Francesca Menchelli-Buttini HASSE E VIVALDI Le scritture dei teatri veneziani fra il 1729 e il 1740 si dividono tra musicisti della città lagunare o comunque settentrionali, con una preferenza per il veneziano Galuppi e per il piacentino Giacomelli, e tra napoletani per origine o formazione, con notevole preminenza dello Hasse, presente in Laguna per lunghi soggiorni: il suo nome si associa ai titoli metastasiani Artaserse (1730), Demetrio (1732), Alessandro nell’Indie (1736), Viriate (1739), quest’ultimo aggiustato da Domenico Lalli, mentre sono probabilmente di Giovanni Boldini gli accomodi dell’Artaserse e del Demetrio.1 Come è noto, Demetrio e Alessandro furono riprodotti nel 1737 sulle scene ferraresi da Vivaldi, con un numero eterogeneo di modifiche forse in base alla diversa corrispondenza dei registri vocali fra i cast: quattro su sei disuguali in Demetrio, contro quattro ruoli principali convergenti in Alessandro, oltre al non trascurabile vantaggio, in questo caso, di poter affidare ad Anna Giraud diverse arie della protagonista interpretate nel 1736 dal celebre contralto Vittoria Tesi Tramontini.2 Gli snodi drammatici primari che coinvolgono le eroine Cleonice e Cleofide, rispettivamente Faustina Bordoni Hasse nel 1732, la Tesi Tramontini nel 1736 e la Giraud nei due allestimenti del 1737, offrono l’opportunità di un confronto Francesca Menchelli-Buttini, via S. Antonio 35, 56125 Pisa, Italia. e-mail: [email protected] 1 Fra le monografie che ricostruiscono i rapporti di Hasse con Venezia si veda almeno il recente RAFFAELE MELLACE, Johann Adolf Hasse, L’Epos, Palermo, 2004, pp. 46-64, 222-232. Contengono una ricognizione dei compositori impegnati a Venezia negli anni ’30 del Settecento SYLVIE MAMY, Il teatro alla moda dei rosignoli: I cantanti napoletani al San Giovanni Grisostomo (Merope, 1734), in APOSTOLO ZENO e GEMINIANO GIACOMELLI, La Merope, ristampa anastatica, Ricordi, Milano, 1984, pp. X-XI, e REINHARD STROHM, The Neapolitans in Venice, in “Con che soavità”. Studies in Italian Opera, Song and Dance 1580-1740 (Essays Dedicated to Nigel Fortune), a cura di Iain Fenlon e Tim Carter, Oxford, Clarendon Press, 1995, pp. 249-274, adesso in REINHARD STROHM, Dramma per Musica. Italian Opera Seria of the Eighteenth Century, New Haven-Londra, Yale University Press, 1997, pp. 61-80: 66. Per l’identità dei revisori si può fare riferimento al saggio di REINHARD STROHM, Hasse, Scarlatti, Rolli, in Studien zur italienisch-deutschen Musikgeschichte, «Analecta Musicologica», 15, Colonia, Volk, 1975, pp. 220-257, oltre che ai repertori più antichi, talvolta imprecisi, del Groppo, dell’Allacci e del Wiel. L’attività di Giacomelli e di Hasse a Venezia fra il 1729 e il 1745 sarà tema di studio in un prossimo volume sull’opera veneziana del Settecento. 2 Cfr. ADRIANO CAVICCHI, Inediti nell’epistolario Vivaldi-Bentivoglio, «Nuova rivista musicale italiana», 1, 1967, pp. 45-79, poi ampliato come L’operista impresario nel carteggio col Bentivoglio, in WALTER KOLNEDER, Vivaldi, Rusconi, Milano, 1978, pp. 311-356; REINHARD STROHM, The Operas of Antonio Vivaldi («Quaderni vivaldiani», 13), Firenze, Olschki, 2008, vol. II, pp. 596-611. – 487 – – 1 di 21 – FRANCESCA MENCHELLI-BUTTINI favorevole a chiarire i rapporti e le alternative possibili fra musica, parole, gesto, e a mostrare la presenza di tratti condivisi fra le tradizioni locali, prediligendo un commento un poco più approfondito delle intonazioni di Hasse. L’analisi si giova della convinzione che la discontinuità, la tendenza cioè alla polimetria e alla poliritmia, all’alternanza di figure anguste e dilatate costituisca, assieme alla propensione all’iterazione verbale e all’impiego delle fioriture, un elemento di complicazione ritmica, di alterazione dell’equidistanza tra le cadenze e di sottrazione alla simmetria nell’opera del Settecento, pur entro un impianto formale che resta nel complesso unitario ed equilibrato, per esempio tramite il ricorso ad effetti di cornice.3 I. Nel libretto del Demetrio l’addio degli amanti costituisce il nucleo del secondo atto (II.12), cui preludono la decisione di Cleonice di rivedere Alceste (II.6) e un piccolo blocco di scene correlate (II.7-10), necessarie per dar tempo ad Alceste di giungere e per accrescere le attese; così i momenti seguenti (II.13-15) dipendono ancora dalle decisioni di Cleonice relativamente alla separazione. La partitura di Hasse accelera un poco sopprimendo le scene secondarie II.8-9, cambia Manca sollecita con Non ho più core (Cleonice, II.13), ma conserva Nacqui agli affanni in seno (Cleonice, II.7), Non fidi al mar che freme (Olinto, II.10), Non so frenare il pianto (Alceste, II.12).4 A Ferrara Vivaldi accoglie i tagli e muta tutte le arie di Cleonice e di Alceste, che ora cantano nell’ordine Ho il cor già lacero, La man ti bacio e parto, Il povero mio core. Il problema del legame delle arie sostitutive col resto della scena è affrontato tramite la riproduzione di materiali linguistici, talvolta al limite della ridondanza, come certifica per esempio l’allusione di La man ti bacio e parto alle battute «Su quella mano, / che più mia non sarà, permetti 3 Per i concetti di discontinuità, polimetria e poliritmia cfr. TRASYBULOS GEORGIADES, Musik und Sprache. Das Werden des abendländischen Musik dargestellt an der Vertonung der Messe, Berlino–Göttingen–Heidelberg, Springer, 1974, trad. it. Musica e linguaggio. Il divenire della musica occidentale nella prospettiva della composizione della Messa, a cura di Oddo Pietro Bertini, Napoli, Guida, 1989, pp. 119-127; TRASYBULOS GEORGIADES, Kleine Schriften, Tutzing, Schneider, 1977, pp. 9-33; FRIEDRICH LIPPMANN, Der Italienische Vers und der musikalische Rhythmus, «Analecta musicologica», 12, 14 e 15, Colonia, Volk, 1973-1975, trad. it. Versificazione italiana e ritmo musicale, a cura di Lorenzo Bianconi, Napoli, Liguori, 1986, pp. 293-306; REINHARD STROHM, Musical Analysis as Part of Musical History, in Tendenze e metodi nella ricerca musicologica, Atti del Convegno Internazionale (Latina, 2729 settembre 1990), a cura di Raffaele Pozzi, Firenze, Olschki, 1995, pp. 61-81: 72-81. 4 IL / DEMETRIO / DRAMMA PER MUSICA / Da rappresentarsi nel famosissimo / TEATRO GRIMANI / di S. Gio: Grisostomo / Nel Carnovale dell’Anno / MDCCXXXII. / Dedicato a Sua Eccellenza / CARLO SACUILLE / Conte di Middlesex [...]/ IN VENEZIA, MDCCXXXII. / Presso Marino Rossetti in Merceria / all’insegna della Pace. / Con Licenza de’ Superiori, e Privilegio. (da ora Demetrio 1732), pp. 44-53. – 488 – – 2 di 21 – HASSE E VIVALDI almeno / che imprima il labbro mio / l’ultimo bacio, e poi ti lascio», oppure l’analogia fra «Ho il cor già lacero / da mille affanni; / gl’astri congiurano / tutti a’ miei danni» e l’ultimo stereotipato verso in recitativo, «Il mondo tutto a danno mio congiura».5 Peraltro, Ho il cor già lacero ricopia Che mai risponderti del Demofoonte (1733), specie se si considera la versione eseguita dalla Giraud nella Griselda (Venezia, 1735), con l’aggiunta di un diverso incipit e d’un riferimento alle righe precedenti «Tutte a’ miei danni / congiurano le stelle»,6 forse nel tentativo di affievolire la risonanza del modello, di sottrarsi allo speciale grado di memorabilità della posizione iniziale.7 Ma è pur vero che nello specifico l’apertura dell’aria di Metastasio con l’interrogativa indiretta condizionata dal destinatario risulta poco citabile e restia ad adattarsi ad una nuova situazione poetico-drammatica. Gli accomodi rispetto alla Griselda risalgono in parte alla Ginevra, principessa di Scozia (Firenze, 1736), da cui discende anche La man ti bacio e parto, aggiustata opportunamente dall’aria del Re Al sen ti stringo e parto (III.8).8 IL / DEMETRIO / DRAMMA PER MUSICA / Da rappresentarsi nel Teatro Bonacossi / A SANTO STEFANO / Nel Carnevale dell’Anno 1737. / DEDICATO / All’Emo, e Rmo Principe / IL SIG. CARDINALE / AGAPITO MOSCA / Legato di Ferrara. / In FERRARA. MDCCXXXVII. / Per Giuseppe Barbieri. Con lic. de’ Sup. (da ora Demetrio 1737), pp. 50-51, 44. La riproduzione dei testi si attiene a un criterio discretamente conservativo: tuttavia, l’impiego degli accenti e della punteggiatura è stato adattato al sistema della convenzione moderna e non viene mantenuta la maiuscola incipitaria di verso. 6 GRISELDA / DRAMA PER MUSICA / DA RAPPRESENTARSI / NEL TEATRO / GRIMANI / DI S. SAMUEL / Nella Fiera dell’Ascenssione / l’Anno 1735. / DEDICATO / A SUA ECCELLENZA / IL SIG. D. FEDERIGO / VALIGNANJ / Marchese di Cepagatti. / IN VENEZIA MDCCXXXV. / Appresso Marino Rossetti. / CON LICENZA DE’ SUPERIORI. (da ora Griselda 1735), p. 21. I debiti con Che mai risponderti del Demofoonte di Metastasio sono riconosciuti già da REINHARD STROHM, Zu Vivaldis Opernschaffen, in Venezia e il melodramma del Settecento, a cura di Maria Teresa Muraro, vol. I, Firenze, Olschki, 1978, pp. 237-248: 246. 7 La tendenza a riprodurre il testo originale di un’aria, parodiato o alla lettera, dalla metà del da capo oppure solo nella parte centrale è stata osservata da JOHN WALTER HILL, A computer-based concordance of Vivaldi’s aria texts, in Nuovi studi vivaldiani, a cura di Antonio Fanna e Giovanni Morelli («Quaderni vivaldiani», 4), Olschki, Firenze, 1988, vol. II, pp. 511-534, ma i versi iniziali di un’aria in genere sono maggiormente connessi col recitativo precedente e col contenuto di partenza. Per i concetti di «memorabilità» e «citabilità» cfr. GIAN BIAGIO CONTE, Memoria dei poeti e arte allusiva (a proposito di un verso di Catullo e di uno di Virgilio), «Strumenti critici», 16, 1971, pp. 325-333: 329-330. 8 GINEVRA / PRINCIPESSA / DI SCOZIA / DRAMMA PER MUSICA / Da rappresentarsi in Firenze nel Teatro / di Via della Pergola / Nel Carnevale dell’Anno 1736. / SOTTO LA PROTEZIONE / DELL’ALTEZZA REALE DEL SERENISS. / GIO. GASTONE I. / GRAN DUCA DI TOSCANA. / IN LUCCA. / CON LICENZA DE’ SUPERIORI. / MDCCXXXV. (da ora Ginevra 1736), pp. 50-51. Le citazioni che seguono sono tratte da Demetrio 1737, p. 44; Ginevra 1736, p. 50; Griselda 1735, p. 21, e da PIETRO METASTASIO, Drammi per musica, a cura di Anna Laura Bellina, II (Il Regno di Carlo VI, 1730-1740), Venezia, Marsilio, 2003, pp. 365-366. 5 – 489 – – 3 di 21 – FRANCESCA MENCHELLI-BUTTINI Demetrio 1737, II.7 Chi avrebbe mai potuto preveder tal sv entura? Il mondo tutto a danno mio congiura. Ho il cor già lacero da mille affanni; gl’as tri congiurano tutti a’ miei danni; Ginevra III.9 timor m’opprime, vorrei difendermi, morir vorrei; sperar vorrei; la sorte barbara mi fa tremar. Div engo stupida nel caso atroce; non ho più lagrime, non ho più voce; non posso piangere, non so parlar. Griselda 1735, I.12 Tutte a’ miei danni congiurano le stelle […] Ho il cor g ià lacero da mille affanni; empi congiurano tu tti a’ miei danni; vorrei difendermi, fuggir vorrei; del Cielo i fulmini mi fan tremar. Divengo stupida nel colpo atroce; non ho più lagrime, non ho più voce; non posso piangere, non so p arlar Demofoonte, III.7 Che mai risponderti, che d ir potrei? Vorrei d ifendermi, fuggir vorrei; né so qual fulmine mi fa tremar. Divenni stupida nel colpo atroce; non ho più lagrime, non ho più voce; non posso piangere, non so parlar. La Dorilla in tempe (Venezia, 1726) offre Il povero mio core, riproposta in una versione musicale rielaborata, essendo il testo in origine assegnato non alla Giraud,9 sicché la scelta si chiarisce tenendo conto non tanto dell’interprete quanto forse delle reminiscenze di Non ho più core di Hasse rispetto a quel modello, fatta salva la novità del metro e la maggiore immediatezza della prima persona del verso iniziale: così corrispondono «core / dolore» in rima, l’interrogativo indiretto o diretto «chi», l’anafora «non».10 Provvede un confronto fra le due versioni di Il povero mio core, conservate rispettivamente nella partitura della Dorilla (1726) e in quella del Catone in Utica (1737), FERRUCCIO TAMMARO, I pasticci di Vivaldi: «Dorilla in Tempe», «Nuovi studi vivaldiani», cit., I, pp. 147-184: 168-170. 10 Le citazioni che seguono sono tratte da DORILLA / IN TEMPE / MELODRAMMA EROICOPASTORALE / Da Rappresentarsi nel Teatro / di Sant’Angelo / NELL’AUTUNNO 1726. / DEDICATO / All’Illustrissimo Signore il Sig. / CO: ANTONIO / SAN BONIFACIO. / IN VENEZIA, MDCCXXVI. / Appresso Marino Rossetti in Merceria / All’Insegna della Pace. / Con Licenza de’ Superiori, e Privilegio. p. 41; Demetrio 1737, p. 52; Demetrio 1732, p. 53. 9 – 490 – – 4 di 21 – HASSE E VIVALDI Per contenuto e per evocazioni verbali viene dunque a stabilirsi un parallelismo fra Nacqui agli affanni in seno e Ho il cor già lacero da una parte, fra Non ho più core e Il povero mio core dall’altra; per il metro poetico e per la musica vale l’opposto: Ho il cor già lacero (Allegro, C, Do minore) e Non ho più core (Allegro, 2/4, Si bemolle maggiore) si iscrivono al catalogo delle arie parlanti in tempo veloce, sillabiche e melodicamente frammentate, mentre Nacqui agli affanni in seno (Moderato di molto, C, Sol maggiore) e Il povero mio core (Tempo giusto, ¢, Sol minore) sono in tempo moderato, la seconda soltanto sillabica, caratterizzate dall’uso espressivo della nota ribattuta, dell’appoggiatura e del ritmo lombardo, che Nacqui agli affanni in seno espone nella versione più complicata di due biscrome seguite da una croma puntata.11 Appresso alla partenza di Alceste in II.12, il monologo di Cleonice Sarete al fin contenti si trasforma in un dialogo a tre per l’uscita di Barsene e di Fenicio, la quale dunque ritarda lievemente l’aria di entrata della protagonista, Manca sollecita.12 Le istanze contrarie di cui Barsene e Fenicio sono latori si traducono in una tecnica argomentativa sottilmente speculare, modello della tendenza metastasiana all’unità, alla simmetria, alla complementarità, col fine di lasciare gli animi sospesi in vista di un nuovo prossimo culmine. Fenicio Dunque è vero, o regina, che avesti un cor sì fiero contro te, contro Alceste? Barsene Regina, è dunque vero che trionfar sapesti su i propri affetti anche al tuo ben vicina? […] L’atto inumano detesterà chi vanta massime di pietà. […] […] L’atto sublime ammirerà chi sente stimoli di virtù. […] Deh! rivoca… […] […] Ah! resisti… Non ti credea capace di tanta crudeltà. […] […] Col tuo rigore oh quanto perdi! […] Vorrei renderti chiaro l’inganno tuo. […] […] Minor costanza non sperava da te. […] […] Oh quanta gloria acquisti! […] Di tua costanza il vanto vorrei serbarti. […] Simili preziosismi su larga scala connotano, per esempio, il bisticcio fra Cleofide e Poro in fine del primo atto dell’Alessandro nell’Indie, il diverbio fra Mandane e Semira in II.9 dell’Artaserse e l’apertura del terzo atto di Olimpiade, in cui soltanto ci si giova delle prerogative dell’apparato visivo, secondo una Riguardo al manierismo del ritmo lombardo si rimanda alle riflessioni esposte in REINHARD STROHM, introduzione ad ANTONIO VIVALDI, Giustino, trad. it. a cura di Francesco Degrada, Milano, Ricordi, 1991, p. 10. 12 La citazione che segue è tratta da PIETRO METASTASIO, Drammi per musica II, cit., pp. 63-64. 11 – 491 – – 5 di 21 – FRANCESCA MENCHELLI-BUTTINI pratica dei reimpieghi che è a questa data sintomatica di una maturazione della scrittura: donde la «bipartita, che si forma dalle rovine di un antico ippodromo, già ricoperte in gran parte d’edera, di spine e d’altre piante selvagge. Megacle, trattenuto da Aminta per una parte, e dopo Aristea, trattenuta da Argene per l’altra: ma quelli non veggono queste» (ne è pallida imitazione II.8 del Re pastore).13 La prima sestina di Manca sollecita può alludere indirettamente all’esperienza dolorosa del distacco da Alceste in II.12, laddove nella seconda sestina il deittico «voi» chiama in causa i destinatari presenti, e i versi «perché turbarmi, / perché volete» fanno eco al vicino endecasillabo «perché affliggermi più? Che mai volete?». La coppia di rime tronche «morir» / «martir» rovescia comunque quella «martire» / «morire» che suggella il monologo iniziale di Cleonice, a vantaggio della coerenza della scena e del suo valore modellizzante. Il cenno esplicito agli interlocutori svanisce in entrambe le arie sostitutive, Non ho più core (Hasse) e Il povero mio core (Vivaldi); tuttavia, basta considerare come l’irruzione di Fenicio e di Barsene dia nel recitativo forma visibile al dilemma di Cleonice, cioè al suo oscillare fra l’inclinazione agli affetti e quella alla gloria, per intuire quanto ne possa guadagnare la recitazione al punto in cui le nuove arie introducono la coppia di ostacoli «dovere / amore» e «amore / trono» (si noti peraltro la tangibile esteriorizzazione di «trono» rispetto a «dovere», reminiscenza forse dell’antitesi di «regno / amore» nell’aria di I.3, «Fra tanti pensieri / di regno ed amore»). Cleonice intona l’attacco di Non ho più core su un disegnino somigliante – salvo l’appropriata amplificazione della prima sillaba – a quello che apre la seconda sezione di canto A1 e la sezione centrale B di Ho il cor già lacero, uguale peraltro a Che mai risponderti – Divengo stupida (Adagio/Presto, C, Si bemolle PIETRO METASTASIO, Drammi per musica II, cit., p. 274. Le citazioni che seguono sono tratte da pp. 63-65 dello stesso volume; da Demetrio 1732, p. 53, e da Demetrio 1737, p. 52. 13 – 492 – – 6 di 21 – HASSE E VIVALDI maggiore) nell’intonazione che Leonardo Leo approntò per la ripresa del Demofoonte a Napoli nell’autunno 1741, rifacendo quasi interamente una partitura del 1735, allestita col concorso di Giovanbattista Mancini, Domenico Sarri e Giuseppe Sellitti:14 Leonardo Leo, Demofoonte (1741), Che mai risponderti, GB-Lbl, Add. 16044, cc. 166v-167r, bb. 72-75 Johann Adolf Hasse, Demetrio (1732), Non ho più core, I-Vnm, Cod. It. IV.482, c. 112v, bb. 29-30 14 Quando non segnalati in edizione moderna, gli esempi musicali consistono di trascrizioni da manoscritti, nelle quali si è provveduto a modernizzare l’uso delle chiavi e delle alterazioni. Ho il cor già lacero è analizzata in REINHARD STROHM, Die italienische Oper im 18. Jahrhundert, Wilhelmshaven, 1979, trad. it. L’opera italiana nel Settecento, a cura di Lorenzo Bianconi e Leonardo Cavari, Venezia, Marsilio, 1991, pp. 235-238; JOHN WALTER HILL, Vivaldi’s Griselda, «Journal of the American Musicological Society», 31, 1978, pp. 53-82: 56-59; ERIC CROSS, The Late Operas of Antonio Vivaldi (17271738) «Studies in British Musicology», 4, Ann Arbor, UMI Research Press, 1980, vol. I, pp. 178-181. – 493 – – 7 di 21 – FRANCESCA MENCHELLI-BUTTINI Antonio Vivaldi, Griselda (1735), Ho il cor già lacero, bb. 25-27 e 54-55, da Eric Cross, The Late Operas of Antonio Vivaldi, cit., vol. II, pp. 222-231 Reminiscenze, imitazioni o allusioni, evocazioni15 che suggeriscono l’ipotesi del circolo di stilemi e di formule ritmico-melodiche di durevole prestigio, riferibili a una specie di soluzione esemplare inerente al metro poetico, al contenuto, al dramma. Garantisce sfumature diverse l’accompagnamento, più indipendente e disuguale in Vivaldi, caratterizzato dal procedere colla parte dei primi violini nei due altri esempi. In Leo si osservi altresì il maggiore dispiego di mezzi musicali, quali il tetracordo cromatico al basso, la dilatazione tramite la ripresa del verso «nel colpo atroce», l’interpunzione orchestrale e la corona, per isolare le prime righe dalla parte restante, contraddistinta dal ricorrere ossessivo dell’anafora della negazione «non» piuttosto che da un mutamento d’affetto. Il richiamo è certo alla struttura del da capo, dove tuttavia il passaggio dall’attacco in Adagio del soprano sul sostegno rarefatto del basso all’impulso dei sedicesimi nel Presto rileva il discrimine fra il gesto indicativo iniziale («Che mai risponderti, / che dir potrei?») e la manifestazione più violenta della soggettività («Vorrei difendermi, / fuggir vorrei»). Lo sfoggio precoce ma non insolito della pausa all’ingresso del canto in Ho il cor già lacero, simile alla scelta per l’attacco addirittura privo di ritornello strumentale di Che mai risponderti (attribuibile a Domenico Sarri) nel Demofoonte napoletano del 1735, serve quindi a creare uno scarto, uno spunto pregnante in sé estraneo rispetto alla soluzione successiva meno marcata ma prevalente, secondo una maniera abbastanza tipica di Vivaldi.16 La pausa infrange e trasforma il comunissimo attacco gestuale sull’accordo spezzato di tonica in posizione di secondo rivolto, col levare prediletto di quarta ascendente, che nell’esempio «napoletano» si espande nella successiva ripetizione sino alla settima di dominante e poi sino al Fa superiore all’inizio del Vivace, qui senza Cfr. GIORGIO PASQUALI, Stravaganze quarte e supreme, Venezia, Neri Pozza, 1951, pp. 11-20. Sulla differenziazione degli inizi delle due sezioni A e A1 cfr. ERIC CROSS, The Late Operas of Antonio Vivaldi, cit., pp. 130-132. La terminologia fa riferimento al saggio ormai classico di JURIJ LOTMAN, Valore modellizante dei concetti di «fine» e «inizio», in JURIJ LOTMAN e BORIS USPENSKIJ, Tipologia della cultura, trad. it. a cura di Remo Faccani e Marzio Marzaduri, Milano, Bompiani, 1975, pp. 135-141. 15 16 – 494 – – 8 di 21 – HASSE E VIVALDI le interruzioni e i sospiri delle pause, funzionali ad esprimere l’annichilimento di Dircea e, nelle bb. 3-4, a introdurre il cambio di andamento mediante una sorta di realizzazione scritta del rallentando. Antonio Vivaldi, Griselda (1735), Ho il cor già lacero, cit., bb. 10-12, da Eric Cross, The Late Operas of Antonio Vivaldi, cit., vol. II, pp. 222-231 Demofoonte (1735), [Domenico Sarri] Che mai risponderti, I-MC, 3-D-17, c. 144v, bb. 1-5 Tornando ad Hasse, parole e musica vanno nella stessa direzione quando la forma simmetrica di «Non ho più core, / non ho consiglio, / sento il dolore / temo il periglio» corrisponde a un’articolazione musicale in segmenti uguali di 4 + 4, oppure quando la riduzione del discorso alle parole emblema di dovere e di amore rende inevitabili le pause per realizzare i segni di sospensione, mentre la voce resta praticamente ferma sul Si bemolle illuminato di luce sempre nuova attraverso l’armonia cangiante, preliminare – assieme alla nuova figura dell’accompagnamento che si insinua a b. 36 – ad un colmo sul dilatarsi dell’esclamazione «oh Dio!». – 495 – – 9 di 21 –