprio questa insolubilità, che non concede al soggetto di
sfociare in una condizione “normale”, lo fissa in un permanente stato di “ragazzo”:
«Io sono un ragazzo di trentott’anni, quindi ormai mica tanto
ragazzo; in un certo senso sono rimasto un ragazzo, perché ci
sono delle cose insolute che fanno parte del primo passato, di
nascita e crescita appena iniziata la mia vita» (interv. 4).
Altri, invece, descrivono le proprie origini con tratti molto positivi, talvolta quasi idilliaci (una specie di “età dell’oro” in chiave
familiare): la famiglia di solito estesa, comunque molto coesa,
contorniata da una condizione di (relativo) benessere; ma un evento
scatenante, endogeno o esogeno, muta radicalmente il quadro e innesca il processo di impoverimento.
44
«Sono l’ultima della mia famiglia, la più piccola; siamo in
otto, cinque sorelle e tre fratelli, più la mamma e il babbo;
sono cresciuta in una piccola città [di un Paese del NordAfrica], vivendo una vita tranquilla, un’infanzia serena; avevo tutto, amici, parenti, la vita normale, tranquilla, di una
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
RELAZIONE SULLE INTERVISTE BIOGRAFICHE
famiglia felice. Ho studiato lì, fino alla media superiore, e poi
sono andata a [capitale del Paese], a finire i miei studi di
università; ho fatto legge, diritto, sempre in contatto con la
mia famiglia; studiavo cinque giorni a settimana andando a
[capitale del Paese]; nel week-end era veramente interessante che tutta la nostra famiglia si ritrovasse; con le nostre sorelle che venivano da [altra città dello stesso Paese], dove
studiavano, o quelle sposate, con i loro figli, provenienti da
altre città; e, con i nostri genitori, si faceva una cena tutti insieme, si rideva, ballava, cantava. Poi, finiti gli sudi, ho scelto di
stare da sola, di non tornare alla mia città, perché non c’era
lavoro, seguendo la mia strada, per me, rimanendo a [capitale
del Paese]. Ho cominciato a lavorare nel turismo; vedendo che
con la mia laurea in legge non potevo avere un posto veramente alto, ho scelto di fare un diploma per poter raggiungere un
buon livello e lavorare tranquilla; così ho conseguito un diploma di assistente amministrativa, con altri due anni di studio,
avendo un posto nel turismo, lavorando tranquillamente, ottenendo quello che volevo prima (…). » (interv. 3).
Un’ampia sequenza di eventi induce l’intervistata ad emigrare;
ciò ribalta la sua situazione originaria e gradualmente la getta nell’attuale difficile situazione.
«In [Paese di origine, nel Nord-Africa] avevo tutto, un lavoro, la casa, macchina; tutto, veramente; facevo come quelle
signore che vivono tranquille; avevo tanti soldi, non avevo
bisogno di niente; ma qui in Italia mi sono trovata veramente
un po’ stretta; mi è arrivato qualche giorno in cui non avevo
da mangiare, neanche per comprare il pane, niente» (interv. 3)
45
Altri immigrati raccontano le difficoltà che hanno incontrato in
patria e che li hanno costretti a varcare i confini del proprio Paese.
Dossier 2005
PAOLO MONTESPERELLI
Talvolta il progetto migratorio ha potuto giovarsi delle “reti di solidarietà informale” tessute da parenti e amici già emigrati:
46
«Sono nato in [Paese dell’Europa dell’Est] 2, i miei genitori
vivono in [stesso Paese], ho una sorella che vive anche lei in
Italia, a [città fuori Umbria]. Sono venuto qui in Italia perché
i miei genitori, ad un certo punto, hanno avuto dei problemi
di salute. In [Paese di origine] lavoravo in un’agenzia di pubblicità, sono venuto qua perché volevo qualcosa di più, anche
per aiutare i miei genitori, non ho mai pensato di fare quello
che sapevo fare, sono arrivato qui, è stato un po’ difficile all’inizio (…). Nel nostro paese, già dal ‘97, ci sono stati dei
problemi economici; c’è stata una rivolta da parte del popolo, perché molti hanno perso tanti sodi; alcune persone, che
non possiamo dire del popolo, hanno rovinato banche, lavori,
reparti, tante cose; da questa, che possiamo chiamare
”rovinazione”, noi abbiamo perso tutte le speranze, e deciso
di venire in Italia; nel lavoro che facevamo, infatti, era tutto
rovinato (…). Noi eravamo una famiglia normale; noi vivevamo da soli, con le nostre figlie, un po’ lontano dai nostri genitori, tutti e due; però, dopo essere venuti qui in Italia, tutto è
cambiato, qualsiasi cosa è cambiata; la nostra vita era normale, in Albania; qui in Italia, invece, tutto è diverso (…).
Non pensavo di fare assistenza o la pulizia delle scale; pensavo di fare tutta un’altra carriera, a qualsiasi costo, mentre a
questo di oggi non pensavo mai, nella mia vita; però si deve
fare secondo l’ambiente in cui vivi, ed è andata così; questa
non è una scelta, non c’è scelta; devo fare così» (interv. 11).
Per evitare che gli intervistati possano essere identificati, abbiamo omesso ogni esplicito riferimento a città, località, etc. Per la stessa ragione i nomi propri di persona qui citati
non sono quelli veri.
2
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
RELAZIONE SULLE INTERVISTE BIOGRAFICHE
Oltre all’immigrazione, molti altri possono essere gli “eventi scatenanti”, come per esempio un’improvvisa e grave malattia propria
o di qualche familiare.
«Il problema è qui, adesso, quando sono arrivato in Italia,
per trovare, cercare lavoro; nel mio paese, prima, stavo bene,
con la mia famiglia; io sono il capo-famiglia, poi c’è mia moglie, e mia figlia di 2 anni e 8 mesi, che sta male, avendo la
meningite (…).Ho portato mia figlia prima all’ospedale [un
grande ospedale dell’Umbria], e a [un altro importante ospedale umbro], dove i dottori mi hanno detto che ha problemi al
cervello che ormai non può più risolvere; mia figlia non vede,
non sente, non parla, non cammina, fa solo della ginnastica;
le manca tutto; è bellina, bellissima» (interv. 2).
Spesso, soprattutto fra gli autoctoni, è la perdita del lavoro a segnare il ribaltamento di una migliore condizione iniziale ed il successivo ingresso nella povertà materiale.
«Ci siamo sposati e poi lui ha perso il lavoro, e siamo rimasti
senza niente, perso tutto» (interv. 3)
Questi ed altri esempi descrivono un peggioramento relativamente
repentino, raccontano cioè la possibilità che i processi d’impoverimento siano veloci oltre che imprevisti.
Quando invece, come abbiamo visto all’inizio di questo paragrafo, già le origini sono segnate da vincoli che trattengono il soggetto
nel proprio stato d’indigenza, allora non vi è nulla d’imprevisto,
perché da tempo agiscono sulla famiglia poche ma pressanti cause
“strutturali” di povertà.
La prima causa strutturale riguarda il basso grado d’istruzione:
Dossier 2005
47
PAOLO MONTESPERELLI
«Servivo le persone, le famiglie, lo facevo a Roma; non studiavo (…). Papà era socialista e mi ha tolto subito dalla scuola;
si figuri, facevo la prima» (interv. 1).
A bassi livelli di scolarizzazione sovente corrisponde una condizione lavorativa precaria, per gli immigrati determinata spesso dalla condizione di irregolarità o clandestinità.
«Ero però clandestina, e questo non mi ha aiutato per… a
trovare un lavoro...» (interv. 3).
«Ho cominciato a lavorare con questa ditta, hanno fatto prima la domanda per il permesso di soggiorno, poi sono cominciati dei problemi, dicevano che mettere in regola uno straniero costava di più, non so se volevano sfruttare la cosa, comunque ho capito che loro volevano pagare di meno, a quel
punto il lavoro diminuiva» (interv. 8).
Ma anche un alto livello d’istruzione non è sempre una garanzia
certa contro una posizione lavorativa precaria e disagiata:
«tutti e due siamo laureati, e, nel nostro paese di nascita, abbiamo lavorato tutti e due proprio nella specializzazione per la quale
ci siamo laureati; invece, qui in Italia, per necessità, siamo pronti,
e facciamo qualsiasi lavoro» (interv. 11).
Un terzo fattore ricorrente, spesso associato con i precedenti, riguarda la condizione abitativa:
48
«L’abitazione ce l’abbiamo avuta; una camera, cucina e bagno; bagno con solo wc e per lavarsi le mani; non era proprio
un bagno, non c’era per farsi la doccia, la facevamo alla
marocchina, come i nostri nonni. Allora abbiamo sofferto tantissimo» (interv. 3).
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
RELAZIONE SULLE INTERVISTE BIOGRAFICHE
D.: «Ha solo questa figlia?»
R. «Solo questa; Mia moglie è adesso incinta; io lavoro a [cittadina dell’Umbria], pago per la casa un affitto di 370 euro,
poi il metano, l’acqua, la luce, il gas…»
D.: «Che lavoro fa?»
R.: «Lavaggio, lavo i camion; guadagno 929 euro al mese»
(interv. 2).
Altre volte interagiscono la malattia e la carenza di lavoro:
«Mamma mia e papà mio c’avevano cinque figli allora due
fratelli e tre sorelle. Come papà mio è sempre stato malato di
pancia, nessuno lo metteva in regola per entrare a lavorare,
come si dice» (interv. 5).
«Di là mio marito non trovava lavoro, era difficile trovare, dopo
mio figlio stava sempre male, aveva il rachitismo» (interv. 7).
«C’è tante cose che io non posso fare (…).C’è tante cose che
io non posso fare, io non posso stringere, così fa male schiena.. Dieci anni, quaranta anni stai sereno, un giorno vai al
lavoro e ti senti male, un mese vai a lavorare e due mesi stai a
casa così non posso fare lavorare. Cento per cento io non
posso fare, padrone ha bisogno lavorare sempre, non è come
se vai a lavorare mette in regola e fra 3 mesi stai male che
adesso lavoro molto difficile ora cento persone cercano lavoro non si trova» (interv. 13).
49
«Uno anno, due anni non so quanti anni studierò la scuola di
meccanico poi vado direttamente a lavorare. Lavorare anche
muratore non è tanto scherzo un muratore pesa 50 kg più di
me … anche perché un busta di cemento pesa 45 chili, io peso
Dossier 2005
PAOLO MONTESPERELLI
40 chili, esce l’anca tutta fuori. Il lavoro non è uno scherzo,
no puoi chiacchierare no puoi, padrone trova te che chiacchierare o sta male, cerca altra persona non è che aspetta te
per un mese» (interv. 13).
A loro volta, le difficoltà riguardanti lo stato di salute e la posizione lavorativa si cumulano con ulteriori effetti negativi sull’istruzione:
«Allora papà mio non c’aveva i soldi per mandare noi a scuola, da noi usa se non c’hai i libri, se non c’hai i soldi tu non
vai a scuola, non è come qui in Italia che voi aiutate per
esempio oh Dio non c’ho soldi, io vado a scuola, la scuola
mi dà i libretti, matita, queste cose, noi non siamo andati a
scuola tre figli. Io infatti solo nome e cognome e m’ha fatto
impara’ marito mio, perché io non è scuola, perché papà
mio non c’aveva possibilità mandarmi a scuola» (interv. 5).
Lo stralcio seguente descrive una carriera di povertà che attraversa e cumula il lavoro precario, le difficoltà familiari, i comportamenti devianti e i problemi di salute:
50
«Nel ’97 io sono andato via da [città delle Marche] e sono
andato a lavorare vicino a [paese dell’Umbria] e lì sono nati
una serie di problemi, problemi che il lavoro non c’era e la
famiglia la dovevo tirare avanti, più m’ero messo a carico la
figlia della mia convivente, perché c’aveva una figlia piccola,
allora l’ho presa con me e lavoro non ce n’era, è qui che ho
fatto uno sbaglio che non avrei mai dovuto fare, quindi ho
conosciuto il carcere, sono stato due anni in carcere per un
reato (…) Quindi nel luglio del ’99 sono uscito e sono andato
a lavorare in questa cooperativa, un’impresa di pulizie che
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
RELAZIONE SULLE INTERVISTE BIOGRAFICHE
sta a [un quartiere periferico di Perugia] e c’ho lavorato fino
a che...nel 2002, tre anni, e poi ho avuto un infarto, perché io
lavoravo 15-16 ore al giorno, giravo..» (interv. 6).
Anche se i fattori “strutturali” (condizione familiare di origine,
istruzione, lavoro, salute) sembrano giocare un ruolo di grande rilievo, in altri casi una ruolo influenza rilevante è esercitata anche
dalla carenza di relazioni interpersonali.
R.: «Non ho nessuno; i vicini di casa (…) sono pessimi».
D.: «Dal punto di vista delle relazioni, quindi, ne ha pochine».
R.: «Nessuna»(interv. 1)
Il risvolto più evidente è la sofferenza interiore per lo stato di
solitudine. Ma, a sua volta, la carenza di relazioni costituisce un
fattore di ulteriore impoverimento, innescando così un pericoloso
circolo vizioso.
Di solito a recidere inizialmente la rete di relazioni è un evento
scatenante: ad esempio, per gli immigrati l’abbandono del proprio
Paese, per gli umbri la perdita dei genitori o del proprio coniuge.
«Orfana di madre... mio padre dopo un po’ di tempo si è
risposato mi ha dato via in adozione, diciamo in affidamento
ad altre persone, le quali dopo otto anni che ho vissuto con
loro sono decedute anche loro, anche perché avevano un’età
abbastanza, insomma io c’avevo otto anni, loro ne avevano
65 e 69 e quindi praticamente la mia giovinezza, l’inizio della
mia infanzia è stata alti e bassi insomma, momenti di eterna
malinconia e momenti di più euforia perché fra parenti non è
che ci fosse tutta ‘sta gran... anche perché c’avevano bisogno
loro e quindi io mi sono sentita sempre un po’ trascurata, un
po’ abbandonata a me stessa... ho vissuto otto anni, sì nove
51
Dossier 2005
PAOLO MONTESPERELLI
anni circa in collegio con le suore, la mamma naturale sempre con problemi di trasfusioni, problemi di insufficienza renale
e altre problematiche che si sono susseguite con il passare
degli anni, diciotto e diciotto trentasei anni praticamente lei è
morta giovanissima trentanove ne aveva la stessa età che insomma c’ho io, adesso c’ho quarant’anni, però voglio dire è
morta con una malattia abbastanza conosciuta laggiù insomma l’anemia mediterranea, che ha fatto sì che lei ci lasciasse
soli insomma e praticamente siamo rimasti soli quasi tutti,
tranne coloro che si sono sposati hanno avuto la loro vita »
(interv. 12).
Altri intervistati, invece, non denunciano la carenza di relazioni,
ma l’esistenza di relazioni negative che costituiscono fonte non solo
di tensione psichica, ma anche di contesa sulle risorse materiali.
«Sono rimasta vedova (…); mi sono, poi, risposata, e mio marito è morto da vent’anni; sono rimasti anche i figli di lui, che
mi danno filo da torcere, perché vogliono mandarmi fuori di
casa, per poterla vendere; quante ne sto passando ! (…) Avevo mio marito, ma da vent’anni è morto; i suoi figli quanto mi
fanno soffrire; me ne dicono e fanno di tutti i colori, per buttarmi fuori da casa e venderla; che prova, che tribolazione! »
(interv. 1).
In caso di separazione fra coniugi come “evento scatenante”, le
donne sembrano subire maggiormente le conseguenze negative:
52
«È stato praticamente in maniera drastica dall’oggi al domani. Questa persona non aveva una grande responsabilità, il
senso proprio della famiglia proprio non lo sentiva anche perché eravamo sposati da poco sono subentrati prima la prima
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
RELAZIONE SULLE INTERVISTE BIOGRAFICHE
figlia che adesso ha 17 anni, il secondo che ce ne ha 14, si
sarà sentito un po’ scavalcato da tutte queste cose, perché
quando si è giovani, non è che abbia fatto un colpo di testa,
c’è stato un matrimonio religioso nonché anche civile tutte le
cose fatte bene in maniera che diciamo non ci si vergogni
davanti a Dio tutto a posto tutto tranquillo con un comune
accordo, ma poi diciamo che alcune conseguenze matrimoniali divergenze, diversità caratteriali, incompatibilità di carattere sia per l’uno che per l’altra hanno fatto sì che si sciogliesse questa unione» (interv. 12).
«Non ho un reddito molto molto alto, all’incirca 240 euro al
mese più 200 che mi dà il mio ex-marito, si figuri lei in che
condizioni, c’ho un problema quindi di disagio economico,
ma usufruisco anche del servizio sociale sono iscritta anche
lì in Comune ho fatto un tirocinio lavorativo varie esperienze
in Prefettura come donna delle pulizie. Poi ho fatto esperienza anche come sorveglianza in Pinacoteca, in Emeroteca come
archivista cioè come archiviazione di giornali quotidiani»
(interv. 12).
Le relazioni di sostegno
«Ho trovato un’accoglienza
che sono rimasto meravigliato»
A parte i casi, già citati, di solitudine e di relazioni negative, nel
complesso non appare una realtà di desertificazione delle relazioni
interpersonali. E ciò vale non solo per gli autoctoni, ma anche per
gli immigrati. Molti tengono a sottolineare di trovarsi entro una fitta
rete di amicizie e di conoscenze; forse in tal modo essi intendono
sottolineare di non trovarsi in una condizione di estrema marginalità.
Dossier 2005
53
PAOLO MONTESPERELLI
«Riguardo gli amici, Paola è mia amica, l’ho conosciuta ad un
centro di incontro; anche con Gretha e Stefania sono diventata
amica; ho tanti amici; come Marta, che fa i corsi di computer
[in quel centro di incontro]; abbiamo un buon rapporto con tutti; con il fornaio che vende il pane, il fotografo, il postino…
(…).Ho un buon rapporto con la mia dottoressa-ginecologa; è
diventata amica mia anche l’ostetrica; viene a trovarmi a casa;
lei era in [nazione africana], lavorava lì e mi telefonava per
sapere se avevo partorito o no; una cosa bellissima, una persona che pensa a te, vuole del bene per te» (interv. 3).
Quanto ai vicini di casa, «ci vado molto d’accordo con tutti, mi
vogliono tutti bene, sempre regali per Natale, la Befana per i figli,
questo sempre, mi hanno voluto molto bene (…).Quando porto i
figli a scuola sempre le amiche, le madri di altri figli sono disponibili, per esempio se ho bisogno di accompagnare il figlio a scuola,
portarmi a casa perché non abbiamo la macchina» (interv. 7).
54
«Il vicinato via si sta lì, stanno sempre là fuori, se hai qualche
necessità sicuramente sono disposti a venirmi incontro come io
naturalmente qualunque cosa accade, o uno sta male, uno c’ha
dei problemi, anche a scendere giù per le scale, anche perché la
maggior parte delle persone che abitano nel mio condominio
sono tutte anziane tranne una un po’ più giovanetta via, diciassette anni più di me, cioè però vedo che è un buon vicinato, non
ci sta niente di cui lamentarsi, cioè si aiutano, sono molto molto
legate, anche l’una all’altra io sono arrivata più tardi però loro
si conoscono da vent’anni proprio» (interv. 12) .
«Con il Comune io dato che facevo la volontaria , ero diventata
anche la responsabile della casa quindi m’hanno sempre cioè
visto bene, io sono una persona che mi faccio anche voler bene,
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
RELAZIONE SULLE INTERVISTE BIOGRAFICHE
so buona, non ho mai dato problemi, quindi anche nel momento
che ho avuto difficoltà m’hanno aiutato tanto ero in fondo poi a
casa col Comune di [cittadina vicino a Perugia]. Anche le assistenti sociali che sono più amiche che assistenti sociali me conoscono, il rapporto mio con i ragazzini io non c’ho avuto mai a
ridire niente con nessuno perché per me non lo so se so stata
fortunata io con me so’ proprio stati – anche un’assistente sociale io la vedo come un’amica le posso raccontare tutto, i miei
problemi, mi hanno aiutato tantissimo anche con i rapporti padre-figli cioè quando nel momento del bisogno io perché più che
altro il lavoro per me perché avevamo i ragazzini là quindi ragazze madri, però nel momento in cui ho avuto bisogno io me
l’hanno data una mano» (interv. 9).
Gli immigrati non lamentano alcuna diffidenza xenofoba, come
se l’integrazione fosse (quasi) completa.
«Con le persone che conosco io va tutto bene; da quelli con cui
lavoro ai vicini di casa, con italiani e stranieri, tutto bene; con
gli infermieri, tutto bene; sono tranquillo; io con loro e loro con
me (…). Da quando sono entrato in Italia, sono stato sempre
bene; non ci sono mai stati problemi; non mi hanno mai trattato
male, e io non ho trattato male loro.» (interv. 2).
I vicini di casa «all’inizio sono stati freddi, anch’io se vedo qualcuno che non conosco mica mi attacco subito, perché senza conoscere è dura, ma dopo che hanno capito che guardiamo la nostra
strada, la nostra vita, hanno cominciato ad avvicinarsi, a volerci
bene, perché è dura per tutti, io la capisco la gente, però adesso
tutto bene, come se fossi nata qui (…).Un figlio ce l’ho a scuola,
uno all’asilo, non vedo con i miei razzismo, niente, anzi gli vogliono bene tutti i bambini come se fossero di qui » (interv. 7).
55
Dossier 2005
PAOLO MONTESPERELLI
Dichiarazioni analoghe si registrano a proposito delle relazioni
formali e informali di assistenza: le critiche sono poche e vengono
superate di gran lunga dalle lodi rivolte sia al pubblico, sia al
volontariato.
«Ho conosciuto e parlato con Silvana riguardo mia figlia che
stava male, e mi ha fatto fare una domanda per avere una visita
da parte del dottore; nel [Paese di origine, nel Nord-Africa] si
paga tutto, il dottore, la visita, le medicine; non è come qui, che
di regola non si paga niente; in [Paese di origine, nel NordAfrica] non c’è una regola, entri da una porta di un ospedale,
ed esci avendo pagato qualcosa» (interv. 2).
«Abbiamo avuto una piccola casa che si pagava 230 euro al
mese di affitto; era uno schifo, ma per essere insieme; eravamo
innamorati, l’amore fa superare tante cose; c’era una volta che
non potevamo pagare l’affitto; sono andato dalla Sara, mi ha
dato un prestito» (interv. 3).
56
«Papà è morto qui a [cittadina dell’Umbria], ha trovato assistenza, lo hanno aiutato tutti, venivano tutti i giorni infermieri,
dottori, hanno fatto il possibile per tirare avanti, donare il sangue, tutte le medicine forti, la morfina che costa tanto, anzi si
sono anche impegnati per il permesso per fargli vedere la sua
mamma e mia mamma, però è vissuto 5 mesi, poi è morto all’ospedale di[cittadina dell’Umbria] e l’abbiamo riportato in
[Paese di origine, nell’Europa dell’Est] morto (…). Poi qui ho
avuto l’altro maschio, che ha avuto dei problemi alla nascita,
subito in terapia intensiva, ho avuto però l’appoggio del Comune, che mi ha aiutato con il latte, che costava tanto, mi hanno
aiutato con i pannolini, perché io avevo il permesso di salute,
non avevo il permesso di lavoro, abbiamo sofferto quattro anni
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
RELAZIONE SULLE INTERVISTE BIOGRAFICHE
senza permesso, il Comune mi ha aiutato per questo figlio, per
riprendersi» (interv. 7).
Nei rapporti con i servizi del pubblico e del “privato sociale”,
emerge la funzione strategica della relazione umana:
«Guardi io sono seguito dai centri sociali e le posso dire solo
una cosa, ho trovato un’accoglienza buonissima, ho avuto qualche piccolo problema ma poi si è risolto, magari perché non
conoscevo la persona, non mi fidavo, perché io sono un tipo
malfidato, io so’ capricorno, so’ un tipo un po’ malfidato, che
io prima di potermi fidare di una persona la devo conoscere»
(interv. 6).
Valutazioni particolarmente positive vanno alla Caritas: di essa
si apprezza soprattutto l’efficienza (dove non arriva il pubblico giunge la Caritas) e, ancora di più, la “personalizzazione” del sostegno,
cioè la capacità di aiutare l’utente riconoscendolo come persona.
«A me non ha aiutato mai nessuno; solo la signora Silvana, della Caritas, mi ha aiutato; per me, che non ho nessuno, è come
una figlia; oggi ho dovuto fare l’abbonamento per il pullman, e
lei mi ha aiutato; devo infatti andare sempre alla posta, in farmacia, dal dottore; qualche volta ci va proprio Silvana a farmi
queste cose. Il Comune non mi ha aiutato niente, (…) ci sono
solo due pullman che andavano al cimitero, e [il sindaco] ne ha
tolto uno, quello che andava fino in fondo al cimitero, dove c’è
mio marito; per andarci, adesso, devo pagare una macchina,
altrimenti cado, mi faccio male, non ce la faccio più alle gambe
(…). [Silvana] è come fosse una figlia per me, perché non ho
nessun altro (…). Ieri sono andata all’ospedale, per fare una
visita, visto che sto male, e al cimitero, e mi ha accompagnato la
57
Dossier 2005
PAOLO MONTESPERELLI
signora Silvana; quella sì che mi aiuta; se no mi aiutano solo il
Signore e la Madonna» (interv. 1).
«M’ha aiutato molto Giuliana, io sono venuto sempre qui alla
Caritas, ho trovato un’accoglienza che, guardi glielo dico sinceramente, non perché stiamo facendo un’intervista, ho trovato
un’accoglienza che sono rimasto meravigliato, cioè delle persone sensibili, delle persone che hanno preso a cuore il problema, che mi hanno aiutato, specialmente nei momenti difficili,
che non c’avevamo niente. In più con questa malattia, guardi io
la considero come una sorella, quando gli ho detto questo penso
di aver detto tutto, c’è un ottimo rapporto sia con lei e anche
con gli operatori che stanno qui» (interv. 6).
58
D.: « Da [grande città italiana] sei venuto subito qui a [cittadina umbra]?»
R.: «A [stessa cittadina umbra] non mi ricordo girato un giorno così io girato suonato campanelli, citofoni a gente vende la
roba, dopo sbagliato suonato alla caserma carabinieri, io scappato ma maresciallo chiamato “Ehi marocchi’ vieni qua!” dopo
chiappato».
D.: «Dopo quanti giorni che stavi a [stessa cittadina umbra] è
successo questo? »
R.: «Un giorno».
D.: «Ah! Un giorno velocissimo! »
R.: « Loro controllato subito»
D.: « Che documenti avevi? »
R.: «Nessun documento … anche loro chiesto un documento»
D.: «E ti hanno accompagnato subito in Caritas o sei rimasto
in caserma? »
R.: « No rimasto fanno la foto, ‘ste cose, poi chiamato giù la
Caritas, poi chiamato il parroco, poi chiamato Giuseppe poi
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
RELAZIONE SULLE INTERVISTE BIOGRAFICHE
portato qui tutto fradicio, l’acqua quel giorno c’era temporale
il vestito tutto gocce».
D.: « E quindi sei stato ospitato qui in Caritas»
R.: «Sì, trovo benissimo» (interv. 13).
Un fatto significativo è che gli intervistati, pur in condizioni di
difficoltà seria, non accettano un ruolo passivo di “assistito” e si
trasformano in persone che agiscono attivamente a favore di altri.
Negli immigrati è frequente il proposito di “mandare i soldi a
casa”, anche a costo di gravi sacrifici.
«Siamo solo noi, ha i genitori di mio marito in [Paese dell’Est]
che tocca sempre aiutare perché hanno una pensione minima, non
basta a comprare neanche …. Cerchiamo di aiutare un pochino,
ma è dura, perché con un solo stipendio è dura» (interv. 7)
Ma l’aiuto non resta circoscritto entro limiti “familistici”. Molte
volte gli intervistati raccontano il loro impegno sociale e solidaristico
a favore di altre persone del tutto estranee alla famiglia, come se la
propria condizione di poveri acuisse la sensibilità verso altri soggetti partecipi della stessa condizione di disagio.
«Le medie lo ho fatte in [regione del Sud] in collegio. No, mi
è anche piaciuto, non è che era un collegio rigido anzi, io poi
anche da piccola ho sempre aiutato gli altri anche in collegio c’erano bambini che avevano più difficoltà de me, io li
ho sempre aiutati, infatti dopo ho sempre fatto volontariato»
(interv. 9).
59
«Ho cercato anche di fare la mediatrice con l’Asl, che farà un
progetto ad ottobre; già abbiamo fatto la prima esperienza di
corso di parto per donne arabe; un buon corso, tutto a posto;
Dossier 2005
PAOLO MONTESPERELLI
così questo il rapporto con l’Asl ed ecco perché mi hanno chiesto di fare la mediatrice» (interv. 3).
«Adesso vedo altre famiglie che ogni giorno si rivolgono ai servizi sociali per chiedere aiuto; io li accompagno e faccio da
mediatore tra loro, con i vari problemi, e i servizi stessi; queste
persone hanno infatti difficoltà nella lingua; non vorrebbero dire
i loro problemi privati, ma non potendosi esprimere in altro modo,
per necessità, parlano con me che faccio da mediatore, per chiedere aiuto e fare intervenire gli assistenti sociali» (interv. 11).
«I miei figli stanno bene, mio marito sta bene, è meglio lasciare
agli altri che può darsi hanno problemi più di me, perché se
dopo qui [in un servizio di assistenza] aiutano tante persone,
poi può darsi che non hanno per tutti» (interv. 7).
«Siamo sempre stati una famiglia con tanti problemi ma abbiamo sempre aiutato gli altri» (interv. 9).
Non sappiamo quanto questo impegno attivo sia mosso esclusivamente da un senso di solidarietà; o se, accanto a questa spinta
etica, si muova anche il desiderio di “accreditarsi” agli occhi della
società, di mostrare una “immagine del sé” svincolata dallo stereotipo
del “marginale assistito”. Né è da escludere – a nostro avviso – la
tendenza a individuare soggetti ancora più marginali, proprio per
evitare di auto-collocarsi negli strati più bassi della società.
60
«Cerchiamo di aiutare tutti, cercando di dare una mano; per
esempio noi siamo qui stranieri, ai poveri che sono in [Paese
dell’Est], noi qui per gli italiani siamo poveri, ma gli altri
che sono rimasti in [Paese dell’Est] sono più poveri di noi»
(interv. 7)
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
RELAZIONE SULLE INTERVISTE BIOGRAFICHE
Le prospettive future
Quando gravano la carenza di relazioni, la precarietà della posizione lavorativa, le difficoltà d’inserimento, allora il ‘futuro’ è un concetto non considerato e un termine che suscita un velo di sarcasmo.
«Quale futuro ? Vivo da sola» (interv. 1)
«Dico che ho paura del futuro, ma lo affermo con il sorriso sulla bocca» (interv. 4).
La negatività dell’esistenza, che si riverbera in mille episodi quotidiani, è talmente gravosa da impedire qualunque prospettiva. Ne
consegue la sensazione di restare schiacciati sotto il peso della propria irreversibile condizione.
«Fino adesso ho cercato, ma non trovato una donna che mi faccia compagnia e assistenza, anche perché se comincio a pagare
una 7-8 ore, non mangio io; quindi che lo faccio a fare; mi manca
tutto; ho fatto l’abbonamento per il pullman, altrimenti come faccio ad andare in farmacia, dal dottore, alla posta; l’abbonamento
è aumentato 5 euro; aumenta tutto; ho pagato i due loculi al cimitero quasi 11 milioni (delle vecchie lire); il marito mi chiese, la
notte prima di morire, di fargli una bella cassa; e l’ho fatto, mica
potevo tenere i soldi sotto terra; ma al cimitero non ci posso andare per colpa del sindaco e del Comune, che ringrazio [si lamenta della soppressione di autobus]; che vita! Se il Signore mi
levasse dal mondo, quanto sarei contenta!» (interv. 1)
«Questa inquietudine interiore, perché è tutto lì quello che mi
turba, il fatto di non avere una sicurezza economica stabile, non
avendo un titolo superiore di studi, ovviamente o fai la domestica, o
fai l’inserviente» (interv. 12).
Dossier 2005
61
PAOLO MONTESPERELLI
Per alcuni il timore è di cadere più in basso, di peggiorare la
propria condizione.
«Se dal bene scendi al male, questo non si sopporta, speriamo
che andiamo meglio ogni giorno» (interv. 7).
Altre volte il futuro è “a breve raggio”: si riduce alla speranza di
trovare presto un lavoro, o di limitare gli effetti più negativi della
vecchiaia.
«Nel futuro immediato, le agenzie interinali studieranno per trovarmi un lavoro che non sia molto pesante dal punto di vista fisico; io non ce la faccio, infatti, a sostenere una cosa pesante; non
posso, poi, lavorare fuori, sempre a causa di problemi fisici. Tornando al futuro, un po’ mi fa paura, come penso a tutti» (interv. 4)
Varie volte questa speranza si alimenta di un richiamo religioso,
più forte della fiducia verso gli uomini.
«Mi aiutano solo il Signore e la Madonna» (interv. 1).
«Speriamo di prendere un appartamento, dove non si paga un
affitto troppo alto, dal comune, o da qualcosa o qualcun’altro
che ci aiuta; e piano, piano, così; adesso è un pochettino un casino, però grazie a tutti e grazie a Dio, piano, piano…» (interv. 2).
62
«Se il Signore mi levasse dal mondo, quanto sarei contenta!»
(interv. 1).
«Io avevo portato un mazzo di rose rosse che mi avevano regalato alla Madonna delle Grazie che quel giorno mi ha fatto la
grazia» (interv. 9).
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
RELAZIONE SULLE INTERVISTE BIOGRAFICHE
Altri intervistati, invece, sembrano riporre la speranza sulle proprie capacità, sulla forza di volontà che li anima.
«Devi essere anche te stessa a pensare che la cosa piano piano
si evolverà, però non è una questione di pensarlo e basta, è una
questione anche di buona volontà e di savoir fare, di saper fare
con le proprie capacità quello che uno riesce a ottenere tramite le
proprie capacità, il modo di fare, perché io da parte mia c’ho una
gran volontà quindi di realizzarmi perché quello è tutto il concetto chiave proprio» (interv. 12).
In conclusione, l’immagine del futuro è sfumata, vaga, incerta.
Non appare mai un progetto preciso, un nesso razionale fra un
obiettivo e i mezzi per raggiungerlo; probabilmente le condizioni
di vita sono tali da impedire questa razionalità. Prevalgono i timori per il domani o, altrimenti, una fiducia molto generica verso il
futuro.
Sono sostanzialmente tre gli attori che si muovono dentro questo
scenario di vaghe previsioni o di flebili attese. Il primo è rappresentato dalla “società”, l’entità descritta nei termini più anonimi: ma la
società è anche una collettività spesso estranea, che concorre con il
destino di emarginazione a cui sembra condannato l’intervistato
stesso.
Il secondo è il Dio consolatore, benevolo e misericordioso verso
i deboli. Nelle interviste non appaiono però i riferimenti al Dio liberatore, che riscatta gli oppressi dall’ingiustizia.
Il terzo attore è l’intervistato stesso, come singolo, con i suoi
timori e le sue speranze, coltivate comunque entro lo spazio della
soggettività individuale: manca il rinvio alla “polis”, alla
corresponsabilità di una comunità, ai movimenti collettivi, alle dinamiche sociali.
Dossier 2005
63
PAOLO MONTESPERELLI
Due casi tipici
64
Fin qui, per analizzare ciascuna intervista, abbiamo isolato alcuni brani, che ci parevano più significativi; e li abbiamo accostati ad
altri stralci, provenienti da interviste diverse, per commentarli. Questa
procedura, fondata sulla comparazione, offre alcuni vantaggi, ma
ha il limite di “frammentare” ciascuna narrazione.
Per cercare di superare questo limite, abbiamo individuato due “casi
tipici”, le cui interviste sono integralmente riportate in Appendice (intervista del Centro di ascolto della diocesi di Foligno e del Centro di
ascolto della diocesi di Perugia - Città della Pieve). In tal modo abbiamo restituito alle due narrazioni la loro organicità.
Si tratta di “casi tipici” perché la loro autobiografia riassume, in
un insieme unico e coerente, gli elementi che abbiamo individuato
qua e là durante la nostra ricognizione sulle interviste.
In altre parole, ci paiono due biografie molto nitide, che rendono
particolarmente vividi ed evidenti i processi di impoverimento, la
condizione di disagio e – soprattutto – le relazioni fra tutti questi aspetti.
La prima intervista è ad una donna emigrata dall’Europa dell’Est. Malgrado risieda da molti anni in Italia, leggendo il suo trascritto colpiscono subito le difficoltà linguistiche, un mix fra “italiano colloquiale” e inflessioni dialettali umbro-centrali, un ibrido stentato e talvolta difficilmente comprensibile che ci pare il sintomo di
un’integrazione molto parziale. E comunque questa difficoltà ad
esprimersi, anche se supplita da una notevole vivacità espressiva,
può costituire a sua volta un ulteriore fattore di esclusione sociale.
Il racconto tocca molti temi di un lungo e travagliato percorso,
che parte dalle condizioni misere della famiglia: la fame viene giudicata dall’intervistata peggiore perfino della guerra, che pure sconvolge la sua vita e quella dei suoi familiari. Lei, il marito e i figli
sono costretti a scappare, il viaggio in Italia è particolarmente disagevole; giunti nel nostro Paese, la loro condizione di clandestini li
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
RELAZIONE SULLE INTERVISTE BIOGRAFICHE
sottopone a una serie di ricatti, soprattutto da parte di alcuni datori
di lavoro. Uno dei temi ricorrenti in questa narrazione è proprio la
condizione lavorativa, dura quanto costantemente precaria. A ciò si
aggiunge il terremoto del ’97 in Umbria, con ulteriori conseguenze
negative. Il racconto termina descrivendo la fase attuale di tensione
fra la nostalgia, l’amore per il Paese di origine; e la convinzione –
nei figli ancora più ferma – che comunque è meglio restare in Italia.
La seconda intervista riguarda una donna italiana. Nel suo racconto
si dipanano le molteplici forme di povertà sue e dei suoi familiari: povertà “materiali” e “immateriali”; “vecchie” (indigenza economica,
basso livello d’istruzione, precarietà lavorativa, alcolismo) e nuove
(tossicodipendenza, instabilità familiare, etc.). Inoltre in questa narrazione ritroviamo sia le origini familiari della povertà, sia ulteriori “eventi
scatenanti”: la morte, la malattia, la separazione dal coniuge, etc.
In questa intervista ci paiono ugualmente significativi gli atteggiamenti di “intervento attivo” nella propria realtà: la forza di volontà che trae alimento dall’amore per i figli; l’esperienza (pur indiretta) di tossicodipendenza che la sprona verso un impegno nel
volontariato, etc.
Un’ultima osservazione. Spesso, anche nel linguaggio comune, i
poveri vengono definiti “soggetti deboli”. Sempre sulla scorta di
queste interviste, possiamo confermarlo ma precisando il significato di tale espressione: sono soggetti “deboli” non perché privi di
forza, di impegno, di volontà, di relazioni di (mutuo) aiuto; spesso
lo sono per la mancanza di risorse iniziali (reddito familiare, istruzione, etc.), o quando sono carenti le istituzioni; ma queste persone
sono ulteriormente “indebolite” soprattutto da altri (per esempio,
dai datori di lavoro) che si impongono come profittatori.
L’insieme di questi elementi delinea la povertà come una nuova
“questione sociale” con radici sociali profonde e non semplicemente come un costo casuale, lieve e marginale da pagare allo sviluppo
della società.
Dossier 2005
65
PAOLO MONTESPERELLI
DATI SULLE INTERVISTE
Intervista n. 1
Assisi_CVS_Signora1_051005
Regione: Umbria
Diocesi: Assisi-Nocera Umbra
Intervistatore: Massimo Mandrelli
Comune: Assisi
Data: 2005/10/05
Sesso: F
Nazionalità: Italiana
Tipologia familiare: Vedova
Dipendenza da sostanze: NO
Patologia psichica: NO
Altri segni particolari: NO
Descrizione segni particolari: segni d’impazienza per scarsa disponibilità temporale
Tipologia utente: Utente
Attendibilità informazioni: Del tutto
66
Intervista n. 2
Assisi_CVS_Signore1_051005
Regione: Umbria
Diocesi: Assisi-Gualdo-Nocera Umbra
Intervistatore: Massimo Mandrelli
Comune: Assisi
Data: 2005/10/05
Sesso: M
Nazionalità: Straniera
Tipologia familiare: In nucleo con propri familiari o parenti
Dipendenza da sostanze: NO
Patologia psichica: NO
Altri segni particolari: NO
Descrizione segni particolari:
Tipologia utente: Utente
Attendibilità informazioni: Abbastanza
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
RELAZIONE SULLE INTERVISTE BIOGRAFICHE
Intervista n. 3
Città di Castello_CdAdioc_Signora1_280905
Regione: Umbria
Diocesi: Città di Castello
Intervistatore: Massimo Mandrelli
Comune: Città di Castello
Data: 2005/09/28
Sesso: F
Nazionalità: Straniera
Tipologia familiare: In nucleo con propri familiari o parenti
Dipendenza da sostanze: NO
Patologia psichica: NO
Altri segni particolari: NO
Descrizione segni particolari:
Tipologia utente: Utente
Attendibilità informazioni: Del tutto
Intervista n. 4
Città di Castello_CdAdiocSignore1_280905
Regione Umbria
Diocesi: Città di Castello
Intervistatore: Massimo Mandrelli
Comune: Città di Castello
Data: 2005/09/28
Sesso: M
Nazionalità: Italiana
Tipologia familiare: Scelta di vita autonoma/single
Dipendenza da sostanze: NO
Patologia psichica: NO
Altri segni particolari: SI
Descrizione segni particolari: l’intervistato, in alcuni momenti, mostrava evidenti segni di disagio accompagnati da colpi ritmici inferti
con i piedi sul tavolo
Tipologia utente: Utente
Attendibilità informazioni: Abbastanza
Dossier 2005
67
PAOLO MONTESPERELLI
Intervista n. 5
Foligno_CdAdioc_Signora1_130705
Regione: Umbria
Diocesi: Foligno
Intervistatore: Massimo Mandrelli
Comune: Foligno
Data: 2005/07/13
Sesso: F
Nazionalità: Italiana
Tipologia familiare : In nucleo con propri familiari o parenti
Dipendenza da sostanze: NO
Patologia psichica: NO
Altri segni particolari: NO
Descrizione segni particolari:
Tipologia utente: Utente
Attendibilità informazioni: Del tutto
68
Intervista n. 6
Foligno_CdAdioc_Signore1_130705
Regione: Umbria
Diocesi: Foligno
Intervistatore: Massimo Mandrelli
Comune: Foligno
Data: 2005/07/13
Sesso: M
Nazionalità: Italiana
Tipologia familiare : Famiglia di fatto (coppia non sposata, con o senza
figli)
Dipendenza da sostanze: NO
Patologia psichica: NO
Altri segni particolari: NO
Descrizione segni particolari:
Tipologia utente: Utente
Attendibilità informazioni: Del tutto
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
RELAZIONE SULLE INTERVISTE BIOGRAFICHE
Intervista n. 7
Gubbio_CdAdioc_Signora1_011005
Regione: Umbria
Diocesi: Gubbio
Intervistatore: Massimo Mandrelli
Comune: Gubbio
Data: 2005/10/01
Sesso: F
Nazionalità: Straniera
Tipologia familiare : In nucleo con propri familiari o parenti
Dipendenza da sostanze: NO
Patologia psichica: NO
Altri segni particolari: NO
Descrizione segni particolari:
Tipologia utente: Utente
Attendibilità informazioni: Del tutto
Intervista n. 8
Gubbio_CdAdioc_Signore1_011005
Regione: Umbria
Diocesi: Gubbio
Intervistatore: Massimo Mandrelli
Comune: Gubbio
Data: 2005/10/01
Sesso: M
Nazionalità: Straniera
Tipologia familiare : Straniero, con famiglia nel paese di origine
Dipendenza da sostanze: NO
Patologia psichica: NO
Altri segni particolari: NO
Descrizione segni particolari:
Tipologia utente: Utente
Attendibilità informazioni: Del tutto
69
Dossier 2005
PAOLO MONTESPERELLI
Intervista n. 9
Perugia_Cdadioc_Signora1_081005
Regione: Umbria
Diocesi: Perugia-Città della Pieve
Intervistatore: Massimo Mandrelli
Comune: Perugia
Data: 2005/10/08
Sesso: F
Nazionalità: Italiana
Tipologia familiare : Famiglia di fatto (coppia non sposata, con o senza
figli)
Dipendenza da sostanze: NO
Patologia psichica: NO
Altri segni particolari: NO
Descrizione segni particolari:
Tipologia utente: Utente
Attendibilità informazioni: Abbastanza
70
Intervista n. 10
Perugia_CdAdioc_Signore1_081005
Regione: Umbria
Diocesi: Perugia-Città della Pieve
Intervistatore: Massimo Mandrelli
Comune: Perugia
Data: 2005/10/08
Sesso:
Nazionalità: Straniera
Tipologia familiare : Straniero, con famiglia nel paese di origine
Dipendenza da sostanze: NO
Patologia psichica: NO
Altri segni particolari: NO
Descrizione segni particolari:
Tipologia utente: Utente
Attendibilità informazioni: Del tutto
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
RELAZIONE SULLE INTERVISTE BIOGRAFICHE
Intervista n. 11
Spoleto_Cdadioc_Signora1_270905
Regione: Umbria
Diocesi: Spoleto-Norcia
Intervistatore: Massimo Mandrelli
Comune: Spoleto
Data: 2005/09/27
Sesso: F
Nazionalità: straniera
Tipologia familiare: In nucleo con propri familiari o parenti
Dipendenza da sostanze: NO
Patologia psichica: NO
Altri segni particolari: NO
Descrizione segni particolari:
Tipologia utente: Utente
Attendibilità informazioni: Del tutto
Intervista n. 12
Terni_SMartinoCdAdioc_Signora1_040805
Regione: Umbria
Diocesi: Terni-Narni-Amelia
Intervistatore: Massimo Mandrelli
Comune: Terni
Data: 2005/08/04
Sesso: F
Nazionalità: Italiana
Tipologia familiare: Separata legalmente o di fatto
Dipendenza da sostanze: NO
Patologia psichica: NO
Altri segni particolari: NO
Descrizione segni particolari:
Tipologia utente: Utente
Attendibilità informazioni: Del tutto
71
Dossier 2005
PAOLO MONTESPERELLI
Intervista n. 13
Todi_CdAdioc_Signore1_300905
Regione: Umbria
Diocesi: Todi-Orvieto
Intervistatore: Massimo Mandrelli
Comune: Todi
Data: 2005/09/30
Sesso: M
Nazionalità: Straniera
Tipologia familiare: Famiglia monogenitoriale
Dipendenza da sostanze: NO
Patologia psichica: NO
Altri segni particolari: NO
Descrizione segni particolari: Tipologia utente: Utente
Attendibilità informazioni: Abbastanza
72
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
RELAZIONE SULLE INTERVISTE BIOGRAFICHE
STELLA CERASA
INDAGINE QUALITATIVA
L’IMMIGRAZIONE IN UMBRIA
Soggiorni, provenienze e motivi
Nel comporre il quadro dell’immigrazione in Umbria è importante poterne studiare l‘andamento negli ultimi anni. Analizzando i
dati elaborati dall’equipe del Dossier Statistico Immigrazione Caritas/
Migrantes su fonte ISTAT, si è passati da una presenza di 10.234
immigrati a Perugia e 1.456 unità a Terni nel 1991 ad una presenza
di 24.679 unità a Perugia e 5.249 unità a Terni al dicembre 2002.
Secondo i dati del Ministero degli Interni alla fine del 2003 i
soggiornanti in Umbria erano 43.845 (35.266 a Perugia e 8.579 a
Terni), di cui il 5 3,5% donne.
Per alcune nazionalità la presenza femminile è molto elevata: tra
i cittadini ucraini è del 90%, tra i polacchi del 72,8%, tra i moldavi
del 71,1%, tra russi dell’89%, tra gli equadoregni del 67,1% e del
63,2% tra i peruviani.
Sempre a fine 2003, la comunità albanese è al primo posto in
entrambe e province umbre: 6.474 unità a Perugia e 1.613 a Terni.
Dopo gli albanesi nel capoluogo umbro seguono i cittadini del Marocco con 4.525 presenze e i cittadini della Romania con 3.366 presenze. A Terni al secondo posto troviamo la comunità romena con
1.599 presenze e la comunità ucraina con 1.074 unità.
Dossier 2005
73
STELLA CERASA
Nelle nazionalità sopra elencate si possono notare i cambiamenti
conseguenti all’ulti ma regolarizzazione, con l’ingresso di molti cittadini dell’Europa dell’Est.
I dati sui soggiornanti del 31 dicembre 2003, consentono anche
di analizzare i motivi delle presenze in regione: 26.063 hanno un
soggiorno per lavoro dipendente (59,4%), 1.495 per lavoro autonomo (3,4%), mentre il costante aumento dei ricongiungimenti familiari ha portato a 11.128 (25,4%) il numero dei permessi di soggiorno per motivi familiari.
Il numero dei permessi di soggiorno per studio è di 1.884 unità
(4,3%): molti di questi sono di cittadini stranieri che arrivano in Umbria
per frequentare i corsi dell’Università per Stranieri, I soggiornanti per
motivi religiosi sono 792 (1,8%) e comprende sia perso ne consacrate
che vivono in ordini religiosi in Umbria sia membri di congregazioni
religiose che vengono in Umbria per studiare a lingua italiana.
Al fine di conoscere il numero dei soggiornanti nel 2004, sono
d’aiuto le stime pro dotte dall’équipe del Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes. Sommando ai dati aggiornati al dicembre 2003 i nuovi ingressi, calcolati in base ai visti concessi nel 2004
per motivi di inserimento stabile in Italia, e il numero di minori
presenti nel per messo di soggiorno dei genitori o nati nel 2004,
risultano presenti in Umbria 56.385 stranieri regolarmente presenti,
di cui 45.339 a Perugia e 11.046 a Terni; di essi 10.539 si calcola
essere minori (8.436 a Perugia e 2.103 a Terni), con una incidenza
del 18,7% sulla popolazione straniera complessiva (un punto in più
rispetto alla media nazionale).
74
Il lavoro degli immigrati
L’attività degli sportelli di orientamento al lavoro delle otto Caritas
diocesane e la collaborazione con i Centri per l’impiego delle due
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
L’IMMIGRAZIONE IN UMBRIA
Province, con i sindacati e con alcune agenzie interinali, consente
di acquisire, nell’operatività dell’accoglienza quotidiana, informazioni utili per definire il quadro del mercato del lavoro nella nostra
Regione.
Agli sportelli della Caritas pervengono anche quelle richieste di
lavoro che prevedono anche la coabitazione dell’immigrato o nelle:
l’84% delle richieste riguarda il lavoro in famiglia per la cura alla
persona, lavori domestici e soltanto in bassa percentuale l’attività di
baby-sitter. Sono in aumento le proposte di lavoro in case di riposo
private. Alcune richieste vengono assoggettate a verifica e vengono
prese in considerazione solo dopo aver verificato la validità della
struttura. In ogni modo, emerge ancora una volta il binomio anziani-immigrati, una realtà da tenere sotto stretta osservazione.
Il lavoro degli immigrati, secondo il rapporto annuale dell’Agenzia Umbra Lavoro (AUL) “Il mercato del lavoro in Umbria”, si inserisce in un contesto che vede nel 2004 una crescita occupazionale
di 10.000 unità; si è passati, infatti, dai 330.000 addetti del 2003 ai
340.000 deI 2004, con una diminuzione della disoccupazione di 2.000
unità.
Secondo il rapporto annuale AUL la crescita occupazionale umbra
(2,8%) è quattro volte superiore alla media nazionale; confrontando
i dati regionali, l’Umbria si trova al secondo posto dopo il Lazio. È
in aumento anche la forza lavoro: dalle 353.000 unità del 2003 si è
arrivati a 360.000 del 2004, con una crescita del 2%, un incremento
che fa collocare l’Umbria al quarto posto dopo il Lazio, le Marche e
la Lombardia.
Il rapporto dell’AUL sottolinea anche che, nonostante la crescita
della popolazione in età compresa tra i 15 e i 64 anni, vi è stato solo
un incremento di mezzo punto del tasso di occupazione, passato al
61,4%, e vi è stato il mantenimento del tasso di attività al 65,2%. Il
tasso occupazionale umbro, secondo l’equipe di lavoro dell’AUL si
colloca al 100 posto, ben lontano dal tasso di regioni come l’Emilia
Dossier 2005
75
STELLA CERASA
76
Romagna, il Trentino Alto Adige e la Valle d’Aosta, ma a meno di
due punti da quello della Toscana e del Piemonte e a un punto da
quello del Friuli Venezia Giulia.
All’interno del quadro occupazionale è sempre più frequente il
ricorso a manodopera straniera: secondo i dati INAIL/DNA, nel 2004
vi sono state in Umbria 13.236 assunzioni di lavoratori non comunitari a tempo indeterminato, di cui 10.532 a Perugia (1.519 in agricoltura, 3.889 nell’industria, 2.941 nei servizi, 2.183 in altre attività
non determina te) e 2.704 a Terni (314 in agricoltura, 948 nell’industria, 808 nei servizi e 634 in attività non determinate).
Secondo il rapporto AUL l’utilizzo di manodopera di lavoratori
stranieri per la mancanza di manodopera autoctona è in aumento e
la sua incidenza è salita al 23% nel 2004, contro il 16% del 2003 e il
14% del 2002: nei primi posti si trovano professioni non qualificate
ma sono in aumento negli anni anche le professioni più qualificate.
Un quinto della domanda di meccanici artigianali, di carpentieri e
di cuochi è soddisfatta ricorrendo a lavoratori stranieri e un sesto è
soddisfatto da lavoratori stranieri con qualifica di operatori di macchine utensili, di autisti, di ebanisti, di montatori, di carpenteria
metallica, di attrezzisti e di idraulici.
Il rapporto AUL evidenzia come tra le assunzioni di cittadini stranieri l’incidenza degli avviamenti di stranieri sul totale delle
assunzioni tra le prime 50 categorie professionali è del 25,6% per
gli uomini e del 19,8% per le donne.
Un altro elemento che emerge dal rapporto AUL sul lavoro degli
stranieri è che tra le prime 10 categorie professionali troviamo 80%
di tutte le assunzioni: analizzando tali dati emerge come solo nelle
prime tre categorie professionali troviamo concentrati il 63% degli
avviamenti di lavoratori stranieri, il 33,5% come manovali e altro
personale non qualificato dell’industria, il 16,4% come braccianti
agricoli e il 13,7% come collaboratori domestici. il 73,1% delle domande di lavoro che occupano i lavoratori stranieri uomini, si tro-
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
L’IMMIGRAZIONE IN UMBRIA
vano nelle quattro categorie della manovalanza industriale e agricola e del muratore e manovale dell’edilizia.
L’equipe dell’AUL rileva al primo posto delle assunzioni di manodopera straniera femminile le collaboratrici domestiche, che sono
circa un terzo di tutte le assunzioni di donne straniere, seguono poi
il manovale dell’industria e il bracciante agricolo.
La tipologia di lavoro che prevede la convivenza nelle famiglie è
da porre al centro di attente riflessioni: tale modalità lavorativa ha
cambiato la percezione della malattia, del l’assistenza e della cura
alla persona. La Caritas Regionale, in collaborazione con la Cisl,
sta proponendo ai servizi un approccio integrato di assistenza considerato che un unico un unico lavoratore non può occuparsi 24 ore
su 24 di una persona sola o di un malato se non con serio pregiudizio della sua salute mentale: nel reparto psichiatrico della ASL di
Perugia sono ricoverate continuamente donne straniere che vengono lasciate sole presso anziani molto malati senza nessun altra persona a cui poter fare riferimento. È necessario, perciò, attivare un
sistema con almeno due persone che si alternino tra loro e che l’ente
pubblico provvede ad un’integrazione economica, oppure preveda
un consistente monte ore di assistenza domiciliare da unire all’attività di un unico lavoratore. Un sistema integrato andrebbe a favorire la qualità di un rapporto di lavoro così particolare e tutelerebbe
entrambi i soggetti.
Dopo l’ultima regolarizzazione e dopo la deludente esperienza
del gennaio 2004 e del febbraio 2005 delle quote dei nuovi ingressi
di immigrati, assegnate purtroppo all’Umbria in maniera irrisoria,
la manodopera non regolare è andata aumentando: parliamo soprattutto di cittadini provenienti dall’Europa dell’Est, che riponevano
speranze per l’ingresso del loro paese nella Comunità Europea, impossibile quantificare tale fenomeno eppure diversi segnali fanno
riflettere. Alcuni imprenditori edili sono stati denunciati per l’utilizzo di manodopera clandestina e due infortuni sul lavoro sono
Dossier 2005
77
STELLA CERASA
emblematici. Nel primo caso un cittadino del Marocco dopo una
caduta da una impalcatura non è stato soccorso perché creduto morto. Nel secondo caso un cittadino della Romania è stato lasciato in
fin di vita dentro il furgone di un sacerdote. Quest’ultimo episodio,
esposto agli inquirenti e all’opinione pubblica come una rissa tra
immigrati, è stato invece un infortunio avvenuto in un cantiere e
alla vittima sono stati cambiati gli abiti da lavoro per depistare l’inchiesta.
Scuola e istruzione
78
L’immigrazione è un fenomeno che abbiamo rincorso in più occasioni, presi ogni volta da nuove emergenze, da nuovi arrivi, da
nuove situazioni e non siamo riusciti a capirne in tempo reale le
caratteristiche. Per più di dieci anni abbiamo pensato ai “singoli” da
accogliere uomini o donne che fossero. Insieme ai servizi sociali
non abbiamo pensato ad un’immigrazione di famiglie. La scuola si
è dovuta organizzare velocemente per far fronte all’inserimento scolastico dei minori stranieri.
Nell’anno scolastico 2003-2004, secondo i dati del MIUR, gli
alunni stranieri sono stati 6.260 a Perugia e 1 .368 a Terni. Gli alunni iscritti nelle scuole del Centro Italia sono stati 15.256, di questi
quasi la metà si trovano in Umbria concentrati soprattutto nella Provincia di Perugia. In Umbria gli alunni stranieri appartenenti alla
comunità Europea sono un numero limitato: 176 a Perugia e 42 a
Terni. Elevata in entrambi i capoluoghi di provincia è la presenza di
alunni stranieri appartenenti ai paesi non-UE: 3.210 a Perugia e 929
a Terni.
Gli alunni iscritti nelle scuole di Perugia sono così distribuiti:
1.569 appartengono a paesi dell’Africa, 1.022 provengono dall’America, 274 sono asiatici e 9 sono apolidi. Nelle scuole di Terni gli
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
L’IMMIGRAZIONE IN UMBRIA
alunni sono così distribuiti: 98 Africa, 132 America, 167 Asia. Di
tutti gli iscritti dei diversi continenti 2.978 a Perugia e 646 a Terni
sono femmine, per un totale di 3.624 unità.
Molte delle difficoltà nell’inserimento degli alunni stranieri nelle scuole sono sicuramente dovute all’elevato numero di nazionalità diverse: si possono contare 109 nazionalità a Perugia e 63 a Terni.
Secondo i dati forniti dal MIUR la nazionalità con più alunni iscritti
è, sia a Terni che a Perugia, l’Albania con una percentuale rispettivamente del 26,3% e del 30%.
Gli alunni con cittadinanza non italiana negli ultimi 20 anni in
tutta Italia sono passati da 6.104 dell’anno scolastico 1983-1984 ai
282.683 dell’anno scolastico 2003-2004, con un’incidenza sul totale della popolazione scolastica passata dall’0,l% al 3,5%. In questo
panorama nazionale, Perugia si colloca al 130 posto tra le Province
italiane con la più elevata consistenza numerica di alunni con cittadinanza non Italiana: tale graduatoria vede al 10° posto Bologna,
all’ 11° posto Modena e al 12° posto Genova.
L’inserimento nelle scuole dei minori stranieri è stato al centro
del lavoro d’informazione degli sportelli per immigrati delle Diocesi umbre. Fino a 2-3 anni fa era difficile far capire ai genitori che i
loro figli dovevano andare a scuola, anche se la famiglia non era in
regola con il permesso di soggiorno: parallelamente a questo lavoro
si è cercato in ogni modo di regolarizzare la presenza dei genitori in
Italia. All’occorrenza si consiglia agli immigrati, aiutandoli economicamente, di far ritorno nel loro paese per rientrare nuovamente in
Italia nell’ambito delle quote o per ottenere un permesso per ricongiungimento familiare.
79
Dossier 2005
L’INNOVAZIONE DEL WELFARE IN UMBRIA
MARCELLO RINALDI
L’INNOVAZIONE DI WELFARE IN UMBRIA
L’analisi e la verifica del percorso degli ultimi quattro anni delle
politiche di welfare dell’Umbria ha avuto il suo culmine, anche istituzionale, in un convegno all’inizio del 2005. Allo scadere del periodo 2001-2004 che ha visto l’impegno per l’attuazione del Piano
sociale regionale nel solco della legge 328/00, e nella fase
propedeutica alla redazione del 2° Piano, la Regione ha scelto di
fare una pubblica “rendicontazione sociale”, attraverso un Convegno aperto dal titolo esplicativo: “L’innovazione di welfare in
Umbria. Verso il Secondo Piano sociale regionale”. Le riflessione
che seguono traggono lo spunto dagli atti, dalle comunicazioni e
dagli interventi portati in assemblea.
II Modello umbro di welfare: punti di eccellenza e criticità
Nell’aprire la riflessione sui lavori sociali in corso nella regione
dell’Umbria, molti interventi hanno sottolineato il forte impegno
della Regione per un progetto d’innovazione sociale che, facendo
una semplificazione, si potrebbe sintetizzare nel passaggio “da un
sistema sociale di erogazione al welfare dello sviluppo umano, ad
un sistema di protezione sociale che sappia coniugare i diritti socia-
Dossier 2005
81
MARCELLO RINALDI
82
li non solo sul versante del possesso dei beni, delle prestazioni, ma
sul versante dell’esercizio delle capacità delle persone, di produrre
soluzioni”.
Ciò nella convinzione che in questi anni sono state messe in circolo molte energie, intelligenze ed emozioni, motivazioni ed interessi, anche confliggenti; cioè tutte risorse di cui l’innovazione ha
bisogno, perché pretende risposte a nuove problematicità che non
sono reperibili nel repertorio culturale depositato, pretende risposte
inedite. Per questo l’alimentazione del quadro motivazionale dovrebbe far parte anche in futuro del compito per sostenere il processo di innovazione.
Non basta, infatti, la razionalità strumentale a perseguire obiettivi di sviluppo umano. Il sociale è prevalentemente un ambito di
produzione immateriale dove il prodotto non è immediatamente visibile e dove la qualità di quest’ultimo è affidata alla qualità delle
relazioni.
In questo quadro, la risorsa umana acquista una straordinaria
centralità e non si estrinseca solo attraverso l’azione degli operatori, ma consiste in quella persistenza di reti e norme di reciprocità, di
relazioni e attività su base locale (capitale sociale) che in un clima
di reciproca affidabilità diventano fattori di coesione, di sviluppo di
competenze, fattori di sviluppo umano.
Si può concordare sul fatto che la dimensione comunitaria sia
stato il paradigma elettivo assunto in Umbria per l’innovazione del
suo welfare.
Si devono richiamare due ragioni a sostegno di questo orientamento che rinviano a due grandi sfide della modernità: la sicurezza
e la competitività che sempre più si gioca in termini di sistemi territoriali.
Non intendo per sicurezza quella che investe l’integrità del corpo, oggi prevalentemente percepita e che viene collegata ad una
questione di ordine pubblico. Intendo, invece, quella insicurezza
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
L’INNOVAZIONE DEL WELFARE IN UMBRIA
diffusa che Zigmunt Bauman definisce “incertezza esistenziale”; per
una condizione di imprevedibilità che tocca il corso di vita delle
persone e di interdipendenza a cui ci espone il mondo globalizzato,
mettendo le persone davanti a compiti che non possono essere affrontati e superati individualmente.
La necessità di acquisire il controllo sulle condizioni nelle quali
sia affronta la sfida della vita può essere soddisfatta solo collettivamente.
È a questo livello che emerge il senso della comunità. La comunità che si intende non è il luogo caldo e riparato, ma ha ragione
d’essere come ambito sociale intessuto di comune e reciproco interesse, una comunità responsabile volta a garantire il pari diritto di
essere considerati esseri umani e la pari capacità di agire in base a
tale diritto.
L’altra ragione, sta nei caratteri antropologici stessi dell’Umbria
che giungono a noi fin dalla cultura medievale, una regione fatta di
“luoghi” (M. Auge) dove si simbolizzano relazioni significative,
valori, storia locale; dove il vincolo d’appartenenza è ancora molto
forte; “luoghi” che costituiscono il suo valore aggiunto nella costruzione di un progetto di sviluppo locale che considera il sociale una
componente coessenziale, perché il benessere generale dipende sempre meno dal PIL pro-capite e sempre più dal modo in cui è organizzata la società nei suoi nuclei elementari concreti, insediati sul territorio: città, paesi, dove la gente vive il grosso della propria vita; dal
modo in cui è organizzata la gerarchia delle reti di relazioni che
collegano quei gruppi e quei luoghi (es. il lavoro di un immigrato in
una comunità razzista che lo emargina da luogo a meno benessere
rispetto ad una comunità aperta e tollerante ).
La pluralità di caratteri locali, che costituiscono il nucleo essenziale della microciviltà di un luogo sono, dunque, un fattore strategico dello sviluppo locale che muove lungo la traiettoria delle sue
potenzialità (G. Becattinì).
Dossier 2005
83
MARCELLO RINALDI
84
Queste due grandi sfide (l’insicurezza e la competitivita) possono essere affrontate solo se c’è inclusione sociale e se non c’è spreco di risorse umane.
Da questo punto prospettico il sociale diventa principio regolatore
delle politiche pubbliche e non semplicemente un elemento ad integrazione, come lo è stato per lungo tempo. Queste premesse culturali sono importanti perché hanno orientato le strategie d’intervento. A ciò vanno aggiunte alcune coordinate.
Oggi, c’è un altro paradigma culturale che orienta le politiche
sociali nazionali: è il paradigma del privato dove la centralità della
persona si traduce nel far da sé individualistico, magari sostenuto
da una pratica di trasferimenti. È questa un’opzione che di per sé
non garantisce alla persona di perseguire il proprio progetto di vita,
perché induce a ricercare soluzioni personali a contraddizioni più
grandi, a contraddizioni sistemiche; e questo finisce per lasciare da
sole proprie le persone più deboli.
Il problema che si apre in questa fase per il welfare locale, non si
sostanzia solo in una contrazione delle risorse destinate ad esso, ma
in uno spostamento di asse culturale operato dalla politica nazionale che teorizza l’incompatibilità fra sviluppo e welfare e da cui discende l’attuale politica connotata:
• da una gestione accentrata degli interventi e delle risorse a scapito dell’autonomia decisionale degli Enti Locali, rispetto ad una
programmazione sociale che muove dai bisogni delle popolazioni;
• da un’esaltazione della famiglia come nucleo astratto anziché
come comunità di persone in rapporto solidale ed affettivo come
testimonia, ad esempio, lo scarto fra il vincolo del sostegno alle
coppie di nuova formazione per l’acquisto della prima casa, imposto dal Governo, e la reale domanda proveniente dalla società regionale; da un’enfasi sui trasferimenti monetari a scapito della rete integrata dei servizi (bonus famiglie per scuole private). Da una riduzione delle risorse, in valore assoluto e relativo.
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
L’INNOVAZIONE DEL WELFARE IN UMBRIA
Dal 2000 in poi vi è stato un graduale crescente investimento nel
settore da parte dei Comuni dell’Umbria, ulteriormente alimentato
poi dal Fondo sociale nazionale istituito dalla legge 328 /2000.
Un trend positivo che fa presumere la generalizzazione di
un’acquisizione che considera l’investimento nel sociale come produttivo ai fini di una competitivita del sistema territorio.
Se c’è stata una primavera delle politiche sociali; oggi potremmo parlare di un rischio di tsunami.
In questo scenario nazionale, l’innovazione resta per l’Umbria il
terreno sul quale affrontare la sfida, per non fare con meno risorse
politiche decise da altri.
Il modello umbro
II paradigma comunitario, che impronta la programmazione regionale, trova sviluppo lungo tre direttrici:
1. la dimensione comunitaria territoriale, come messa a valore dei legami sociali fra persone che appartengono allo stesso contesto attraverso un processo di condivisione della programmazione
e della progettazione del sistema dei servizi, con la conseguente
individuazione di sedi e strumenti appropriati per la sua realizzazione;
2. la dimensione collaborativo-partecipativa, intesa come costruzione di un sistema di governo allargato (governance), attraverso pratiche di concertazione/condivisione, formalizzate e finalizzate a corresponsabilizzare tutti i livelli di governo e tutti i soggetti
nel processo decisionale, relativo alla distribuzione e all’investimento
di risorse pubbliche sociali nel territorio dove gli stessi soggetti vivono;
3. la dimensione universalistica e promozionale intesa come
accessibilità al sistema dei servizi, interpretata dagli Uffici della
cittadinanza, ovvero un sociale diffuso sul territorio, in grado di
Dossier 2005
85
MARCELLO RINALDI
interloquire con tutte le forme del disagio mediante la presenza di
una rete di servizi che fa leva sulle capacità e sulle risorse delle
persone, con l’obiettivo di ricostruire e sviluppare il capitale sociale . II capitale sociale rappresenta un patrimonio utile per sé e per gli
altri, perché, come sostiene Robert Putnam, da luogo ad “esternante
positive”, cioè produce effetti benefici anche per coloro che sono
fuori dai reticoli sociali. In Umbria questo compito sembra essere
troppo affidato alla rete degli Uffici della cittadinanza, che dovrebbero operativamente questa dimensione, costituiscono il punto di
eccellenza dell’innovazione sociale in Umbria in quanto riqualificano
l’offerta sociale (non un di più di servizi ma azioni sociali) e
riqualificano il servizio sociale che include il territorio nella costruzione dei processi di risposta, considerandolo un partner attivo. La
pratica dell’operato di questi uffici di cittadinanza rimane tutta da
valutare, anche in relazione al loro “costo” che, ulteriormente, grava sul bilancio sociale.
Lo stato di avanzamento dell’innovazione
86
Nel fare una prima rendicontazione dell’azione regionale rispetto all’innovazione di welfare si può dire che in Umbria l’innovazione non è stata limitata all’introduzione di nuove tipologie di servizio, come variabili di un sistema che resta invariato, ma ha intrapreso una complessiva trasformazione organizzativa del sistema che
riguarda:
• le tipologie di operatori ( costituzione équipe sociali territoriali).
• il modo di fornire le prestazioni (non servizi a domanda ma
microprogettualità come investimento sociale)
• le relazioni con il contesto che i nuovi bisogni e le mutate finalità dell’azione sociale richiedono (sviluppo di forme di
autoproduzione sociale e di cooprogettazione).
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
L’INNOVAZIONE DEL WELFARE IN UMBRIA
I fattori, inoltre, sui quali operare una riflessione di carattere
valutativo riguardano:
• il cambiamento dell’azione sociale, come potenziamento dell’approccio comunitario (quali forme di collaborazione e coprogettazione sviluppate);
• il mutamento dei cardini del sistema come valorizzazione di
una pluralità di attori e di nuovi ruoli (qualificazione del rapporto
con il terzo settore e partecipazione dei soggetti sociali alla funzione sociale pubblica);
• la riqualificazione dell’offerta come investimento sociale a partire dai bisogni e non dalla domanda espressa (servizi innovativi
attivati ).
• la riqualificazione della spesa come acquisizione di strumenti
di verifica di efficienza delle risorse (bilancio sociale).
• il mutamento delle relazioni fra istituzioni, istituzioni e soggetti sociali, come livello di coordinamento e di integrazione delle funzioni e degli interventi fra attori interdipendenti in posizione non
gerarchica.
Nell’esperienza realizzata, in sintesi, si possono segnalare quattro punti di forza:
1. una programmazione territoriale ad elevato impatto sociale grazie al metodo della concertazione/condivisione e ad una
nuova articolazione dei livelli di concertazione, rispetto a quelli già
previsti dalle leggi regionali in materia (L.R. 34/1998 e L.R. 13/2000),
con l’attivazione di appositi Tavoli regionali e territoriali. Ciò ha
significato a livello di principio:
• una democratizzazione del processo decisionale;
• la definizione condivisa, fra Regione e Enti locali, di regole,
strumenti e sedi della programmazione, a partire dall’esperienza
realizzata sul campo che, in tal senso, è stata assunta come principio
regolatore;
Dossier 2005
87
MARCELLO RINALDI
88
2. la progettazione di una nuova architettura istituzionale e
dei relativi assetti organizzativi a sostegno della ricostruzione della
titolarità politica dei Comuni che si è dispiegata attraverso
• la costituzione degli Ambiti territoriali;
• l’individuazione del Comune capofila;
• l’attivazione di strumenti di supporto alla programmazione di
Ambito quali gli Uffici di Piano di zona e il Promotore sociale (anche se i criteri di selezione di quest’ultimo sembrano tutt’altro che
trasparenti);
• la riappropriazione delle deleghe conferite alle Aziende ASL;
• la gestione associata delle funzioni e delle risorse a scala di
Ambito attraverso lo strumento della Convenzione rinunciando a
forme pesanti di interposizione gestionale fra l’Istituzione rappresentativa e i cittadini, in coerenza con un’idea di sussidiarietà.
3. l’investimento nelle risorse professionali quale fattore strategico per la riqualificazione e l’innovazione del sistema
• con l’introduzione di figure dedicate al coordinamento della pianificazione zonale, quale il Promotore sociale in ogni Ambito territoriale.
• con l’istituzione dell’equipe sociale territoriale multiprofessionale, dove, ad esempio, trova collocazione l’operatore della comunicazione sociale che interpreta un sistema di funzioni (informazione/comunicazione/promozione).
La scelta della Regione di prevedere ruoli specificatamente destinati al coordinamento, per incardinare la promozione dell’integrazione in professionalità appositamente dedicate, si è rilevata una scelta
efficace e dunque suggerisce l’opportunità di consolidare questa funzione di Ambito incardinandola nei suoi assetti organizzativi, nella
fattispecie negli assetti organizzativi del Comune capofila.
4. lo sviluppo di processi sociali collettivi, attraverso strategie
mirate alla mobilizzazione di risorse sociali e civili, quale patrimonio
civico spendibile nel processo di riqualificazione dei contesti
relazionali.
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
L’INNOVAZIONE DEL WELFARE IN UMBRIA
Le criticità del processo
L’innovazione di welfare è un processo complesso e in quanto
tale non è né unitario né cumulativo, pertanto in modo speculare ai
punti di forza si sono addensate lungo il percorso alcune criticità.
Vorrei segnalare quelle più significative:
a) un’asimmetria del processo che attiene allo sviluppo del “sistema di regolazione sociale”. È stata intrapresa una complessiva
rivisitazione del “pacchetto” normativo riferito ai soggetti del Terzo
settore, manca, però, quel complesso di regole pubbliche necessarie
per la costruzione di un sistema di qualità che riguardano criteri
unitari per
• l’accesso ai servizi
• la compartecipazione alla spesa sociale
• la valutazione dei risultati
• l’autorizzazione e l’accreditamento dei servizi
• il controllo permanente di qualità
In questa asimmetria si insidia il “tarlo” della pratica politica
che, a volte, per perseguire il fine supremo del “consenso” svuota,
dall’interno, il modello stesso del Piano sociale regionale.
b) una disomogeneità dei livelli di funzionalità dell’impianto
istituzionale della programmazione territoriale. A fronte di una architettura che si può considerare a regime in tutti gli Ambiti, si registra una diversa vitalità istituzionale, fra gli ambiti e all’interno dello stesso ambito, sia degli organismi politici che delle strutture tecniche. Ciò costituisce un vincolo allo svolgimento del ciclo della
programmazione che allo stadio attuale significa l’espletamento della
fase valutativa e co-valutativa, allargata alle autonomie sociali. Si
tratta di riflettere su una serie di questioni:
• come ottimizzare il rapporto fra Comune capofila (generalmente
Dossier 2005
89
MARCELLO RINALDI
il più grande) e gli altri Comuni dell’Ambito anche in considerazione della diversa complessità istituzionale degli Ambiti che suggerisce di articolare i modelli gestionali o, in qualche caso, di ripensare
la soglia territoriale ottimale della pianificazione sociale;
• quali modalità di raccordo fra la funzione di coordinamento
della programmazione di Ambito in capo al Promotore sociale e
quella gestionale in capo alla dirigenza del comune capofila;
• come operativizzare in modo omogeneo l’Ufficio di Piano di
zona in qualità di luogo di sistematizzazione dei flussi informativi
provenienti dal territorio, funzionali al ciclo programmatorio e di
supporto ai livelli decisori;
• come portare a regime la gestione associata delle risorse in tutti
gli Ambiti, percorso incompatibile con la ridistribuzione dei fondi
da parte del Comune capofila ai singoli comuni secondo il criterio
del pro-capite. Non si fanno politiche sociali di ambito frantumando le risorse. Esse richiedono strategie riorganizzative anche in ordine alle risorse, sia finanziarie che umane.
90
c) la qualità delle relazioni fra Istituzioni e soggetti sociali che
non rimanda solo ad un problema di rappresentanza sociale ai Tavoli territoriali dei soggetti del Terzo settore, ma ad una capacità di
collegamento fra gli attori coinvolti e di interazione con altri soggetti della società civile.
È questa un’idea di sussidiarietà sociale da sviluppare e sperimentare nella direzione del solidarismo e della democrazia associativa.
Sussidiarietà, è certamente un termine ambivalente (come globalizzazione, come comunità) che si può invocare per l’individualismo di mercato, ma si può utilizzare, in un approccio comunitario,
come varco per raccogliere la solidarietà quotidiana, i saperi sociali
taciti, le competenze istituzionali diffuse attraverso modalità e forme che rendano protagoniste le famiglie, i cittadini oltre ai tradizionali soggetti sociali organizzati.
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
L’INNOVAZIONE DEL WELFARE IN UMBRIA
Si tratta di aprire, dentro l’esperienza regionale umbra, dei veri
e propri cantieri di sussidiarietà orizzontale, di disciplinare le forme di collaborazione che possono scaturire dall’incontro fra il
pubblico e la comunità e che possono contribuire a sviluppare
mercati di qualità sociale, laddove consentono la massima espressione delle potenzialità dei diversi soggetti, soprattutto delle loro
potenzialità innovative che non sono appannaggio dei soli attori
forti.
Tre questioni emergono nel governo di questo processo all’attenzione delle Istituzioni del territorio:
a) consolidare la cultura e la struttura dell’Ambito come complesso istituzionale;
b) dare sviluppo al cambiamento organizzativo avviato con gli
Uffici della cittadinanza, mediante una riprogettazione del sistema
dei servizi nell’ottica dell’Ambito;
c) elevare la capacità di governo del processo da parte dei Comuni, in termini di verifica di efficienza delle risorse, di valutazione
degli esiti, di progettazione e cooprogettazione.
Queste ed altre problematicità di natura sociale saranno consegnate alla risoluzione del secondo piano sociale regionale che dovrà, da un lato, codificare il modello validato della programmazione, dall’altro individuare le traiettorie di sviluppo del welfare regionale lungo una linea di continuità della riorganizzazione, riqualificazione ed innovazione del sistema dei servizi.
La struttura regionale è attualmente impegnata nella predisposizione di un “pacchetto” di lavori propedeutici al 2° Piano tendenti, da un lato, a valutare lo stato di avanzamento del processo
del quale si da conto, in parte, con questa iniziativa, dall’altro, a
focalizzare nuove tendenze sociali emergenti nella società regionale, attraverso appositi percorsi di indagine, in collaborazione
con l’AUR.
Dossier 2005
91
MARCELLO RINALDI
92
f) Nodi critici evidenziate dalle Caritas umbre
Dal punto di vista dei cittadini che usufruiscono dei servizi sociali, e pur rimarcando la positività dell’impianto del Piano sociale
regionale in vigore, non di meno si può tacere su alcune distorsioni
e alcuni “luoghi” vulnerabili, per i quali il nuovo Piano dovrebbe
porre rimedio.
Si confonde, o peggio, si maschera il volontariato con il lavoro
dell’impresa sociale, tutto nel calderone del terzo settore. Ciò genera confusione nell’opinione pubblica e nella pastorale della Chiesa.
La dimensione della gratuità, del valore criteriologico dell’oblatività, “dell’etica del volto”, invece di essere al centro, corre il rischio di cadere nell’oblio, o, peggio, di essere strumentalizzata in
un generico “lavoro sociale”.
Complessivamente, il welfare regionale nella sua partitica quotidiana, complice spesso una gestione politica interessata alla pratica
del consenso, sembra scivolare in una deriva di tipo “mercantilistico”;
in altre parole, il mercato dei servizi assume il primato rispetto al
binomio bisogno-servizio.
• L’attenzione alla famiglia ha bisogno di una forte rivisitazione,
anche alla luce di quanto espresso dal quadro nazionale. La famiglia, infatti, non può essere solo oggetto di attenzioni e cure, ma,
estesa stessa, deve essere soggetto di solidarietà nella società civile.
• La realizzazione dei tavoli di concertazione e dei Piani di zona
è per lo più ispirata a logiche di consenso politico, piuttosto che ad
un reale processo di partecipazione dei corpi della società civile.
“La portata di un ponte si misura dalla forza del suo pilone più
debole. La qualità umana di una società dovrebbe misurarsi dalla
qualità della vita dei suoi membri più deboli, e poiché l’essenza
della morale è la responsabilità che ci si assume per l’umanità degli
altri, quello è anche il metro del livello etico di una società. Propongo di considerare questo il solo metro di misura che il welfare state
possa sopportare, ma anche il solo di cui abbia veramente bisogno”
(Zygmunt Bauman).
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
LUCIO GATTI
LA REALTÀ DELLE CARITAS PARROCCHIALI
NELLA NOSTRA DIOCESI
Nei mesi scorsi la Caritas Diocesana di Perugia ha avviato un
importante momento di lettura delle Comunità Parrocchiali. Il questionario, inviato a circa 140 parrocchie della Diocesi non voleva
essere una rilevazione statistica ma un metodo socio-pastorale per
far crescere le CP nella solidarietà e nella condivisione.
Obiettivo principale era innanzi tutto sollecitare ad aprire gli occhi sul nostro prossimo. Spesso siamo infatti così impegnati ad occuparci del “nostro prossimo”, quasi fosse una proprietà, che finiamo per non vedere chi “ci è prossimo”. La risposta delle parrocchie
è stata del 35 %, dato questo in linea con i dati di Caritas Italiana,
secondo cui si stima che delle 26.000 parrocchie italiane solo 1/3
abbia costituito la Caritas.
Le attività principali delle CP sono ancora oggi rappresentate da
donazioni di vestiario, alimenti (89%). Di solito questa prima fase
viene accompagnata con il passare del tempo dall’attività di ascolto
(48%) e solo successivamente con il farsi accanto a chi soffre (46%),
specie anziani e malati. Il pacco, il dono è importante se accompagnato proprio da questa crescita, che non è tanto di tipo organizzativo,
ma di stile, o meglio di fede.
Proprio a tal riguardo è emersa un’immagine delle CP molto orien-
Dossier 2005
93
DON LUCIO GATTI
94
tata su momenti di carattere organizzativo (46%), piuttosto che su
momenti di preghiera (solo il 23%) e riflessione (13%). Questa scelta,
spesso dettata dalle emergenze quotidiane, si traduce spesso in un
impoverimento della CP che talvolta, presa dal fare, finisce per perdere lo spirito stesso della carità, quell’amare senza misura, che viene
nutrito solo dalla fede…
I problemi emergenti della nostra Diocesi, nella percezione delle
CP, sono legati alle trasformazioni che la nostra società ha subito
negli ultimi anni: invecchiamento della popolazione, flussi migratori,
aumento della povertà. La questione avvertita come più pressante è
quella degli immigrati (21%), seguita dalla ricerca di alloggi e aiuto
a situazioni di difficoltà economica (19%), sostegno ad anziani e
persone sole (19%). Molto sentita è anche la mancanza di volontari
e il rinnovarsi delle persone coinvolte nella CP… anche perché molto
spesso la CP agisce “da sola” senza aiuto da parte della comunità…
Il coinvolgimento della comunità non passa infatti attraverso
un’educazione di ogni persona al voler bene, al prendersi cura degli
altri. Non si è compreso che i poveri sono un regalo per arrivare a
Dio, e per questo vanno “divisi” con gli altri. Il coinvolgimento avviene solo per pochi attraverso la messa domenicale. In molti casi è
limitato ai momenti delle raccolte fondi o dei funerali…
Un dato allarmante riguarda la sezione “Cosa sarebbe importante fare”. Chi ha risposto a questa sezione, ha individuato qual è la
strada impegnativa della carità: stare vicino alle persone in difficoltà (62%); accoglienza nelle case, ovvero aprire le porte (46%). Purtroppo ben il 44% delle CP ha risposto alla sezione “cosa facciamo
“ senza rispondere a quella “cosa sarebbe importante fare”… questo significa sentirsi arrivati, a posto,… non aver capito che compito della Caritas è educare ad amare senza limiti e che pertanto, pur
facendo molto, c’è sempre qualcosa in più che si può fare.
Un ultimo dato riguarda le persone aiutate dalle CP: molte Caritas
hanno identificato come problema emergente quello di adolescenti,
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
LA REALTÀ DELLE CARITAS PARROCCHIALI
giovani e bambini, dichiarando al tempo stesso di non riuscire al
momento di essere prossimo a loro. Per questi infatti non si tratta di
trovare un pacco, un vestito, un alloggio, un’ora di compagnia… si
tratta di riempire un VUOTO che altrimenti rischia di essere riempito diversamente, riempirlo non con oggetti, cose, ma con una presenza, che porti speranza.
LA CARITAS PARROCCHIALE
La Caritas parrocchiale è un gruppo di persone (ma nelle piccole
comunità può trattarsi anche di una sola persona) che aiuta il parroco sul piano dell’animazione alla testimonianza della carità più che
su quello operativo di servizio ai poveri.
Questo non significa che i membri di una Caritas parrocchiale
non possano visitare i malati o prestare volontariato al Centro di
Ascolto. Vuol dire piuttosto che i loro compiti prevalenti non risiedono tanto nel servizio diretto quanto nel:
- conoscere le povertà del territorio a cui la parrocchia appartiene;
- farle conoscere alla comunità, sensibilizzando altre persone attraverso occasioni di incontro;
- coordinare l’attività degli eventuali gruppi caritativi presenti in
parrocchia promuovendo il lavoro unitario e la comunicazione tra
le diverse realtà e l’intera comunità;
- richiamare l’attenzione su povertà “scoperte” sensibilizzando
alla gratuità e al servizio;
- collaborare con altri soggetti del territorio (il comune, la Asl, le
associazioni di volontariato, le scuole, …);
Dossier 2004
95
DON LUCIO GATTI
- valorizzare le esperienze di animazione e solidarietà presenti in
parrocchia;
- realizzare momenti formativi sulla testimonianza della carità e
su aspetti specifici del servizio ai poveri e dell’animazione della
comunità.
Tutto ciò fa della Caritas parrocchiale l’organismo pastorale istituito per animare la comunità, con l’obiettivo di aiutarla a vivere la
testimonianza non solo come fatto privato, ma come esperienza comunitaria, costitutiva della Chiesa. La Caritas parrocchiale è presieduta dal parroco e agisce in stretto riferimento al Consiglio pastorale parrocchiale, ai cui lavori partecipa con almeno un animatore (in genere il responsabile individuato dal parroco).
VERSO UN POSSIBILE MODELLO
DI CARITAS PARROCCHIALE
Come può vivere la dimensione della carità
una comunità parocchiale
Dopo aver osservato la realtà delle nostre Caritas parrocchiali, ci
sembra importante delineare un possibile modello di Caritas parrocchiale. Non si tratta certo di uno schema teorico ma solo di una
riflessione che ogni comunità potrà leggere come spunto per vivere
la dimensione della carità.
96
Gli uomini non si convertono più perché
Non riescono più a leggere nella loro vita la firma di Dio
E la firma di Dio è la gratuità
Ma un mondo che crede di poter comperare tutto
Finisce per perdere anche il senso di questa parola
La scienza spiega tutto, o almeno ci prova
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
LA REALTÀ DELLE CARITAS PARROCCHIALI
E così messa da parte la creazione
Tutto è ridotto a mera combinazione di atomi
A merce,
Come parlare di gratuità, di farsi servi,
quando tutti parlano di essere primi?
Quante e quanto diverse modalità di impegno animano le
nostre comunità parrocchiali…
La prima caritas è quella delle grandi emergenze
che ancora oggi attraversano il mondo:
Terremoti,
guerre,
tsunami,
Una sorta di onda emotiva tocca le persone
le fa attivare per raccogliere soldi.
Spesso è una caritas fatta di numeri,
di conti corrente, carte di credito…
A volte si incarna, si fa persona,
luogo di incontro tra l’uomo e Dio
Nella disperazione di tanti sofferenti
risuona il grido di Gesù sulla croce, Abba Padre
AVEVO FAME E MI AVETE DATO DA MANGIARE
La caritas del pacco,
è quella che si accontenta di mettere il necessario in una scatola,
e nel tentativo di essere efficiente finisce per non incartare il
regalo più grande.
Il pacco diventa dono solo se, oltre ad un po’ di pasta e un po’ di riso,
dentro c’è un po’ di vita, un voler entrare in sintonia, farsi vicino.
Il pacco non può essere il fine della carità, ma solo un mezzo per
aprire un dialogo far sentire una presenza.
Dossier 2004
97
DON LUCIO GATTI
ERO NUDO E MI AVETE VESTITO
La caritas dei panni,
Sì quella che ti fa sentire a posto la coscienza per aver buttato i
panni vecchi nel contenitore per i poveri
Ma ai poveri non si danno le briciole
Tanto meno quelle del cambio di stagione
Donare il vestito significa farne parte, tagliarlo,
dare ciò che serve ancora,
magari dedicando un po’ di tempo per portarlo al nostro prossimo:
In carcere, all’ospedale, spesso c’è qualcuno senza neanche un
pigiama…
ma i panni non viaggiano da soli.
DISSE GESÙ: DATE LORO VOI STESSI DA MANGIARE. GLI RISPOSERO:
NON ABBIAMO CHE CINQUE PANI E DUE PESCI! ED EGLI DISSE PORTATEMELI QUA E DOPO AVER ORDINATO ALLA FOLLA DI SEDERSI SULL’ERBA, PRESE I CINQUE PANI E I DUE PESCI E LI DIEDE AI DISCEPOLI E
I DISCEPOLI LI DISTRIBUIRONO ALLA FOLLA. TUTTI MANGIARONO E
FURONO SAZIATI.
98
La carità delle raccolte fondi
dei soldi raccolti ai funerali, vendendo dolci, o piccoli regali
Ma i soldi poi vanno spesi,
La Caritas non può permettersi di avere un bilancio in attivo.
Non può perché la carità nulla MISURA e tutto da’
I soldi della Caritas non sono per un libretto di risparmio.
Sono per i poveri, per le emergenze
Non si possono covare
Anche se sembrano pochi per le tante bocche da sfamare vanno
tirati fuori
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
LA REALTÀ DELLE CARITAS PARROCCHIALI
Abbiamo bisogno di fidarci un po’ più di lui e ricordarci che le
collette non ci fanno essere segno
Solo una vita regalata, spesa , è capace di testimoniare l’amore
di Dio.
CHI VUOL ESSER GRANDE TRA VOI SI FARÀ VOSTRO SERVITORE, E CHI
VUOL ESSERE IL PRIMO TRA VOI SARÀ IL SERVO DI TUTTI
Il volontariato, l’assistenza la compagnia a persone in difficoltà
Ma oggi è difficile stare vicino alle persone, nessuno ha più tempo per stare accanto ad un uomo che soffre
La crisi del volontariato è prima di tutto una crisi di fede.
Quando Gesù non c’entra con la nostra vita,
non riusciamo a starci, diventa un servizio sociale che non vale
nulla
La carità a volte si muove solitaria,
là dove c’è un uomo che è capace di commuoversi e di spendersi.
Per amare non c’è certo bisogno del bollino caritas
Ma la caritas deve valorizzare, aiutare, favorire la nascita di esperienze di volontariato sempre meno isolate, sempre più a rete.
Carità è dividere con i fratelli anche il dono dei poveri
Il alcune realtà la caritas si rivela attraverso l’esperienza di famiglie aperte,
aperte ad amare oltre i confini della cerchia familiare, lasciando
entrare che bussa,
anche s spesso arriva qualcuno che sconvolge tutto
ricordando che la prima famiglia aperta
è stata quella di Nazareth.
La carità ti spiazza sempre
e quando non mette misure svela il volto vero di Dio
Dossier 2004
99
DON LUCIO GATTI
Una famiglia aperta, una comunità aperta
È un luogo di grazia
Non serve avere un castello o una stanza in più per aprire la
porta:
basta anche una mangiatoia
Quante persone bussano alla porte delle nostre Caritas parrocchiale. Alcune non arrivano neanche a bussare ma il nostro sguardo deve saperli vedere tutti, per tutti avere mani e
cuore.
LASCIATE
CHE I BAMBINI VENGANO A ME PERCHÉ DI QUESTI È IL
REGNO DEI CIELI
Quanti bambini vivono oggi situazioni di povertà nelle nostre città,
una povertà di sentimenti, relazioni, valori
Quanti bambini crescono soli con la televisione, senza un riferimento
Quante situazioni di disagio che facciamo finta di non vedere…
I nostri bambini sono ormai pieni di tutto,
ma spesso manca loro l’entusiasmo di vivere,
la gratitudine per il dono della vita, è carità prenderci a cuore la
loro vita, dal catechismo ad altri momenti,
far sentire loro vicina la presenza di un amico vero come Gesù
AVEVO SETE E MI AVETE DATO DA BERE
100
I nostri giovani, carichi di attese per il futuro
sono sempre più figli della moda, del momento
attratti da falsi idoli: il successo, la bellezza, i soldi
finiscono per scontrarsi ben presto con una realtà assai diversa:
un fisico imperfetto...
si scappa allora dalla realtà in mondi distaccati
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
LA REALTÀ DELLE CARITAS PARROCCHIALI
droghe, alcol, sballo, anoressia
spesso uscire fuori è quasi impossibile
è carità farci vicino ai giovani
per aiutarli a leggere il grande mistero della vita con gli occhi di
Dio piuttosto che attraverso gli occhi della televisione piuttosto
che attraverso gli occhi della televisione, della pubblicità
OGNI VOLTA CHE AVETE FATTO QUESTE COSE A SOLO UNO DI QUESTI
MIEI FRATELLI PIÙ PICCOLI LE AVETE FATTE A ME.
La nostra epoca, nel tentativo di allungare la vita si dimentica
di far vivere con dignità gli ultimi anni
Ci si ritrova soli, i figli lavorano, non hanno tempo
magari con qualche badante, o in qualche ospizio…
Soli con il peso dei propri anni, senza sapere con chi parlare
Nessuno vuole più prendersi pesi e così anche un legame
Si trasforma in un Laccio da recidere.
Si dimentica che la risposta alle difficoltà della vita va cercata
nell’amore di Dio e Dio si fa incontrare ad ogni età...
è carità visitare gli anziani, pregare con loro,
regalare loro alcuni momenti di vita condivisa.
ERO MALATO E MI AVETE VISITATO
Quanti malati vivono soli,
nelle stanze dell’ospedale
o chiusi tra le mura di casa.
I più fortunati hanno vicino le persone care:
un figlio, un nipote, un amico...
altri passano ore ed ore aspettando
che arrivi qualcuno a portare una parola, un sorriso.
essere malato ti isola da un mondo abituato a correre a rota di collo
Visitare un malato è un grande regalo per entrambi
Dossier 2004
101
DON LUCIO GATTI
Nel fermarti scopri quanto sei fortunato
ti accorgi che la vita può richiedere stop imprevisti
e che poi questa corsa non ci porta lontano davvero
ERO FORESTIERO E MI AVETE ACCOLTO
Essere forestiero, guardato con i nostri occhi
spesso significa essere di troppo…
chi viene da fuori ha bisogno di essere accolto
accogliere significa essere aperto alla diversità
aiutare i bambini con la lingua
aiutare ad entrare nelle nostre comunità,
nel coro, nel catechismo…
accogliere significa mettere da parte i pregiudizi
fare posto, far entrare nelle nostre case…
accogliere non è dare un pacco di panni usati
né trovare un lavoro
è fa sentire all’altro che è parte della stessa famiglia
anche se parla un’altra lingua
ha una cultura diversa…
IL FIGLIO DELL’UOMO NON È VENUTO PER ESSERE SERVITO,
MA PER SERVIRE E DARE AL PROPRIA VITA IN RISCATTO PER MOLTI
102
Per vivere la carità, occorre declinare insieme la fantasia della
carità
La carità non ha una mentalità assistenziale
La carità appassiona
Richiede collaborazione
Tra preti
Tra laici
La carità non è per i poveri
La carità è una risposta all’amore di Dio
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
LA REALTÀ DELLE CARITAS PARROCCHIALI
Carità è vedere Gesù negli altri
Carità non è un fare ma evangelizzare
Carità è un fiore messo con amore all’altare
È prendere in braccio un bambino e stringerlo
È portare i bambini del catechismo a trovare i malati
È ricordare le persone in difficoltà durante la preghiera domenicale
È pulire le piaghe di un nonno malato
È portare ogni uomo all’incontro speciale con l’uomo e con Dio
Ma questo avviene solo divenendo servi
Come ha fatto Gesù,
Se Gesù avesse parlato senza passare dalla croce
nessuno avrebbe creduto alla sue parole
103
Dossier 2004
INTERVISTE
APPENDICE
INTERVISTE A PERSONE CHE SI RIVOLGONO AI CENTRI CARITAS
105
Dossier 2005
INTERVISTE
106
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
CENTRO DI ASCOLTO
DIOCESI DI ASSISI - NOCERA U. - GUALDOTADINO
Regione: Umbria
Diocesi: Assisi-Gualdo-Nocera Umbra
Intervistatore: Massimo Mandrelli
Comune: Assisi
Data: 2005/10/05
Sesso: M
Nazionalità: Straniera
Tipologia familiare: 08
Dipendenza da sostanze: NO
Patologia psichica: NO
Altri segni particolari: NO
Descrizione segni particolari:
Tipologia utente: Utente
Attendibilità informazioni: Abbastanza
R.: Il problema è qui, adesso, quando sono arrivato in Italia, per trovare,
cercare lavoro; nel mio paese, prima, stavo bene, con la mia famiglia; io
sono il capo-famiglia, poi c’è mia moglie, e mia figlia di 2 anni e 8 mesi,
che sta male, avendo la meningite.
D.: Posso interrompere; quali sono i suoi ricordi di infanzia, nel suo paese
di nascita; dove è nato; si ricorda quando era piccolo, bambino; quanti
figli siete, fratelli, sorelle, la mamma, il papà, la situazione familiare.
R.: Io sono nato in Marocco; in famiglia c’è la mamma, il papà e 4 sorelle.
D.: Perché è venuto in Italia.
R.: Per lavorare.
107
D.: Giù non c’era; e, riguardo sua figlia, che età ha; è nata in Italia.
Dossier 2005
INTERVISTE
R.: C’è poco lavoro in Marocco; e poi qui in Italia si lavora regolare, lì,
invece, un giorno sì, uno no, due no, senza regola; mia figlia è di due anni
e otto mesi; è stata male quasi subito, in Marocco, e l’ho portata in ospedale, dove il professore, il dottore, mi hanno detto che aveva la meningite,
come malattia; stava male troppo, poi piano, piano; prima vedeva, camminava, sentiva, parlava, adesso non più.
D.: Dopo che è nata sua figlia, è quindi venuto in Italia.
R.: Sì, e qui mi hanno aiutato la signora Giuliana e il direttore della Caritas
Giocondo; mi hanno aiutato a cercare e trovare una casa, facendo domanda; ho portato mia figlia prima all’ospedale Silvestrini, poi a
Monteluce, dove i dottori mi hanno detto che ha problemi al cervello che
ormai non può più risolvere; mia figlia non vede, non sente, non parla,
non cammina, fa solo della ginnastica; le manca tutto; è bellina, bellissima; io intanto lavoro qui.
D.: Ha solo questa figlia.
R.: Solo questa; mia moglie è adesso incinta; io lavoro a Santa Maria
degli Angeli, pago per la casa un affitto di 370 euro, poi il metano, l’acqua, la luce, il gas.
D.: Che lavoro fa.
R.: Lavaggio; lavo i camion; guadagno 929 euro al mese.
D.: Ha il permesso di soggiorno.
R.: Sì, quando sono venuto in Italia, sono già arrivato già con il permesso
di soggiorno, regolare, fatto tramite il consolato d’Italia in Marocco, con
una domanda.
108
D.: È arrivato direttamente in Italia, ad Assisi, o in altre parti.
R.: Sono arrivato in Assisi da Santa Maria degli Angeli; ho conosciuto e
parlato con Giuliana riguardo mia figlia che stava male, e mi ha fatto fare
una domanda per avere una visita da parte del dottore; nel Marocco si
paga tutto, il dottore, la visita, le medicine; non è come qui, che di regola
non si paga niente; in Marocco non c’è una regola, entri da una porta di
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
un ospedale, ed esci avendo pagato qualcosa; adesso, piano, piano; vorrei anche cambiare lavoro, ma non è possibile farlo, in questa zona.
D.: Mi scusi, le chiedo riguardo la casa dove abita.
R.: Abito qui in Assisi.
D.: Vive con sua moglie e sua figlia; o c’è qualche altro suo parente con voi.
R.: No, siamo solo noi tre.
D.: Questa è la sua situazione; un lavoro con un guadagno non molto
rilevante; l’affitto di casa è alto; sua figlia ha dei problemi; sua moglie
lavora?Adesso no, che è incinta, ma prima lavorava.
R.: No, non lavorava; da quando è entrata in Italia, non ha mai lavorato.
D.: In che anno è entrata?
R.: A febbraio di quest’anno 2005; quando è arrivata qui, con mia figlia,
ha fatto la domanda di invalidità al 100% per lei; anche il dottore che
l’ha visitata ha detto di fare questa domanda; l’abbiamo portata in comune, con tutti i documenti, ma la signora del comune ha detto”mi dispiace,
chi non ha la carta di soggiorno, non prende niente”; e non abbiamo
ancora preso un euro.
D.: Ma la bimba non ha avuto il ricongiungimento con lei?
R.: No; la carta di soggiorno non è il permesso di soggiorno, ma è il
tempo indeterminato che uno sta qui; per fare questa carta, infatti, devi
essere stato qui in Italia da almeno 6 anni.
D.: Questo vale per il capo-famiglia, quindi; chiedevano a te.
R.: Sì, perciò non prendo niente, nessun soldo dal comune; se non hai
questa carta-soggiorno, niente soldi per l’invalidità di mia figlia; sto ancora aspettando, non essendo ancora passati 6 anni, per fare questa carta.
D.: Nelle relazioni con le istituzioni; comune, Asl, servizi sociali; come si
è trovato.
R.: Mi sono trovato normalmente; però questa signora del comune ha
Dossier 2005
109
INTERVISTE
detto”non è che pago io o lo stato, ma è la legge che dice così, che prevede la carta-soggiorno; e va bene.
D.: E con le altre organizzazioni; per esempi l’assistenza sanitaria; quando è andato in ospedale.
R.: Quando ho portato la figlia in ospedale; bene; il dottore ha fatto un
controllo, una visita, ha fatto bene; ha detto che la figlia sta male tanto.
D.: Qui al Silvestrini.
R.: Sì, qui a Perugia.
D.: Ma il suo medico di famiglia.
R.: Medico mio, o di mia figlia.
D.: Lei ha un suo medico.
R.: La figlia ha una pediatra.
D.: No, dicevo il suo; va bene, non fa niente; come vi siete trovati dal
punto di vista sanitario con questa dottoressa.
R.: Bene.
D.: Nei riguardi, invece, delle altre organizzazioni; lei ha conosciuto la
Caritas; ne ha conosciute altre, qui in Assisi o a Santa Maria degli Angeli.
R.: Ho parlato con Giuliana, che mi ha aiutato a fare la domanda per
prendere una casa; adesso, con i soldi del mio lavoro, pago l’affitto di
questa casa, metano, luce, gas, acqua; e tiriamo avanti.
110
D.: Con i vicini di casa, le persone che conosce, sul lavoro, che ha conosciuto, andando magari in giro, come si è trovato.
R.: Con le persone che conosco io va tutto bene; da quelli con cui lavoro
ai vicini di casa, con italiani e stranieri, tutto bene; con gli infermieri,
tutto bene; sono tranquillo; io con loro e loro con me.
D.: È stato sempre bene?
R.: Da quando sono entrato in Italia, sono stato sempre bene; non ci sono
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
mai stati problemi; non mi hanno mai trattato male, e io non ho trattato
male loro.
D.: E con i suoi parenti; ha parenti in Italia; altri parenti, familiari, qui in Italia.
R.: Sì; ho un cognato con la sua famiglia, e uno zio, che abitano ad Assisi.
D.: Ha contatti con loro, vi vedete ogni tanto.
R.: Sì, sto bene con loro; non avendo la macchina, quando devo fare la
spesa chiamo o lo zio, o il cognato, e loro vengono a portarmela a casa,
dal negozio.
D.: E con i parenti rimasti in Marocco; con i genitori, vi sentite per telefono; oppure è tornato giù ogni tanto.
R.: Sì, dopo un anno, un anno e mezzo che stavo in Italia, sono tornato in
Marocco, e ho rivisto babbo, mamma, tutti, restando lì per 17/20 giorni;
ho così rivisto il Marocco, la mia famiglia.
D.: E guardando al futuro, al prossimo futuro, come lo vede; guardando a
tra un mese, un anno, 10 anni, come si immagina la sua vita in Italia, se
rimarrà qui, con la sua famiglia.
R.: Bene; lo stare bene.
D.: A parte lo stare bene, ha qualche idea, obbiettivi da perseguire, da
raggiungere; è ottimista, vede una discreta possibilità di ottenere dei migliori risultati in un prossimo futuro; poter aver una lavoro migliore, una
casa; oppure è pessimista.
R.: Così…non ho capito.
D.: Oggi lei è in affitto; ha un lavoro che dal punto di vista dei danari che
riporta a casa non è eccezionale; guardando a domani, dopodomani, così,
che cosa si augura, che cosa vorrebbe.
R.: Speriamo di prendere un appartamento, dove non si paga un affitto
troppo alto, dal comune, o da qualcosa o qualcun’altro che ci aiuta; e
piano, piano, così; adesso è un pochettino un casino, però grazie a tutti e
grazie a Dio, piano, piano
Dossier 2005
111
INTERVISTE
112
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
CENTRO DI ASCOLTO DIOCESI CITTÀ DI CASTELLO
Intervistatore: Massimo Mandrelli
Comune: Città di Castello
Data: 2005/09/28
Sesso: M
Nazionalità: Italiana
Tipologia familiare: 06
Dipendenza da sostanze: NO
Patologia psichica: NO
Altri segni particolari: SI
Descrizione segni particolari: l’intervistato, in alcuni momenti, mostrava
evidenti segni di disagio accompagnati da colpi ritmici inferti con i piedi
sul tavolo
Tipologia utente: Utente
Attendibilità informazioni: Abbastanza
D.: “Puo’ cominciare”.
R.: Io sono un ragazzo di 38 anni, quindi ormai mica tanto ragazzo; in un
certo senso sono rimasto un ragazzo, perché ci sono delle cose insolute
che fanno parte del primo passato, di nascita e crescita appena iniziata la
mia vita. Sono nato a Milano, adesso abito in Umbria, cresciuto a Milano,
nato da una situazione genitoriale complicata, perché mia madre è tuttora prostituta, e comunque tra i tanti ha conosciuto mio padre, dal quale
siamo nati io e mia sorella; poi altri figli sono nati da altre persone. Io
non ricordo molto di quello che classicamente i bambini ricordano delle
loro prime epoche. Di solito i bambini ricordano le prime cose, i primi
sorrisi; ho sentito racconti su questo; io non mi ricordo, perché comunque sono nato durante un incidente stradale, sono perciò il soggetto giusto per questa registrazione, o un certo tipo di soggetto; in quanto mia
madre mi aspettava, e sono nato in un incidente, di 7 mesi; 2 mesi sono
stato in incubatrice col rischio di non farcela; mia madre aveva allora
una malattia, per la quale hanno dovuto farmi, questo l’ho saputo dopo,
Dossier 2005
113
INTERVISTE
114
la trasfusione totale del sangue, appena nato. Dopo di che mia madre mi
ha lasciato dalla sorella di mio padre, appena nato; insomma non ho grandissimi ricordi; i primi ricordi che ho abbastanza forti sono verso i 4/5
anni; mia madre veniva a trovarmi da questa zia, dove aveva posizionato
anche una sorella maggiore di un anno e un fratello maggiore di due
anni; questa zia faceva in un certo senso da badante e veniva pagata
mensilmente per ognuno di noi; e io ricordo il profondo odio per mio
padre, perché portava dei regali per i miei fratelli e a me mi maltrattava e
faceva andar via, non volendomi; e questo lo ricordo bene, ricordo che
mia zia lo sgridava; questo per 4/5 anni; questi i miei primi ricordi, sicuramente non belli. Andando avanti col tempo, ricordo, a 6 anni, che mia
madre venne a prendermi non so per quale motivo; mi portò in un collegio
della provincia, e siccome sono di origine pugliese, della provincia di
Bari; qui ci stetti un anno e anche lì il ricordo più forte, che mi viene
spesso alla mente, e coinvolge molto le mie emozioni, è che la domenica
tutti aspettavano i genitori, io aspettavo mia madre, e lei non arrivava
mai; e ricordo che le suore dovevano staccarmi dal cancello, per questo
genitore che non arrivava mai; dopodichè, passato quest’anno, e questo
deve essere stato un forte shock, in quanto lo avverto tuttora, mia madre
mi ha ripreso e riportato da questa zia a Milano; e quindi ho vissuto lì,
una vita di una famiglia normale, abbastanza normale, perché il marito di
mia zia soffriva di disturbi psicologici; normale, perché non c’era di mezzo la prostituzione di mia madre, un giro di uomini, insomma una cosa
così, una situazione cioè così smantellata. Eravamo una famiglia con 4
figli, con una madre e un padre, essendo rimasto solo; la mia sorella non
era più in affidamento temporaneo, così come l’altro fratello maggiore;
ricordo in quel tempo, infatti, che andammo da un tribunale, suppongo
dei minori, e io decisi di stare con mia zia; ci fu una scelta di buon senso,
credo, seppure con gran dolore, perché una madre è sempre una madre; e
quindi, in questa famiglia, più o meno normale, perché ogni tanto mio zio
picchiava mia zia, vissi questi anni; le figure genitoriali erano comunque
chiare, essendoci una figura paterna, materna, fratelli, sorelle; crescendo
sono rimasto con questi zii ; verso l’età, nel 78, di 11/12 anni, è venuta di
nuovo mia madre, a ritirarmi da mia zia; io, ovviamente, ho accettato di
andare con lei, anche perché, l’anno prima, mio padre, mai stato a viver
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
con mia madre, se non nei primi mesi della mia nascita e di quelli di mia
sorella, ha tentato di portarmi nella sua famiglia, che era di lui, a questo
punto, una moglie e un figlio; mio padre ha avuto una vita molto normale;
gestiva un ristorante, poi lo ha comprato, poi ha preso un albergo; una
vita, per quello che ne so, molto normale e tranquilla; solo che io sono
stato un mese nella provincia della Puglia e mio padre è di un’altra zona;
e lì io soffrivo molto, sono stato sempre un bambino molto triste; mi ricordo che la maestra diceva che, in quarta elementare, presi il banco, lo misi
in un angolo e mi staccai da tutti gli altri bambini; quindi, in un certo
senso, un mondo a se stante; non riuscivo a starci in Puglia, un mese, e
sentivo molto la mancanza di mia zia, chiedendo sempre di questa madre
che non c’era. Quindi, nel 78, mia madre venne a prendermi e andammo
in un paesino della provincia di Brindisi, dove mia madre aveva costruito
una casa abusiva; dico ciò perchè era in mezzo ad una grande macchia
d’erba, ed era l’unica casa, eravamo isolati; lei conviveva con un uomo
anche lui manesco, e l’esperienza più forte che ricordo di quegli anni fu
che qualche mese dopo che mia madre venne a prendermi, quest’uomo fu
arrestato; ci fu una retata della polizia a casa nostra e quindi la polizia
sparò; noi rimanemmo tutti scioccati, io addirittura svenni; quest’uomo
fu arrestato perché teneva delle armi nascoste, una sorta di traffico illegale; ecco, fu un’esperienza altrettanto forte della mia vita; dopodichè,
dopo tre anni, quest’uomo andò in galera e mia madre si mise con un altro
uomo; anche lui usava la cintura, la pompa dell’acqua per picchiarci; i
miei fratelli erano un po’ più furbi, e riuscivano a scappare, io non ci
riuscivo molto spesso; c’era anche, e c’è tuttora, una sorella minore che,
quando mia madre venne a prenderci nel 78, era a Milano da una nonna
di mio padre, che era un altro ancora; questa bambina non veniva toccata
da quest’uomo nei suoi scatti di rabbia; insomma, quello che le prese di
più di tutti fui io; e questo dal 78 all’81; nell’81 terminai la terza media;
in quel tempo gli assistenti sociali presero la sorella, quella piccolina e
l’altra, e li misero in collegio; mio fratello andò a finire in galera per
delle storie, poi fu scarcerato, essendo persona a conoscenza, non indiziata della cosa; io rimanevo molto spesso da solo, tanto e tanto tempo, in
questa casa, dovendo fare una specie di guardiano; il paese distava dalla
casa 3km, e se mia madre o i suoi uomini si accorgevano che ero andato
Dossier 2005
115
INTERVISTE
in paese, che ne so, per comprare qualcosa, un 45 giri, mi picchiavano;
maturai allora in quegli anni l’idea di scappare da casa; ci provai già
nell’80, arrivando a Lecce, ma la polizia mi ritrovò e riportò indietro;
dissi loro tutto quello che accadeva, la mia famiglia fu chiamata, ma ripose che non era vero niente, e andò male; nell’81 ce la feci; presi un treno,
senza niente, soldi, con un calzino sì e uno no; andai su a Milano e tornai
dalla mia zia, che si preoccupò ovviamente; ero infatti minorenne, scappato da mia madre; rimasi comunque a Milano; certo, tutto quello che
era accaduto non poteva essere dimenticato. Ci fu un’esperienza molto
bella con alcune persone che nuovamente mi “adottarono”, come la maestra di scuola che in quarta elementare, a Milano, io scappavo spesso da
scuola, mi nascondevo negli angoli, ero un bambino irrequieto, poi mi
ritrovavano, ebbene questa maestra mi prese a ben volere; ogni week-end
mi portava a casa sua e di suo marito; allora, ma anche tuttora c’è un
rapporto di familiarità, io li chiamo zii, anche se adesso il marito non c’è
più; una famiglia tranquilla, sana, pugliese anch’essa; un qualcosa di
positivo agli occhi miei, visto che avevo molta paura di ritornarci. Tornando agli anni di Milano, 83/84, questo mio zio adottivo ulteriore mi
introdusse nel mondo del lavoro; tra le tante cose, cominciai a fare l’apprendista eliografo, un anno, quindi le stampe, dei progetti di vari ingegneri, ecc; ma era un lavoro che non mi piaceva; cominciai allora a lavorare nel settore dei bar e della ristorazione; ho fatto per 10 anni il barista,
con molta agitazione; dentro di me era successa una cosa, mi dicevo che
nessuno poteva più farmi del male, anche il minimo; e quindi ogni minima
cosa mi faceva saltare; conseguenza, o abbandonavo il lavoro, o scappavo; c’è da dire che nell’85 mia zia ebbe un ictus ...
116
D: Questa zia adottiva...chiamiamolo così o quella effettiva.
R.: No, quella effettiva; vivevo sempre dalla sorella di mio padre; ebbe un
ictus e quindi miei cugini mi dissero di non volermi più a casa, perché era
colpa mia; io molte volte mancavo, la notte, non tornavo a casa; non ho
mai usato stupefacenti, però, e non li ho mai usati; non so perché; una
spiegazione logica è che volevo sempre essere presente nelle cose, infatti
non bevo neanche; poi, il motivo di fondo è un altro ; profondamente,
comunque questa è una fortuna, ho sempre avuto paura di queste cose,
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
non me ne sono mai interessato; avevo poi un grande e forte orgoglio,
dicendo che avrei avuto una grande carriera nel campo musicale; ecco,
la musica mi ha salvato, l’ho sempre amata; ho amato cantare, ascoltare,
sentire la musica, comprare tanti dischi; vivevo di questo mondo della
musica, mi dicevo che sarei diventato qualcuno in questo mondo, un giorno, avrei fatto carriera, e così riscattarmi da tutto quello che mi avevano
fatto, ecc. ecc.. La mia vita vissuta su un doppio binario; ho fatto tante
audizioni, casting, con tanti rifiuti; però ho incontrato tanti personaggi
della nostra cultura musicale e letteraria italiana; in maniera anche molto strana; ho preso appuntamenti alla Sapienza di Roma, o li cercavo, o
scrivevo loro delle lettere; per questa mia passione ho fatto dei bellissimi
incontri; mi ha salvato la vita questa passione per le arti, cinema, teatro,
musica, leggere libri; mi piacciono molto. La musica, una parte molto
forte della mia vita, che si è instaurata, si è andata formando e ha fatto da
controparte a tutta questa mia oscurità; fa parte però della natura umana
questo bianco e nero; in me si sono create queste due personalità.Io da
tanti anni soffro di continue crisi di depressione, prendo degli psicofarmaci; ci sono momenti in cui non ce la faccio a sopportare il ricordo, o mi
perdo in quel ricordo che non è più neanche tanto nitido, ma sensazione di
profondo vuoto, una sorta di cratere; sono da 10 anni in analisi; penso
che per un una persona, almeno per un tempo limitato, un po’ di aiuto in
questo senso serva tanto; a me ha aiutato tantissimo; sono anche una
persona molto credente; sono stato per 20 anni un ricercatore nella fede
cristiana, ho fatto ritiri spirituali, anni sabbatici; 4 anni fa ho incontrato
la fede buddista, e da allora mi sono sentito inserito in essa; mi ha ridato
voglia di vivere, che spesso mi manca, la perdo ogni tanto. Molto importante, negli anni in cui ero a Milano e tentavo la carriera musicale, il non
aver mai dimenticato mia madre; non so se è generalizzabile, ma si creava, paradossalmente, in me, un bisogno di identificazione con mia madre,
molto forte, morboso; in me non si è creato questo, del tutto; sono riuscito
a fare la mia vita, ho viaggiato molto all’estero, lavorato nel settore della
ristorazione, sono diventato caposala; piccole cose, ma a seconda dei
propri parametri; secondo la mia situazione, infatti, rispetto alla mia origine, sono grandi cose, avendo momenti di grande abbandono di me stesso; essere riuscito a raggiungere una cosa, qualitativamente importante,
Dossier 2005
117
INTERVISTE
diventando caposala a Monaco di Baviera, girare un po’ tutti i paesi dell’Europa; da questo punto di vista mi ritengo anche fortunato. Devo dire
che una parte di mio padre mi ha dato questo, una metodologia di ricerca
di questa parte buona; comunque ci sono in me tutte e due queste parti;
non sono una persona violenta, cattiva, in termini classici; il più grande
male che faccio, infatti, lo faccio a me stesso; reprimo tutto quello che mi
è accaduto, secondo la mia analista, e schiaccio tutto dentro, nel mio
fondo, perché più di così non riesco a fare, per vivere quotidianamente.
In quegli anni, a Milano, cercavo sempre mia madre e ogni tanto tornavo
in Puglia, sempre sconsigliato sia dalla mia zia effettiva, che da quella
adottiva, che vedevano come ritornavo su a Milano; ritornavo sempre
sconvolto, stravolto, perché dopo 2/3 giorni, i primi 2/3 giorni di afflato
familiare, c’era sempre tutto da rivendicare, da colpire, un farsi del male
a vicenda; in quel tempo, purtroppo, è successa un’altra cosa, avevo 23
anni; mi sono ritrovato un’estate da mia madre e l’uomo che aveva preso il posto di quello che era andato in galera nel 78, si era messo in un
giro di droga; sono capitato quando era scappato da una banda che
l’aveva ritrovato da mia madre; c’eravamo io, mio fratello e mia madre; mia sorella no, che si era sposata; ebbene, siamo stati presi nella
nostra casa di campagna, legati, e a lui hanno sparato; poi gli tagliarono una parte del corpo e se la portarono via, cosa tipica di laggiù per
chi aveva tradito; noi siamo stati sequestrati per due giorni; e questo è
stato, come se fossi andato a cercarmela; c’è stato così un inevitabile
richiamo di tutte le cose che mi erano avvenute in precedenza, a causa
di questo fatto. Questa la mia situazione familiare, in generale; riguardo la mia voglia di affermarmi nel mondo della musica, purtroppo, non
ci sono riuscito, non mi è accaduto; sono ormai consapevole che ormai,
a 38 anni.
118
D: Chiedo scusa un attimo e ... quindi in questo momento sta passando ad
esporre quello che può essere la situazione attuale : ... quindi come è arrivato in questa città, che cosa fa ... volevo chiedere se si è spostato sul
presente come argomento.
R.: Dai 20 ai 30 anni ho lavorato a fasi alterne e la salute ne ha risentito,
salute psicofisica; ho scoperto con gli anni che con l’incidente che ho
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
avuto quando nacqui, avevo tumefazioni, colpi, subite; nella vita mi sono
operato 4 volte, 3 volte all’ernia inguinale, una quarta non riuscita completamente; perciò ho dei continui disturbi fisici, che, con il passaggio
delle stagioni, hanno anche loro influito sulla mia volontà di azione, di
fare qualcosa, e il mio corpo non me l’ha permesso; nell’arco di un anno,
appena il tempo cambia, le prendo tutte, influenze, ecc; il mio fisico non è
molto forte; aggiungo il fattore psicologico, che indebolisce; io sono di
carattere, di origine, mi pare naturale, avendo questo retrovia, pessimista; anche se in realtà, da quando sono buddista, incoraggio all’ottimismo, perché la mia fede aiuta a praticare questo mantra, a scaricare dalla
tensione, a liberare la mente; comunque, ho sempre visto una sorta di
induzione caratteriale, sarei negativizzato, anche se le cose sono belle;
c’era una canzone “non abituarti mai al dolore”, ci sono persone che
vivendo tanto le cose negative, creano uno spazio dentro la loro mente
speciale per esse; ecco, io ho fatto questo, e in questa ricerca di questi
anni, maturazione, ho sempre cercato di privilegiare, in un certo senso,
l’aspetto drammatico, triste della vita. Nella vita non sono stato esente
dall’essere stato avvicinato da persone che volevano introdurmi in qualche ambiente strano, tipo le truffe ...
D: Tema collegato alla relazione con conoscenti, vicini, ecc; perciò , adesso, è preferibile parlare di come è arrivato qui in Umbria, che attività svolge e così via..
R.: Ero andato a passare qualche mese da alcuni amici nell’entroterra
torinese, dove c’era una coppia, lei lavora in comune, lui fa il restauratore; sono tanto, tanto amici, amici fraterni; io ho aiutato lui per un periodo, anche perché era vicino a Milano, dove facevo le audizioni, i casting
per gli spettacoli, programmi per le televisioni nazionali; nel 2000 mi
presi l’epatite, e venni giù da queste parti; chiami un mio ex-amico, nel
senso che non ci sentivamo più da parecchi anni, ma eravamo amici; feci
tante chiamate, tra le tante chiamai lui, che si era separato dalla moglie,
e mi disse di avere una casa libera a Città di Castello, dove sarei potuto
andare, e io accettai; dopo ci fu il ricovero all’ospedale di Perugia; mi
curarono bene, mi ripresi, la guarigione fu perfetta; per la post-degenza
andai perciò ad abitare in questa casa, cominciando a cercare lavoro e
Dossier 2005
119
INTERVISTE
relazionarmi con la gente di questo nuovo posto. Da dire che un lavoro
fisso non l’ho mai avuto, trovato; quello che volevo era fare il barista o il
cameriere, un lavoro socialmente in cui mi riconosco; poi ci sarebbe la
musica, ma come hobby; ho quindi continuato a lavorare, alternando i
fini settimana, i banchetti; piano, piano si è creata una situazione di lavoro da catering, con agenzie del circondario che lavoravano per grandi
eventi, matrimoni, feste; ho lavorato abbastanza, ma sempre da una parte
all’altra, ogni giorno in una maniera diversa, differente; e questo dal 2000,
per quasi 5 anni.
D.: Abita sempre nella casa del suo amico?
R.: No, in questa casa ho abitato fino all’anno scorso; mi sono ricordato,
per la precisione, di essere arrivato qui in Umbria nel 2001; all’inizio me
l’ha data come gesto per rimettermi dalla malattia, i primi mesi; poi, giustamente, ho cominciato a pagare un affitto; gli ultimi 8 mesi dell’anno
scorso non sono più riuscito a pagare, il lavoro mancava; alla fine l’ho
lasciata. In questo periodo ho cominciato a chiedere aiuto alla Caritas e
iniziato a fare lavori saltuari come giardiniere, svuota cantine, pulire le
case, stirare; ho lavorato in un’azienda del cartaceo; tutti lavori saltuari,
facendo anche quello di cameriere, sempre saltuario; ma il lavoro è diventato sempre più mancante. Arriviamo a quest’anno; premetto che dai
20 ai 30 anni facevo piano-bar, delle serate, nei locali, anche all’estero,
cantando nei vari locali notturni, facendo anche piccoli spettacoli in costume; ebbene, dopo 10 anni, dal 94 che avevo smesso, lasciato, ho ripreso quest’anno, ho ripreso a cantare, fare delle serate, matrimoni, banchetti, in locali; il mio desiderio che posso esaudire di nuovo; ma adesso
la stagione è finita.
120
D.: Ecco mi diceva una cosa ...è stato prima ospite dei suoi due amici,
vivendo da solo in quella casa; poi ha contribuito alle spese della casa
stessa, pagando l’affitto; e poi?
R.: Dall’anno scorso ho cercato un’altra casa, di costo minore, e l’ho
trovata; anche per questa sono indietro di due mesi nel pagamento dell’affitto; ci sto tuttora.
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
D.: Vive praticamente da solo.
R.: Sì; vivo da solo, in pratica, da quando avevo 17/18 anni; ogni tanto mi
sono relazionato, affezionato a qualcuno per brevi periodi, avendo anche
brevi incontri di tipo sessuale; oggi vivo da solo con tre gatti, ai quali
sono molto affezionato.
D.: Aveva cominciato prima a parlare dei suoi rapporti con conoscenti,
conoscenti occasionali, più stabili, amici, parenti; che tipo di rapporti ha
instaurato, come le vede, le giudica.
R.: Cominciamo dai parenti; con mia madre è sempre rimasto un rapporto di profondo odio, ma anche di ricerca profonda di lei, per rivendicare
nella mia mente la sua figura che purtroppo non è stata quello che avrei
desiderato; oggi devo assolutamente dire che non è stata una figura positiva, perché, dopo quelle ultime esperienze violente, non sono più andata
a trovarla; negli ultimi anni, da quando sono buddista, ho cercato con
un’altra ottica, diversa, nuova, rinnovata, di conoscere mia madre, andare a vedere il suo dolore profondo, ascoltarla ...
D.: Quanti ha sua madre?
R.: Mia madre è del 40, ha 65 anni; ho fatto questo cammino fino a quest’estate; negli ultimi tre anni sono andato alla profonda conoscenza di
mia madre, che è mia madre, e sono andato a trovarla, a sostentarla, a
cercare di creare con lei un rapporto amicale, amichevole, e sentire da lei
da dove veniva questo suo dolore; perché io e i miei fratelli, visti o non
visti a fasi alterne e da lontano, abbiamo fatto sempre una cosa in questi
anni, cioè salvare nell’inconscio questa madre, avere una madre salva;
nella realtà dei fatti ciò è impossibile, nessuno può salvare un altro, se
non se stesso. Quindi, per questi tre anni, ho lavorato molto su mia madre,
con mia madre, scoprendo tante cose che mi hanno fatto capire bene il
processo di profonda devastazione della sua mente e di abbandono maggiore di quello che devo aver vissuto io, non in termini di capacità di
risorse interiori per darsi da fare, soprattutto dopo un periodo di guerra,
lasciata oltretutto sola a se stessa; (*situazione disagio-inizio) a tutt’oggi
la figura di mia madre mi squarcia il cuore (*situazione disagio-fine),
veramente; mi sono accorto, però, quest’anno, che sono riuscito a far
Dossier 2005
121
INTERVISTE
122
parlare mia madre con mio padre; mia zia, sorella di mio padre, con mio
madre, e con mio padre; ho fatto un gran lavoro in questi 3 anni per
cercare di riconnettere questi rapporti, spinto da un gran desiderio di
fede; volevo vedere unità, profonda unità; mia madre, invece, ha sempre
lavorato doppiamente su questa cosa, e mi ha messo contro tutti; a mio
padre ciò non interessa, perché con lui non c’è stato mai nessun rapporto;
mio padre e io siamo due entità senza nessun rapporto. Però, a mia zia e
alla famiglia dei miei cugini, io ci tengo molto; ma tuttora non ci parliamo, perché mia madre ha detto loro qualcosa che io avrei o fatto, o detto
contro di loro, qualcosa di brutto; ma loro non mi vogliono dire di questa
cosa; così mi trovo in momento di grande e profondo dolore, una fase di
stallo, proprio perché tengo a loro. Ho lavorato tanto in questi tre anni
per trovare dei sistemi di connessione in questa famiglia, e mia madre ha
fatto in modo che non avessi più rapporti con loro, se non con mia sorella
che vive a Firenze, la minore di tutti noi; lei vive una vita tranquilla, ma
non so cosa lei abbia veramente nell’animo. Nel corso degli anni ho avuto
più rapporti positivi, che negativi; sono, infatti, una persona, grazie a
questo aspetto artistico, un po’ “istrionico”, molto coinvolgente; sarei,
per la mia mentalità, come quei classici comici che, davanti a tutti, per
farsi accettare dal mondo, hanno bisogno, appunto, di farsi accettare, e
scatta quel meccanismo istintivo, profondissimo, di assecondare, creare
una risata, assecondare il bisogno del gruppo al massimo, a scapito di
stare da solo, ammutolirmi, intristirmi, soffrire; in tutto questo ho sempre
cercato persone normali, un mondo normale, anche se qualche volta ho
incontrato gente che ha visto in e qualcuno che si potesse prestare per
esempio a truffe (mi è successo qualche giorno fa); e sono stato contento
di esserci stato tanto, tanto male; sono, infatti caduto in depressione, perché una parte di me era tentata di accettare, così, finalmente, mi sistemavo economicamente, non dovevo più ”mendicare” ma l’altra parte di me
ha fatto scattare il meccanismo dell’orgoglio, dignità, senso di sé profondo e perciò non ho accettato; in verità di queste proposte ne ho ricevute
poche nella mia vita, 2/3 al massimo; e in realtà non so spiegarmi bene
questo meccanismo che non mi ha fatto accettare; forse una voglia di
libertà più profonda che ha prevalso in me, come quando canto e trasmetto le mie emozioni alla gente; ecco, se avessi fatto una cosa del genere
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
(truffato), o facessi una cosa del genere, non potrei più cantare, fare un’attività del genere, non potrei più mostrarmi alla gente, stare in mezzo agli
altri; anche perché, se dovessi finire in galera, tempo una settimana e mi
farei fuori, non potendo stare chiuso; sono, infatti, una persona, come ha
detto l’analista, disturbata; ho tutto a posto, sono una persona umana,
ma emotivamente ho difficoltà nel gestire le emozioni stesse, e quindi non
potrei sopportare una chiusura fisica, materiale, anche mentale; ecco,
per questo, fortunatamente, queste cose non l’ho fatte; questa proposta di
pochi giorni fa mi ha messo in crisi, ma alla fine ho detto”non posso
farlo”; ho detto no.
D.: E ha fatto bene.
R.: Si, perché devo cercare di avere possibilmente una vecchiaia tranquilla; e poi sto ancora cercando, non posso fare una cosa così; mi sento
sempre in cammino, cioè sento sempre dei passi nelle mie ricerche di fede
e artistiche; qualcosa del genere bloccherebbe il mio cammino doloroso,
forte, che mi sono guadagnato, come tutti del resto, e io non sono meno;
devo camminare, sono sempre alla ricerca di me stesso, anche per conoscermi in relazione al divenire di un’età in cui uno diventa uomo; sento
che sto diventando un uomo; presto o tardi, non mi interessa, è un concetto relativo; il mio discorso va al di là della morale o dell’etica; se fosse
stato per l’etica io avrei fatto quelle cose, diciamo dei disagi, disastri
sociali; ma ho dietro un valore più forte, la fede, che mi spinge a non fare
quelle cose, devo restare libero, più forte della morale o dell’etica. Tornando ai rapporti, credo di vivere un rapporto falsato con la gente, nel
senso che è più forte di me; avrei un profondo desiderio di piangere di
fronte alla gente, di lamentarmi, essere triste, farmi “accudire”; in realtà
adotto una maschera , istintivamente, e risulto essere un persona quasi
sicura di sé, molto dura, forte; i miei colleghi di catering, due dei quali
sono diventati molto amici, quando mi hanno visto per la prima volta al
lavoro, hanno detto che facevo paura, dimostrando di essere una persona
forte, determinata, sicura di sé, che sapeva quello che doveva fare (in
parole povere, uno“stronzo”); mi mostro così fuori, con un’impressione
di compostezza, di integrità fisica, mentre in realtà, dentro, sono in mille
pezzi, che ogni giorno cerco di rimettere insieme. Altra cosa importante;
Dossier 2005
123
INTERVISTE
l’estate si interrompono i meeting buddisti, che sono bimestrali, e anche
le attività si interrompono; io fondamentalmente ho rapporti solo con
questo gruppo, non parlando solo di religione, e ho creato varie amicizie;
ebbene, quest’estate, non ho visto nessuno di loro e mi sono trovato solo
in questa cittadina, con un senso di rabbia, vuoto verso tutti; mi dicevo,
ancora una volta solo, abbandonato, a 38 anni, nonostante analisi, analisti, ecc. Io ho un profondo problema di relazione con la gente; io non mi
do’ alla gente, non ce la faccio, è più forte di me, e ciò dipende da tutto
quello che ho vissuto.
D.: Invece, non nei riguardi dei singoli, persone in sé per sé, ma delle
organizzazioni, che possono essere istituzionali, come l’Asl, i servizi sociali del Comune, oppure non istituzionali, come la Caritas, o altre organizzazioni di volontariato; ecco, che tipo di rapporto ha avuto, come valuta questo.
R.: Fine anni 80, ho conosciuto persone che lavoravano nella comunità
“Papa Giovanni” di Don Oreste Benzi; mi hanno introdotto a vedere come
si viveva nelle case famiglia; a me è piaciuto molto, per questo bisogno
che avevo di essere accudito, e il luogo mi sembrava si prestasse a questo; mi hanno proposto non dico di fare l’operatore, non avendone le
capacità di studio e caratteriali, ma essere comunque al seguito di alcune
persone con problemi più profondi dei miei, es.uno schizofrenico; era
perciò una cosa a doppio senso, un po’ io stavo bene, un po’ ero d’aiuto;
è stato molto bello conoscere Don Oreste Benzi, una grandissima persona, di grande cuore; e’ durato qualche mese, quasi un anno questo rapporto con questa associazione, in cui ho dato e ricevuto; dopodichè, il
volontariato, nel corso degli anni, mi ha interessato, mi piace, mi fa stare
bene, essere importante.
124
D.: Questo come attività fatta; che tipo di relazione, invece, quando si è
trovato nella necessità, ha chiesto aiuto, che so, ai servizi sociali, per malattia, problemi di salute; ecco, quando aveva dei bisogni che non riusciva
a soddisfare.
R.: Fino al 2000/2001, prima che avessi l’epatite, ho avuto talmente questo profondo senso di portarmi il mondo sulle spalle, da solo, per quanto
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
immaginavo e avevo vissuto, che non avevo mai voluto chiedere aiuto a
nessuno; in tutta la mia vita mio padre mi ha dato 3 milioni delle vecchie
lire; da mia madre ho ricevuto molto meno, anche se ho vissuto da lei;
dalle associazioni niente. Invece, dopo questa malattia, in questa città, ho
cominciato a considerare la possibilità di poter essere aiutato, poter avere dei”diritti”, oltre che dei“doveri”; come lavorare; quindi mi sono rivolto, tramite la mia analista, che mi ha indirizzato, ad assistenti sociali
che mi hanno offerto il loro aiuto(siamo nel 2000); all’inizio facevo fatica
ad accettare questo aiuto, e infatti l’ho rifiutato; ho chiesto semmai aiuto
una tantum al comune di Città di Castello, che dal 2002 c’è stato; ogni 3/
4 mesi mi è stato dato un aiuto di natura economica per poter andare
avanti; mi sono rivolto ogni tanto alla Caritas, che mi ha aiutato a pagare
le bollette del gas e della luce(3/4 volte al massimo, cifre di cinque-seicento euro); la Caritas mi ha aiutato molto; adesso, poi, ho saputo dal
comune che il suo tipo di aiuto non ci sarà più. Allora, tramite la mia
analista, ho ripreso i contatti con il nuovo assistente sociale ed ho accettato di avere un aiuto mensile, quest’anno, di 200 euro al mese, come
aiuto per pagare l’affitto.
D.: Riguardo il lavoro, ha mai fatto richieste particolari ad organizzazioni,
o sa se la provincia di Perugia, in qualche modo, facilita l’inserimento
lavorativo.
R.: Non lo so; posso dire che per il lavoro mi sono rivolto in comune, a
Città di Castello; prima ho sempre cercato io, da una parte all’altra, direttamente, girando; da quando sono qui, sono cambiato molto, la malattia mi ha cambiato molto; anche perché ti cambia almeno in termini di
fisico; aver avuto un’epatite, significa stare attento a quello che mangi,
come vivi, come ti muovi, operi e usi le tue energie; e poi c’è il passare
degli anni; io ho sempre rivolto la mia mente al passato, al perché mi
erano successe determinate cose, una richiesta profonda di me stesso,
come un cane che si morde la coda; ora sono invece rivolto al futuro
D.: Ecco allora apposta ... no? ... perché poi in fin dei conti il passato ha
importanza ma quello che abbiamo davanti è il futuro In fin dei conti il
passato ha la sua importanza, ma quello che è ancora più importante è il
futuro; ecco allora come vede il suo futuro.
Dossier 2005
125
INTERVISTE
R.: Dico che ho paura del futuro, ma lo affermo con il sorriso sulla bocca;
adesso, nel futuro immediato, le agenzie interinali studieranno per trovarmi un lavoro che non sia molto pesante dal punto di vista fisico; io non
ce la faccio, infatti, a sostenere una cosa pesante; non posso, poi, lavorare fuori, sempre a causa di problemi fisici. Tornando al futuro, un po’ mi
fa paura, come penso a tutti; penso di avere la sensazione di dovermi dar
da fare nel mio settore della ristorazione, o altro; penso, infatti, di aver
fallito come artista, purtroppo; anche se ci sono state delle concomitanze
a me sfavorevoli; bisogna, infatti, esser pronti, per una cosa del genere, al
momento giusto, nel luogo giusto, incontrando la persona giusta; una
concomitanza di questa cose che non dipende, quindi, solo dalla volontà
della persona, e che per me non c’è stata; ne sono consapevole. La sensazione che mi accompagna verso il futuro è quindi di disagio, per questo
forte fallimento, non solo in campo artistico, quanto il non aver dimostrato a coloro per i quali vivo, cioè la mia famiglia adottiva e non, di qualunque genere, che ero migliore di quello da cui ero venuto; ora ho ambizioni
molto più basse, mi sto ridimensionando; è la maturità; credo solo di
poter vivere bene, onestamente, tranquillamente e avere una stabilità(quella
che dico io e della quale ne abbiamo parlato con l’analista). Io faccio
fatica ad avere un lavoro fermo, stabile, perché ciò mi soffoca, mi viene
l’angoscia, soffro, sto male; tutto questo è legato alla non certezza della
mia vita, al fatto che non poggio la mia vita su niente di certo, su, almeno,
qualcosa; negli anni vissuti all’estero, circa 10 anni, vivevo infatti giorno
per giorno, una vita così.
D.: Dove è stato all’estero?
R.: Francia, Inghilterra, Austria, Spagna, Olanda, Belgio, Norvegia, Danimarca, Germania.
126
D.: Dove è stato prevalentemente, perché 10 anni sono tanti.
R.: Prevalentemente in Francia, Germania, Inghilterra, Spagna e Olanda; io spero, auguro, tramite anche questo mio parlare alle energie della
vita, di trovare una stabilità maggiore, interiore, affinché possa avere un
lavoro e riuscire a tenerlo, non solo in quanto tale; è l’ospitalità interiore
che non faccio di qualcosa; quando qualcosa arriva nella mia vita, anche
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
una relazione, ne ho talmente tanta paura che faccio scattare meccanismi, che vengono da lontano, e ho l’intelligenza, se così si può chiamare,
di riconoscere, per mezzo dei quali adotto metodologie comportamentali
che alla fine, partendo proprio da lontano, mi allontanano da quella data
cosa o da quella data persona; perché, profondamente, ho una tale paura,
una terribile paura, non conoscendo, appunto, la stabilità, come soggetto, come persona.
127
Dossier 2005
INTERVISTE
128
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
CENTRO DI ASCOLTO DIOCESI DI GUBBIO
Intervistatore: Massimo Mandrelli
Comune: Gubbio
Data: 2005/10/01
Sesso: F
Nazionalità: Straniera
Tipologia familiare : 08
Dipendenza da sostanze: NO
Patologia psichica: NO
Altri segni particolari: NO
Descrizione segni particolari:
Tipologia utente: Utente
Attendibilità informazioni: Del tutto
D.: Molto liberamente può cominciare
R.: Io sono nata da una famiglia unita, la mamma e il papà sempre si sono
voluti bene, siamo stati 10 figli, due sono morti, perché non esistevano
medicine, le cose che esistono adesso, la povertà, la scienza era addietro
da noi, perché quando c’è povertà
D.: Dov’è nata ?
R.: In Albania, ho 31 anni, sono nata nel 74, però noi abbiamo avuto una
mamma e un papà che lavoravano, la nonna è stata sempre con noi, perché mio padre era figlio unico, sempre l’amore dei genitori, l’uno con
l’altro e con la nonna, ha fatto passare la povertà, ha fatto passare tutto,
perché quando c’è l’amore in famiglia c’è tutto, perché si può soffrire per
mangiare, ma ti passa, perché oggi mangi poco, domani mangi di più, non
fa differenza, invece oggi vedi che si litigano mamma e papà, questo non
te lo dimentichi mai, perché rimane nella testa, i bambini si spaventano,
invece noi abbiamo avuto la fortuna perché la mamma e il papà hanno
lavorato sempre con onestà
Dossier 2005
129
INTERVISTE
D.: Che tipo di attività?
R.: Il papà lavorava, tutti e due al governo, impiegati, lavoravano tutti e
due, sono stati sempre onesti, sinceri, avevano fiducia uno nell’altro, se
c’è fiducia, onestà, i problemi non esistono, però ci sono stati problemi
economici, sono 8 figli, non è facile tirare avanti, però grazie a Dio la
nonna faceva le economie di casa, la mamma e il papà lavoravano, noi
tutti siamo stati utili, per esempio raccoglievamo le erbe per la farmacia,
lavoravamo tutta l’estate per comprare i vestiti per la scuola, siamo stati
tutti uniti, tutti utili.
D.: Lei nella scala dei figli, era tra i più grandi, tra i più piccoli?
R.: In mezzo, la quarta figlia, sempre nella nostra famiglia è entrata l’educazione per non toccare le cose degli altri, per non dire parolacce agli
altri, usare le cose con educazione, tutti abbiamo fatto il liceo, siamo stati
un esempio per gli altri, perché se cresci tanti figli è dura, invece se c’è
educazione nasce una famiglia unita, una famiglia brava, noi siamo sette
qui a Gubbio, sette figli tutti lavoriamo, tutti studiano, tutti guardiamo gli
affari nostri, tutti abbiamo degli amici, ci troviamo bene qui.
D.: I genitori ?
R.: Papà è morto qui a Gubbio, ha trovato assistenza, lo hanno aiutato
tutti, venivamo tutti i giorni infermieri, dottori, hanno fatto il possibile per
tirare avanti, donare il sangue, tutte le medicine forti, la morfina che costa tanto, anzi si sono anche impegnati per il permesso per fargli vedere
la sua mamma e mia mamma, però è vissuto 5 mesi, poi è morto all’ospedale di Gubbio e l’abbiamo riportato in Albania morto.
130
D.: Quindi diciamo voi siete venuti qui con il papà?
R.: No, dopo il liceo mi sono sposata in Albania, ho avuto il figlio maschio, siamo venuti qui con il visto, questo visto ci è costato 6 milioni,
però abbiamo trovato l’amore dei fratelli.
D.: È venuta direttamente qui a Gubbio, avete qualcuno?
R.: Si, avevo fratelli e sorelle, di là mio marito non trovava lavoro, era
difficile trovare, dopo mio figlio stava sempre male, aveva il rachitismo
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
D. : In che periodo siete venuti qui?
R.: Nel 2000. Qui ci siamo trovati bene, mio marito ha incominciato subito il lavoro come manovale, adesso è muratore, ha preso anche il mestiere, prima era camionista in Albania, adesso ci troviamo bene, lui s’impegna, andiamo d’accordo con tutti, perché guardiamo solo la nostra vita,
quando non ti impicci degli affari degli altri è difficile che va male. Poi
qui ho avuto l’altro maschio, che ha avuto dei problemi alla nascita, subito in terapia intensiva ho avuto però l’appoggio del Comune, che mi ha
aiutato con il latte, che costava tanto, mi hanno aiutato con i pannolini,
perché io avevo il permesso di salute, non avevo il permesso di lavoro,
abbiamo sofferto quattro anni senza permesso, il Comune mi ha aiutato
per questo figlio, per riprendersi.
D.: Come sta adesso?
R.: Adesso sta bene, è proprio un fiore, anche quell’altro sta bene, ci troviamo molto bene, andiamo d’accordo tutti e quattro in famiglia, cerco di
dare amore ai figli che ne hanno bisogno, perché se sei lontano dai parenti, da tutti.
D.: Voi vivete autonomamente oppure vivete con qualche altra famiglia?
R.: Siamo solo noi, ha i genitori di mio marito in Albania che tocca sempre aiutare perché hanno una pensione minima, non basta a comprare
neanche... Cerchiamo di aiutare un pochino, ma è dura, perché con un
solo stipendio è dura, però io vengo qui qualche volta, però i miei figli
stanno bene, mio marito sta bene, è meglio lasciare agli altri che può
darsi hanno problemi più di me, perché se dopo qui aiutano tante persone, poi può darsi che non hanno per tutti.
D.: Con le persone del luogo, lei abita in un condominio, abita qui in città?
R.: Ci vado molto d’accordo con tutti, mi vogliono tutti bene, sempre regali per Natale, la Befana per i figli, questo sempre, mi hanno voluto
molto bene. All’inizio sono stati freddi, anch’io severo qualcuno che non
conosco mica mi attacco subito, perché senza conoscere è dura, ma dopo
che hanno capito che guardiamo la nostra strada, la nostra vita, hanno
cominciato ad avvicinarsi, a volerci bene, perché è dura per tutti,io la
Dossier 2005
131
INTERVISTE
capisco la gente, però adesso tutto bene, come se fossi nata qui. Quando
porto i figli a scuola sempre le amiche, le madri di altri figli sono disponibili, per esempio se ho bisogno di accompagnare il figlio a scuola, portarmi a casa perché non abbiamo la macchina, siamo ancora un po’ sotto il
livello delle famiglie di qui, dobbiamo pagare dei debiti, però piano piano. Un figlio ce l’ho a scuola, uno all’asilo, non vedo con i miei razzismo,
niente, anzi gli vogliono bene tutti i bambini come se fossero di qui
D.: Mi dicevi che hai fratelli, sorelle, tutti a Gubbio. Hai altri parenti in
Italia?
R.: Si, dappertutto.
D.: Vivete abbastanza in relazione qui a Gubbio?
R.: Si, perché noi in Albania siamo più attaccati fra parenti, perchè la
gente si attacca ai soldi, non pensa ai parenti, non pensa a nessuno. Anche da noi un giorno arriverà questa freddezza, perché dopo diventa gelosa la gente, quando cominci a sentire il profumo dei soldi, dopo ognuno si
attacca a questi, io penso così, magari qualcun altro pensa diversamente.
D.: È una valutazione personale …
R.: Però per adesso siamo più attaccati con i parenti, più uniti, noi siamo
poveri, ma il cuore ancora è grande, perché cerchiamo di aiutare tutti,
cercando di dare una mano, per esempio noi siamo qui stranieri, ai poveri
che sono in Albania, noi qui per gli italiani siamo poveri, ma gli altri che
sono rimasti in Albania sono più poveri di noi.
D.: Come avete maturato la decisione di venire in Italia?
R.: Quando non trovi lavoro, cerchi sempre di fare il possibile, vai in altra
parte per trovare lavoro.
132
D.: In famiglia la cosa è avvenuta gradualmente, alcuni suoi fratelli e sorelle erano già in Italia?
R.: Quando mi sono sposata, all’inizio non ci pensavo, ma dopo ho visto
che la vita è diventata dura, ci abbiamo pensato con tanta fatica, perché
per trovare 6 milioni, siamo riusciti a pagare questo debito, abbiamo sof-
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
ferto un po’ per la casa, perché non si trovava, perché quando sei senza
permesso non si trova, per fare il contratto.
D.: Oltre al Comune, alla Asl, alla Caritas, ha incontrato altre organizzazioni che l’hanno aiutata?
R.: Io non ho cercato tanto, perché ho i figli piccoli, però per esempio il
Comune mi aiuta per la scuola, per l’asilo, perché la denuncia dei redditi
è bassa. Io ho lavorato con degli anziani, ho visto che vengono sempre
infermieri a casa, sono tanto disponibili, ho visto che curano le persone
anziane come se avessero 20 anni, tante cure per salvare la gente.
D. : E della Caritas cosa mi dice, tanto non ci sente nessuno
R.: No, tanto io non sono capace di dire bugie, sono sempre disponibili ad
aiutare, io ho lavorato anche 2/3 volte volontaria, anche una mia amica,
ho visto come aiutano, con vestiti, con cibo, con tutto, aiutano tanto la
gente.
D. : Come vede il futuro, quello più prossimo e quello più lontano?
R.: Io penso che le difficoltà sono ormai passate, andiamo per il meglio,
perché se viene dal male al bene, ma se dal bene scendi al male, questo
non si sopporta, speriamo che andiamo meglio ogni giorno.
D.: È sufficientemente ottimista?
R.: Come no, anche i miei figli. Mio figlio è bravo in italiano, più bravo
degli altri bambini nati qui, in matematica prende sempre ottimo, come io
non o avuto la possibilità di studiare perché non avevo i soldi, ero molto
brava a scuola, anzi mio padre è morto con questo pensiero, io cerco di
fare il possibile per far studiare mio figlio, tutti e due. Io ho anche un
fratello che studia per farsi prete qui in Italia, prende tutti 26 e 30, è molto
devoto sulla strada che ha scelto ed anche noi cerchiamo di aiutarlo sulla
strada che ha preso. Siamo cattolici, abbiamo avuto 3 zii preti uccisi dal
comunismo in Albania.
Dossier 2005
133
INTERVISTE
134
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
CENTRO DI ASCOLTO DIOCESI DI SPOLETO - NORCIA
Intervistatore: Massimo Mandrelli
Comune: Spoleto
Data: 2005/09/27
Sesso: F
Nazionalità: straniera
Tipologia familiare: 08
Dipendenza da sostanze: NO
Patologia psichica: NO
Altri segni particolari: NO
Descrizione segni particolari:
Tipologia utente: Utente
Attendibilità informazioni: Del tutto
D.: Sintetizzando rapidissimamente la situazione della sua famiglia di
origine.
R.: Va bene; io vengo dall’Albania, ho 40 anni, mi sono sposata a 22
anni; vivo qui in Italia da 6 anni, con la mia famiglia, mio marito e 2 figli;
il marito è arrivato prima di me, qui in Italia, un anno e mezzo prima;
abbiamo prima vissuto in una città grande, poi ci siamo spostati in questa, più piccola, a Spoleto, e ci troviamo molto bene; è una città tranquilla; il nostro percorso è stato diverso, per arrivare fino ad oggi, da quello
che avevamo immaginato all’inizio; avevamo pensato ad una vita diversa, studiando, facendo una fatica per fare una vita diversa, invece oggi ci
troviamo in queste condizioni.
D.: Siete entrambi laureati?
R.: Sì, tutti e 2 siamo laureati, e, nel nostro paese di nascita, abbiamo
lavorato tutti e 2 proprio nella specializzazione per la quale ci siamo
laureati; invece, qui in Italia, per necessità, siamo pronti, e facciamo qualsiasi lavoro.
Dossier 2005
135
INTERVISTE
D.: Ecco, siete venuti qui in Italia, spinti da quale necessità, da che cosa.
R.: Perché, nel nostro paese, già dal 97, ci sono stati dei problemi economici; c’è stata una rivolta da parte del popolo, perché molti hanno perso
tanti sodi; alcune persone, che non possiamo dire del popolo, hanno rovinato banche, lavori, reparti, tante cose; da questa, che possiamo chiamare ”rovinazione”, noi abbiamo perso tutte le speranze, e deciso di venire
in Italia; nel lavoro che facevamo, infatti, era tutto rovinato.
D.: Cioè, voi stavate bene, eravate soddisfatti del vostro lavoro, della vostra famiglia, della sua e di quella di suo marito, della vostra vita, ma poi...
R.: Sì, una famiglia normale; noi vivevamo da soli, con le nostre figlie, un
po’ lontano dai nostri genitori, tutti e due; però, dopo essere venuti qui in
Italia, tutto è cambiato, qualsiasi cosa è cambiata; la nostra vita era normale, in Albania; qui in Italia, invece, tutto è diverso, rispetto a ciò che
ritenevamo normale prima, per noi; mio marito è arrivato pure prima, un
anno e mezzo, due, prima di noi; alla fine del 97, è giunto in Italia, senza
documenti, e ha vissuto questo tempo in maniera clandestina, finchè ha
fatto i documenti con la sanatoria del 98; dopo un anno che ha preso il
permesso, siamo arrivati noi, io e le figlie; dal momento che era partito,
sicuramente, il nostro pensiero era di raggiungerlo. Durante questo periodo, io e le mie figlie abbiamo frequentato corsi di lingua italiana a scuola; sapevamo che era difficile relazionarsi con le persone, e la prima cosa
che ci è venuta in mente è stato proprio il modo di comunicare con persone dalla lingua differente; così abbiamo frequentato questi corsi di lingua; e quando siamo arrivati in Italia, non ci siamo trovati in difficoltà
per parlare con la gente.
136
D.: Guardando alle problematiche che avete avuto, lei, suo marito e le sue
figlie, qui in Italia, le più grandi sono state il lavoro, la casa.
R.: Ecco, all’inizio mio marito era ospite in una casa di alcuni suoi parenti, una casa che non era loro, però, ma di un altro; dopo si è trasferito in
un’altra città e ha fatto dei lavori, completamente diversi da quelli che
faceva nel suo paese, ed era difficilissimo per lui; piano, piano si è adattato, per forza; finchè si è trasferito qui a Spoleto, dove è stato appoggiato
da un suo ex-collega di lavoro. Ma ci sono stati momenti in cui ha sofferto
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
così tanto, che voleva ritornare in Albania, non ce la faceva più a sopportare questa cosa, ad andare avanti; arrivando in questa piccola città ha
trovato l’aiuto e l’appoggio di un prete, del quale abbiamo la massima
stima, il massimo rispetto; è un amico nostro, un ospite nostro. Avendo
questo appoggio, ha sistemato ogni cosa, tutti i documenti, mentre ancora
noi non eravamo arrivati; questo prete ci ha aiutato, poi, per fare i documenti miei e delle mie figlie, e così siamo arrivati. All’inizio, per alcuni
mesi, è stato difficile trovare una casa in affitto, poi ci siamo riusciti, e ci
siamo trasferiti lì; da solo, mio marito, non aveva trovato niente, prima;
era andato vicino a firmare il contratto di casa, delle volte, ma alla fine
mai niente; quando vedevano che era da solo, un uomo, straniero, c’era
mancanza di fiducia da parte delle persone che aveva di fronte, che gli
vendevano la casa, anche se mio marito non aveva nessun problema. Poi,
arrivata io, moralmente la cosa era diversa; c’è stata questa fiducia da
parte delle persone che ci davano in affitto la casa, mio marito non era
più solo, e ci siamo sistemati ; siamo stati per 4 anni in affitto e, adesso,
grazie al lavoro che abbiamo trovato (stiamo facendo qualsiasi tipo di
lavoro) abbiamo comprato casa, e ci stiamo molto bene.
D.: Riguardo le relazioni, alle quali già ha accennato qualcosa, con i conoscenti, vicini, che mi dice.
R.: Le differenze tra l’Italia e il mio paese d’origine non ne vedo tante; le
persone non sono tanto diverse; nel palazzo dove vivo, nella casa in cui
abito, le persone sono uguali a quelle di quando ero bambina, solo che
parlano una lingua differente; anche le abitudini, gli usi sono identici; ci
salutiamo in qualunque momento nel quale ci incontriamo; se abbiamo
qualcosa da dirci, ce lo diciamo; insomma risento uguale tanto qui in
Italia, come lì in Albania.
D.: Nei riguardi, invece, delle associazioni, sia quelle istituzionali, come
comune, Asl, servizi sociali, Caritas, sia altre organizzazioni di volontariato
che ha incontrato, che tipo di relazione ha avuto?
R.: Frequentando i diversi corsi che personalmente mi interessava seguire, ho conosciuto la Caritas; già sapevo che dava un aiuto a tutti gli immigrati; spesso ho accompagnato le persone che volevano informazioni qui
Dossier 2005
137
INTERVISTE
in Caritas; ho conosciuto altre, diverse associazioni che collaborano con
la Caritas. Riguardo i servizi sociali del comune, io è da 2 anni che ci sto
lavorando; prima non avevo bisogno, personalmente del loro aiuto, né io,
né la mia famiglia; forse è anche il nostro carattere per cui non abbiamo
chiesto mai niente a loro, ma perché anche non avevamo bisogno, lavorando. Adesso vedo altre famiglie che ogni giorno si rivolgono ai servizi
sociali per chiedere aiuto; io li accompagno e faccio da mediatore tra
loro, con i vari problemi, e i servizi stessi; queste persone hanno infatti
difficoltà nella lingua; non vorrebbero dire i loro problemi privati, ma
non potendosi esprimere in altro modo, per necessità, parlano con me che
faccio da mediatore, per chiedere aiuto e fare intervenire gli assistenti
sociali.
D.: Ecco, guardando al prossimo futuro, o a quello più lontano, come lo
vede; mi accennava ad un problema con i genitori.
R.: Sicuramente non abbiamo niente di certo, di definito, come famiglia;
abbiamo comprato una casa, perché è meglio pagare il mutuo, che l’affitto; ma non è che abbiamo deciso niente per il futuro, perché, collegandomi al problema con i genitori, anche loro, in Albania, hanno bisogno di
aiuto, più di noi; e sono i vivi che hanno bisogno, devono essere aiutati da
noi; adesso, non possiamo prendere nessuna decisione, oggi per oggi. Se
i nostri genitori potevano vivere con noi, la cosa poteva essere diversa;
però, per le difficoltà che si sono create, le altre cose, le leggi che cambiano ogni giorno, c’è sempre da vedere tutto, e non si possono prendere
delle decisioni; dire oggi ”sì, tornerò in Albania”, e dopo i miei figli non
torneranno più, questo è difficilissimo da dire; però, siccome, oggi; i genitori non possono venire in Italia, siamo sempre ad un bivio.
138
D.: Dalle cose che ha detto, alcuni problemi, difficoltà, che si sono create,
sono state superate; il lavoro, la casa.
R.: Io posso definire la mia, una famiglia normale; rispetto ai problemi
che oggi veramente preoccupano, non solo gli immigrati, ma anche tutti i
cittadini italiani; non solo infatti riguardano gli immigrati, che hanno
semmai maggiormente i problemi dei documenti, dell’essere in regola (questo è più preoccupante); le altre cose, la casa, il lavoro, sono per tutti, no
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
c’è differenza; la differenza, a volte, è che alcuni cittadini italiani non
possono, vogliono fare i lavori umili che fanno invece gli immigrati; il
resto è uguale per tutti, una casa un lavoro servono a tutti, e tutti li cercano. Per me non c’è differenza, in questo senso; per me la differenza l’ha
fatta che non pensavo di fare assistenza o la pulizia delle scale; pensavo
di fare tutta un’altra carriera, a qualsiasi costo, mentre a questo di oggi
non pensavo mai, nella mia vita; però si deve fare secondo l’ambiente in
cui vivi, ed è andata così; questa non è una scelta, non c’è scelta; devo
fare così.
139
Dossier 2005
INTERVISTE
140
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
CENTRO DI ASCOLTO DIOCESI DI ORVIETO-TODI
Intervistatore: Massimo Mandrelli
Comune: Todi
Data: 2005/09/30
Sesso: M
Nazionalità: Straniera
Tipologia familiare : 12
Dipendenza da sostanze: NO
Patologia psichica: NO
Altri segni particolari: NO
Descrizione segni particolari: Tipologia utente: Utente
Attendibilità informazioni: Abbastanza
D.: Allora la parola a te…racconta
R.: Si, sono…come dire io vengo dal Marocco, sono…
D.: Sì sei nato dove? ...
R.: Provengo come città Scena, vivo 16 anni qui, loro tutti giù, io sono qua
studia, vivi. Sto benissimo.
D.: Ecco ma … Per parlare un po’ diciamo tu, i ricordi che hai quando eri
bambino?
R.: Io bambino? non ricordo per niente
D.: No?
R.: Sì ... Io bambino gioca a pallone, ste cose … i miei amici
D.: Hai fratelli sorelle?
R.: Sì tutti sette persone
D.: Papà, mamma?
R.: babbo adesso no ce l’ho più, babbo adesso è morto, non mi ricordo a
settembre… no a marzo
Dossier 2005
141
INTERVISTE
D.: Ha! Mi dispiace
R.: Lui, adesso è rimasta la mamma e la fratelli
D.: Tu che sei? Primo, ultimo, intermedio?
R.: No medio
D.: Quanti anni hai?
R.: Adesso so ... babbo mi ha scritto due anni avanti nell’87 ma io nato nel
98, babbo mi ha scritto 2 anni di avanti . Così mi trovo benissimo in Italia.
D.: Com’è che sei venuto qui in Italia?
R.: Come sì?... loro non andato per lavoro, ste cose, loro … povertà …
come si dice
D.: Cioè, la tua famiglia, papà, mamma, qualche fratello sorella tua lavoravano giù in Marocco?
R.: No nessuno
D.: Nessuno?
R.: Solo io, solo io l’unico qua
D.: No non qua… giù in Marocco
R.: Giù nessuno lavora
D.: E come fanno a vivere giù in Marocco
R.: E… giù a vivere in un altro modo, tanti anni fa babbo lavora come
aveva parecchi soldi lui dato 4.000 euro per venire qua.
142
D.: Sì mi dicevi che per problemi di lavoro i tuoi giù hanno difficoltà e
nella tua famiglia è stato deciso di far sì che qualcuno di voi … sei tu solo
via dal Marocco o anche qualche tuo fratello o sorella?
R.: No, io sono solo
D.: Come mai la scelta è caduta su di te?
R.: A me piace l’Italia
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
D.: No… tra i tuoi fratelli e sorelle perché hanno scelto te?
R.: Perché loro … un po’.. come s’dice, l’altri tutti più piccolini me, l’altri
o più grandi tra 20 18 anni non possono venire qua in Italia, questa cosa,
anche servono 15.000 anni, euro per venire qui in Italia, tra 16 e 13 entra
sicuramente, qualcuno ti porta qua per entrare in Italia loro ti danno
4000 euro per venire qua, loro aiuta ste cose.
D.: Sei venuto quindi direttamente dal Marocco,
R: No
D: Sì ma via mare da dove sei partito?
R.: Marocco, Spagna… non mi ricordo Francia, no Francia ,Genova Roma
No prima volta in Italia Roma, dopo ma Italiano sì conosciuto, italiano
così, poi trovato Marocchino, de là trovato c’era anche 1000 euro dentro
tasca marocchino soldi così m’ha fatto cambiare italiani comprata la roba
così vendere la roba così dopo il marocchino disse a me senza casa sta a
Roma così quando piove, la neve qualche volta così lui pagato il treno
così venuto a Todi.
D.: Perché sei venuto a Todi?
R.: Io gira così poi acchiappato carabinieri portato qui in Caritas.
D.: Qui a Todi ti hanno preso?
R.: Sì, dopo mi ha chiamato Paolo, Sig. Paolo e …
D.: Da Quanto tempo stai a Todi?
R.: Novembre 2003
D.: Quindi sono passati due anni?
R.: 26 novembre 2003
D.: Guardando quelle che possono essere state le difficoltà… Quali sono
state le difficoltà…., tu sapevi che stavi affrontando un viaggio difficile
con una prospettiva non certa?
R.: Il viaggio nessun problema arrivato in Italia tranquillamente, io sto
Dossier 2005
143
INTERVISTE
bene. Quello ultimo nel 2004 c’erano 600 persone qualcuno morto in mare
come si dice:” babbo mio sei fortunato”, venuto qui senza problemi, senza morti, loro contenti tutto bene, nessuno problema successo per strada.
D.: Quando sei venuto qui a Roma, prima dicevi, quali sono state le difficoltà maggiori, sono state il trovare da dormire, trovare da mangiare?
R.: Mangiare se vedi bar, se vedi regalano pizza a Roma no tanto tempo uno
giorno non mi ricordo due giorni, non mi ricordo a Roma no tanti mesi
D.: Poco tempo sei stato, e poi da Roma subito qui a Todi?
R.: A Todi non mi ricordo girato un giorno così io girato suonato campanelli, citofoni a gente vende la roba, dopo sbagliato suonato alla caserma
carabinieri, io scappato ma maresciallo chiamato “Ehi marocchi vieni
qua!” dopo chiappato
D.: Dopo quanti giorni che stavi a Todi è successo questo?
R.: Un giorno
D.: Ah! Un giorno velocissimo!
R.: Loro controllato subito
D.: Che documenti avevi?
R.: Nessun documento … anche loro chiesto un documento
D.: E ti hanno accompagnato subito in Caritas o sei rimasto in caserma?
R.: No rimasto fanno la foto ste cose poi chiamato giù la Caritas, poi
chiamato il parroco, poi chiamato Marcello poi portato qui tutto fradicio,
l’acqua quel giorno c’era temporale il vestito tutto gocce.
144
D.: E quindi sei stato ospitato qui in Caritas
R.: Sì, trovo benissimo
D.: Ah! No adesso perché ci sta Paolo dici che ti trovi benissimo….
R.: Sì, no
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
D.: No, ma lui non ti sente
R.: Vero, in Caritas i signori sono benissimo, sta cosa…
D.: Quindi dormi qui e per magiare come fai?
R.: Mangio qui
D.: Anche la cena?
R.: Sì, tutto
D.: Ti cucini tu?
R.: No, cucina una persona, siamo qui tutti insieme.
D.: Se vuoi parlare un attimo di quello che sono stati i rapporti con le persone che hai trovato qui in Italia … quel signore marocchino a Roma, i carabinieri … come ti sei trovato anche con i carabinieri … dai prima a Roma
R.: A Roma primo giorno, non mi ricordo, uno giorno, due giorni … non
mi ricordo stato a Roma, no tanta la difficoltà. I carabinieri a Todi dopo
chiappato nessuna parola detto, manco buongiorno. Dopo quando chiamato Caritas, portato ragazzo amico mio, chiamato traduci arabo italiano questa cosa per sapere quando venuto da solo se c’è famiglia, se c’è
documenti, per che cosa venuto in Italia e così…
D.: Con queste persone che conosci, tu vai a scuola, quindi con i compagni di scuola, hai amicizie?
R.: risposta benissimo siamo 29 persone in classe.
D.: Che classe fai?
R.: Quest’anno III media, ciò anche l’esame.
D.: Studi?
R.: Ma … mica tanto. In classe sì a casa no.
D.: A casa che fai?
R.: A casa dico la verità, no niente, guardo la televisione ste cose … dopo
passa il tempo a cena dopo vado a dormì. Vedo calcio ste cose, televisione.
Dossier 2005
145
INTERVISTE
D.: Giochi a calcio?
R.: Sì, sempre sabato, domenica e anche lunedì. Sempre campetto con altri
amici afgani, io trovo benissimo a scuola con professori, con amici, tutti
insomma, manca il libro mi prestano anche a casa, tutti mi vogliono bene.
D.: E con la famiglia?
R.: Con la famiglia, come si dice… dico bene
D.: Vi scrivete, vi telefonate?
R.: Sì ci sentiamo per telefono, stanno bene
D.: Beh! Stanno bene, mi hai detto che tu sei venuto per motivi di necessità, di lavoro, la situazione è rimasta invariata per i tuoi? Nessuno lavora?
R.: No… stanno a casa, girano
D.: Ma la casa è in città o in campagna?
R.: In città. Sento loro per telefono …loro stanno bene.
D.: Con le organizzazioni tipo la Caritas, per esempio il Comune, con i
servizi sociali, il servizio sanitario. Sei mai stato male in questo periodo?
R.: Sì, c’è stato per dormire la notte, sempre medicine per dormire, per
mangiare
D.: Quindi hai un medico che ti segue?
R.: Sì
D.: E come va con questo medico?
R.: Sì bene. Anche un po come si dice ho anche un’anca manca due centimetri perché quando io sta in Marocco caduto da una bicicletta questa
anca l’anno scorso non mi fa dormire per niente tutta la notte batte.
146
D.: Ma si è rotto il femore? Qualche cosa?
R.: No
D.: Solo è uscita la testa del femore?
R.: Sì
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
D.: E non è stata rimessa a posto?
R.: No niente, io sta a casa. La mamma e il babbo non hanno detto niente
per niente quando io venuto qua fatto una o due foto si vedeva l’anca
uscita, si vedeva due centimetri. Ora ancora no documenti pronti, poi
mette a posto l’anca.
D.: Dovresti fare l’operazione?
R.: Sì perché io 100% perché io no posso lavorare
D.: Hai difficoltà a camminare?
R.: No, adesso
D.: Ma se giochi a calcio!
R.: No, in porta
D.: Ah! Giochi in porta
R.: Sì, il medico sempre dice gioca in porta, dice anche no lancia la palla
così se esce fuori l’osso rimane così seduto, tu devi aspettare come non
fanno niente senza documenti, tu deve fare documenti. Fra dieci anni io
non posso fare niente. Dice se tra venti anni esce fuori l’osso io rimane
seduto. Se tante persone diventa male, tanta gente vanno sempre diritti, io
vado storti. La notte diventa male dormire niente perché dà dolore la schiena perché batte forte.
D.: E guardando per il futuro come vedi la situazione, le tue prospettive
dopo il diploma di scuola media inferiore?
R.: Vediamo questo diploma dopo vado scuola di meccanico, imparo un
po’ di meccanico, non è tanto pesante, non è tanta fatica meccanico per le
auto.
D.: Ti piace fare il meccanico?
R.: Sì mi piace fare tanto quello. Uno anno, due anni non so quanti anni
studierò la scuola di meccanico poi vado direttamente a lavorare. Lavorare anche muratore non è tanto scherzo un muratore pesa 50 kg più di
me … anche perché un busta di cemento pesa 45 Kg io peso40 Kg esce
Dossier 2005
147
INTERVISTE
l’anca tutta fuori. Il lavoro non è uno scherzo, no puoi chiacchierare no
puoi, padrone trova te che chiacchierare o sta male, cerca altra persona
non è che aspetta te per un mese.
D.: Un po’ forse nei tuoi programmi c’è di studiare ancora un po’ e sistemare l’anca?
R.: Sì, perché c’è tante cose che io non posso fare…
D.: Ecco questo incidente è avvenuto molto prima che partissi per l’Italia
o molto vicino?
R: No vicino
D.: Un anno?
R.: No, tre mesi così. Mio babbo dice che sta attento. Tante volte io vado
con discesa. Quel giorno babbo dice quella strada non è normale c’era
riga bianca io gira così è arrivata macchina addosso. Dopo io non pesa
tanto andato dietro macchina ma bicicletta tutta schiacciata. C’è tante
cose che io non posso fare, io non posso stringere, così fa male schiena..
Dieci anni, quaranta anni stai sereno, un giorno vai al lavoro e ti senti
male, un mese vai a lavorare e due masi stai a casa così non posso fare
lavorare. 100% io non posso fare, padrone ha bisogno lavorare sempre,
non è come se vai a lavorare mette in regola e fra 3 mesi stai male che
adesso lavoro molto difficile ora cento persone cercano lavoro non si trova.
D.: E pensi di rimanere a Todi, in Italia?
R.: In Italia al 100%
148
D.: A Todi al 50 %
R.: No, a Todi perché in Italia, Umbria tutti trovi molto gentili, non è come
sopra Milano girano in Umbria molto buone tante persone. Così.
D.: Va bene penso che abbiamo toccato in maniera molto sintetica alcuni
punti altri meno, ma abbiamo toccato tutto, quindi può essere sufficiente
anche così. Io ti ringrazio
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
CENTRO DI ASCOLTO DIOCESI DI TERNI - NARNI - AMELIA
Intervistatore: Massimo Mandrelli
Comune: Terni
Data: 2005/08/04
Sesso: F
Nazionalità: Italiana
Tipologia familiare: 03
Dipendenza da sostanze: NO
Patologia psichica: NO
Altri segni particolari: NO
Descrizione segni particolari:
Tipologia utente: Utente
Attendibilità informazioni: Del tutto
D.: Ecco quindi signora noi cominciamo così con quello che possono essere i suoi ricordi, no, della storia diciamo della sua famiglia
R.: Dunque praticamente l’origine risale all’epoca del ’65, anno della
mia nascita, eravamo una famiglia abbastanza unita, eravamo cinque fratelli e due sorelle, i quali ci siamo ritrovati dopo la bellezza di 22 anni
cioè è una storia quasi drammatica a dir poco, non è che la voglio mettere
sul patetico però le circostanze hanno fatto sì che noi ci fossimo allontanati col passare degli anni ognuno di noi ha preso strade diverse, vite
diverse
D.: Avete però vissuto in famiglia fino ad una certa età?
R.: No, no io non ho vissuto niente in famiglia. Ho vissuto praticamente
da quando sono nata fino al ’74 sempre in collegio, in una struttura tipo
Salesiani
D.: Vicino diciamo però alla sua abitazione?
R.: Si, nei pressi della mia abitazione e quindi non ho un bel ricordo piacevole anche perché praticamente sono rimasta orfana a cinque anni
Dossier 2005
149
INTERVISTE
D.: Orfana di padre?
R.: Orfana di madre... mio padre dopo un po’ di tempo si è risposato mi ha
dato via in adozione, diciamo in affidamento ad altre persone, le quali
dopo otto anni che ho vissuto con loro sono decedute anche loro, anche
perché avevano un’età abbastanza, insomma io c’avevo otto anni, loro ne
avevano 65 e 69 e quindi praticamente la mia giovinezza, l’inizio della
mia infanzia è stata alti e bassi insomma, momenti di eterna malinconia e
momenti di più euforia perché fra parenti non è che ci fosse tutta ‘sta
gran... anche perché c’avevano bisogno loro e quindi io mi sono sentita
sempre un po’ trascurata, un po’ abbandonata a me stessa... ho vissuto
otto anni, si nove anni circa in collegio con le suore, la mamma naturale
sempre con problemi di trasfusioni, problemi di insufficienza renale e altre problematiche che si sono susseguite con il passare degli anni, diciotto
e diciotto trentasei anni praticamente lei è morta giovanissima trentanove
ne aveva la stessa età che insomma c’ho io, adesso c’ho quarant’anni,
però voglio dire è morta con una malattia abbastanza conosciuta laggiù
insomma l’anemia mediterranea, che ha fatto sì che lei ci lasciasse soli
insomma e praticamente siamo rimasti soli quasi tutti, tranne coloro che
si sono sposati hanno avuto la loro vita
D.: Le chiedo scusa un attimo, nella scala di età?
R.: Io sono la penultima
D.: C’era grossa differenza di età con i primi?
R.: Si enormi differenze 10, 15 anni, 13, 4, 7
150
D.: Quindi loro avevano già una loro famiglia?
R.: Si, loro avevano già una loro famiglia ma fuori insomma un’origine
molto umile, un degrado ambientale nonché anche a livello proprio diciamo come si dice, vivere così nei campi o chi fa l’allevatore, chi fa il
camionista, chi il muratore, chi l’elettricista, cioè tutti lavori molto molto
richiesti ma anche molto molto umili non c’è nulla di cui proprio esaltarsi
su questa cosa qua. L’unica cosa che invece a me mi fa vivere decorosamente è che da quando sono rimasta sola perché mi sono separata col mio
ex-marito e da quando c’avevo 27 anni che tiro avanti la carretta se po’
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
di... tiro avanti pian pianino in modo dignitoso portando come meglio si
può i figli alla loro crescita e praticamente ho avuto dal destino una come
si dice una ricompensa di tanta sofferenza morale e che mi ha fatto sì da
poter vedere almeno loro crescere tranquillamente nell’agiatezza e nella
tranquillità, non è che loro ne soffrano per niente anzi ultimamente sono
pure in vacanza col padre quindi non è che la cosa li abbia toccati più de
tanto, all’inizio si, sono rimasti un po’ traumatizzati, però pian pianino
pian pianino facendo dei discorsi, perché io coi miei figli dialogo tantissimo, non sono una persona che si lascia abbattere sono una persona anche
molto forte c’ho una gran forza d’animo e grazie a Dio sa dove la trovo
questa forza d’animo? Rivolgendomi sempre al Signore, rivolgendosi a
Padre Pio pure mio compaesano si può dire perché sono Foggia Foggia
siamo di là e rivolgendomi sempre a questa Santità anche l’ultimo venuto
a mancare ultimamente, anche il nostro Pontefice e quindi non posso dar
per certo che io abbia ricevuto delle grandi grazie, però diciamo che pian
pianino sento in me una gran forza interiore di proseguire, di non lasciarmi abbattere quando ci sono dei problemi che ne so anche a carattere
economico perché problemi a livello diciamo psicologico oppure morale,
spirituale no, non ci sono grazie a Dio, si vive in tutta tranquillità si vive
solo ed esclusivamente per amore dei propri figli, però voglio di’ piano
sento che c’è come una presenza accanto a me oppure sono io stessa che
dentro di me la desidero questa presenza e credo che qualcuno mi stia
veramente vicino lì, dall’alto però, mi sento protetta in qualche modo
come se Dio mi dice: “Prosegui, continua il cammino della tua fede, continua ad essere una madre esemplare come meglio posso essere per i miei
figli” e la vita va avanti insomma scorre la vita da quando c’avevo 2o
anni è dal ’93 che va avanti così, però ci sono un po’ alti e bassi, alti e
bassi periodi in cui lavoravo proprio quel poco che guadagnavo lo mettevo via come la formichina, cercavo sempre di farmi bastare oppure qualche volta, il più delle volte, non cenavo neanche la sera si può dire però
piano piano con tanta buona volontà e con tanta forza di proseguire, con
la forza d’animo gliel’ho fatta ad arrivare fino a questi livelli, beh, non è
che conduco una vita da molto molto, voglio di’, una vita che mi dia grandi soddisfazioni economiche però mi dà un sostegno morale, almeno è già
qualcosa. Meglio vivere così pian pianino contando sulle proprie forze
Dossier 2005
151
INTERVISTE
che non arricchirsi e non capire il valore della vita come lo sto capendo in
questi anni
D.: Ecco senta le volevo chiedere... lei è venuta qui in questa città prima di
sposarsi o dopo?
R.: No, no, dopo il matrimonio, dopo la separazione
D.: Allora lei si è sposata giù nel suo paese d’origine?
R.: Si, in Puglia, con un mio diciamo compaesano
D: E quanto tempo siete stati sposati?
R.: Siamo stati sposati sette anni, ecco, ad aprile è subentrato proprio il
settimo anno
D.: E ha dei figli mi sembra di aver capito?
R.: Ho due figli con lui. Lui però vive in tutt’altra zona, lui vive addirittura verso Modena, lassù, e quindi le strade si sono divise ma io ho fatto sì
che parecchi incontri anche se molto molto distaccati tra di loro fossero
avvenuti, in modo che anche se pian pianino hanno riacquistato fiducia
nel genitore
D.: Cioè questo per i figli?
R.: Si, si, solo ed esclusivamente soprattutto per loro stessi, perché loro
ovviamente dentro di loro ce l’hanno questa carenza affettiva, sono tipi
tanto tanto come si dice quando una persona non lo dà a vedere però
anche lo sguardo, lo stesso atteggiamento, l’entusiasmo nel rivederla la
figura paterna, è un qualcosa che li completa si può dire
152
D.: E senta un attimo questo motivo così di disagio creato da questa separazione è stato abbastanza un po’ repentino questo accadimento oppure no
c’è stata tutta una serie
R.: No è stato praticamente in maniera drastica dall’oggi al domani. Questa
persona non aveva una grande responsabilità, il senso proprio della famiglia proprio non lo sentiva anche perché eravamo sposati da poco sono
subentrati prima la prima figlia che adesso ha 17 anni, il secondo che ce
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
ne ha 14, si sarà sentito un po’ scavalcato da tutte queste cose, perché
quando si è giovani, non è che abbia fatto un colpo di testa, c’è stato un
matrimonio religioso nonché anche civile tutte le cose fatte bene in maniera che diciamo non ci si vergogni davanti a Dio tutto a posto tutto
tranquillo con un comune accordo, ma poi diciamo che alcune conseguenze matrimoniali divergenze, diversità caratteriali, incompatibilità di
carattere sia per l’uno che per l’altra hanno fatto sì che si sciogliesse
questa unione e ancora oggi ci sono ancora come delle lacune da colmare
io però faccio sempre finta di niente.
D.: Ecco senta invece vedendo quella che è la situazione più attuale
R.: Attualmente stiamo benino via
D.: Lei lavora mi pare di capire?
R.: Si fortunatamente
D.: Quindi ha un lavoro stabile?
R.: Ma non ho un reddito molto alto, all’incirca 240 euro al mese più 200
che mi dà il mio ex-marito si figuri lei in che condizioni, c’ho un problema
quindi di disagio economico, ma usufruisco anche del servizio sociale
sono iscritta anche lì in comune ho fatto un tirocinio lavorativo varie
esperienze in Prefettura come donna delle pulizie poi ho fatto esperienza
anche come sorveglianza in Pinacoteca, in Emeroteca come archivista
cioè come archiviazione di giornali quotidiani e insomma sono state delle
belle esperienze lavorative
D.: Sempre a Terni?
R.: Sempre a Terni, mai fuori Terni
D.: Con un contratto a termine?
R.: A termine, cioè fatto proprio dai servizi socialmente utili questo mi dà
una grande soddisfazione mi gratificava tanto questa cosa
D.: Lei a scuola quando stava dalle suore fino a che anno ha studiato?
R.: Eh fino alla terza media volevo fare il classico ma mi si è ammalata la
Dossier 2005
153
INTERVISTE
mamma adottiva e non ho più proseguito proprio per ragioni familiari
non che io non potevo farlo perché bene o male via
D.: Si c’è stato quel problema
R.: Si c’è stato il problema che io ho lasciato proprio tutto
D.: Ecco il papà suo non l’ha poi seguita?
R.: È deceduto anche lui
D.: Ecco quindi attualmente quelle che possono essere le cause del disagio
R.: Attualmente mi sono riavvicinata alla mia famiglia di origine ma più
che un sostegno materiale mi dà un sostegno spirituale un sostegno morale insomma perché ognuno c’ha la sua famiglia io però via non sono una
persona arrendevole non mi lascio abbattere traggo forza anche dalla
fonte affettiva dei figli sono l’unica fonte d’affetto che ho tutto quello che
mi rimane cresco insieme a loro si può dire cresciamo tutti e tre, infatti
l’altro giorno ho cercato di contenermi quando sono partiti ho detto devo
staccare questo cordone ombelicale
D.: Sono andati in vacanza per un pochino? Con qualche organizzazione?
R.: No, no con il genitore, con il papà.
D.: Ah con il papà? Si forse me l’aveva detto prima mi scusi
R.: Gli ho fatto questo bel regalo, di riallacciare il rapporto.
D.: Quindi diciamo oggi le relazioni familiari sono poche, perché con il
marito, l’ex-marito
R.: Tiepide, freddine proprio.
154
D.: E con gli altri fratelli, cioè i più vicini d’età?
R.: Ah i più vicini? Un fratello lavora in un laboratorio di falegnameria e
c’ha 26 anni, quello è l’unico più vicino a me poi tutti fuori su in Emilia,
Bologna
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
D.: In giro per l’Italia e anche fuori l’Italia
R.: Non proprio fuori Italia, però quasi verso il Trentino si fermano lì.
D.: Ecco mentre invece, prima l’accennavo all’inizio così, dal punto di
vista della relazione con altre persone, lei dove abita?
R.: Io a viale Centurini
D.: Ecco lì vicino ci saranno altre famiglie?
R.: ...è celibe e c’ha 26 anni anche lui è venuto qui proprio perché non...
cioè praticamente sarebbe il fratello della seconda moglie di mio padre
però c’è
D.: Fratellastro quindi?
R.: Si però c’è un rispetto, diciamo un far capire che ci tiene insomma
anche perché lo conosco da quando era piccino, da quando c’aveva 8-9
anni, e quindi è stato un ritrovarsi di famiglie lontane, di famiglie che si
erano allontanate e poi chissà perché, come una strana forza del destino
si sono di nuovo rincontrate
D.: Ecco con le altre famiglie invece che stanno dove abita lei, le relazioni
così di vicinato?
R.: Ma, il vicinato via si sta lì, stanno sempre là fuori, se hai qualche
necessità sicuramente sono disposti a venirmi incontro come io naturalmente qualunque cosa accade, o uno sta male, uno c’ha dei problemi,
anche a scendere giù per le scale, anche perché la maggior parte delle
persone che abitano nel mio condominio sono tutte anziane tranne una un
po’ più giovanetta via, diciassette anni più di me, cioè però vedo che è un
buon vicinato, non ci sta niente di cui lamentarsi, cioè si aiutano, sono
molto legate, anche l’una all’altra io sono arrivata più tardi però loro si
conoscono da vent’anni proprio.
D.: Ecco dal punto di vista proprio delle amicizie cioè proprio qualche
altra persona con cui, qualche altra famiglia con cui si relaziona molto più
facilmente
R.: Eh io conobbi una famiglia con cui mi sono relazionata e ho instaura-
Dossier 2005
155
INTERVISTE
to anche un buon rapporto di amicizia, però ho notato che questa famiglia
m’ha messo addosso una grande angoscia, perché stanno in condizioni
proprio di disagio, sia ambientale che anche... come dire, cioè proprio
loro agiscono sempre con, cioè si impongono, non agiscono con quella
tranquillità con un dialogo, mi ha fatto un po’ impressione non ci sono
andata più anche per paura di trovarmi in situazioni poco piacevoli, gli
sono stata vicino si, dal punto di vista morale, non sono neanche di origini ternane, si figuri, sono di origini napoletane, non è che io voglio fare
del razzismo, siamo tutti figli di Dio, però erano in condizioni che mi
hanno fatto veni’ un’angoscia, non gliela facevo, perché mi sono
immedesimata diciamo risalendo alle origini mi sono immedesimata, perché li ho visti così umili, così poveri, cioè nel futuro spero di riuscire ad
ottenere dei risultati più soddisfacenti, perché per il momento, via, non è
che sia una situazione proprio che non si può salvare però.
156
D.: Ecco, dal punto di vista quindi dei supporti che lei ha potuto avere sia
dalle organizzazioni così tipo la Caritas, sia dai Servizi Sociali del Comune, come si è trovata?
R.: Beh, mi sono trovata abbastanza bene, perchè parecchia gente anche
culturalmente più preparata di me, esperta del settore anche lavorativo,
ha fatto sì che io mi inserissi in qualche modo e scoprissi anche il mondo
del lavoro. No, no, dal punto di vista sia materiale che morale, mi sono
stati molto molto vicini. Ho riscontrato anche un’affettuosità e un rapporto d’amicizia come si dice anche abbastanza forte fra me e la collega
Maria Luigia quindi pian pianino abbiamo avuto modo di capire le nostre
buone qualità e ci siamo frequentati più spesso e nei momenti di difficoltà
e di abbattimento un po’ morale, perché capita a tutti, nessuno è di ferro,
tutti quanti siamo esseri umani e nei momenti un po’di malinconia lei mi è
sempre stata molto molto vicina, tirandomi su anche moralmente, quindi
non posso dire di non aver mai usufruito di un loro aiuto, ne ho usufruito
eccome, anche a livello sociale, proprio mi danno... è come se mi riscattassero socialmente, non mi facessero sentire una nullità, alle volte quando non hai un posto di lavoro, una situazione che ti possa diciamo far
fronte a tutte le esigenze e dove non arrivi devi cercare di arrivarci pian
pianino, cioè ti senti anche tu, perdi la stima di te stessa ti senti come una
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
persona fallita, che non serve a nulla, invece loro pian piano sono riusciti
a darmi un qualcosa che io stavo cercando piano dentro di me e sono
riuscita a trovarlo, mi ero un po’ smarrita diciamo così, poi piano mi sono
ritrovata, ero un po’ depressa.
D.: Ecco, guardando un po’ al futuro, come famiglia, quindi i suoi figli, lei
stessa che è ancora molto giovane, no, ancora, c’ha figli molto giovani
anche loro, quindi davanti c’è tutto un futuro, come lo vede?
R.: Io vorrei vederlo un po’più roseo, un po’ più tranquillo, che Dio mi dia
la forza di poter avere una situazione che mi dia soddisfazione a livello
proprio monetario, perché è tutto lì, è tutto lì il problema, la base di fondo
è proprio quella, la situazione economica che deve un po’ diciamo migliorare quel tanto che basta perché adesso ci consente di vivere tranquillamente, anche se dovessimo fare dei pagamenti a rate, però pian pianino ci
consente di vivere, però se qualcosa invece di essere sempre così alti e
bassi sia qualcosa di stabile che si stabilizza allora anche io stessa non
c’ho più questa inquietudine interiore, perché è tutto lì quello che mi turba, il fatto di non avere una sicurezza economica stabile, non avendo un
titolo superiore di studi, ovviamente o fai la domestica, o fai l’inserviente,
lavori che non è che considero umili, anzi io mi sento gratificata, perché è
come dare un qualcosa che io ho di me stessa lo dò agli altri e mi rendo
utile quindi è una cosa anche bella da parte mia, è una cosa che mi gratifica, non mi fa sentire umile, il lavoro per me è onore, il lavoro nobilita
l’uomo come si suol dire.
D.: Però sicuramente il fatto che in questo momento, in questo periodo
non ha mai avuto un lavoro a tempo indeterminato un pochino la tiene
così
R.: Mi tiene come se stessi sul filo di eh però piano via. In condizioni del
genere se ti senti che qualcuno ti dà una mano anche a livello morale, che
ti dice ma no, cioè devi essere anche te stessa a pensare che la cosa piano
si evolverà, però non è una questione di pensarlo e basta, è una questione
anche di buona volontà e di savoir fare, di saper fare con le proprie capacità quello che uno riesce a ottenere tramite le proprie capacità, il modo
di fare, perché io da parte mia c’ho una gran volontà quindi di realizzar-
Dossier 2005
157
INTERVISTE
mi perché quello è tutto il concetto chiave proprio, la realizzazione del
lavoro è una realizzazione, una tranquillità anche per sé stessi, anche per
la famiglia.
D.: Quindi diciamo sintetizzando la sua visione del futuro, no, desidera
certamente poter avere un lavoro stabile, però se questo si dovesse realizzare, però, vedrebbe il futuro molto più roseo
R.: Eh certo, lo vedrei con occhi diversi, adesso lo vedo con una prospettiva
D.: Un po’ preoccupata?
R.: No, preoccupata no, però nello stesso tempo diciamo che tiriamo in
là, tiriamo avanti come meglio si può, tanto domani è un altro giorno,
come disse la famosa Rossella O’Hara del film, cioè se ti soffermi, ti
fossilizzi su una cosa non prosegui, non ce la fai, invece la forza d’animo
la devi trovare sia in te stessa anche quando guardi quelle creature, guardi i tuoi figli e dici beh vivo per loro quindi, ovviamente anche loro stessi
da me si aspettano un qualcosa che li faccia sentire protetti, sicuri in tutti
i sensi e che non gli manchi proprio il necessario, i beni di prima necessità, questo grazie a Dio non gli manca, sempre grazie alle mie capacità e
quindi farei qualsiasi cosa per i miei figli, quelli sono il mio punto debole,
che abbiamo la ricompensa di tutto quello che è mancato a me fin da
piccoli, è una gran ricompensa dal Signore, quindi accontentiamoci, perché se pensi che c’è gente che sta veramente in condizioni di precarietà
sia a livello igienico-sanitario ti rendi conto che o Dio ti ringrazio, perché questa è una situazione un po’ più gradevole via di quella delle altre
persone.
158
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
CENTRO DI ASCOLTO DIOCESI DI FOLIGNO
Intervistatore: Massimo Mandrelli
Comune: Foligno
Data: 2005/07/13
Sesso: F
Nazionalità: Italiana
Tipologia familiare : 08
Dipendenza da sostanze: NO
Patologia psichica: NO
Altri segni particolari: NO
Descrizione segni particolari:
Tipologia utente: Utente
Attendibilità informazioni: Del tutto
D.: Ecco ... ora può cominciare a raccontare
R.: Mamma mia e papà mio avevano cinque figli allora due fratelli e tre
sorelle. Come papà mio è sempre stato malato di pancia nessuno lo metteva in regola per entrare a lavorare come si dice
D.: E il suo Paese di origine?
R.: La Macedonia
D.: All’epoca era Jugoslavia
R.: Si, allora nessuno metteva papà mio entrare a lavorare a regola. Che
facemo? Prendemo un libretto come Caritas qui che danno un aiuto, allora mano mano ha cresciuto fratelli miei, io c’ho due fratelli e tre sorelle.
Allora questo fratello grande andava faceva muratore per aiutare noi che
stavamo bambini più piccoli a prendere un sacco farina che facemo pane
per da mangiare, piano piano ha cresciuto anche una sorella, piano piano so’ cresciuta io
Dossier 2005
159
INTERVISTE
D.: Lei è la più piccola?
R.: Io terza. Allora papà mio non c’aveva i soldi per mandare noi a
scuola, da noi usa se non c’hai i libri, se non c’hai i soldi tu non vai a
scuola non è come qui in Italia che voi aiutate per esempio oh Dio non
c’ho soldi, io vado a scuola, la scuola mi dà i libretti, matita, queste
cose, noi non siamo andati a scuola tre figli. Io infatti solo nome e cognome e m’ha fatto impara’ marito mio, perché io non è scuola, perché
papà mio non c’aveva possibilità mandarmi a scuola. Dopo, piano piano, tanto è stato periodo da noi per esempio qui in Italia periodo è che
andamo a raccogliere oliva, da noi è periodo per raccogliere i fagioli
lavoriamo per esempio un mese per la campagna e compriamo legna,
farina per tutto anno e tutta la famiglia mica c’abbiamo case grosse,
abbiamo case tutte piccole così che dormiamo per terra che per esempio qui in Italia sto 15 anni sto anda’ come per un figlio che serve una
camera, da noi non è importante questa. Noi c’abbiamo tanti figli e
dormiamo per terra mica c’ha quest’attrezzatura ancora come da mettere il pannolone noi usiamo lenzuoli
D.: E chiedo scusa un attimo dove viveva diciamo ... in una zona rurale, in
campagna, o viveva in città?
R.: In città. Io sono stata Skopie, vicino quaranta chilometri, io sto a
Tettovo proprio centro, che non se campa bene, dopo mano mano sono
cresciuta papà poretto è morto, cresciuto fratello mio e lui si è fatto
muratore. Dopo piano piano mi sono sposata e ho preso un marito qui
vicino un paesino è, comunque lui andava una ditta che lavorava per
due soldi.
D.: Chiedo scusa, si è sposata in Jugoslavia?
R.: In Jugoslavia, allora sono sposata a casa da socera, c’era marito mio
madre. Lui lavorava una ditta piccola
160
D.: Lavoro regolare era?
R.: Si, si lavorava. Dopo non lo so che succede, non prendeva stipendi da
due mesi, tre mesi, mi nascono tre bambini e suocera mia c’aveva una
stipendia piccola
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
D.: Una pensione?
R.: Una pensione si, c’aveva una piccola e per latte non mi bastavano
soldi, che tocca fa’? Da noi ci sta un signore grande, un dottore, una
professoressa una volta a settimana a giardino andavamo a prendere un
litro latte o magari c’hanno loro più avanzo, qui si dice adesso, un pollo,
un pezzetto di carne. Io che facevo? Spesso pigliavo andavo casa e portavo da mangiare, mangiavamo così e suocera mia a Sarajevo ha cominciato ormai a Sarajevo e loro arrivano certi cartolini che cercano mariti che
c’hanno venti-ventuno anni più giovani li prendono come militare e marito mio diceva “Io mi tocca anda’ in Italia” come tanti anni fa non ci stava
la dogana, tu basta che c’hai due soldi da paga’ pulman e tu entri in
Italia. Come io tanti anni fa c’avevo cognato qui.
D.: E scusi un attimo, questo fatto di poter entrare in Italia lo diceva suo
marito o lo avevano detto altri a suo marito?
R.: Ci stava un’agenzia che vendeva un tot soldi che entra in Italia dopo
lascia in Italia non è come adesso che c’è da passare la dogana, serve il
visto, chiedono passaporti, tu basta che c’avevi da pagare loro dove Udine
ti lasciano. Ma io c’avevo il cognato qui in Italia, lui ha chiesto prestito
da fratello suo.
D.: In che anno questo qui? Se lo ricorda?
R.: Adesso so’ quindici anni qui. Un anno fa, perché io dopo un anno sono
arrivata dove è mio marito. Allora gli ho detto da fratello dice “Senti, io
può darsi mi portano a far guerra io c’ho paura io so’ scappato” lui gli ha
detto “Io ti mando 500 lire, tu paghi in agenzia e ritorni, appena sei arrivato a Foligno ti aspetto”
D.: Perché suo cognato stava a Foligno?
R.: Ha lavorato in una casa tanto il nome non lo mettiamo qui adesso
D.: No
R.: Lui ha aiutato e ha detto “Tanto tu lavori in Italia questi soldi me li
ridai” “E certo che ti ridà”. Marito mio è entrato in Italia da fratello,
fratello ha ospitato sei mesi con una camera
Dossier 2005
161
INTERVISTE
D.: Questo in che anno?
R.: Quindici anni fa. È entrato a Fascianna a lavorare in nero non lo
metteva in regola nessuno allora dicevo “Ma non mi metti in regola?”
“Tu non c’hai documenti, non puoi stare in Italia niente”. Fratello suo è
andato a presentare in questura qui a polizia come uno ospite gli hanno
dato il permesso di soggiorno per tre mesi con turisto e tu non c’hai diritto a lavorare, allora come suocera mia poretta c’ha un figlio a Germania,
c’ha quarant’anni lui, piagneva diceva portami via questi figli non c’hanno
che da mangiare perché io c’ho tre bambini, latte non ce ne avevo e figlio
piccolo che c’ha 16 anni io non sapevo che lui c’aveva anifrit e lui piangeva medici non mi dicevano niente allora io telefono da figlio “Ti prego
dai soldi che prende pulman, che andasse in Italia”, lui ha mandato i
soldi è stato 500 lire che arriva a Udine, a Udine tocca venire una persona che mi prende a me, va bene. Noi siamo arrivati in Italia sei giorni
dentro un pulman con tre figli che non ti dico non c’avevano latte, non
c’avevano pannolone, siamo stati sporchi, ho visto un uomo a terra che
c’aveva i cocomeri, c’aveva i meloni piccoli, mi vengono ancora i brividi
e figli mio c’ha 23 anni lì c’aveva 7-8 anni è andato per campo perché
c’aveva fame trovava così da mangiare un cocomero, un melone, siamo
arrivati di cognato mio
162
D.: A Foligno?
R.: A Foligno. Cognato mio dice ma io non posso tenere tutta questa
famiglia, perché ho paura mi rubino permesso di soggiorno perché io
senza presentare a polizia clandestini dentro casa mia io non posso fa’ e
dice a fratello suo “Se non trovate casa, come facemo? Io non lo so” e
infatti un giorno andiamo da benzinaio e gli ha prestato fratello macchina da marito mio, ha messo benzina, ho visto una signore Caritas
non lo so, signora mi ha aiutato “Che belli bimbi” già marito mio parlava italiano diceva “Scusi signora io ho bisogno di un appartamento,
magari una casa piccola, non posso stare da fratello mio, mi tocca ritornare a paese mio. “Ah – dice – venga, venga da me”, adesso non
mettemo nome ...
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
D.: Se lei dovesse valutare le origini di queste problematiche della vostra
famiglia le attribuirebbe alla guerra? Cioè se non ci fosse stata la guerra
voi sareste rimasti?
R.: No non c’era cibo comunque, perché stipendio non ci stava, dove andiamo? Che magnamo?
D.: Ah quindi non è stata la guerra che vi ha spinto?
R.: No, è stata la povertà. Le ditte chiudevano e stipendio non davano e ...
dice questa signora “Ah c’è una casa al mio paese è brave persone – dice
– poi aiutamo” allora marito mio dice “Mi puoi dare numero di telefono?” ma questa signora è stata troppo brava, mi ha aspettato il pomeriggio e siamo andati. Quando ha visto i bambini perché c’avevo i tre figli
dice “Noi c’abbiamo una casa, c’ho una camera, un bagno e cucina –
dice – ma per cinque persone non entrate qui”, marito mio diceva “Ma
noi c’arrangiamo – dice – tanto noi stamo abituati a dormire per terra”
questo padrone di casa dice “Certo io prendo letto castelli due tre dormite così letto grosso e io mi arrangio un mese due rate che non pagate
affitto”. Oddio mi ammala figlio grande di polmonite verso sette, otto
anni perché latte non aveva bevuto, ha cominciato a sputar sangue allora
lui va da questa persona che mi ha dato casa allora lei dice “Vieni da me
andiamo da dottore mio perché non c’avevo il libretto” allora il dottore
l’ha portato dice “Prego – dice – senti, questi io ho affittato, no affittato –
dice – stanno con me ma figlio sta troppo male, padre non lavora, madre
non capisce italiano io non lo so “Ah – dice – io c’ho un signore amico
mio che cerca operai da fa’ panettiere, lui gli piace da fa’? Casomai m’accompagni stasera va be’”. M’ha dato cura da figlio è stato poco ricoverato anche non c’avevo libretto non c’avevo di comune come si dice?
D.: Si, si ma ho capito.
R.: Allora, via, come clandestini dentro casa nascono problemi c’avemo
paura, poi il medico è stato bravo ha cominciamo con cura, va bene e a
sera subito ha presentato da questo signore e ha accettato marito mio, ha
lavorato da questo. Lui ha detto “Tu stai prova sette giorni, dopo sette
giorni io te metto in regola, ti faccio contratto interminato, dopo tu la fai,
fai documento”. Lui ha lavorato un mese e una settimana, gli ha chiesto
Dossier 2005
163
INTERVISTE
164
stipendio dice “Scusa, ma io ho lavorato fornaio, dalle dieci fino alle
dieci di mattina, è vero ha dato soldi casa ma altre cose ci servono, stavo
per cinque persone”. Lui dice “Tu non sai parlare italiano, non mi servi
più”, “Ma come io ho lavorato un mese e una settimana – dice – che me
magnano i figli adesso?” e allora andiamo da sta signora subito, è vicina
di casa è stata attaccata “Signora – dico – è così?” “Come!? Tu stai zitta
noi non dicemo niente, noi c’avemo un amico che s’è attaccato da figli” è
poliziotto comunque ci trattava tanto bene arrivava a controllare c’avemo
da mangia’ non c’avemo da mangia’ non facemo danni e lui è entrato
signora ha chiamato per ‘sto senti dice ma lo sai che è successo? Ma
stipendio non gli ha dato, l’ha licenziato di lavoro “Ma come?” ha detto
va bene dice noi ne riparliamo. Dopo un prete di paese io l’ho visto io ho
pensato un signore arriva con un borsellino permesso dice prego entrate
ma che succede qui? Ah dico niente va bene dice a marito mio stasera tu
ti prepari noi ti accompagnamo con macchina tu entri dentro ha cominciato andare marito mio gli chiedeva soldi e giustamente perché ha lavorato un mese e sette giorni e no è stato niente pagato e noi c’avevamo
bisogno questi due signori entrati dice ma non è giusto dice per un cristiano tu da fa’ queste cose c’hai ditta grossa è dice io non lo pago no dice tu
hai da paga’ perché sennò fanno danni grossi senza che loro lo vorranno
a noi non ha chiesto di fare denunce queste cose siccome noi che siamo
arrivati in Italia c’avemo paura da fa danni da voi che state bravi e cattivi
come noi che stamo di fuori loro dicono eh va bene comunque però marito
mio ha finito, casa da paga’ non c’avevamo i soldi io so’ stata da un prete
che lui si informava mi diceva tu vai dentro negozio ti compri roba per
figli da mangia’ basta non ti dico nome dopo ti dico che ancora è molto
bravo dice paga lui ma io mi offendevo sempre non puoi chiedere dentro
negozi che paga questo signore tanto non c’ho soldi miei io non lo faccio
eh me chiama polizia de paesino che è grande e dice “Senti, noi non ti
diamo foglio di via per andare in Jugoslavia e te mettemo da passaporto
da dogana te mettono timbro tu cinque non c’hai diritto di entrare in Italia comunque noi ti dicono molto bene lavoro non trovato riprendi i figli e
te ne vai noi te trovamo uno onesto una persona che ti fa richiesta per
lavoro tu stai un’altra volta in casa e io mi sono chiesta con che vado
perché questi i soldi non ce l’ha la suocera lasciata giù poretta è morta
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
non trovo niente casa, lavoro non ce l’hanno e questo signore mi diceva tu
non ti preoccupa anda’ io te lo faccio visto
D.: Questo signore era della polizia?
R.: No, questo è di parrocchio, dico nome?
D.: No, no.
R.: Allora questo signore dice tu vai noi te facciamo richiesta tu entri
Italia con famiglia tua e te trovamo casa. Dico “Io non c’ho soldi” “Non
te preoccupa” dice, lui ha fatto una colta, come si dice perché dove so’
stata nel paese mio hanno capito tutto che noi siamo stati messi e lui non
ha pagato a marito mio. Al marito mio gli ha dato un milione lire io preparo bambini perché me tocca anda’ via per forza da casa, mi ha vestito i
bambini, m’ha dato qualcosina soldi per andare in Jugoslavia. Ha detto
“Tu vai in Jugoslavia, tu stai tre mesi, finiti i tre mesi tu un’altra volta stai
in Italia” io non credevo ti dico veramente, io non credevo questa. Ho
lasciato i miei documenti, siamo partiti col pulman.
D.: Quanti anni fa questo?
R.: Quattordici anni fa. E siamo andati in Jugoslavia, c’avevo questi due
soldi che m’ha dato signore, c’avevo i soldi questa ultime diecimila lire e
noi non c’avevamo i soldi per comprare il latte, mi arriva richiesto entramo
Italia. Non c’avemo i soldi come facemo? Una sera me so’ messa a piagne
disperata dico “Madonna mia guarda dico ha piovuto tutto casa non c’ho
niente io per ‘sti mille euro, un milione, c’ho debito, adesso come facemo?
Infatti anche marito mio andava cerca’ anche de fa’ qualche lavoretto,
perché tre figli via, allora noi se semo messi a piagne
D.: Anche il marito è rientrato?
R.: Si, si, anche il marito, perché c’aveva il permesso turistico. Quando
ha visto costa, come si dice qui in Italia?
D.: Io non lo capisco
R.: Allora dice marito mio, allora ha detto nome di marito mio dice “Vieni
a firma’ perché c’hai documento importante questa che arriva di Italia”
Dossier 2005
165
INTERVISTE
quando ho visto nome e cognome di questo signore m’ha promesso e pure
m’ha mandato i soldi lui tutto contento come noi tanti anni fa. Ambasciata
non c’avemo a Scopie, ambasciata a Belgrado andare, comunque no c’era
bisogno d’anda’ lì io coi figli basta marito anda’ metteva firma e c’avevamo
visto entra’ per l’Italia. Lui subito in mattinata si è alzato è andato a
Belgrado ha messo timbro e Belgrado è a quattro ore lontano di noi, ha
fatto questo. Siamo arrivati in Italia tutto bene è questo che richiesto per
lavorare lui voleva marito mio come muratore, però siccome lui è un poco
debole non è molto fisicamente giustamente ha fatto per entrare in Italia,
ma qui a Foligno loro già organizzavano una casa, c’aveva tre camere
una cucina e un bagno e non è tanto un grosso prezzo giusto che entra
tanto semo entrati e dice “Eh c’avete casa tutto bene” noi tutto contento
veramente ha trovato lavoro da marito mio come l’ha fatto uno contratto
da marito mio non ha detto no perché contratto tanto se fa’ a fornaio
tocca sape’ da giorno a notte lui prendeva stipendio. Siamo stati molto
contenti, ma un altro operaio italiano dice “Ma tu non prendi notte a
turno?” lui dice “Ma non so io prendo mille e cento euro – dice – me
bastano” “Eh no – dice –guarda busta paga” gli ha fatto sape’ a marito
mio perché tu no è mai stato pagato e lui faceva notte in pane giorno alle
sei andato a consegna’ tutto il pane dodici, undici e mezzo sta a casa
praticamente dodici tredici ore lavorava al giorno e lui dice “È vero lui
prende più di me e io che so di fuori perché non me pagano notte?” dice
“Ma scusa sto da cinque anni da voi, non me pagate notte?
D.: Quanti anni erano scusi?
R.: Cinque anni.
166
D.: Cinque anni?
R.: Cinque anni. Notte noi non lo sapevamo perché siamo de fuori e non
abbiamo letto il contratto. “Ma scusa – d ice – io volevo parla’ con datore
di lavoro” dice “Va bene, dopo ne parliamo” “Come mai nessuno a notte
pagato?” “Eh – dice – ma io ti ho dato contratto perché tu non lo hai
letto?” “Ma tu –dice – lo sapevi che parte è, non mi sono informata per
niente” “Te vuoi lavorare ve bene, sennò dice puoi andare via”
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
D.: Ma era in regola?
R.: Si, si, tutto.
D.: Si ma sul contratto non c’erano gli straordinari notturni
R.: Gli davano dei soldi va bene, così lui tanto lavorava sabato perché
portava tanto pane da negozianti allora dice “Te voi lavora’ va bene, poi
dopo è successo terremoto che ha fatto rovinato tutto forno da questi signori ha messo marito mio cassa integrazione allora giustamente gli ha
dato due soldi e non lavora, marito mio comunque sempre piaciuto dice
“Mò me trovo lavoro – dice – che facemo?” “È vero prendi due soldi ti
finisciono” entra una volta a lavorare a fornaio.
D.: Lo stesso?
R.: Un altro. Altra volta gli hanno fatto questo che loro non pagavano
notte ha lavorato come operaio dice basta dice ha fatto sette anni altri io
lascio via perchè me so stancato e noi non c’avemo forza de denuncia’
persone che c’hanno fatto bene
D.: Chiedo scusa non ho capito, prima ha lavorato cinque anni, poi c’è
stato il terremoto, poi dopo è andato da un altro fornaio sette anni c’ha
lavorato
R.: Fornaio un’altra volta e lui ha detto “Io me so’ stancato perché vado
a lavora’ giorno, perché vado a lavora’ notte? Me fatico. Ha trovato lavoro come saldatore e sta bene adesso, tiene uno stipendio normale, come
c’ho tre figli adesso il più grande è sposato, ha portato una ragazza di
Jugoslavia, di Macedonia, di paese nostro, c’ha un nipote di due anni.
Figlio mio lavora saldatore sta per conto suo paga 410 euro d’affitto ha
detto andato comune qui che ha da fa’ domanda per mandare figlio asilo
loro lo sai che ha chiesto? che tocca paga’ 250 euro, tanto figlio mio mette
410 paga affitto 250 euro asilo.
D.: Chiedo scusa asilo comunale?
R.: Comunale, se paga madre non lavora perché c’è sto figlio da porta’
asilo perché manda’ a lavora’ due stipendi si fa meglio
Dossier 2005
167
INTERVISTE
D.: Chiedo scusa, eh, ma qui il comune di Foligno, i servizi non li dà
tenendo presente il valore dell’ISEE della famiglia? C’è un indice, che è
l’indice ISEE, in base a quello fa contribuire il cittadino alle spese e a
seconda dell’indice che uno ha le spese possono essere differenti, non c’è
a Foligno uno strumento del genere?
R.: Allora nuora mia figlio mio volemo mettere bambino asilo e io vado a
lavora’ perché con due stipendi si campa meglio perché tu dà a me il
pannolone, gas, casa e bambino da paga’ come se fa? Bisogna anda’ signora mia a lavora’. Ho cercato, lui guadagna 1100 euro sta per conto
suo e grazie di voi a Foligno m’ha assegnato una casa del comune, c’ho
casa appartamento casa di comune 110 metri quadri sto qui abito una
casa bellissima che io non ho parola dire perché a casa mia non c’avevo
mai niente
D.: Chiedo scusa, allora, il figlio grande è sposato e vive per conto suo e
lei dice paga affitto e gli altri figli?
R.: Ho altri due figli
168
D.: Cioè sempre tre figli? E la seconda è una femmina
R.: Ma figlia mia c’alziamo una mattina è stato prima che andassimo in
Macedonia noi tutta contenta che c’avevamo casa qui come prima già è
caduto col motorino ma non fatto niente c’aveva un po’ che gli girava la
testa, si alza alla finestra e vuole pulire i vetri. Certo punto io so’ stata
salotto ho sentito solo una gridata “Mamma” figlia mia era caduto per
terra cinque metri altezza. Io chiamo vicini che ci sta una signora è brava
è italiana “Prego – dico –scusa figlia mia” “non la tocchi lascia sta’” io
giù perché male questi non so preciso non c’ho la scuola dice “Non la
tocchi” io ho toccato figli li è stata rovinata e gamba la mandano a Foligno
subito la fanno ricovera’. Ha detto che tocca anda’ a Foligno a fa’ un
intervento di gamba, comunque questo non è stata gamba è stata schiena,
tre anni nervi schiacciati a figlia mia. M’ha chiamato professore di Terni.
D.: Questo quanto tempo fa?
R.: Tre anni fa e ha chiamato questo professore di Terni e dice “Vostra
figlia 90% che non vi cammina, al 90% arriva mezza storta” allora noi
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
disperati capirai diciassette anni e mezzo, una figlia che cade me so sistemata adesso m’è preso un crisi piangevo disperati mentre la figlia sta in
sala operatoria, operano figlia dieci ore hanno fatto c’ha una placca andato tutto bene io prendo mia figlia portamo casa, tutto bene sono stata a
casa due anni siccome c’ho mamma che non me sta bene sempre me chiedono me aiuto io dopo a un certo punto non posso aiutare perché ho problemi di famiglia prende 1100 di stipendio tanto fai ore va bene se non fai
ore c’hai stesse ho fatto figlia ginnastica grazie a signora qui e altre persone m’ha dato un amano pure di Caritas tutto. Savoa è un ragazzo di
paese nostro è entrato a lavorare è ritornata qui. Ma questo paese, questo
ragazzo siccome vuole entrare Italia s’è sposato io ho pensato che sta a
lavora’ è già partito in Jugoslavia con aereo mi si è sposata figlia perché
aveva già fatto diciotto anni compiuti non c’aveva bisogno che io metto
firma o padre noi sempre non siamo stati d’accordo perché dopo due anni
tocca levare a lei i ferri e noi levamo ‘sti ferri se si incarnisce me more
figlia a me noi stamo contro che s’è sposata io vado in Jugoslavia a trova’
figlia beh me fa male poco marito mio sta arrabbiato via, ho visto questo
ragazzo bravo che fa mattonelle, è un paesano nostro, va bene. Gli ho
detto “Senti io so’ contenta tu hai sposato figlia mia, tu prima volta lo
sapevi che figlia mia c’aveva intervento grosso dopo rimane incinta senza
non leviamo questi ferri perché io rischio figlia”. E lui dice “Va bene, va
bene”. Io parto permesso ambasciata a Scopie loro m’hanno chiesto 300
euro, io pagato questi soldi dopo sette giorni te damo permesso viene
marito suo qui perché figlia è a casa un giorno lui che trova lavoro qui lui
rimane perché sposata no è stato niente vero io ho pagato 300 euro permesso andato ambasciata è stato annullato perché figlia tocca lavora’ a
Foligno qui fa buste paghe e fa ricongiungimento familiare con marito
che marito non può entrare in Italia. Io che faccio a questo punto? Di
lasciare figlia non me la sento io prendo figlia e porto in Italia ma figlia
mia voleva andare dal marito per andare noi dicemo che non la lasciamo
“Tu non puoi andare” “No – dice – lui cercava sempre come ragazzi
giovani sono sposati io pensavo che non si sbagliano allora mi parte figlia in Jugoslavia allora dice “Oh ma’ io su per Natale, tra tre settimane
– dice – ritorno”. Dico “Va bene”, ho lasciato. Quando arriva ho trovato
una ditta piccola che conoscemo tutti qui e me danno una bene ho visto
Dossier 2005
169
INTERVISTE
figlia non la sentiva è debola non lo so. Io che ho fatto? Ho fatto analisi
subito tanto ho visto che questa figlia è incinta ho telefonato a Terni subito e ho detto: Mo’ come facemo? ferri non puoi levamo dice non è detto
che levamo bambino allora come facemo adesso? Se tiramo indietro? Prima volta è peccato, secondo rischio figlio, terza figlia c’ha questi figli io
rimasta bloccata allora dico stai a casa perché tu sei incinta chi ti mette
in regola? Adesso c’ha sei mesi e venti giorni, sta in ospedale e mi sta
male e non lo so come nasce questo bambino e c’ho terzo figlio che ha
fatto terza media e noi andiamo a scuola andare più.
D.: E chiedo scusa la figlia e il figlio più grande sono stati a scuola qui in
Italia?
R.: Si in casa di ragazzo qui lui imparato mestiere brave persone è meccanico figlio mio.
D.: E no chiedo scusa hanno frequentato la scuola regolare il figlio più
grande?
R.: Terza media ha fatto
170
D.: E la figlia invece?
R.: La figlia ha fatto terza media, comunque lei gli piaceva sempre andare a parrucchiera a lavorare. Infatti qui da Walter la chiamavano
tanto, un posto bello, ma lei non è riuscita a lavorare perché adesso ha
bambino. Dove la mando io? E il figlio terzo, perché il figlio c’ha quasi
16 anni. E lui ha un anno e mezzo l’ho portato qui è qui tutto è più bello
ha fatto terza media. E dice “Ma’ non c’ho più voglia andare a scuola,
io c’ho voglia a lavorare” Che succede? Ho trovato un elettricista, un
signore lui ha fatto contratto interminato per cinque anni però non c’è
lavoro ha lavorato solo un mese adesso va ufficio collocamento e chiede
dove ci sta un mestiere a chi gli prende due soldi, tanto lui impara questo qualcosa, perché da tenere in casa un figlio senza far niente non va
bene penso
D.: Signora in questo momento suo marito lavora?
R.: Marito lavora
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
D.: E la casa?
R.: Abbiamo casa di comune che paga 150 euro, la luce 80 pago luce, gas
pago 160, 1050 prende marito mio e sabato che va fuori se pagano anche
grazie di Caritas tanto me trovano io accetto tutto non ho fatto brutta
figura mai ho lavorato sempre e mi piace lavorare
D.: Mi sembra di capire da quello che lei diceva che ha trovato una buona
rispondenza nell’ambito delle persone vicine, amiche, e così via, quello
che lei non ha riscontrato una buona disponibilità dei datori di lavoro che
se ne sono un po’ approfittati
R.: Scusa adesso può darsi ho sbagliato a dire queste cose che stanno,
perché noi che siamo di fuori tocca sape’ cose come che è... scusa me
dispiace
D.: No, no, non c’è nessuna preoccupazione da avere, uno deve dire quello che vede, che sente. Ecco accennava anche qualche cosa a quello che
possono essere le presenze di organizzazioni strutturate, cioè ha parlato
della Caritas, ha parlato del Comune i Servizi Sociali per la casa, ecco se
volesse spendere qualche parola in più su questo supporto, lei si è rivolta
alla Caritas, si è rivolta al comune, i servizi sociali, si è rivolta anche ad
altri, altri enti, organismi, organizzazioni?
R.: Eh stamo bene le persone sono ospitali noi conoscemo questi gente
D.: Guardando al futuro lei con la sua famiglia come lo vede il futuro ...
guardando gli anni prossimi che verranno
R.: Io spero se il Signore che m’aiutasse che mia figlia va tutto bene e che
genero mio trova lavoro qui un datore di lavoro che lui entra a lavora’ e
vedo figlia vicino a me io sono molto contenta e io amo Macedonia sempre terra nostra nostra famiglia è giù noi mi piace che stiamo qui siamo
trattati bene abbiamo casa che mi viene figlia, sta vicino a me merito che
lavora, figlio mi lavora grazie a Dio mo’ piano piano che si trova qualcosa per carità che so’ libera e vado a prendere nipotino mio io non puoi
andare figlio mio è piccolo cresciuto qui lui tanto vede bambini a Jugoslavia quando andiamo strappati i vestiti lui rimane dubblo lui quando andiamo a magiare c’abbiamo diverso mangiare noi mangiamo a tavola
Dossier 2005
171
INTERVISTE
mangiamo per terra lui non vuole rimanere in Jugoslavia dice “Mamma
andiamo in Italia” dice “Qui troppi moscerini, troppo sporco, comunque
qui stiamo bene che succede? Un giorno prendemo uno stipendio piccolo
marito mio perché se prende 500 euro stiamo in Jugoslavia, da noi questi
soldi come un direttore stiamo comunque non possiamo andare giù perché c’amo figli che prende bambini mii e porto giù? Oramai sto qui, vita
mia è qui.
172
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
CENTRO DI ASCOLTO DIOCESI
DI PERUGIA - CITTÀ DELLA PIEVE
Perugia_Cdadioc_Signora1_081005
Regione: Umbria
Diocesi: Perugia-Città della Pieve
Intervistatore: Massimo Mandrelli
Comune: Perugia
Data: 2005/10/08
Sesso: F
Nazionalità: Italiana
Tipologia familiare: 11
Dipendenza da sostanze: NO
Patologia psichica: NO
Altri segni particolari: NO
Descrizione segni particolari:
Tipologia utente: Utente
Attendibilità informazioni: Abbastanza
D.: A Lei la parola
R.: Io vengo da una famiglia, mamma , papà e quattro figli. Mio padre era
meccanico dentista ma aveva il problema dell’alcol, mia mamma ha avuto un esaurimento, io sono stata in giro per collegi, io e la mia sorella,
invece quella più grande si è sposata a 17 anni.
D.: Lei era l’ultima?
R.: No, io sono la terza femmina ma ero la cocca di papà. Noi venivamo
da Foligno, ecco sempre in giro per collegi qua e là. La situazione con
mio padre alcolizzato e mia madre con l’esaurimento. Con mio padre abbiamo sempre avuto un bel rapporto. L’abbiamo sempre aiutato anche se
lui era così.
D.: Questo ricordo così è un ricordo dell’età infantile?
R.: Sì, ma mio padre è da 21 anni che ha questo problema. Si è sposato
Dossier 2005
173
INTERVISTE
giovane, mia madre aveva 15 anni quando si sono sposati, quindi questo è
sempre il ricordo dell’infanzia però adesso so cresciuta capisco i problemi cioè, quando uno è piccolo non capisce esattamente quello che succede anche perché nella vita con i soldi non ci trovavamo bene anche se mio
padre aveva un gran lavoro era meccanico dentista però lui era talmente
buono che faceva i denti a 50.000 lire. Siamo sempre stati una famiglia
con tanti problemi ma abbiamo sempre aiutato gli altri. Però questo è un
ricordo della mia infanzia soprattutto perché stavo lontano dai miei genitori perché ero in giro per collegi.
D.: Quindi le scuole le ha fatte lontano?
R.: No, le elementari le ho fatte con mamma e papà però con problemi
D.: A Foligno?
R.: A Foligno. Le medie lo ho fatte a Sulmona in Abruzzo in collegio. No,
mi è anche piaciuto, non è che era un collegio rigido anzi, io poi anche da
piccola ho sempre aiutato gli altri anche in collegio c’erano bambini che
avevano più difficoltà de me, io li ho sempre aiutati, infatti dopo ho sempre fatto volontariato. È però un periodo che mi ricordo bene e ci sono
tornata due anni fa a trovare le suore. A scuola me piaceva poco però era
libero, avevi i tuoi giorni liberi, le tue amicizie. Era come una famiglia.
D.: E fino a che anno ci è rimasta?
R.: 13, 14 anni
D.: Quando ha finito gli studi?
R.: Ho fatto il 1° e 2° magistrale, poi ho lasciato
174
D.: Non l’ha fatto però a Sulmona?
R.: No, l’ho fatto con mamma e papà. Era un periodo che s’erano ripresi
bene. Dopo ho avuto il problema di una sorella tossicodipendente che era
entrata in comunità in un centro di accoglienza a Corciano. Io sono andata a trovarla e sono rimasta lì a fare volontariato. Lei è uscita che aveva
15 anni quando ha smesso, cioè ha iniziato a 14 anni e a 16 ha smesso.
Poi siamo rimaste là tutte e due assieme a fare volontariato ad aiutare
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
altre persone. Poi ci siamo sposate con tossicodipendenti.
D.: Che periodo era ?
R.: Dunque era l’87, avevo 18 anni, ho conosciuto un ragazzo lì dentro
tossicodipendente, non era tossicodipendente, aveva problemi più che altro de fumo hashish, marijuana de lì, poi abbiamo deciso di sposarci, non
ero incinta né niente, e la sera prima di sposarci ha iniziato a drogarsi.
Quindi io avevo 18 anni , lui 20 anni. Lì so cominciati tutti i miei problemi. Dopo sette mesi sono rimasta incinta di Chiara, ho scoperto che si
drogava, lui tornava la notte , violenza e tutto. Da lì mi sono separata, ho
avuto questa bambina che mi sono cresciuta da sola. Adesso ha 16 anni e
mezzo è grande. Ho ricominciato a tornare in comunità perché il mio
desiderio era sempre di aiutare gli altri perché a parte tutto quello che mi
è successo è sempre andato avanti. Dopo due o tre anni tutti dicevano…
sei giovane, io avevo 19 anni, poi ho conosciuto un ragazzo, il mio secondo ragazzo. Tredici anni assieme. Non è che aveva problemi de tossicodipendenza mentre io ho sempre fatto volontariato, ho sempre vissuto in
questo centro d’accoglienza. Dopo sono rimasta incinta della seconda
figlia che quando ho partorito mi è morta. Con lui sono cominciati i problemi con lui che non accettava la morte della ragazzina ci siamo lasciati
via. A me erano presi gli attacchi de panico però io ho sempre continuato
per la mia vita, mai preso medicine, sempre agito per l’altra figlia. Poi ci
siamo rimessi assieme dopo due mesi sono rimasta incinta.
D.: Quando è successo?
R.: Subito dopo un mese perché abbiamo passato sto periodo della morte
della figlia, so stata male, è sempre un figlio che ti muore anche se non lo
conosci, per nove mesi c’è stato. Era una bambina. Dopo due mesi sono
rimasta incinta di Valentina ma lui non l’ha mai accettata tanto la terza
figlia per me, per lui la seconda, perché è nata settimina, me stava a morì
anche lei, ha avuto problemi di epilessia, m’è caduta dalle scale a quattro
anni. Io ero presa da questa bambina che aveva problemi. Lui non l’ha
mai accettata così ci siamo lasciati via. Io ho deciso di trovarmi una casa
a Foligno e ho cominciato a lavorà, però ho sempre avuto problemi
Dossier 2005
175
INTERVISTE
D.: Che tipo di lavoro?
R.: Ho sempre lavorato negli asili come cuoca, bidella che mi sono sempre piaciuti i bambini, infatti ho preso le magistrali anche se non le ho
potute finire.
D.: Perché non ha finito gli studi?
R.. Perché volevo aiutà la mia sorella prima d’entrare a fare volontariato,
avevo 15,16 anni, mia sorella aveva bisogno di qualcuno della famiglia,
era una comunità libera che ospitava tutti, io poi siamo state sempre insieme. Il Centro di Ascolto dopo che lei ha smesso ha continuato con me,
anche lei si è sposata si è separata, quindi siamo molto unite. In quel
momento lei aveva più bisogno di io e quindi le sono voluta sta vicino.
Abbiamo sempre aiutato le persone. A 14-15 anni ho fatto volontariato
con i disabili. Anche se ne abbiamo passate tante con la nostra famiglia
però de buono ci ha lasciato che siamo stati uniti. Anche mio padre il
momento che me sono sposata a 18 anni mi ha detto “sappi a che cosa vai
incontro” anche se lui aveva tanti problemi dopo m’è morto prima della
figlia di un tumore. Io ho sofferto tanto dopo un anno la figlia, poi i problemi che vengono sempre più avanti…
D.: la mamma ce l’ha ancora?
R.: Mia madre è una donna stupenda. Poi ci siamo lasciati con questo
ragazzo perché lui aveva una donna più grande de me però io ha sempre
tirato avanti da sola, ho lavorato, fatto sacrifici…
176
D.: Mi diceva del lavoro.
R.: Ho tirato su bene le figlie da sola non è che, per me sono sempre
venuti prima i figli e il lavoro e la casa. Dopo è successo un giorno che il
padre, il mio ex marito il primo, è entrato in ospedale, dopo è entrato è
uscito e doveva entrare in una comunità e allora è andato, era il giorno
del compleanno, me lo ricordo benissimo, è andato presso dei nostri amici, una coppia, aspettando di entrare in comunità quindi io gli ho lasciato
anche la ragazzina che aveva sette anni, invece lui ha rubato la macchina
ha portato via questa figlia, mia figlia mi ha raccontato che aveva bevuto
sette cherry, che s’era chiuso nel bagno a casa sua della mamma, erano
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
soli con questa ragazzina, la figlia ha visto che non usciva e ha guardato
dal buco e ha visto che se bucava. Ha ripreso la macchina e hanno avuto
un brutto incidente. Mia figlia è stata in fin di vita il giorno del suo compleanno. Io avevo portato un mazzo di rose rosse che mi avevano regalato
alla Madonna delle Grazie che quel giorno mi ha fatto la grazia. Quindi
poi sempre in giro per ospedali, uscì, entrà a fare plastiche per il viso,
interventi e quindi la mia figlia mi ha detto “mamma non torniamo più a
casa lì voglio tornare al centro io voglio aiutare altre persone bisogna
fare qualche cosa” e lì lei è cambiata totalmente, lì lei proprio adesso non
me dà problemi, l’incidente l’ha maturata, lei ama il padre con tutto quello che le è successo è una ragazzina tranquilla, studia, fa il terzo linguistico, quindi abbiamo lasciato perdere tutto. Però poi ci siamo rincontrati
con il padre della terza figlia Valentina. Lui sempre che faceva volontariato
là abbiamo un altro bambino Emanuel di sette anni e lì abbiamo ricominciato. Valentina lui non l’ha mai voluta accettare, infatti non gli ha dato
neanche il cognome. Era tutto preso dal figlio maschio, gliele dava tutte
vinte, stavamo sempre in questo centro ma lui de me non gliene fregava
più di tanto.
D.: Stavate però insieme
R.: Io però non ho mai dormito insieme a lui perché non ho mai voluto
farmi vedere da Chiara baciamme davanti, perché non era giusto, non era
la sua figlia io anzi a mio figlio gli devo dà l’esempio cioè non può vedere
una mamma per me i principi anche se vengo da na famiglia così però la
mia famiglia è stata sempre religiosa quindi per me i valori per me anche
a rimetterme con un’altra persona che non ero nemmeno divorziata è
stata dura però purtroppo non potevo, i sentimenti, le cose dopo alla fine
lui ho scoperto che era diventato alcolizzato violento e così ho proprio
deciso anche se gli voglio tanto bene tutt’ora tu hai la tua strada io ho la
mia e io continuavo a fare il volontariato qua che dopo questo centro di
accoglienza doveva diventare per ragazze madri coi bambini. Se mai si
ammala il responsabile che per me morto mio padre, che mio padre mi ha
lasciata, lui che per me è un padre da quando avevo 14 anni anci 15 e lui
mi ha insegnato i principi cioè Gesù, la Madonna e quindi per due mesi
all’ospedale un infarto e tutto e lì abbiamo cominciato che il centro di
Dossier 2005
177
INTERVISTE
accoglienza ha chiuso e mi so ritrovata in mezzo ad una strada con tre
figli se non c’era la Caritas che io conoscevo la Stella che visto con le
ragazze che vivevano in comune e mi ha aiutato tantissimo, io non so
come ringraziare, mi ha aiutata dal mese di agosto io sono stata in un
ostello con tre figli.
D.: Mi scusi un attimo per seguire un po’ gli argomenti. Con questo fatto
che ha appena descritto lei si è trovata senza una casa e senza un lavoro e
quindi stiamo arrivando molto vicini al giorno di oggi…
R.: Sì, è successo un mese fa
D.: Oggi come vive, dove vive?
R.: Abbiamo trovato una casa nel mese di agosto con un’agenzia e la
Caritas, pago tantissimo però abbiamo un tetto abbiamo, io con tre figli e
adesso sto cercando lavoro, però loro mi aiutano tantissimo.
D.: I figli che classe, studiano tutti e tre?
R.: Allora una fa il terzo linguistico, un’altra fa la prima media e ha la
maestra, la professoressa di sostegno ha i suoi problemi e l’altro fa la
seconda elementare però in questo momento che siamo stati all’ostello
siamo stati tanto uniti, abbiamo sorriso, non gli ho fatto mai pesare le
cose, poi in questo momento anche la mia mamma, la mia mamma io
penso che è un angelo piange, prega per me, ma io penso se non ci avessi
avuto la mia mammae la Caritas che è diventata una seconda famiglia
per me… e quindi devo ringraziare ora devo rimboccarmi le maniche e
sto cercando un lavoro, me prende la depressione, piango, però so convinta che se sono arrivata fino a sto punto… ho una casa stupenda, ho dei
figli stupendi me manca il lavoro. Che non è facile perchè vado a cercà
però io adesso devo pensare solo a me e ai miei figli, il mio avvenire sono
i miei figli, il mio futuro.
178
D.: Dopo parliamo del futuro, già ha detto qualche cosa sulle relazioni con
le persone, perché ha parlato della mamma, dei parenti, ha parlato delle
relazioni che ha avuto con gli organismi, della Caritas, ecco parlando invece … abita in questa casa, avrà dei vicini, dei conoscenti …
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
R.: Sì, guardi, i padroni della casa sono veramente in gamba, loro non
vivono qui, però vengono spesso, è nata un’amicizia, i figli, una ha 18
anni, l’altro 8, vengono a pranzo con noi, io poi sono molto socievole
anche loro sono religiosi come me quindi, cioè è nato un bel rapporto,
insomma, cioè, dal male m’è andato tutto bene. Ho un’altra signora che
abita qui sopra anche lei è una donna stupenda, mi viene a bussare sapendo che sono sola con tre figli, ha un figlio di 20 anni, se mi serve qualsiasi
cosa, ho bisogno… viene a bussarmi. Veramente io ho trovato persone
che non pensavo, credevo di essere io, perché sò talmente buona e generosa, se ciò due maglioni uno lo do via e l’altro me lo tengo io, son fatta così…
io non cioè nel mondo che senti per televisione io non pensavo ci fossero
persone così. Quindi me so trovata nell’ambiente giusto in questo periodo.
D.: E se le dico di parlare della relazione attuale con i precedenti suoi due
compagni?
R.: Ah! Loro non sanno niente, no ancora no…io so sempre presente, loro
se ne fregano un po’ dei ragazzini no? Però io so sempre nel senso che
quando hanno bisogno di qualche cosa, che vogliono parlare per esempio, il primo è tutt’ora ancora tossicodipendente, proprio una strage, però
ogni tanto mi chiama e sta delle ore al telefono. Io gli do dei consigli cioè
per me è sempre il rapporto d’amicizia perché in fondo ci ho fatto dei figli
con loro, li ho scelti io, quindi non è che ho rabbia. L’altro delle volte, il
secondo, se fa sentì, dei messaggi “ti amo tanto” però me telefona cioè
più che altro vuole arrivà a me dei figli non gliene frega niente però ho un
rapporto… so ferma però anche di amicizia nel senso che quando hanno
bisogno sanno che io ci sono cioè non posso se loro non se sentono padri
non posso sforzarli ad essere padri no? Quindi però non danno né mantenimento anche se lavorano tutti e due, dei figli non… nemmeno lo pretendo nel senso che sapendo in che condizioni stanno l’importante è che me
lascino stare perché insomma avendo tre figli minori…
D.: E per quanto riguarda il rapporto con le organizzazioni istituzionali, il
comune, con i servizi ASL – sei stata in ospedale.
R.: Beh, sono stata il ospedale, i medici, gli infermieri so stati tutti bravissimi, è l’ambiente che è un po’ la pediatria di Perugia è penosa cioè nel
Dossier 2005
179
INTERVISTE
senso che adesso la cambieranno però insomma dieci anni fa il personale
è stato stupendo voglio dì, cioè so stati veramente stupendi . Con il comune io dato che facevo la volontaria , ero diventata anche la responsabile
della casa quindi m’hanno sempre cioè visto bene, io sono una persona
che mi faccio anche voler bene, so buona, non ho mai dato problemi,
quindi anche nel momento che ho avuto difficoltà m’hanno aiutato tanto
ero in fondo poi a casa col comune di Corciano. Anche le assistenti sociali
che sono più amiche che assistenti sociali me conoscono, il rapporto mio
con i ragazzini io non ciò avuto mai a ridire niente co nessuno perché per
me non lo so se so stata fortunata io con me so proprio stati – anche
un’assistente sociale io la vedo come un’amica le posso raccontare tutto,
i miei problemi, mi hanno aiutato tantissimo anche con i rapporti padrefigli cioè quando nel momento del bisogno io perché più che altro il lavoro per me perché avevamo i ragazzini là quindi ragazze madri, però nel
momento in cui ho avuto bisogno io me l’hanno data una mano.
D.: Ha il medico di famiglia come comune di Perugia?
R.: A Corciano a ... lei è stupenda la Barbara anche per la Valentina
qualunque cosa io gli ho chiesto … proprio … cioè io non lo so io so stata
fortunata nel mi passato io ho sempre trovato persone, forse è anche il
mio carattere nel senso che io me so trovata benissimo dappertutto
180
D.: Passando all’ultimo tema come vede il futuro? La prospettiva degli
anni a venire … le figlie, il figlio.
R.. Beh! Mia figlia già vuole fare l’università lei ha già deciso, fa la III
media, ma quando se mette in testa una cosa, io adesso ho trovato la casa,
di solito se trova prima il lavoro e poi la casa. Io nella situazione in cui mi
sono trovata ho dovuto trovare velocemente una casa. Ho dovuto trovà
velocemente un tetto per i miei figli e quindi adesso devo trovà lavoro,
devo rimboccarmi le maniche e andà avanti per il futuro dei miei figli io
ormai so la mamma il futuro se non glielo do io quindi la mia preoccupazione adesso so soltanto loro , di trovarmi un lavoro che m’aiuta di mandà
avanti questi tre figli. Farò dei sacrifici, quello che c’è da fa io adesso
devo dà un futuro a loro, trovarmi un lavoro tranquillo,sicuro, che insomma posso dà qualche cosa ai miei figli.
Uno sguardo sapiente sulle povertà umbre
INTERVISTE
D.: Beh! Ancora penso che sia ancora molto giovane …
R.: Ho 36 anni, però non penso ad un altro, io vivo per loro, quello che mi
preoccupa so loro, di non fare gli sbagli che ho fatto io, di continuare gli
studi, di andare avanti.
D. Ma i suoi genitori le hanno mai detto qualche cosa quando ha deciso di
interrompere gli studi?
R.: Ma loro più che altro non m’hanno mai detto mai niente, anche perché
la situazione economica che eravamo, quindi… preferivano che andavo a
lavorare, infatti io ho fatto anche la baby sitter, ho sempre lavorato come
volontaria per i disabili. Ma, prima la terza media te bastava per far tutto,
adesso purtroppo gli dico, se avessi studiato, a settembre me volevo segnà
per il sociale per comincià a studià per il diploma, soltanto è successo sta
cosa e per quest’anno devo archiviare, il prossimo anno vorrei ricominciare anch’io a studiare… andare al serale.
D. Questi anni che ha lavorato così o lavorato regolarmente?
R.: No!, no ho sempre fatto la volontaria quindi non avevo nessuna
remunerazione. No! Nel senso che … andavo a fare le pulizie anche perchè
questo era un centro di accoglienza provvidenza quindi non era nemmeno
regolare. Però io ce l’ho sempre fatta. Io andavo a fare le ore in giro, poi
avevo le ragazze, i bambini. Quindi c’erano un bel po’ di persone che ci
hanno dato una mano. A me non è mai mancato niente. Nel senso che
anche i miei figli non gli è mai mancato niente, anzi hanno avuto anche di
più del bisogno
D.: Ecco se vuole aggiungere qualche cosa…
R.: Che devo ringraziare la Caritas.
181
Dossier 2005
Stampa: TIPOGRAFIA TUDERTE srl - Todi (Pg)
Scarica

Caritas Povertà in Umbria 2006.p65