Francesca Menchelli-Buttini
HASSE E VIVALDI
Le scritture dei teatri veneziani fra il 1729 e il 1740 si dividono tra musicisti
della città lagunare o comunque settentrionali, con una preferenza per il
veneziano Galuppi e per il piacentino Giacomelli, e tra napoletani per origine o
formazione, con notevole preminenza dello Hasse, presente in Laguna per
lunghi soggiorni: il suo nome si associa ai titoli metastasiani Artaserse (1730),
Demetrio (1732), Alessandro nell’Indie (1736), Viriate (1739), quest’ultimo aggiustato da Domenico Lalli, mentre sono probabilmente di Giovanni Boldini gli
accomodi dell’Artaserse e del Demetrio.1 Come è noto, Demetrio e Alessandro
furono riprodotti nel 1737 sulle scene ferraresi da Vivaldi, con un numero
eterogeneo di modifiche forse in base alla diversa corrispondenza dei registri
vocali fra i cast: quattro su sei disuguali in Demetrio, contro quattro ruoli
principali convergenti in Alessandro, oltre al non trascurabile vantaggio, in
questo caso, di poter affidare ad Anna Giraud diverse arie della protagonista
interpretate nel 1736 dal celebre contralto Vittoria Tesi Tramontini.2 Gli snodi
drammatici primari che coinvolgono le eroine Cleonice e Cleofide,
rispettivamente Faustina Bordoni Hasse nel 1732, la Tesi Tramontini nel 1736 e
la Giraud nei due allestimenti del 1737, offrono l’opportunità di un confronto
Francesca Menchelli-Buttini, via S. Antonio 35, 56125 Pisa, Italia.
e-mail: [email protected]
1
Fra le monografie che ricostruiscono i rapporti di Hasse con Venezia si veda almeno il recente
RAFFAELE MELLACE, Johann Adolf Hasse, L’Epos, Palermo, 2004, pp. 46-64, 222-232. Contengono una
ricognizione dei compositori impegnati a Venezia negli anni ’30 del Settecento SYLVIE MAMY, Il teatro
alla moda dei rosignoli: I cantanti napoletani al San Giovanni Grisostomo (Merope, 1734), in APOSTOLO
ZENO e GEMINIANO GIACOMELLI, La Merope, ristampa anastatica, Ricordi, Milano, 1984, pp. X-XI, e
REINHARD STROHM, The Neapolitans in Venice, in “Con che soavità”. Studies in Italian Opera, Song and
Dance 1580-1740 (Essays Dedicated to Nigel Fortune), a cura di Iain Fenlon e Tim Carter, Oxford,
Clarendon Press, 1995, pp. 249-274, adesso in REINHARD STROHM, Dramma per Musica. Italian Opera
Seria of the Eighteenth Century, New Haven-Londra, Yale University Press, 1997, pp. 61-80: 66. Per
l’identità dei revisori si può fare riferimento al saggio di REINHARD STROHM, Hasse, Scarlatti, Rolli, in
Studien zur italienisch-deutschen Musikgeschichte, «Analecta Musicologica», 15, Colonia, Volk, 1975,
pp. 220-257, oltre che ai repertori più antichi, talvolta imprecisi, del Groppo, dell’Allacci e del Wiel.
L’attività di Giacomelli e di Hasse a Venezia fra il 1729 e il 1745 sarà tema di studio in un prossimo
volume sull’opera veneziana del Settecento.
2
Cfr. ADRIANO CAVICCHI, Inediti nell’epistolario Vivaldi-Bentivoglio, «Nuova rivista musicale
italiana», 1, 1967, pp. 45-79, poi ampliato come L’operista impresario nel carteggio col Bentivoglio, in
WALTER KOLNEDER, Vivaldi, Rusconi, Milano, 1978, pp. 311-356; REINHARD STROHM, The Operas of
Antonio Vivaldi («Quaderni vivaldiani», 13), Firenze, Olschki, 2008, vol. II, pp. 596-611.
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favorevole a chiarire i rapporti e le alternative possibili fra musica, parole, gesto,
e a mostrare la presenza di tratti condivisi fra le tradizioni locali, prediligendo
un commento un poco più approfondito delle intonazioni di Hasse. L’analisi si
giova della convinzione che la discontinuità, la tendenza cioè alla polimetria e
alla poliritmia, all’alternanza di figure anguste e dilatate costituisca, assieme alla
propensione all’iterazione verbale e all’impiego delle fioriture, un elemento di
complicazione ritmica, di alterazione dell’equidistanza tra le cadenze e di
sottrazione alla simmetria nell’opera del Settecento, pur entro un impianto
formale che resta nel complesso unitario ed equilibrato, per esempio tramite il
ricorso ad effetti di cornice.3
I.
Nel libretto del Demetrio l’addio degli amanti costituisce il nucleo del
secondo atto (II.12), cui preludono la decisione di Cleonice di rivedere Alceste
(II.6) e un piccolo blocco di scene correlate (II.7-10), necessarie per dar tempo ad
Alceste di giungere e per accrescere le attese; così i momenti seguenti (II.13-15)
dipendono ancora dalle decisioni di Cleonice relativamente alla separazione. La
partitura di Hasse accelera un poco sopprimendo le scene secondarie II.8-9,
cambia Manca sollecita con Non ho più core (Cleonice, II.13), ma conserva Nacqui
agli affanni in seno (Cleonice, II.7), Non fidi al mar che freme (Olinto, II.10), Non so
frenare il pianto (Alceste, II.12).4 A Ferrara Vivaldi accoglie i tagli e muta tutte le
arie di Cleonice e di Alceste, che ora cantano nell’ordine Ho il cor già lacero, La
man ti bacio e parto, Il povero mio core. Il problema del legame delle arie sostitutive
col resto della scena è affrontato tramite la riproduzione di materiali linguistici,
talvolta al limite della ridondanza, come certifica per esempio l’allusione di La
man ti bacio e parto alle battute «Su quella mano, / che più mia non sarà, permetti
3
Per i concetti di discontinuità, polimetria e poliritmia cfr. TRASYBULOS GEORGIADES, Musik und
Sprache. Das Werden des abendländischen Musik dargestellt an der Vertonung der Messe,
Berlino–Göttingen–Heidelberg, Springer, 1974, trad. it. Musica e linguaggio. Il divenire della musica
occidentale nella prospettiva della composizione della Messa, a cura di Oddo Pietro Bertini, Napoli, Guida,
1989, pp. 119-127; TRASYBULOS GEORGIADES, Kleine Schriften, Tutzing, Schneider, 1977, pp. 9-33;
FRIEDRICH LIPPMANN, Der Italienische Vers und der musikalische Rhythmus, «Analecta musicologica», 12,
14 e 15, Colonia, Volk, 1973-1975, trad. it. Versificazione italiana e ritmo musicale, a cura di Lorenzo
Bianconi, Napoli, Liguori, 1986, pp. 293-306; REINHARD STROHM, Musical Analysis as Part of Musical
History, in Tendenze e metodi nella ricerca musicologica, Atti del Convegno Internazionale (Latina, 2729 settembre 1990), a cura di Raffaele Pozzi, Firenze, Olschki, 1995, pp. 61-81: 72-81.
4
IL / DEMETRIO / DRAMMA PER MUSICA / Da rappresentarsi nel famosissimo / TEATRO
GRIMANI / di S. Gio: Grisostomo / Nel Carnovale dell’Anno / MDCCXXXII. / Dedicato a Sua
Eccellenza / CARLO SACUILLE / Conte di Middlesex [...]/ IN VENEZIA, MDCCXXXII. / Presso
Marino Rossetti in Merceria / all’insegna della Pace. / Con Licenza de’ Superiori, e Privilegio. (da ora
Demetrio 1732), pp. 44-53.
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almeno / che imprima il labbro mio / l’ultimo bacio, e poi ti lascio», oppure
l’analogia fra «Ho il cor già lacero / da mille affanni; / gl’astri congiurano / tutti
a’ miei danni» e l’ultimo stereotipato verso in recitativo, «Il mondo tutto a
danno mio congiura».5 Peraltro, Ho il cor già lacero ricopia Che mai risponderti del
Demofoonte (1733), specie se si considera la versione eseguita dalla Giraud nella
Griselda (Venezia, 1735), con l’aggiunta di un diverso incipit e d’un riferimento
alle righe precedenti «Tutte a’ miei danni / congiurano le stelle»,6 forse nel
tentativo di affievolire la risonanza del modello, di sottrarsi allo speciale grado
di memorabilità della posizione iniziale.7 Ma è pur vero che nello specifico
l’apertura dell’aria di Metastasio con l’interrogativa indiretta condizionata dal
destinatario risulta poco citabile e restia ad adattarsi ad una nuova situazione
poetico-drammatica. Gli accomodi rispetto alla Griselda risalgono in parte alla
Ginevra, principessa di Scozia (Firenze, 1736), da cui discende anche La man ti bacio
e parto, aggiustata opportunamente dall’aria del Re Al sen ti stringo e parto (III.8).8
IL / DEMETRIO / DRAMMA PER MUSICA / Da rappresentarsi nel Teatro Bonacossi / A
SANTO STEFANO / Nel Carnevale dell’Anno 1737. / DEDICATO / All’Emo, e Rmo Principe / IL SIG.
CARDINALE / AGAPITO MOSCA / Legato di Ferrara. / In FERRARA. MDCCXXXVII. / Per
Giuseppe Barbieri. Con lic. de’ Sup. (da ora Demetrio 1737), pp. 50-51, 44. La riproduzione dei testi si
attiene a un criterio discretamente conservativo: tuttavia, l’impiego degli accenti e della
punteggiatura è stato adattato al sistema della convenzione moderna e non viene mantenuta la
maiuscola incipitaria di verso.
6
GRISELDA / DRAMA PER MUSICA / DA RAPPRESENTARSI / NEL TEATRO / GRIMANI
/ DI S. SAMUEL / Nella Fiera dell’Ascenssione / l’Anno 1735. / DEDICATO / A SUA
ECCELLENZA / IL SIG. D. FEDERIGO / VALIGNANJ / Marchese di Cepagatti. / IN VENEZIA
MDCCXXXV. / Appresso Marino Rossetti. / CON LICENZA DE’ SUPERIORI. (da ora Griselda 1735),
p. 21. I debiti con Che mai risponderti del Demofoonte di Metastasio sono riconosciuti già da REINHARD
STROHM, Zu Vivaldis Opernschaffen, in Venezia e il melodramma del Settecento, a cura di Maria Teresa
Muraro, vol. I, Firenze, Olschki, 1978, pp. 237-248: 246.
7
La tendenza a riprodurre il testo originale di un’aria, parodiato o alla lettera, dalla metà del
da capo oppure solo nella parte centrale è stata osservata da JOHN WALTER HILL, A computer-based
concordance of Vivaldi’s aria texts, in Nuovi studi vivaldiani, a cura di Antonio Fanna e Giovanni Morelli
(«Quaderni vivaldiani», 4), Olschki, Firenze, 1988, vol. II, pp. 511-534, ma i versi iniziali di un’aria in
genere sono maggiormente connessi col recitativo precedente e col contenuto di partenza. Per i
concetti di «memorabilità» e «citabilità» cfr. GIAN BIAGIO CONTE, Memoria dei poeti e arte allusiva (a
proposito di un verso di Catullo e di uno di Virgilio), «Strumenti critici», 16, 1971, pp. 325-333: 329-330.
8
GINEVRA / PRINCIPESSA / DI SCOZIA / DRAMMA PER MUSICA / Da rappresentarsi in
Firenze nel Teatro / di Via della Pergola / Nel Carnevale dell’Anno 1736. / SOTTO LA PROTEZIONE
/ DELL’ALTEZZA REALE DEL SERENISS. / GIO. GASTONE I. / GRAN DUCA DI TOSCANA. /
IN LUCCA. / CON LICENZA DE’ SUPERIORI. / MDCCXXXV. (da ora Ginevra 1736), pp. 50-51. Le
citazioni che seguono sono tratte da Demetrio 1737, p. 44; Ginevra 1736, p. 50; Griselda 1735, p. 21, e
da PIETRO METASTASIO, Drammi per musica, a cura di Anna Laura Bellina, II (Il Regno di Carlo VI,
1730-1740), Venezia, Marsilio, 2003, pp. 365-366.
5
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Demetrio 1737, II.7
Chi avrebbe mai potuto
preveder tal sv entura?
Il mondo tutto a danno mio congiura.
Ho il cor già lacero
da mille affanni;
gl’as tri congiurano
tutti a’ miei danni;
Ginevra III.9
timor m’opprime,
vorrei difendermi,
morir vorrei;
sperar vorrei;
la sorte barbara
mi fa tremar.
Div engo stupida
nel caso atroce;
non ho più lagrime,
non ho più voce;
non posso piangere,
non so parlar.
Griselda 1735, I.12
Tutte a’ miei danni
congiurano le stelle […]
Ho il cor g ià lacero
da mille affanni;
empi congiurano
tu tti a’ miei danni;
vorrei difendermi,
fuggir vorrei;
del Cielo i fulmini
mi fan tremar.
Divengo stupida
nel colpo atroce;
non ho più lagrime,
non ho più voce;
non posso piangere,
non so p arlar
Demofoonte, III.7
Che mai risponderti,
che d ir potrei?
Vorrei d ifendermi,
fuggir vorrei;
né so qual fulmine
mi fa tremar.
Divenni stupida
nel colpo atroce;
non ho più lagrime,
non ho più voce;
non posso piangere,
non so parlar.
La Dorilla in tempe (Venezia, 1726) offre Il povero mio core, riproposta in una
versione musicale rielaborata, essendo il testo in origine assegnato non alla
Giraud,9 sicché la scelta si chiarisce tenendo conto non tanto dell’interprete
quanto forse delle reminiscenze di Non ho più core di Hasse rispetto a quel
modello, fatta salva la novità del metro e la maggiore immediatezza della prima
persona del verso iniziale: così corrispondono «core / dolore» in rima, l’interrogativo indiretto o diretto «chi», l’anafora «non».10
Provvede un confronto fra le due versioni di Il povero mio core, conservate rispettivamente
nella partitura della Dorilla (1726) e in quella del Catone in Utica (1737), FERRUCCIO TAMMARO, I pasticci
di Vivaldi: «Dorilla in Tempe», «Nuovi studi vivaldiani», cit., I, pp. 147-184: 168-170.
10
Le citazioni che seguono sono tratte da DORILLA / IN TEMPE / MELODRAMMA
EROICOPASTORALE / Da Rappresentarsi nel Teatro / di Sant’Angelo / NELL’AUTUNNO 1726. /
DEDICATO / All’Illustrissimo Signore il Sig. / CO: ANTONIO / SAN BONIFACIO. / IN VENEZIA,
MDCCXXVI. / Appresso Marino Rossetti in Merceria / All’Insegna della Pace. / Con Licenza de’
Superiori, e Privilegio. p. 41; Demetrio 1737, p. 52; Demetrio 1732, p. 53.
9
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Per contenuto e per evocazioni verbali viene dunque a stabilirsi un
parallelismo fra Nacqui agli affanni in seno e Ho il cor già lacero da una parte, fra
Non ho più core e Il povero mio core dall’altra; per il metro poetico e per la musica
vale l’opposto: Ho il cor già lacero (Allegro, C, Do minore) e Non ho più core
(Allegro, 2/4, Si bemolle maggiore) si iscrivono al catalogo delle arie parlanti in
tempo veloce, sillabiche e melodicamente frammentate, mentre Nacqui agli
affanni in seno (Moderato di molto, C, Sol maggiore) e Il povero mio core (Tempo
giusto, ¢, Sol minore) sono in tempo moderato, la seconda soltanto sillabica,
caratterizzate dall’uso espressivo della nota ribattuta, dell’appoggiatura e del
ritmo lombardo, che Nacqui agli affanni in seno espone nella versione più
complicata di due biscrome seguite da una croma puntata.11
Appresso alla partenza di Alceste in II.12, il monologo di Cleonice Sarete al
fin contenti si trasforma in un dialogo a tre per l’uscita di Barsene e di Fenicio, la
quale dunque ritarda lievemente l’aria di entrata della protagonista, Manca
sollecita.12 Le istanze contrarie di cui Barsene e Fenicio sono latori si traducono in
una tecnica argomentativa sottilmente speculare, modello della tendenza
metastasiana all’unità, alla simmetria, alla complementarità, col fine di lasciare
gli animi sospesi in vista di un nuovo prossimo culmine.
Fenicio
Dunque è vero, o regina,
che avesti un cor sì fiero
contro te, contro Alceste?
Barsene
Regina, è dunque vero
che trionfar sapesti
su i propri affetti anche al tuo ben vicina?
[…] L’atto inumano
detesterà chi vanta
massime di pietà. […]
[…] L’atto sublime
ammirerà chi sente
stimoli di virtù. […]
Deh! rivoca… […]
[…] Ah! resisti…
Non ti credea capace
di tanta crudeltà. […]
[…] Col tuo rigore
oh quanto perdi! […]
Vorrei renderti chiaro
l’inganno tuo. […]
[…] Minor costanza
non sperava da te. […]
[…] Oh quanta gloria acquisti!
[…] Di tua costanza il vanto
vorrei serbarti. […]
Simili preziosismi su larga scala connotano, per esempio, il bisticcio fra
Cleofide e Poro in fine del primo atto dell’Alessandro nell’Indie, il diverbio fra
Mandane e Semira in II.9 dell’Artaserse e l’apertura del terzo atto di Olimpiade,
in cui soltanto ci si giova delle prerogative dell’apparato visivo, secondo una
Riguardo al manierismo del ritmo lombardo si rimanda alle riflessioni esposte in REINHARD
STROHM, introduzione ad ANTONIO VIVALDI, Giustino, trad. it. a cura di Francesco Degrada, Milano,
Ricordi, 1991, p. 10.
12
La citazione che segue è tratta da PIETRO METASTASIO, Drammi per musica II, cit., pp. 63-64.
11
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pratica dei reimpieghi che è a questa data sintomatica di una maturazione della
scrittura: donde la «bipartita, che si forma dalle rovine di un antico ippodromo,
già ricoperte in gran parte d’edera, di spine e d’altre piante selvagge. Megacle,
trattenuto da Aminta per una parte, e dopo Aristea, trattenuta da Argene per
l’altra: ma quelli non veggono queste» (ne è pallida imitazione II.8 del Re
pastore).13
La prima sestina di Manca sollecita può alludere indirettamente all’esperienza
dolorosa del distacco da Alceste in II.12, laddove nella seconda sestina il deittico
«voi» chiama in causa i destinatari presenti, e i versi «perché turbarmi, / perché
volete» fanno eco al vicino endecasillabo «perché affliggermi più? Che mai
volete?». La coppia di rime tronche «morir» / «martir» rovescia comunque
quella «martire» / «morire» che suggella il monologo iniziale di Cleonice, a
vantaggio della coerenza della scena e del suo valore modellizzante. Il cenno
esplicito agli interlocutori svanisce in entrambe le arie sostitutive, Non ho più core
(Hasse) e Il povero mio core (Vivaldi); tuttavia, basta considerare come l’irruzione
di Fenicio e di Barsene dia nel recitativo forma visibile al dilemma di Cleonice,
cioè al suo oscillare fra l’inclinazione agli affetti e quella alla gloria, per intuire
quanto ne possa guadagnare la recitazione al punto in cui le nuove arie
introducono la coppia di ostacoli «dovere / amore» e «amore / trono» (si noti
peraltro la tangibile esteriorizzazione di «trono» rispetto a «dovere»,
reminiscenza forse dell’antitesi di «regno / amore» nell’aria di I.3, «Fra tanti
pensieri / di regno ed amore»).
Cleonice intona l’attacco di Non ho più core su un disegnino somigliante –
salvo l’appropriata amplificazione della prima sillaba – a quello che apre la
seconda sezione di canto A1 e la sezione centrale B di Ho il cor già lacero, uguale
peraltro a Che mai risponderti – Divengo stupida (Adagio/Presto, C, Si bemolle
PIETRO METASTASIO, Drammi per musica II, cit., p. 274. Le citazioni che seguono sono tratte da
pp. 63-65 dello stesso volume; da Demetrio 1732, p. 53, e da Demetrio 1737, p. 52.
13
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maggiore) nell’intonazione che Leonardo Leo approntò per la ripresa del
Demofoonte a Napoli nell’autunno 1741, rifacendo quasi interamente una
partitura del 1735, allestita col concorso di Giovanbattista Mancini, Domenico
Sarri e Giuseppe Sellitti:14
Leonardo Leo, Demofoonte (1741), Che mai risponderti, GB-Lbl, Add. 16044, cc. 166v-167r,
bb. 72-75
Johann Adolf Hasse, Demetrio (1732), Non ho più core, I-Vnm, Cod. It. IV.482, c. 112v,
bb. 29-30
14
Quando non segnalati in edizione moderna, gli esempi musicali consistono di trascrizioni da
manoscritti, nelle quali si è provveduto a modernizzare l’uso delle chiavi e delle alterazioni. Ho il cor
già lacero è analizzata in REINHARD STROHM, Die italienische Oper im 18. Jahrhundert, Wilhelmshaven,
1979, trad. it. L’opera italiana nel Settecento, a cura di Lorenzo Bianconi e Leonardo Cavari, Venezia,
Marsilio, 1991, pp. 235-238; JOHN WALTER HILL, Vivaldi’s Griselda, «Journal of the American
Musicological Society», 31, 1978, pp. 53-82: 56-59; ERIC CROSS, The Late Operas of Antonio Vivaldi (17271738) «Studies in British Musicology», 4, Ann Arbor, UMI Research Press, 1980, vol. I, pp. 178-181.
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Antonio Vivaldi, Griselda (1735), Ho il cor già lacero, bb. 25-27 e 54-55, da Eric Cross, The
Late Operas of Antonio Vivaldi, cit., vol. II, pp. 222-231
Reminiscenze, imitazioni o allusioni, evocazioni15 che suggeriscono l’ipotesi
del circolo di stilemi e di formule ritmico-melodiche di durevole prestigio,
riferibili a una specie di soluzione esemplare inerente al metro poetico, al
contenuto, al dramma. Garantisce sfumature diverse l’accompagnamento, più
indipendente e disuguale in Vivaldi, caratterizzato dal procedere colla parte dei
primi violini nei due altri esempi. In Leo si osservi altresì il maggiore dispiego
di mezzi musicali, quali il tetracordo cromatico al basso, la dilatazione tramite
la ripresa del verso «nel colpo atroce», l’interpunzione orchestrale e la corona,
per isolare le prime righe dalla parte restante, contraddistinta dal ricorrere
ossessivo dell’anafora della negazione «non» piuttosto che da un mutamento
d’affetto. Il richiamo è certo alla struttura del da capo, dove tuttavia il passaggio
dall’attacco in Adagio del soprano sul sostegno rarefatto del basso all’impulso
dei sedicesimi nel Presto rileva il discrimine fra il gesto indicativo iniziale («Che
mai risponderti, / che dir potrei?») e la manifestazione più violenta della
soggettività («Vorrei difendermi, / fuggir vorrei»).
Lo sfoggio precoce ma non insolito della pausa all’ingresso del canto in Ho il
cor già lacero, simile alla scelta per l’attacco addirittura privo di ritornello
strumentale di Che mai risponderti (attribuibile a Domenico Sarri) nel Demofoonte
napoletano del 1735, serve quindi a creare uno scarto, uno spunto pregnante in
sé estraneo rispetto alla soluzione successiva meno marcata ma prevalente,
secondo una maniera abbastanza tipica di Vivaldi.16 La pausa infrange e
trasforma il comunissimo attacco gestuale sull’accordo spezzato di tonica in
posizione di secondo rivolto, col levare prediletto di quarta ascendente, che
nell’esempio «napoletano» si espande nella successiva ripetizione sino alla
settima di dominante e poi sino al Fa superiore all’inizio del Vivace, qui senza
Cfr. GIORGIO PASQUALI, Stravaganze quarte e supreme, Venezia, Neri Pozza, 1951, pp. 11-20.
Sulla differenziazione degli inizi delle due sezioni A e A1 cfr. ERIC CROSS, The Late Operas of
Antonio Vivaldi, cit., pp. 130-132. La terminologia fa riferimento al saggio ormai classico di JURIJ
LOTMAN, Valore modellizante dei concetti di «fine» e «inizio», in JURIJ LOTMAN e BORIS USPENSKIJ, Tipologia
della cultura, trad. it. a cura di Remo Faccani e Marzio Marzaduri, Milano, Bompiani, 1975, pp. 135-141.
15
16
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le interruzioni e i sospiri delle pause, funzionali ad esprimere l’annichilimento
di Dircea e, nelle bb. 3-4, a introdurre il cambio di andamento mediante una
sorta di realizzazione scritta del rallentando.
Antonio Vivaldi, Griselda (1735), Ho il cor già lacero, cit., bb. 10-12, da Eric Cross, The Late
Operas of Antonio Vivaldi, cit., vol. II, pp. 222-231
Demofoonte (1735), [Domenico Sarri] Che mai risponderti, I-MC, 3-D-17, c. 144v, bb. 1-5
Tornando ad Hasse, parole e musica vanno nella stessa direzione quando la
forma simmetrica di «Non ho più core, / non ho consiglio, / sento il dolore /
temo il periglio» corrisponde a un’articolazione musicale in segmenti uguali di
4 + 4, oppure quando la riduzione del discorso alle parole emblema di dovere e
di amore rende inevitabili le pause per realizzare i segni di sospensione, mentre
la voce resta praticamente ferma sul Si bemolle illuminato di luce sempre nuova
attraverso l’armonia cangiante, preliminare – assieme alla nuova figura
dell’accompagnamento che si insinua a b. 36 – ad un colmo sul dilatarsi
dell’esclamazione «oh Dio!».
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