Computer GrAfrica Nero su bianco. U n muro di aria calda e umida che opprime il volto. Un piede sulla scaletta che scende verso il mai sperimentato suolo africano, faccio subito i conti con la differenza. Una differenza enorme: non ho dubbi. Non ne avevo neppure mentre aspettavo l’atterraggio. La cintura allacciata, la copertina acrilica dell’Alitalia a stemperare il freddino artificiale del Boeing, guardavo giù senza vedere nessuna luce, malgrado fossimo a pochi metri da terra… Ma in Africa tutto è diverso. Pensare che è cominciato per caso, cliccando qua e là, alla ricerca di una occasione per fare del volontariato. Finché mi sono imbattuto in www.combonicentre.it, la missione a Sogakofe – Ghana, fondata da padre Riccardo Novati. Un personaggio eccentrico che, in una decina d’anni e su un terreno di nessun valore, ha fatto sorgere una clinica, una scuola di falegnameria, una tipografia, un’emittente radio, un asilo, una scuola elementare, una media e un istituto tecnico. È la tipografia che mi ha attirato qui insieme a Lucia. Esibisco il passaporto, con tanto di visto, libretto delle vaccinazioni contro tifo, febbre gialla, epatite. Un poliziotto dalla pelle Pantone 476-C mi scruta con sospetto, chiedendomi perché mi trovo lì ... «Comboni Centre? Ok. You can go!» Capirò più tardi che il Comboni Centre è un potente lasciapassare. Ad Accra, nell’afa notturna trascino una valigia che contiene una ventina di CDRom con software di tutte le salse, prove di stampa, 15 tubi di colore acrilico, manuali, dizionari vari, macchina fotografica digitale, telecamera, Vape®, Autan®, Clorochina®, Paludrine®, Aspirina® e una variegata quantità di altri medicinali (perché non si sa mai). Il mio bagaglio di sicurezze occidentali passa liscio al controllo. Comunque nulla a confronto del “corredo Corradi”. Un dentista emiliano che, con i suoi sei anni di esperienza in Africa e una prorompente simpatia, ci porterà a scoprire i lati più intimi di una terra che sulle prime suscita riverenza, imbarazzo, timore, fastidio, ma che finisce per invaderti (lo chiamano “Mal d’Africa”). Nelle sue tre valigie ha medicine di tutti i tipi. I nostri bagagli sono una mano chiusa, un pugno, un affronto: poco lontano, per un ascesso ad un dente, per la puntura di una Anofele, per una ferita non disinfettata si passa a miglior vita. E in certi casi ci vuole davvero poco per che sia migliore. ACcRa. SI sCENDe 6 AGOSTO 2003 – 23.49 SUONI DALla RIVA OPpOSTa DEL VOLTa 7 AGOSTO 2003 – 23.57 TOmOrROw 8 AGOSTO 2003 – 9.10 SOGNI OLtRe MARE 10 AGOSTO 2003 – mattina PIEDI dA CalcIO 12 AGOSTO 2003 – 15.46 È la seconda notte che passiamo al Comboni Centre. Sotto il cielo africano, tutto sembra magico. Un cielo senza fine: ben più vasto e profondo di quello visto finora. Ci corichiamo, ma sentiamo qualcosa di strano. Non il temibile ronzio di una zanzara e nemmeno il ronzio delle città a cui siamo abituati... Sembra piuttosto la colonna sonora di un film girato da queste parti. Ma non è un film e neppure un sogno. Un ritmo di tam tam vero e proprio proviene dalla riva opposta del fiume Volta, dal villaggio Woodoo. I ritmi terzinati, imprecisi, ossessivi, seguiti dal canto di dieci, cento o forse più uomini e donne, continuano senza sosta per un tempo imprecisabile. Il buio assoluto avvolge insieme la consuetudine occidentale della notte fatta per dormire al fracasso di Donno e Jembè, di offerte a chissà quali dei. La danza di corpi neri, nudi, sudati, scossi da energie incontrollabili si contrappone al nostro rituale di spazzolino, dentifricio, pasticche e movimenti rallentati che predispongano all’immersione nel sonno. Rimaniamo lì, immobili, a gustare immagini, sensazioni e luoghi, guidati solo dall’immaginazione. A separare mondi tanto diversi, una striscia d’acqua che corre verso il mare. «Dobbiamo verificare computer e software. Dobbiamo sapere quanti studenti ci sono e come sono organizzati. Dobbiamo capire quali sono i programmi didattici e se gli allievi sanno qualcosa di computer graphics. Dobbiamo anche sapere se qualcuno può aiutarci». «Tomorrow». Risponde Mr. Patrick dopo un rapido e cortese «Nice to meet you». Mr. Patrick, il braccio destro di Grace, la direttrice della scuola di tipografia. Quel «Tummorroh» diventerà familiare: quasi un’ancora di salvezza, quando il caldo insopportabile dell’aula senza finestre bloccherà movimenti, respiro e pensieri. A Keta, la spiaggia scoscesa si affaccia sul golfo di Guinea e riposano vecchie barche da pesca. Alle nostre spalle il villaggio dei pescatori, da dove pian piano escono bambini incuriositi. Di Yavù (“uomo bianco”) se ne vedono ben pochi. I bimbi portano con sé il sole e una gioia incredibile. Sulla via del ritorno, mi volto ad ammirare il paesaggio che ci ha regalato sensazioni fantastiche. Non posso fare a meno di estrarre la digitale. È uno scontro ad armi impari. Un’immagine così densa di poesia non può essere codificata in bit! La polvere del campo da calcio si solleva insieme alle urla di bambini scatenati in una partita contro la miseria. Un pallone rattoppato, un po’ sgonfio, che fa comunque da protagonista. Ai bordi del campo, una fila composta di scarpe logore: piccoli ultras dal tifo silente. I bimbi, naturalmente, non possono permettersi di giocare con le scarpe. Le rovinerebbero! Malgrado le ferite, le contusioni, le callosità, regnano l’allegria, il sorriso, la spensieratezza dei saluti. “Forza Africa!” Il desiderio di prendere un giorno il mare per raggiungere chissà quali paradisi e insieme la mancanza di potere e di mezzi: i probabili pensieri che attraversano la fantasia di quei bambini, quasi un filo di cotone per infilare una collana di perline. Mai l’emozione di una scena che incarna sogni e bisogni di questa terra potrà diventare 0110100011101010010. Eppure click, almeno per fissarne la memoria. Il furgoncino un po’ scassato sfreccia a tutta velocità verso Akachi. Il prespaziato “Comboni Centre” in Helvetica regular sulle portiere, nero su bianco, qualche lettera un po’ scollata, consente il passaggio alla stazione di Gendarmeria. Siamo diretti “In my father’s house”, la missione di Padre Peppino. Comboniano, da qualche anno nella Volta Region, ospita bambini orfani o abbandonati e li aiuta a costruirsi un’identità e un futuro. Spesso, si alza alle 4 di mattina. Malaria permettendo, percorre qualche chilometro in fuoristrada e insieme ad altri volontari con una piroga raggiunge villaggi sperduti per portare cibo, medicine, vestiti. Un bambino ci sta scrutando da lontano. È alla missione da poco tempo. Si è riusciti a capire che, contro chissà quale guaribilissima indisposizione, un sacerdote Woodoo gli aveva prescritto di ingerire ogni giorno qualche sorso di benzina. Da quando è arrivato, bisogna nascondere le taniche, ma lui immancabilmente le trova, perché ormai è irrimediabilmente dipendente. Ha trascorso l’ultima notte tra il dolore e l’incoscienza. Adesso è in piedi, ma non gli resta molto da vivere... Come dimenticare quegli occhi... bENZInoTerapIA Alcune donne, chine in una pozza d’acqua marrone, lavano panni come da noi si faceva cinquant’anni fa. Nel bucato, una miriade di colori: T-Shirt sgargianti serigrafate “California”, teli tinti a batique, Blue Jeans alla nostra moda e tuniche per la festa. Insieme, fra canti e sorrisi, Amaranto, Indaco, Limone, Vermiglione, Bianco. L’indomani, domenica, quel bucato cammina perfetto verso la funzione domenicale: il Bianco luminoso, il Bordeaux non degradato, nessuna ubriacatura di tinte. A Guido Corradi, il cicerone esperto in Africa e dintorni, domando quale sia la tecnica. «È uno dei miracoli dell’Africa». SENZA DELICATI E amMORBIDENTI Edmond è al secondo anno di Tipografia ed è uno dei nostri migliori allievi. Il 15 agosto si è portato un bozzetto e ha chiesto di elaborarlo durante la lezione di QuarkXpress. Ci hanno colpito la sua inventiva e il titolo del documento: “Funeral Invitation”. Soprattutto tra i Pentecostali, si dà una festa per la morte di una persona. L’usanza proviene da antiche tradizioni, secondo le quali i canti e la partecipazione della tribù farebbero salire più in alto l’anima del defunto. Gli abbiamo chiesto se potevamo essere presenti alla cerimonia. Così ci avviamo verso la festa, alla quale Edmond ci ha garantito che saremo ben accetti. Confusi tra la folla, veniamo coinvolti nel ballo. La calorosa accoglienza dissi- pa ogni possibile timore. Posiamo per una foto di gruppo e stringiamo la mano ai parenti del defunto, che giace in casa fuori dai nostri sguardi. Proviamo stupore per quel momento di gioia condivisa, così remoto dalla cupezza delle nostre celebrazioni. In realtà, dopo la felicità collettiva, arriva il tempo della tristezza, che si consuma durante la sepoltura. Le famiglie che non hanno i soldi per allestire subito la festa funebre, la rinviano anche di mesi finché non raccolgono i Cedis necessari. Il defunto viene ugualmente sepolto e, al momento della festa, sul letto di morte compariranno le sue foto e gli oggetti che gli sono appartenuti. FunerAL INVitaTIon prIMA Di laSCIARE Si RIsale 21 AGOSTO 2003 - 21.10. Esistono incolmabili differenze, assurde contraddizioni, inaccettabili ingiustizie. Tra il mio mondo e il mondo che ho solo sfiorato. Italia – Ghana e domani ritorno. Ci aspetta un lungo viaggio e sento il bisogno di chiudere gli occhi, che per qualche tempo sono stati investiti da emozioni e colori certamente indimenticabili. Che il nero della notte veli per un attimo immagini e sensazioni e si rinnovi l’equilibrio quasi magico che governa l’alternanza tra luce e buio, tra agire e riposare. 14 AGOSTO 2003 – metà pomeriggio 17 AGOSTO 2003 – 10.05 20 AGOSTO 2003 – 21.10 22 AGOSTO 2003 – 18.20. Salgo la scaletta da cui scesi appena arrivato in Africa. Lo zaino colmo di cose pressoché inutili. In una mano, una valigia di souvenir e regalini acquistati in tutta fretta e senza contrattare. Fisso l’altra mano e penso a quante volte, nei giorni trascorsi, si è aperta per stringerne altre, per salutare, per muovere un mouse, per scrivere alla lavagna, per far qualcosa. E sono fiero di me. È una delle meraviglie dell’Africa: quel poco che fai, quel poco che dai, ti riempie di qualcosa che non sai descrivere. La gratitudine, i sorrisi dei bambini e degli anziani, la serenità di tutte le persone che incontri, l’immensità dei paesaggi e della natura: rimangono dentro per sempre, assieme ad altre immagini ancora, che preferisci non raccontare.