PRONTI, PARTENZA … VIA! NICOLA CARLOT 1 Inizio Il salone delle feste è colmo di gente. Fuori nevica che Dio la manda. Due bambini incuranti del freddo giocano a palle di neve in strada, per nulla interessati al fatto che tra poco arriverà l’anno nuovo. Lui indossa un cappello dei New York Yankees con una sciarpa di lana intorno al collo, lei ha il cappuccio del giaccone sulla testa, ma si vede chiaramente che porta un taglio corto e spettinato. Sia gli occhi che i capelli di lei sono scuri, mentre il bambino mostra luminose iridi verdi sotto la visiera del berretto. “Ti sei ricordata di portarli?” chiede il bambino interrompendo il gioco. “Certo. E tu ce l’hai l’accendino?”. “Sì, l’ho rubato dalla tasca di mio padre”. “Allora andiamo”. In men che non si dica si ritrovano davanti alla porta del salone; dentro i noiosi adulti continuano a ballare nella pista improvvisata fra i tavoli, e a stappare bottiglie di vino. Lentamente aprono la porta e sbirciano all’interno. La bambina tira fuori di tasca un Magnum talmente grosso che fatica persino a starle nella mano. Invece il suo amico prende l’accendino facendo girare la rotella con il pollice. Subito una lunga fiamma gialla esplode verso l’alto. Si passano il petardo con movimenti religiosi. Il bambino guarda la sua amica prima di chiederle: “Sei pronta?” “Sì”. “Allora pronti, partenza…Via!” dicono all’unisono. Il bambino avvicina la fiamma alla capocchia di zolfo del Magnum che prende subito fuoco rilasciando mille scintille. La bambina apre la porta di scatto. Lui allunga il braccio all’interno lanciando il petardo sotto il tavolo più vicino, dove non c’è nessuno. 2 Scappano veloci come il vento: “Via! Via!”. Tenendosi per mano corrono verso la collinetta, dove giunti a metà salita sentono un boato provenire dal salone. “BOOM!!”. Urli di spavento all’interno, ed un surreale silenzio dopo. Nessuno si è fatto niente. Un signore sbuca dalla porta guardandosi intorno per scovare gli autori dello scherzo. I due bambini raggiungono la cima della collinetta ridendo a crepapelle. “Che botto!” dice lei guardando in giù. “Hai visto come si sono spaventati?”. “Se scoprono che siamo stati noi stavolta mia madre m’ammazza!”. “Anche la mia”. Continua a nevicare copiosamente sulle loro teste. Si tengono ancora per mano nonostante la fuga sia finita. Il bambino si volta verso la sua amica e d’improvviso le chiede: “Allora, vuoi diventare la mia fidanzata?”. La bambina lo guarda stupita, poi piega la testa di lato e con voce cantilenante risponde: “Non so, ci devo pensare…” dondolandosi a destra e a sinistra come solo i bambini sanno fare. E poi gli dà un bacio sulle labbra. 3 2 Ho un sogno strano sai vorrei partire, tornare mai Vieni via con me, Milano non si accorgerà noi saremo là, senza avvisare neanche al bar Timoria 31 Dicembre Un altro anno sta per finire. Porca miseria com’è passato velocemente! Soltanto ieri avevo lo spumante tra le mani pronto a far saltare il tappo allo scoccare della mezzanotte, che già mi ritrovo con una bottiglia nuova destinata a fare la stessa fine. Certo che ne sono successe di cose in questi trecentosessantacinque giorni. Dalla stanza illuminata soltanto da una abat-jours, guardo fuori dalla finestra. Ha ricominciato a nevicare. Grandi fiocchi scendono lentamente danzando nell’aria, al ritmo di una musica silenziosa che soffoca i pensieri. Milano sembra un panettone, morbida, completamente ricoperta dallo zucchero a velo che scende dalle nuvole in continuazione. Dall’alto della mia finestra al secondo piano mi immergo nella sua sofficità. Il Naviglio Grande è illuminato a giorno dalle luci natalizie, ma continua a scorrere indifferente al gran ciarlare delle persone che si sono radunate intorno a lui. La via Ripa di Porta Ticinese, dove abito, è affollatissima. E’ normale che nelle feste di Natale ci sia così tanta gente, soprattutto in una nottata come questa, dove tra poche ore partiranno i festeggiamenti per l’anno nuovo. Tutti i 4 locali intorno al naviglio sono aperti. Ognuno di loro è addobbato con lucine di vario tipo, allegre e vivaci, che unite insieme formano un’esplosione di colore che arriva fino al viale Gorizia. Da qui, l’illuminazione si unisce a quella del naviglio Pavese, per poi buttarsi definitivamente nella Darsena, colma di macchine parcheggiate, che incendia letteralmente Milano di un fuoco caldo e accogliente. Poso lo sguardo sulle centinaia di persone che hanno tutta l’aria di essere formiche allo sbando. Nessuna meta, solo voglia di chiacchierare e camminare. Coppie che si tengono sottobraccio, gruppi di amici con la birra tra le mani, mescolati in un’atmosfera di allegria contagiosa. Tra poco mi mischierò a loro. Mi sposto dalla finestra che fornisce una visuale così privilegiata, e vado in cucina ad aprire il frigo. Prendo una Coca Cola; niente di alcolico per adesso, conoscendomi farò il pieno più tardi. Torno al mio punto di osservazione e di nuovo guardo la strada. Sono cinque anni che abito in questo appartamento sul naviglio. Devo ammettere che non è da tutti averne uno qui, sono stato fortunato. La casa è grande, centoventi metri quadrati divisi in quattro stanze, su un unico piano. Dimensioni insospettabili se si prende in considerazione che l’ingresso è una piccola porticina di legno, di fianco a una gelateria qua sotto. Però appena si spalanca la suddetta porta, ci si trova all’interno di un vasto cortile al centro di tre piani di appartamenti, tutti grandi uguali e ristrutturati da poco. Piccole scale esterne uniscono le abitazioni al posto dell’ascensore. Sui lunghi balconi comunicanti ci sono fiori di ogni tipo che traboccano dai parapetti, dando al cortile una perpetua sensazione di primavera. Non ho ancora conosciuto il giardiniere, ma di certo per mantenere questo verde tutto l’anno si deve fare un culo così! Diciamo che è una piccola oasi in mezzo a Milano, dove si celano (dietro le apparenze) modernissimi locali. Beh, ovviamente la casa non costa due euro! Infatti i miei vicini sono tutte persone alquanto… diciamo…. facoltose. Sì, facoltose è la parola giusta, perché se fossero ricche si comprerebbero una villetta fuori città, e non sul naviglio al centro di Milano. Tanto per intenderci, alla mia sinistra ci vive un presentatore di Rai Tre, che conduce una trasmissione per bambini al mattino 5 verso le nove. Due porte più avanti una scrittrice, che con l’ultimo romanzo ha raggiunto i primi posti della classifica dei libri più letti. Dritto davanti a me, nel balcone di fronte, uno sceneggiatore dei più noti programmi televisivi di Mediaset, con la moglie, anche lei sceneggiatrice. Tutte persone non di primo piano nel mondo dello spettacolo, ma che comunque ne fanno parte. Prendo una sedia e mi accomodo meglio, continuando ad osservare la strada. Ed io? Chi sono io per avere come vicini tutta questa gente importante? Beh, diciamo che sono un loro collega… Forse è giunto il momento di presentarmi: mi chiamo Luca Nudo, ho trent’anni e faccio l’intrattenitore alla radio. E non ridete subito per il mio cognome! Ne ho sentite fin troppe di battute! So che vi state già chiedendo se non ho freddo d’inverno, visto che sono Nudo, ma risparmiatemi altre fesserie e lasciatemi continuare. Sono quasi cinque anni che faccio questo mestiere in una stazione radiofonica di Milano, zona Linate. Il nome ‘intrattenitore’ non è altro che il nuovo modo di chiamare i Dj, anche se il lavoro è molto simile. Vi do una breve spiegazione storica. Fino a una ventina di anni fa il Dj faceva tutto: metteva i dischi in diretta, parlava al microfono e rispondeva alle telefonate. Ora, col passare del tempo, i compiti si sono divisi; c’è una persona specializzata nel mettere la musica, uno che parla solamente (l’intrattenitore appunto) e il centralino che risponde alle chiamate. Il mio lavoro è quindi parlare alle persone. E devo ammettere che rende bene; non da usare le banconote per accendersi le sigarette, ma tanto da permettersi un appartamento in centro a Milano. Ed è proprio qui che mi trovo in questo momento, con il cuore in subbuglio e la testa colma di pensieri. Quest’anno che sta per finire mi ha colpito con violenza, non pensavo di ridurmi in questo stato. Guardo il Naviglio Grande con la sua calma apparente, impassibile di fronte allo scorrere del tempo e agli schiamazzi delle persone. Come vorrei essere impermeabile come lui, lasciarmi scivolare addosso tutte le insicurezze… La neve continua a scendere silenziosa mentre penso che tutto è 6 cominciato un anno fa, proprio nella radio in cui lavoro tutti i giorni. Appoggio la Coca sul tavolo e lascio che i ricordi, come un riassunto, mi facciano rivivere gli avvenimenti di questi ultimi dodici mesi. 7 3 Ma si, parliamo un po’ Io dormire no, proprio no Dai camminiamo insieme Per questa strada vuota E dimmi tutto di te, della tua vita Dai comincia tu… Ron Scoop Vedo Piazza Cinque Giornate delinearsi in fondo al viale Reg. Margherita. Sono fermo al semaforo con la mia Smart diesel, che più che un’automobile sembra un giocattolo. Scatta il verde e brucio in ripresa la Clio sedici valvole alla mia sinistra, tocco leggermente il cambio e faccio entrare la seconda, grazie all’automatismo sequenziale. Sono le sette e venti del mattino e sto andando come tutti i santi giorni a lavorare in radio. Arrivo in piazza e svolto a destra, immettendomi sul viale XXII Marzo; fa freddo anche se il cielo è luminoso e senza una nuvola. “C’è aria di neve” ha detto stamattina il signor Luigi, proprietario della caffetteria sotto casa dove vado a fare colazione. Mi sa proprio che ha ragione. D’altronde c’è da credergli quando fa una previsione meteorologica; vive a Milano da sempre e conosce le follie di questa metropoli come le sue tasche, un vero milanese D.O.C.! Chiuso nel tiepido della Smart, indosso la mia solita giacca a vento nera con un paio di Jeans pesanti, sciarpa e cappello da pescatore che mi scende sugli occhi. Mi destreggio nel traffico con facilità. 8 Ho una guida molto sportiva, al limite della sregolatezza; mi piace andare veloce, confrontarmi continuamente con gli automobilisti che incontro, è un vizio che mi porto dietro fin da quando ho fatto la patente a diciotto anni. Prima o poi me la ritireranno e allora dovrò cominciare a prendere i mezzi pubblici, che per ora non ho ancora preso. Fermo la macchina di fianco ad una bancarella che vende giornali, metto le quattro frecce e scendo. Mi avvicino alla casetta circondata da riviste, dove c’è l’edicolante che sta servendo una signora. Spuntano dovunque mensili di ogni tipo, fumetti, quotidiani, settimane enigmistiche appese alle piccole pareti in plexiglass. Mi cade lo sguardo su ‘Gente Oggi’ ed esplode un sorriso sul mio volto: in prima pagina, fotografato mentre cammino in una via del centro, ci sono io, abbracciato ad una bellissima bionda. Mi hanno beccato! Sapevo che prima o poi sarebbe successo. Ormai era risaputo che Ilaria Agrati, ex velina di Striscia la notizia, se la filava con Luca Nudo; infatti la prima pagina del giornale è dedicata a lei, non certamente a me che faccio solo da comparsa. Certo, anch’io sono conosciuto, ma lei è una vera e propria star, soprattutto dopo che ha pubblicato il calendario dell’anno nuovo. E’ diventato una specie di rituale fra le ragazze immagine della televisione, e Ilaria non ha potuto tirarsi indietro. Anche perché gli hanno dato una vagonata di Euro e si è fatta due settimane di vacanza alle Maldive, dove hanno fatto il servizio fotografico. Non pensavo venisse così bene, le immagini fanno venire i bollori solo a guardarle; infatti è risultato uno dei calendari più venduti in assoluto. Il solo pensiero di stare con una ragazza da copertina mi manda al settimo cielo! Cerco di non pensare a Ilaria sfilando da uno scaffale la Gazzetta dello Sport; male che vada stasera la vedrò per cena. Salgo di nuovo sull’auto e proseguo per Viale Corsica, zigzagando tra le macchine e le aiuole spartitraffico dove passano i tram. Sono leggermente in ritardo, ma la diretta comincia tra 9 mezz’ora, quindi dovrei fare in tempo ad arrivare. Passo sotto il ponte della stazione Porta Vittoria bruciando un paio di semafori rossi. Un tipo col Mercedes suona il clacson mentre gli taglio la strada. Ok, ho fatto una manovra un pò azzardata, ma che ci posso fare se sono in ritardo?! A metà di Viale Forlanini esco in una carreggiata che porta dritta ai palazzi della radio; sono le nuove costruzioni volute dal comune per creare uffici e Centri Congressi per le grandi aziende. Il secondo edificio a otto piani, con un’ immensa antenna trasmittente sul tetto, è la mia meta. La diretta Prima di entrare nei parcheggi mi fermo davanti ad una sbarra abbassata; per alzarla devo strisciare il badge nel lettore di riconoscimento sulla colonnina a portata di finestrino. Per fortuna, prima che mi metta a rovesciare i cassettini della macchina (visto che non mi ricordo dove l’ho messo), il custode nella cabina di vetro mi riconosce, ed alza la sbarra per aiutarmi. Muovo la mano in segno di saluto mentre lui fa altrettanto, sfoggiando un largo sorriso. Posteggio la Smart sotto l’edificio nel primo posto libero che trovo. Di corsa salgo i gradini che portano ai citofoni, premendo il tasto corrispondente a quello della mia radio. Faccio scivolare il cappello sulla faccia, mentre mi avvicino alla piccola telecamera installata per riconoscere i visitatori: in questo modo dall’altra parte vedranno solo un’enorme macchia nera. Dopo qualche secondo una voce metallica chiede: “Chi è?”. Non rispondo… “Chi è? Non si vede niente!”. Abbasso il cappello e mostro il viso a tutto schermo: “Riiik!” dico con voce allegra. “Luca, credevo si fosse spaccato il monitor! Dai vieni su che il Boss si sta agitando; sei in ritardo”. 10 “Lo so, lo so, arrivo” rispondo mentre apro la porta appena fatta scattare da Rik. Riccardo è un collega addetto al centralino, che si occupa anche della manutenzione interna relativa ai telefoni. Al piano terra c’è l’ascensore; premo il tasto per richiamarlo e immediatamente si aprono gli sportelli sfilando nel muro, invitandomi ad entrare nell’ascensore già presente. Premo il tasto otto e una piccola scossa mi fa capire che è cominciata la salita. Mi guardo nell’enorme specchio montato su una parete dell’ascensore, illuminato da una forte luce bianca. Eccomi qua: Luca Nudo in tutto il suo splendore. Il cappello nasconde a malapena il viso ancora tirato a causa del sonno appena concluso. Barba incolta, pizzo che si unisce alle basette facendo il giro delle guance, occhi verdi che molte ragazze si fermano a guardare. Ho i capelli neri portati corti e spettinati; come in questo momento ad esempio, visto che stamattina li ho sistemati soltanto passandoci una mano. Sono alto sul metro e ottantacinque eppure sono magro come un chiodo. Tutti mi chiedono come faccio, dato che mangio schifezze in continuazione; “costituzione” rispondo io, ma devo ammettere che a malapena so cosa vuol dire. Si aprono le porte dell’ascensore e mi ritrovo direttamente negli studi radiofonici, che occupano tutto l’ottavo piano del palazzo. Percorro il corridoio all’ingresso che passa davanti al centralino. Seduto al grande banco dei telefoni vedo Rik che sta sfogliando una rivista con la mano destra, mentre con la sinistra tiene un bicchierino di caffè. Giunto a pochi passi da lui, eccolo che alza il giornale nella mia direzione, mostrandomi la copertina dove sono ritratto con Ilaria. E’ Gente Oggi, lo stesso mensile che ho visto poco fa in edicola: “Ci diamo da fare, eh Luca??” esclama divertito. “Mi hanno beccato Rik, in quanti lo sanno?”. “Praticamente tutta la radio”. “Cominciamo bene!” ribatto sorridendo, mentre appoggio la giacca a vento sul primo appendiabiti libero. “Muoviti che mancano solo cinque minuti alla diretta”. “Ok, grazie”. 11 Mi infilo nell’atrio che porta agli studi, sperando di non incontrare il Boss che sicuramente sarà incazzato come Lucifero. Sto per arrivare nella stanza della diretta quando il capo spunta fuori inaspettatamente da un ufficio: me lo trovo davanti con uno sguardo che sputa fuoco e fiamme. “Buongiorno Luca, svegliato bene stamattina? Vuoi che ti porto un caffè?” domanda ironicamente. “Si grazie, mi faresti un piacere” rispondo con un’immensa faccia di merda. “MA DOVE CAZZO SEI STATO, HAI VISTO CHE ORE SONO?!?”. “Scusami Boss, ma mi sono fermato a prendere il giornale per la diretta”. “Si, la Gazzetta dello Sport… Perché non hai comprato anche Topolino e Tex Willer?”. “Dieci secondi alla diretta!” esclama Guido, il DJ che stamattina mette i Cd. “Mi spiace capo ma devo andare, ne parliamo dopo”. Entro nell’acquario di vetro dove ci sono i microfoni; è una piccola stanza isolata e silenziosa, habitat naturale di tutti gli intrattenitori. Metto le cuffie prima di sentire: “Cinque secondi… quattro, tre, due, uno…”. “Ragazzi mi sono appena beccato una ramanzina dal capo” esordisco impunemente al microfono “Mi sa che il Boss stavolta si è incazzato; pensate che valga la pena arrabbiarsi per qualche minuto di ritardo?? Dai capo, non lo faccio più, smak, smak!”. Mando bacetti nel microfono in direzione del Boss che si è fermato ad osservarmi di fianco a Guido. Lo vedo alzare e abbassare le braccia nella mia direzione, in un chiaro gesto di rassegnazione. L’ho appena sputtanato in diretta nazionale, ma dal sorriso che sta facendo devo anche avergli fatto passare l’incazzatura. “Qui è Luca Nudo, buongiorno a tutti e benvenuti ad una nuova puntata di ‘Senza veli’!!!” parte il Gingle che fa da sigla al programma, mentre mi svacco comodamente sulla sedia per cominciare la trasmissione. 12 ‘Senza veli’ è il titolo che ho inventato per ironizzare sul mio cognome. Quando l’ho detto ai responsabili della radio, ne sono rimasti subito entusiasti! In due ore di diretta al mattino parlo di tutto e parlo di niente; e lo faccio da un anno e mezzo ormai. Vado a ruota libera usando quella dialettica spigliata e magnetica che gli altri mi dicono di possedere. La proposta del Capo Il Boss pensa che essere acqua e sapone sia il segreto del mio successo; dice che ho introdotto un nuovo modo di fare la radio, e dovrebbe essere vero, visto che da quando ci sono io gli ascolti sono aumentati del venticinque per cento. Siamo arrivati al punto di essere la terza stazione radiofonica di Milano, ed ad avere più di un milione di ascoltatori. Poco se si pensa ai grandi Network italiani, ma comunque sufficiente per fare opinione. Il capo mi fa parecchi complimenti in proposito, a volte persino immeritati; c’è da precisare però che mi ha scoperto lui qualche anno fa, e quindi le lodi è un pò come se le rivolgesse a se stesso. Infatti io e il Boss, anche se non sembra, siamo parecchio affiatati; la sfuriata di prima era solo una finzione, un piccolo battibecco fatto più per giocare che per discutere. Anche perché in quattro anni (nonostante la mia scarsa puntualità) non ho saltato mai neppure un minuto di diretta, sono uno stacanovista per antonomasia. E il capo che lo sa, ha piena fiducia in me. Comunque le due ore di diretta passano velocemente, e dopo aver appoggiato le cuffie sul tavolo ricevo il cambio da Dj Flavio, un veterano della radio che condurrà il programma fino a mezzogiorno: “Ciao Luca” dice battendomi una mano sulla spalla, “Guarda che ti vuole il Boss nel suo ufficio”. Un po’ sorpreso da questa richiesta mi allontano nei corridoi, chiedendomi se non si sia arrabbiato davvero per prima. Giungo davanti alla porta del suo ufficio e la apro dicendo: “Non ti sarai mica incazzato sul serio per il mio ritard…” non riesco a concludere la frase perché lo vedo con i piedi sulla 13 scrivania, con un giornale aperto davanti alla faccia, intento nella lettura. Ovviamente il giornale è ‘Gente Oggi’! Abbassa le pagine piegandole un po’ e mi mostra un sorrisetto ironico che sa tanto di presa per il culo. Ora è il mio turno di alzare e abbassare le braccia nella sua direzione in un gesto di rassegnazione. “E così ti sei fatto beccare…”. “Sì, in pieno” dico stancamente sedendomi sulla poltrona davanti a lui. “Bene bene bene, ora lo sa tutta Italia” dice sempre in tono canzonatorio. Ma pensa che capo mi tocca avere! Seduto davanti a me ride delle mie disgrazie e dei pettegolezzi che ne verranno fuori con aria divertita. Il Boss ha sui quarantacinque anni ma possiede ancora lo spirito di un ragazzino. E’ più basso di me di almeno quindici centimetri, robusto, spalle larghe con due occhi azzurri che scrutano curiosi ogni cosa che si profila davanti a lui. I suoi capelli sono di un rosso talmente acceso che lo fanno sembrare un cerino pronto per la combustione. Il sorriso è largo e coinvolgente, ti trascina con se in ogni discorso che intraprende portandoti il più delle volte a dargli ragione, anche quando non ce l’ha. Ci siamo conosciuti in una circostanza molto originale, che è stata la scintilla del mio futuro in radio; da allora è diventato come un secondo padre per me, e seguo ogni suo consiglio senza discutere (anche se ogni tanto mi piace farlo impazzire come ho fatto stamattina!). In ogni caso questa storia di me e Ilaria è come miele per lui, visto che comunque porterà pubblicità alla radio. “Quando hai finito di prendermi per i fondelli mi dici perché mi hai fatto chiamare?”. “Ah già” dice appoggiando il giornale sul tavolo, e con tono del tutto casuale inizia a chiedermi: “Come va il tuo disco?”. “Bene, siamo quasi a metà del lavoro”. Dimenticavo… Oltre alla radio sto incidendo anche un Cd. 14 Scrivo canzoni da sempre ed ora, grazie anche all’aiuto del Boss, le sto arrangiando seriamente con l’obbiettivo di combinare qualcosa discograficamente. Ogni tanto in trasmissione faccio girare qualche pezzo mio, e devo ammettere che sta riscuotendo un discreto successo. “Quanti brani avete pronti?”. “Stiamo lavorando sulla settima canzone, penso che per Giugno dovremmo finire”. “Va bene, ho capito…” dice il capo lasciando in sospeso la frase. “C’è qualcosa che mi devi dire?” ribatto scocciato visto che non arriva al nocciolo della questione. “Sai che l’album uscirà i primi dell’anno prossimo, vero?” mi chiede con aria circospetta. “Certo, e il primo singolo lo lanceremo a fine Novembre”. “Sai quindi che probabilmente ci sarà una tournee invernale, magari anche estiva, e che quindi non avrai più tempo per te stesso…”. “Sì”. “Magari anche per alcuni anni; all’inizio bisogna battere il ferro finché è caldo”. “Speriamo che vada così!”. “Al novanta per cento andrà così. I nostri sondaggi dicono che hai tutte le carte in regola per fare successo, e di solito ci azzeccano sempre. E poi i pezzi che mandi già in diretta sono richiestissimi. Sei un personaggio che piace Luca, e con una buona promozione l’anno prossimo sarai in classifica”. “Ok capo, ammettiamo che vada tutto bene e che tra poco sarò un collega di Michael Jackson… Mi dici dove vuoi arrivare?!?” dico ormai spazientito. “Da quanto tempo non ti prendi una vacanza?”. “Ma questo che c’entra?”. “Rispondi”. “Non so, sarà da quando ho cominciato a lavorare qui; più di quattro anni sicuramente”. “Esatto, non sei mancato neppure una volta”. “E allora?!”. “Non senti il bisogno di ferie?”. 15 “Ma no!!”. “Ascolta… Voglio che quando finisce ‘Senza veli’ a Maggio, tu ti prenda una lunga vacanza fino a Dicembre”. “Che cosa?!?”” esclamo balzando sorpreso dalla sedia “Non se ne parla neanche”. “Invece farai così”. “Non voglio vacanze, non saprei cosa farmene!”. “Potresti tornare a casa”. “Questa è l’ultima cosa che mi verrebbe in mente”. “Dai Luca ragiona” dice il capo assumendo quell’atteggiamento paterno che tante volte ho sentito nei miei confronti, “Se non stacchi la spina per un po’ potresti finire le energie proprio nel momento del bisogno, magari al centro della promozione. Non voglio che ti esaurisca per causa mia. Torna al tuo paese per un po’, scappa da questa città e vai a respirare aria buona”. “Ma io adoro Milano! Sto bene qui, è la campagna che mi esaurisce! E poi mi sento già in ferie, questo lavoro è tutto quello che voglio fare”. “Oh cazzo Luca” esclama perdendo la pazienza “Sei l’unico italiano che quando gli danno le ferie le rifiuta! Sono quattro anni che ti faccio lavorare anche se non dovresti. Non voglio che tu perda i contatti con casa tua per colpa mia; non in questo caso. Stavolta ti prenderai una vacanza e al ritorno, se vorrai, sarai libero di ammazzarti di lavoro. Ma adesso segui il mio consiglio”. “E con l’album come la mettiamo?”. “Sai benissimo che una volta finito di registrare mancheranno solo gli arrangiamenti della post- produzione, che i miei ragazzi possono fare anche da soli”. “Hai già pensato a tutto vero?”. “Più o meno…”. “Beh, comunque non se ne parla” dico alzandomi dalla sedia e aprendo la porta dell’ufficio. “Pensaci”. “Ciao Boss, ci vediamo domattina”. “Pensaci!” chiudo la porta uscendo nei corridoi. Ma guarda te! Sei mesi di vacanza, cosa me ne faccio?! Milano è la mia vita, come potrei tornare in quel posto dimenticato da Dio che è il paese dove 16 sono nato? E’ vero che non ci vado da parecchio tempo, ma il capo non mi può costringere a fare qualcosa che non voglio. Al diavolo lui e le sue vacanze! Vado nel mio ufficio continuando a borbottare come un vecchio pensionato. Concludo che per Maggio riuscirò a fargli cambiare idea, e che quindi non ho nulla di cui preoccuparmi. Che storia assurda, Luca Nudo in ferie, tzè…. Magica Milano Passo il resto del pomeriggio in radio a sbrigare delle pratiche e a preparare la puntata di domani. Non ho fretta, oggi non devo nemmeno trovarmi in sala prove per registrare. Di solito trascorro la maggior parte della giornata nello studio d’incisione, insieme a dei musicisti turnisti per arrangiare l’album, ma oggi ci siamo presi una pausa. Quindi metto via la noiosa burocrazia ed esco dall’ufficio sperando di non incontrare il capo; non ho nessuna voglia di cominciare una nuova discussione. Scendo nel parcheggio e salgo a bordo della Smart. Allora, cosa faccio adesso? Sono le sei di sera e Milano è tutta per me; mi attira come una bella donna misteriosa. Gli anni ottanta della Milano da bere ormai sono passati, lo so, eppure non riesco a resistere alle sue eccitanti provocazioni. La gente esce dagli uffici, c’è molto traffico, ma un’altra notte sta per cominciare! Questa metropoli non dorme mai. Ed io adoro il suo parlare, le sue musiche e il profumo d’indipendenza che emana da ogni metro quadrato. Decido di andare dritto al ‘Saturday’, un bar dove sono specializzati in aperitivi; tanto lo sapevo che sarei finito lì, ci vado quasi ogni giorno e ormai mi sento di casa. Parcheggio in una traversa del viale Umbria e mi dirigo nel locale a piedi. Uomini e donne brillanti camminano sul marciapiede con abiti su misura, il loro portamento è spigliato ed hanno un bel sorriso sulle labbra. La maggior parte di essi si sta dirigendo in un locale dove scambiare due chiacchiere prima di cena; un rito che prende il nome di Happy Hours. 17 Giungo sotto l’insegna ‘Saturday’ e sento già la musica uscire dalle casse. Apro la porta e vengo investito da luci e colori. Decine di persone conversano animatamente; vengo riconosciuto subito da Davide, il barista dietro l’enorme bancone pieno di liquori, che mi saluta dicendo ad alta voce: “Udite udite gente! Abbiamo un Vip tra noi: Luca Nudo!”. La maggior parte dei presenti si volta nella mia direzione avvicinandosi per salutarmi: sono tutti amici e conoscenti che vogliono tirarmi il culo per la foto sul giornale. “Stavolta ci sei cascato, eh?”. “Devo dire che sei più bello su carta che dal vivo”. “Grazie ragazzi…” rispondo con il sorriso sulle labbra, mi piace essere circondato di attenzioni. Vado al bancone e ordino un Cartizze, il mio aperitivo preferito. Poi come in tutti gli Happy Hours che si rispettino, cominciamo a muoverci a ritmo di musica. Una bella ragazza che ho conosciuto qualche giorno fa si avvicina e comincia a danzarmi intorno. Wow, che figata! Adoro questi momenti, mi sembra di essere il re del mondo; ma come faccio ad andare in vacanza se tutto quello che voglio si trova qui a portata di mano? Basta fare pochi minuti in macchina ed ecco che sono in paradiso. Cosa voglio di più dalla vita? Di certo non un Lucano, al massimo un altro Cartizze! Esco dal locale mezzo ubriaco dopo avere bevuto cinque aperitivi, e mi dirigo con calma verso casa. La Smart è facile da guidare, e anche se ho i riflessi annebbiati mi destreggio lo stesso nel traffico con facilità. D’altronde ci vuole ben altro per abbattere Luca Nudo, non bastano due bicchieri di vino! I miei amici più intimi, compagni di mille sbronze, possono testimoniare. Ilaria Arrivo nel parcheggio della Darsena e metto l’auto nel primo posto libero che trovo. Mentre mi avvio a piedi verso casa penso che stasera dovrò cenare con Ilaria. Dobbiamo ancora decidere dove andare; dato che tra mezz’oretta dovrebbe essere da me, 18 faccio in tempo a fare una doccia e pensare ad un ristorante carino. Salgo i gradini che portano al mio appartamento, inizio a girare la chiave nella serratura ma mi accorgo che la porta è già aperta. Non mi stupisco di questo fatto, è già capitato più di una vota. Ilaria ha le chiavi e può entrare quando vuole. Infatti noto subito che ci sono le sue scarpe all’ingresso e il cappotto buttato sul divano. Lo stereo è acceso e una leggera musica di sottofondo invade la stanza. “Ila, sono tornato, dove sei?”. “Sono in camera” sento una voce in lontananza. Mi tolgo il giaccone e mi dirigo in cucina; prendo un biscotto, lo metto in bocca e con voce impastata le chiedo: “Hai già deciso dove andare a mangiare?”. “Più o meno”. “Meno male, perché io non ho nessuna idea. Guarda che devo ancora fare la doccia…”. “Vieni qui che ti dico cosa ho pensato”. “Ma non importa, per me va bene qualsiasi cosa…” ribatto mentre mi avvicino alla camera. Appena varco la soglia della stanza però rimango di stucco! Ilaria è sul mio letto a quattro zampe come un gatto, e mi guarda con occhi vogliosi. Il bello è che indossa solo una mia camicia bianca, per il resto è completamente nuda! Il cuore comincia a battere come un pazzo, sento il Capitano che si sta alzando. I lunghi capelli biondi le cadono sul viso dandole un’espressione ancora più maliziosa; è bellissima! Due seni grossi come frutti maturi penzolano chiedendo di essere toccati, mentre un sedere disegnato invoca di essere guardato. Le gambe lunghe e affusolate, i piedi perfetti, la pelle leggermente abbronzata… Mi appoggio allo stipite della porta per non cadere! Sento qualcosa premere dietro la schiena e mi accorgo di aver urtato il calendario di Ilaria appeso alla parete. Possiedo pure il suo calendario, sono proprio fulminato! Mi sposto leggermente e i fogli cominciano a dondolare sulla puntina. La foto su cui è posizionato ritrae Ilaria nella stessa posa in cui è ora, solo che nell’immagine si trova a gattoni su di una spiaggia bianchissima. 19 Guardo il calendario e poi guardo Ilaria. Guardo Ilaria e poi il calendario. Il Sergente è diventato di marmo. “Pensa come sei fortunato” mi dice “Io sono qui in carne ed ossa; gli altri mi possono solo vedere”. Deglutisco a fatica mentre comincio a sudare. Lei si passa la lingua sulle labbra con una sensualità che farebbe resuscitare anche un morto. “Ma non dovevamo cenare?” chiedo a mezza voce, come uno sfigato quindicenne alla sua prima esperienza sessuale. “Sarai tu la mia cena. Vieni qui”. Non mi faccio pregare e la raggiungo ai bordi del letto. Lei immediatamente si alza in ginocchio e mi bacia infilandomi in bocca la lingua. La camicia aperta mi mostra il suo seno da Oscar e il fisico da Leone d’oro. Ma il mio motore va su di giri completamente quando mi slaccia la cerniera dei pantaloni, infila la mano e afferra il Comandante. Lo tira fuori dalla cabina con abili gesti già provati in precedenza. Si abbassa con la testa e fa sparire il Generale tra le labbra. Io rischio il collasso. Non è nuova Ilaria a queste sorprese, già altre volte si è fatta trovare nuda in casa mia, con cisterne di voglia sessuale da dividere con me. Ma ogni volta mi lascia stupito. Guardo il calendario e poi guardo Ilaria. Guardo Ilaria e poi il calendario. I fogli dondolano ancora sulla puntina. Sembra proprio che sia uscita dalla foto per materializzarsi davanti a me. Un sogno ad occhi aperti. In questo momento sono l’uomo più invidiato d’Italia. Ma ora è giunto il mio turno di fare sul serio; la sollevo dal letto, le tolgo la camicia e comincio a spogliarmi anch’io. Dopo qualche minuto cominciamo a fare quello che i preti non vogliono… Questo è quello che desidero, penso tra me e me; non c’è niente che possa volere di più! La mia vita si trova a Milano! Che assurda idea quella di mandarmi in vacanza al mio paesello, non ci farò mai ritorno! 20 Per un momento mi passano nella testa le frasi del Capo di questa mattina. Come faccio ad andarmene da Ilaria, dagli Happy Hours, dalla radio, dalle discoteche e dall’atmosfera fatata di Milano? E’ impossibile, farò come voglio io. Lascio che questi pensieri si dissolvano dalla mente e mi concentro su Ilaria, decisamente molto più interessante. Cascasse il mondo, non tornerò al mio paese! 21 4 Guardami Sei nuda… Dondola Sulla puntina Se la vita fosse di un’ora Io la vivrei stasera… Loreley Come vuole lui Sto tornando al mio paese. Cazzo, sto tornando al mio paese! Guardo la macchina carica di bagagli, le chiavi di casa con cui ho appena chiuso l’appartamento, e stento ancora a crederci. Il Boss anche stavolta ce l’ha fatta. Siamo alla fine di Maggio, è mattina, e sto per cominciare una vacanza di sei mesi. Non so ancora come sia riuscito a convincermi, ma sta di fatto che per l’ennesima volta farò come vuole lui. Guardo il cielo sopra Milano e vedo il sole spuntare dai palazzi. E’ primavera inoltrata, e da qualche giorno comincia a fare caldo. Porto dei pantaloni di cotone bianchi ed una maglietta nera dei Dream Teather, comprata al loro ultimo concerto all’Idroscalo. Sconsolato metto le chiavi in tasca e salgo in macchina. Sono davanti alla sala prove dove registro i pezzi del mio Cd, ed ho appena salutato i musicisti. Ormai il lavoro è finito, mancano solo alcuni arrangiamenti, ma muoio al pensiero di non poter partecipare alla fase finale. Mirko (il chitarrista) ha cercato di consolarmi con frasi di circostanza, anche se queste ultime non sono proprio il suo forte: 22 “Vai in vacanza tranquillo Luca, non ti preoccupare, le ultime cose le sistemiamo noi. Un po’ di aria buona fa sempre bene…”. Poi accorgendosi di non avermi rassicurato del tutto ha aggiunto: “Comunque qui non servi più a un cazzo, perciò fatti ste minchia di ferie!”. L’ho detto che le frasi di circostanza non sono il suo forte. In ogni caso mi sono servite per metterci una pietra sopra, convinto come sono che i pezzi si trovano in buone mani. Avvio la Smart e mi dirigo alla radio dove prenderò le ultime cose prima di andarmene. Ilaria l’ho salutata ieri, e comunque l’avrei vista poco nei mesi a venire, dato che sta cominciando a condurre un programma in televisione. La sua notorietà aumenta di giorno in giorno, mentre la mia rimane costante. Ma non importa, questo è l’ultimo dei miei problemi. Arrivo nei parcheggi, posteggio, e salgo all’ottavo piano mentre un senso di nostalgia mi assale di già. Al centralino incrocio Rik come sempre: “Allora Luca, sei in partenza?”. “Già” rispondo con poca enfasi. “E non fare quella faccia!” risponde lui “Avessi io sei mesi di vacanza sarei l’uomo più felice del mondo!”. “Tu avrai sei mesi di vacanza solo quando io sarò andato in pensione” ribatte il Boss sbucando da uno degli uffici. Mi viene incontro con un sorriso a cinquanta denti mentre Rik ride alle mie spalle; Riccardo è perfettamente a conoscenza che non ho nessuna voglia di andare via, perciò se la ride sotto i baffi. Anche perché sa che il Capo sta venendo a leccarmi il culo, per farmi ingoiare meglio la pillola. Insieme ci dirigiamo nel mio ufficio, dove raccolgo un po’ di Cd e metto in ordine la scrivania. Il Boss mi osserva mentre sbrigo le faccende: “Dai Luca, vedrai che ti farà bene”. “Se se…”. “Quando tornerai sarai carico come una molla e pronto a dare il massimo per l’uscita del disco”. “Se se…”. “Sei in gamba e mi aspetto molto da te!”. 23 “Guarda che se continui a leccarmi il sedere, dovrò stare attento a non fermarmi all’improvviso mentre cammino, altrimenti la tua lingua mi arriverà fino alle orecchie”. “Ma quanto sei pirla”. Lo guardo facendo un’espressione da cane bastonato, mentre lui ha ancora stampato in faccia due metri di sorriso. Lo so, non ci posso fare nulla… farò come vuole lui. Qualche anno prima Sono quattro anni che seguo alla lettera i suoi consigli, e anche stavolta farò così. Ma che gran fatica in questa circostanza! Eppure è come un secondo padre per me, non posso negarlo, perciò gli darò retta come al solito. A pensare come ci siamo conosciuti mi scappa ancora da ridere. Sembra ieri che avevo venticinque anni, chitarra sulle spalle e poca voglia di studiare in una Milano che mi ospitava cinque giorni su sette. Ero iscritto a lettere e filosofia, ma la mia vera passione era la musica. Infatti il giorno che ci siamo conosciuti stavo andando al CPL a prendere lezioni, una specie di scuola privata per musicisti. Camminavo a passo lento per corso Buenos Aires, con il mio JoJo da duecentomila lire nella mano destra (chissà adesso in Euro quanto varrebbe) e lo strumento a tracolla. Sul naso portavo degli occhiali azzurri senza lenti. Sì, senza lenti! Le avevo tolte apposta per essere alla moda, e per prendere in giro tutti quei ragazzi che compravano occhiali con lente di vetro (che non riparavano neppure dal sole), ma che costavano mezzo milione a montatura. Loro li compravano dall’ottico, io dal farmacista, e con duemila lire ero figo quanto loro! O almeno credevo di esserlo. Di certo ero più originale; diciamo più anticonformista, ma con un sottile velo di ironia. Insomma, ero un personaggio eccentrico quando passeggiavo per le vie di Milano in quel periodo. 24 Non avevo ancora ben chiaro cosa fare della mia vita, e con la testa mi perdevo in estenuanti elucubrazioni. Ormai gli esami all’università erano quasi finiti e non potevo continuare a vivere in bilico senza prendere una decisione. Ma non avevo la più pallida idea di cosa fare. E’ vero che l’università è il parcheggio degli indecisi, ma ormai la mia sosta a tempo stava per scadere, e non volevo incappare in una rimozione forzata. Venticinque anni è il periodo giusto per prendere delle decisioni? Forse… In ogni caso non sapevo ancora cosa fare di me stesso. Immerso in queste ed altre considerazioni, ho sentito un grido provenire dall’altra parte della carreggiata: “Cesare!”. Il ricordo è così nitido che mi sembra di viverlo ancora adesso. Incontro Mi volto e vedo il viso inorridito di un uomo che guarda nella mia direzione, verso il centro della strada. Immediatamente noto che un cane Boxer sta attraversando tranquillamente corso Buenos Aires, incurante delle macchine che sfrecciano a un metro da lui. La prima cosa che penso è: “Se davvero quel cane si chiama Cesare col cazzo che l’aiuto!”, ma poi, spinto dalla mia innata solidarietà, mi getto in mezzo alla strada a braccia alzate, intimando alle auto di fermarsi. “Cesare, piccolo, vieni qui…”. Un po’ spaventato il cane si avvicina e si lascia prendere in braccio, mentre una macchina mi passa di fianco strombazzando: “PPOOOOOOT!!”. “E che cavolo, non vedi che sto salvando una vita?!?” gli grido dietro, ma ormai se ne è già andata. Torno sul marciapiede e adagio il cane per terra tenendolo al guinzaglio, mentre il padrone mi raggiunge qualche secondo dopo: “Non so come mi sia sfuggito, ti ringrazio!”. “Non è niente, non si preoccupi” . “Ecco, questo è per te” dice tirando fuori dalla tasca una banconota da centomila lire. 25 “Ma si figuri” rispondo con enfasi “Non ho fatto niente di speciale”. “Insisto, devi prenderle, se non era per te sarebbe finito sotto una macchina”. “Lasci stare!” ribatto indignato cercando di chiudere il discorso. A pensarci bene cento carte mi avrebbero fatto comodo, sono stato un po’ coglione a non prenderle. “Va beh, ci sarà pure qualcosa che posso fare per te”. “Sì, una cosa ci sarebbe: mi potrebbe dire come le è saltato in mente di chiamare Cesare il suo cane. E’ un nome orribile!”. L’uomo mi guarda sorpreso e sbigottito; non sa più cosa dire, di certo non si aspettava una domanda del genere. Poi continuo con fare indifferente: “Anzi, mi potrebbe dare un parere sulla canzone che ho appena finito di scrivere. Ci sono ancora un paio di cose che non mi convincono…”. Mentre parlo mi inginocchio sul marciapiede, tiro fuori la chitarra e piazzo in mano lo JoJo allo sventurato spettatore. Mi rialzo con lo strumento a tracolla e comincio a suonare un pezzo che ho composto qualche sera prima. Ci troviamo in mezzo ad un passaggio pedonale, la gente ci guarda circospetta, ma io continuo a suonare indifferente ai loro sguardi. Non sono uno che si fa mettere in soggezione facilmente, anzi, mi piace essere osservato; in poche parole sono un egocentrico del cazzo! L’uomo con il cane è senza parole. Lascia cadere lo JoJo tenendolo per il filo, ed ovviamente questo comincia con il suo moto ascendente e discendente, su e giù, giù e su… Io continuo a suonare e a cantare. Il cane tira un’abbaiata. Appena finita la canzone gli chiedo innocentemente: “Piaciuta?”. “Beh, sì…” risponde sorpreso. Faccio per togliermi la chitarra dalle spalle ma con la tracolla urto gli occhiali che mi cadono per terra. “Attento” esclama chinandosi e cercando di afferrarli, ma io sono più veloce e li raccolgo per primo, infilando le dita dove 26 dovrebbero esserci le lenti. L’uomo mi guarda sorpreso e disorientato: “Ma come? Hai gli occhiali finti?!?”. “Sì, belli vero?” rispondo in tutta calma “Ho tolto le lenti apposta per prendere in giro i fighetti che comprano occhiali inutili da cinquecentomila lire”. Comincio così a spiegare la mia teoria secondo cui sarei più figo comprando la montatura in farmacia, mentre l’uomo mi guarda completamente sbigottito. Di certo non posso dargli torto; anch’io mi sorprenderei davanti a un ragazzo che gioca con lo JoJo, suona in mezzo a corso Buenos Aires fermando il traffico pedonale e gira con occhiali senza lenti! Alla fine delle mie mirabolanti spiegazioni l’uomo scoppia in una grande risata ed esclama: “Certo che sei un bel personaggio tu!”. “Oh, grazie, cerco di fare del mio meglio”. “Come ti chiami?”. “Luca Nudo” e ci stringiamo la mano. “Bene Luca” dice porgendomi il suo biglietto da visita “Vieni domani a trovarmi che facciamo una bella chiacchierata”. L’indirizzo riportato sul cartoncino è quello della radio in via Forlanini, e naturalmente l’uomo a cui ho salvato il cane è il Boss. Grazie a quest’episodio ci siamo conosciuti. Il giorno dopo negli studi mi ha fatto la proposta di lavorare in radio, prima come apprendista, e poi come vero e proprio intrattenitore. Il Capo è rimasto stupito dalla mia parlantina e dall’innata simpatia che sprigiono (sono parole sue). Così, dopo aver passato un mese di prova osservando vari DJ in azione, il Boss mi ha lanciato in una trasmissione dove era lui stesso il conduttore, ed io avevo il compito di fargli da spalla. L’esordio è stato ottimo. Dopo un anno di rodaggio ho avuto uno spazio tutto mio, che ancora oggi prende il nome di “Senza veli”. Ecco la mia storia alla radio. Il progetto del CD è nato parallelamente, ed il Boss mi ha dato una mano in tutto e per tutto, consigliandomi ogni volta nel modo migliore, come un padre con il figlio. Per questo non posso rifiutargli nulla. 27 Partenza Il mio muso lungo in un estremo tentativo di non tornare a casa non ha nessun valore. Mi osserva sempre con due metri di sorriso stampato in faccia, mentre finisco di raccogliere le mie cose e di mettere a posto la scrivania. Insieme proseguiamo per il corridoio fino a raggiungere l’ascensore, dove mi porge la mano pronunciando le ultime parole prima di congedarmi: “Divertiti Luca, e non farti vedere fino a Novembre”. “Umpf”. “E ricordati una cosa: quando tornerai avrai molto lavoro da fare, e soprattutto parecchie responsabilità” lo guardo con occhi interrogativi, non capisco cosa mi voglia dire. Lui intuendo i miei dubbi prosegue: “Luca, il progetto del Cd non è un gioco. Molte persone dipenderanno da te e dalle tue capacità. I musicisti, gli arrangiatori, ed io stesso che ti sto spingendo in questa nuova avventura siamo legati a quello che farai. Quando tornerai dovrai affrontare queste responsabilità, e volente o nolente, mettere la testa a posto. Non che tu sia uno scellerato, non fraintendermi, però dovrai iniziare a confrontarti con il mondo che ti sta intorno. Molte persone contano su di te, è per questo che ti mando via così tanto tempo; per rilassarti prima di cominciare. So che la semplicità è il segreto del tuo successo, ma non ti sto chiedendo di perderla. Ti chiedo solo di diventare grande e di prendere di petto la vita, che ti propone sempre situazioni nuove”. Diventare grande, brrrr….. Queste parole mi mettono i brividi. Io non voglio diventare grande! Almeno, non adesso… “Hai capito?” prosegue il capo. “Credo di sì”. “Ti chiamerò per sapere come va” . “Va bene. Se hai bisogno di me…”. “Non avrò bisogno di te”. “Sicuro?”. 28 “Sì”. “Umpf”. “Adesso vai”. “Ok”. “Ciao Luca”. “Ciao Boss” dico sconsolato mentre le porte dell’ascensore si chiudono in mezzo a noi. Il capo mi fa ciao con la mano mentre sento un leggero vuoto allo stomaco, il quale mi fa capire che la discesa è cominciata. Ora sono solo. La vacanza, volente o nolente, è appena iniziata. Lassina Non mi resta che salire sulla Smart e prendere la tangenziale che porta al mio paese. Sono quattro anni e mezzo che non ci torno; esattamente da quando mi hanno assunto alla radio. Di punto in bianco me ne sono andato senza programmare niente. All’inizio è stata una soluzione provvisoria, pensavo di tornare appena si fossero calmate le acque e avessi capito il mio ruolo in radio. Ma poi sono rimasto a Milano rimandando sempre al futuro il momento del rientro. I miei genitori sono venuti spesso a trovarmi: con la scusa che mio padre lavora nella metropoli ci siamo visti un sacco di volte, e molto spesso li ho ospitati a casa. Persino i miei amici si sono fatti vedere, magari di sabato sera, per bere qualcosa in qualche locale o andare in discoteca. Però io non sono mai più tornato a casa da allora. E non mi è mai pesato. L’aria di quel posto mi ha sempre soffocato; per me andare a Milano era un sollievo. Vivevo come quei pazzi che hanno la camicia di forza con le mani legate dietro la schiena, rinchiusi dentro una stanza vuota con le pareti di gommapiuma. Quest’esempio calza a pennello, non riuscivo a respirare. Non che gli amici mi procurassero disagio, anzi, erano proprio loro la mia ancora di salvezza! Era il paese che mi andava stretto. 29 Il suo nome è Lassina e si trova in mezzo alla campagna tra Como e Lecco, al confine estremo della Brianza. Lontano da tutto e vicino al nulla più assoluto. Ho sempre pensato che il sindaco pagasse per avere il nome del comune sulle cartine geografiche, perché Lassina è così insignificante da non meritare nemmeno la citazione. Per raggiungerlo si devono percorrere strade che avrebbero bisogno di essere asfaltate da almeno cinquant’anni, tanto sono dissestate. Per forza, i veicoli che passano più spesso sono i trattori! In quel buco di paese l’attività più praticata è ancora l’agricoltura, e i negozietti a gestione famigliare spuntano come funghi ad ogni via. Per fare la spesa bisogna girarli tutti, non c’è alcun supermercato che ti permette di fare un acquisto unico. La civiltà a Lassina non è ancora arrivata. Che bello direte voi, il sapore delle cose antiche… Certo, ma io preferisco un bell’Ipermercato dove comprare un DVD per una notte in Dolby davanti al PC (cosa che al mio paese non conoscono neppure). Eppure a Lassina c’è tutto. Forse è per questo che molti giovani decidono di rimanere. Essendo a metà strada tra Como, Milano e vicino a Lecco, si può passare in un momento dal lago alla montagna, dalla grande metropoli alla campagna. Ci sono scuole, bar, e attrezzature sportive di alto livello. Dato che il verde non manca i campi da calcio sono spuntati come funghi; piste ciclabili e campi da tennis sono stipati un po’ ovunque intorno al paese, attirando numerosi sportivi da ogni parte della Brianza. Eppure il centro di Lassina è come un vecchio addormentato. Il suo silenzio mi è sempre entrato nelle ossa facendomi pian piano impazzire. Quando ho sentito che la camicia di forza mi tirava le braccia tanto da non poterlo più sopportare, ho preso la decisione di andarmene. E proprio in quel periodo, per fortuna, è giunto il mio lavoro in radio a salvarmi. Da allora ho giurato a me stesso di non tornarci più, e fino a qualche mese fa il mio proposito continuava ad essere mantenuto. 30 Ma ora mi trovo in macchina sulla Statale centoquindici pronto per fare ritorno a casa. Immaginavo che prima o poi sarebbe accaduto, ma speravo di poter rimandare ancora qualche anno. Solo la fiducia che ho nei consigli del Boss mi ha fatto muovere sulla strada del mio paese natale; speriamo che anche stavolta il Capo abbia ragione. La relazione con Ilaria Suona il cellulare. Apro il mio Nokia e leggo sul display che si tratta di una video chiamata. Lo appoggio sul cruscotto della macchina incastrandolo nell’ apposito blocca telefono, che mi permette di vedere con chi parlo senza distrarmi dalla guida. Premo il tasto con la cornetta verde. Immediatamente compare sul visore il volto di Ilaria: “Ciao amore, sei già arrivato?”. “Non ancora, manca mezz’ora di strada” dico fissandola negli occhi. Anche lei mi guarda, è straordinaria questa tecnologia. “E non fare quel muso” continua “Pensa che tra poco vedrai i tuoi amici”. “Lo sai come la penso, non cercare di consolarmi. Tu invece cosa stai facendo?”. “Sono in pausa. Sto registrando la puntata che andrà in televisione domani”. “Non ti manco già un pò?” dico sporgendo in fuori il labbro inferiore, e facendo un’espressione da cucciolotto impaurito che a lei piace tanto… “Certo che mi manchi, poi con quel faccione così tenero… Ma vedrai che ci rivedremo presto. Passerò io a trovarti appena avrò tempo, d’accordo?”. “Mmm Mmm” mugugno di dispiacere sporgendo ancora di più il labbro. “Che tenero!” dice lei tra il serio e il faceto. “Allora dai” continua “Ci sentiamo tra qualche giorno, ok?”. “Va bene”. “Ciao amore, e divertiti”. 31 “Vedrò quello che riesco a fare”. “Ciao” e riattacco la comunicazione. Cosa farei senza Ilaria! Già, cosa farei? Ci ho pensato parecchio in questi ultimi mesi, e la conclusione è che praticherei l’autoerotismo! Un momento, non fraintendetemi, ad Ilaria sono affezionato, non sto con lei solo per fare sesso. Però mi sono reso conto che non so se sono innamorato; di sicuro le voglio molto bene. E questo vale anche per lei. Quando ci siamo conosciuti due anni fa, è stato come se un travolgente desiderio passionale ci avesse colpito nello stesso momento. Di pomeriggio ci siamo incontrati, e la sera eravamo già nel letto insieme. I primi giorni non riuscivo nemmeno a credere che una ragazza come lei potesse essere attratta da me, ma dopo mi sono reso conto che era tutto vero. La nostra relazione però è sempre stata basata sul postulato: “Ci vediamo quando abbiamo tempo”. Essendo entrambi nel mondo dello spettacolo, i nostri orari non sono mai fissi, ma cambiano a seconda degli impegni. Per questo non abbiamo mai potuto prendere seriamente il nostro rapporto di coppia e nemmeno tentato di farlo diventare tale. Ma nonostante tutto ci troviamo bene così; sono sicuro che Ilaria mi adora esattamente come l’adoro io, e questo mi basta. Il futuro deciderà per noi quando arriverà il momento di mettere la “testa a posto”. C’è qualcosa di male? Noi crediamo di no. Non ci diamo obblighi ne tanto meno responsabilità; forse perché anche lei è come me, ancora immatura per queste cose. Crescere, questo è il nostro problema. In fondo ci sentiamo ancora come due ragazzini che si rifiutano di diventare grandi. Io e lei siamo come i bimbi sperduti dell’Isola che non c’è. Oltretutto non credo minimamente che mi verrà a trovare, ne che mi chiederà di passare l’estate con lei. Però mi sta bene così. Sono le conseguenze del nostro rapporto libero. Ciò non toglie che sono pazzo di lei, e finché lo sarò proseguirò per questa strada. 32 Intanto tra pensieri e ragionamenti sono arrivato all’uscita della tangenziale e all’inizio della strada di campagna. Sento che la civiltà mi sta abbandonando mentre l’età della pietra prende il sopravvento. Stradine in salita, strettoie sempre più lunghe e uomini col cappello alla guida di vecchie automobili. Di uomini col cappello a Milano non ce ne sono molti, verrebbero strombazzati in continuazione e sbranati dal traffico della metropoli. Solo nei piccoli paesi possono ancora circolare, e questo mi fa capire che mi sto avvicinando sempre di più a casa. Comincio a riconoscere le strade; questa che sto percorrendo è quella che mi porterà dritta nel centro di Lassina. Riconosco le curve, il panorama, e i campi verdi che la circondano; in questo pomeriggio di sole viene proprio voglia di buttarsi in mezzo all’erba a giocare a pallone. Ma io non sono dell’umore adatto. Magari tra qualche giorno (se riuscirò ad ambientarmi) lo farò. Basterà mantenere l’anonimato per qualche tempo, in modo da riprendere la vita di campagna senza che troppe persone facciano domande sul mio ritorno. Tanto per rigirare il coltello nella piaga, davanti a me incontro un trattore, che starà tornando da qualche lavoro fatto all’aperto. Ovviamente va a dieci all’ora e mi tocca stare in coda; ed io odio le code. A Milano proprio per evitarle vado a zig zag tra le vetture, anche a costo di prendere multe salate. Ma qui non si può fare. La carreggiata è piccola e c’è spazio solo per lui. Tiro un grosso respiro e mi metto buono in fila (male che vada ritarderò il mio arrivo a casa, e questo non è male). Dopo qualche chilometro noto che la strada comincia ad allargarsi; mi sposto leggermente a sinistra in modo da vedere se arrivano macchine per cominciare il sorpasso. Non riesco ancora a vedere nulla. Tiro giù il finestrino e spingo fuori la testa per sporgermi un po’ di più. Immediatamente un forte odore di letame mi inonda le narici: “Bleaaah, che schifo!” commento ad alta voce “ Sono proprio tornato a casa!”. Guardo i campi intorno a me e noto che sono pieni di concime. Altro che due calci al pallone nell’erba… 33 Santo cielo che giornata! Ci mancava solo questa. Con un’espressione disgustata sulla faccia comincio il sorpasso, ma mi ritiro in tempo, perché dall’altra parte vedo giungere un nuovo veicolo della stessa stazza del trattore che ho davanti. Nel punto più largo della carreggiata i due mezzi si incrociano, con me dietro a far da spettatore. Gli autisti si salutano, e il conducente del nuovo mezzo (un camioncino scoperchiato che trasporta oggetti da lavoro nei campi) prosegue nella mia direzione. Giunto a qualche metro da me l’uomo a bordo del camioncino si sporge per guardare chi c’è all’interno della Smart, con la curiosità tipica delle gente di paese. Se a Milano si facesse un gesto del genere si verrebbe alle mani in mezzo alla strada, ma in campagna è tutto nella norma. Anch’io guardo verso di lui e mi accorgo di conoscere quell’uomo: è il signor Pozzi, il menamerda di Lassina. Menamerda è una parola dialettale che significa ‘colui che pulisce le fognature’ (non è certamente il lavoro più bello a cui si possa aspirare, ma qualcuno lo deve pur fare…). Ovviamente mi riconosce: “Ueila!! Luca sei tornato all’ovile?”. “Buon giorno Signor Pozzi” dico con un sorriso tirato, e imbarazzato del fatto che mi abbia già riconosciuto. “Tua madre me l’aveva detto che saresti arrivato”. E ti pareva se mia madre non teneva la bocca chiusa… “Il ritorno del figliol prodigo….” dice mentre si allontana. “Arrivederci” rispondo, mentre comincio e finisco il sorpasso del trattore che mi precedeva, approfittando del fatto che la strada è ancora larga. Ho capito, mia madre lo avrà già detto a tutto il paese. Ed io che volevo mantenere l’anonimato per qualche giorno… Ancora un paio di curve e finalmente arrivo alle porte del paese, superando il cartello ‘Lassina’ che mi dà il benvenuto nel posto dove passerò i prossimi sei mesi. 34 5 Piccola città C’è chi la ama, chi la odia e lei rimane piccola Se ripassate tra cent’anni ci trovate sempre qua Luciano Ligabue Nessuno I campi cominciano a sparire, mentre le case prendono lentamente il sopravvento. Giungo in centro dopo pochi minuti e mi accorgo che non è cambiato molto; esattamente come quattro anni e mezzo fa non c’è in giro nessuno. La noia aleggia nell’aria. Parcheggio in mezzo alla piazza, scendo, e comincio a guardarmi intorno. Come se fosse un mio personale gesto di saluto mi soffermo a guardare le abitazioni, a respirare l’aria, e a riprendere confidenza con un posto che per tanti anni è stata la mia casa. Non vola una mosca. Il pavimento a mattonelle della piazzetta fa da contorno al monumento ai caduti più che mai solitario. Si erge in tutti i suoi tre metri d’altezza, con la baionetta puntata verso il cielo, ormai corrosa dalle intemperie. Alla sua sinistra troneggia la chiesa di Lassina e alla destra sorge l’edificio dei vigili urbani. Dopo qualche minuto esce un vigile in bicicletta, che attraversa la strada e sparisce dietro l’angolo; la prima forma di vita che noto da quando sono in paese! 35 Mamma mia che angoscia! Sono qua solo da qualche minuto e già non ce la faccio più. Eppure è strano; il paese è fin troppo silenzioso. Da come me lo ricordavo c’era sempre qualcuno in giro. Casalinghe impegnate a far spese, anziani che passeggiano diretti a prendere un bianchino…. Nonostante tutto Lassina è un comune abbastanza grande, e con tutte le frazioni annesse raggiunge anche seimila abitanti; possibile che non ci sia nessuno? Mah, si sarà completamente spopolato; magari è passata la peste come nel millecinquecento e sono finiti tutti nel Lazzaretto. D’altronde in un paese antico come questo non mi stupirei se fosse successo davvero. Salgo nuovamente in macchina e mi dirigo verso la mia vecchia casa. Dopo pochi minuti la raggiungo e posteggio in cortile. Beh, più che un cortile è un campetto di terra libera dove mettere le auto; qui non ci sono confini di proprietà, le abitazioni non hanno mura o recinzioni. Casa mia è una piccola villetta in mezzo ad altre villette che si trovano a est del paese, sul confine con Oseve, una frazione di Lassina. Non c’è un indirizzo preciso, i numeri civici non ci sono. Se qualcuno mi vuole scrivere una lettera deve mettere solo la via, ci pensa poi il postino a recapitare la posta nella corretta buca delle lettere. Scendo dalla Smart, prendo il borsone e mi dirigo verso casa. Devo fare una cinquantina di metri in salita prima di raggiungere l’abitazione. La strada è piccola e l’asfalto è tutto dissestato. Sono circondato dal verde; sento l’odore della terra, delle piante, e dei fiori che Maggio sta svegliando dal letargo. Sono le undici del mattino e il sole è una palla gialla in mezzo ad un cielo terso. Sento il suo calore sulla pelle, ma non è fastidioso; a Milano questa sensazione non l’ho mai sentita. E meno male! Vuol dire che è una metropoli, che c’è il caos, lo smog, e soprattutto tanta voglia di vivere! Non come qui, che viene solo voglia di dormire… Faccio ancora qualche passo ma prima di giungere a destinazione, incrocio due signore che hanno un’aria famigliare. Le squadro per bene e dopo qualche secondo le riconosco; sono Luigia e 36 Mariuccia, due vicine di casa. Appena realizzo quello che potrebbe accadere cerco un posto per nascondermi. Da quanto ricordo sono due pettegole di prim’ordine, e se dovessero riconoscermi sarei bombardato da domande e commenti sul mio ritorno. Accelero il passo cercando di restare più disinvolto possibile, ma dopo qualche secondo sento una voce stridula pronunciare: “Ma quello non è Luca?”. …sono fottuto… “Luca chi?”. “Luca, il figlio della Teresa!”. Mi hanno riconosciuto, non ho più scampo. Da un momento all’altro mi chiameranno e sarò costretto a girarmi… “Oh signur, lè propi il Luca!”. “Luca!!”. Mi giro mostrando una falsa faccia stupita, fingendo di essermi accorto solo ora della loro presenza: “Buongiorno!” ora è il turno del finto sorriso, da sfoderare ad una persona che non si ha voglia di incontrare: “Salve Luigia, salve Mariuccia” le due donnine mi vengono incontro dandomi voraci baci sulle guance. Sono entrambe alte un metro e cinquanta, e mi arrivano a malapena all’ombelico; per cui mi devo abbassare accartocciandomi su me stesso. Non me le ricordavo così basse. Hanno ovviamente i capelli bianchi e portano grandi occhiali con lenti a fondo di bottiglia. Ma lo sguardo è sveglio e curioso, come tutte le donne di paese. Ecco che comincia l’interrogatorio: “Cume te ste?”. “Va che bel fiò che te se diventà”. Traduco per chi non conoscesse il dialetto brianzolo: “Come stai? Sei diventato un bel ragazzo”. “Grazie, sto abbastanza bene”. “Me la dì la tua mama che te seret dre a turnaa” (me l’ha detto tua mamma che stavi tornando). “Cume te se bel” (che bel ragazzo). “Te se arivaa adess?” (sei arrivato ora?). “Te ghe lè la murusa?” (ce l’hai la ragazza?). 37 Basta, mollatemi!! Dopo cinque minuti di discussione sento che sto per svenire. Trovo un espediente per congedarle dicendo che devo ancora salutare i miei genitori, e senza troppi complimenti me ne vado. Tanto avrò tempo per incontrarle di nuovo, dovrò restare a Lassina per sei mesi! Casa vecchia casa Arrivo alla soglia della porta e suono il campanello. Dopo qualche secondo mia madre viene ad accogliermi, ma al contrario di quello che mi sarei aspettato esordisce dicendo: “Dove sei stato? Ti aspettavamo un’ora fa?”. “Ho trovato un po’ di traffico. Dai mà, non cominciare a rompere”. Mia madre è bravissima nel farmi incazzare! Sono bastate due parole per farmi girare le palle. Mi tratta ancora come se avessi dieci anni; so che tutte le mamme sono così ma la mia a volte è insopportabile! Comunque la sua espressione austera svanisce dopo qualche secondo, lasciando il posto ad un sorriso: “Sono contenta che tu sia tornato” mi abbraccia “Vieni a salutare tuo padre”. Entro, lascio la roba in cucina, e mi dirigo in sala. Percorro il corridoio che unisce le due stanze osservando ogni cosa: i quadri appesi alle pareti, il mobiletto dove si trova appoggiato il telefono… Sono anni che non vengo qui, ma sembra non sia cambiato nulla. E’ come se il tempo si fosse dimenticato di passare; ogni oggetto è ancora al suo posto, come in un museo dove tutto deve restare assolutamente immobile. Scommetto che anche i granelli di polvere sono gli stessi, insieme alla noia e al silenzio che impregnano i muri della casa. Arrivo in salotto con mia madre dietro le spalle, e vedo papà che si alza dalla poltrona mentre la tv sta trasmettendo il telegiornale. Probabilmente era preso a guardare le prime notizie del giorno svaccato in tutta tranquillità. Si avvicina allargando le braccia in 38 un sorriso del tutto simile al mio, sia per spontaneità che per dentatura. D’altronde ci hanno sempre detto che siamo due gocce d’acqua. Indossa una maglietta bianca slisata dal tempo e un paio di pantaloni corti blu. Mi dà una pacca sulle spalle mettendomi il braccio intorno al collo: “Ciao Luca, trovato traffico?”. “Non tanto, a parte un trattore che andava a dieci all’ora”. “Ah ah!” esplode di gusto in una sonora risata musicale, mentre io comincio a rilassarmi per la prima volta. Mio padre è l’opposto di mia madre. Spirito allegro, sempre pronto alla battuta, è inconfondibile con quegli occhi che ispirano simpatia. Ormai porta i capelli bianchi pettinati con la riga sulla sinistra, ma senza squallidi riporti. Ha una pancia pronunciata che si nota ancora di più con questa maglietta bianca; probabilmente è stata la birra ingurgitata in gioventù che l’ha fatta diventare così. E visto che anch’io sono un forte bevitore come lui, penso che verrà anche a me. Specifichiamo: io e mio padre non siamo alcolizzati, semplicemente ci piace il buon vino e il liquore, ma senza troppi eccessi. Solo per stare tra amici e per passare qualche ora in compagnia. Mia madre al contrario è alta e magra. Porta grandi occhiali tondi e capelli cotonati color castano chiaro. L’ho sempre vista così; da quando sono nato credo non sia mai cambiata. Ha un carattere austero ma socievole, sempre pronta ad analizzare tutto quello che gli passa vicino, e a dare il suo parere di ‘donnachesatutto’. Con me poi è una cosa impressionante. Come ho detto prima crede che io sia ancora un bambino, completamente incapace di prendere delle decisioni e che ha ancora bisogno della sua protezione. Ovviamente questo atteggiamento mi fa arrabbiare come una bestia, ma ho imparato a non farci caso. In fondo il suo essere iper protettiva sta a significare che mi vuole un mondo di bene, perciò ho cominciato a convivere con i suoi atteggiamenti di madre. 39 Meno male che mio padre mi dà una mano ad evitarli facendomi passare l’incazzatura! Come adesso ad esempio, che mi prende sottobraccio bisbigliandomi nell’orecchio: “Tua madre ti ha già stressato, vero?” chiede fra i denti mentre la guarda con un sorriso finto, per nascondere quello che sta dicendo. “E già” rispondo io, e continuando il nostro atteggiamento cospiratore gli passiamo di fianco, mentre lei sospira rassegnata. Sa benissimo che non potrà mai far parte della complicità che c’è fra me e mio padre, ma in fondo le sta bene così. Andiamo tutti e tre in cucina e brindiamo al mio ritorno con un semplice bicchiere d’acqua. D’altronde non c’è molto da festeggiare; con loro mi sono visto solo settimana scorsa a Milano, dove mi hanno raggiunto per aiutarmi a portare qualche valigia a Lassina (la Smart è piccola e non ci sarebbe stato nulla). Sono stati da me un paio di giorni; la casa sul naviglio è grande e ci sono diversi posti letto. Non è la prima volta che miei genitori alloggiano da me; spesso lo fanno durante l’anno. Per loro è come prendersi una piccola vacanza, e visto che io non mi muovo mai dalla metropoli, l’unico modo che hanno per vedermi è raggiungermi. Seduto al tavolo della cucina chiedo: “Questo paese sembra ancora più morto del solito, non lo ricordavo così”. “Perché?” risponde mia madre mentre lava alcune posate. “Non ho visto in giro nessuno. Quando sono arrivato in piazza era tutto deserto”. “Per forza”dice mio padre mentre sorseggia del vino bianco allungato con acqua, “Saranno tutti al mercato”. “Al mercato?”. “Certo Luca, non ti ricordi che martedì c’è il mercato?” ribatte mamma. E’ vero, ha ragione! Me ne ero completamente dimenticato. In questo giorno il paese si svuota per andare a fare spese nel grande circo che si presenta una volta alla settimana. 40 Lo chiamo circo perché sembra di esserci dentro; tutti i venditori diventano animali impazziti che gridano continuamente per invitarti a comprare qualcosa. Lungo via Dante, dove si svolge il mercato, centinaia di casalinghe affollano i baracchini dei vestiti e dei cibi pronti, facendo aumentare ancora di più la confusione. Da come lo ricordo c’è veramente tutto il paese, ecco perché non ho trovato in giro nessuno. “Dovresti andarci anche tu” dice mia madre. “E perché?”. “Per ufficializzare il tuo ritorno a casa. Saluteresti tutti i conoscenti in una volta sola, così ti leveresti il pensiero una volta per tutte”. “Ma che stai dicendo?”. “Tua madre ha ragione”. “Dai pà, non ti ci mettere anche tu!”. “Pensaci bene Luca; la mamma ha detto a tutti che sei tornato, tanto vale accelerare i tempi. E poi renditi conto che ora non sei un ragazzo qualunque, sei un personaggio dello spettacolo. Anche chi non ti conosce vorrà parlare con te. Togliti questo peso subito e vai al mercato”. “Oh madonna! Non ci pensare neanche” dico in un tono che non ammette repliche. “Fai come vuoi” ribatte mio padre indifferente, mentre torna a sorseggiare il vino. Mia madre invece ha assunto il classico sguardo che sta a significare: ‘E’ la cosa giusta da fare’. Ed io so che hanno ragione. E’ inutile stare a pensarci, farò come dicono loro. Anche perché se non andassi mia madre mi terrebbe il muso tutto il giorno. E poi come si dice, via il dente via il dolore, no? “E va bene, avete vinto!” dico alzandomi dalla sedia, mentre dalle labbra di mio padre spunta un piccolo sorriso soddisfatto. Il mercato comunale 41 Prendo il cellulare e dopo dieci minuti sono sulla strada che costeggia il mercato, ovviamente a piedi. Sarebbe inutile prendere la macchina, Lassina si attraversa in un batter d’occhio. Giro l’angolo e vedo le prime bancarelle spuntare dietro gli alberi; naturalmente è pieno di persone, che come formiche operose fanno scorta di cibo per tutta la settimana. Accidenti quanta gente! Mi sa che si sono aggiunte anche le frazioni e i comuni confinanti. D’altronde non si può biasimarli; in una giornata come questa sarebbe un delitto stare in casa. Speriamo di non incontrare troppe vecchiette rompiscatole! Mi avvicino a passo lento all’ingresso della via e subito avverto un odore che non sentivo da anni: patatine e pollo fritto. Il primo baracchino è una rosticceria ambulante, sono anni che si posiziona in questo punto, e a quanto pare non ha nessuna intenzione di cambiare. Per un attimo torno indietro nel tempo… Ricordo quando venivo in bicicletta con gli amici a comprare le patatine; costavano duecento lire e il signor Ernesto ce ne dava un sacchetto pieno fino ai bordi. Erano tantissime! Ricordo che le divoravo in un istante, con l’ovvia conseguenza che a pranzo non avevo più fame. Quante ne ho sentite da mia madre: ‘Perché non mangi? Hai comprato ancora le patatine? La prossima volta non ti dò più la paghetta’. Ma naturalmente me la dava lo stesso ed io tornavo ogni volta pieno da scoppiare. Giungo davanti alla bancarella e noto con piacere che non c’è nessun volto conosciuto. Cammino lentamente posando lo sguardo su Ernesto, che serve ancora i polli con la convinzione di sempre. All’improvviso mi guarda. Attimi di perplessità nei suoi occhi, dopodichè esplode in un poderoso saluto con la sua voce baritonale: “Guarda un po’ chi si rivede, Luca Nudo! Guardate signore, è tornato a casa il nostro cittadino più famoso!” dice rivolgendosi alle vecchiette davanti al bancone. “Ciao Ernesto come va?” dico a mezza voce. Non faccio in tempo a finire la frase che due donnine di una certa età si avvicinano sorridenti. Immediatamente le riconosco: sono Angelica e Italia, amiche di famiglia di vecchia data. Mi sa che è cominciata la 42 sagra dei saluti. Rassegnato le stringo in un abbraccio, mentre queste attaccano a parlare in dialetto. Dopo una decina di minuti riesco a staccarmi e a proseguire nel mio giro. Sono consapevole che incontrerò altre persone, perciò tengo duro e cammino a testa alta. Eccomi vicino al camioncino di ‘Tutto per la sarta’. Subito la proprietaria mi riconosce mentre altri conoscenti mi vengono incontro, chiedendomi informazioni sul mio ritorna a casa. Riesco anche a liberarmi di loro, ma non delle stoffe che mi piazza in mano la proprietaria dicendo: “Sono per tua madre, le ha già pagate e mi ha detto di darle a te, visto che saresti passato a salutare”. Ma pensa! Mamma sapeva già che sarei andato al mercato, e ha fatto la spesa scaricando su di me la responsabilità di portare a casa la roba! Questa me la paga. Giuro, me la paga. Passo oltre e incrocio il baracchino: ‘Gianni tutto per la casa’. La storia si ripete: nuove persone da salutare e uno spremi-agrumi come dono. “E’ per tua madre” e due “Lo ha già pagato e mi ha detto di darlo a te, visto che saresti passato a salutare”. La rabbia monta sempre di più. Altra bancarella (Il pane di Arturo) e altro regalo: un sacchetto di francesine fresche di forno. Nuovi conoscenti da intrattenere. ‘Alla moda con Rita’ e jeans da portare via. ‘Tutto per il bagno’ e l’Idraulico liquido sottobraccio. ‘I fiori di Antonia’ con piantina in un sacchetto. ‘Intimi di Gertrude’ e mutande per mio padre. Stavolta mamma l’ammazzo! Carico come un mulo attraverso tutto il mercato circondato da persone che mi vogliono salutare. Ogni dieci metri incontro qualcuno; non ricordavo di conoscere così tanta gente! Devo ammettere però che la maggior parte sono amici di mia madre, non miei, anche se da piccolo li ho frequentati per un po’ di tempo. 43 Esausto arrivo alla fine della via con la spesa che mi sta per cadere; non ce la faccio più! Eppure comincio a sentire un odore pungente nelle narici. Le bancarelle dovrebbero essere finite; mi chiedo cosa possa esserci ancora. All’improvviso ricordo cosa manca: il furgoncino del pesce! Il punto più puzzolente del mercato! E come se non bastasse odio il pesce crudo. Prima che possano accorgersi della mia presenza faccio dietrofront per tornare sui miei passi, ma il pescivendolo è più veloce: “Luca Nudo! Sei proprio tu? Da quanto non ci si vede!” . …accidenti… “Vieni ti devo dare una cosa” . …no, ti prego no… “ E’ un branzino per tua madre” . …che schifo! “Lo ha già pagato e mi ha detto di darlo a te, visto che saresti passato a salutare” . …lo sapevo, cazzo! Accetto con riluttanza sfoderando un sorriso che ormai non ha più niente di allegro. Prendo il sacchetto pieno di roba umida e molliccia e me ne vado. Stavolta mia madre me la paga davvero! Furibondo attraverso di nuovo tutto il mercato, maledicendo il momento in cui ho deciso di venirci. Non riesco a tenere tutta la roba, ogni tanto perdo qualcosa: lo spremi-agrumi mi è caduto un paio di volte, ma per ‘sfortuna’ non si è rotto. Sarebbe stata la giusta penitenza per mamma. Cammino pensando incessantemente al modo per vendicarmi. Giungo in prossimità della rosticceria di Ernesto e mi viene un’idea: “Ernesto, mi daresti un sacchetto di patatine fritte?”. “Certo Luca, sono già pronte” dice mentre con la paletta di alluminio comincia a riempire il sacchetto di carta. Appoggio la spesa sul marciapiede e tiro fuori il portafoglio; adesso le divoro come ai vecchi tempi, così faccio impazzire mia madre saltando il pranzo. “Abbonda Ernesto”. 44 “Te lo riempio fino all’orlo”. Mi porge un sacchetto di patatine così pieno che traboccano dai lati; sono talmente tante che mi chiedo se riuscirò a finirle. “Quant’è?”. “Due euro”. “Due euro?!?” ribatto stupito “Ma una volta costavano duecento lire!”. “Sì, vent’anni fa forse”. “Hai ragione. Arrivederci Ernesto” dico mentre mi allontano per raggiungere il marciapiede. Mi siedo e guardo il sacchetto stracolmo. Vendetta, tremenda vendetta! Ne addento un paio con tanta foga che quasi mi azzanno un dito. Stavolta mia madre me la paga! Torno a casa talmente sazio che le patatine mi arrivano all’epiglottide. Entro in casa e appoggio la spesa sulla sedia con fare indifferente. La tavola è già apparecchiata: “Hai preso tutto?” chiede mamma. “Se intendi la roba che avevi già comprato senza dirmi niente, sì”. “Ma che bravo, sono proprio contenta che tu sia tornato”. Papà mi guarda ma non dice nulla. In silenzio attende la mia risposta che arriva immediatamente: “A proposito, guarda che non ho fame, mangerò stasera” dico mentre vado in camera mia. Mia madre mi guarda con occhi di ghiaccio: “Come non hai fame? Non avrai mangiato le patatine?”. Papà comincia a sorridere. “Certo, ne ho mangiate un sacchetto pieno!” esclamo mentre la vendetta si compie, “E adesso prova a dire che non mi dai la paghetta!”. Mio padre esplode in una fragorosa risata, mentre mi allontano in un tripudio di applausi immaginari. Ahhh, che soddisfazione! Ora sono finalmente contento di essere tornato a casa. 45 Quel diavolo di Renzo Metà pomeriggio. E’ venuto il momento di andare a trovare gente che abbia meno di sessantacinque anni. In poche parole gli amici. Al mercato stamattina ho salutato tutti i conoscenti in pensione, ora passiamo a quelli che lavorano ancora, e che a quest’ora dovrebbero essere tornati a casa. Mi trovo sotto casa di Renzo, uno dei miei amici più vecchi. La sua abitazione si trova dall’altra parte di Lassina, vicino alla stazione. Per arrivarci ho dovuto attraversare solo strade sterrate, coprendo completamente la Smart di polvere. Ma la campagna è così; se non riempi la macchina di fango la sporchi di letame, quindi l’unica soluzione è mettersi l’anima in pace. Renzo abita da solo ormai da parecchio tempo. Se ne è andato di casa quando aveva ventidue anni, e ha trovato lavoro in una ditta di traslochi. Anche lui ha sentito il bisogno di cambiare aria, ma al contrario di me è rimasto qui, mentre io sono scappato a Milano. Ci conosciamo dalle elementari, siamo praticamente cresciuti insieme. Ho combinato più cazzate con lui che Stanlio e Ollio in tutti i loro film. Quando eravamo più giovani Lassina era il nostro campo di battaglia: già allora ci sentivamo come topi chiusi in gabbia, e per sfogarci ne combinavamo di tutti i colori. E’ da parecchio che non lo vedo, chissà se ha sempre la solita faccia da schiaffi. Al telefono ci sentiamo spesso, ma da molto non ci incontriamo. Giunto davanti a casa sua guardo dentro il cortile e vedo parcheggiata la sua moto, un CBR 900 blu scuro. Renzo deve essere in casa; nelle stagioni calde esce solo con la sua inseparabile motocicletta, non prende mai la macchina. Suono il campanello due volte di seguito, esattamente come facevo quando venivo a trovarlo in piena notte per farmi riconoscere. Alcuni secondi dopo sento una voce metallica al citofono: “Chi è?”. 46 “Beh, non mi chiedi la parola d’ordine?”. Attimi di silenzio… Anni addietro prima di aprirmi pretendeva che gli dicessi tre parole magiche che spalancavano il cancelletto. Attendo la sua reazione: “Luca?!?” . “No, Fred Flinston”. “Cazzo, ma sei proprio tu! Che ci fai a casa?”. “Ti avevo detto che sarei tornato”. “Ma non quando! Muoviti, sali”. “Arrivo”. “Anzi” si zittisce un attimo “Prima mi devi dire la parola d’ordine”. Lascio scorrere delle parole che da troppo tempo non pronunciavo. Un brivido percorre la mia pelle… “Pronti, partenza, via”. Clang! Si apre il cancelletto. Faccio le scale due alla volta per arrivare nel suo appartamento al secondo piano. Ogni gradino è un ricordo; sono così tante le emozioni in questo momento da farmi stringere il cuore in una leggera morsa di malinconia. Rivedere Renzo mi fa tornare alla mente quello che di buono ho fatto a Lassina, e che è valso la pena di essere vissuto. Raggiungo la porta di casa sua mentre si sta aprendo, ed una figura conosciuta esce in corridoio ad accogliermi: “Ciao Pirla!” dice Renzo sfoderando un magnifico sorriso ed allargando le braccia. “Come stai?” dico mentre ci stringiamo in un abbraccio. Immediatamente mi fa entrare. Il suo appartamento è piccolo e non è diverso rispetto a qualche anno fa. E’ un bilocale mansardato, tutto concentrato in sessanta metri quadrati. Osservo Renzo in mezzo alla stanza e mi accorgo che neppure lui è cambiato di molto: porta ancora i capelli lunghi neri legati dietro la testa in una coda di cavallo, pizzetto a punta lungo un paio di centimetri e orecchino con un teschio sul lobo sinistro. La prima impressione che dà ad uno sconosciuto non è certo quella di 47 essere un bravo ragazzo; la somiglianza con Messer Belzebù (il diavolo) è davvero impressionante. Eppure Renzo è buono come il pane. Sotto l’aspetto demoniaco che gli piace far trasparire si nasconde un animo buono e giocoso. Per capirlo basta osservare l’arredamento di casa sua; sotto il televisore troneggia ancora la Play Station, poggiata su un mobiletto di legno costruito apposta per lei. Son sicuro che Renzo potrebbe fare a meno perfino del frigorifero, ma non della Consoll; da quella non riuscirebbe a separarsi. Qualche tempo fa passava notti intere davanti alla televisione a giocare, dimenticandosi perfino di mangiare. Non so se sia ancora così appassionato, ma non mi stupirei se lo fosse. Di fianco al divano c’è appoggiata la chitarra. Anche lui suona, e si diverte a storpiare i testi delle canzoni più famose; un po’ come fanno i Gem Boy, solo che Renzo ha cominciato quando aveva nove anni. Nella libreria vicino alla porta del bagno ci sono i libri di Italo Calvino e di Paulo Coelho, posizionati esattamente come l’ultima volta che li ho visti. I suoi due scrittori preferiti occupano un posto di primo piano nella libreria. Se è vero che il carattere di una persona lo si capisce dai libri che legge, Renzo può essere definito semplice e filosofico allo stesso tempo. Apre il frigo per prendere due birre mentre chiede: “Quando sei arrivato?”. “Stamattina, strano che mia madre non te l’abbia detto”. “E’ da parecchio che non la vedo, come sta?” dice mentre si accomoda su una sedia. Io mi svacco sul divano e apro la lattina di birra che mi ha offerto. “Bene, è sempre la solita rompipalle, non cambierà mai”. “Perché, cosa ha fatto?”. “Stamattina mi ha costretto ad andare al mercato per salutare tutti i conoscenti”. “Noo! Che palle!”. “E gli ho fatto pure la spesa”. “Wow, che bel ritorno! A proposito, hai saputo di Michele?”. “No, cosa è successo, non lo sento da una vita”. “Ha messo in cinta Veronica, tra tre mesi si sposano”. 48 “Cosa?!?”. “Pazzesco”. “Dai raccontami tutto, chissà quante me ne sono perse in questi anni” dico, mentre Renzo attacca con i pettegolezzi del paese. Mi sento come un vecchio dal parrucchiere, ma la curiosità è così forte che ascolto ogni parola di Renzo ad orecchie ben aperte. Ridiamo, scherziamo, ed apriamo altre lattine di birra mente lui snocciola novità una dietro l’altra. Accidenti quante cose sono cambiate! Alcuni conoscenti che reputavo ragazzini ora hanno già una famiglia, mentre altri sono diventati lavoratori indefessi e portano a casa stipendi da capogiro. Ma naturalmente la maggior parte dei nostri amici sono rimasti contadini ed operai, un po’ come Renzo, che non muove un dito fuori da Lassina. “E invece tu cosa mi racconti?” chiede lui cambiando discorso ed accendendosi una sigaretta. “Lavoro sempre in radio, spero di rimanerci il più possibile”. “Non intendevo questo, so già cosa fai per vivere” commenta con malizia. “Allora cosa vuoi sapere?” ribatto un po’ stupito. “E dai…”. “Cosa?” chiedo con voce indecisa. Renzo si alza e si avvicina alla porta del bagno. La spalanca con un gesto volutamente plateale mostrandomi il calendario appeso a un chiodo: “Voglio sapere cosa fai con questa, vecchio porco!”. Oh santo cielo! Ilaria appesa alla porta dondola nel suo calendario mostrando completamente il seno. No! Anche Renzo no!! “Porca miseria” dico tra il serio e il faceto “Non puoi guardare le tette della mia ragazza!”. “Se è per questo non sono solo io che le guardo, te lo assicuro!”. “Bella gnocca, eh?” dico con un sorriso ammiccante. “Da paura!” risponde mentre si mette a sfogliare gli altri mesi. 49 Racconto a Renzo ogni cosa di me e Ilaria: come ci siamo conosciuti, quante volte ci sentiamo al giorno e perfino cosa facciamo a letto! A lui non potrei nascondere nulla. “Che culo che hai! Come ha fatto una ragazza così a farsi uno come te non me lo riesco a spiegare”. “Neanch’io” rispondo sinceramente. “Ma per un po’ di tempo non la vedrai…”. “Esatto”. “Ti prego, dimmi che qualche volta verrà a trovarti in questo sputo di paese”. “Lei ha detto di sì, però non credo che lo farà. Ma a te cosa cambia? Di sicuro se Francesca ti vedrà sbavare su Ilaria te la farà pagare. A proposito, come va con lei?”. “Con Francesca? Bene, mi sopporta ormai da sei anni”. “Accidenti, non è ora di mettere la testa a posto?”. “Come?!?”. “Non è ora di crescere?” dico sghignazzando. Renzo è come me, ha la stessa paura di diventare grande, ed in questo momento lo sto stuzzicando per bene. “Ma vaffanculo va!” sbotta ridendo “Proprio da te devo sentire simili discorsi. Raggiungerò la maturità solo quando la raggiungerai anche tu, cioè mai!”. “Ah ah! Bravo, così mi piaci. Anche se non la racconti giusta; qualche tempo fa mi hai detto che stavate comprando casa”. “E’ vero, lo ammetto, sono colpevole. Ma verrà pronta solo tra un anno. E poi chi l’ha detto che quando vivrò con Francesca diventerò un serio borghese? A lei piaccio così come sono, e farò di tutto per rimanere tale”. “Eh già, Francesca ormai si è rassegnata…”. “Bastardo” dice con un sorriso prima di finire la birra. “Per quanto resterai a Lassina?” chiede mentre sgranocchia un grissino. “Fino a Novembre. Sono qui da neppure un giorno ma sto già impazzendo”. “Va beh, ma almeno te ne puoi andare quando vuoi, hai anche una vita a Milano”. 50 “Credi che mi piaccia restare tutto questo tempo in mezzo alla campagna, anzi, in mezzo al nulla assoluto?”. “Hai ragione, ma nessuno ti ha obbligato. Guarda me, sono a casa anch’io, potrei fare quello che voglio ma non so dove andare” ribatte Renzo. “Come sei a casa anche tu?” domando incuriosito. “Non sto lavorando, non lo sapevi?”. Che grande sorpresa! “Assolutamente no. Ti sei licenziato?”. “Ma che dici?! Sono in infortunio”. “Cosa hai fatto?”. “Ho avuto uno strappo alla schiena il mese scorso. Stavo sollevando un armadio per portarlo al terzo piano di un edificio, quando sono rimasto bloccato. Mi hanno portato al pronto soccorso dove mi hanno riempito di Voltaren”. “Porca puttana”. “Già. Sono stato una notte in ospedale, poi mi hanno rilasciato con un certificato che richiedeva un mese di riposo assoluto”. “Quindi non stai facendo niente…”. “Aspetta, lasciami finire di parlare. Il medico l’altro giorno mi ha visitato e mi ha prescritto ancora riposo; sai per quanto tempo stavolta?”. “Non oso immaginare”. “Cinque mesi”. “Cosaaa!?!”. “Hai capito bene, cinque mesi. Fino ad ottobre sono in vacanza forzata. Il dottore ha detto che con la schiena non si scherza, quindi non posso assolutamente lavorare. Il mestiere che faccio diventa impossibile da praticare”. “Ma tu come ti senti?”. “Bene, non ho un cazzo”. “Bastardo, lo sapevo! Ti farai questi giorni pagato e a spese della ditta”. “Ovviamente” esclama Renzo con un sorriso beffardo 51 “Sindacalista ruffiano che non sei altro”. “Hey, vacci piano con le parole; ruffiano sì, ma sindacalista no!” dice ridendo. “Aspetta un momento” ribatto facendo per la prima volta il quadro della situazione, “Vuol dire che entrambi siamo in vacanza fino ad autunno, senza impegni di nessun genere?”. “Bravo, ci sei arrivato finalmente” dice ironico. Cavolo, io e Renzo insieme e liberi come tanti anni fa! Sarà dagli anni del liceo che non succede una cosa del genere. Le ultime vacanze con lui le ho fatte in quarta superiore, quando siamo andati a Ibiza con altri due amici. Come ci siamo divertiti in quel periodo; eravamo dinamite allo stato puro! “Ci pensi Luca? Tutto come ai vecchi tempi. Dovremo organizzarci, trovare qualcosa da fare, oppure intraprendere un viaggio” . “Un viaggio? E dove?”. “Ma che ti importa? Tanto non avremo un cazzo da fare fino al prossimo autunno”. “Oh madonna!” esclamo alzandomi dal divano “Questa è proprio da raccontare”. In mezzo alla stanza io e Renzo ci scambiamo un cinque che ha tutto il sapore di un’amicizia ritrovata. Lo guardo sorridere sotto il pizzetto satanico, mentre penso che sarà bello fare ancora coppia con lui. “Chissà cosa dirà Massimo quando lo verrà a sapere” commento ad alta voce. “Morirà dall’invidia”. “Non vedo l’ora di dirglielo” ribatto mentre immagino la sua faccia rossa di rabbia. Quel genio di Massi Appena suoniamo il campanello un cane comincia ad abbaiare in modo forsennato. E’ da parecchio tempo che non vedo Bubu, l’alano di Massimo. 52 Galoppando come un cavallo si precipita verso di noi, che siamo vicini al cancelletto in mezzo alla strada. Se non ci fosse il recinto verremmo travolti dalla sua corsa! Porca miseria quanto è grande; è semplicemente spaventoso! Nero, muscoloso, con un muso che scopre denti grandi come i miei pollici; in piedi potrebbe mettermi tranquillamente le zampe sulle spalle. “Oh cazzo!!” esclama Renzo scappando a gambe levate, quando Bubu è ormai giunto a cinque metri da noi. Renzo corre veloce come il vento, Bubu ci viene incontro, mentre io resto fermo ad aspettare l’inevitabile… SBRAAANG!!! Bubu si è schiantato contro il cancelletto chiuso come fa tutte le volte. Lo osservo rialzarsi con la coda tra le gambe, guaendo per il dolore. Sarà anche gigantesco, ma è tanto grosso quanto coglione. Renzo però non lo ha ancora capito ed ogni volta si fa prendere dal panico. D’altronde ha sempre ammesso di avere paura dei cani, quindi non posso certo biasimarlo se viene messo in soggezione da Bubu, che assomiglia più a un rinoceronte. “Ciao Bubu” dico con rassegnazione mentre apro il cancelletto, “Come stai?”. Gli accarezzo la testa con la mano mentre la belva inizia a scodinzolare. In fondo al giardino vedo giungere una figura conosciuta; è Massimo a petto nudo con in mano un innaffiatoio colmo d’acqua. Appena mi riconosce esplode subito in un grande sorriso: “Luca! Grandissimo bastardo!Ce ne hai messo di tempo a tornare da queste parti!”. “Volevo rivedere la tua brutta faccia!” ribatto mentre ci stringiamo in un abbraccio. Massimo è un altro dei miei più grandi amici. Lo conosco da meno tempo di Renzo, ma il nostro rapporto è altrettanto solido. Eravamo compagni di classe alle medie; Massimo non abita a Lassina. In questo momento ci troviamo ad Adea, un paese confinante fatto di villette con enormi giardini. 53 Massimo ha ventinove anni, è alto sul metro e ottanta con capelli tagliati cortissimi. Inoltre ha un fisico imponente, modellato da anni di palestra e di combattimenti a base di boxe tailandese. A petto nudo come si trova adesso fa impressione; se dovesse tirarmi un pugno mi staccherebbe nettamente la testa dal collo. Assomiglia molto al suo cane; infatti solo bicipiti del genere riuscirebbero a portare in giro una bestia come Bubu. “Ma non doveva venire anche Renzo?” mi chiede. “E’ rimasto fuori, ha paura di Bubu”. “Lo immaginavo… Vieni Renzo, lo tengo fermo!!” grida Massimo in direzione della strada, ed aggiunge: “Ma come si fa ad avere paura di un cucciolone così? Non farebbe male a una mosca”. “Lo so che è buono” ribatto “Ma rimane sempre troppo grande per non incutere soggezione. Perché poi l’hai chiamato con un nome così stupido? Ci voleva un nome più altisonante per questo mostro a quattro zampe!”. “Ma come? Non vedi che assomiglia un casino a Bubu, l’orsetto amico di Yoghi nei cartoni animati?” dice prendendo il muso del cane e facendomelo vedere. “Guarda che tenerone! Guarda guarda guarda…” continua mentre strofina il suo naso su quello di Bubu, nero e lucido di bava. Osservo Massimo in questo atteggiamento di affetto e capisco perché il cane è così coglione. E’ stato contagiato dal padrone. Eppure Massimo è una vera forza della natura. Dotato di un fisico prepotente possiede anche un’intelligenza non comune, al contrario di quello che si potrebbe credere osservando i muscoli. Chi è carente di materia grigia di solito tende a sviluppare il corpo, pareggiando i conti con quello che la natura gli ha fornito. Chiaramente non è sempre così, ma ho conosciuto molti amici di Massimo appassionati di Body Building, e non posso certo dire di avere incontrato dei geni. Invece Massi è un genio. Anzi, per essere più precisi, uno scienziato. Si è laureato a tempo di record in ingegneria, ed ha proseguito gli studi in un ramo di cui è sempre stato appassionato: la cibernetica. 54 Non so nemmeno io cosa voglia dire (mi sembra qualcosa che studia i robot), però è un bel po’ che fa ricerche su questo argomento. A venticinque anni è partito volontario nell’esercito per lavorare in un centro ricerche cibernetiche, e da poco è tornato a casa. Anzi, credevo fosse ancora nei laboratori a studiare (che guarda caso si trovano a Milano) prima che Renzo mi avvertisse del suo ritorno. Io e Massimo abitando nella stessa metropoli ci vediamo spesso durante l’anno, magari anche solo per un pranzo a mezzogiorno; perciò mi fa una strana impressione incontrarlo qui, nei posti dove abbiamo passato l’adolescenza. Ho l’impressione di tornare indietro nel tempo. Il ritorno a Lassina mi sta disorientando, ma devo ammettere che sono belle sensazioni. Massi ci fa attraversare l’enorme giardino facendoci entrare in casa. Ci sediamo intorno al tavolo del soggiorno davanti a tre Coca Cola. Senza lasciarmi neppure il tempo di aprire la bocca Massi attacca a parlare di Ilaria, Renzo ovviamente gli dà corda ed io torno a raccontare di lei e della mia vita da uomo di ‘spettacolo’. Di solito quando la gente chiede del mio lavoro, porta sempre una sorta di ‘rispetto’ nei miei confronti; non so come spiegare, sembra che siano intimiditi da quello che faccio, e da tutte le responsabilità che devo sostenere. Parlano piano, soppesano ogni mia parola, e non mancano di aggiungere nelle frasi diversi ‘ohhh’ - ‘davverooo?’ ed esclamazioni di stupore varie. Diciamo che mi considerano ad un livello superiore, un gradino sopra la vita normale, pensando erroneamente che io possieda qualche rara qualità. Renzo e Massi non fanno niente di tutto questo. Li osservo ridere di gusto ai miei racconti, prendendomi in giro spietatamente, senza dare peso a quello che sono diventato. Ecco che si danno una sonora pacca sulla spalla sganasciandosi per una battuta ben riuscita, mentre io rido con loro. Questo è un altro dei momenti in cui sono contento di essere tornato a casa. 55 Massimo e Renzo sono talmente opposti fisicamente quanto uguali caratterialmente. Sono rimasti due eterni bambini, con una voglia sconfinata di divertirsi sempre e comunque, nonostante l’età non sia più quella della spensieratezza. Con me facciamo un trio di Peter Pan che non ha nessuna intenzione di lasciare l’Isola che non c’è. Massi oltretutto è un paradosso clamoroso; la sua mente matematica e razionale è in netto contrasto con la personalità spensierata che lascia trasparire quando è con noi. Anche lui faceva parte della compagnia che fino a pochi anni fa metteva a soqquadro Lassina, seminando l’ira e il panico dei tranquilli paesani. Insieme eravamo pura dinamite! Il carburo E proprio di esplosivi cominciamo a parlare dopo circa mezz’ora di conversazione, quando cioè iniziamo a ricordare le cazzate che facevamo un tempo. “…e ti ricordi quando abbiamo distrutto la cascina dei Visconti col carburo?” esclama Massi scoppiando a ridere. “Porca miseria se mi ricordo” continua Renzo “ Quella è stata una delle poche volte dove mio padre si è incazzato davvero!”. “E non solo tuo padre” insisto io, “Tutto il paese voleva la nostra pelle”. Meno male che eravamo ancora piccoli e la cascina doveva essere smantellata comunque, altrimenti non so come sarebbe andata a finire. Avevamo quattordici anni ed era il nostro periodo pirotecnico: ci piaceva tutto ciò che esplodeva e faceva rumore. Petardi, miccette, raudi e composti di polverine varie che mischiavamo per ottenere un effetto più assordante al momento dell’esplosione. Quella volta eravamo andati nei campi a sud di Lassina, dove c’erano i terreni Visconti; in mezzo ad un grande prato verde sorgeva la cascina, non più abitata dai tempi della seconda guerra mondiale. I ragazzini come noi ci andavano spesso a giocare, 56 perché era un posto tranquillo e lontano dai noiosi adulti che vietavano tutto. Ricordo che io Renzo e Massi avevamo portato con noi diversi sacchetti contenenti le magiche polverine esplosive e una cassetta di legno. Massimo, che già allora aveva una mente più matematica della nostra, ci aveva spiegato che mischiando del carbone con altre sostanze (di cui non ricordo il nome), si poteva ottenere un botto molto più potente dei soliti petardi. Renzo ed io ovviamente non ci siamo fatti pregare, e siamo corsi con lui nell’unico posto in cui potevamo fare l’esperimento del tutto indisturbati; la cascina Visconti. Giunti alla grande casa di legno e pietre abbiamo appoggiato a terra la roba e mentre Massi preparava la miscela, noi abbiamo scavato un buco nel terreno. Il nostro amico ci aveva spiegato che in questo modo l’effetto sarebbe stato più spettacolare, perché la terra sarebbe esplosa per aria come un vulcano in eruzione. Mamma mia che figata! Non vedevamo l’ora di mettere in pratica la nostra idea. Ricordo i sorrisi divertiti sulle nostre labbra, consapevoli che stavamo per vivere un’altra incredibile avventura. Per farla breve ci siamo allontanati di parecchi metri dalla cascina, dopo avere sepolto nella buca la cassetta contenente l’esplosivo. Abbiamo lasciato dietro di noi una scia di benzina che giungeva fino all’interno della cassetta di legno. La benzina l’avevo rubata a mio padre, che la teneva in una tanica per fare il pieno al Garelli. Ci siamo sdraiati tutti e tre sul prato e dopo qualche secondo Renzo ha tirato fuori una scatola di Minerva; ne ha acceso uno e ci ha guardato con aria cospiratrice. Subito io e Massi abbiamo pronunciato all’unisono le parole che Renzo si aspettava di sentire: “Pronti, partenza… via!” e lo ha lanciato sulla benzina. Immediatamente questa ha preso fuoco correndo velocemente verso la buca. “Adesso sentirete che botto” ci ha detto Massi tutto contento. 57 Ad un tratto abbiamo visto la fiamma sparire sotto terra, come spenta da dei pompieri invisibili. Eppure sono passati numerosi secondi senza che accadesse nulla. Ricordo di essermi girato verso Massimo e di avergli detto con voce perplessa: “Beh? Non scoppia?”. Neppure il tempo di finire la frase e un botto assurdo ci ha stordito i timpani. La terra è esplosa verso l’alto di una quindicina di metri. Fuoco e detriti hanno coperto una parte di cielo davanti a noi. Il rumore è stato così forte che dallo spavento tutti e tre abbiamo smesso di respirare. Sembrava un enorme Gayser, dove al posto del vapore usciva la lava. Ricordo le prime parole che Massi è riuscito a pronunciare, completamente stordito dall’effetto che la sua creazione aveva ottenuto: “Minchia…”. Immediatamente ci siamo accorti che una parte di fuoco era riuscita ad attaccare la parete di legno della cascina. Che idioti siamo stati! Abbiamo fatto scoppiare il carburo a pochi metri dalla casa. Ma chi se lo immaginava che l’esplosione sarebbe stata così violenta?!? “Cazzo brucia tutto!” ha esclamato Renzo in preda al panico. Ci siamo precipitati vicino alla cascina per cercare di fare qualcosa, ma il fuoco aveva attaccato il tetto e non c’era nessun modo per spegnerlo. Abbiamo girato intorno alla costruzione cercando un’improbabile soluzione al disastro, consapevoli che stavolta l’avevamo proprio fatta grossa. Quando un pezzo di tetto ci è quasi caduto addosso siamo corsi via scappando come degli ossessi verso il paese: “Aiutooo!!!”. Dopo circa mezz’ora eravamo di ritorno con i vigili urbani, insieme a una folla di curiosi che si era radunata per vedere cosa era successo. Poco dopo sono arrivati anche i pompieri, ma non c’era più molto da spegnere. La cascina, fatta quasi interamente di 58 legno, era bruciata completamente lasciando al suo posto solo delle braci ardenti. Tutti i paesani ci guardavano come se fossimo pazzi assassini. Ricordo che ci hanno portato in caserma con i nostri genitori, dove ci hanno detto che non ci avrebbero messo in galera solo perché eravamo minorenni. Non mi sono mai vergognato così tanto come in quei momenti! Mi sentivo un verme. Anche se alla fine il capo dei vigili ha concluso dicendo: “Comunque vi è andata bene perché la cascina Visconti era da demolire, e ci avete fatto pure risparmiare i soldi che il comune avrebbe speso per farlo”. La sua era ovviamente una battuta per sdrammatizzare, ma io ho guardato mia madre con un’espressione che stava a significare: “Hai visto? Tutto sommato ho fatto qualcosa di buono”. Come risposta ho ottenuto un sonoro ceffone e l’obbligo di non uscire di casa per un mese. Ed ora, dopo tutto questo tempo, mi ritrovo con gli stessi amici a riderci sopra. Abbiamo circa il doppio di quegli anni e sui nostri volti sono rimasti impressi i segni del tempo; non siamo vecchi ovviamente, ma i ragazzini di allora sono scomparsi. Almeno fisicamente. Sono sicuro infatti che in fondo al nostro cuore non siamo mai cresciuti, e facciamo di tutto per restare piccoli dentro. “A proposito” esclamo all’improvviso “Mi è venuta in mente una cosa che volevo chiederti: Massi, ma che ci fai a casa?!?”. Vedo un sorriso complice nascere dalle labbra di Renzo. Massi risponde scuotendo la testa in segno di approvazione. “Beh?” chiedo incuriosito “Che c’avete voi due?”. “Sono a casa fino a Gennaio” risponde Massi. “Come fino a Gennaio?!” ribatto stupito. “Ho finito qualche settimana fa la Naia” inizia a spiegare “Come ben sai il mio non era ancora un lavoro, ma solo una ferma prolungata nell’esercito. Adesso mi hanno assunto con un regolare contratto, e sto aspettando di sapere la destinazione, che al novanta per cento sarà al centro ricerche cibernetiche di Roma. Ma fino a Gennaio devo rimanere in attesa della comunicazione; 59 la burocrazia italiana è lenta dappertutto… Comunque fino ad allora sono a casa in ferie forzate”. “Anche tu!” esclamo ad alta voce. “Sì, anche lui” continua Renzo, che a quanto pare già sapeva tutto “Quindi siamo a casa tutti e tre a fare un cazzo per sei mesi”. “Mondiale!” ribatto mentre ancora fatico a realizzare cosa sta succedendo. “Ancora insieme come ai vecchi tempi!” commenta Massi. “Questa è proprio bella!” continuo io “Noi a Lassina liberi di fare quello che vogliamo, senza impegni lavorativi o scolastici. Quando lo saprà mia madre le verrà un infarto”. “Qui bisogna brindare” dice Massi mentre si alza e va in cucina. Dopo pochi minuti al posto della Coca Cola sul tavolo ci sono tre bottiglie di birra doppio malto da un litro, bevanda decisamente più consona alla nostra personalità. Stupendo! Lassina mi sta sorprendendo. Speriamo che tutto continui in questo modo. “A proposito, quella del carburo è stata una delle poche volte dove eravamo in tre” commenta Renzo mentre sorseggia la birra. “Già” rispondo io. “Tutte le nostre cazzate le abbiamo sempre fatte in quattro” commenta Massi “Sei già andato a trovare il quarto elemento?” mi chiede in tono malizioso. “Non ancora” rispondo “Dammi il tempo!”. “Ok” ribatte Renzo con fare deciso “Allora stasera andiamo al Bar. Ci troviamo lì alle nove e mezza, va bene?”. “D’accordo…” concludo alzando la bottiglia e brindando al nostro nuovo e inaspettato incontro. Bar Lassina Macchine ferme nel grande posteggio di ghiaia. Musica ad alto volume che esce dalle finestre. Luci che illuminano la strada come se fosse giorno, e un gran ciarlare di persone all’interno della costruzione. Anche da cento 60 metri di distanza si riesce a leggere chiaramente l’insegna: ‘Bar Lassina’, l’unico locale degno di questo nome nel raggio di venti chilometri. Numerosi tavolini occupano il cortile intorno all’ingresso principale, dove decine di ragazzi sono seduti all’aperto per chiacchierare e sorseggiare qualche birra. Un piccolo laghetto poco profondo si trova a qualche metro dal locale. D’estate i tavolini vengono spostati nelle sue vicinanze, e quando fa veramente caldo si può fare anche il bagno. L’acqua è pulita e dà un’atmosfera di oasi felice al locale e a i suoi dintorni. Io Renzo e Massi ci avviciniamo all’entrata; non ricordo nemmeno l’ultima volta che sono venuto qui, è passato tanto tempo. Rivedere questo posto mi dà delle strane vibrazioni; passo dopo passo avverto un nodo allo stomaco che diventa sempre più forte. ‘Bar Lassina’ è il posto di ritrovo più importante per tutti i giovani della zona. D’estate poi si riempie talmente tanto di motorini e di macchine che sembra di essere nel bar di una spiaggia a Riccione. Riconosco immediatamente alcuni volti su delle sedie in penombra. Noto che un ragazzo di questi, con in mano un grosso boccale di birra, aguzza la vista nella mia direzione. Accanto a lui siede una ragazza; non posso sbagliarmi, si tratta di Silvia. Entrambi con un’espressione un po’ stupita esclamano ad alta voce: “Ma tu sei Luca!” si alzano in piedi e mi raggiungono con passo veloce. “Ciao Silvietta”. Saluto prima le donne, come fa un vero cavaliere. Lei mi dà due baci sulla guancia mentre il suo ragazzo commenta divertito: “Allora ci sei ancora, credevamo fossi morto”. “Tiè!” rispondo mostrandogli le corna, ma abbracciandolo subito dopo con una stretta poderosa. Silvia è stata la mia ragazza tanto tempo fa, ce la siamo proprio spassata insieme. Ricordo che ci frequentavamo ai tempi in cui la canzone di Carboni ‘Silvia lo sai’ spopolava per radio. Ce ne hanno dette di tutti i colori: la frase del ritornello ‘…lo sai che 61 Luca si buca ancora…’ l’avrò sentita un milione di volte. Anche il suo ragazzo attuale si chiama Luca. Silvia deve essere proprio masochista se si mette sempre con uomini che si chiamano così! Comunque nel giro di pochi minuti sono circondato da ragazzi che mi vogliono salutare: alcuni sono amici, altri semplici conoscenti che sono incuriositi dal mio ritorno. Ci sono proprio tutti: Jimmy, Marco, le gemelle Fumagalli, Cavallo con il suo immancabile sigaro cubano, Ronny insieme a Daniela (ora diventata sua moglie) e Francy sempre magro come un chiodo. E poi Lele, Lucia, Teo con il suo inseparabile cane Fegato (chiamato così perché alcolizzato come il padrone) e Zanzi con in mano un immenso boccale di birra. Arriva anche Francesca, la ragazza di Renzo, che mi abbraccia calorosamente: “Bentornato” dice dandomi un bacio sulla guancia. Porta lunghi riccioli castani che le cadono sulle spalle. I suoi occhi verdi sono davvero felici di vedermi. Francesca è il contrario di Renzo; calma, equilibrata e con la testa sulle spalle. Una vera donna matura insomma. Mi chiedo come sia possibile che possa stare con uno come Renzo. E’ proprio vero che gli opposti si attraggono. Ed infine giungono Sergio, Chiara, Matteo, Chicca… Stringo decine di mani nel giro di pochi minuti, mentre vedo che Renzo e Massi entrano nel locale senza di me. Riesco a liberarmi a fatica da tutti i conoscenti e mi avvio con passo veloce verso l’ingresso del locale; varco la soglia e immediatamente sento un grosso ‘Oleee!!’ pronunciato all’unisono da tutti gli allibratori del bar. Renzo, seduto su di uno sgabello davanti al bancone, ha diretto questo allegro coro di benvenuto, e immediatamente vengo circondato da nuove persone che mi vogliono salutare. Che piacere essere al centro di tutte queste attenzioni! Certo che la notorietà fa miracoli… Se fossi rimasto qui invece di emigrare a Milano chissà se avrei mai ricevuto un comitato di accoglienza come questo! Il Bar Lassina all’interno è molto grande, circa trecento metri quadrati. Le pareti sono interamente rivestite di legno, e dei cartelli stradali sono appesi dappertutto, anche sul soffitto. Ci 62 sono targhe automobilistiche dei più svariati Stati inchiodate nel legno, ed un’enorme bancone a L troneggia su tutta la zona centrale del locale. In fondo alla costruzione, divisa da due colonne in cemento, ci sono i tavoli da biliardo ed un calcetto; praticamente questi ultimi sono sempre prenotati e bisogna fare diverse ore di attesa prima di poter giocare. Tutto il salone è illuminato a giorno da delle lampade tipo Vecchio West appese al soffitto, e tre televisori sono disposti negli angoli più visibili del locale. Quando trasmettono una partita della Juve questo posto si riempie talmente tanto che si fatica persino ad entrare. Lungo il bancone ci sono dieci diversi tipi di erogatori di birra: Guinnes alla spina, Tennez, Slalom, Martins, Becks… non manca proprio niente! In un certo senso ‘Bar Lassina’ è il paese dei balocchi per la maggior parte dei ragazzi che abitano nella Brianza. Qui si può bere qualcosa di fresco in santa pace, stare insieme, giocare, e fare conoscenze in tutta tranquillità. Appena finisco di salutare gli amici, vedo una ragazza uscire dalla cucina e puntare nella mia direzione; la riconosco all’istante, è Giulia, la proprietaria del bar. E’ una mia coscritta e l’unica parola che mi viene per descriverla è ‘strepitosa’. Alta, capelli lunghi neri che le arrivano fino al sedere, fisico slanciato messo in evidenza da una camminata sicura e decisa. Indossa una maglietta aderente e dei jeans trasandati, coperti da una mantella bianca sporca di olio e salsine varie. Siccome sta lavorando in cucina è normale che sia in queste condizioni, ma Giulia riesce a essere affascinante lo stesso. Son sicuro che sarebbe in grado di eccitare un uomo anche con la giacca a vento, gli sci in spalla, e una sciarpa legata intorno al collo che le nasconde completamente la faccia. Si avvicina con un luminoso sorriso sulle labbra. I suoi occhi scuri mi guardano ridendo mentre mi abbraccia pronunciando ad alta voce il mio nome: “Luca Nudo! Allora non ti sei dimenticato degli amici?”. “No, e neppure delle amiche! Ciao Giulia, sei sempre splendida”. 63 Osservo il suo viso allegro e la pelle candida come la neve. I lineamenti sono lisci e perfetti, ma lasciano trasparire decisione e concretezza, elementi tipici del suo carattere. Giulia infatti è tanto bella quanto cazzuta. Ha sia la mentalità che il modo di fare tipico di un uomo; e d’altronde ci vogliono questi attributi per gestire un locale come ‘Bar Lassina’. Giulia con tutti i ragazzi si mette alla pari; non c’è mai stato nessuno che sia riuscito a metterle i piedi in testa. Mi dà un bacio sulla guancia, e così sento le sue labbra carnose affondare nella mia pelle. “Quando sei tornato?” mi chiede. “Stamattina”. “E hai aspettato fino ad adesso per venire qui? Bastardo!” mi tira un amichevole pugno sulla spalla. “Pensa che prima ho dovuto salutare tutte le vecchiette del paese”. “E poi sei andato da Massi e Renzo, immagino. Cos’è, la compagnia si sta riformando? Devo aspettarmi nuovi disastri a Lassina?”. “Può darsi” dico ridendo “A proposito di compagnia, stasera sta lavorando?”. Non faccio nessun nome, abbiamo capito entrambi di chi sto parlando… “Allora volete davvero riunirvi tutti e quattro come una volta?” ribatte Giulia con voce maliziosa “Si trova dietro al bancone, sta preparando i Cocktails”. Il quarto elemento “Grazie” le dico allontanandomi. Giulia mi lancia uno sguardo ambiguo che ha tutta l’aria di essere un avvertimento. Probabilmente vuole che vada con i piedi di piombo. Giro intorno al bancone e vado a sedermi su di uno sgabello libero, Renzo e Massi si avvicinano mettendosi di fianco a me. Circa alla distanza di un metro sulla mia destra, girata di spalle, 64 c’è la persona che cercavo, il quarto elemento, che sta asciugando dei bicchieri prima di metterli sullo scaffale. Renzo mi dà una pacca sulle spalle ed alza il pollice per incoraggiarmi. Massi attende che cominci a parlare. “Ciao…” pronuncio a mezza voce un po’ intimidito. La figura a cui ho rivolto il saluto si volta fissandomi con occhi neri come la notte. Rimango per un attimo disorientato. Davanti a me c’è la sorella di Giulia, anche lei proprietaria per metà del locale. Avverto un piccolo tuffo al cuore nel rivederla dopo tutto questo tempo. All’improvviso tutte le parole che mi ero preparato, tutti i discorsi che avevo pensato mi muoiono in bocca. Non riesco più a dire niente davanti allo sguardo magnetico di Claudia. Eppure lei fredda come il ghiaccio mi chiede: “Che cosa vuoi? Perché sei tornato?”. 65 6 Io di risposte non ne ho mai avute e mai ne avrò Di domande ne ho quante ne vuoi Max Pezzali Al completo “Sto bene grazie, e tu come stai?” rispondo ironicamente alla domanda di Claudia. Lei sostiene il mio sguardo chiudendosi in un silenzio pericoloso, che ha tutta l’aria di anticipare una tempesta. Guardo Claudia dalla testa ai piedi e mi accorgo che su di lei non si sono fermati i segni del tempo. Non la vedo da quasi cinque anni eppure non è cambiata di una virgola. E come sua sorella è bellissima. Fisicamente si assomigliano parecchio; anche lei è molto alta e slanciata, con tutte le curve al posto giusto. Insomma, quasi tutte… Se vogliamo fare i precisi non ha molto seno, e questo forse è l’unico difetto che possiede. Ma ha un sedere che, mamma mia, sembra un violino intagliato da Stradivari in persona! Ha i capelli neri e spettinati, che le fanno cadere delle ciocche sul viso, dandole un aspetto trasandato che la rende ancora più affascinante. Non sono lunghi, arrivano appena sopra le spalle, ma le permettono di raccoglierli in un piccolo codino dietro la nuca. Il volto è dolce e armonioso, colorato da una pelle chiara che lo rende ancora più perfetto. 66 Gli occhi sono di un nero straordinario e contrastano parecchio con la pelle candida da cui sono contornati. Il naso è piccolo e preciso. Claudia indossa una maglietta senza maniche verde, con la scritta ‘Levis’ sul petto. La “elle” e la “esse” sono leggermente tondeggianti, gonfiate dal seno che cercano di coprire. Tra la maglietta e i Jeans ci sono una decina di centimetri di pancia nuda che lascia intravedere l’ombelico, mentre i pantaloni sono allacciati così in basso da lasciare scoperto l’elastico delle mutandine. Lo sguardo che mi sta lanciando è carico di rancore e risentimento; le labbra sono chiuse in un’espressione minacciosa. Come quelle di sua sorella sono carnose (non come quelle di Angelina Jolie, s’intende, ma ci siamo vicini). Claudia, insieme a me Renzo e Massimo, fa parte del quartetto che furoreggiava per Lassina fino a qualche anno fa. Ora la banda è al completo. Temevo che non sarebbe stata contenta del mio ritorno, e le previsioni si sono rivelate esatte. Claudia Tra i membri del gruppo che formiamo, Claudia è quella che conosco da più tempo; non mi ricordo nemmeno da quanto, forse da sempre. E’ minore un anno di Giulia, quindi ha ventotto anni, gli ultimi cinque dei quali vissuti senza di me. Dico così perché ogni momento della nostra vita prima della mia partenza lo abbiamo passato insieme. Io e Claudia abbiamo frequentato le stesse scuole, asilo compreso; siamo sempre stati inseparabili. Posso dire che è la mia migliore amica, il mio migliore amico, mia sorella e mia madre contemporaneamente. Siamo stati compagni alle attività integrative tantissimi anni, e ogni lavoro che assegnavano le maestre da fare in gruppo, lo svolgevamo insieme. Ricordo quando avevamo il compito di disegnare su un grande foglio di 67 due metri quadrati, l’Italia divisa tra i Longobardi e i Bizantini. I Longobardi li dipingevo io in giallo, i Bizantini li dipingeva Claudia in verde. Alla fine della lezione eravamo dipinti noi dalla testa ai piedi! Avevamo cominciato a fare la guerra coi colori. Sembravamo delle banane che camminavano per l’aula (un po’ acerbe aggiungerei, visto che c’era anche il verde). Avevamo più o meno nove anni, ma quanto ci eravamo divertiti! Io e Claudia ci prendevamo sempre a botte, era il nostro passatempo preferito. La fisicità che c’era fra noi due non era imbarazzante, anzi. Di solito un rapporto del genere si sviluppa fra due maschi, non fra un bambino e una bambina; ma noi non ci abbiamo mai fatto caso. Scherzare e fare disastri era all’ordine del giorno. Io e lei siamo stati i primi due membri del quartetto, completato poi da Massi e Renzo, che rivoltava Lassina come un guanto. Ricordo come fosse ieri uno dei primi guai che abbiamo combinato, uno di quelli veri, di quelli grossi! C’era la festa del paese quel giorno, e noi eravamo due allegri bambini di undici anni che scorazzavano nel Parco delle Querce, assieme ad altri cento coetanei. La manifestazione annuale di Lassina si svolge per le vie del centro, con sfilate e carri costruiti dai vari rioni che ne fanno parte. Ce ne sono otto, ognuno contrassegnato da una bandiera diversa. Per questa festa tutto il paese è in fermento fin dal mese prima; i negozi restano aperti fino a mezzanotte, il comune piazza dei tavoli in mezzo alla strada Provinciale, e si improvvisano ristoranti che preparano le più svariate specialità brianzole. Vengono organizzate gare di bocce, corse coi sacchi, corse con gli asini, tiro alla fune e c’è musica dal vivo tutte le sere. La sfilata che si svolge per le vie cittadine ha come punto di arrivo il Parco delle Querce, dove ci sono altri stand e un enorme pista da ballo, in cui tutti si possono cimentare a passi di Liscio e Mazurka. Il parco si trova in collina, e ha la possibilità di ospitare migliaia di persone; infatti la festa di Lassina attira anche i cittadini di altri paesi, cosicché in quei giorni c’è una confusione tale da fare invidia ad una metropoli. 68 Di conseguenza adoro questa festa. Il caos è sempre stato l’ingrediente necessario per farmi divertire come si deve. Ricordo che quell’anno il comune aveva preso a noleggio una vettura d’altri tempi, da mettere in mostra in uno Stand in cima alla collina del parco. Era una magnifica Isotta Fraschini rossa. Le dimensioni di quell’auto erano straordinarie; era grande come tre Smart incollate fra di loro, ma con le ruote molto più grosse. La carrozzeria era tutta curve, tanto da farla sembrare la carrozza di cenerentola nel film della Disney; ovviamente noi bambini eravamo esterefatti! Io e Claudia giravamo intorno alla macchina osservandola come se avessimo davanti il paese dei balocchi. Era recintata da dei paletti di legno che impedivano di avvicinarsi, ma io e lei avevamo già escogitato un piano strategico. Appena ci fosse stato un momento di calma, e la gente intorno a noi se ne fosse andata, saremmo sgattaiolati nel recinto per salire a bordo dell’imponente vettura. Avevamo troppa voglia di vedere come era dentro! Nessuno ci avrebbe fermato. Quando io e lei ci mettevamo in testa una cosa la facevamo a tutti i costi. Ricordo che dopo qualche minuto Claudia mi ha detto con voce eccitata: “Pronti, partenza… via!” mentre entrava nel recinto correndo verso la macchina. Io non me lo sono fatto dire due volte. Abbiamo aperto la portiera e siamo entrati di soppiatto, sedendoci sugli enormi sedili in pelle marrone. Com’erano grandi! Mi sembra ancora di sentire il profumo di quella vettura, vecchio e stantio, come se giungesse da un tempo lontano. Claudia si è messa al posto di guida, con la testa che le sbucava appena dal parabrezza. Subito ha afferrato l’enorme volante facendo finta di guidare: “Brumm brumm!! Guarda come vado veloce!” mi ha detto con voce allegra. 69 “Siamo primi, yuuhuu, non farti superare!” ho esclamato di rimando. Claudia più che una bambina era un maschiaccio. Non portava i capelli come adesso, ma un po’ più corti e di colore nero come gli occhi. Il fisico non si era ancora sviluppato, perciò sembrava a tutti gli effetti un bambino. Indossavamo entrambi dei pantaloni corti e una maglietta. Niente in lei le dava un aspetto femminile; non un fermacapelli, non un orecchino. Solo il viso tradiva la sua vera natura, perché già allora era armonioso e limpido, primo indizio della bellezza che sarebbe esplosa qualche anno dopo. Claudia era talmente presa dal nuovo gioco che sembrava Nuvolari sulla pista di Monza. Io le dicevo di stare attenta alle curve, e di non farsi sorpassare dalle macchine che giungevano a folle velocità dietro di noi (naturalmente tutte nella nostra fantasia). Ad un tratto il disastro. Claudia afferra il freno a mano e lo toglie! Non sapevamo neppure cos’era, per noi era una leva come tutte le altre. Un vero guaio Sta di fatto che l’auto era in discesa, e ha cominciato lentamente a muoversi; prima impercettibilmente, poi acquistando sempre più velocità. Come ho spiegato in precedenza il parco delle Querce si trova in collina, e noi eravamo sulla strada che scendeva giù fino in paese. Ad un tratto l’auto va a sbattere sui paletti di recinzione buttandoli a terra. “Che succede?” mi chiede interrompendo di botto il gioco. “Si sta muovendo” rispondo cominciando ad agitarmi. Intorno a noi non c’era nessuno; sfortunatamente saranno stati gli unici minuti in cui la macchina non ha attirato visitatori. “Come si ferma?” chiede toccando i tasti sul cruscotto. “Non lo so!”. 70 La vettura aumenta di velocità, comincia ad andare a passo d’uomo. “Chiediamo aiuto” propongo “Ma così scoprono che siamo saliti!”. “Hai ragione” ho risposto, anteponendo le sgridate che ci saremmo presi al fatto che potevamo distruggere la macchina e farci male sul serio. “Ma dobbiamo fare qualcosa!” ha detto Claudia in agitazione. “Tieni le mani sul volante!”. “Sì, scusa”. L’auto va sempre più forte. La discesa comincia ad aumentare ma ancora nessuno ci vede. Io, forse in un lampo di lucidità, capisco qual è l’unica cosa giusta da fare: “Aiutooo!!” “AIUTOOO!!” grida anche lei immediatamente. Subito dei paesani si voltano verso di noi. Appena comprendono quello che sta accadendo cominciano a correre verso l’automobile. Giungono in cinque, alcuni si attaccano alla portiera, altri agli specchietti retrovisori cercando di fermarla. “Aiutooo!!” continuiamo a gridare io e Claudia. Ma l’Isotta Fraschini non accenna a diminuire la velocità. Gli uomini venuti in nostro soccorso non riescono a farla rallentare. Ormai corrono accanto a noi, mentre tutta la gente sulla discesa si è fermata a guardare. E le persone intorno sono veramente tante! Come ho detto in precedenza la festa del paese attira migliaia di curiosi, per cui siamo praticamente circondati da metà popolazione Brianzola. Ormai stiamo seminando i soccorritori. Io e Claudia ci attacchiamo ai finestrini delle portiere continuando a gridare aiuto. Uno degli uomini che si era attaccato allo specchietto retrovisore, ci grida qualcosa, mentre perde terreno correndo dietro alla macchina: “Il freno a manooo!”. “Cosa?” chiediamo io e Claudia di rimando “Il freno a mano, tirate il freno a manooo!!”. 71 “Ha detto di tirare il freno a mano” le dico mentre mi giro sul sedile. “Sì, ma qual è?!” risponde, mentre dal parabrezza vediamo gente che si butta ai lati della strada, per non venire travolta dall’Isotta lanciata a gran velocità. “E’ questa leva” concludo all’improvviso “Quando siamo saliti era alzata”. E senza perdere un attimo la tiro di nuovo, aiutato da Claudia, con uno sforzo disumano a quattro mani. Immediatamente le ruote posteriori si bloccano. Le gomme stridono sul terreno che non è di asfalto, ma di ghiaia e ciottoli come quasi tutte le strade di Lassina. La macchina comincia a sterzare di lato, lentamente, finché ci troviamo lanciati in discesa a quarantacinque gradi rispetto alla strada. SCHREEEK!!! Fanno le ruote in un grido di sofferenza. Tiriamo dritti alla curva della provinciale finendo direttamente nei campi aperti. La gente ci corre dietro disperata. Io e Claudia dal finestrino vediamo avvicinarsi un grosso covone di fieno. “Ci andremo a sbattere!!” Il covone diventa sempre più grande, sempre più grande… “OooH!!!”. SBAAAM!! Lo prendiamo in pieno con il lato destro della macchina. Che botta ragazzi! L’auto viene mezza sepolta dal fieno che le cade addosso. Dopo qualche minuto giungono le voci dei paesani che si avvicinano. Il primo soccorritore che spalanca la porta ci vede accartocciati in un groviglio di gambe e braccia, sul tappetino del sedile passeggeri. “State bene!?” domanda in apprensione. Io e Claudia ci guardiamo un istante, con la faccia di chi è appena tornato dalla Luna… e cominciamo a piangere! “Buaaah!!!”. Subito ci tirano fuori dall’Isotta e ci sommergono di cure. Non ci eravamo fatti niente. Solo un grande spavento. 72 Mia madre appena mi ha raggiunto si è fatta in quattro per coccolarmi, dopodichè mi ha riempito di sberle sul coppino fino a casa. Il giorno dopo il sindaco in persona è venuto ad accertarsi delle mie condizioni. Ha detto che non è stata colpa nostra, ma del Comitato manifestazioni che ha posizionato l’auto in una zona pericolosa in discesa. Da quanto ne so l’assicurazione non ha ancora pagato i danni per la riparazione dell’Isotta; il comune è stato costretto ad anticipare la cifra, che ovviamente è stata esorbitante! Quante ne abbiamo combinate io e Claudia! Amicizia Con il passare degli anni la nostra amicizia non è affatto scemata. Forse è cambiato il modo di affrontarla, ma di certo non è diminuita di intensità. E così, da due bambini che eravamo, siamo cresciuti e diventati adulti. Siamo passati attraverso numerose compagnie, la più importante delle quali formata dal mitico quartetto con Massi e Renzo. All’inizio i due fenomeni trovavano strano che in mezzo a noi ci fosse una ragazza. La sua presenza creava una certa malizia nei comportamenti. Sia Renzo che Massi ci hanno messo un po’ a estrapolare la sua femminilità, e vederla principalmente come un’amica. Entrambi tradivano sempre la speranza, con una battuta o con un atteggiamento, di poter concludere qualcosa con lei, anche se lo hanno sempre negato. Questo perché l’amicizia tra un ragazzo e una ragazza è rara come un quadrifoglio. Non li ho mai biasimati per questo, anzi, capivo perfettamente le loro difficoltà; anche perchè Claudia non ha mai fatto nulla per nascondere la sua femminilità. Ci ha sempre considerato come suoi pari e pretendeva di essere trattata in egual misura. Non si è mai vergognata di noi. 73 Tutte le vacanze che abbiamo fatto insieme le ha passate in stanza con noi, si è cambiata con noi (ovviamente non del tutto), e ha dormito nello stesso letto dove abbiamo dormito noi. E questo per qualsiasi ragazzo che si rispetti è una notevole provocazione! Però ha bevuto anche con noi, si è ubriacata con noi, ha fumato con noi, e ha preso parte a tutte le goliardate che i ragazzi fanno e che generalmente sono disapprovate dalla maggior parte dell’universo femminile. Quindi dopo qualche anno Renzo e Massi ci hanno messo una pietra sopra. Io invece questa pietra non l’ho mai appoggiata da nessuna parte; ho sempre considerato Claudia una grande amica, e il fatto che siamo cresciuti insieme ha messo in risalto questa parte affettiva del nostro rapporto, non facendoci mai pensare a un contatto fra di noi più serio di un abbraccio. Ma naturalmente non sono così pirla da credere che l’amicizia tra un ragazzo e una ragazza sia totalmente casta e pura! Quante volte guardandole il sedere, magari messo in una bella posizione, mi sono partite delle fantasie senza che ci potessi fare nulla. Però non ho mai avuto nessun senso di colpa. Claudia è bella, ed è normale che pensieri di questo tipo vengano a galla. Ho sempre esorcizzato ogni desiderio su di lei raccontandoglielo immediatamente; la sua prima reazione era di darmi del maniaco, e dopo di farsi quattro risate alle mie spalle. Insomma, credo che tutte le amicizie fra individui di sesso opposto abbiano delle piccole deviazioni; è naturale, ed è giusto che ci siano, fanno parte di una biologica attrazione. Chi lo nega mente solo a se stesso. Ma dopo tutti questi bei discorsi di vera amicizia, devo ammettere che io e Claudia una volta abbiamo fatto l’amore. Ebbene sì. Una sola volta, ma l’abbiamo fatto. E’ stato al ritorno dalla festa di compleanno di Gigi. 74 Qualcosa in più Eravamo ubriachi come pazzi… Ma questa non era una novità! Ogni volta che si organizzava un festino, il quartetto delle meraviglie dava il meglio di se, anche se alla fine venivano a raccoglierci col cucchiaio. Quella sera io e lei siamo tornati a casa con la mia macchina (come facevo a guidare ancora non me lo spiego!), ed al semaforo della provinciale, in attesa del verde, abbiamo avuto un attimo di debolezza. Claudia mi ha guardato per un momento come in preda ad un’ allucinazione, e poi mi ha baciato prima che potessi proferir parola. Ho sentito un’esplosione salirmi fino alla testa. Forse sarà stato il vino, forse le quattordici Sambuche, oppure i nove litri di Tennets doppio malto, ma sta di fatto che ho effettuato inversione di marcia e siamo finiti nel bosco delle querce. Nel giro di dieci minuti eravamo nudi. Nel giro di quindici minuti avevamo già finito tutto! Sono stato veloce come Speedy Gonzales. Ma che figata ragazzi! Appena abbiamo finito di fare l’amore Claudia mi ha guardato ancora ansimante, ed è scoppiata in una fragorosa risata! Ed io ho riso con lei. Non è stato molto romantico, lo ammetto, ma è stata la passione a farcelo fare. Dopo qualche minuto l’alcool ha fatto il suo effetto e Claudia (mi duole ammetterlo ma è successo davvero) ha cominciato a sboccare nel prato. Penso abbia vomitato anche le lasagne della sera prima. Santo cielo che serata! Non potrò mai dimenticarla! Ci siamo rivestiti in qualche modo e siamo usciti dal bosco, diretti a casa di Claudia. Durante il tragitto si è addormentata. Ho dovuto prenderla in braccio per farla uscire dalla macchina, visto che non aveva nessuna intenzione di svegliarsi. 75 Le luci di casa sua si sono accese appena ho suonato il campanello, ed i genitori di Claudia si sono presentati sulla soglia della porta mezzi addormentati ed in vestaglia. Senza una parola sua madre mi ha fatto entrare, e mi ha chiesto di portarla in camera da letto. Non era la prima volta che riportavo Claudia a casa in quelle condizioni. I suoi si erano abituati, purtroppo. Però si fidavano di me e la lasciavano uscire ugualmente tutte le volte che c’era una festa in programma. Claudia aveva al massimo ventitre anni in quel periodo. Comunque, sempre tenendola in braccio, l’ho adagiata sul letto e ho lasciato che sua madre le rimboccasse le coperte. “Ha dato di stomaco?” mi ha chiesto sottovoce. “Sì, deve avere preso freddo” ho risposto sparando una gigantesca bugia “Ma non preoccuparti, ora sta bene”. Numerose altre volte l’ho portata a casa come uno straccio, ma quella è stata l’unica volta in cui prima abbiamo fatto l’amore. Eppure dopo quell’episodio non ci è mai passata per la testa l’idea di instaurare una relazione. I giorni successivi ne abbiamo parlato, e anche parecchio, di quello che era successo. Stava nascendo fra di noi una sorta di “imbarazzo silenzioso”, nel quale ci rifugiavamo ogni volta che ci guardavamo negli occhi. Le parole cominciavano a uscirci sempre meno naturali, era un periodo molto strano. A distanza di così tanti anni posso dire che forse ci stavamo innamorando. Anche i nostri amici cominciavano a notare il cambiamento, e si aspettavano che da un momento all’altro qualcuno di noi rompesse quel guscio di “amici per forza” in cui ci eravamo rifugiati e che buttassimo le carte in tavola per iniziare una relazione diversa. Forse senza dircelo eravamo già una coppia… Forse avevamo paura ad ammetterlo… Non lo so. Non ho mai capito cosa eravamo davvero l’uno per l’altra. Questo fondamentalmente per colpa mia e della fottuta inquietudine che mi porto dietro! Infatti Claudia conosceva bene il malessere che provavo stando a Lassina, il mio sentirmi chiuso in gabbia in un paese di contadini. 76 Sapeva perfettamente che volevo scappare e che di conseguenza non volevo avere nessun tipo di legame che mi obbligasse a restare. Oltretutto la mia incapacità di accettare dove vivevo influiva anche sul mio carattere, e mi faceva assumere atteggiamenti spericolati (e a volte distruttivi) nei confronti di tutto. Anche Massi e Renzo erano come me, per questo il nostro quartetto era pura dinamite. Insieme volevamo spaccare il mondo, quindi ne combinavamo di tutti i colori. Claudia non era da meno, ma era consapevole del fatto che non se ne sarebbe potuta andare. Il Bar era già suo e le piaceva lavorare in quell’ambiente. Diceva che i clienti la salvavano. Per lei il bar era uno sfogo. Lo sfogo per Massi era lo studio. Lo sfogo per Renzo sarebbe diventato il lavoro. Io lo sfogo non sono mai riuscito a trovarlo. Così un giorno di quasi cinque anni fa ho deciso di andarmene. Ho trovato un appartamento a Milano e non sono più tornato a casa. Claudia di punto in bianco si è trovata senza di me. Non so se era innamorata, ma sta di fatto che l’ha presa a cuore questa faccenda, non voleva assolutamente che me ne andassi. Le ho ripetuto mille volte che ci saremmo potuti vedere se fosse venuta a trovarmi a Milano. Anzi, ho aggiunto che casa mia sarebbe stata sempre aperta per lei, le avevo fatto anche un duplicato delle chiavi. Ma Claudia non è mai venuta. Eppure da me passavano i miei genitori, gli amici, i cugini e i parenti più lontani, utilizzando il mio appartamento come un porto di mare nel grande oceano di Milano. Invece lei non si è mai mossa da Lassina. Però ammetto le mie colpe. Non sono mai voluto scendere a compromessi, pretendevo che solo lei venisse a trovarmi. Ma non me la sentivo assolutamente di tornare a Lassina. Volevo tagliare tutti i ponti col passato, e il modo migliore era cominciare subito, scomparendo dalla circolazione. 77 Io e Claudia abbiamo passato i primi mesi al telefono cercando di trovare una soluzione. Ma più discutevamo più litigavamo, senza venire a capo di nulla. Alla fine abbiamo smesso di sentirci ed ognuno di noi ha cominciato una nuova vita lontano dall’altro. Ma quanto ho sentito la mancanza di Claudia! La sua immagine è sempre stata come un pugno nello stomaco. Passavo giorni senza pensarla nascondendo sotto nuove preoccupazioni il suo viso pieno di allegria. Ma all’improvviso, magari a metà di un tranquillo venerdì pomeriggio, il suo ricordo mi assaliva e mi faceva star male per tutto il resto della giornata. La tentazione di chiamarla in questi anni è sempre stata forte, ma per il mio stupido orgoglio, ho resistito. E poi mi chiedevo come poteva essere cambiata la sua vita… Era già fidanzata? Magari era in cerca di una casa e si era dimenticata di me, il suo amico d’infanzia che se ne era andato. Davanti a lei Sta di fatto che ora mi trovo qui davanti a lei, dopo quasi cinque anni che non la vedo. Come minimo ha il dente avvelenato, anzi, direi tutta la dentiera. Non potevo aspettarmi che una reazione del genere… “Che cosa vuoi, perché sei tornato?”. “Sto bene grazie, e tu come stai?”. “Se vuoi fare lo spiritoso puoi anche tornartene a Milano”. “Va bene Claudia, sono tornato per trascorrere una vacanza a Lassina, contenta adesso?”. “Non certo di rivederti”. “E dai… Finiscila per piacere!”. “Finiscila!?!” Claudia si appoggia al bancone ed alza la voce. Ora tutti gli occhi del locale sono puntati su di noi. “Come ti permetti!? Te ne vai di punto in bianco senza avvisare nessuno, ti ripresenti dopo cinque anni e pretendi che sia tutto come prima?” . 78 E’ più arrabbiata che mai. Intorno a me si è creato il vuoto, mentre lei picchia le mani sul tavolo come un camionista e continua a gridare: “Te lo puoi scordare che accolgo a braccia aperte uno che non ha neanche il coraggio di prendere il telefono per farsi sentire!”. “Ma pensa te!” ribatto mentre gli sguardi si posano su me; sembra che il Bar si sia fermato ad ascoltare la discussione: “Questo potevi farlo anche tu” insisto “E ti ricordo che non sei mai venuta neppure una volta a trovarmi; bell’amica che sei!”. “Ahhh, adesso è colpa mia?! Che faccia tosta!”. Si sporge talmente in avanti sul bancone che rischia di volare dall’altra parte. Ciuffi di capelli neri le sono caduti sul viso, dandole un’espressione ancora più minacciosa. “Ma tornatene a Milano a sbatterti la Agrati!”. Questa frase fa ammutolire di colpo tutto il locale; ora non vola neanche una mosca. Sapevo che Claudia avrebbe fatto un’uscita del genere, quando è infuriata perde il senso della misura. Quindi ribatto con tono tranquillo, pacato, ma altrettanto velenoso: “Bene bene, vedo che anche in questo antico paese giungono le notizie. Claudia la contadina ha imparato a leggere?”. Massi al mio fianco mi dà un pugno sulla spalla per intimarmi di smettere, mentre Renzo con voce sommessa dice a Claudia: “Stai calma….”. “E comunque” insisto io “ho saputo che anche tu ti ‘sbatti’ qualcuno, quindi non fare tanto la moralista”. “Tu come diavolo fai a saperlo?!”. “E questo qualcuno si chiama Gabriele ed abita a Lecco”. “Ma come cazz…” ribatte lei guardando di traverso Massi e Renzo, e rifilando poi un poderoso pugno sul braccio ad entrambi. “In ogni caso non ti riguarda quello che faccio con Gabriele!”. “E a te non riguarda quello che faccio con Ilaria”. “Tze, Ilaria”. “Tze, Gabriele” ribatto. “Se vuoi saperlo a letto facciamo anche numeri da circo!”. “Anch’io con lei”. “Complimenti”. “Altrettanto”. 79 Cade tra di noi un silenzio mortale, mentre tutti i clienti aspettano la fine della discussione. Ora è arrivata anche Giulia, che incrocia le braccia in un gesto di rassegnazione mentre si siede su uno sgabello. Claudia soffia verso l’alto, spostandosi i ciuffi che le cadono sul volto. La osservo attentamente; forse è ancora più bella di come la ricordavo. Il suo viso è assolutamente privo di difetti, sembra una bambola di porcellana. Il fisico è ancora più magro e slanciato, ed avvolto in questi vestiti aderenti risalta come non mai. Ci guardiamo dritti negli occhi ancora per qualche secondo, finché non avverto in lei i primi segni di cedimento: “Non mi guardare” dice. “Perché no?”. “Ti sto dicendo di non…” sconfitta, chiude gli occhi e lascia spuntare un sorriso dalle labbra. Il mio arriva due secondi dopo. “Non so perché sto sorridendo” dice Claudia. “Neanch’io”. “Testa di cazzo”. “Stronza”. Claudia si mette a ridere buttando lo straccio per pulire i bicchieri nel lavandino. La gente intorno a noi ci guarda divertita. “Ti sono mancata?” mi chiede. “Neanche un pò” ribatto in tono ironico. “Vaffanculo”. “Fottiti”. Si gira e fa per andarsene, ma all’ultimo momento si volta con un sorriso radioso stampato sulla faccia ed esclama: “Abbracciami Luca Nudo!” salendo in piedi sul bancone del bar. La gente si lascia sfuggire un grido di sorpresa quando Claudia salta all’improvviso verso di me, che allargo le braccia per prenderla al volo. Ovviamente Claudia non pesa due chili, perciò cadiamo rovinosamente per terra avvinghiati e contusi. Risate da parte di tutti i presenti. Giulia scuote la testa rassegnata. Massi e Renzo si danno un cinque in segno di vittoria. 80 Già, perché io e Claudia sapevamo che sarebbe andata a finire così. La nostra sfuriata era solo un normale passaggio biologico prima di poterci ritrovare. Morivo dalla voglia di rivederla, ed anche lei a quanto pare provava le stesse sensazioni. Sarebbe stato impossibile tenerle il muso; su questo ci ho pensato parecchio prima di programmare il mio ritorno a Lassina, e solo dopo aver stabilito che non potevo fare a meno di vederla, ho deciso di tornare. Non so se mi ha davvero perdonato per essere scappato a Milano, ma sta di fatto che ora sono qui, abbracciato a lei sul pavimento del Bar Lassina. “Claudia, sei matta come al solito!” le dico cercando di rialzarmi “Tua madre mi ha detto che saresti tornato, volevo vedere quanto ci avresti messo ad arrivare da me. Bastardo, mi hai lasciato per ultima!” commenta alzandosi da terra. La gente radunata intorno a noi si sfoltisce, mentre sento da lontano la voce di Renzo che ci chiama: “Luca, Claudia, venite a sedervi”. Subito ci avviciniamo al tavolo che ci stanno riservando, mentre Claudia mi salta sulla schiena appendendosi come un Koala: “Fate passare gente, via, via, il famoso Luca Nudo è di nuovo tra noi”. “Smettila, cosa vuoi che gliene freghi a loro?” dico mentre cerco di sorreggerla. “Yuppyyy!” esclama lei come un vero cow boy. E’ incredibile… si comporta come una ragazzina anche se ha quasi trent’anni. Ed e’ questo che mi piace di lei! Meno male che il tempo non l’ha cambiata. Raggiungiamo il tavolo e ci sediamo, io di fianco a Massi e Claudia con Renzo. Ora siamo quattro ragazzini di trent’anni. Dopo che altri conoscenti sono venuti a salutarmi, finalmente giunge anche Giulia, che con uno straccio in mano ci guarda e commenta: “Sembra proprio che la Compagnia del flagello si sia riunita. E’ meglio che cominci a preoccuparmi davvero…”. 81 La Compagnia del flagello Da quanto non sentivo questo nome… Una punta di nostalgia mi sale fino alla gola… Ce lo diede il ragazzo di Giulia, Alessandro, parecchi anni prima, quando combinavamo disastri uno dietro l’altro. Ricordo che Alessandro in quel periodo stava leggendo il Signore degli anelli, un libro di dimensioni spaventose. Ne era talmente affascinato che non perdeva occasione per raccontarci qualcosa della storia. La trilogia del film non era ancora uscita al cinema, perciò per noi che lo ascoltavamo era una novità assoluta. Sta di fatto che una sera io, Massi, Renzo e Claudia stavamo entrando nel locale dopo averne combinata un’altra delle nostre. Avevamo preso in prestito temporaneo (cioè senza chiedere il permesso) il trattore del signor Fumagalli, per tirare fuori la macchina di Massi che era finita in un fosso la sera prima. Ma non sapendolo usare eravamo riusciti a far finire nel fosso anche il trattore! C’era voluta la gru dei Vigili del fuoco per tirare fuori le due vetture. Ovviamente il signor Fumagalli si era incazzato come Ken il Guerriero e non ci aveva denunciato solo per miracolo. Comunque appena siamo entrati nel locale abbiamo sentito la voce di Alessandro esclamare: “Invece adesso sta entrando la Compagnia del Flagello!”. Risate generali da parte di tutti ragazzi seduti al tavolo con lui. Giulia, che era al suo fianco, ha riso fino al giorno dopo. Un po’ stupiti da quest’eccesso di allegria ci siamo fatti spiegare il motivo di tanta ilarità. Alessandro, che stava raccontando l’ennesimo episodio del suo libro, era arrivato a descrivere un gruppo di persone che formavano una Compagnia, chiamata dell’anello. Appena ci ha visto entrare ha sostituito anello con flagello, e il gioco è venuto da solo. A noi quattro non ha fatto ridere per niente, ma a quanto pare le persone che stavano ascoltando l’hanno vissuta diversamente, ed hanno cominciato a chiamarci in quel modo. All’inizio non ci piaceva questo soprannome, non era per nulla divertente. Ma col passare del tempo è diventato come un marchio di fabbrica, ce lo portavamo dietro ovunque. Anche quando la 82 televisione dava qualche notizia strana, o capitava qualcosa di insolito, la gente commentava dicendo: “Questa è degna della Compagnia del flagello”. Alla fine abbiamo dovuto accettare il soprannome arrivando, col passare degli anni, ad esserne perfino orgogliosi. Ed ora lo sento nuovamente pronunciare dalla bocca di Giulia, mentre prosegue chiedendoci: “Cosa vi porto da bere?” . “E ce lo chiedi?! Quattro Slalom medie come minimo!” risponde Massi. “Ok, arrivano subito”. “Che storia, siamo ancora insieme come una volta!” dice Renzo mentre avvolge un braccio intorno alle spalle di Claudia, “Meno male che ti sei calmata; prima ho creduto che volessi ammazzarlo”dice indicando me con la testa. “Non ancora, ma nei prossimi giorni sicuramente” ribatte lei con fare scherzoso. Cominciamo così a ricordare i bei tempi andati, in cui eravamo dei veri pericoli pubblici. Come a casa di Massi parliamo delle scorrerie di qualche anno prima, in cui non passava giorno senza che il quartetto combinasse un disastro. Il periodo dai quindici ai venticinque anni è stato un vero e proprio spasso! Dopo qualche minuto arrivano le birre, ma sono soltanto tre. Giulia le distribuisce sul tavolo a Renzo, Massi e sua sorella Claudia, senza dare nulla al sottoscritto. “Beh, cos’è sta storia?” chiedo stupito. Dalle labbra di Renzo e Claudia spunta un sorriso beffardo, mentre Massi al mio fianco non si trattiene e comincia a ridere. “Ma cosa avete ? Mi sono perso qualcosa?” domando imbarazzato. “Non ti ricordi?” dice Renzo. “Cosa?!?”. Mi volto all’improvviso come colto da un pungente sospetto e vedo Giulia giungere nella mia direzione con un boccale da litro in mano. Solo che non è pieno di birra, ma di latte caldo fumante. “Nooo! Bastardi!” esclamo all’improvviso ricordandomi tutto. Giulia appoggia davanti a me l’enorme bicchiere colmo di latte 83 bollente, mentre i miei tre compagni incominciano a cantare facendomi la stecca come a Naia: “Bellooo, non ti passa piuuù, te lo sei voluto tuuu, vuoi il Bar Lassina e poooi, latte caldo cazzi tuoooi!!”. Questo era il nostro scherzo quotidiano quando venivamo al bar; di solito lo facevamo se uno dei quattro aveva rotto le scatole per qualsiasi motivo. Era il nostro modo per dire: “Mollaci, hai rotto i coglioni!” . Solitamente dopo il latte caldo l’accusato capiva di avere sbagliato e si concludeva la discussione. Veniva utilizzato anche per dare il benvenuto a persone che per la prima volta mettevano piede nel Bar Lassina. Gli amici conosciuti da poco subivano il trattamento del latte caldo, che per noi era come un passaggio di stecca. Superato il rituale si entrava a far parte del gruppo a tutti gli effetti, anche se le due prove da superare erano terribili… La prima consisteva nel bere tutto il litro di latte. La seconda nel doverlo pagare! Oltre il danno si aggiungeva la beffa. Sulla seconda prova in molti hanno gettato la spugna. Ma questa sera non posso mollare, ne va della mia reputazione, quindi afferro il boccale di latte e dico ad alta voce: “Me lo merito per essere stato via così tanto tempo, brindo alla vostra salute!”. “Alla nostra” rispondono Renzo, Massi e Claudia facendo tintinnare i boccali. “E a quella cosa che finisce per ‘no’ ” aggiunge Renzo. “La figa nooo!!!” ribattiamo in coro, scolandoci le birre ed il latte caldo. Sembra strano ma anche Claudia partecipa a quest’ultimo brindisi entusiasta. Come noi ci siamo rassegnati alla sua femminilità, lei non fa più caso alla nostra mascolinità, e a tutti i modi rozzi che ne conseguono. A proposito di Claudia… Mi chiedo come mai non sia tornata dietro al bancone a lavorare. Ormai è già mezz’ora che è al tavolo con noi. Di certo è rimasta per farmi compagnia, ma sua sorella non può fare tutto da sola: “Ma non torni al bancone?” le chiedo sorseggiando il latte. 84 “Sì, adesso ci vado, perché ti sei già rotto di vedermi?”. “Ma no; solo che Giulia avrà bisogno di aiuto”. “Infatti sono già arrivate le ragazze della stagione estiva, non ti sei accorto?”. “Quali ragazze?” dico aguzzando la vista per il locale. Effettivamente ci sono tre o quattro cameriere che servono ai tavoli, una delle quali si è messa già al posto di Claudia per sostituirla. “Hai ragione” le dico “Non le avevo viste” . “Ancora un paio di settimane e poi mollo tutto; non vedo l’ora!” commenta Claudia scroccando una sigaretta a Massi. “Come molli tutto? Ti licenzi?” chiedo stupito. “Ma allora non ti ricordi proprio niente!” esclama Renzo a gran voce. “Mi sa che Milano gli ha bruciato i neuroni del cervello” insiste Massi. “Impossibile, non ce l’ha mai avuto un cervello” conclude Claudia. “Ma cosa dovrei ricordare stavolta?!” chiedo rassegnato. Renzo si accende una sigaretta e spiega con calma: “Claudia e Giulia fanno a turni. In inverno il locale lo gestisce Claudia e d’estate Giulia. Fanno sei mesi ciascuna, ti ricordi ora?”. “In questo modo ci possiamo permettere di tenerlo sempre aperto” continua Claudia, “Il mio turno è scaduto qualche giorno fa; sto facendo le ultime settimane di passaggio. Darò comunque una mano a mia sorella, ma agli inizi di Giugno potrò considerarmi in vacanza”. Improvvisamente ricordo tutto. “Quindi fino a quest’inverno praticamente sarai in ferie?” chiedo. “Fino a Dicembre per l’esattezza, lo facciamo da parecchi anni; adesso ti ricordi?” risponde lei. “Aspetta un momento” chiedo come fulminato sulla via di Damasco, “Ma lo sai che anche io Renzo e Massi fino a Dicembre non facciamo niente?”. “Beh, sì…” risponde Claudia con un sorriso. 85 “Incredibile ragazzi!” esclamo, “Fatemi fare mente locale. Allora. Io starò a Lassina per sei mesi costretto dal mio capo. Renzo è in malattia per uno strappo alla schiena. Massi non andrà a lavorare fino all’anno prossimo, quando giungerà la chiamata dal centro ricerche. E tu fai il turno di pausa per l’estate. Ma sapete che vuol dire?!?”. “Che la Compagnia è tornata!” conclude Massi. “Sì! Incredibile, non avrei mai pensato che potesse accadere” dice Renzo. “Questa volta a mia madre verrà un colpo sul serio” commento tra il serio e il faceto. “E allora in alto i calici!” propone Massi alzando il suo boccale di birra. “Al ritorno della Compagnia!” rispondiamo in coro. Guardo negli occhi i miei tre amici e mi accorgo che il tempo non è passato. In questo momento siamo ancora i ragazzi di qualche anno fa, con la stessa voglia dirompente di divertirci. Renzo, Massi e Claudia… Mi sembra impossibile averli ritrovati tutti e tre. Questa vacanza forzata a Lassina comincia a diventare interessante. Giulia giunge dopo qualche minuto chiedendo a sua sorella di darle una mano, e vedendo i nostri visi illuminati chiede: “Beh? Cosa è successo, mi sono persa qualcosa?”. “Ti dico solamente questo” rispondo con un sorriso “Avevi ragione, è meglio che cominci a preoccuparti davvero!”. Claudia se ne va con sua sorella, e dopo qualche minuto ci allontaniamo anche noi per uscire dal locale; Renzo e Massi vogliono fumarsi una sigaretta all’aria aperta. E’ una calda serata di Maggio e si sta bene fuori. E poi dobbiamo parlare di tutto quello che potremo fare ora che siamo di nuovo riuniti! Dovremo escogitare un piano d’azione, magari organizzare una vacanza! Ma appena ci troviamo al centro del locale Massi si ferma e mi chiede ad alta voce: “A proposito, sai chi ti saluta un casino?!”. Rimango un po’ sorpreso da questa domanda: primo, perché me la fa improvvisamente, secondo, per il suo tono di voce troppo 86 alto. Come minimo avranno sentito anche tutte le persone che mi stanno intorno. Non troppo convinto rispondo: “No, chi?”. “STO CAZZOOO!!” esplode un coro incredibile da parte di tutti i clienti del bar! Ogni persona si volta nella mia direzione prendendosi il pacco tra le mani. “Ha ha ha!” ridono i clienti all’unisono. Persino Giulia si scompiscia dalle risate. Mi hanno fregato ancora! Il gioco del ‘Sai chi ti saluta un casino’ l’ho inventato io, ma me lo sono completamente dimenticato. Avevo preso spunto da una canzone di Elio e le Storie tese, dove nel finale si faceva questo scherzo ad un ragazzo soprannominato ‘Panino’. Ed ora me lo vedo rivolgere contro. “Ma cazzo, adesso basta!” rispondo esasperato. “Ai ai ai” ribatte Massi con espressione volpina. “Ti sei arrabbiato…” dice Renzo avvicinandosi. “N-No, non mi sono arrabbiato” ribatto ricordandomi (stavolta alla perfezione) cosa potrebbe accadere. “Sì sì, ti sei proprio arrabbiato”. Vedo avvicinarsi oltre a Renzo e Massi, anche Cavallo, Jimmi e Teo. Cerco di allontanarmi velocemente, ma Ronny da dietro mi blocca. Sono spacciato! Conosco benissimo le loro intenzioni. Il seguito del gioco è per chi si arrabbia inutilmente. Lo sfortunato viene afferrato di peso e buttato nel laghetto con tutti i vestiti. Di solito si fa solo d’estate, ma penso che stavolta faranno un’eccezione. Anche questo scherzo l’ho inventato io. La prima vittima è stata Claudia, che è finita nell’acqua per essersela presa quando le ho detto “Sto cazzo!”. Ricordo di averla presa in braccio e di averle detto: “Ti stai scaldando troppo, ora ti spengo io”. 87 Quando ha capito che la stavo per buttare nel laghetto ha cominciato a scalciare, e nell’acqua ci siamo finiti entrambi. La scena è stata vista da tutti i ragazzi che erano presenti quella sera, ed è risultata veramente spassosa. Tanto che il giorno successivo qualcuno imitandomi ha buttato nello stagno un amico troppo permaloso. Poi con il passare del tempo è diventata una specie di usanza, un po’ come quella del latte caldo. E adesso ogni volta che qualcuno se la prende per uno scherzo o una battuta, viene scaraventato nell’acqua. “No ragazzi dai, fa freddo per un tuffo”. “Dieci” dice Massi iniziando il conto alla rovescia. “Cavallo, non vorrai farlo davvero?”. “Nove” dice Cavallo avvicinandosi. Mi afferrano sotto le ascelle e mi portano fuori dal locale. “Giuliaaa! Digli qualcosa!” esclamo in un ultimo disperato tentativo di aiuto. “Otto”. “Sentite ragazzi, sono tornato oggi, abbiate pietà!”. “Sette”. “E va bene! Ma solo i piedi, d’accordo?”. “Sei!”. “No, non siete d’accordo…”. “Cinque” dice Jimmi mentre si fa largo fra i tavolini all’aperto, spostando tutti i curiosi che vogliono osservare l’insolita scena. “Quattro”. “Ok, ma non buttatemi come un sacco di patate, fate piano”. Appena lo dico Teo e Ronny mi sollevano per le gambe e cominciano a farmi oscillare, prendendo la spinta per il lancio. “Dai ragazzi, fa freddo!”. “TRE” rispondono tutti gli amici in coro, compresi gli spettatori che ci hanno seguito fino a qui. “DUE”. “Pago da bere a tutti se non lo fate!!”. “UNO”. “Ma porca putt…”. “ZEROOO!!!” mi lanciano nel lago. “SIETE DEI BASTARD….”. 88 SPLASCHH! Vengo sommerso dall’acqua. Come ho spiegato prima non è profonda, mi arriva appena sotto le ascelle se resto seduto, ma è sufficiente a lavarmi completamente. Con un gesto di stizza mi levo l’acqua dagli occhi e resto a osservare, bagnato come un pulcino, le risate di tutti i presenti. “HA HA HA!”. Io con un’espressione rassegnata seduto nel laghetto… Claudia piegata in due dal ridere ai bordi dello stagno… “La stagione estiva è cominciata!” esclama lei tutta contenta. Tiro un lungo respiro e penso che adesso sono davvero tornato a casa. 89 7 Sono una macchina da corsa che sfila come Lady Godiva Vado, vado, vado, vado, niente mi può fermare Brucio nel cielo, Sì! Queen Rischio quattro “Ecco, siamo arrivati” dico avvicinandomi al garage. Renzo, Massi e Claudia restano alle mie spalle in attesa. Afferro la maniglia del portone e la tiro con forza verso l’alto. Davanti a noi si delinea la figura inconfondibile di un’automobile. Troppi anni è rimasta chiusa al buio senza poter sgranchire le ruote. Ora la Compagnia del flagello riprende possesso del suo mezzo di trasporto, la nostra inconfondibile compagna di avventure. La mitica Renault 4 rossa! “Minchia, da quanti anni non la vedo!” dice Renzo. “Troppi” rispondo “L’ultima persona che l’ha usata sono stato io cinque anni fa. Mio padre non l’ha mai toccata, dice che non riesce a trovarsi con le marce…”. Infatti la Renault 4 è l’unica vettura che ha il cambio all’interno del cruscotto. Un vero e proprio segno di riconoscimento. “L’ho sistemata ieri” continuo “Ho controllato i freni, l’olio, il motore, e dopo un attento esame posso dire ufficialmente che ‘Rischio 4’ è più in forma che mai!”. 90 Rischio 4 (R4) non è altro che la sigla della macchina: ma visto che con lei ne abbiamo passate di tutti i colori, l’abbiamo soprannominata in questo modo pittoresco. Quest’ auto è un vero e proprio miracolo. E’ praticamente indistruttibile. Abbiamo saltato ponti, passaggi a livello, solcato colline (chiaramente fuoristrada) senza che si fermasse neppure un momento. Un carro armato. Mi infilo nel garage e mi metto al posto di guida. Inserisco la retromarcia e tiro fuori il veicolo. Ci troviamo sotto casa mia, nel piccolo cortile dove la vettura ha riposato per cinque lunghi anni. Oggi è il primo giorno in cui Claudia ha ufficialmente smesso di lavorare. Siamo agli inizi di Giugno e le giornate cominciano a diventare calde. Io, Massi, Renzo e Claudia siamo in vacanza per sei mesi; tutti e quattro spensierati e senza problemi, come quando eravamo adolescenti. Certo, ora abbiamo qualche anno in più, ma è come se ci fossimo spogliati del peso di tutto questo tempo, e rivestiti di entusiasmo. Esteriormente trentenni, ma in fondo al cuore poco più che diciottenni. “Wow” esclama Claudia mentre si siede sul sedile posteriore insieme a Renzo. Massi si posiziona al mio fianco mentre ingrano la prima. “Allora, sai ancora guidare?” mi chiede Massi. “Certo” rispondo mentre svolto nei parchi pubblici. “Seee, scommetto che non ce la fai più ad andare come una volta”. “Scherzi? Guarda che Milano è una jungla d’asfalto. Mi tengo in allenamento tutti i giorni zigzagando tra le macchine e le corsie d’emergenza. E’ strano che non mi abbiano ancora ritirato la patente”. “Beh, se a Milano vai come quando guidavi qui in paese è veramente incredibile che non ti abbiano arrestato!”. “Che dici, vuoi vedere di persona se sono migliorato?”. “No Luca, non dare retta a Massi” dice Renzo dietro di me, “E tu Massimo, non lo provocare!”. 91 “E chi lo sta facendo?”. “Proprio tu! Sai com’è fatto Luca quando guida”. “Perché, come sono fatto?” chiedo mentre premo il piede sull’acceleratore. “Ecco, adesso si comincia” dice Claudia che ha già capito le mie intenzioni. “Dai ragazzi, festeggiamo il nostro ritorno come hai vecchi tempi” dico con un largo sorriso, “E poi in questo straccio di paese non c’è mai nessuno in giro. Guardate, è il paradiso dell’automobilista”. Effettivamente non c’è anima viva, solo campagna e strade dissestate. Forse è per questo che siamo ancora vivi nonostante tutte le avventure con Rischio 4. E quando dico ‘ancora vivi’ non è un eufemismo. Ne è la dimostrazione la domanda che pongo a Claudia: “Cominciamo dal passaggio a livello di San Pietro?”. “Se ti dicessi di lasciar perdere cambierebbe qualcosa?”. “Assolutamente no”. “Allora fai come ti pare” risponde lei. “Bene, dunque allacciatevi le cinture!”. Svolto a gran velocità nella rotonda di piazza Mazzini e prendo via Risurrezione a tavoletta. In fondo alla strada c’è il passaggio a livello, quello con la rampa alta, dove se attraversato a velocità normale si fa un piccolo saltino. Chiaramente quando l’ho scoperto l’ho superato a cento all’ora, ottenendo gli effetti che adesso andremo a riprovare. Le sbarre sono alzate, non sta passando nessun treno. Dall’altra parte della strada non sopraggiunge alcun veicolo, è la condizione ideale. “Vai vai…” dice Massi con entusiasmo, “Sììì” risponde Claudia che sta accantonando la paura. Loro due hanno una voglia matta di correre con l’auto, al contrario di Renzo che non ha mai condiviso questa nostra follia. Infatti stringe forte il mio sedile con le mani e abbassa la testa tra le braccia come per proteggersi. Mancano pochi metri al salto: “Ragazzi ci siamo, tenetevi forte” dico ad alta voce. “Cazzo Luca!” dice Renzo terrorizzato. 92 “Pronti, partenza… via!” . La macchina prende il dosso a tutta birra e si impenna all’improvviso. Prima si staccano da terra le ruote davanti, poi quelle posteriori, finché ci troviamo sospesi per aria a un metro d’altezza. “Sta minchia…!”. Sentiamo un prepotente vuoto allo stomaco prima di atterrare con uno schianto sull’asfalto: “Sbraaang!!” sul cemento striscia la marmitta che ormai in quel punto deve essere completamente consumata. “Siete pazzi!” grida Renzo a gran voce rialzando la testa, ma con un largo sorriso sulle labbra. Svolto per via Piave carico come non mai mentre i miei amici si scambiano gesti di vittoria. E questo è solo l’inizio. Alla guida di Rischio quattro sono il pericolo pubblico numero uno. E’ così che ho imparato a guidare. Fare il matto con la macchina ti aiuta ad aumentare i riflessi e a vedere i pericoli molto prima che ci arrivino gli altri. Sembra strano ma è così. Nella mia carriera di automobilista non ho mai fatto nessun incidente, pur avendo rischiato la pelle di mia spontanea volontà in mille modi diversi. La maggior parte delle persone che ho conosciuto prudenti nella guida, hanno sostituito la macchina diverse volte per distrazioni, causando collisioni evitabili. Forse la mia è solo una gran fortuna, ma la guida sportiva sicuramente aiuta a essere più attenti. I tre amici qui presenti ne sanno qualcosa, e ne potrebbero raccontare di cotte e di crude. Ma ora vogliamo provare le stesse sensazioni di una volta, ed io non mi faccio certo pregare; mi piacciono le sfide, anche con il me stesso di qualche anno fa. Voglio dimostrare di essere ancora in gamba. Su due ruote Mi avvio sulla strada che porta verso Ogana, chiaramente in mezzo alla campagna. Quando superiamo il cartello di ingresso nel paese chiedo: 93 “Vi ricordate qual’era il record di velocità?”. “Non vorrai farlo di nuovo!?” domanda Renzo. “Ottanta all’ora” risponde Claudia. “Vediamo cosa riesco a fare” dico mentre schiaccio il piede sull’acceleratore. Ai bordi della lunga strada verso Ogana c’è un marciapiede che porta dritto in paese. Qualche anno fa ci salivo con due ruote e guidavo inclinato per tutta la sua lunghezza; Massi guardava il contachilometri ed una volta siamo riusciti a toccare gli ottanta. Naturalmente adesso lo voglio rifare. Vediamo il marciapiede dopo pochi secondi che siamo entrati in paese con Rischio 4 lanciata a tutta velocità. Pregusto già il momento di cavalcarlo, quando un imprevisto mi si pone davanti: un trattore viaggia in mezzo alla carreggiata, occupando entrambe le corsie di marcia. “Visto?” dice Renzo, “Non puoi passare , stavolta devi rinunciare”. Sospiro sconsolato pensando che Renzo stavolta ha ragione. Non c’è spazio neanche per far passare uno spillo. Comincio a buttarmi a destra e a sinistra della carreggiata per riuscire a vedere al di là del trattore, e magari azzardare un sorpasso se la strada si dovesse allargare. Raggiungiamo il famoso marciapiede degli ottanta all’ora e improvvisamente ho un’ illuminazione… Freno di colpo e lascio che il trattore prosegua per la sua strada. “Torniamo indietro?” chiede Renzo. “No” rispondo, mentre do gas facendo sgommare le ruote. Raggiungo il grosso veicolo in una manciata di secondi, ma sterzo bruscamente a destra salendo sulla piccola rampa del marciapiede. Su due ruote comincio il sorpasso del trattore. “Cristo ma sei pazzo!” dice Massi aggrappandosi al sedile. Lo spazio per superare è veramente poco, ma su due ruote riesco a mettermi nei metri tra l’automezzo e il marciapiede. E’ una mossa da ergastolo, lo so; se più avanti ci fossero i carabinieri mi fucilerebbero in Piazza Rossa come nemico del popolo! Eppure ce la sto facendo. Con i muscoli tesissimi mi volto per un istante ad osservare quanto spazio mi rimane. Incrocio così lo sguardo con il conducente del trattore, un anziano contadino del luogo, che ha 94 un’espressione simile al ‘Grido’ di Munch. Mi scappa una piccola risata mentre finisco il sorpasso, sempre su due ruote. “Che cazzo hai da ridere?!” dice Claudia con gli occhi spalancati. “Niente” rispondo “Massi, a quanto stiamo andando?”. “Settantacinque” risponde lui un attimo prima che finisca il marciapiede. Con un tonfo ritorniamo in mezzo alla strada. Il trattore è lontano nello specchietto retrovisore. Che impresa, sono ancora carico di adrenalina! “Fatemi scendere!” dice Renzo. “Stavolta hai battuto tutti i record” commenta Massi. “Purtroppo no, andavamo solo a settantacinque…” rispondo con ironia. “Fatemi scendere!!” continua Renzo. “Non ancora” rispondo io “Andiamo a fare un po’ di Surf a Sant’Andrea e poi torniamo a casa”. Surf Il Surf è una follia che abbiamo inventato dopo aver visto “Voglia di vincere”. Il protagonista in quel film si trasformava in un uomo-lupo che faceva surf sulla capote di un camioncino. Ovviamente abbiamo ripetuto quelle gesta con Rischio 4. Come allora quindi ci dirigiamo nel grande parcheggio di Sant’Andrea, e dopo esserci fermati scendiamo tutti dalla macchina: “Allora, chi vuole cominciare?” chiedo. “Io no di certo” dice Renzo. “Facciamo come al solito” propone Claudia “Va su Luca per primo mentre io guido”. “Ci sto!” rispondo, e in un baleno salgo sulla capote della macchina mentre Claudia va alla guida. Renzo e Massi restano in piedi a guardare, in un parcheggio deserto, dove le macchine sono andate via alle diciassette precise, orario di chiusura delle fabbriche. Claudia sale in macchina mentre mi piego sulle ginocchia mettendo un piede davanti all’altro. Con le mani mi aggancio alle 95 portiere (dopo avere abbassato i finestrini laterali), mentre Claudia preme l’acceleratore. La partenza è lenta, non superiamo i venti all’ora. Quando mi sento sicuro della stabilità sgancio le mani e mi alzo in piedi sulla capote, con la macchina che viaggia alla velocità folle di venticinque chilometri all’ora! Basta un attimo per cadere, ogni piccola buca, anche solo ogni cambio di marcia è uno scossone che potrebbe rovesciarmi sull’asfalto. Ma Claudia è in gamba, ed io mi sento un vero e proprio drago sul tettuccio di Rischio 4! Finisco il mio giro e ci fermiamo davanti a Renzo e Massi; ora tocca a Claudia fare un po’ di surf. Massi si offre volontario alla guida, e dopo qualche minuto vediamo Claudia a braccia distese in equilibrio sopra la macchina. A turno facciamo tutti quanti un giro sul tettuccio, anche Renzo, che fino a qualche minuto fa era molto titubante. Ma Renzo è sempre così; all’inizio è contrario a qualsiasi nuova avventura, poi si butta a capofitto con noi, a volte perfino esagerando. Come adesso per esempio che non vuole più scendere anche se è ora di tornare a casa. “Dai Renzo, dobbiamo andare” dice Claudia. “Fatemi fare un altro giretto” dice lui sbucando a testa in giù dal finestrino. “Guarda che ti porto a casa sul tettuccio se non la finisci” commenta Massi alla guida di Rischio 4. “Va bene!”. “Come va bene?”. “Ho detto va bene, andiamo”. “Ok” dice Massi stupito, mentre preme l’acceleratore e si dirige verso casa. Tutti e tre ci aspettiamo che da un momento all’altro Renzo ci chieda di scendere, ma lui imperterrito continua a fare surf. Ormai giunti alle porte di Lassina, un po’ preoccupato, mi sporgo dal finestrino per controllare che Renzo ci sia ancora. E così lo vedo cantare davanti a un microfono immaginario una canzone dei Beach Boys, agitando le mani nel ballo tipico di Surf in Usa! Completamente scioccato rientro in macchina dicendo: 96 “Renzo è impazzito”, intanto che Massi inforca le prime strade di paese. Incontriamo dei passanti che si fermano a guardare basiti Renzo sulla capote della macchina, mentre noi proseguiamo e ce ne andiamo. Per portarlo a casa stiamo facendo le vie meno trafficate; è ovvio, se incontrassimo un carabiniere ci arresterebbe seduta stante. In una via trasversale alla piazza incrociamo tre signore cariche di sacchetti della spesa. Appena gli passiamo di fianco sento una voce inconfondibile pronunciare il mio nome: “Luca, ma che diavolo…?”. Immediatamente ci voltiamo e vediamo mia madre che guarda a bocca aperta Renzo sul tettuccio della Renault 4 rossa! Una signora si porta la mano davanti alla bocca per coprire lo stupore. L’altra lascia cadere il sacchetto della spesa, facendo rotolare due arance sulla strada. Renzo sul tettuccio continua a cantare Surf in Usa. Io Massi e Claudia all’interno ci guardiamo perplessi, per poi esplodere in una fragorosa risata, continuando a percorrere la strada che porta a casa di Renzo. Oserei dire che nel primo giorno del suo ritorno, Rischio 4 ha fatto il suo dovere. 97 8 Baby questa città ti strappa le ossa dalla schiena E' una trappola mortale, un invito al suicidio Dobbiamo uscirne finché siamo ancora giovani Perché vagabondi come noi, baby, sono nati per correre The Boss Come a casa sua Rientro in casa con un pacco di cd in mano. Sono stato al ‘Discordia’ di Mariano Comense dove ho fatto il pieno di musica. Anche se sono lontano da Milano devo tenermi aggiornato sulle nuove tendenze musicali, ed Alessandra, la proprietaria del negozio, è sempre informatissima. Mi ha fatto sentire una marea di album appena usciti sul mercato, ed io ho scelto i migliori da portare a casa per ascoltarli con calma. Vado in cucina, appoggio i cd sul tavolo e saluto mia madre che sta preparando una torta. Quella donna non è capace di stare ferma; se non ha qualcosa da fare se la inventa, come in questo momento che sta cucinando al posto di rilassarsi davanti alla televisione o sulla sdraio in giardino. Oggi è una bella giornata di sole e sono solo le quattro di pomeriggio. Stranamente non mi ha detto nulla della scenetta sulla capote della macchina che ha visto l’altro giorno; forse si è rassegnata al fatto che essendo a casa tutti e quattro, la Compagnia del flagello prima o poi avrebbe combinato qualcosa. 98 “Ciao mà, sono tornato”. “Trovato qualcosa di interessante a Mariano?” chiede mia madre. “Sì, parecchia bella musica, adesso vado in camera ad ascoltarla”. “Bene, così gli farai compagnia, è parecchio che ti sta aspettando”. “Chi mi sta aspettando?”. “Anzi, chiedigli se vuole una fetta di torta”. “Una fetta di torta? Ma a chi?”. Prendo i cd e mi dirigo con aria perplessa verso la camera. Giungo sulla soglia della porta e noto che è spalancata. Seduta sul mio letto, a gambe incrociate, con in mano un manga giapponese, c’è Claudia. “Ciao” mi dice. “E tu che ci fai qui?”. “Sono passata a trovarti ma non c’eri. Tua madre mi ha detto di aspettarti e così ho fatto. Perché? Lo trovi strano?”. “No, però, vederti in camera mia… Insomma…”. “Insomma cosa?”. “Mi sembra che non sia passato il tempo, ecco”. “E’ vero, ho questa impressione anch’io” dice osservandomi con un piccolo sorriso. Molti anni fa per noi era assolutamente normale stare da me; Claudia la considerava una seconda casa. Andava e veniva come se ci abitasse, indipendentemente dal fatto se ero presente o meno. Mia madre ha sempre considerato Claudia come una figlia, perciò era naturale averla in casa. Ora si trova seduta sul mio letto indossando un paio di pantaloni a mazza gamba leggeri. Porta una maglietta molto corta che le scopre l’ombelico, mentre le scarpe sono volate in fondo alla stanza, lasciandola a piedi nudi. Fa caldo fuori, l’estate è alle porte e la gente comincia a spogliarsi. “Cos’hai in mano?” mi chiede. “Dei cd, sono andato da Alessandra a comprarli”. “Fa vedere” dice, mentre allunga le braccia per prenderli. Glieli passo intanto che mi levo il giubbetto di jeans riponendolo nell’armadio. Osservo il suo viso incuriosito mentre guarda i miei acquisti. Quante volte l’ho spiata in camera mia intenta a fare i compiti, a studiare, o semplicemente a giocare al vecchio 99 Commodore 16. Ne abbiamo passato di tempo insieme! Ed ora, come per magia, sembra che tutto sia tornato come allora, facendoci aprire una piccola parentesi che sa di passato. “I cd li compri sempre originali?” chiede girandosi sul letto. Ora è sdraiata a pancia in giù mentre comincia a sparpagliare gli album sul cuscino. “Ma va, sei matta? Li masterizzo!”. “Che bastardo!” dice sorridendo “Proprio tu che lavori in radio, che dovresti lottare contro la pirateria”. “Ti dirò di più, mi scarico album completi da internet”. “E ti pareva”. “Anche intere discografie”. “Un pirata! Non sei altro che un pirata. Capitan Uncino era un dilettante in confronto a te”. “Modestamente…” dico avvicinandomi al letto e mettendomi di fianco a lei. Claudia si mette a sedere incrociando nuovamente le gambe, e iniziamo a sfogliare i libretti dei cd commentando i testi delle canzoni. I suoi occhi nerissimi scorrono le parole, mentre i capelli le nascondono leggermente il viso cadendo sulle guance. La sua bellezza è imbarazzante. Sicuramente non è più la ragazzina di qualche anno fa, ma di certo non sembra a un passo dai trent’anni in questo momento. Se oltre all’abbigliamento sbarazzino aggiungiamo che si trova a piedi nudi sul mio letto, in un pigro pomeriggio di metà della settimana, sembra più una studentessa a un passo dal diploma. “Perché te ne sei andato?” mi chiede all’improvviso. Cade subito un profondo silenzio, smetto di leggere un libretto e mi rivolgo a lei accantonando i toni scherzosi. “Lo sai perché”. “No, non lo so”. “Perché me lo chiedi di nuovo?”. “Voglio sentirlo dalla tua voce. Non me ne hai mai parlato; hai dato sempre per scontato che lo sapessi. E probabilmente avevi ragione, ma adesso voglio sentirlo da te”. “Claudia” dico rassegnato “Me ne sono andato perché altrimenti sarei impazzito”. Mi guarda senza dire nulla; resta in attesa delle mie spiegazioni. 100 “Insomma, io… io… Io avevo paura. Sì, forse avevo paura. Avevo paura di affrontare la vita. Avevo paura che tutto fosse già finito ed io non avessi vissuto veramente. Avevo visto già tutta la mia esistenza programmata. Il lavoro, la famiglia, la vecchiaia e la morte, tutto in rigoroso percorso inevitabile. Quando sulla soglia dei venticinque anni mi sono accorto che l’università stava per finire e che mio padre mi aspettava in bottega per lavorare, sono impazzito. In quel periodo non sapevo assolutamente cosa volessi fare. Avevo studiato per anni senza essere interessato minimamente a quello che leggevo. Non sapevo che fare della mia vita, ma ero consapevole che comunque non potevo continuare a fare l’indeciso, e dovevo crescere. Sarei dovuto tornare a Lassina finita l’università, e avrei cominciato a lavorare. Un lavoro che non volevo. In un paese che non volevo. Ma anche andare avanti a studiare non mi interessava! Eppure tutti attendevano il mio ritorno, e si aspettavano qualcosa da me. Mio padre, mia madre, gli amici e perfino tu, mi stringevate in una morsa soffocante”. “Io non ho mai fatto niente di tutto questo!” dice Claudia sorpresa. “Certo che non l’hai mai fatto, ma inconsciamente era così! Mi sembrava di leggere negli occhi di tutti la frase: ‘Adesso Luca finiscila di fare lo scemo e metti la testa a posto’. Forse era solo una mia impressione ma io ci stavo male da morire. Ognuno di voi voleva qualcosa da me, mentre io non sapevo ancora cosa volevo da me stesso. A me interessava solo la musica, nient’altro”. “Questo l’ho sempre saputo”. “Sì, ma la musica non è un lavoro normale; non è come presentarsi in una ditta dopo avere letto l’annuncio sul giornale per farsi assumere. La musica non può essere un lavoro… Va a fortuna! E intanto che aspetti la svolta devi pur fare qualcosa, no? Devi pur lavorare. E non è detto che il colpo di fortuna arrivi…”. Scivolo giù dal letto e mi siedo per terra, con la schiena poggiata sul materasso. Claudia si sdraia avvicinandosi con la testa per ascoltarmi. 101 “Sapevo già che se fossi tornato a Lassina sarei rimasto. Questo paese mi avrebbe risucchiato, mi avrebbe mangiato l’anima lentamente, facendo scivolare via tutti i miei sogni e prendendosi le energie. Claudia ma non capisci?! Se fossi tornato qui sarei morto! Io dovevo vivere”. “Ed alla fine il colpo di fortuna è arrivato…” dice sussurrando. “Già. Quando ho conosciuto il Boss è come se mi avessero gettato un salvagente. Mi sono salvato dall’annegamento di una vita già scritta. La sfida in radio mi appassionava. Col passare dei giorni mi sono reso conto che stavo finalmente vivendo in un mondo che volevo. Vedevo la mia vita programmata cancellarsi poco a poco. Sentivo che c’era solo l’imprevisto davanti a me, e ne ero estremamente felice. Ho cominciato ad accantonare l’università e a trovare scuse sempre diverse per non tornare a casa. D’altronde i miei non mi hanno ostacolato più di tanto, visto che comunque lo stipendio era buono ed era un’occasione da non perdere. Poi è arrivato l’appartamento sui navigli, un po’ di successo, e la possibilità di registrare un album con dei musicisti professionisti. Insomma, avevo tutte le scuse per non andare più via da Milano, e così ho fatto. Tutti se ne sono fatti una ragione, i miei genitori per primi. Ed io finalmente avevo trovato un equilibrio. Insomma, ero felice! Non mi interessava affatto avere perso la mia vita passata… A parte naturalmente gli amici… e te. Massi, Renzo e gli altri mi venivano a trovare a Milano, capivano la mia avversione per Lassina e non se ne facevano un problema. Tu invece non lo hai mai capito”. Claudia mi osserva senza dire una parola, aspetta che io prosegua. “Io ti ho sempre voluto bene, per me sei sempre stata un’amica, una sorella, mia mamma e mia nonna insieme” sorrido mentre faccio questo esempio, “E la persona che mi mancava di più nei primi mesi a Milano eri tu. Ma io non volevo tornare a Lassina e tu non passavi mai dai navigli, quindi è tutto finito come sappiamo bene entrambi… Ma Claudia, dovevo agire in quel modo! Io sarei impazzito. Sarei impazzito…”. 102 Sabbie mobili Claudia resta un momento in silenzio, mi accorgo che neppure lei sa cosa dire. Sembra sul punto di parlare quando si volta all’improvviso dicendo: “Sì, è quello che mi hai sempre detto. Almeno in questo non sei cambiato”. “Già”. “Ma adesso sei veramente felice? Hai risolto ogni tuo problema?”. “In che senso?”. “Se sei a posto. Se hai trovato tutto quello che volevi e non hai più nessuna paura”. “Sì, credo di sì”. “E allora perché hai aspettato tanto a tornare? Se non era per il tuo capo non saresti qui neppure ora”. Rimango basito ascoltando le sue parole che toccano qualcosa nel profondo. “L’hai detto tu stesso che non avevi la minima intenzione di tornare a Lassina, ma solo dopo mesi di insistenze sono riusciti a convincerti. Perché? Luca mi devi dire perché. Se veramente eri in pace con te stesso ed avevi cancellato le insicurezze, come mai rifiutare nuovamente questo paese? Cosa c’è qui che ancora non ti piace?”. “I-io, non so…” rispondo. “Sai” dice Claudia sdraiandosi sul letto “Ci ho pensato tanto in questi anni. Eppure non ho trovato nessuna risposta. Ti conosco da sempre, ho vissuto con te ogni emozione. La nostra rabbia di essere chiusi in una vita monotona era simile. Abbiamo lottato per tanti anni; abbiamo gridato, pianto e riso insieme. Ma quando i nodi sono venuti al pettine te ne sei andato. Non ti ho mai accusato per questo, ma del fatto che sei sparito completamente. Io ero qui, sono sempre stata qui. Eppure ti sei rifiutato di tornare. Come se esistessero delle sabbie mobili che anche se fossi passato di sfuggita ti avrebbero impantanato a Lassina. 103 Era di questo che avevi paura? E’di questo che hai ancora paura? Quali sono queste sabbie mobili? Devi dirmelo. Altrimenti non riuscirò mai a spiegarmi perchè ancora oggi ti rifiuti di tornare”. Guardo Claudia perplesso, ho perso le parole. Resto per degli interminabili istanti in silenzio prima di dire: “Non so, ti giuro che non lo so. Forse hai ragione, c’è qualcosa che non sono ancora riuscito a risolvere. Come dici tu ci sono delle sabbie mobili che possono catturarmi e trattenermi qui. Però neppure io so quali sono. Non riesco a spiegarmi del tutto l’inquietudine che mi procura questo posto. Eppure devo ammettere che ora sto bene. Sto davvero bene! Probabilmente è il fatto che ti ho rivisto, che ho incontrato nuovamente i vecchi amici; e questa situazione strana che stiamo vivendo, di avere formato ancora la Compagnia come un lungo salto indietro nel tempo. Non lo so. Credimi, non lo so”. “Ti credo”. “E fai bene” ribatto “Ascolta” dico afferrandole una mano, “Se mai scoprirò cosa sono queste sabbie mobili e la paura che mi porto dentro nascosta da qualche parte, tu sarai la prima a saperlo. Anzi, ti chiedo di aiutarmi a scoprirlo…”. Mi guarda con occhi decisi prima di dire: “Lo farò”. “Sempre se ci sarà qualcosa da scoprire…” ribatto con mezzo sorriso. Claudia mi osserva curiosa per un attimo. I nostri visi sono a pochi centimetri di distanza. Sento una strana leggerezza in fondo al cuore, il suo viso mi ipnotizza spazzando tutti i pensieri cupi e malinconici. Le sue labbra sembrano un fiore. Mi è mancata così tanto che provo un’ irrefrenabile voglia di baciarla. Anche se è la mia migliore amica, nonostante la consideri come una sorella non riesco a togliermi dalla mente di baciarla. Mi chiedo se non sia quello che veramente voglio… Claudia non sarà tutta colpa tua? Un attimo prima di chiudere le palpebre e di avvicinare le mie labbra alle sue sento la voce di mia madre dalla cucina: “Ragazzi, è pronta la torta!”. 104 Abbasso lo sguardo improvvisamente, sorpreso dalla timidezza. Per un istante mi chiedo se Claudia abbia percepito i miei pensieri. Mi vergogno come un bambino. Sollevo nuovamente gli occhi e noto che neppure lei mi sta guardando, ma fissa il pavimento con un leggero sorriso… “Andiamo scemo” dice dandomi una spinta e scuotendosi dall’immobilità, “Non vorrai far aspettare la mamma?”. La osservo alzarsi con un bel sorriso e uscire dalla camera per dirigersi in cucina. Cammina a piedi nudi nella stanza. Guardo la sua figura longilinea fermarsi prima di dire: “Ti muovi?!” voltandosi indietro sulla soglia della porta. “Arrivo arrivo…” rispondo alzandomi con un lieve calore sulle guance. Claudia scappa via mentre tiro un lungo respiro di sfinimento, prima di imboccare il corridoio che porta in cucina. 105 9 E sono ancora qui Qui con le mie domande E sono ancora qui Cosa farò da grande? Gino Paoli Sigaretta… Torniamo in camera con ancora le briciole della torta sulle labbra. Briciole si fa per dire perché più che altro sono pinoli e cioccolato, ingredienti necessari per una torta Paesana. Mia madre è una vera maestra nel farla. Ne è la prova che due casalinghe vicine di casa sono arrivate quando hanno sentito il profumo, ed ora sono in cucina a mangiarla. Non vedo l’ora che arrivi stasera per divorarne un’altra bella fetta. Pochi minuti fa ho ricevuto una chiamata da Renzo, che mi annunciava il suo arrivo insieme a Massi. Tra poco saranno qua e la compagnia del Flagello vivrà un altro pomeriggio insieme, cercando di combinare qualche disastro come ai vecchi tempi. In attesa del loro arrivo io e Claudia torniamo in camera per mettere via i cd. “Vediamo se c’è ancora…” dico avvicinandomi alla scrivania. “Che cosa?” domanda lei. Apro un paio di cassetti frugando tra vecchi fogli e fotografie, lettere e biglietti di concerti finché lo trovo: un pacchetto di Marlboro ancora mezzo pieno. “Eccolo!” esclamo contento. “Ma è vecchissimo” dice Claudia avvicinandosi, “Non vorrai fumarne una, saranno tutte secche!”. 106 “E allora? Mica vanno a male” ribatto sfilandone una. Tiro fuori anche i Minerva rimasti nel pacchetto e la accendo, aspirando una lunga boccata di fumo. Comunque Claudia ha ragione, il pacchetto è davvero vecchio. E’ uno di quelli che non ha le odiose scritte a caratteri cubitali ‘Il fumo uccide’, ‘Il fumo invecchia la pelle’ e ‘Provoca malattie cardiovascolari’. Deve avere come minimo cinque anni. “Ahh, dopo la torta ci voleva!” commento soddisfatto mentre apro la finestra. “Certo che sei proprio strano” dice Claudia incrociando le braccia, “Non hai mai perso questo vizio di fumicchiare ogni tanto. Quante ne fumi al giorno? Anche a Milano lo fai?”. “Certo, anche a Milano. Posso fumarne una, come posso fumarne dieci oppure nessuna. Non è cambiato niente rispetto a quando abitavo qua”. “Ma non è ora di liberarti di questo vizio?” dice Claudia sedendosi sulla scrivania, “Non ti senti schiavo della sigaretta?”. “Come?” domando un po’ stupito. “Proprio tu che sei sempre alla ricerca della libertà” continua lei “Che ti vanti di essere indipendente!” dice accentuando la frase per prendermi in giro. “Fumare è una dipendenza bello mio, quindi non venire più a raccontarmi storie sulla tua fantomatica libertà” conclude con un ampio gesto delle mani, accennando un sorriso. Io resto a guardarla con un sopracciglio alzato, con la chiara intenzione di invitarla a proseguire. “Te ne sei andato per avere la tua libertà. Perché a Lassina ti sentivi imprigionato. Hai cambiato addirittura vita nel nome della tua libertà! Dai Luca, non mi puoi cadere su una sigaretta!”. “Hai finito?”. “Non ancora. Non sei credibile Luca. Ecco, adesso ho finito” dice concludendo la sua provocazione. “Bene” dico osservandola con cipiglio da professore. Dalla sigaretta lunghe spirali di fumo salgono fino al soffitto. Getto un po’ di cenere fuori dalla finestra. “Allora sappi che la libertà non sta nel fumare la sigaretta, ma nel decidere di fumarla”. 107 “Come?!” esclama Claudia divertita. “Dal punto di vista della libertà non c’è nessuna differenza tra chi fuma e chi no”. “Questa è bella! Cos’è, un’ altra delle tue assurde teorie? Un esempio della tua filosofia spicciola?”. “Può darsi”. “Ok, sentiamo cos’hai inventato questa volta” commenta incuriosita. Anni fa questi scambi di pensieri erano il nostro pane quotidiano. Io e Claudia parlavamo per ore provocandoci continuamente. Ed ora stiamo per confrontarci di nuovo. “Va bene, l’hai volto tu. Credo che quando il ‘Non fumatore’ dice al ‘Fumatore’ di essere schiavo della sigaretta, sia schiavo a sua volta. E’ schiavo del Non fumare! I non fumatori assolutamente convinti della loro causa, e che non hanno mai provato a fumare una sigaretta, sono schiavi della non sigaretta. Non sanno il piacere che prova il fumatore a gustarsi una bionda. A gustarsi quella vera, quella dopo il caffè, quella serale rilassato in poltrona. Si privano per scelta di provare a capire. Rifiutano il fumo a priori, perché fa male, e ne hanno ben donde. Ma sono schiavi anche loro della sigaretta! Nel senso contrario sono schiavi pure loro delle bionde”. “Ma tu non fai parte di nessuna delle due categorie” osserva lei. “Appunto. Il mio modo di fumare è strano ma libero. Io fumo una sigaretta ogni tanto, senza avere nessun tipo di vizio o dipendenza. Passo giorni, settimane o mesi senza toccare una paglia, ma poi nei momenti giusti so fumare e gustarne veramente il sapore, il momento, l’atmosfera che si viene a creare. Non posso collocarmi nella categoria fumatori ne in quella dei non fumatori. Al massimo sono un libero fumatore. Non sono schiavo della sigaretta, ma nemmeno dipendente dal proibizionismo che si è venuto a creare. Io fumo quando ne ho voglia, se ne ho voglia, sapendo quello che guadagno o che perdo. Non è la sigaretta che comanda me, sono io che la gestisco. E’ qualcosa che so che c’è e che se mi va posso prendere e apprezzare. Chi non fuma si perde un universo di sensazioni che non potrà mai capire. Ovviamente lo stesso concetto è ribaltato dal punto di vista del fumatore; i gusti sono più svegli, il fisico risponde meglio. Insomma, sia i 108 fumatori che i non fumatori si perdono qualcosa. Io credo di sapere apprezzare entrambe le caratteristiche. Ho imparato a fumare ma non sono mai riuscito a prendere il vizio. La so gustare e non la attacco a priori, non mi allontano davanti a lei. E’ una presenza che non mi dà alcun tipo di fastidio e che so apprezzare. Certo, se fossero tutti come me le multinazionali del tabacco andrebbero in rovina. Ma credo sia l’approccio migliore alla sigaretta. Dovrebbe essere fumata così. Un po’ come facevano gli indiani d’America con il Calumè della pace. Cioè come punto di incontro e piacere vero. Io sono un libero fumatore”. …e Libertà “Ecco dove volevi arrivare!” esclama Claudia seduta sulla scrivania con le gambe a penzoloni, “Volevi riuscire a dimostrare che sei libero anche usando le sigarette come esempio”. “Certamente”. “Non ti sembra che i tuoi ragionamenti siano un po’ complicati?”. “Affatto. Il rapporto che ho con la sigaretta non è nient’altro che la rappresentazione in miniatura della mia libertà. Claudia, io mi ritengo libero, o almeno tento di esserlo. Diciamo che ci sto lavorando. Appeso al mio petto c’è un cartello con scritto: “Lavori in corso. Libertà in costruzione”. E, come la maggior parte delle persone rifiuta, la definizione di libertà più semplice è anche quella più vera. Cioè Libertà vuol dire ‘Poter fare quello che si vuole’. Ovviamente la difficoltà sta nel capire se quello che si fa lo si vuole davvero, o si è condizionati dal mondo che si ha intorno, dalle situazioni e dalle circostanze. La definizione di libertà è semplice, ma essere liberi davvero è difficilissimo, quasi impossibile. Si è sempre dipendenti da qualcosa, anche se a volte non ci si rende neppure conto. Come il Non fumatore che è schiavo della sigaretta nel senso opposto; non sa neppure di esserne vincolato, eppure crede di essere libero. La libertà sta nel prendere davvero coscienza dei propri limiti e delle proprie paure e cercare di non farsi condizionare. O almeno essere consapevoli della propria limitata libertà. Una volta che si ha la 109 consapevolezza si è già fatto il primo passo verso la vera libertà. Ma la padronanza delle proprie azioni è facile; è la gestione del nostro pensiero che è difficile. Io mi sento libero perché cerco di capire in ogni momento, in ogni cosa che leggo, che sento e che vedo, cosa mi condiziona e cosa no”. “Ho capito Luca, ma se devi pensare in ogni istante a quello che fai, diventi matto, non riesci più ad andare avanti”. Rimango a guardarla con espressione da professore. Mi piace assumere questo atteggiamento di superiorità con Claudia, perché so che la faccio arrabbiare. Anche se lei è l’unica persona che può capire i miei astrusi ragionamenti, nonostante faccia di tutto per darmi contro. Ma ora stiamo più che altro giocando, cercando di rivivere i battibecchi di quando avevamo vent’anni. “Sì, ma la libertà tocca chiunque, Claudia. Tutti siamo liberi e tutti dobbiamo fare i conti con lei. Anche se bisogna saper distinguere chi è veramente libero da chi non lo è affatto”. “Cioè?”. “Non lo è necessariamente l’anarchico che va per il mondo senza avere una casa, assaporando ogni magia che può proporgli questa vita” dico agitando la mano “Ma può essere libero l’impiegato che si alza al mattino e va a lavorare sempre nello stesso posto da venticinque anni, che ha una famiglia, paga le tasse e rispetta sia le leggi dello Stato che della religione a cui appartiene. L’anarchico può essere pieno di paure di se stesso che lo fanno impazzire nel profondo, mentre l’impiegato può avere la mente libera e non farsi condizionare dal giudizio degli altri ma solo dal suo. Quest’ultimo può, solo dopo averci ragionato, decidere di essere devoto alla moglie e ad una vita relativamente ‘banale’, perché lo ha scelto davvero con la propria testa, e non perché gli è stato imposto dal mondo che lo circonda”. “Accidenti che paroloni, sei sicuro di quello che stai dicendo?”. “Certo. In pochi hanno scelto davvero la vita che stanno vivendo. Tutti crediamo che sia così, ma in realtà molto spesso ci accontentiamo, e consumiamo un’esistenza che comunque ci piace, convinti che era quello che volevamo. Ma come facciamo a sapere se era quello che desideravamo davvero? Molto spesso 110 viviamo la vita che ci hanno insegnato a vivere, conosciamo solo il mondo che ci hanno presentato. Come facciamo a sapere se era davvero quello che volevamo? Questo è uno dei motivi per cui me ne sono andato da Lassina cinque anni fa… Se assaggi una cosa e ti piace, non è detto che non ci siano altre cose squisite da provare. Ma a noi basta così, prendiamo quello che ci interessa e ce lo teniamo stretto. E magari perdiamo di vista una cosa che ci avrebbe fatto impazzire molto di più della nostra scelta. Oppure, ancora peggio, scartiamo subito una cosa che non ci piace, convinti che non faccia per noi, ma che magari, assorbita veramente, potrebbe essere quella che desideriamo davvero. Come un Cd che al primo ascolto non piace. Può darsi che col passare del tempo, con l’ascolto costante, ci piaccia veramente e ci faccia scoprire delle cose che con la nostra pigrizia avremmo rifiutato. Proprio dalle cose scartate possono nascere le sorprese più belle. Come il Non fumatore che rifiuta di provare una sigaretta. Magari potrebbe piacergli davvero e fargli provare rilassanti sensazioni. Ovviamente senza rimanerne schiavo. Bisogna prima tentare di capire il piacere che ne può derivare e poi prendere la decisione; che sarà veramente libera. Una decisione che rispecchia davvero il tuo essere e non nata per partito preso. La nostra vita spesso è vissuta per partito preso. C’è, eccola qua, viviamola, punto. Ma la libertà non è prendere quello che c’è, ma sapere davvero di volerlo prendere. La libertà è un ideale. La libertà è una condizione. La libertà è uno stato mentale”. “Mi stai facendo venire mal di testa”. “Dici?”. Lei sbuffando apre un’antina del mio mobiletto e afferra il dizionario. Sfoglia le pagine velocemente. E’ un Devoto Oli di quando eravamo alle medie, trova la parola Libertà e legge la definizione: “Senti qua: stato di autonomia essenzialmente sentito come diretto, e come tale garantito da una precisa volontà di coscienza di ordine morale, sociale, politico”. “E io cos’ho detto?”. 111 Mi osserva con sguardo di compatimento. “Va beh, ma di quello che c’è scritto lì non si capisce niente! Molto meglio il mio esempio con la sigaretta”. Claudia fa una piccola risata prima di dire: “Sei sempre il solito complessato del cazzo!” “Grazie” dico facendo un piccolo inchino, “E tu una studentessa di Oxford”. Ci guardiamo e sorridiamo. So benissimo che ha capito tutto quello che intendevo dire. Io e lei abbiamo sempre ragionato in simbiosi. E’ l’unica persona al mondo che mi potrebbe leggere nel pensiero, e qualche volta ho il sospetto che lo faccia sul serio. Com’è bella in questo momento… Il sole che entra dalla finestra le illumina il viso e le gambe nude, facendola sembrare una bambolina di seta. Il suo sorriso mi scalda come neppure cento soli saprebbero fare. Sento la porta di casa spalancarsi e due voci conosciute inondare il corridoio: “Salve signora, come va??”. “Ha fatto una torta vero? Abbiamo sentito il profumo fino in strada”. Renzo e Massi sono entrati senza suonare il campanello, bussando direttamente alla porta per farsi aprire da mia madre. Vogliono farmi fuori il dolce, ne ho la certezza. Da piccoli mi svuotavano il frigorifero, sbafandosi tutto quello che trovavano e lasciandomi a bocca asciutta. Ricordo che mi incazzavo come una bestia. E più mi incazzavo più loro mangiavano. “Ne volete una fetta?” chiede mia madre. “Ma certo signora”. “No mamma!!!” dico mentre scatto in corridoio. Claudia dietro di me ride divertita. Arriviamo in cucina appena in tempo per vedere Renzo e Massi con due enormi fette di torta in mano, chiaramente già morsicate. Sono così grandi che sembrano una bistecca fiorentina! Sul sottopiatto ci sono solo le briciole. 112 Claudia Massi e Renzo se la ridono sotto i baffi. Addio alla mia fetta serale. Fisso mia madre con sguardo accusatorio. Lei in risposta allarga le braccia dicendo: “Cosa dovevo fare? Dirgli che non potevano assaggiarla?”. Sì. Era proprio quello che doveva fare. 113 10 Ognuno vada dove vuole andare Ognuno invecchi come gli pare Ma non raccontare a me Che cos’è la Libertà! Francesco Guccini Nachos Il suono del clacson della macchina di Renzo mi dice che devo uscire: “Ciao Mà, io vado”. “Dove?”. “Non lo so, penso da qualche parte a bere” dico mentre mi infilo al volo una maglietta nera e apro la porta di casa. Renzo Massi e Claudia stanno aspettando in cortile. “Ciao Bagai” saluto sedendomi sul sedile posteriore con Claudia; Massi prende il posto del passeggero davanti, mentre Renzo afferra il volante della sua Grande Punto. Questa è una delle poche volte in cui vedo Renzo guidare la sua macchina d’estate e lasciare a casa la moto. Come al solito la serata è calda, e non potrebbe essere altrimenti in questo mese di Giugno. Anche se siamo tutti e quattro disoccupati, non troviamo il tempo (ovviamente per pigrizia) di programmare le nostre serate, quindi credo che anche stasera bighelloneremo per le strade della Brianza. “Allora che si fa?” chiedo a tutti. “Non ne ho la più pallida idea!” risponde Claudia con un sorriso. 114 “Ahh, che figata!” commenta Massi mentre Renzo ingrana la prima “E’ questo il bello, non sapere cosa fare. Oziare tutto il giorno in una eterna vacanza!”. Giriamo per qualche chilometro ascoltando musica e cercando di farci venire un’idea per la serata. Di fermarci al Bar di Claudia non se ne parla neppure: ci andiamo praticamente tutti i giorni ed abbiamo voglia di cambiare aria. Detoniamo ottani di benzina su strade sterrate, su e giù per le colline brianzole: qualche isolato lampione ci illumina la via, mentre passiamo accanto a case coloniche o ville con ettari di giardino. La Brianza nonostante sia poco raggiungibile dalle strade statali è una zona molto ricca. Qui ci abitano noti imprenditori lombardi che attirati dal verde e dalla tranquillità costruiscono il centro del loro impero, facendo prosperare la propria famiglia. Passiamo davanti a diversi locali per dare una sbirciata all’ interno cercando l’ispirazione. Ma nessuno di loro ci attira, così continuiamo a viaggiare accompagnati dalla musica dell’autoradio. Quando all’improvviso suona il cellulare di Massi: “Ciao Ale” dice Massi “Dove sei?”. Deve essere Alessandro, il “cognato” di Claudia. “Non stiamo andando da nessuna parte per ora” prosegue Massi “…dici davvero? Ma che storia, molto bene” commenta girandosi verso di noi; “Alessandro dice che al Nachos c’è la festa della Tequila. Ci sono dei tipi che servono da bere con l’imbuto. E’ una figata; che dite, andiamo?”. “Certo!” esclamo io intanto che Renzo fa inversione di marcia. “Alessandro è già lì?” chiede Claudia. “No, rimane al bar con tua sorella, ma ha voluto darci la dritta”. Massimo chiude la comunicazione mentre ci dirigiamo nel locale che ci hanno suggerito. Il Nachos si trova al confine fra tre paesi, e per raggiungerlo bisogna passare in mezzo a grandi campi di grano. Visto da lontano sembra una cascina lasciata andare, ma dentro è un locale enorme, con anche un palco dove si esibiscono i più svariati gruppi rock. Lo stile è quello messicano, ma al di là del tema che 115 l’accompagna è un locale al cento per cento, che serve qualsiasi tipo di bevanda. Parcheggiamo e scendiamo. All’interno i posti sono quasi tutti occupati e come previsto una band sta suonando dal vivo. Ci sediamo in un tavolino al centro del locale, notando i ragazzi della Josè Quervo che stanno passando in mezzo alla gente per servire tequila. Alessandro aveva ragione. Sono due ragazze e un ragazzo vestiti di rosso; quest’ultimo tiene tra le mani un imbuto gigantesco che infila direttamente in bocca alla gente, per poi rovesciare al suo interno la bevanda. Le ragazze tengono diverse bottiglie di tequila appese alla cintura. Li guardiamo affascinati per qualche momento, finché decidiamo di chiamarli. Dopo qualche minuto si avvicinano al nostro tavolino da quattro; Claudia si trova seduta di fronte a me, mentre Massi e Renzo sono ai miei lati. Subito Renzo chiede: “Come funziona sta storia? Come facciamo a ordinarvi da bere?”. La ragazza bionda inizia a rispondere, e adesso che la guardo così da vicino mi accorgo che è un pezzo di gnocca straordinario: “Dunque, per ordinare dovete solo alzare il braccio tenendo in mano il foglietto bianco della Josè Quervo, che vedete appoggiato sul tavolo” dice indicando i tagliandi davanti a noi. “Questo serve per far capire che non volete i camerieri del Nachos, ma volete noi. Dopodiché ci dite come volete bere, se nel classico bicchierino da Chupito, o direttamente dall’imbuto. E’ ovvio che con l’imbuto ve ne daremo di più”. “Quanto costa un’ordinazione?” chiede Massi. “Tre euro”. “Poco” commento io. “Dopo che avrete bevuto vi daremo un altro tagliandino bianco” dice la ragazza mora, anche lei molto bella, “E vi basterà sventolarlo di nuovo per chiamarci”. “E poi ci sono i premi” interviene il ragazzo con in mano l’imbuto. “Con la prima consumazione vi regaliamo un’agendina, con la seconda un accendino” spiega mostrandoci i regali che ha legato alla cintura. I gadget sono molto carini e colorati; intuisco 116 subito che con le nostre capacità alcoliche faremo man bassa di premi. “Va bene!” esclama Massi “Una tequila per me”. “Una tequila per tutti” dice Claudia con un largo sorriso. “Ok, come la volete?”. “Ovviamente con l’imbuto”. “Bene ragazzi, già mi piacete!” commenta il ragazzo cominciando ad allungare l’imbuto nella direzione di Renzo. Ci allarghiamo per fare spazio ed osservare meglio la scena. Il ragazzo fa alzare la testa al nostro amico e gli infila l’imbuto in bocca, mentre con l’altra mano comincia a suonare un campanaccio (tipo quelli che portano appesi al collo le mucche) che fa un fracasso assordante. Subito le due ragazze sfilano dalle cinture le bottiglie e cominciano a rovesciarle nell’imbuto. L’attenzione di tutto il locale adesso è rivolta su noi. Gli animatori della Josè Quervo sanno veramente fare il loro mestiere! Renzo comincia a deglutire in modo forsennato la tequila che gli arriva direttamente in bocca. La sua faccia assume espressioni di panico mentre beve a più non posso. La scena è veramente divertente, ed io Massi e Claudia ridiamo come pazzi nel vedere Renzo in difficoltà. “Olè!” esclama il ragazzo che leva l’imbuto dalla bocca del nostro amico e subito si avvicina a me. La scena si ripete, ed io mi trovo a bere quantità industriali di tequila a velocità supersonica, per evitare che mi si rovesci addosso se non dovessi riuscire a tracannarla tutta. Il che ovviamente avviene. Ma non perché non sia riuscito a berla, ma perché inevitabilmente qualche goccia ti lava quando l’imbuto si allontana. Comunque il tutto è estremamente divertente, e lo dimostro dando un cinque a Renzo appena finito di bere. I tre ragazzi poi si avvicinano a Massi che beve senza problemi, e a Claudia che prosciuga tutto come una spugna. I premi 117 “Bravi” dice la ragazza mora, “Eccovi le agende” e rovescia sul tavolo quattro piccoli libricini con stampato un bicchiere di Tequila. “E poi che premi ci sono?” chiede Claudia osservando il regalo appena ricevuto. “Se ci chiamate per cinque volte vincete il nostro cappellino” spiega il ragazzo indicando quello che ha in testa. “Bello!” dico, “Fai conto che sia già mio”. “Te lo auguro, ma guarda che cinque imbuti sono tanti”. “Non ti preoccupare” interviene Massi, “Se diciamo che riusciremo a prenderli ti conviene già metterceli in testa”. “Ha ha ha!”ridono le ragazze alla battuta di Massi, senza sapere che non è affatto una battuta. “E si vince qualcos’altro se beviamo ancora di più?” chiede Renzo. “Qualcos’altro?! Sì, quelle magliette della Josè Quervo laggiù” dice indicando dietro al bancone, dove ci sono appese delle maglie a maniche lunghe nere. “Ma quelle sono veramente difficili da vincere. Raramente riusciamo a regalarle, e di solito va a nostra discrezione, se vediamo che i clienti hanno veramente bevuto tanto”. Io Renzo Massi e Claudia ci guardiamo sogghignando; sappiamo benissimo che quelle magliette saranno nostre. Questi ragazzi della Josè Quervo non sanno con chi hanno a che fare. “E quello zaino di fianco alle magliette?” chiede Renzo “E’ vostro anche quello?” “Certamente”. “E cosa dobbiamo fare per vincerlo?”. “E’ impossibile” esclama il ragazzo “Nessuno lo ha mai vinto. Per portarlo a casa ne dovete bere di Tequila!”. “Esagerati” commento divertito. “E’ vero” continua la ragazza bionda “Da quando faccio questo lavoro non sono mai riuscita a regalarne neanche uno. E che io sappia nessun altro collega lo ha mai fatto. Quello zaino sostanzialmente è lì per bellezza; chi lo vuole davvero di solito se lo compra”. 118 “Ellamadonna!”. Ci guardiamo divertiti e al tempo stesso caricati, mentre i ragazzi vestiti di rosso si allontanano per servire altri tavoli. “Io dico che dobbiamo tentare” dice Massi divertito. “Certamente” risponde Claudia “Pensavi che ci saremmo arresi senza neanche provare?”. Tutti e quattro prendiamo il bigliettino bianco che ci hanno appena lasciato sul tavolo, ci guardiamo, e pronunciamo all’unisono le tre paroline magiche: “Pronti, partenza… Via!”. Alziamo tutti e quattro il braccio e diciamo ad alta voce: “Sete! Seteee!!” sventolando il talloncino bianco. Subito i ragazzi della Josè Quervo ci notano e appena finiscono di servire un tavolo si avvicinano a noi. “Eccoci qua” esclama la ragazza bionda che si avvicina servendomi per primo. In un batter d’occhio ogni membro della Compagnia del flagello beve dall’imbuto e si ritrova per le mani i famosi accendini. Ma appena i camerieri appoggiano sul tavolo i nuovi tagliandi li afferriamo e iniziamo a sventolarli come qualche minuto prima: “Seteee!”. Le ragazze ci guardano stupite di fronte a questa immediata ordinazione. “Accidenti, non scherzate voi” commenta il ragazzo mentre inizia a rimboccarsi le maniche per la nostra terza ordinazione. Le persone sedute ai tavoli intorno a noi cominciano ad osservarci con occhi curiosi, come se fossimo strani animali da alcool che possono essere tenuti a bada solo a sorsi di Tequila. Questa volta non vinciamo niente e i camerieri se ne vanno lasciandoci a mani vuote. Ci osserviamo in giro con aria allegra; adesso il locale è gremito di gente, ci saranno circa duecento persone intorno a noi. Il gruppo sta suonando del Dixieland come nella migliore canzone dei Dire Strates, quando si danno da fare i Sultani dello Swing. La cantante vocalizza come una vera professionista mentre noi ci rendiamo conto che la tequila comincia a fare effetto. Mi accorgo che la faccia di Renzo si muove troppo velocemente, non è più stabile, e rido anche per le battute più stupide. I sorrisi si fanno larghi e spontanei anche per i miei tre compagni di tavolo, e per non perdere il ritmo ordiniamo un’altra 119 tequila. I camerieri arrivano e ci versano da bere, accorgendosi che il loro lavoro sta facendo effetto; cominciamo a parlare ad alta voce rispondendo alle loro battute in modo troppo accentuato. Non siamo ancora ubriachi (dopo solo quattro giri di tequila sarebbe umiliante) ma diciamo che stiamo viaggiando ad alta velocità sui binari dell’allegria. I nostri vicini di tavolo ci osservano divertiti, cominciamo ad attirare l’attenzione. All’improvviso Massi alza la mano con il tagliandino e comincia a sventolarlo: “Sete!”. Subito lo seguiamo ordinando anche noi: “Seteee!”. Siamo a cinque ordinazioni, con questa giungiamo al traguardo del cappellino. I tre ragazzi arrivano sorridenti: “Finalmente possiamo dare il cappello, bravi!” dice il ragazzo, “Vi và di fare un po’ di spettacolo, così animiamo la serata?”. Naturalmente la nostra risposta è affermativa, ma non riusciamo a darla, perché i camerieri passano subito all’azione. La ragazza bionda mi viene vicino, mentre il suo collega suona il campanaccio più forte del solito per attirare lo sguardo di chi è seduto. “Sei pronto per giocare con me?” dice a bassa voce ponendo il suo viso davanti al mio. A questa distanza mi accorgo che è veramente bellissima; il suo volto giovane e pulito fa da cornice perfetta agli occhi azzurri che mi guardano curiosi. All’improvviso prende la bottiglia di tequila e se la versa direttamente in bocca, allungando il braccio per una lunga scia col liquore. “Guarda che dovevo berla io!” esclamo divertito, mentre anche i miei amici osservano con occhi allegri. Immediatamente la ragazza smette di versare il liquore e tenendoselo in bocca si dirige verso di me. Si avvicina finché le nostre labbra si uniscono, e inizia a rovesciare la tequila dalla sua bocca alla mia. Ho gli occhi spalancati per lo stupore! Sento un commento inconfondibile di Massi: “Ellamadonna!”. Quando finisce di travasarla mi fa un larghissimo sorriso. Rimango come un fesso ad osservarla con la bocca piena di tequila. Deglutisco mandando giù tutto in un colpo solo, mentre 120 una gocciolina di sudore mi scende dalla tempia come nei fumetti giapponesi; praticamente non sento la tequila bruciarmi nella gola. “Olee!!” Parte un applauso dai nostri vicini di tavolo mentre sento Renzo commentare: “Ma cazzo! Tutte a lui capitano!!”. Claudia è rimasta a bocca aperta per lo stupore ed osserva la bionda con sguardo incredulo. Il ragazzo della Josè Quervo intanto ha sentito il commento di Renzo e si avvicina a lui con fare sospettoso. Si versa in bocca una robusta dose di Tequila e fa per versarla direttamente in bocca a Renzo: “Se ci provi t’ammazzo!” dice Renzo puntandogli il dito contro. Tutti scoppiamo a ridere e il cameriere manda giù facendo nuovamente suonare il campanaccio. I tre ragazzi ci versano da bere per la quinta volta e ci regalano i cappellini. “Ve l’avevamo detto che li avremmo vinti” commenta Massi soddisfatto prima che i camerieri ci lascino per andare a servire altri tavoli. Ora la faccenda è peggiorata. Sento l’alcool prendermi alla testa e il sorriso che ho stampato sulle labbra sembra incollato. Giochi esagerati Non riesco ad essere serio, tutto è tremendamente divertente ed ogni battuta di Massi è geniale, degna di essere presentata allo Zelig. Eppure tutti e quattro siamo ancora abbastanza lucidi, non siamo arrivati ai nostri livelli. Anche se non credo manchi molto… Soprattutto dopo che ordiniamo la sesta consumazione, poi la settima… fino a perdere il conto. “Seteee” diventa la parola d’ordine della serata. La Compagnia del flagello è diventata l’attrazione del locale, ed i proprietari cominciano a lanciarci occhiate inquietanti. Siamo lanciati alla massima velocità; Claudia canta a squarciagola tutte le canzoni che propone la band, Massi è piegato dal ridere sulla spalla di Renzo il quale nell’ultimo giro ha fatto lo 121 shampoo con la tequila. Vedo Claudia ciondolare paurosamente; la testa mi gira come da tempo non capitava. Eppure indomiti e invincibili ordiniamo ancora sventolando il talloncino bianco! I tre camerieri vestiti di rosso si avvicinano e dai loro sguardi intuisco che vogliono continuare a giocare con noi. “Alzati dai” mi dice la ragazza bionda prendendomi per un braccio. Credo proprio che mi abbia preso in simpatia, visto che viene sempre da me. Appena in piedi mi infila le mani sotto la maglietta e fa per togliermela: “Che fai?!” le dico biascicando. Lei al posto di rispondere mi spinge per terra e mi fa sdraiare, sedendosi poi sopra di me. Mi sfila la maglietta e rimango a petto nudo sul pavimento. “Ma sei impazzita!” le dico coprendomi istintivamente con le mani “Mi vuoi far prendere la polmonite?”. A queste parole scoppia una risata generale; mi accorgo di essere circondato da persone che guardano divertite. Massi si tira una gran pacca sulla fronte come per sottolineare l’immensa cazzata che ho detto. La ragazza si versa nuovamente della tequila in bocca e la travasa nella mia esattamente come prima. Scatta l’applauso dei presenti! Mi alzo da terra e vedo che l’altra tipa sta facendo la fontanella spruzzando dalla sue labbra direttamente nella bocca di Massi, ed il cameriere fa la stessa cosa con Claudia… Non so se è a causa dell’alcool, ma sento che quest’ ultimo gesto mi dà parecchio fastidio… Decido di lasciar perdere e cerco di coprirmi, mentre vedo che i ragazzi della Josè Quervo vanno a prendere le magliette a maniche lunghe. Arriva la ragazza bionda che mi aiuta ad indossarne una facendomi i complimenti. Ecco perché mi aveva spogliato! Sapeva già che mi avrebbe regalato la loro T-shirt! “E vai” commenta Massi dando un cinque a Claudia. Ci sediamo nuovamente e questa volta siamo davvero ubriachi! Abbiamo perso il conto di quanta tequila abbiamo bevuto. Però il nostro tavolo è pieno di gadget e cappellini, siamo riusciti a mantenere le promesse. Ma per pazzia o per autodistruzione alziamo ancora la mano e gridiamo: “Seteee!”. 122 Sento quelli del tavolo di fianco commentare con un lungo “Ooh”. Mi rendo conto che questa è follia, ma non ne ho ancora abbastanza. Il mio personale limite di resistenza non l’ho ancora superato e a quanto pare nemmeno i miei amici. I camerieri tornano dopo alcuni minuti per continuare con i loro giochetti. Ormai non mi fa neppure effetto la bionda che mi salta sopra, e loro non sanno più cosa inventare. Continuiamo a bere come delle macchine! Non abbiamo limiti! La Compagnia del flagello non è affatto cambiata. Stiamo facendo una confusione incredibile, tutta l’attenzione del locale è su di noi. I camerieri dopo l’ennesima ordinazione sono disperati ed inventano un gioco estremo; ci fanno alzare in piedi e ci mettono davanti al bancone del bar. “Ragazzi, vi diamo da bere doppio se qualcuno di voi va sul palco e grida nel microfono ‘Super Tequila!’”. “Cosaa!?!”. “So che ce la potere fare!”. “Tu sei matto” diciamo al ragazzo. “Dai che ci divertiamo! E dovete farlo a petto nudo con il mantellino della Tequila!”. “Ma non se ne parla proprio!”. Passano i successivi minuti cercando di convincerci a fare questo numero da circo, mentre noi rifiutiamo tra una risata e l’altra. Ovviamente Claudia non lo può fare, perciò insistono con me Renzo e Massi. Ad un certo punto la cameriera bionda si avvicina ed inizia a strusciarsi: “Dai, vai a farlo, che ti costa?” dice a mezzo centimetro dalla mia faccia. Mi infila le mani sotto la maglietta e fa per sfilarmela: “Ancora? Ma allora è un vizio!” dico ridendo. Però la mia forza di volontà è praticamente nulla, e in men che non si dica mi ritrovo a petto nudo con il mantellino della tequila sulle spalle. “Bravo, così mi piaci” dice lei. Improvvisamente mi accorgo che sono circondato da persone che vogliono vedere la scena. “Vai, vai!” sento incoraggiamenti da tutte le parti. “E va bene” sbotto ubriachissimo e con la vista annebbiata. 123 Non posso deluderli! “Pronti, partenza… Via!” dico, mentre inizio a correre tra i tavoli cercando di raggiungere il palco. Ci arrivo. Inciampo in uno scalino. La cantante mi guarda impaurita. Mi alzo, le strappo il microfono dalle mani, e grido con tutta la voce che ho: “Super Tequilaaa!”. I musicisti smettono di suonare. Si fa un silenzio di tomba. Io, a petto nudo, con il microfono in mano, davanti a tutto il Nachos che mi guarda. Improvvisamente parte un applauso pazzesco! La gente si alza sulle sedie sbellicandosi le mani. Mi sento l’eroe della serata. Ma che immensa figura di merda! “Bravo! Bravo!” gridano i clienti e gli amici ancora davanti al bancone. Vedo Renzo che non ce la fa più dal ridere, mentre Claudia è praticamente sdraiata su un tavolo dalle ghignate. Scendo dal palco barcollando e li raggiungo, intanto che il gruppo riprende a suonare. I ragazzi della Josè Quervo ci fanno i complimenti, anche loro agitati e contenti per l’impresa che ho appena compiuto. Subito ci danno da bere due tequila bum-bum a testa, e stavolta al brindisi si uniscono anche loro vuotando tutte le bottiglie che sono rimaste. “Alla vostra!” dicono picchiando sul tavolo il bicchiere. Che serata ragazzi! Erano anni che non mi divertivo così! Come se non bastasse il cameriere se ne va per tornare dopo pochi secondi con i due zaini che c’erano appesi al muro: “Questa è una serata storica!” dice “Avete vinto lo zaino. E non ve ne regaliamo uno solo, ma tutti e due! Non ho mai visto nessuno bere come voi”. “Siamo i migliori!” urla Claudia salendo in piedi sulla sedia. Noi la seguiamo con grida da stadio, mentre prendiamo gli zainetti come se stessimo ritirando la medaglia d’oro alle olimpiadi. I 124 proprietari del locale ci guardano malissimo, stiamo facendo un fracasso infernale. Claudia per poco non scivola dalla sedia, ma riesco ad afferrarla in tempo prima che si sfracelli per terra. Ovviamente è ubriaca, ed ha le guance così rosse che sembrano peperoni. Anche Massi e Renzo non sono da meno. Riempiamo la nostra ultima vincita con tutti i gadget che ci hanno dato, mentre i tre camerieri se ne vanno. Eppure non è ancora finita! Come eroi nell’epoca del Mito alziamo il braccio e chiamiamo a gran voce: “Seteee”. Il talloncino bianco stavolta non ce l’hanno lasciato, non credevano potessimo giungere a tanto! I ragazzi della Josè Quervo, che hanno finito di lavorare e si stanno cambiando, ci vedono e si mettono le mani nei capelli. Uno dopo l’altro li vediamo avvicinarsi al nostro tavolo strisciando sulle ginocchia: “Vi prego, basta! Non abbiamo più niente”. E’ incredibile, non credevo potessero supplicarci! Un’ondata di trionfo squarcia il velo di alcool che c’è in noi e fa dire a Renzo: “Meno male che ne dovevamo bere di Tequila! E che vincere uno zaino era impossibile!”. “Che scarsi, andiamo a bere da qualche altra parte” dico io. “Certo” dice Massi barcollando mentre si alza raccogliendo le sue cose. Sostenendoci l’un l’altro, ma fieri come leoni, attraversiamo il locale e usciamo. “E adesso dov’è la macchina?” chiede Renzo. “Di che colore è?” domanda Claudia. “Boh!” rispondo scoppiando a ridere. Tutti e quattro camminiamo a zig zag ridendo come pazzi alla ricerca della Punto; ormai non saprei riconoscere un Caterpillar da un’Ape Piaggio. Eppure miracolosamente ci arriviamo; gettiamo gli zaini nel portabagagli e ci sediamo all’interno. Io e Claudia ci svacchiamo dietro mettendoci spalla contro spalla, flosci come due molluschi. 125 Stracciati Renzo appena accende il motore si gira a guardarci e con occhi strabici commenta: “Ragazzi, se arriviamo a casa stavolta è un miracolo”. “Guida cazzo!” implora Massi. La tequila ci ha ucciso. Era facile fare i grandi quando eravamo nel locale, ma ora che siamo fra di noi giungono a galla le prime verità. E cioè che se non arriviamo al più preso a casa domattina ci sveglieremo in un fosso. Renzo parte e grazie a chissà quale prodigio guida dritto. Anche se dopo appena un minuto lo vediamo abbassare il finestrino e cacciare fuori completamente la testa: “Sei impazzito?” grida Claudia. “Lasciatemi stare! Devo respirare altrimenti non ce la faccio”. Io rido per non piangere, mentre le ruote percorrono la strada che ci porta a Lassina. Dopo qualche minuto Claudia chiede di fermarsi e senza pensarci due volte apre la portiera, scende e sbocca nel prato! “Blea!” commenta Massi disgustato. Esco anch’io cercando di soccorrerla, ma appena mi avvicino sento un incredibile odore di acido alla fragola e torno subito in macchina. Claudia strisciando rientra in auto appoggiandosi a me e respirando rumorosamente. Renzo riparte piano, questa volta lasciando cadere nella vettura un minaccioso silenzio. E’ la famosa quiete prima della tempesta. Tutti e quattro stiamo male, e probabilmente questa notte la passeremo con la testa nel water! Arriviamo dopo parecchio a Casa di Claudia: ovviamente è lei la prima che porteremo a dormire. “Claudia… Hey Claudia” le dico cercando di sollevarla. “Mpf” risponde con un mugugno accasciandosi di nuovo su me. Mentre cerco di svegliarla Renzo schizza fuori dalla macchina e va a vomitare davanti al cancelletto del signor Motta. 126 “Che bella serata” commento, ma non faccio in tempo a finire la frase che Massi scende a va a rigettare su un panettone di cemento. “Bingo!” dico, mentre inizia a salire la nausea anche a me. Cerco di non pensarci e afferro Claudia sotto le ascelle portandola fuori dall’autovettura. Renzo e Massi si avvicinano e pallidi come mozzarelle mi chiedono: “Muoviti a portarla dentro, ti aspettiamo”. “Non vi preoccupate, torno a casa a piedi”. “Sei sicuro?!”. “Sì, abito a due passi. E poi devo camminare, se no sto male”. Non se lo fanno ripetere due volte, ingranano la prima e con un colpo di frizione da galera se ne vanno. Siamo rimasti soli io e lei, che si è addormentata sulla mia spalla. Tiro un bel respiro e la sollevo prendendola in braccio. Questo sforzo mi fa riprendere un po’ di lucidità. Arrivo sulla soglia di casa e cerco di suonare il campanello tenendola sollevata. Dopo qualche secondo vedo che si accendono le luci del corridoio, e la porta si apre mostrandomi i suoi genitori assonnati e in pigiama: “Marta… Luigi…” dico salutandoli. “Luca…” rispondono. “Quanto ha bevuto?” chiede Luigi mentre varco la soglia. “Niente, ha solo preso freddo”. “Se, se… Come al solito….” dice lui. Sa benissimo che è ubriaca. E’ solo l’ennesima volta che la porto a casa in braccio e nel cuore della notte. Sanno che sarebbe inutile fare discussione; probabilmente gli faranno una testa così domani mattina. “La porto in camera…” dico percorrendo il corridoio. “Certo” annuisce sua mamma. Giungo davanti al letto di Claudia e la adagio delicatamente sul materasso. Sua madre le sfila le scarpe coprendola poi con un lenzuolo. La stanza è buia, ci siamo solo io e Marta perché Luigi è tornato a dormire. Osservo Claudia sotto il lenzuolo. Sembra così fragile quando dorme; in questi momenti è più bella che mai. Il silenzio è interrotto solo dal suo respiro regolare. 127 “Ti ha aspettato tanto…” dice Marta sussurrando. “Lo so…” rispondo con un leggero groppo in gola che chissà da dove è arrivato. Marta ha gli stessi occhi di Claudia, e come lei mi conosce da sempre; è come una seconda mamma per me. Le do un leggero bacio sulla guancia e le dico: “Vado Marta, domani passo a vedere come sta…”. Mi accompagna alla porta e dopo qualche minuto mi ritrovo in strada in una calda notte d’estate. Ormai la nausea è sparita anche se mi gira vorticosamente la testa. Ripenso a questa incredibile serata, anche se le uniche immagini che ho davanti agli occhi sono quelle di Claudia che dorme. E sento ancora le parole di sua madre che dicono: “Ti ha aspettato tanto…”. Lo so, non ne avevo alcun dubbio. Eppure ho sempre cercato di non pensarci; come mai adesso provo questa sensazione strana? Come un leggero senso di colpa… Scuoto la testa cercando di cacciare via i pensieri, ma Claudia resta fissa come mastice nella mia testa. E barcollando ritorno a casa sotto la luce della luna, che stanotte sembra splendere più che mai. 128 11 Per gli amici butto giù grappa, birra e fumo quello che c'è Clandestino The day after Apro la porta del Bar Lassina con un leggero mal di testa. Non sono ancora riuscito a smaltire la Tequila di ieri sera, ma d’altronde posso ritenermi fortunato di essere in piedi. Ho saputo che Renzo e Massi hanno vomitato tutta notte, mentre io ce l’ho fatta a non dare di stomaco. A quanto pare non è stata una grande idea, perché adesso loro sono in forma al contrario di me che mi ritrovo ancora in coma. All’interno del bar c’è una gran confusione; vedo Renzo in fondo al locale, seduto di fianco a Francesca, che mi saluta agitando la mano. Poi riprende a parlare ai ragazzi che stanno con lui, alzando un braccio al cielo in una perfetta imitazione di Superman quando vola. Credo che questo bastardo stia imitando le mie gesta di ieri sera, quando sono salito sul palco e ho gridato ‘Super tequila!’. Infatti tutti i presenti esplodono in una fragorosa risata guardando nella mia direzione. Accenno un timido saluto prima di vedere Alessandro seduto su una panca alla mia sinistra; è grazie a lui se ieri sera ci siamo ubriacati. “Ueilà Ale!” saluto raggiungendolo. “Ciao Luca” risponde “Ho saputo della performance di ieri, siete proprio malati”, commenta mentre mi siedo accanto a lui. 129 “Lascia stare” ribatto “Ho ancora un mal di testa da competizione. Non so se ringraziarti o mandarti a quel paese; sicuramente la serata entrerà nella leggenda (visto che Renzo sta già spargendo la notizia), ma erano anni che non stavo così male”. “Giulia mi ha detto che hai portato a casa Claudia in braccio” dice. Alessandro probabilmente sa già tutto, visto che è il fidanzato della sorella di Claudia. “In piena notte! Marta aveva una faccia così addormentata che sembrava di cartapesta. Non oso pensare quante gliene avrà dette stamattina”. “Ha ha” ride “Mi sarebbe piaciuto esserci. Soprattutto per vedere te a petto nudo gridare “Viva la tequila!” ”. “Super Tequila” puntualizzo “Se devi raccontare la mia figura di merda almeno raccontala bene”. Bip! Bip! Suona il cellulare di Alessandro. Lo vedo rovistare nel marsupio e tirare fuori il videofonino. Osservo Renzo da lontano fare ancora gesti nella mia direzione; probabilmente starà di nuovo raccontando la nostra avventura al Nachos. Di Massi e Claudia neanche l’ombra; c’eravamo dati appuntamento qua ma saranno un po’ in ritardo. “Ciao Anna!” sento dire ad Alessandro. E’ una videochiamata perché Ale guarda il telefono al posto di appoggiarlo all’orecchio. “Oh cavolo, come stai?!” gli sento dire. Non posso fare a meno di ascoltare la sua conversazione visto che mi trovo a mezzo metro da lui, perciò dopo qualche minuto decido di intromettermi (la mia curiosità non ha confini!). “Ciao” dico guardando il videofonino “ Il mio nome è Luca”. Mi appoggio sulle spalle di Alessandro e vedo nello schermino una ragazza a dir poco meravigliosa! Capelli lunghi biondi e lisci, un viso perfetto e due occhi azzurri come acqua. Per poco non mi mancano le parole… “Scusa sai, ma Ale non presenta mai le belle ragazze agli amici”. La osservo ridere. A mia volta guardo Alessandro e mi chiedo come possa conoscere una ragazza così incredibile. 130 “Lui è Luca, un mio amico di vecchia data. Luca, questa è Anna”. “Ciao Luca” dice lei con un sorriso. Prima che possa strappargli il telefono dalle mani per continuare la conversazione con Anna decido di allontanarmi: “Ora me ne vado e vi lascio soli” dico “Poi questa me la spieghi…” sussurro nell’orecchio di Ale mentre mi allontano. Lo osservo assumere un leggero colorito rosso prima di alzarsi ed andare fuori dal locale. Ma tu guarda Alessandro, penso tra me e me; sembra che veda soltanto Giulia e invece…. “Avvicinati Luca!” grida Renzo dal fondo della sala, mentre mi accorgo che entrano anche Massi e Claudia. Subito Claudia mi salta sulla schiena imprecando: “Sei il solito stronzo, non potevi entrare dal retro per portarmi a casa?”. “Che bel ringraziamento!” dico con voce soffocata dal suo braccio che mi stringe il collo. “Stamattina i miei mi hanno fatto una testa così! ‘Sei una disgraziata, hai quasi trent’anni, devi mettere le testa a posto….’, e tutto grazie a te che li hai svegliati!”. “Ma pensa! E come potevo fare? Tu eri addormentata ed io così ubriaco da non riuscire neppure a camminare. La prossima volta ti lascio in strada”. Ovviamente sta scherzando visto che lo dice con il sorriso sulle labbra, ma deve essere vero che Marta l’avrà sgridata per bene. Saluto Massi avvicinandomi a Renzo; avevo ragione, tutti sanno già delle nostre gesta di ieri sera. I commenti che sento più spesso sono: “Siete pazzi”. “E’ un miracolo che siete vivi”. “Avrebbero dovuto fermarvi”. “Luca, hai fatto una immensa figura di merda”, dice Zanzi con la sua naturale sincerità. Lucia è così scioccata da quello che abbiamo fatto che continua a rimanere a bocca aperta senza proferir parola. Incalzato dalle domande stavolta tocca a Massi ripetere tutta la storia, mentre ci sediamo al tavolo insieme ai nostri amici. 131 Dopo qualche minuto arriva Giulia portandoci le birre, posa una media davanti a me e dice: “Lo sapevo che dovevo cominciare a preoccuparmi. Da quando sei tornato il paese non è più tranquillo…”. “Io?!? Guarda che non ho fatto proprio niente, sono le circostanze che mi fregano!” sbotto convinto che sia la verità. Ma Giulia rassegnata non ci crede, e scuotendo la testa si volta e torna in cucina. Dopo mezz’ora mi guardo in giro cercando Alessandro che non è ancora tornato. “Claudia” dico “Esco a cercare Ale”. Mi alzo prendendo la birra e me ne vado. Alessandro Prima però faccio tappa davanti al bancone: “Isa, mi fai una media chiara per piacere?”. “Subito” dice la ragazza prendendo un bicchiere e spillando il denso liquido ambrato. “Grazie”. Con in mano due boccali esco all’aria aperta inspirando il caldo profumo dell’estate. La sera è limpida, non ci sono nuvole e l’acqua del laghetto brilla come se fosse punta da migliaia di spilli bianchi. Cerco Alessandro con lo sguardo e lo vedo seduto su di una panchina di legno, lontano dalle luci del Bar. Mi avvicino lentamente, curioso come non mai di sapere la causa di questo strano comportamento. “Birra?” chiedo una volta che l’ho raggiunto. Lui alza la testa e dice: “Certo, ti ringrazio”. Mi siedo accanto a lui; facciamo tintinnare i bicchieri in un brindisi e trangugiamo un lungo sorso. “Come mai non vieni dentro?” dico. “Non mi va… E poi ho già sentito la vostra avventura di ieri sera”. Dalla tasca tira fuori un pacchetto di Marlboro e ne accende una. “Ne offri una anche a me?” chiedo. 132 “Certo” risponde lui allungandomi il pacchetto, “Fumi ancora a intermittenza?”. “Sì, non riesco a prendere il vizio”. “Beato te”. “Chi era la ragazza al telefono?” chiedo diretto più che mai. Alessandro sorride e risponde: “Certo non si può nascondere nulla a te, forse è per questo che sei così bravo in radio, quando ascolti la gente… E’ una ragazza che ho conosciuto diversi anni fa al mare”, inizia a raccontare. “Penso sia stata una delle esperienze più belle che mi siano mai capitate”. “Ma stavi con Giulia in quel periodo?”. “Sì, era già la mia ragazza”. “Ma… l’hai…. Cornificata?”. Sorride di nuovo a questa domanda. “Non nel modo che pensi tu, e comunque secondo me no. Ma non credo abbia importanza”. “Vai avanti”. “Abbiamo incontrato questa compagnia di ragazze, di cui Anna faceva parte. A lei sono piaciuto subito e mi ha provocato tutta l’estate”. “Ma dai?!”. “Già! Da non crederci vero?! Sta di fatto che non ho mai provato a darle corda pur piacendomi moltissimo anche lei. Stavo con Giulia, non potevo farle questo torto. Eppure, alla fine della vacanza… Insomma… Mi sono accorto che provavo qualcosa per Anna. Non so, era una sensazione strana. Ad un tratto non potevo più fare a meno di lei”. “Accidenti, e Giulia lo sa?”. “Sì, anche se non le ho raccontato tutti i particolari” fa una smorfia d’intesa pronunciando questa frase. “Ero confuso, non sapevo cosa volevo. Ma per la prima volta nella mia vita mi sono guardato dentro e ho deciso di essere sincero con me stesso. Non potevo negare questi nuovi sentimenti che stavano nascendo. Così ho deciso di affrontarli e di buttarmici completamente. Di mettere in gioco la mia vita e tutte le certezze che avevo avuto fino a quel momento”. Fa una lunga pausa prima di riprendere. “I quei giorni al mare ho deciso di stare con Anna”. 133 Resto allibito per alcuni secondi. Non credevo che Alessandro potesse compiere un gesto del genere. L’ho sempre visto con Giulia, loro sono la coppia che da più tempo conosco. Non ricordo neppure quando è iniziata la loro relazione, forse sono insieme da sempre. “E come è andata a finire?” chiedo. “Nel modo che tu conosci” dice “ Sono tornato da Giulia. Ho preso le mie responsabilità ed ho lasciato andare la storia con Anna. E ti assicuro che è stato il passo più difficile che ho compiuto da quando sono vivo. Mi sono affrontato, mi sono guardato dentro e ho scelto. Giulia era la mia vita, è sempre stata la mia vita. Ho superato un muro, una barriera che mi bloccava e che non mi faceva andare avanti. Da quel momento sono stato più sicuro di me stesso; so ciò che voglio, diciamo che ho fatto il primo passo verso una nuova esistenza. Ho scelto Giulia, ma non ho dimenticato Anna. Non ci vediamo più, ma è sempre rimasta dentro me. Stare con lei mi ha fatto crescere”. Rabbrividisco di fronte a questa parola. Alessandro lo nota e prosegue: “Lo so che ti dà fastidio, anch’ io sono come te, vorrei che il tempo si fermasse. Ma non è possibile. Però grazie a questa storia ora sono più responsabile. Tutti i dubbi che avevo su Giulia e sul mio futuro li ho spazzati via. Ora convivo con lei, ho una casa, due lavori di cui vado fiero e mille progetti per la testa. Non ho più paura di me stesso. Non ho più paura di me stesso….”. Mi osserva mentre pronuncia questa frase. “Mi capisci?” chiede. “Credo di si” rispondo. Sorseggiamo ancora birra in silenzio; le luci del bar ci illuminano debolmente. All’improvviso mi chiede: Paura di me “E tu cosa vuoi?”. “Come??”. 134 “Tu cosa vuoi?”. “In che senso!?”. “Sai benissimo in che senso Luca, non fare il finto tonto”. “Non capisco cosa vuoi dire”. “C’è sicuramente un motivo per cui sei tornato a Lassina… E non raccontarmi la solita storia che è stato il tuo capo a volerlo” dice prima che possa interromperlo. “Sappiamo bene entrambi che hai lasciato qualcosa in questo luogo, e che non saresti stato in pace con te stesso finché non avresti risolto i problemi che avevi qui dentro” dice toccandosi la fronte. Sento che Alessandro tocca corde sensibili, perché in fondo allo stomaco avverto che si muove qualcosa. “Luca” continua sorseggiando birra “Cinque anni fa sei fuggito da un paese di seimila abitanti. Ma scappare da una realtà così piccola è come fuggire da te stesso. E credimi se dico che da te stesso non scappi neppure se ti chiami Carl Lewis . Ma tu non sei un corridore, sei solo un ragazzo confuso, e lasciamelo dire, anche spaventato”. “Spaventato io?! E da cosa?” rispondo con enfasi. “Dalla tua vita” dice lui. “Non sei ancora riuscito a capire cosa vuoi”. “So benissimo cosa voglio!”. “Ah sì?” continua “E dimmi, sei voluto restare a Milano tutto questo tempo senza farti vedere perché l’hai voluto tu, o perché avevi paura di questo paese? Magari di qualcosa in questo angolo di Brianza che non riuscivi ad affrontare? Forse le tue radici, la tua esistenza che non hai mai compreso e che hai trascinato come un peso morto sulle spalle. Altrimenti non capisco come non ti sia mai fatto vedere fino ad ora. Nessuno ti era così nemico da costringerti ad allontanarti in questo modo, a meno che il nemico non fossi tu stesso. Fermami se sbaglio…”. “N-Non so…” dico cercando le parole. “Hai sempre combattuto contro tutto” prosegue incalzante “Ogni tuo gesto era di ribellione; questa vita ti stava stretta e distruggevi qualunque cosa ti capitasse sotto mano. Quando avevi vent’anni lo potevo capire, ma ora no. Adesso c’è qualcosa che non 135 funziona. Secondo me non sei ancora a posto dentro e vaghi sempre nell’incertezza”. “Su questo punto credo che ti sbagli”. “Può darsi, ma cos’hai di veramente fisso nella tua vita? Pensaci bene… La radio è un lavoro bellissimo, ma come hai detto tu è un saliscendi continuo. Un giorno ci sei e quell’altro puoi ritrovarti per strada. Non è il tuo caso perché so che sei in gamba, ma è comunque un lavoro instabile, che non può essere un paletto fermo dove appoggiarsi. Il mondo della musica, dove stai cercando di entrare, è altrettanto variabile. E non dirmi che la relazione con la Agrati è seria e duratura!” Sto quasi per alterami quando pronuncia il nome di Ilaria, ma dopo un sospiro mi fermo a riflettere, ben sapendo che Alessandro ha ragione. “Vedi” continua “Vale ancora il proverbio che gli amici ti conoscono meglio di quanto tu conosca te stesso”. Fa un sorso di birra. “Quindi non credo che tu sia a Lassina perché sei stato costretto, ma perché in fondo lo volevi davvero. Sono convinto che prima o poi saresti tornato da solo, perché un giorno o l’altro avresti dovuto affrontare le tue paure, quel Luca Nudo che vedi allo specchio tutte le mattine, e che hai nascosto sotto gli abiti dell’intrattenitore”. Fa un sospiro per poi aggiungere: “E quindi ti chiedo ancora: tu cosa vuoi?”. Resto in silenzio per un attimo: “Accidenti come parli bene” dico. “Sei anni di psicologia saranno serviti a qualcosa…”. “Sembra proprio di sì”. “E pensa che di solito la gente mi paga” sorride, “Ma credimi, queste parole te le avrebbe dette anche un amico qualsiasi, non necessariamente un esperto”. “E’ vero, Claudia me le dice da sempre”. “Appunto Claudia” prosegue, “Hai finalmente capito chi è per te?”. “Un’amica ovviamente”. “Sei sicuro?”. “Sì”. 136 “Chi è l’unica persona a cui hai pensato in tutti questi anni? Chi è che non hai mai dimenticato e che probabilmente è il motivo del tuo ritorno?”. “Ma…”. “Non rispondermi subito, se mi dici che Claudia per te è un’amica io ci credo, vi conosco da talmente tanto tempo… Ma vorrei che ci riflettessi di più. Sia su di lei, che su tutti i motivi che ti hanno tenuto lontano da Lassina”. “Cos’è un compito a casa?!?” “No, non è niente di tutto questo, scusami” dice Ale rilassandosi sulla panchina “Ma era un sacco di tempo che volevo dirti queste cose. La tua partenza di cinque anni fa ha stupito anche me, e ho pensato molto a cosa potesse averti fatto agire così. Ti chiedo di perdonarmi se ti ho fatto un esame di coscienza…” dice guardandomi negli occhi. Dopo qualche secondo sollevo le spalle e dico con leggerezza: “Chissà, magari un giorno questo discorso mi servirà”. “Alla tua” dice Alessandro alzando il boccale. “Alla nostra” rispondo sorseggiando Slalom. 137 12 Ma se ci penso, forse già d'allora avevo dentro questa paura, questa rabbia, quest'ansia che mi continua a portare via lontano da te... Edoardo Bennato Buon compleanno Poco fa ho detto a Claudia che la vita è una merda. Sembra incredibile ma è così. E’ un tranquillo pomeriggio che abbiamo deciso di passare insieme per festeggiare il mio compleanno. Oltretutto oggi compio trent’anni, quindi è un giorno molto particolare. Ma quando ci siamo seduti sul letto di camera sua iniziando a scherzare sulla mia età, la discussione è andata degenerando. Nel momento in cui abbiamo cominciato a parlare di maturità, di tempo che passa e di decisioni che bisogna avere il coraggio di prendere, mi è salito il sangue alla testa. Scontri di questo tipo io e Claudia ne abbiamo fatti a centinaia, ed è anche per non doverne fare più che me ne sono andato. Quando lei ha pronunciato questa frase: “E allora non prendere mai responsabilità, chiuditi in un armadio e butta la tua vita! Proprio oggi che compi gli anni dobbiamo litigare!” sono scoppiato. Non sono riuscito a trattenermi e mi è uscita la frase di prima… Sì, la vita è una merda. Sono ancora alterato e non riesco a smettere di pensarci, anche se la discussione con lei è finita da un pezzo. 138 Come qualche anno fa la rabbia dentro sta montando; è l’effetto che mi fa questo paese dimenticato da Dio. Non c’è niente che mi possa convincere che valga la pena di essere nato, ne sono pienamente certo. Però, come ho cercato di spiegare a Claudia, non dico che non bisogna vivere, penso che sarebbe stato meglio non nascere… C’è una grande e sostanziale differenza. Il Pessimismo Cosmico che ho ereditato da Leopardi mi aiuterà a esprimermi meglio. La vita è una serie di sbattimenti e sacrifici che non portano assolutamente a nulla. Forse alla soddisfazione personale, alla felicità, ma parliamoci chiaro; la felicità è un concetto così effimero che ben pochi riescono a spiegarlo (o a capirlo). E ben pochi riescono a essere felici tutta la vita. Chi riesce a essere sempre felice è perché si inganna da solo, o peggio ancora perché è così terribilmente sciocco e di animo semplice da non pensare minimamente all’essenza stessa del vivere. Io invidio molto quelle persone. Io vorrei essere di animo semplice. Apprezzo molto di più chi afferma che sbattimenti e sacrifici possono portare soldi. Sarebbe sicuramente una verità inconfutabile, perché dolore e sacrificio non mi hanno mai portato felicità. Se lavoro, sudo e mi dispero per ottenere qualcosa, non sono felice di essere riuscito nel mio scopo, ma al contrario, sono arrabbiato dal fatto che per ottenere qualcosa a cui tengo davvero devo faticare così tanto. La sensazione di gioia che provo ottenendo il risultato in realtà è il giusto appagamento per i sacrifici fatti nel raggiungerlo. Perché devo sacrificarmi per ottenere qualcosa? Perché? Perché soltanto facendomi un culo così riesco ad ottenere quello che voglio? Non sarebbe meglio ottenerlo e basta? Ma questa è la vita, piena di sacrifici! Che ironia! Quindi, di nuovo, apprezzo chi dice che sbattimenti e sacrifici portano soldi. 139 Eppure quante volte ho sentito affermare che il denaro non fa la felicità. Fa molto tendenza esprimere questo concetto, è sulla bocca di tutti. Ed una frase di questo tipo strappa applausi in un discorso in piazza, o nelle ospitate alla televisione. Io credo più semplicemente che ci siano altre cose che portano felicità, non solo i soldi. Ma di certo il denaro aiuta moltissimo! Diciamo un buon 60%. E se la vita è tutta una serie di infiniti sacrifici, allora mi chiedo se veramente avrei voluto nascere. Mister Destino Facciamo un esempio. Mettiamo che prima di venire al mondo vengo convocato nella sala udienze di Mister Destino. Lui ha il compito di spiegarmi che sto per nascere e di mettermi al corrente di tutto quello che mi aspetta. “Allora guarda” mi dice “Tu domani nasci. Per i primi anni di vita non fai nulla, vieni coccolato, riverito e ottieni tutto quello che vuoi. Poi vai a scuola dove ti riempiono di doveri e ti tolgono gran parte dei divertimenti. A un certo punto vai a lavorare tutti i giorni per portare a casa il denaro, altrimenti laggiù sulla terra dove adesso ti sto per spedire non si vive. Tieni presente che il danaro puoi procurartelo anche senza lavorare; puoi rubare, fregare la gente, o se sei furbo trovare un metodo onesto per procurartelo; ma in qualsiasi caso ti devi impegnare per farlo. Poi cominci a invecchiare, il tuo fisico a decadere, finché non muori, magari tra rimpianti e sofferenze”. Mister Destino mi ha parlato chiaro e tondo dicendomi la verità e sbattendomi in faccia la realtà. Questo è quello che succede, nudo e crudo! Tutte queste possibilità sono vere e nessuno può metterle in discussione. Anzi, è una visione della vita ottimistica, perché c’è chi muore a dieci anni in un paese del terzo mondo senza ne cibo ne acqua, ed è oltretutto gran parte della popolazione della terra. 140 Bene, a questo punto Mister Destino chiede: “Beh, che ne dici? Figata No?!”. “Ma che cazzo dici!?” risponderei io “Stai scherzando? E chi me lo fa fare di cominciare un’avventura del genere?”. “L’amore!” potrebbe rispondermi lui, come tutti i cattolici benpensanti che venerano il ‘Signore Dio nostro’, o come quelli che credono che l’amore per una donna lenisce dolori e sofferenze. “Ma vaffanculo!” è la mia unica risposta. Nella vita non c’è assolutamente niente che mi può far credere che valga la pena nascere. Quindi saluterei Mister Destino e andrei per la mia strada, cioè quella attraverso il campo delle persone mai nate. Certo, in molti potrebbero ribattere che non ho mai provato l’amore per un figlio, qualcosa di grandioso che non si può neppure immaginare. E’ vero. L’amore per un figlio non lo conosco; potrebbe anche darsi che sia così grande e dirompente da diventare uno dei motivi per cui possa valere la pena nascere. Quindi tornerei sui miei passi e chiederei a Mister Destino: “Ma se l’amore per un figlio è così grande, cosa pensano i miei genitori, le persone che mi vogliono regalare una vita?”. “Guarda” direbbe “Loro dopo averti fatto crescere, cominceranno ad avere delle pretese. Ad un certo punto vorranno che tu te ne vada di casa per costruirti una vita propria. Vorranno che li lasci in pace e che possano continuare la loro esistenza”. “Ma come?” risponderei io “ Ma se proprio loro mi hanno voluto, perché dovrebbero cacciarmi via? Dovrebbero sempre prendersi cura di me! Non gli ho chiesto mica io di nascere!”. “Purtroppo è così” direbbe Mister Destino con il suo sorriso sincero. “Bene, wow, che immensa fregatura! Ma chi me lo fa fare, io sto bene dove sto! Vacci tu a vivere”. E me ne andrei nuovamente. 141 Figli e conseguenze Un figlio è importante! Fare un figlio porta enormi conseguenze! Su questo punto Claudia si è incazzata parecchio, anche se ha ammesso che la mia visione dell’argomento non è sbagliata. Infatti se si ragiona un attimo ci si accorge che fare un figlio è un atto di grande responsabilità. Di immensa responsabilità. E’ un gesto che compromette l’intera tua vita, che la cambia radicalmente. E’ un atto che va molto al di là della responsabilità che ognuno di noi crede di assumere quando decide di avere un figlio. E’ come decidere di morire. Dare una vita è come decidere di morire. Perché da quel momento in poi non si è più in grado di poter scegliere solo per se stessi, ma bisogna prima mettere le priorità della vita che si ha scelto di dare. Sempre e comunque. In ogni caso. La mia vita sarà dedicata completamente a mio figlio e ad ogni sua volontà. Proprio perché ho deciso io di dargli la vita; lui non ha deciso proprio niente! Lui sarà al mondo per mio volere. Per una mia scelta. L’importanza di avere un figlio è così grande che è un concetto difficilmente comprensibile. Tutte le coppie che hanno deciso di fare un figlio (che ho conosciuto), lo hanno fatto perché lo volevano avere. Non c’è nessuna spiegazione ulteriore. Perché si fa così e basta. Perché lo si è sempre fatto. E’ normale e naturale. E terribile. Non ci si pone nemmeno il problema delle gigantesche conseguenze di un atto del genere. Dare la vita è un peso gigantesco. “Dare una vita, ma Claudia te ne rendi conto?” le ho chiesto. Io non sono assolutamente in grado di assumermi tale responsabilità. Solo Dio (se c’è) può fare un gesto così grande. Dato che lui è l’unico che può dare la morte, di conseguenza è anche l’unico che può dare la vita (come si usa pensare su questa 142 terra). Ma siccome Dio non si fa sentire, tocca a noi sbrigarci entrambe le faccende. Io non ho il coraggio per decidere di morire. Io non ho il coraggio per decidere di dare una vita. Un figlio per me sarebbe tutto, non potrei mai cacciarlo “Perché deve farsi una famiglia”, “Perché si fa così”, “Perché deve costruirsi la sua vita”. Mio figlio non deve fare assolutamente niente di quello che decido io. Deve fare quello che vuole lui. Al massimo posso consigliarlo, ma di certo non dirgli cosa deve fare. Io mi devo prendere cura di lui in tutto e per tutto. Dovrò seguirlo per sempre. La mia vita sarà annullata dalla sua presenza, perché ho deciso io che lui esista. Lui non ha scelto proprio nulla. La mia responsabilità è totale. La mia vita muore con la sua nascita. E anche la mia libertà è condizionata, se non annullata completamente dalla sua esistenza. Ho chiesto a Claudia se chi decide di fare un figlio pensa a tutti questi fattori. Io credo di proprio di no. Penso che chi generi una nuova vita lo faccia perché è sempre stato così, perché è il normale processo biologico dell’esistenza. “Tu sarai il bastone della mia vecchiaia” è una frase che mi fa rabbrividire… “Io sarò il bastone della tua vita” è la frase che sarebbe da dire! Quante volte ho sentito dire da persone anziane: “Meno male che ho fatto tanti figli, se no adesso che sono vecchio chi mi curerebbe?”. E poi aggiungere il consiglio: “Falli anche tu, mi raccomando…”. E’ assolutamente terrificante nella sua crudeltà e nella sua disarmante superficialità. Una mancanza totale di umanità. Io non ho il coraggio per decidere di morire. Io non ho il coraggio per decidere di dare una vita. Quindi direi a Mister Destino che i miei genitori, se veramente mi vogliono dare una vita, sono degli egoisti. Degli immensi egoisti. 143 Se la vita fosse una continua ascesa verso la goduria estrema, come un orgasmo continuo e costante verso il Nirvana, potrei anche capirli. Ma comunque sarebbe una scelta non mia, quindi la responsabilità di chi mi ha dato la vita sarebbe la stessa. Ma la vita nella sua essenza è triviale, una continua discesa verso la morte. Nel momento stesso in cui si nasce si è condannati a morte. Quindi che cosa nasco a fare? Dare la vita è un atto di assurdo egoismo. Quello che da tutti è definito come il più grande atto d’amore è anche il più grande atto di egoismo. Non sono di certo il primo a dirlo, ma ho seri dubbi se il concetto più profondo e intrinseco di questa frase sia sempre capito da tutti. Io e te ci amiamo, perciò facciamo un figlio. E’ l’egoismo assoluto. Ma cazzo bisogna usare il cuore e il cervello! Bisogna essere disposti a morire per lui! Voglio proprio vedere quanti farebbero un figlio se gli dicessero che nel momento stesso della sua nascita si deve morire. Nessuno. Io per primo. Chi davvero accetterebbe una condizione del genere pur di dare una vita, allora è degno di avere un figlio. Ma sarebbe lo stesso egoista, perché non ci sarebbe più per curarlo e accudirlo lungo tutta la sua esistenza. Quindi penso che non vale la pena nascere. Claudia mi ha chiesto perché non mi suicido, visto che ho una visione così orribile dell’esistenza. Mai obiezione fu più sbagliata! Se non c’è niente per cui vale la pena nascere, ci sono migliaia di motivi per cui vale la pena vivere. Perché l’unica cosa che possiedo davvero è la mia vita! Non ho nient’altro. E ne sono geloso. E la voglio vivere tutta, fino in fondo. Proprio perché è la sola cosa che ho. Non voglio sciuparne neppure un attimo; ogni giorno, ogni ora, ogni secondo voglio viverlo davvero, voglio respirarne l’essenza. E col sorriso sulle labbra! Se la vita fa schifo 144 cerco di combatterla con il sorriso, col buonumore da regalare e distribuire a tutte le persone che mi stanno intorno e soprattutto a me stesso. E’ l’unico modo che possiedo per combattere la sua assurdità e il suo non-senso. L’arma migliore è il sorriso. Per questo tutti quelli che mi conoscono dicono che sono una persona allegra e positiva. Il positivismo esteriore mi aiuta a combattere la negatività interiore, quest’ultima conosciuta solo da una persona: Claudia. Prendere la vita di petto, con sorriso e positività, mi ha aiutato a trovare lavoro in radio e fa di me una persona ben voluta tra ascoltatori e amici, che vedono un amico al quale appoggiarsi. Ed io ne sono fiero. Vuol dire che nel mio piccolo sto vincendo la sfida con la vita. Anche i comportamenti distruttivi e spericolati sono sintomo di questa lotta. Li manifesto perché voglio vivere davvero gustandomi ogni singolo istante di esistenza. Non so se il mio metodo sia giusto o sbagliato, ma sta dando risultati. Claudia non ne è affatto convinta. Dice che non so ancora quello che voglio, e mi rifugio in questi discorsi contorti perché non riesco ad accettarmi. Perché anche se ho trent’anni non so ancora cosa voglio, ed ho paura di me stesso. Anche Alessandro ci è arrivato dicendomi le stesse cose. So che potrebbero avere ragione ma io non voglio cambiare. Forse ho davvero paura… Claudia ed io poco fa ci siamo messi ad urlare così tanto che per la disperazione me ne sono andato sbattendo la porta. Ora mi trovo a piedi in strada sulla via per tornare a casa. Mille pensieri mi passano per la testa. Sono passati cinque anni ma i discorsi sono sempre uguali, così come i punti di vista. Litigherò sempre con Claudia perché pensiamo in modo diverso. Col passare del tempo ho rafforzato le mie idee invece di smussare gli angoli adattandoli alla vita che mi gira intorno. Claudia Renzo e Massi ce l’hanno fatta, io non ancora. E non sono certo di volerlo fare. Io non voglio crescere! O meglio, non voglio pagare l’alto prezzo del doverlo fare. 145 Me ne sono andato per questi motivi e tornando li ho ritrovati ancora, avvolti nella noia di questo paese. Erano qui che mi aspettavano, ed io sono pronto a scappare di nuovo… Anche se in questo modo dimostrerei la mia paura e darei ragione a Claudia. Ma non sono pronto ad affrontarli, non ce la faccio… La rabbia se ne va Dopo diversi minuti immerso in queste turbe mentali sento in lontananza un campanello di bicicletta. Mi volto e vedo Claudia col tandem che si dirige verso di me. Mi sta venendo a prendere! Sento qualcosa sciogliersi nello stomaco, sono felice che mi abbia raggiunto. Tutto il rancore e l’incazzatura svanisce in attimo appena vedo il suo volto carico di aspettative davanti al mio. Il pomeriggio è caldo e inondato di sole. Claudia si appoggia al manubrio della bicicletta e mi osserva restando in attesa. Indossa dei pantaloncini verdi ed una maglietta bianca dei Boston Celtics con la faccia di Larry Bird, così vecchia da essere completamente slisata. “Pensi che io sia un coglione?” domando. Lei annuisce con la testa alzando ironicamente le sopracciglia. “E va bene, mi sono incazzato… Ma volevi che ti mentissi? Che non ti dicessi quello che pensavo davvero?”. Rimane in silenzio. “Va bene” dico rassegnato “Scusami”. “Non ho sentito” dice. “Ho detto scusami”. “Ci deve essere un aereo che passa, non sento bene…”. “Ho detto SCUSAMI! Ci senti adesso?” le grido nell’orecchio. “Sì… Penso di aver capito” commenta soddisfatta. “Ma va a quel paese!”. “Luca Nudo, sei sempre il solito pirla. Nemmeno oggi che compi gli anni abbassi la guardia” dice con un sorriso dandomi un pugno sulla spalla così forte da farmi male. 146 “Sempre Miss Dolcezza vero?” ribatto assestandole un altro sganassone. Claudia si afferra il braccio dolorante dicendo: “Salta su che torniamo a casa”. “E’una vita che non vengo sul tuo tandem!” dico posizionandomi sulla sella “Sei sicura di saperlo ancora guidare?”. “Tu pensa a pedalare” risponde, mentre la catena inizia a girare portandoci verso casa mia. Sono contento che la situazione sia risolta. Le nostre discussioni qualche anno fa finivano a pugni o a insulti per settimane. Invece adesso nel giro di pochi minuti si è tutto sistemato. Forse perché è talmente tanto che non stiamo insieme che abbiamo troppo bisogno di noi; e lasciare che una litigata ci possa allontanare anche per poco tempo risulta davvero impensabile. Tiro un bel respiro e riprendo il controllo. Immediatamente mi lascio sfuggire una battuta: “Però” esclamo “Devo dire che questo spettacolo mi è mancato”. “Cosa?”. “Il tuo sedere” rispondo osservando le sue forme perfette adagiate sul sellino davanti a me, “Qualcosa di bello ce l’hai anche tu”. “Fottiti” dice Claudia ridendo, mentre anche io mi lascio sfuggire un sorriso spingendo più forte sui pedali. 147 13 L’universo trova spazio dentro me Ma il coraggio di vivere Quello ancora non c’è Lucio Battisti Giochi d’acqua Rischio 4 è coperta di schiuma. In mezzo al cortile di casa mia, Claudia ed io, la stiamo lavando. Era così piena di sporcizia che a malapena si vedeva il rosso della carrozzeria. Perciò abbiamo deciso di pulirla, anche perché c’era il rischio di prendere il tetano mettendosi alla guida. Luglio è iniziato da poco ed il caldo picchia forte sulle nostre teste. Massi deve essere a casa per delle ricerche, mentre Renzo è andato al lago con la sua moto. Un vero centauro come lui queste giornate non se le lascia fuggire. Ho attaccato la canna dell’acqua al rubinetto del lavatoio ed ho srotolato il tubo fino all’aperto. Come un navigato pompiere sto innaffiando la macchina mentre Claudia passa una grossa spugna gialla sui finestrini. “E’ gelata” dice lei mentre dell’acqua le cade sulle gambe. Indossa dei pantaloncini corti ed una maglietta che le scopre completamente le spalle. Il reggiseno le si vede chiaramente ad ogni movimento, ma d’altronde con questo caldo è impossibile mettere qualcosa di più pesante. Io invece porto dei jeans leggeri e sono a petto nudo. Con la canna innaffio il muso di Rischio 4 mentre Claudia immerge la spugna nel secchio traboccante di schiuma. 148 “Secchio!” grida mio padre dalla finestra. Una cascata d’acqua cade dall’alto e atterra direttamente sulla macchina: “Sciaff!”, io e Claudia ci spostiamo per non riceverla in testa. Non è acqua normale, è mischiata ad un lucidante che dovrebbe rendere la carrozzeria più splendida che mai. Però va mischiata con acqua calda che si trova solo in casa, quindi papà getta tutto dall’alto per fare prima. Mia madre ci guarda dal balcone e chiede: “Volete dei biscotti?”. “No mamma”. “Sì grazie!” risponde Claudia ad alta voce. Come al solito andiamo d’accordo su tutto… “Chi ti ha detto di rispondere anche per me?” commenta mentre deterge il lunotto posteriore. “Pensavo non li volessi”. “Hai pensato male”. “Che carattere!” ribatto io. “Sei tu che mi fai arrabbiare” ribatte mentre un ciuffo nero le cade sugli occhi. Lo sposta via soffiando con le labbra, accennando poi un sorriso divertito. Come è bella in questo momento… Mi viene voglia di mangiarla. Lo sguardo di Claudia ha qualcosa di magico; tutte le volte che mi fissa con quegli occhi scuri perdo un po’ di autocontrollo. Tiro un lungo respiro cercando di non pensarci ed involontariamente mi cade lo sguardo sul suo seno. Lo vedo piccolo e tondeggiante oscillare dentro la maglietta. E’ di marmo. Praticamente non si muove, forse a causa delle piccole dimensioni. Però è di una rotondità imbarazzante! Claudia si accorge che sono in fissa e domanda: “Hai finito di guardarmi le tette?”. “C-Cosa? Scusa, non volevo, io…”. “Se me le consumi te le faccio ripagare” dice poggiando le mani sui fianchi in un atteggiamento di sfida. Rimango spaesato per un attimo dalla sua reazione; decido di prendere la situazione di petto esattamente come l’ha presa lei. 149 Le punto la canna dell’acqua addosso centrandola direttamente in faccia: “Bastardo!” esclama coprendosi con le mani. La maglietta ora è completamente bagnata e le si vede il seno molto meglio di prima! “Ecco” dico “Adesso le vedo bene”. Claudia afferra la spugna e fa il giro della macchina per colpirmi. “Dovresti…” dico cercando di scappare “…fare qualcosa…”, mi raggiunge con la grossa spugna grondante di schiuma “…per ingrossarle!”, avanza scaraventandomi la spugna in faccia. Dell’acqua mi entra nel naso; tossisco come un pazzo per sputarla fuori. “Sei finita” dico minaccioso appena riesco a parlare. “Provaci!” ribatte in tono di sfida. Subito alzo la canna dell’acqua e la bagno completamente: “Ahhrg” grida ridendo mentre l’annaffio. Cerca di coprirsi con il braccio ma non ci riesce; ora ha i capelli del tutto fradici! Mi ricorre mentre giro intorno alla macchina sempre puntandogli l’acqua addosso. Claudia tira la spugna che cerco di evitare voltandomi di schiena, ma la prendo dritta tra le scapole. Ora la schiuma è scesa dentro nei pantaloni e mi sta bagnando pure le mutande! “Maledetta!” esclamo divertito. Lei in tutta risposta prende il secchio con il detersivo e me lo rovescia in testa! Boccheggio come un pesce mentre una cascata d’acqua mi sommerge. Come al solito Claudia non ha mezze misure. Ed ora come diavolo facciamo a lavare la macchina?! Cerco di levarmi la schiuma dagli occhi mentre Claudia mi infila la spugna nei pantaloni: “Stai ferma cazzo!”. “Adesso me le paghi tutte” risponde ficcandomi metà spugna nelle mutande. Sollevo la canna dell’acqua e gliela punto dritta in faccia. In un tira e molla continuo stiamo giocando a farci il bagno come dei ragazzini. Mi sembra di rivivere qualche anno addietro, 150 quando facevamo la guerra coi gavettoni e tornavamo a casa lavati come se avessimo nuotato sotto le cascate del Niagara. Io sono ricoperto di schiuma. Lei ha le mani infilate nei miei calzoni. L’acqua ci lava entrambi. Ed è in questa posizione compromettente che sento una voce chiamare a pochi passi da me: “Luca?!?”. Mi volto di scatto a guardare. In piedi, sotto il sole caldo di luglio, come se fosse apparsa dal nulla, c’è Ilaria! “I-Ilaria…” dico a mezza voce sbalordito chiedendomi se ho le allucinazioni. Sorpresa Lei resta a guardarmi con un viso sorpreso quanto il mio. E’ venuta davvero a trovarmi, non ci posso credere! Indossa un vestito rosso che le avvolge tutta la figura. Ai piedi porta dei sandaletti, anche quelli rossi, allacciati intorno alla caviglia. Borsa di Gucci sulla spalla, occhiali scuri e lunghi capelli biondi che scendono sulle spalle. E’ semplicemente straordinaria. Decisamente è fuori categoria; si abbina a Lassina come della senape su un Taralluccio. Ed oltretutto ha due tette leggendarie! Sono così grosse e sode che quelle di Claudia scompaiono al confronto. “M-Ma, che ci fai qui?” domando poggiando la canna per terra. Claudia leva le mani dai miei pantaloni in un lampo, mentre cerchiamo di darci un po’ di contegno davanti alla visita inattesa. “Te l’ho detto che sarei venuta a trovarti, ma a quanto pare non ti manca di certo la compagnia…” dice sottile come un rasoio. “Ciao” la saluto dandole un bacio sulle labbra “Stavamo lavando la macchina… E tu con che auto sei arrivata?”. “Il Cayenne” risponde accennando con la testa al parcheggio dietro di lei. Eccola lì la sua vettura ferma di fianco alla Smart; vista così la mia auto sembra un pulcino. 151 Ilaria con gesti non troppo convinti mi toglie la schiuma dal petto e dalle spalle: “Hai fatto fatica a trovarmi?” chiedo imbarazzato. “No, un po’ me l’avevi spiegata, e poi ho usato il navigatore… Ma la schiuma di solito non va sulla macchina?” domanda ironicamente. “Emm… questa è Claudia, una cara amica” dico ormai arrivato alla frutta, “Claudia, questa è la mia ragazza Ilaria”. Claudia si pulisce la mano sui pantaloni prima di porgerla alla nuova arrivata. Se la stringono. “Credo di averti visto in televisione” commenta Claudia salomonica. “Oppure sul satellite, sempre se è arrivato fino a qui” ribatte Ilaria con un velo di acidità. Non so perché ma ho l’impressione che siano partite saette dagli occhi di entrambe le ragazze. Mi sa che le prossime ore non saranno affatto facili! “Pensavo mi dessi un colpo di telefono, non ti aspettavo” dico stemperando la tensione. “L’avrei fatto se non tenessi sempre spento il cellulare! Ed il numero di casa non me l’hai dato. Sapevo solo l’indirizzo, perciò ho pensato che venendo direttamente avrei fatto prima. Ho fatto male?”. “No, ci mancherebbe! Resti fino a stasera?”. “Pensavo di fermarmi per la notte”. “Davvero?” chiedo con occhi spalancati. “Ho portato una piccola valigia. Sempre se sei d’accordo…”. “Ma certo!” esclamo indeciso se essere contento o preoccupato. Accidenti com’è bella, sembra appena uscita da una Beauty Farm. Sono talmente abituato a vedere contadini che questa perfezione mi sconvolge. Osservo Claudia leggermente corrucciata alla notizia che Ilaria si fermerà a dormire. Ma prima che possa fare commenti sento la finestra aprirsi sopra di me: “Secchio!”. Oh cazzo. “Spostati Ilaria!” grido. Mio padre lancia la secchiata. 152 “Splash!” prende in pieno Ilaria sulla schiena. “No papà!!”. Ilaria, bagnata come un pulcino, resta a bocca aperta in un urlo soffocato. Tutti i capelli fradici; il vestito praticamente da buttare! “Cosa diavolo…?” dice senza riuscire a terminare la frase. “Chi c’è laggiù?!” chiede mio padre dalla finestra. “Hai appena lavato Ilaria Agrati! Ma non potevi guardare prima di lanciare??”. “Santo cielo” esclama papà grattandosi la testa. Con la coda dell’occhio vedo spuntare dalla labbra di Claudia un sorriso di soddisfazione. “Oh signore!” esclama mia madre dal balcone con il vassoio di biscotti tra le mani. Immediatamente si precipita verso di noi, come solo una madre apprensiva sa fare. “Mi dispiace” dice aiutando Ilaria a ricomporsi, “Mio marito è imperdonabile”. “Fa niente signora” risponde Ilaria niente affatto convinta. “Tu sei la Agrati vero? E’un piacere conoscerti… Sono la mamma di Luca” dice porgendogli la mano. Nel frattempo papà arriva come un treno in canotta e ciabatte: più grezzo di così non si può… “Scusum ma to minga vist”. Scusami ma non ti ho visto “Va che cavei che te ghe”. Guarda che capelli che hai “Sperem che il lucid te li brusa minga”. Speriamo che il lucido non te li bruci “Ma cosa sta dicendo?!” chiede Ilaria perdendo la pazienza. “Papà, devi parlare italiano!”. “Scusa, non ho fatto apposta!” risponde lui. Comincio a perdere la pazienza. Io che litigo con mio padre. Ilaria incazzata e lavata. Claudia che se la ride. E mia madre che fa le presentazioni! Sembra di essere in un film di Stanlio e Ollio. 153 “Mi sa che Ilaria vorrebbe cambiarsi” dico ad alta voce prendendole la mano e portandola in casa. “Eh sì, Ilaria dovrebbe proprio cambiarsi” dice lei ironicamente sgocciolandosi le mani. Lasciamo tutti in cortile ed entriamo in casa. Questa visita di Ilaria non è decisamente cominciata nei migliori dei modi. Spiegazioni e allusioni “Allora, adesso mi vuoi spiegare chi è questa Claudia?” domanda Ilaria asciugandosi i capelli. “Te l’ho detto, è un’amica” rispondo chiudendo la porta. Vestita solo di un accappatoio si siede sul mio letto continuando a strofinarsi la lunga chioma. “Sembrava foste un po’ più che amici”. “Senti” dico allargando le braccia “Stavamo lavando la macchina e ci siamo messi a giocare, come te lo devo dire?”. “Però aveva le mani nei tuoi pantaloni!”. “Ma tra di noi è normale, non c’è nessuna malizia!”. “Ah, è normale?”. “Sì è normale. La conosco da una vita, è praticamente mia sorella. Questo te lo può confermare anche mia madre. Stavamo giocando”. “E perché non mi hai detto niente di lei?” dice appoggiando l’asciugamano sul cuscino ravvivandosi i capelli con le mani. “Non mi è mai venuto in mente. E poi da quando sei gelosa? Non ti ho mai vista così”. “Perché non me ne hai dato motivo fino ad ora” dice in tono scontato. “Bè, capisco che ci hai sorpreso in un atteggiamento equivoco, ma credimi, non c’è niente tra me e Claudia. Anzi, solo pensare ad una relazione con lei mi viene da ridere!” Ilaria rimane zitta qualche secondo prima di dire: “Ti credo”. “Meno male. Ora possiamo archiviare il discorso?”. 154 “No”. “Come no?”. “Ho detto che credo a te, ma non credo a lei”. “In che senso?!” Ilaria si alza e si avvicina al centro della camera da letto, dove sono in piedi da quando è iniziata la discussione. Sembra una Venere scesa dal cielo da quanto è bella. “Credo sia innamorata di te”. “Innamorata di me? Chi? Claudia?!” scoppio in una fragorosa risata nel sentire questa assurda ipotesi. “Guarda che non c’è niente da ridere”. “E’ impossibile, tu non conosci Claudia”. “Ma ho visto il suo sguardo quando sono arrivata. Prova qualcosa per te. E non è solo amicizia”. “Ma figurati!”. “Tra donne queste cose si capiscono. Siete voi uomini ad essere ciechi”. Scoppio in un’altra risata. “Adesso non fare la femminista che non lo sei. Sì, è vero, ammetto che prova qualcosa per me, ma è lo stesso sentimento che provo io per lei. Mi vuole un mondo di bene, però non è certamente amore come dici tu”. Lascio uscire queste affermazioni velate di dubbio. Non ne sono così certo come voglio far credere. Claudia per me è molto più di un’amica. Ed in alcuni momenti della vita mi sono chiesto davvero se non fossi innamorato di lei. Ma questo non posso certamente dirlo ad Ilaria…. E non posso dirle neppure che una volta abbiamo fatto l’amore! In cinque anni di Milano Claudia ce l’ho sempre avuta in mente, ma ad Ilaria non ho detto nulla. Forse perché nominandola avrei fatto tornare i fantasmi della mia vecchia vita, e in qualche modo avrei distrutto l’equilibrio che con tanta fatica avevo creato dentro me stesso. Eppure non posso affermare di essere davvero innamorato di lei. Ne tanto meno lei di me. Anzi, questa ipotesi mi sembra assurda; altrimenti non saremmo stati lontani così tanto e senza sentirci. Convinto ancora di più da questi pensieri dico: 155 “Fidati Ila, è così”. “Sarà” dice lei “Ma anche se fosse non avrebbe nessuna speranza” commenta con un sussurro facendo cadere una spallina dell’accappatoio. Trattengo il respiro mentre Ilaria si volta andando a chiudere la porta. Dà un giro di chiave alla serratura. Torna indietro andandosi a sedere sulla scrivania. Allarga le gambe come Sharon Stone in Basic Instinct e mi mostra le sue bellezze. “Sei già sull’attenti” dice sorniona. Abbasso lo sguardo e vedo che tutto quello che doveva alzarsi si è già alzato! A pensarci bene sono mesi che non ho un rapporto sessuale e questa eccitazione è solo la naturale conseguenza. Ilaria lascia cadere l’accappatoio sulla scrivania. La raggiungo arrapato come una bestia. Nei pochi passi che mi separano da lei faccio volare scarpe e pantaloni sul letto. Pochi minuti dopo stiamo facendo l’amore tra il computer e la stampante. Porca miseria quanto mi è mancata Ilaria! 156 14 Se vuoi ci amiamo adesso, se vuoi però non è lo stesso tra di noi Da solo non mi basto stai con me Solo è strano che al suo posto ci sei te, ci sei te… Nek Sola Mentre Luca e Ilaria discutono in camera, Claudia cammina verso casa. Dà un calcio ad un sasso che finisce sotto una macchina. La faccia corrucciata, il passo svogliato, e una sensazione pungente di gelosia che le sale dallo stomaco. Innamorata di Luca… Certo che è innamorata di lui! E lo è praticamente da sempre. Chiunque abbia un minimo di spirito di osservazione lo capirebbe al volo. Persino il ciottolo che ha appena scalciato lo sa. Ma il suo compagno di avventure, il bambino con cui ha passato l’infanzia e con il quale ha vissuto praticamente tutta la vita non ci è ancora arrivato. Idiota. Non riesce a definirlo in nessun altro modo. E’ soltanto un’idiota. Ha sempre fatto la parte dell’amica per potergli stare almeno vicino. Non è mai riuscita a dirgli i sentimenti che provava per il semplice fatto che non era sicura dei suoi, e non voleva rovinare 157 tutto. Sì, rovinare tutto. Anche se sembra banale l’amore può davvero rovinare un’amicizia lunga e duratura, e questo Claudia non riuscirebbe a sopportarlo. Perdere Luca non sarebbe concepibile in nessun caso. Tira un calcio ad un altro sasso. Eppure l’ha perso per cinque lunghi anni. Un sacrificio enorme ma senza alternative. Sempre meglio che perderlo per sempre, si è ripetuta innumerevoli volte. Ed ora eccolo qui, con la sua bellissima ragazza milanese. Idiota. E’ soltanto un’idiota. Quante volte ha cercato di fargli capire quello che provava, con piccoli gesti o frasi velate di malizia. E il suo cuore ha battuto a mille all’ora ogni volta che stavano vicini o soli in una stanza. Ricorda come se fosse ieri le attese del pullman di Luca alla fermata; Claudia arrivava mezz’ora prima e rimaneva sotto la pioggia fredda dell’inverno in attesa del suo arrivo. Che gioia quando lui scendeva sorridente andandole incontro! Ma che tristezza se il pullman era vuoto perché Luca era andato con i suoi compagni di classe a divertirsi. Non esistevano ancora i cellulari e lei non poteva sapere i suoi programmi. Oltretutto si vergognava a chiederglieli, non aveva nessun motivo per interessarsi a lui in modo così preciso, a meno che non gli confessasse i suoi veri sentimenti. E questo era fuori discussione. Quindi restava sotto la pioggia sentendo il cuore affondare in una pozzanghera. Trovava i motivi più disparati per andare a casa sua. A volte per studiare insieme, a volte per giocare a qualche nuovo videogame uscito sui vecchi Pc 80.86, gli antenati dei moderni computer. Fortunatamente era la sua migliore amica quindi stare insieme era logico e naturale. Spesso era Luca a cercarla. Passavano insieme tantissimo tempo ed in quei momenti Claudia si sentiva a suo agio. L’amore che provava per lui restava nascosto in sua presenza; scoppiava solamente quando non c’era. A volte rimaneva giornate intere a guardare il soffitto chiedendosi 158 come fare con lui. Lo pensava ripetutamente, lo vestiva di parole che avrebbe voluto sentire e immaginava di rispondergli. Ma quando arrivava la resa dei conti, il momento in cui dire tutta la verità, le frasi le morivano in bocca. Non trovava il coraggio di buttarle fuori. Sentiva un grande peso al cuore ed un imbarazzo che la bloccava, confondendole i pensieri e facendole perdere del tutto il controllo. Claudia così diventava aggressiva e rispondeva male a Luca apparentemente senza motivo. Tutto questo a causa del fatto che non riusciva ad esprimere i suoi veri sentimenti; un’arrabbiatura era la naturale reazione. Ma Luca non capiva e si rassegnava a pensare che la sua amica fosse un po’ svitata, senza sospettare che sotto c’era ben altro. Quando diversi anni prima avevano fatto l’amore per Claudia era stato magnifico. Non tanto per l’atto in se, quanto perché aveva avuto la certezza che anche Luca provava qualcosa per lei. La maschera di eterna amicizia era volata via in quel periodo, e si erano trovati a doversi relazionare con due persone diverse. Per mesi si erano chiesti se fossero innamorati o se era solo una sbandata. Naturalmente Claudia sapeva benissimo cosa provava per lui, ma non aveva il coraggio di rivelarglielo. Luca aveva già in mente di scappare da Lassina ed era già da tempo infuriato con il mondo. In quel periodo Luca aveva bisogno di tutto, fuorché di un pretesto per rimanere in un paese di contadini. Claudia intuiva che una relazione fra di loro lo avrebbe solo fatto impaurire ed accelerare ancora di più i tempi della sua fuga. No, non poteva dirgli cosa provava, doveva capirlo da solo. Doveva farlo rimanere a Lassina. Ma la sua pazienza non ha dato i frutti sperati e Luca si era trasferito a Milano… Tira un lungo sospiro rassegnato. Continua a camminare svoltando nella via dei giardinetti. Quanto ha sofferto quando se ne è andato! Non ne voleva sapere di lasciarlo scappare e per questo non facevano altro che discutere. Litigavano in continuazione. Quando Luca era andato via definitivamente Claudia era rimasta senza parole. La sua lontananza la faceva impazzire e quelle poche volte 159 che si sentivano al telefono non riusciva ad essere naturale, era completamente bloccata. Così dopo poco tempo avevano smesso persino di chiamarsi, perdendo qualsiasi contatto. Troppo orgogliosa e innamorata per andare a trovarlo era rimasta nel suo guscio senza piangersi addosso. Avrebbe voluto che la rabbia prendesse il sopravvento, per annullare l’amore che provava per lui, ma non riusciva dimenticarlo. Così aveva cominciato a seguirlo da lontano. Ascoltava tutte le sue trasmissioni alla radio, leggeva le interviste e i gossip che lo riguardavano, visitava i siti internet che parlavano di lui. Avrebbe potuto telefonargli, certo, ma non ne aveva il coraggio. Finché non era arrivato Gabriele. Un amore nuovo Claudia aveva mentito a Luca; Gabriele non era solo una persona con cui ogni tanto andava a letto, ma era il suo ragazzo da più di tre anni. Si erano conosciuti un giorno al lago parecchio tempo prima. Lui si era rotto una gamba e cercava con la sedia a rotelle di entrare nella spiaggia di sassi dove si trovava Claudia. Lei con la sua compagnia lo avevano aiutato ed erano diventati subito amici. Gabriele e Claudia dopo quel primo incontro avevano cominciato a frequentarsi, e nel giro di pochi mesi era iniziata una relazione. Gabriele era una persona eccezionale dal carattere mite e tranquillo. Sostanzialmente l’opposto di Luca. A Claudia questo atteggiamento era piaciuto subito, anche perché era stato il primo uomo dopo tanti anni a fargli dimenticare Luca. Non completamente, certo, ma aveva spostato le attenzioni dal suo amico d’infanzia, facendole fare una pausa tra i tumulti del cuore. Si sentiva più leggera, più libera. Poteva finalmente respirare senza sentire quell’enorme peso allo stomaco. Gabriele le aveva portato un po’ di pace. 160 Figlio di un imprenditore, era l’erede designato di una ditta con numerose filiali che producevano mobili in tutta la Brianza: la Mobilarte. Fatturato di milioni di euro all’anno, un giro d’affari impressionante che toccava anche l’America e diversi paesi dell’est. Ma al contrario di quello che poteva sembrare Gabriele era un uomo buono, onesto e tranquillo. Non aveva alcun vizio, non beveva e non fumava. L’unico suo svago era andare con la barca in giro per il lago di Como nei giorni in cui tornava a casa dai suoi lunghi viaggi all’estero. Claudia era rimasta sbalordita da quanti soldi aveva. Ma non era per quello che aveva deciso di mettersi con lui. Il suo denaro non le interessava; il bar rendeva abbastanza ed era troppo indipendente per mettersi sotto l’ala protettiva di un ragazzo così ricco. Stava con lui semplicemente perché era innamorata. Dopo tantissimi anni si era presa una cotta per qualcuno che non era Luca. Era un amore dolce, delicato come un soffio di vento e bello come la primavera. Non aveva la potenza distruttiva di quello per Luca, e forse era un bene. Col passare del tempo vedeva sbiadire il suo amico nella nebbia dei ricordi, e la figura di Gabriele delinearsi sempre di più nella sua vita. Finché, la vigilia di Natale dell’anno scorso, Gabriele le aveva chiesto di sposarla. Si era presentato in salotto una sera che guardavano pigramente la televisione, con in mano un anello sopra il quale brillava un diamante di proporzioni enormi. Claudia era rimasta senza parole. L’unica frase che era riuscita a dire era: “S-sei sicuro?”. “Come non mai” aveva risposto lui col solito sorriso tranquillo. Naturalmente Claudia aveva risposto di sì. Ma in quel momento il cuore le si era spezzato a metà. Luca era tornato dentro di lei. Non dubitava di quello che provava per Gabriele, ma aveva paura che i vecchi sentimenti potessero tornare a galla. Finché non avesse fatto chiarezza nel suo cuore non si sarebbe sposata. Per questo aveva chiesto e ottenuto di 161 rimandare la data del matrimonio il più tardi possibile, cioè un anno e mezzo dopo la richiesta di convolare a nozze. Non voleva prendere in giro Gabriele, non se lo meritava. Oltretutto gli aveva raccontato quello che c’era stato con Luca in precedenza, e Gabriele si era dimostrato comprensivo come al solito. Un vero uomo da sposare; un principe azzurro perfetto. Claudia voleva vedere Luca per l’ultima volta. Voleva guardare dentro se stessa prima di fare un così grande passo. E l’occasione era giunta quando era venuta a sapere che Luca sarebbe tornato a Lassina; oltretutto in un periodo in cui Gabriele sarebbe stato via diversi mesi in Giappone per lavoro. Una coincidenza alquanto particolare. Aveva chiesto a genitori ed amici di non dire a Luca del suo matrimonio. Voleva mantenere il segreto almeno per qualche tempo, in modo da poterlo osservare senza condizionamenti e soprattutto tastare la propria reazione nel rivederlo. Ed aveva ragione… Era ancora innamorata di lui. Le era bastato vederlo un secondo per far tornare tutto a galla. Il suo cuore aveva cominciato a battere follemente, anche se la prima reazione era stata quella di infuriarsi con lui, per essere stato via così tanto tempo senza farsi sentire. Si era arrabbiata così proprio perché era ancora innamorata! E poi erano cominciati i guai. Luca era tornato a martellarle nella testa come tanti anni prima. In questi ultimi mesi Claudia aveva cercato di cacciarlo e di far prevalere la figura di Gabriele, ma i suoi sforzi erano stati vani. Un esempio chiarissimo era accaduto pochi minuti prima, quando aveva conosciuto Ilaria ed era impazzita di gelosia. Non ci poteva fare niente, era ancora innamorata di Luca. Con la sostanziale differenza che era anche innamorata di Gabriele. Ma nessuna delle due figure prevaleva sull’altra, era una gara testa a testa. Con lo stomaco voleva che a vincere fosse il suo futuro sposo, ma il suo cuore non ne voleva sapere. Persa in questi mille pensieri Claudia svolta nella via che porta a casa sua. 162 Prima di aprire la porta decide che chiamerà Gabriele in Giappone, vuole sentire la sua voce rassicurante. “Accidenti a te Luca e a quando sei tornato!” dice tra se e se mentre cerca il numero di telefono. Gabriele dovrebbe essere ancora sveglio nonostante il fuso orario. Solleva la cornetta e compone il numero… 163 15 Ma la verità bisogna ammetterla e già… che chi mi manca sei tu che chi mi manca sei tu. Gianluca Grignani Il mio mondo ed Ilaria Arriviamo davanti al Bar Lassina con la Smart. E’ una sera calda e invitante. Con Ilaria mi avvio verso l’ingresso ben conscio di quello che sta per succedere. E’ voluta venire a tutti i costi per conoscere i miei amici e il posto dove sono cresciuto. Solo che Ilaria non è una ragazza come tutte le altre. Stasera si è vestita in modo relativamente normale: Jeans, camicetta leggera con i primi due bottoni in alto slacciati (che mostrano un seno rigoglioso) e sandali col tacco. E’ inusuale un abbigliamento del genere per lei, forse vuole conformarsi al nostro modo di fare, ma di sicuro non può farcela. La sua bellezza è appariscente ed il suo fascino fuori dal comune. Mi fa un leggero sorriso prima di raggiungere i tavolini all’aperto. “Che bello questo posto” commenta incuriosita “A Milano farebbe un successone. Il proprietario deve essere un tipo in gamba”. Subito molte teste si voltano nella nostra direzione. Occhiate di ragazzi sbalorditi che esaminano Ilaria come fosse una marziana. Una stangona di un metro e ottanta così l’hanno vista solo in 164 televisione. Varchiamo la soglia del bar sentendo pronunciare il suo nome sottovoce da decine di ragazzi: “Ma quella è la Agrati!”. “Noo! Che ci fa qui?”. “E’ la ragazza di Nudo”. “Minchia che figa!”. “Il mondo è ingiusto se sta con quel cesso di Luca…”. E’ sempre così, se trovi una bella ragazza finisci per essere brutto e fortunato. Quante volte l’ho detto anche io; è solo l’invidia che fa parlare. Vedo Renzo seduto in fondo al locale con Massi. Appoggia il bicchiere sul tavolo rimanendo a bocca aperta. Si alza con movimenti lenti venendomi incontro. “Ila, sta per raggiungerci il mio amico Renzo. Probabilmente dirà qualche cazzata; non farci caso, è un ragazzo d’oro”. Non faccio in tempo a finire la frase che Renzo si getta platealmente in ginocchio al centro del locale, ed inizia ad adorarla come i mussulmani quando pregano in direzione della Mecca. “Oggi la mia vita non sarà più la stessa! Posso conoscere Ilaria Agrati! Sarò per sempre il tuo schiavo se mi rivolgerai la parola!”. “Alzati pirla” dico imbarazzato. Ilaria ride di gusto mentre saluta Renzo che fa partire un baciamano in perfetto stile neoclassico. Tutti i presenti ridono di questa scenetta mentre ci avviciniamo al tavolo dove si trova Massi. Quest’ultimo al contrario di Renzo è un po’ agitato nel conoscerla perchè vedo spuntare dalle sue guance un leggero rossore. Ci sediamo ed ordiniamo due birre. Dopo qualche minuto l’atmosfera torna normale ed i miei amici ritrovano il loro abituale modo di essere. Questo anche per merito di Ilaria, che nonostante la notorietà è simpatica e alla mano come noi; infatti il suo carattere dolce e naturale è quello che mi ha sempre fatto impazzire. Comincia l’andirivieni di ragazzi che vogliono conoscerla: alcuni chiedono di baciarla, altri l’autografo, Francy e Marco le offrono da bere mentre Teo le presenta il suo cane Fegato: “Che buffo nome, perché l’hai chiamato così?” chiede Ilaria curiosa. 165 “Perché beve come un tombino” è la risposta da alcolizzato del padrone. Io e Massi ci guardiamo e scoppiamo in una fragorosa risata: probabilmente gente così strana Ilaria non l’ha mai conosciuta! Infine giunge Claudia. La vedo entrare e guardare dalla porta nella nostra direzione; si ferma un attimo prima di procedere verso il tavolo. E’ vestita più o meno come Ilaria: jeans, scarpe da tennis e maglietta che le scopre le spalle. Le si intravede il seno, che però sfigura clamorosamente accanto a quello di Ilaria. Si siede di fianco a me ponendosi esattamente di fronte a quest’ultima. “Ciao Ilaria”. “Ciao Claudia” si dicono in tono neutro. “Vedo che vi siete ripresi dall’avventura di questo pomeriggio. Il tuo bel vestito si è rovinato?”. “Non tanto, con una lavata si può sistemare” risponde Ilaria a denti stretti. “Meno male, mi spiace che una ragazza di mondo come te abbia conosciuto i nostri modi da campagnoli così presto” dice Claudia in tono pungente. “Non c’è problema. In cambio quando verrai a Milano ti farò conoscere un po’ di progresso” ribatte Ilaria sottile come un rasoio. Cominciamo bene. Massi mi guarda con espressione stupita dicendo sottovoce: “Ma cosa hanno ste due?”. “E che ne so. A quanto pare non si trovano simpatiche”. Renzo invece non capisce nulla e continua a fissare Ilaria da vero maniaco. Per allentare la tensione spiego ad Ilaria che loro sono i miei migliori amici, che siamo soprannominati ‘La compagnia del flagello’, raccontando un paio di episodi che abbiamo combinato insieme. Ma credo di non avere fatto la mossa giusta… Più vado avanti a raccontare, più Ilaria fissa Claudia come un Cobra che punta la preda, mentre la mia amica si gongola 166 letteralmente. Forse non dovevo dire di quanto siamo intimi io e Claudia; penso di avere peggiorato la situazione. Gelosia “Praticamente abbiamo passato la vita insieme” dice Claudia mettendomi un braccio intorno al collo. Ilaria spalanca gli occhi stupita. “Non c’è stato un momento della nostra adolescenza che non abbiamo condiviso” prosegue Claudia stringendosi ancora di più. “Avere passato la giovinezza vicini deve essere stato bello” ribatte Ilaria sorniona prendendomi le mani “Ma noi stiamo vivendo insieme l’età adulta, che ti assicuro è molto più interessante”. “Ah sì?” domanda Claudia a denti stretti. “Certo, ci sono un sacco di cose divertenti che si possono fare in un letto, sai?” conclude Ilaria buttando gli assi sul tavolo. Gli occhi di Claudia diventano fessure. Ilaria osserva minacciosa. Anche Renzo trattiene il respiro per la tensione che si è venuta a creare. “Ai ai…” si lascia sfuggire Massi dalle labbra. Io sono in mezzo a loro due: Claudia mi abbraccia mentre Ilaria tiene le mie mani. Che situazione di merda! Mi alzo all’improvviso rompendo il silenzio: “Emm… Claudia, vado a ordinarti da bere, cosa prendi?” “No, lascia stare” dice lei alzandosi a sua volta senza smettere di fissare Ilaria, “Vado io, tu resta pure seduto”. La osservo allontanarsi mentre tiro un respiro di sollievo: “Ila, cosa diavolo ti è preso?” domando. “Guarda che ha cominciato lei!”. “Non ha iniziato nessuna delle due, vi state provocando insieme”. “Ma non hai visto come è gelosa?”. 167 “Va bene, può darsi che lo sia, ma non è un buon motivo per comportarvi come bambine”. Appena finisco la frase Claudia torna tra noi sorridendo, si siede di fianco a me e dice: “Le nostre ordinazioni stanno arrivando…”. “Come le nostre ordinazioni?”. “Eccole!” ribatte lei mentre giunge un cameriere che piazza davanti a Claudia una media chiara, e ad Ilaria un litro di latte caldo fumante! “Nooo!” esclama Massi divertito. “E questo cos’è?” chiede la mia fidanzata innocentemente. Renzo non si fa attendere e fa partire il coro: “Bellaaa, non ti passa piuuù, te la sei voluta tuuu, vuoi il Bar Lassina e poooi, latte caldo cazzi tuoooi!!”. Decine di persone si sono radunate all’improvviso intorno al tavolo ed hanno intonato con Renzo un coro della madonna! Sul “cazzi tuoi” Ilaria spalanca la bocca sbalordita. Ci fissa come se fossimo tutti impazziti. Le spiego che lo deve bere e pure pagare, mentre tutti continuano a ridere. Claudia ha fatto una mossa da vera bastarda! Di fianco a me ride soddisfatta. Eppure Ilaria, con grande spirito di compagnia, si alza in piedi, solleva il boccale e fa una lunga sorsata di latte! “Ole!” scatta l’ applauso di tutti i presenti. Magnifico. Ilaria ha reagito nel modo migliore. Nonostante sia un personaggio del mondo dello spettacolo non ha assolutamente la puzza sotto il naso e non è neppure lontanamente snob. Al contrario, è socievole, dal sorriso facile e sincera. Ed anche Claudia sembra che se ne sia accorta. Rimane per un attimo ad osservare la showgirl con espressione curiosa; mentre Ila fa il primo sorso di latte vedo Claudia annuire impercettibilmente con la testa. Credo di non sbagliare dicendo che Ilaria ha scalato di parecchi gradini la scala della stima di Claudia. Passiamo il resto del tempo seduti al tavolo a chiacchierare. Le due ragazze si punzecchiano di meno anche se vedo ancora dell’astio nei loro occhi. Però va bene così, siamo sulla strada buona; magari tra un milione di anni riusciranno persino ad essere amiche. 168 Renzo invece, che è già entrato in intimità, decide di fargli conoscere tutti i personaggi di Lassina. Usciamo all’aperto, sempre circondati da ragazzi che vogliono vederla. Stasera c’è davvero un sacco di gente; sarà la voglia d’ estate a fare quest’effetto. Eppure Claudia, più perfida che mai, fa ad Ilaria una domanda che mai avrei voluto sentire… “A proposito Ilaria, sai chi ti saluta un casino?” “Non rispondere!” cerco di dire alla mia fidanzata, ma lei incuriosita domanda a sua volta: “Non so, chi?”. In un attimo vedo tutti i clienti del locale girarsi contemporaneamente verso Ilaria, prendendosi il pacco tra le mani. Chiudo gli occhi e tiro un sospiro prima di sentire un fragoroso: “STO CAZZO!!!” “HA HA HA” risate generale a profusione. Ilaria mi guarda sbalordita, non riesce a proferir parola. “Accidenti Claudia, sei simpatica come un Tir in contromano” dico. “E’ la tradizione!” risponde lei allargando le braccia come se non avesse potuto fare altrimenti. Tra le risate che non accennano a smorzarsi Ilaria chiede: “Sono finiti gli scherzi o devo subirne degli altri?”. Accompagna la frase con un largo sorriso, che però non viene visto dai miei amici, perché Renzo esclama subito: “Oi oi, la Agrati si è arrabbiata…”. Massi drizza le antenne insieme a Teo e Cavallo. “Non mi sono arrabbiata”. “Capito? Non se l’è presa!” ribatto, anche se ho già intuito che non c’è più nulla da fare. Infatti Renzo l’ha già afferrata per le spalle mentre Massi le si pone davanti. “E adesso che succede Luca?!” Domanda con occhi impauriti e divertiti nello stesso tempo. Sospiro rassegnato prima di rispondere: “Succede che ora fai un tuffo nel laghetto”. “Cosa?!?”. 169 “Attenzione Attenzione! La velina Agrati sta per fare un bagno!” grida Renzo richiamando l’attenzione di tutti i presenti. Ilaria viene portata come un sacco di patate ai bordi del laghetto, seguita praticamente da tutti i clienti. “Maledetto il momento in cui ho deciso di venire a trovarti!!” esclama Ilaria divertita. Per fortuna anche questo scherzo l’ha preso bene; Ilaria è una ragazza davvero fantastica! “Uno”. Vedo oscillare la mia fidanzata. “Due!” Sta per essere lanciata in acqua. “Tre!!”. Atterra nel laghetto… “SPLASH!”. Risate e applausi a profusione. Claudia a pochi metri da me osserva la scena ridendo di gusto. La guardo più vendicativo che mai. Questa volta me la paga! Veloce come un gatto sopraggiungo da dietro prendendola in braccio: “Aiut… Ma che fai!” esclama lei sorpresa. “Ti faccio fare un giro gratis!”. Tutti i presenti sentendo queste parole esplodono in un incitamento da stadio: “Vai Luca!!”. Mi faccio spazio tra i tavoli con Claudia tra le braccia che scalcia come un’ossessa. Entro in acqua fino a metà ginocchio prima di lanciarla senza troppi complimenti. Chiaramente Claudia non molla il mio braccio e finiamo entrambi nel laghetto come la prima volta che l’ho buttata: “SPLASH!” E due. Sapevo che sarebbe finita così ma Claudia meritava una lezione! Seduto nel laghetto cerco di togliermi l’acqua dal viso mentre sento partire un grosso applauso divertito. Apro gli occhi appena in tempo per vedere Claudia che si è già alzata in piedi, e camminando nello stagno si avvicina ad Ilaria 170 che è ancora col sedere a mollo. Giunta a un metro da lei le tende la mano. Ilaria stupita osserva Claudia che le fa un amichevole sorriso: “Grazie” dice Ilaria afferrandole il braccio ed alzandosi in piedi. Fatico a credere ai miei occhi. “Di niente” risponde Claudia “Anzi, scusami per lo scherzo di prima. Sei una ragazza a posto…”. “Non preoccuparti Ilaria!” grida Alessandro dai bordi del laghetto “Claudia tratta sempre così i suoi nuovi clienti!”. “I tuoi nuovi clienti?” ripete Ilaria stupita, “Non dirmi che questo posto è tuo!?”. “Bhè, sì…”. “Complimenti, è bellissimo!” dice la mia fidanzata entusiasta. “Grazie”. Si fissano per alcuni secondi, questa volta senza astio nei loro volti ma con espressione curiosa e amichevole. Ecco qua; le due ragazze più importanti della mia vita stanno trovando la strada per essere amiche? Non lo so, vorrei che fosse così. Si incamminano verso i tavolini chiacchierando tranquillamente. Io rimango ancora seduto in acqua per alcuni secondi: “Ti muovi?” mi intima Renzo invitandomi ad uscire. Strizzo i pantaloni e lo raggiungo. Claudia ed Ilaria proseguono a parlare distese e sorridenti. Il giorno dopo Sto aiutando Ilaria a caricare la borsa sulla macchina. Siamo nel cortile davanti a casa mia, è mattina, ed Ilaria sta per partire. E’ rimasta solo per una notte. Ieri sera abbiamo fatto le tre ma Ila sembra non risentirne. Tra qualche ora deve trovarsi a Milano a registrare una puntata del suo spettacolo perciò deve essere in forma. Io al contrario di lei sono un cadavere ambulante. Ho delle borse sotto gli occhi così grandi che potrei caricarle sulla macchina insieme alle valige. 171 Ila si avvicina, mi passa una mano tra i capelli e dice: “Ciao amore, io vado” dandomi un bacio. “Quando passerai a trovarmi?” le chiedo con voce cavernosa. “Non lo so, appena avrò un momento libero”. “Vuoi che torno io?”. “No Luca, ne abbiamo già parlato. Tu stai qua a Lassina buono buono e divertiti. Il tuo capo aveva ragione a farti fare una pausa. E poi mi sembra che ti stia divertendo, no?”. “Sì ma…”. “Niente ma! Oltretutto a Milano fa un caldo bestiale e la gente comincia ad andarsene al mare. Ti divertirai di più qui. Va bene?”. “Va bene…” rispondo non troppo convinto. “E poi c’è Claudia a farti compagnia”. “Mmm?” domando poco sicuro di avere capito bene. Ilaria appoggia la borsetta sul sedile dell’auto e mi prende la mani. “Claudia… Claudia è una ragazza speciale. L’ho capito ieri sera. Anzi, chiedile scusa da parte mia per quello che le ho detto. Non ne ho avuto l’occasione”. “Lo farò ma…”. “Luca te lo ripeto” dice guardandomi negli occhi “Claudia ti vuole molto bene. Prima era solo un’ intuizione, ora ne ho la certezza. Ma è un bene diverso da quello che ci vogliamo noi due. E’ molto profondo, qualcosa di grande e unico. Per lei tu sei una persona molto importante. Credo che non possa fare a meno di te”. “Senti Ila…”. “E tu di lei. Vi ho osservato come stavate insieme ieri sera. Eravate a posto. Eravate… perfetti. Mi davate l’impressione che era giusto che foste lì, voi due con la vostra storia, il vostro carattere e i vostri momenti. Non so come mai; magari perché siete amici da così tanto tempo che siete entrati in simbiosi senza neppure accorgervene”. “Può darsi ma…” . “Dimmi la verità, tu potresti fare a meno di lei?”. 172 Apro la bocca per rispondere ma non esce alcun suono. Ila mi osserva qualche secondo prima di fare un cenno affermativo con la testa. “Visto Luca? Le vuoi un gran bene; così enorme che neppure tu riesci a comprendere. Ma vedi… Proprio per questo ti dico di stare con lei. Non sono più gelosa di Claudia. Dopo ieri sera non lo sono più. Vi proteggerete a vicenda e starete bene insieme, come in realtà avete sempre fatto. Questa è una parte della tua vita che è venuta prima di me, e non posso fare altro che accettarla”. Ascolto Ila senza proferir parola. Questa ragazza mi stupisce sempre di più. Prosegue dicendo: “Al contrario di te che non l’hai ancora accettata. Claudia è importante per te. Stalle vicino e vedrai che starai bene anche tu. Vedrai che tutti i problemi, la noia e le paure che ti porti dentro piano piano svaniranno. Ma devi accettarla. Devi accettarti. Ed anche io e te staremo meglio, sono sicura. E magari la nostra relazione riuscirà a prendere una piega più seria; la serietà che ci manca per fare quel passo che fino ad adesso non abbiamo mai fatto”. Sorrido imbarazzato ascoltando quello che ha appena detto. Lei mi osserva intuendo quello che provo e mi dà un bacio. “Mi fido di Claudia. E’ una ragazza speciale”. Si volta salendo sul Cayenne; io come un fesso non so cosa dire. Sarà che sono addormentato oppure a causa del discorso che ha appena concluso, ma mi sento un perfetto imbecille. “Ciao” dice lei facendo la retro e mandandomi un bacio. Io la saluto con la mano. “E tieni il cellulare acceso!” esclama uscendo dal cortile e sparendo dalla visuale. Tiro un sospiro rassegnato. Mi volto rientrando in casa con i soliti mille pensieri che mi passano per la mente. Questo discorso di Ilaria mi ha colpito. E il bello è che non vedo l’ora di dirlo a Claudia… Ma pensa te! Che Ilaria abbia davvero ragione? 173 16 Sulla faccia delle donne Batte quasi sempre il sole Per noi che se non ci fossero loro… A noi basta una parola Anche un gesto solamente Per cambiare il colore di un giorno Stadio Mezzogiorno di fuoco Manca poco ad Agosto. Il caldo è soffocante in questi giorni e Lassina si è svuotata. Eppure la Compagnia del flagello è rimasta. A causa della schiena Renzo non può andare da nessuna parte. Non perché gli faccia male, ma se dovesse uscire un controllo e non lo trovassero a casa finirebbe in guai seri. Oltretutto Francesca ha colto l’occasione per andare in villeggiatura con i suoi genitori, visto che erano anni che non lo faceva, lasciandolo solo a casa. Non è una novità, il rapporto tra loro due è molto libero e non sono ossessivi l’uno con l’altro; si prendono le loro libertà nel totale rispetto dell’altra persona. Renzo e Francesca sono decisamente una bella coppia. Chissà se quando andranno a convivere le cose cambieranno. Ad ogni modo Renzo adesso è bloccato a Lassina, quindi per solidarietà non ci muoviamo neppure noi. Bisogna ammettere che questo sacrificio non ci costa molto… Sono più di due mesi che siamo in ferie e di andare in vacanza non ne abbiamo voglia. Oltretutto Lassina deserta ci piace. 174 Possiamo scorazzare per il paese e combinare disastri senza dare fastidio a nessuno. Come oggi ad esempio che stiamo per ripetere una follia di qualche anno fa. Siamo andati a prendere un carrello della spesa al Mak Market, che ovviamente è chiuso per ferie. Con una monetina l’abbiamo sganciato dai suoi fratelli infilati in colonna e lo stiamo portando in strada. E’ mezzogiorno e l’asfalto è così bollente da creare i tipici miraggi di pozze d’acqua in lontananza. Non circola neppure una macchina. Io Renzo Massi e Claudia stiamo spingendo il carrello verso la discesa dell’oratorio, che termina alla rotonda della banca. Se tutto andrà come previsto sarà un mezzogiorno certamente di fuoco! “Chi sale per primo?” chiede Claudia. “Io no di certo” ribatte Renzo che porta una maglietta senza maniche dei Napalm Death, con dei jeans lunghi tutti sfilacciati. Il pizzo da diavolo è così cresciuto da arrivargli fino allo sterno. Anche Claudia porta dei jeans ma sono molto corti, ed una maglietta bianca con il simbolo della Nike. Indossa un cappello di paglia a larghe falde per coprirsi dal sole. Io e Massi siamo vestiti uguali, con pantaloni a tre quarti pieni di tasche ed una maglietta presa a caso dall’armadio. “Salgo io” dico per risolvere la questione. Massi fa un cenno affermativo con la testa mentre arriviamo in prossimità della discesa. Subito lui e Renzo la percorrono tutta lasciando me e Claudia in cima alla salita. Osservo da lontano Renzo posizionarsi al centro della rotonda, mentre Massi si avvicina leggermente a noi. Quando Renzo è sicuro che non passino automobili grida: “Vai!”. Entro nel carrello della spesa. “Pronti, partenza… Via!” dice Claudia. Mi spinge leggermente giù per la discesa. Piano acquisto velocità mentre sento l’aria calda sbattermi sulla faccia. E’ incredibile! Sono lanciato da una discesa nel carrello di un supermercato! Sono come quei pazzi che si buttano dalle cascate all’interno di una botte di legno. 175 “Yeee!!” grido in preda all’adrenalina. Raggiungo Massi dopo alcuni secondi. Prima che possa sfrecciargli di fianco a tutta velocità mi afferra le gambe fuori dal carrello, in un gesto già provato centinaia di volte quando eravamo più piccoli. Mi fermo in un attimo; anche perché la forza erculea di Massi fermerebbe persino un trattore. Claudia applaude in cima alla salita così come Renzo in mezzo della rotonda. “Allora?” chiede Massi. “Pazzesco!” rispondo con enfasi uscendo dal carrello, “Non ricordavo che era così bello; ti giuro che c’è stato un momento in cui credevo che me la sarei fatta addosso”. Torno da Claudia con il carrello mentre gli altri due restano dove sono. Ora tocca a lei fare un giro. Si infila dentro mentre dico: “Pronti, partenza… Via!” lanciandola giù per la discesa. Il cappello le vola subito lontano, mentre tiene le braccia alzate come se fosse sulle montagne russe di Gardaland. Alla fine Massi la afferra con molta naturalezza, facendo scendere Claudia più radiosa che mai. “Adesso tocca a me” dice Renzo trovando coraggio. Lo sostituisco alla rotonda. Quando non sopraggiungono automobili do il segnale di partenza, e Renzo viene lanciato da Claudia. Massi lo afferra tranquillamente e continuiamo questa follia sotto il sole di un pomeriggio bruciante. Massi fa pochi giri; lui è l’addetto alla frenata e si diverte di più in questo ruolo. Oltretutto fermarlo nel carrello lanciato è impresa non da poco, e solo Renzo è in grado di compierla. Io e Claudia siamo troppo gracili per questo genere di sforzi, e probabilmente lo lasceremmo schiantare sul muro della palazzina oltre la rotonda, sempre che prima non lo investa una macchina. “Fate fare una discesa anche a me?” chiede Massi dopo un’ora, “Ne ho fatte veramente poche”. Per noi non c’è alcun problema. Ci posizioniamo in questo modo: Claudia in cima alla salita con Massi dentro al carrello, Renzo a metà strada per fermarlo ed io sulla rotonda. “Puoi lanciarlo!” grido a Claudia. Lei a quanto pare mi prende alla lettera e dà una poderosa spinta a Massi! Il carrello viene spedito a gran velocità. Massimo alza le braccia contento della 176 super-velocità, non accorgendosi che inizia a girare su se stesso. Dopo pochi metri corre già di lato senza più controllo. “Oh cazzo…” commento con un filo di voce. Lentamente continua la rotazione finché Massi si trova a scivolare al contrario, dando le spalle a Renzo che lo deve afferrare. “Voltati! Così non riesco a prenderti i piedi!” grida Renzo. “Non posso! Come si fa?!?” risponde Massi con quanto fiato ha in gola, mentre si fa prendere dal panico. Claudia si mette le mani nei capelli. In pochi secondi realizzo che stavolta siamo proprio nei guai. Oltretutto dalla strada che incrocia quella in cui siamo vedo sopraggiungere una macchina. Se Renzo non afferrerà il nostro amico per le gambe finirà dritto sul muso dell’automobile. Ed infatti è quello che sta per succedere! “Prendimi prendimi!” grida Massi. Renzo fa per agganciarlo ma il carrello è al contrario e lo manca. Massi scivola a tutta velocità nella mia direzione, dritto in bocca alla macchina o al muro dove inevitabilmente si schianterà. Devo fare qualcosa! So che non ho la forza per fermarlo, ma devo tentare. Senza pensarci due volte mi metto in mezzo alla carreggiata ad aspettare il carrello. “Bloccalo!”urla Renzo a gran voce. Claudia sta correndo per raggiungerci. Vedo Massi bianco come la morte che mi guarda disperato. Quando arriva a pochi metri da me faccio l’unica cosa possibile: con un calcio volante degno di Bruce Lee colpisco di lato al carrello. Lo prendo in pieno e con una forza tale da sbatterlo nelle aiuole ai bordi della strada. Vedo Massi volare come Ralph Supermaxieroe e finire seppellito in un cespuglio. Il carrello rotola al di là della siepe con clangore metallico. Io cado su un fianco e vedo le stelle quando sbatto l’anca sull’asfalto! In quel momento l’auto imbocca la rotonda e passa nel punto dove si sarebbe certamente spappolato Massi se non avessi tentato questa mossa da suicidio. 177 Il signore a bordo della vettura mi guarda con occhi curiosi, chiedendosi come mai ho deciso di prendere il sole sul cemento in un giorno così bollente! “Porca puttana” impreca Renzo. “Vi siete fatti male?”. “Claudia vai a cagare!” urla una voce in mezzo alla siepe. Ci guardiamo un momento per poi scoppiare a ridere tutti e quattro! Per fortuna nessuno di noi si è fatto nulla, a parte qualche livido che resterà alcune settimane. Ci alziamo, ci spolveriamo e raccogliamo il carrello accartocciato come un foglio di carta. “Ora va bene per metterci dentro solo delle sogliole…” commenta Massi dolorante, mentre percorriamo la salita che porta al supermercato. Penso che sarà l’ultima volta che faremo questo gioco... Il corvo Arriva sera e più svitati che mai decidiamo di compiere un’altra follia. Ci troviamo davanti alla scuole sulla strada sterrata che porta al campo di calcio di Lassina. Massi ha una grossa tanica di plastica in mano e mostra il liquido nero in essa contenuto con gran soddisfazione: “Questo l’ho fatto io. E’ un misto di petrolio e Cloro di benzo raffinato che brucia da Dio!”. “Cloro di che?” chiediamo in coro. “Niente, una roba che si incendia. Dai, scendiamo sul campo a provarlo” propone con entusiasmo. Lassina è deserta e nessuno vedrà questo misfatto. L’idea è di spargerlo sul terreno di gioco (che non è erboso ma sabbioso, a causa del maltrattamento) e fare un disegno usando come inchiostro il petrolio. Dato che siamo rimasti affascinati dal film “Il corvo” con il figlio di Bruce Lee, ci siamo promessi che prima o poi avremmo rifatto la scena dove un corvo infuocato brucia per terra. E oggi sembra il giorno ideale. Non dovrebbero vederci proprio perché non c’è anima viva. 178 Giungiamo davanti al recinto ed entriamo nel campo. Ci mettiamo nel cerchio di centrocampo (o almeno quello che rimane) e ci chiediamo: “Chi lo sa disegnare?”. “Non guardare me” dico sinceramente. Claudia scuote la testa mentre Renzo allegro afferra la tanica e si dirige verso le panchine. D’altronde è sempre stato lui ad avere la fissa di questa avventura, ed è giusto che si cimenti nel disegno. Immediatamente rovescia la tanica centellinando il liquido scuro ed inizia a disegnare l’ala. Presi alla sprovvista dalla sua azione repentina restiamo a guardare per qualche secondo prima di reagire: “Forza, facciamo un tracciato del corvo sulla sabbia, in modo che Renzo possa seguire una figura già preparata”. Scavando linee coi piedi ci mettiamo subito all’opera; Massi si preoccupa di disegnare la testa, Claudia l’altra ala mentre io stilizzo la coda e le zampe. Renzo prosegue a spargere il petrolio finché non raggiunge il nostro tracciato, dopodichè alza la testa incuriosito commentando: “Ragazzi, ma non sarà un po’ troppo grande?”. Tutti e quattro ci fermiamo accorgendoci che l’uccello che sta venendo fuori è delle dimensioni del campo di calcio! Io e Massi ci troviamo sotto le porte opposte e non riusciamo a fare a meno di sorridere: “Vuol dire che l’effetto sarà ancora più spettacolare!” commenta Claudia. Renzo alza le spalle e prosegue a testa bassa continuando a rovesciare il petrolio. Dopo circa quindici minuti ultimiamo il lavoro e ci posizioniamo al centro del campo ad ammirare la nostra fatica: è veramente immenso! Illuminati solo dalla luce della luna fatichiamo perfino a vedere la punta delle ali, ma il colpo d’occhio resta impressionante. Una lunga striscia nera corre fino alle aree di rigore, perdendosi poi nel buio della notte. “Lo avremo disegnato bene?” chiedo. “Secondo me sì” risponde Claudia. “C’è un solo modo per saperlo” interviene Massi “Diamogli fuoco”. 179 Scattiamo tutti in preda ad una sana eccitazione e ci dirigiamo verso la porta dove finisce la coda. Ci arrampichiamo sulla rete e raggiungiamo la traversa sdraiati a pancia in giù sulla tela. “Ci reggerà?” chiede Renzo cercando di stabilizzarsi. “Certo, e poi ci vorrà poco…” ribatte Massi. “Spiegaci cosa dovrebbe fare il tuo petrolio”. “Non è petrolio, è un composto che ho preparato io”, e di questo nessuno aveva dubbi vista l’innata passione di Massimo per la chimica. “Dovrebbe bruciare più lentamente. Secondo i miei calcoli il fuoco si alzerà di pochi centimetri, lasciando per parecchi minuti il corvo che abbiamo disegnato. Anche se basterà solo per il tempo di scattare alcune fotografie” dice estraendo di tasca la macchina digitale. “Bene” commento. “Hai i fiammiferi?”chiede Claudia. “Eccoli” esclama Massi. Ne strofina uno che si accende con un leggero fruscio. Sotto di noi c’è una piccola chiazza di petrolio lasciata apposta per essere centrata. “Pronti, partenza… Via!” dice Massi gettando il cerino in mezzo alla macchia. Dalla nostra posizione privilegiata sopra la traversa osserviamo il fiammifero cadere. Appena tocca terra il petrolio si incendia ed inizia a correre con due strisce sottili ai lati del campo. Le ali di fuoco prendono forma mentre guardiamo a bocca aperta la corsa incendiaria. Le fiamme salgono fino alla porta dall’altra parte del campo, formando la testa dell’uccello che ora si staglia davanti a noi in tutta la sua grandezza. Uno spettacolo magnifico! Il fuoco entra nel buio con lingue tremolanti e lascia il nostro corvo bruciante ergersi maestoso in tutta la sua grandezza. “Sti cazzi!” commentiamo elegantemente. Massimo scatta una foto dietro l’altra mentre noi tre ci guardiamo estasiati. Bellissimo! Quest’impresa ce la ricorderemo per sempre. Eppure dopo qualche minuto chiedo un po’preoccupato: “Ma il fuoco non doveva rimanere basso?”. “Cosa?” risponde Massi. “Il fuoco. Non hai detto che rimaneva di qualche centimetro?”. 180 “Certo”. “A me sembra che si sia alzato”. Restiamo in silenzio ad osservare le fiamme, ed effettivamente notiamo che aumentano sempre di più. Il nostro amico chimico ci guarda dubbioso; sembra di vedergli un grosso punto di domanda sulla testa. Il fuoco continua nella sua progressione finché notiamo che le fiamme sono alte quasi un metro. “Cazzo, cosa sta succedendo?”chiede Renzo. “Non so, a quest’ora dovrebbero spegnersi” ribatte Massimo. Velocemente scendiamo dalla rete avvicinandoci al disegno di fuoco. In un batter d’occhio la fiamma si è alzata arrivando a un metro e mezzo! Preso dal panico grido: “Spegniamolo! Copriamolo con la sabbia!”. Iniziamo a scalciare verso le strisce di petrolio infuocate, ma l’impresa è disperata; il corvo gigante nemmeno sente le manciate si sabbia che tiriamo. Sembra un elefante indifferente al camminare di una formica sul suo dorso. Le fiamme si alzano ancora di più! Mi allontano coprendomi il viso dal fuoco che ora è più alto di me. “Come si fa a spegnerlo?!”. “Non lo so!” risponde Massimo spaventato. Ci stringiamo ad osservare la nostra opera. Siamo tutti sbigottiti. Come al solito la situazione ci è sfuggita di mano. Per giunta dalle fiamme inizia a sprigionarsi un denso fumo nero che si innalza altissimo nella notte. Il campo da calcio di Lassina sta letteralmente bruciando! “Così lo vedranno dai palazzi rossi!” commenta Claudia indicando dietro di noi. A un centinaio di metri infatti c’è un condominio abbastanza alto che con tutta questa luce potrebbe notare l’incendio. Speranzoso che gli inquilini siano tutti in vacanza mi volto a guardarlo. Decine di luci alle finestre sono accese! Alcune figure nere sono affacciate e hanno tutta l’aria di guardare nella nostra direzione. Mi gela il sangue nelle vene. 181 “Scappiamo!” dice Renzo con occhi sbarrati. Non ce lo facciamo ripetere due volte e di corsa raggiungiamo l’uscita vicino agli spogliatoi. “Dove andiamo?” chiede Claudia correndo. “Saliamo sulla collinetta”. “Quella del teatro nuovo?!”. “Sì, cosi possiamo nasconderci tra le siepi e vedere cosa succede”. Veloci come lepri saliamo fino in cima, troviamo un albero circondato dai cespugli e osserviamo. Da quassù la scena è ancora più micidiale. Ci credo che dai palazzi rossi abbiano visto tutto! Il fuoco illumina a giorno l’intera zona ed il fumo nero sembra quello di una grossa ciminiera di una fabbrica di carbone; si potrebbe tagliare a fette con un coltello da quanto è denso. Pochi minuti dopo sentiamo la sirena dei pompieri: “Questa volta abbiamo esagerato…”, subito seguita da quella della polizia municipale. Vediamo l’autobotte dei Vigili del fuoco fermarsi e srotolare le manichette all’interno del campo di calcio. Tre pompieri con potenti getti d’acqua colpiscono le fiamme. Ho il cuore che batte a duecento all’ora! Claudia e Renzo potrebbero far parte del museo delle cere da quanto sono paralizzati; stasera abbiamo superato ogni limite. Deglutisco a fatica e mi giro a guardare Massi, che al contrario di noi sta facendo fotografie per nulla impaurito. “Sei pazzo! Non hai pudore!” commento scioccato. Massimo si gira e mi fa una risatina sommessa alla Muttley, quando inseguiva il piccione Yankee Doodle in vecchio cartone animato. Eppure qualche secondo dopo le fiamme cessano all’improvviso! Come assorbite dal terreno si spengono in ogni parte del campo, lasciando tutto nell’oscurità. “Che diavolo è successo?!” chiedo sollevandomi. “Deve essersi consumato il Cloro di benzo” risponde Massimo. “Ecco perché sono durate così tanto. Dovevo metterne di meno in modo che le fiamme restassero basse e si spegnessero subito! Sono stato stupido. La prossima volta non sbaglierò”. 182 “Non credo ci sarà una prossima volta” dice una voce alle nostre spalle. Ci giriamo paralizzati dal terrore e vediamo il Comandante dei vigili di Lassina davanti a noi insieme ad altri colleghi. “Avanti, venite fuori di lì” intima con voce imperiosa. Siamo fottuti. Questa volta siamo davvero fottuti! Anche Massi perde il sorriso mentre ci avviciniamo ai nostri aguzzini. Scavalchiamo la siepe ed usciamo sulla strada che costeggia la collinetta, dove ci sono le loro auto parcheggiate con la luce blu che gira lentamente. “Ve lo chiederò solo una volta: tutto questo è opera vostra?”. Restiamo in silenzio. Per un attimo mi chiedo se valga la pena mentire e negare tutto, ma so che peggiorerebbe soltanto la situazione. Perciò rispondo con un filo di voce: “Sì…”. “Vi hanno visto…” prosegue il comandante “…dai palazzi mentre eravate sdraiati sulla rete della porta. Avete fatto una luce tale da illuminare metà paese. Come pensavate di non farvi notare?”. Continuiamo a non preferir parola. Ci sentiamo imbarazzati e umiliati. Gli altri vigili ci osservano come se fossimo animali da tenere in gabbia. “Cosa vi è saltato in mente?”. Silenzio. “La chiamata è arrivata mezz’ora fa…”. Silenzio. “Ditemi i vostri nomi”. Schiacciati come piadine diamo le nostre generalità: alla fine il Comandante ci invita a salire in macchiana. “Dove ci portate?” chiede Renzo. “In centrale”. “Minchia, come nei film…” dice Massi sottovoce; Claudia gli tira una pedata sugli stinchi per fargli capire che non è il momento di dire cazzate. Dopo pochi minuti arriviamo in centrale, che si trova al confine con Oseve. Ci accompagnano attraverso alcuni corridoi e finiamo in una stanza spoglia con alcune panchine. 183 “Stanotte la passerete qui” dice il comandante. “Cosa?!?” esclamo sbigottito. “Domattina vedremo cosa fare di voi. Il sindaco o i carabinieri vorranno porvi delle domande”. Ci guardiamo spaesati perdendo anche gli ultimi resti di spavalderia. “Qualcuno deve avvertire a casa?”. Facciamo cenno di no con la testa; tutti i nostri parenti sono in vacanza. “Allora buonanotte” conclude il comandante uscendo dalla stanza. “Che figura di merda…” osserva Renzo con un filo di voce. Non posso che dargli ragione. Muti come pesci ci avviciniamo alle panchine e ci sediamo. Nessuno riesce a dire nulla. Massi è il primo a sdraiarsi seguito subito da me e da Renzo. Nella penombra della stanza solo Claudia resta seduta. Dopo qualche minuto sento la nostra amica ridere sommessamente… Anche a Massimo scappa da ridere; lo osservo sussultare piano sdraiato sulla panca di metallo. Improvvisamente anche sul mio volto esplode un largo sorriso, che cerco di nascondere con la mano. “Ma che avete de ridere??” domanda Renzo dall’angolo più buio. Noi in tutta risposta continuiamo a sghignazzare senza proferir parola. “Siete proprio deficenti…” dice girandosi verso il muro cercando di dormire. Che botta! Siamo in piedi tutti e quattro nell’ufficio del comandante. E’ mattino, sono le nove ed abbiamo una faccia da sonno da raccontare. Dopo alcuni minuti di attesa dalla porta entra il sindaco di Lassina, un uomo che ha passato da un pezzo i settant’anni. Si chiama Federico Rinaldi e credo non abbia fatto nient’altro nella 184 vita se non gestire questo piccolo paese. Con occhi vispi e acuti ci osserva da sotto la giacca di lino grigia, che porta anche quando fuori ci sono queste assurde temperature. Lo osserviamo sedersi in silenzio alla scrivania e rivolgerci la parola con ostentato tono di rimprovero: “Ragazzi… Ragazzi… Ma cosa avete combinato stanotte?”. Non rispondiamo; non è una domanda ma solo l’inizio del sermone. “Avete dato fuoco al campo di calcio, vi rendete conto? Credo proprio di no…”. Si aggiusta gli occhiali sul naso; dimostra al massimo sessant’anni ed ha ancora scorza da vendere. Lo conosco da parecchio ed è pure amico di famiglia; d’altronde in questo buco di paese ci si conosce tutti per forza. Penso che sia venuto lui e non i carabinieri perché conosce ognuno di noi, ed ha deciso di lavare i panni sporchi in casa. “Accidenti, avete trent’anni! Non potete più fare queste sciocchezze da ragazzini! E’ ora di mettere la testa a posto”, mi trattengo dal tiragli un pugno sentendo quest’ultima frase. “Massimo…” prosegue “Da uno scienziato come te, non me lo sarei mai aspettato! Renzo, mi vuoi spiegare col tuo mal di schiena come hai fatto ad arrampicarti sulla traversa della porta?! E tu Claudia, proprio perché sei una donna dovresti essere più matura e responsabile”. Si alza dalla scrivania raggiungendomi. Con un plateale gesto di rassegnazione esclama: “Luca! Santo cielo Luca! Da quando sei tornato a Lassina non c’è più pace!”. “Ma non è vero, io…” “Sei il personaggio più in vista” prosegue senza ascoltarmi “Dovresti stare molto attento. Povera Teresa, quando saprà cosa hai combinato stavolta le verrà un colpo… E se la televisione scoprisse che sei un piromane?”. “Adesso non esageriamo!”. “Ah no? E come definiresti dei ragazzi che incendiano un campo da calcio?!”. Restiamo in silenzio di fronte a questa inconfutabile affermazione. 185 “Come si fa adesso? Cosa dobbiamo fare con voi?” chiede a tutti e a nessuno in particolare. La domanda si perde nella stanza mentre Rinaldi appoggia il sedere nuovamente sulla sedia. Rimaniamo in piedi di fronte a lui. Aspettiamo che si decida a dirci cosa ha in serbo per noi. “Ci sarà una bella multa da pagare” inizia sollevando lo sguardo nella nostra direzione “la segnalazione dei vostri nomi ai Carabinieri e probabilmente dovrete passare qualche giorno in un centro di recupero. Ma se il giudice sarà benevolo ve la caverete facendo volontariato in un centro per anziani”. “Quale giudice?!” chiede Renzo a bocca aperta. “Quello che vi giudicherà al processo. Per un atto come il vostro si entra nel penale”. “Nooo!” rimaniamo di gesso. “Signor sindaco, la prego, non c’è niente che si può fare?” domanda Massi disperato, “Una soluzione alternativa? E’ stato un momento di follia, siamo veramente pentiti” conclude con una magnifica faccia di bronzo. Rinaldi resta in silenzio alcuni momenti prima di rispondere con un piccolo ed ironico sorriso sulle labbra. “A dire il vero, qualcosa ci sarebbe….”. Tendiamo le orecchie come conigli. “Da tanti anni c’è un buco nelle casse del comune” sospira, “Che, aimè, non siamo mai riusciti a chiudere. Se con una generosa donazione qualcuno si offrisse di pagarlo, noi gliene saremmo davvero grati”. Attimi di riflessione. “Mi scusi sindaco” chiede Claudia “Ci sta suggerendo di provvedere noi alla soluzione di questo problema comunale? Insomma, in cambio lei chiuderebbe un occhio sull’incendio del campo da calcio… Ho capito bene?”. “Non ho mai detto queste parole!” esclama Rinaldi indignato “Però sarebbe una buona idea” conclude girando la frittata e lavandosene le mani. E’ un vero politicante. Se avesse qualche anno di meno potrebbe ambire alla presidenza del consiglio. 186 “Va bene, abbiamo capito” riflette Massi “E a quanto ammonterebbe la nostra multa, cioè il debito nelle casse del comune?”. “Oh, esattamente come i danni provocati ad una automobile circa vent’anni fa” dice osservandomi con occhi da volpe. “Vero Luca? Un’ Isotta Fraschini finita nei campi”. Rimango sbigottito! Sta parlando del giorno in cui io e Claudia abbiamo quasi distrutto quella vettura al Parco delle Querce. “Ancora?!? Non è possibile” esclamo a gran voce mentre Claudia mi stringe il braccio. “Accidenti Luca” dice il sindaco alzandosi e perdendo il fare mieloso ed ammiccante; ora parla come un vero contadino infuriato: “Costava un patrimonio l’Isotta Fraschini e tu e Claudia l’avete fatta a pezzi! Santo cielo come ricordo quel giorno! E’ stato il momento più difficile della mia carriera di sindaco e tutto grazie a voi! Insieme siete una sciagura per questo paese e soprattutto per me!” dice sfogandosi con parole che da troppi anni si tiene dentro “Non mi lascerò scappare di certo l’occasione di rendervi pan per focaccia”. Se non fosse così arrabbiato ci scapperebbe da ridere; è la prima volta che vedo il sindaco Rinaldi incazzato. “Quanto dobbiamo pagare” chiedo per tagliare la testa al toro. “Ventimila Euro”. “Cosaa?!?”. “Ventimila euro, prendere o lasciare. Io farò finta che ieri sera non sia successo niente, ma voi pagate questa cifra. Sono cinquemila euro a testa, ed è anche poco rispetto a tutti i danni che avete fatto in questi anni. Oltretutto spero che la smettiate di bruciare Lassina; le macerie di Cascina Visconti stanno ancora fumando dall’ultima volta che siete passati!”. Ci guardiamo tutti e quattro sorpresi, il sindaco non ha dimenticato proprio nulla. Capisce di avere colpito nel segno perché riprende l’atteggiamento ironico e garbato di sempre tornando a sedersi. “Comunque, vi aspetto questo pomeriggio alle quattordici nel mio ufficio, così potremo risolvere il problema. Ora potete andare” 187 dice rivolgendoci un cenno con la testa. Confusi e sbalorditi ci voltiamo e usciamo dalla porta. In fila come indiani percorriamo il corridoio sotto gli occhi di alcuni vigili alla scrivania, che sicuramente avranno sentito il predicozzo. Cinquemila euro! Sicuramente pagheremo la multa, ma stavolta abbiamo preso una bella batosta. Credo che per un po’ la Compagnia del flagello starà tranquilla. Inforchiamo la porta che dà sulla strada. Il sole splende alto e caldo nel cielo. Un vigile ci aspetta sui gradini con in mano la tanica di petrolio che abbiamo usato ieri sera: “Avete dimenticato questa” dice facendola dondolare. “Mpf…” risponde Massi afferrandola con una smorfia. Mentre ci allontaniamo sento lo sguardo ironico del tutore dell’ordine sul collo. Porca miseria che nottata! Penso che non la dimenticheremo facilmente. 188 17 Fammi provare capitano un’avventura dove io son l’eroe che combatte accanto a te Fammi volare Capitano senza una meta tra i pianeti sconosciuti per rubare a chi ha di più Capitan Harlock Vacanze Claudia sta dormendo. Osservo il suo volto mentre sono seduto nel letto di fronte a lei. Dorme sdraiata sul materasso della casa in montagna di Massi, dove abbiamo deciso di passare una settimana. Dopo le ultime scorribande a Lassina ci siamo convinti che era meglio cambiare aria, perciò siamo partiti per la Valtellina, dove trascorreremo una settimana tutti e quattro. Siamo qui già da qualche giorno e manca poco a Ferragosto. Rischio quattro ci ha portato indenni a mille metri d’altezza, mentre Renzo è venuto con la sua inseparabile motocicletta ed ora è via con Massi per fare un giro a Livigno. Io e Claudia abbiamo deciso di rimanere. Stamane si sono alzati troppo presto per noi, perciò ci siamo fatti una bella dormita al fresco della montagna. Nella camera c’è il matrimoniale dove sta dormendo Claudia ed un letto a castello dove sono seduto io. Da non so quanto tempo la sto osservando dormire. Sono come calamitato da lei. 189 Vederla così piccola e indifesa mi dà tutta un’altra sensazione. Il terremoto del suo carattere è sopito tra le lenzuola e non mi va di svegliarlo. Con una mano sotto il cuscino dorme respirando piano; i leggeri movimenti del suo corpo sono a mala pena percettibili. Il viso è disteso e rilassato. Indossa solo una canottiera e degli slip; le lenzuola sono raggomitolate in fondo al letto per il caldo. Ciuffi di capelli neri le si posano delicatamente sugli occhi. Dalla finestra entra una luce bianca che la illumina. Non l’ho mai vista così bella. Da quando sono tornato a Lassina ho riscoperto Claudia. Quelle sensazioni che provavo stando con lei fino a qualche anno fa sono tornate. Ma al contrario di allora non cerco di soffocarle; non le nascondo tra le ansie e le paure del mio futuro. Ora le lascio libere; sto provando a vedere che effetto mi procura farle correre a briglia sciolta. Eppure da poco mi sono accorto di quello che sto facendo; solo adesso che sento battere forte il cuore ho la certezza di volerla accanto. Ripenso alle parole di Ilaria: “Stalle vicino e vedrai che starai bene anche tu. Vedrai che tutti i problemi, la noia e le paure che ti porti dentro piano piano svaniranno. Ma devi accettarla. Devi accettarti”. E se avesse ragione? Se fosse lei l’antidoto alla mia cocciutaggine, alla smania che ho sempre avuto di andarmene e di lottare contro tutto e tutti? Probabilmente è la fobia di avere una relazione seria che non mi ha mai permesso di vedere Claudia diversamente da un’amica. La paura di ammettere a me stesso che forse sono innamorato di lei. ‘Innamorato’, che parola pesante, accidenti! Ma se fosse vero? Dovrei scavare in fondo al cuore per saperlo; togliere i veli di paure in cui è impacchettato, le insicurezze e le bugie dette solamente a me stesso. La comprensione 190 In fondo non ho mai capito perché sono stato via tutto questo tempo senza mai tornare; l’astio nei confronti di un paesino di seimila abitanti non poteva essere il solo motivo. Ma ora credo di avere capito. Erano quelle sabbie mobili che mi avrebbero trattenuto se fossi tornato. Ma cos’erano queste sabbie mobili? Anzi, chi erano?? E se erano proprio Claudia? Se la paura di innamorarmi di lei fosse la vera causa?! Amarla avrebbe voluto dire restare bloccato nella Brianza senza alcuna possibilità di salvezza. Ed io inconsciamente sapevo che se fossi tornato sarebbe successo… Ma ero davvero innamorato di Claudia allora? A questo punto sì, altrimenti non si spiega come mai in cinque anni di Milano non ho fatto altro che pensare a lei… E ne ho avuto la prova in questi giorni. Starle vicino mi ha fatto sentir bene: sono stato davvero felice come non mi capitava da anni, o come forse non mi era mai capitato. Tolta la paura del mio futuro, i sentimenti che provo per lei potrebbero davvero essere liberati. La radio, le canzoni, Milano, sono punti stabili nella mia testa. Certo, non sono una sicurezza a cui appoggiarsi completamente, come dice Alessandro, ma dentro me un po’ lo sono. E questo mi fa bene. Mi fa stare in pace senza avere troppa paura del domani. Ma per avere il cuore in ordine al cento per cento manca ancora qualcosa. Lo sento, lo so. Anche in questo caso Alessandro aveva ragione. Quando mi ha domandato: tu cosa vuoi? Non ho detto nulla. Mi ha aiutato Ilaria a trovare una risposta... Che cosa voglio? Cosa vuole Luca Nudo?! Beh… Io voglio Claudia. E’ lei il tassello mancante. Accettare quello che provo per lei sarebbe la fine del puzzle. Può essere davvero così? 191 Sono innamorato di Claudia? La osservo respirare; strisce di luce entrano dalle tapparelle illuminandole la figura. Il cuore batte più forte. In fondo l’ho sempre saputo. Sono tornato a Lassina per rivederla, è inutile continuare a negarlo a me stesso. Avrei potuto convincere il Capo a restare in radio in ogni momento; ed invece sono tornato. Non per seguire un suo consiglio, ma perché lo volevo davvero! Morivo dalla voglia di rivedere Claudia. Di sentire la voce del cuore e di capire quanto ancora la volevo e quanto mi era mancata. Possibile che tutte queste cose erano sotto i miei occhi ed io non sono mai riuscito a vederle? Possibile che amici e parenti lo abbiano sempre saputo, mentre io sono stato l’ultimo ad accorgermene? Claudia si muove facendo un leggero fruscio con le lenzuola. Il mio cuore perde un battito. Apre gli occhi lentamente posando il suo sguardo su di me. “Ciao” dice sottovoce “Da quanto tempo sei lì… così..?” Divampa il sentimento nei suoi confronti. E’ come se la osservassi da un’eternità. Mi sembra di provare le vibrazioni del periodo in cui avevamo fatto l’amore, quando mi sono chiesto per la prima volta se ero innamorato di lei. E’ straordinario vederla mezza addormentata nel letto, seminuda, con lo sguardo ancora indeciso se tornare nel mondo di Morfeo oppure fare un salto nella realtà. “Forse da sempre” rispondo con un soffio. “Cosa…?” ribatte stropicciandosi gli occhi. Si alza tenendosi appoggiata con una mano al cuscino. I capelli neri tutti spettinati le danno un’aria da ragazzina; la maglietta da un lato è rimasta raggomitolata scoprendo l’ombelico ed una pancia piatta come un tavolo da biliardo. Se è vero che il valore di una ragazza lo si nota quando è appena alzata al mattino Claudia allora è bellissima. “Hey” dice sottovoce “Come mai eri lì in silenzio?”. “Ti stavo guardando…”. “E perché?”. 192 “Pensavo a un po’ di cose…” rispondo lasciando in sospeso la frase, “Aspetta, ti porto il caffè”. Senza darle tempo di risponderle mi fiondo in cucina prendendo la moka che ho lasciato in caldo, verso due tazze abbondanti e torno in camera. Nel frattempo si è ricomposta piegando le gambe sotto il sedere e dandosi una scrollata con la mano ai capelli. Mi siedo accanto lei sul matrimoniale: “E così ti saresti pettinata?” chiedo porgendole il caffé. “Perché non va bene?”. “Se lo dici tu”. Si porta la tazza alle labbra sorseggiando un po’ del liquido nero caldo. Mi guarda e con occhi curiosi chiede: “Come mai tutta questa gentilezza?”. “Sai che sono un gentleman”. “Come no!” “Diciamo che stamattina mi va di essere gentile”. “Grazie” dice sia con la bocca che con gli occhi. Restiamo ad esaminarci per alcuni attimi silenziosi. L’atmosfera è avvolgente; una luce tenue illumina la camera dandole tranquillità. Il silenzio è dolce e ci coccola come se fossimo parti di questa stanza immutate nel tempo. E forse è davvero così. Forse non siamo mai cambiati e le due persone che ora si guardano sono le stesse che per tutta la vita hanno camminato, riso, sono cresciute, e magari senza dirselo si sono innamorate. “Sai una cosa?” dico “Alessandro pensa che io sia innamorato di te”. Spalanca leggermente gli occhi prima di dire: “Davvero?”. “Beh, non ha detto proprio così ma il senso era quello. Crede che io sia spaventato da te; spaventato dall’amore che provo per te e che mi costringerebbe a stare Lassina se ne prendessi atto. Ale pensa che il motivo per cui non me ne sono più andato da Milano sei tu. Perché se fossi tornato e ti avessi rivisto sarei rimasto impantanato a Lassina”. Claudia appoggia la tazza tra le gambe . “Quando hai parlato con lui?”. 193 “Qualche mese fa”. Sposta leggermente un piede appoggiandolo sull’altro: “E tu cosa pensi?”. “Cosa penso io? Claudia… non lo so. Ma non è finita qui. Anche Ilaria prima di partire mi ha detto le stesse cose. Addirittura la mia ragazza! Sembra che tutti vogliano farmi ammettere che sono innamorato di te. Non è buffo? Ilaria dice che quando riuscirò a capire il bene che ti voglio, staremo meglio anche io e lei, perché mi sarò capito davvero e le mie paure svaniranno”. “Ha detto così?”. “Sì, tutte le frustrazioni e il senso di incompletezza che provo stando a Lassina secondo lei non ci saranno più. Ed io starò bene sempre; sia a Milano che qui, sia nel cuore che nella mente. E quindi sarò felice anche con lei”. “Accidenti che parole” commenta con un sorriso che ha tutta l’aria di essere triste. “Queste non sono parole sue, sono mie, le ho dette adesso ma sono parecchi giorni che ci penso…”. “No, non è buffo”. “Come?”. “Non è buffo” dice Claudia abbassando leggermente lo sguardo. La vedo sul punto di dire qualcosa ma di non riuscire a farlo. Con un sospiro ed un sussurro mi domanda: “Chi sono io per te?” guardandomi negli occhi. “Sei molto di più di un’amica, questo lo sai…”. “Sì, lo so”. “E’ inutile che continuiamo a prenderci in giro Claudia, io ho pensato a te ogni singolo giorno che ho vissuto a Milano. E il resto del tempo l’ho passato a chiedermi come mai non volevi raggiungermi”. “Stupido scemo, lo sai che non potevo farlo!”. “Non potevi o non volevi?”. “Tutte e due. E non cominciamo la solita discussione su ‘di chi è la colpa’ per non esserci visti in questi anni!”. “Oh Claudia com’è difficile…” esclamo sdraiandomi con le mani dietro la testa. 194 “Il fatto è che sono molto felice a Milano, davvero molto. Ma poi torno qui e… Anche qui sono felice”. “E da quando una cosa esclude l’altra?”. “Mpf” dico sospirando con lo sguardo perso sul soffitto. “Luca, si possono avere radici e ali”. “Forse in estate potrei volare qui”. “Oppure fare tutto contemporaneamente. C’è un sacco di gente che lavora a Milano ma abita in Brianza”. “Lo so” rispondo, “Ma stare in campagna vorrebbe dire stare con te. Ed Ilaria non ha capito che non posso stare con due donne contemporaneamente, soprattutto se una di quelle sei tu”. “Cosa intendi?”. “Io… Claudia ascolta” dico mettendomi a sedere accanto a lei. “Io sono davvero innamorato di te, e lo sono da sempre”. Claudia al suono di queste parole non diventa rossa, al contrario, sbianca come un lenzuolo. “Lasciami finire, ti prego non interrompermi. Io l’ho sempre saputo quello che provo per te, ma non l’ho mai voluto ammettere. Ti amo fin da quando eri bambina, lo so, lo sento. Ma forse perché eravamo amici, o perché non stavo bene con me stesso e con la vita che facevo, non te l’ho detto. Non ci ho mai ragionato su. Ma quando sono andato via la tua mancanza mi ha fatto impazzire! E il bello era che lo sapevo che mi saresti mancata. Ero innamorato ma non lo ammettevo. D’altronde tutto combacia: pensa a quante relazioni serie ho avuto nella vita; tu le conosci tutte. Non ne ho avuta mai nessuna… Qualche settimana al massimo con ragazze di passaggio. Solo Ilaria è la relazione più completa che posso dire di avere avuto. Ma, come ti ho spiegato, anche con lei ci sono dei paletti. Ci vogliamo bene ma viviamo alla giornata. Non vogliamo una relazione seria che ci impegni totalmente. Questo a causa degli orari di lavoro che nel mondo dello spettacolo sono tutti sballati, ma anche perché abbiamo paura di crescere… Soprattutto io. Questa parola mi mette i brividi ogni volta che la pronuncio ma è la verità. Anche il mio Capo lo dice e devo ammettere che ha ragione. Mi ha mandato via sei mesi, apposta perché quando tornerò avrò un mare di responsabilità e dovrò essere pronto ad affrontarle. Ma non è di 195 quelle responsabilità che ho paura, ma di quella che ho nei tuoi confronti. Non ho mai avuto una relazione seria perché l’unica l’ho avuta con te. E non parlo di quella notte in cui abbiamo fatto l’amore…” adesso si che è diventata rossa “ma di ogni singolo giorno che ho vissuto con te”. Faccio una pausa prima di dire: “Tu eri quelle Sabbie mobili che mi avrebbero fatto restare qui”. Resta in silenzio guardando la tazza che tiene tra le mani. “Stupido”. “Grazie”. “Perché non me l’hai detto prima?”. “E cosa ti dicevo? ‘Oh Claudia sai una cosa, sono innamorato di te, e quindi per causa tua non posso vivere davvero la vita che vorrei’…!? ”. “Certo, potevi dire così”. “Seee, e cosa avrei ottenuto?” chiedo alzandomi in piedi, “A te cosa importava se ero innamorato? Non ho mai capito cosa provavi tu per me; so che mi vuoi un mondo di bene, certo, ma amare è una cosa molto diversa”. Claudia mi osserva con la stessa tristezza negli occhi che ho visto poco fa. Rimango disorientato dal suo sguardo. “Hai ragione Luca, non hai mai capito niente”. “Claudia…” dico lasciando in sospeso il suo nome “Tu… cosa provi per me?”. 196 18 Claudia non tremare… Non ti posso far male Se l’amore è amore Antonello Venditti La resa dei conti “Tu che cosa provi per me?” è la domanda che si sente rivolgere Claudia. Sono anni che aspettava questo momento, ed ora, seduta sul letto accanto a lui, ha la possibilità di raccontargli tutto. Il cuore batte forte, cerca di raccogliere le parole ma non ci riesce. “Claudia” dice Luca perplesso, “Che succede?”. Osserva la sua amica rimanere immobile di fianco a lui. “Hey, guardami; ho detto qualcosa che non va?”. Claudia solleva lo sguardo puntandolo fisso negli occhi di Luca. Nella stanza cade un silenzio immobile che sembra durare un’eternità. E questo silenzio parla per loro. Le frasi dei due ragazzi volteggiano nell’aria senza uscire dalla bocca. Girano e raccontano di un mondo di sensazioni, di sguardi e di silenzi nascosti nell’abisso dell’insicurezza. Narrano delle incertezze di un sentimento troppo forte per essere raccontato, e delle paure che potevano scatenarsi lasciandolo uscire. Voci invisibili spiegano dell’amore che Claudia ha tenuto nascosto nel cuore tutti questi anni, di ogni singolo momento in cui ha pensato a Luca, e di una vita che avrebbe voluto vivere ma che purtroppo è rimasta nel cassetto. Un cassetto che custodisce i 197 sogni, i sospiri e i sorrisi che lei ha conservato per lui, ma che non ha mai potuto rivelare. Miliardi di frasi continuano a girare intorno alla stanza, volteggiando su di loro seduti a pochi centimetri uno dall’altro. Lei vestita solo di mutandine e maglietta, i capelli tutti arruffati. Lui in jeans e T-shirt, con un’espressione dipinta sul volto di assoluto stupore. Il silenzio continua a narrare la storia, come una musica instancabile, melodiosa, incredibile… Finché sul viso di Claudia si chiudono impercettibilmente le palpebre. Un leggero tremito negli occhi, ed una piccola goccia le scende lentamente sulla guancia, come un dolcissimo miracolo. Claudia non è mai stata così bella come in questo momento, pensa Luca. E capisce ogni cosa… Tutti i pezzi del puzzle si compongono magicamente lasciandogli vedere il quadro completo. Luca rivive come in un film tutta la vita passata con lei; le smorfie, i ripensamenti, le arrabbiature e i gesti quotidiani di anni insieme. E a tutto dà un significato… Niente è stato lasciato al caso. Claudia è stata sempre coerente con i sentimenti che provava per lui. Soltanto adesso Luca riesce a capire la sua misteriosa amica. Dentro una lacrima legge tutta la loro storia, come nemmeno migliaia di libri saprebbero raccontare. E dentro a quella goccia Luca ha l’impressione di annegare. “Tu mi…”. Claudia abbassa lo sguardo sul materasso per un istante prima di fissarlo nuovamente in quello di lui, come un silenzioso assenso. “I-io, non lo sapevo, non me l’hai mai detto…”. Lei continua a rimanere in silenzio. Lui le prende le mani sfiorandole appena, come fossero di cristallo, prima di abbracciarla stringendola forte a se. 198 Affonda il viso nell’incavo della spalla, lasciando che la lacrima bagni anche la sua guancia. “Claudia…” dice poggiando la fronte su quella di lei. “E’sempre stato così” dice Claudia. “Io… Non potevo immaginare…”. “Lo so, lo so”. “Ma perché non me l’hai detto?” “E dai Luca!” dice lei dandogli una leggera spinta sullo sterno, “Per gli stessi motivi per cui non me l’hai detto tu!”. “Cioè?!?”. “Come cioè? Ma sei proprio tonto” dice asciugandosi la guancia col dorso della mano, “Ecco perché non hai capito niente in tutti questi anni. Cosa volevi che ti dicessi? Che ero innamorata di te e che ti avrei voluto sempre vicino? In questo modo non avrei fatto altro che metterti ancora più paura, e ti avrei fatto sentire maggiormente in gabbia. Così saresti scappato ancora prima da Lassina e magari non saresti più tornato”. “Ma non è vero, chi ti assicurava che avrei reagito così!?”. “Dai pensaci. Qualcuno che ti amava in un posto da cui volevi scappare era l’ultima cosa che avresti voluto”. Luca non riesce a rispondere, sa che la sua amica ha ragione. “Parlami di te…”. “I-io..” inizia Claudia “Ti ho sempre voluto bene fin dall’inizio. Credevo che tu fossi il mio fidanzatino quando eravamo bambini, e in fondo non ho mai smesso di crederlo” dice tra le pieghe di un sorriso, “Il mio amore è cresciuto a dismisura e col passare del tempo è diventato un bisogno. Non potevo fare a meno di te, Luca. E proprio perché ti conoscevo capivo che se te l’avessi detto ti avrei perso per sempre. Eppure io non volevo perderti, era impensabile che tu ti allontanassi da me. Perciò ho creduto che averti amico era meglio di niente, e non ti ho mai detto nulla. Chiamami codarda se vuoi, ma ero troppo innamorata per dirti la verità. Però alla fine te ne sei andato lo stesso. Lo so, era inevitabile, e piano piano me ne sono fatta una ragione. Ma non sono riuscita a dimenticare quello che provavo per te. E credo che questo sentimento non riuscirò più a mandarlo via”. “Chi sa… di queste cose…?”. 199 “Solo Giulia”. “E’ incredibile…”. “Renzo e Massi però non sono stupidi, e avranno già capito tutto da parecchio tempo, al contrario di te che non hai mai capito niente”. Luca non ha parole. Vede la sua amica di cui è innamorato da sempre ricambiare il suo affetto. Come è stato cieco in tutti questi anni! “Prima… hai detto che ‘eri’ innamorata di me… Ma adesso…”. “Luca, Luca…” ribatte sospirando “E’ passato tanto tempo”. “Cioè?” dice Luca avvicinandosi di più. “Cioè le cose cambiano!”. “Cosa vuoi dire?”. “Luca…” dice con un sospiro poggiandogli la mano sul collo e accarezzandogli la testa, “Lascia perdere, la vita è andata avanti e… non farmi dire cose che non vorrei”. “Io voglio solo sapere cosa provi per me adesso”. “Lo so. Non ti è bastato quello che ti ho detto finora?” ribatte poggiando entrambe le mani sulle sue guance. Gli accarezza gli zigomi coi pollici avvicinandosi sempre di più. Luca capisce che per queste domande la sua amica non ha risposte. Quindi decide di non chiederle più niente; si lascia trasportare dentro i suoi occhi scuri e dal suo profumo, che ora lo avvolge di inebrianti sensazioni. Le afferra i polsi. Claudia adesso è tutto ciò vuole. Se la comunicazione non può essere verbale allora avrà delle risposte in un altro modo. Restano fermi alcuni secondi con le facce che quasi si toccano. Claudia avvicina ancora un po’ il viso di Luca alle sue labbra, mentre lui le scosta una ciocca di capelli. Sentono la paura nel loro respiro, nelle mani e sulla pelle. Lei si lascia scivolare sotto il corpo di lui intrecciando le gambe alle sue, sdraiandosi poi entrambi sul letto. Claudia spinge le lenzuola in fondo al materasso. “Non dovremmo fare queste cose” dice Claudia. “Perché?”. 200 “E Ilaria?” chiede bisbigliando. Luca lascia la domanda sospesa perché adesso non ha una risposta. Claudia gli leva la maglietta sfilandogliela dalla testa, facendolo rimanere a petto nudo su di lei. “E Gabriele?” chiede Luca rendendogli pan per focaccia. Nei pochi secondi in cui Claudia rimane in silenzio Luca gli infila la mano sotto la maglietta, arrivando al gancio del reggiseno, facendolo scattare. “Ci sono delle buone ragioni se non l’abbiamo fatto per sette anni” risponde lei con voce roca. “Lo so. Sto cercando di ricordarmele”. “Deficiente!” dice Claudia mordendogli la mano che cercava di accarezzarla, stringendo più forte il corpo contro il suo. “Ai..”. “Non ti lamentare, dovrei farti più male per essere stato via tutti questi anni” continua afferrandogli i capelli con una rabbia improvvisa. Luca in risposta le tira i suoi allo stesso modo. “Adesso sono qui” ribatte facendo scivolare una gamba in mezzo alle sue e allacciandosi alle caviglie a mò di uncino. “Lo so” risponde passandogli una mano sotto il torace fino a raggiungere l’elastico dei boxer. Luca va su di giri immaginando Claudia che tocca parti del suo corpo che da parecchio non ricevono una visita. “Claudia…”. Lo zittisce mettendogli un dito sulle labbra. Si volta facendolo sdraiare e mettendosi a sedere sopra di lui. Piega la schiena levandosi la maglietta e facendola volare con il reggiseno a un lato del letto. Ora indossa solo le mutandine mostrando al suo amico due piccoli seni bianchi. Luca si trova davanti una Venere di rara bellezza. Nuda in questo modo non l’aveva mai vista. Quella notte era molto buio e non ha potuto osservare granchè; ma adesso con la luce del mattino che illumina la stanza gli sembra di vedere un dipinto dei grandi maestri del cinquecento. La bellezza allo stato puro. 201 I capelli spettinati le cadono sugli occhi dandole un sguardo magnetico; la bocca socchiusa ad indicare la voglia ingorda che ha di lui. Gli prende le mani posandole sui propri seni. Luca stringe piano i capezzoli. Claudia abbassa leggermente la testa prima di dire: “Mi sei mancato in questi sette anni”. “Anche tu”. “Bene” dice sempre in un bisbiglio. Luca si solleva mettendosi a sedere e baciandola sulla bocca. Tenendogli una mano tra i capelli arruffati si stacca dalle sue labbra, ma Claudia lo segue e posa di nuovo la bocca sulla sua, affondando la lingua al suo interno. Luca scende con la mano accarezzandole la schiena, fino a raggiungere l’elastico delle mutandine. Si sdraiano sul letto; Claudia è sopra di lui. Il corpo di lei si solleva permettendo a Luca di sfilarle anche l’ultimo indumento. Le mutandine si attorcigliano diventando una spirale tra i fianchi e le natiche. La mano di Claudia giunge in aiuto facendo scivolare l’indumento fino alle ginocchia: “Non sei capace nemmeno di spogliarmi”. “Ho bisogno di ripetizioni”. Scambiano le battute fra i sorrisi, con bocche e denti a un centimetro di distanza. “Aiutami a toglierle”. Luca fa scivolare la mano accarezzandogli la gamba, fino a raggiungere quella di Claudia che è alle prese con le mutandine ferme a metà strada. Insieme le spingono giù alle caviglie facendole poi volare fuori dal letto. Claudia ora è completamente nuda. Sulla sua pelle brilla qualche goccia di sudore. Emette un gemito di esasperazione prima di far affondare i suoi seni nella bocca di lui. Il telefono. “Fanculo…” dice Claudia sottovoce. Luca la stringe posandogli una mano sul sedere, mentre con quell’altra le afferra il seno che non sta succhiando. 202 Secondo squillo. “E’ il tuo Claudia”. “Lo so” risponde con voce rauca. “Saranno Massi e Renzo che rompono le palle”. “Mpf…” dice lei, mentre con la mano gli afferra il cavallo dei calzoni, sentendo sotto le dita il gonfiore dell’eccitamento di Luca. Un altro squillo. “E se avessero bisogno di noi?” chiede Claudia con un sussurro. “Cazzo! Senti cosa vogliono e poi mandali a quel paese” risponde Luca morsicandole l’altro seno. “Mmm…” geme Claudia mentre si allunga a prendere il telefonino. “Pronto?” Una flebile voce metallica giunge dal cellulare. Luca sente subito un gran freddo che fa sparire di colpo ogni sensazione magica. “C-ciao, non aspettavo una tua chiamata. Che ora è lì da te?” dice Claudia sedendosi sul letto e infilando le mutandine. “Chi è? Il tuo ragazzo giapponese?” chiede Luca poggiandosi su un gomito. Lei si porta l’indice sulle labbra e continua la conversazione. Nel frattempo raccoglie da terra il reggiseno e se lo infila, allacciandolo con una mano come soltanto le donne sanno fare. “No, sono in montagna, ci siamo presi una vacanza…” continua mentre si infila anche la maglietta. Luca capisce che è tutto finito; in un istante sente che la sua amica si è allontanata anni luce. Anche lui si veste facendo il minor rumore possibile. Sente un profondo senso di smarrimento partire dallo stomaco e giungere fino al cuore. Perché Claudia ha avuto una reazione così? Va bene, al telefono c’è l’uomo con cui si è vista nell’ultimo periodo, ma non era tutto finito con lui? La guarda mentre gli volta le spalle parlando con toni bassi e calorosi. Decisamente per Claudia Gabriele non può essere soltanto un amico. Ma accidenti, si domanda, solo qualche istante fa stavano per fare l’amore, possibile che sia tutto cambiato così? 203 Parole mai dette Dopo qualche minuto Claudia chiude la comunicazione. “Cos’è successo?” chiede alla sua amica che non smette di fissare il telefono. “Beh, senti Claudia… Solo pochi istanti fa stavamo per…” dice indicando il letto con un gesto impacciato, “Ed ora non mi guardi neppure?”. Lei continua a rimanere in silenzio. “Va beh ma… Non mi sembri una tipa da sensi di colpa. Ok, tra te e Gabriele c’è qualcosa però… Dovrei essere io a sentirmi stronzo perché stavo tradendo Ilaria!”. Lei rigira il cellulare tra le mani senza dare alcuna risposta. Luca si avvicina poggiandogli una mano sulla spalla e pronunciando il suo nome sottovoce: “Hey Claudia…”. “Non è per quello…”. “Cosa?” chiede Luca. “Non è perché stavamo per fare l’amore” continua in un sussurro, “Io l’avrei voluto davvero. L’avrei voluto fare con una persona che amo. Luca… Io ti amo…” gli dice guardandolo finalmente in faccia. Le tre parole più importanti della vita di Claudia sono finalmente uscite dalla sua bocca. Quanto ha aspettato questo momento! Il momento in cui le avrebbe potute pronunciare fissandolo negli occhi. Eppure Claudia sa che questa frase non può rimanere da sola, ma deve essere accompagnata da un’altra che sente di dover dire, adesso più che mai: “…ma non amo solo te” conclude. “C-cosa vuoi dire?”. “E’ tutto così complicato” dice appoggiando il telefono sul comodino. “Ascoltami bene Luca. Io sono innamorata anche di Gabriele. Lo amo davvero, su di lui non ho nessun dubbio. Era su quello che provavo per te che avevo delle incertezze. Ma da quando sei 204 tornato ho capito che non è cambiato niente nel mio cuore. Io amo anche te”. “Cazzo…” “No aspetta, lasciami finire di parlare” ribatte agitando la mano, “Fammi dire tutto adesso che ne ho il coraggio, altrimenti potrei non farcela più”. “Ma cosa stai dicendo?” chiede il suo amico confuso. “Insomma… Gabriele non è solo il mio ragazzo, o l’avventura più recente che sto vivendo. Io e lui tra un anno ci sposiamo”. Luca rimane paralizzato. Una sottile nebbia si pone davanti agli occhi impedendogli di ragionare e di assimilare completamente quello che ha sentito. “I-io non so cosa dire” continua lei, “Siamo insieme ormai da tre anni, e qualche mese fa mi ha chiesto di sposarlo. Lui è la persona più importante che mi sia capitata di incontrare; all’inizio è stato tutto casuale, ma poi abbiamo costruito una storia speciale, come non mi era mai capitato”. Luca guarda la sua amica come fosse una marziana. “E mi sono innamorata di lui. Veramente.” “Ma perché…” dice Luca guardandosi le mani, come se potesse trovarvi dentro le parole da dire “Me lo dici solo ora?”. “Perché non ero sicura di quello che provavo per te, e volevo avere la certezza di essermi lasciata ogni cosa alle spalle prima di sposarlo. Non volevo prenderlo in giro. Ma non volevo nemmeno fartelo sapere, altrimenti non avrei mai potuto capire se il mio amore per te c’era ancora o meno. Dovevo rivederti… Riesci a capirmi?”. “No” dice Luca deglutendo a fatica. “Ok” inizia Claudia prendendo fiato e afferrandogli le mani, “Devi sapere che io e Gabriele ci siamo conosciuti per caso un pomeriggio sul lago…”, ed inizia così a raccontargli tutta la storia che la vede protagonista insieme al suo futuro sposo. Gli parla del fatto che Gabriele ha portato una pausa fra i tumulti del suo cuore, facendogli dimenticare Luca e regalandole finalmente dei periodi di tranquillità. Gli spiega che l’amore per lui era forte e pazzesco, mentre quello per Gabriele basa le fondamenta sulla serenità e la tranquillità, sensazioni che forse non aveva mai provato. Ma 205 anche che, ora come ora, le due figure non riescono a superarsi e gareggiano continuamente alla ricerca di accaparrarsi il posto in prima fila al centro del suo cuore. “Vi amo entrambi, in maniera diversa ma è così. Quando ti ho rivisto al bar qualche mese fa mi è bastato un secondo per capire che non era cambiato niente. Ero cotta di te come quando ero una ragazzina. ‘Sono’ cotta di te. Credimi Luca, è tutta la vita che aspettavo il momento di dirti queste parole. Però adesso è diverso. Ora c’è anche Gabriele, ed io amo anche lui”. “In che giorno… vi sposerete?” chiede con voce incerta, quasi avendo paura di sentire la risposta. “Non lo sappiamo ancora. L’estate prossima credo. Non ho voluto stabilire una data precisa perché prima volevo vederti. Quando Gabriele tornerà dal Giappone gli darò una risposta e decideremo un giorno”. “Ti sposerai con lui” dice Luca a mezza voce. “Gabriele è un uomo buono, sa tutto quello che provo per te. E sa anche di questi giorni che stiamo passando insieme”. “Ti sposerai con lui” continua Luca come se non l’avesse sentita. “Luca…” dice lei mentre il suo volto viene inondato dalla malinconia. Il ragazzo che ha amato per tutta la vita è davanti a lei, ma non può essere suo. Proprio adesso che ogni cosa è andata a posto. Ora che i nodi dei sentimenti sono venuti al pettine non possono più stare insieme. In fondo allo stomaco Claudia sente che qualcosa è cambiato per sempre. Le confessioni venute a galla in questa stanza modificheranno il loro rapporto definitivamente. Luca indietreggia di un passo senza guardare la sua amica, che ora stringe le labbra fino a farle diventare due fessure: “Luca…” dice in un sussurro che vorrebbe essere un urlo. “Ti sposerai con lui…”. “Dove vai?”. “I- io, devo uscire” ribatte infilandosi le scarpe. Si volta dando le spalle a Claudia che ora stringe a pugno le mani fino a sbiancare le nocche. Chiude la porta dietro di se lasciandola da sola. 206 Scende i gradini e raggiunge un sentiero che lo porterà dritto in paese. Il sole rovescia ondate di luce sulle montagne. Claudia si mette una mano davanti alla bocca cercando si soffocare un singhiozzo. “Ti sposerai con lui…” pensa Luca, mentre il sole brucia sulla sua testa. 207 19 Spettinata quando fai l’amore Il tuo sorriso piange Perché tu sai le cose che voglio di più Se mi guardi capisci perché Sei l’amore proibito lo so Ma non è importante… Ora devi fuggire da me E ogni tanto fuggire con me Spettinata io e te non si può Ma non è importante… Giuseppe Povia Vita “Si sposerà con lui…” penso camminando nelle vie di Lassina. Siamo alla fine di Settembre ma non mi è ancora passata. Da quel giorno in montagna dove ci siamo confessati tutto, non riesco a pensare ad altro. Sono le undici del mattino e mi sto dirigendo al bar di Giulia per fare colazione. Ormai l’estate è volata via portandosi dietro il caldo e l’afa dei mesi passati, anche se le temperature sono miti e si riesce ancora a girare in maglietta. Io e Claudia non siamo più tornati sull’argomento. Quando usciamo con gli altri due fenomeni parliamo solo di cazzate, evitando con cura di intraprendere il discorso. Tra di noi è tornato quell’imbarazzo silenzioso che c’era qualche anno fa, quando abbiamo fatto l’amore. Se ci guardiamo anche 208 solo per un istante, leviamo di scatto lo sguardo, come se ci avesse punto qualcosa. Siamo due bambini che hanno paura di farsi leggere in faccia i pensieri. Non riesco a darmi pace. Claudia non doveva tenermi nascosta una cosa così importante. Si sposerà, accidenti a lei, ed io la perderò per sempre. In fondo è questo che non riesco a mandare giù, il fatto che se ne vada dalla mia vita. Non so per quale motivo, ma ho sempre dato per scontato che Claudia ci sarebbe stata in tutti gli anni a venire. Per me era una certezza come il sole la mattina; pensare di non vederla di più o di cambiare il nostro rapporto a causa di una terza persona, è impensabile. Eppure è questo che accadrà. E il mio stomaco si contorce, il cervello si annebbia, il cuore avverte un nuovo peso da sostenere come se ci fosse attaccata una pietra, che presto o tardi lo schianterà al suolo. E Claudia cosa pensa di tutto questo? Anche lei sta impazzendo così?! Entro nel Bar Lassina con la testa confusa e le borse sotto gli occhi. Finché non berrò un cappuccio sarò per metà ancora nel letto. Non c’è nessuno. Mi siedo su uno sgabello di fronte al bancone. Giulia arriva salutandomi con voce atona: “Ciao” dice mentre si avvicina alla macchinetta “Vuoi un caffè?”. “Cappuccino grazie. Tutto ok?” chiedo in tono retorico, tanto per dire qualcosa. Mi passo una mano sui capelli cercando di darmi una svegliata. Giulia mi guarda ma non risponde. Con rapidi gesti scalda il latte restando in silenzio. “Ma non sai niente?” chiede finalmente dopo alcuni secondi. “Di cosa?”. Qualche attimo di silenzio. Il latte monta dentro il pentolino. “Renzo ha avuto un incidente stanotte”. “No!” dico alzando la testa, “Dove?”. “Dopo aver portato a casa Francesca. Ha sbattuto con la moto”. “Non lo sapevo, si è fatto male?”. 209 … Tra la domanda e la risposta passano i secondi più lunghi che ricorderò nella vita. … “E’ morto”. … … Giulia rimane a guardarmi con un’espressione di dolore indescrivibile sulla faccia. Nello specchio dietro al bancone la mia immagine riflette un ragazzo a bocca aperta, incredulo alla notizia. “C-Come è morto…?!!”. “Mi dispiace Luca”. “Ma… ieri sera era qui con me, l’ho visto andare via con Francesca…”. Giulia non sa cosa dire. “Come è successo?” chiedo senza sentire la mia voce. “Non si sa ancora. Secondo alcuni testimoni è caduto cercando di evitare un animale che gli ha attraversato la strada all’improvviso. Un cane forse. Ha perso il controllo ed ha sbattuto la testa su un auto parcheggiata. Si è rotto l’osso del collo. E’ morto sul colpo.”. “Abbiamo bevuto insieme una Sambuca… Anzi no, l’ho bevuta io, lui non prende alcolici quando deve guidare la motocicletta… solo un caffè…” dico gesticolando con le mani. “I carabinieri stanno ancora accertando la dinamica dell’incidente, non posso dirti altro”. Ammutolito la osservo mentre finisce di prepararmi la colazione. Appoggia il cappuccio davanti a me. Poi senza dire nulla si sporge dal bancone e mi abbraccia. “Dai, non è vero… Dimmi che non è vero”. Lei mi stringe più forte. Si allontana e vedo i suoi occhi. 210 Sono venati di rosso e delle lacrime tristi scendono a solcargli le guance. “E’ vero”. “No, dai no…”. “La croce rossa l’ha portato in ospedale per dei controlli. Stava rientrando a casa. Abbiamo saputo la notizia stamattina verso le sei”. Il mondo gira al contrario. Lo specchio di fronte a me si moltiplica e riflette mille Luca increduli che non riescono ad assimilare la notizia. Vengo schiacciato da una strana dimensione che mi allunga i pensieri rendendoli inutili. Renzo non c’è più. Non è possibile. “Cristo…” dico con un filo di voce. “Francesca lo sa?” domando. “Sì, è già all’ospedale. Stamattina mi ha telefonato Alessandro per dirmelo”. “E i genitori di Renzo?” chiedo come se fosse possibile che non lo sappiano. “Certo” ribatte lei “Luca… mi dispiace, anche io… non riesco a crederci…”. Bevo due sorsi di cappuccio senza accorgermene. Lo stomaco si è improvvisamente chiuso. Non mi rendo ancora conto di quello che è accaduto. Forse sono nel letto a dormire ed è tutto un sogno. Renzo… Non è possibile. “Dov’è tua sorella?”. “A casa. Massi è già andato in ospedale, ma lei non vuole muoversi”. “S-Senti, vado da lei”. “Ok” dice Giulia accompagnandomi con lo sguardo mentre esco dal locale. Cammino con passo veloce come fossi in trance. Ma che è successo? continuo a ripetermi. Solo qualche ora fa bevevamo insieme; non riesco ad accettare la realtà. Ho bisogno di vedere Claudia. Mi deve spiegare, mi deve dire tutto. So che 211 vedendola si aggiusterà ogni cosa, basterà una sua parola per farmi capire cosa è successo. Non è possibile. Non è possibile. Arrivo in un lampo a casa sua. Suono il campanello e viene ad aprirmi Marta con un’espressione che mai avevo visto prima. “Dov’è?” le chiedo senza preamboli. “In camera sua”. Entro e faccio il corridoio quasi correndo, come se fossi inseguito da spettri invisibili. Spalanco la porta e vedo Claudia seduta sul letto con le gambe raccolte sotto il mento. Mi guarda… e improvvisamente realizzo ogni cosa. I suoi occhi lacrimano copiosamente e le guance sono coperte di un rossore distrutto. “Claudia” dico avvicinandomi. Non ho bisogno di altre spiegazioni. Non una frase. Non una risposta. Claudia ha detto in un miliardesimo di secondo tutto quello che c’era da dire. “Claudia…” mi siedo sul letto accanto a lei e la abbraccio. Appoggio la testa sulla sua guardando nel vuoto. Lei solleva gli occhi fissandoli nei miei: “Ho provato…” inizia a dire mangiandosi le parole “…a chiamarti, ma avevi il telefono spento”. “Quando?”. “Fino a qualche minuto fa”. Tiro fuori dalla tasca il cellulare e lo accendo. Mi arriva subito il messaggio di tentativo di chiamata di Claudia, seguito immediatamente da quello di Francesca. Mi si gela la fronte. Francesca ha tentato di chiamarmi. E un istante dopo, come fossimo telepatici, Francesca mi telefona. Guardo il display col suo nome e non so che fare. Lo mostro anche a Claudia in un estremo gesto patetico, per chiederle di darmi il coraggio di rispondere. Lei tira su col naso senza dire niente; si asciuga una lacrima col dorso della mano. 212 Al terzo squillo premo la cornetta verde e appoggio il telefono all’orecchio. “Francesca…”. … Silenzio. “Fra? Non ti sento…” insisto. “Ho bisogno… di voi...” “Come? Non capisco” la sua voce è sottilissima, sembra che debba spezzarsi da un momento all’altro. Spingo più forte il Nokia sull’orecchio. “Ho bisogno di voi… Venite qui…”. Comprendo finalmente le sue parole, che hanno l’effetto di una scossa elettrica. Alzo la testa di scatto guardando Claudia. “Sei all’ospedale?” le chiedo. “Sì”. “Stiamo arrivando” dico con risolutezza. Ora so esattamente cosa fare, questa sua richiesta mi ha fatto uscire dallo sbalordimento e dall’incapacità di reagire. “Francesca ci vuole con lei. Vado a casa a prendere la macchina e passo a prenderti tra cinque minuti, va bene?” dico a Claudia mentre sto già uscendo dalla camera. Lei accenna un sì con la testa. Corro e raggiungo casa mia in un batter d’occhio; nel frattempo ho telefonato a Massi che mi informa di trovarsi già in ospedale. Dopo pochi minuti torno con Rischio 4 da Claudia, che mi sta aspettando in cortile; sale e sgommiamo facendo saltare la ghiaia davanti a casa sua. Realtà L’ospedale da lontano sembra che ci stia aspettando. 213 Si erge silenzioso e indifferente davanti a tutte le esistenze che dentro di lui stanno combattendo per la vita. O che hanno già perso la battaglia. Parcheggiamo sotto l’ingresso del pronto soccorso. Con passi veloci entriamo nel silenzio disinfettato dell’edificio, mentre una strana sensazione di inutilità si fa largo nello stomaco. Incrociamo subito Cavallo che sta uscendo per fumarsi una sigaretta. La faccia lunga e bianca accentua gli occhi infossati che sono venati di rosso. Gli chiediamo dove dobbiamo andare e lui ci risponde con parole semplici e tristi. Io e Claudia percorriamo i corridoi tenendoci per mano, come non capitava da anni. Siamo l’uno per l’altra un’ancora alla quale aggrapparsi per non cadere nel vuoto che abbiamo di fronte. Giriamo l’angolo e ci troviamo davanti decine di persone. Ci sono tutti. Jimmi, Marco, Ronny e Daniela, le gemelle Fumagalli, Silvietta e tutti gli amici di sempre che ora stanno a testa bassa con sguardi assenti. Si girano verso di noi. “Ciao” dicono flebili voci che tornano dal mare di pensieri in cui erano annegate. Una pacca sulla spalla. Un abbraccio ad un amico. Chicca si butta su Claudia piangendo sommessa. Lei la abbraccia trattenendo a stento le lacrime. “Dov’è Massi?”. Mi fanno spazio lasciandomi entrare nella stanza; Claudia è subito dietro di me. Superiamo una grande porta a vetri prima di vedere Massi che esce da una camera circondata da tende verdi. Francesca è accanto a lui, più piccola che mai davanti alla mostruosità di quest’evento. Ci vede, e senza piangere si avvicina a noi poggiando la testa in mezzo a me e a Claudia, circondandoci con le braccia. La abbracciamo a nostra volta. 214 Io non sono pronto per questo; nessuno mi ha insegnato come comportarmi in queste situazioni. Nessuno dovrebbe mai saperlo. Ma Francesca inizia a piangere con la sua voce sottile che spezza ogni equilibrio interiore, come un’esplosione di mille schegge di vetro. Claudia si lascia andare in singhiozzi sofferti mentre grosse lacrime le solcano le guance. Io ho un pugno nella gola che non mi permette di respirare. Ma non piango. Mi stacco da loro lasciandole abbracciate, e mi dirigo nella stanza dove c’è Massi. Ci guardiamo con occhi concreti e rassegnati. “Che cazzo ha fatto?” chiedo. “Ha dovuto fare ancora una volta lo scemo” ribatte con l’ironia che solo due amici assoluti possono tirare fuori in momenti come questi. Massi volta la testa al centro della stanza. Io mi giro con lui. Renzo è lì, sdraiato su un lettino e coperto da un lenzuolo. Il viso rilassato ma bianco; sembra stia dormendo. Attorno a lui c’è la famiglia; sua madre gli tiene la mano accarezzandogli la testa. Michela, la sorella maggiore di Renzo che non vedo da una vita, sta parlando con un medico. Il padre fissa il vuoto della stanza. Il suo sguardo è altrove. Dietro gli occhiali non si vede più nessuna scintilla di vita. Il mio amico è lì a due metri, ma è come se fosse lontano anni luce. Ritorna Francesca che si avvicina a Renzo prendendogli l’altra mano. “Hai visto che è arrivato anche Luca?” gli dice come se potesse sentire, “Ha dormito troppo ed è arrivato solo adesso”. Si volta verso di me: “Se gli parlo mi sente, sai Luca? Vero che mi può sentire?” chiede guardandomi e attendendo una risposta. 215 Parlare sarebbe impossibile. L’unica cosa che posso fare è allargare le braccia verso di lei. Francesca si avvicina e affonda la faccia nel mio petto. Inizia a piangere forte e senza ritegno, sfogando quello che è impossibile sfogare. Appoggio il mento sulla sua testa stringendola come se dovessi cadere anch’io. Anche Massi e Claudia si avvicinano. Lei li vede e allarga l’abbraccio ad ognuno di noi. Tutti e quattro restiamo stretti reggendoci a vicenda, mentre Renzo a due passi è immobile e protetto dalla mano di sua madre che lo accarezza dolcemente. Siamo tutti all’ingresso del pronto soccorso. Abbiamo passato l’intera giornata qui, ma dopo che hanno portato Renzo in un’altra stanza ci siamo convinti ad andare. La compagnia è al completo; venti ragazzi non mollano e vogliono stare vicino al loro vecchio amico il più possibile. Decine di sigarette sono accese; quando saranno finite saliremo in macchina. Abbiamo deciso di trovarci tutti quanti al bar di Giulia, la quale ha promesso che chiuderà la saracinesca e lascerà aperto solo per noi. Ci avviamo verso Rischio 4 io Claudia Massi e Francesca; quest’ultima sale dietro e si stringe tra le braccia di Claudia. Arriviamo al Bar dopo alcuni minuti e lo troviamo deserto. Giulia ci fa entrare dal retro, parlando a Francesca con voce calda e rassicurante. Nessuno di noi ha voglia di dire niente, ma nello stesso tempo sentiamo il bisogno di stare insieme, come se soltanto così potessimo anestetizzare la mancanza di Renzo. Non riusciamo nemmeno a sederci ai tavoli; non è una serata come le altre e non vogliamo far finta che lo sia. Ci ritroviamo quindi seduti per terra con la schiena appoggiata alle panche. 216 Nessuno ha preso l’iniziativa, è nata spontanea nel silenzio del Bar. Giulia porta delle birre ed iniziamo a bere sul freddo del pavimento. “E adesso chi compra la casa? Noi dovevamo comprare casa… Perché è capitato a lui?” chiede continuamente Francesca. La sua litania è straziante; guarda ognuno di noi cercando delle risposte che ovviamente non arrivano. Le nostre poche parole buttate lì non bastano, ma sappiamo che in questo momento quello che conta è starle vicino il più possibile. Francesca non è in sé, straparla, ma ci ha chiesto di non lasciarla sola. Non voleva andare a casa e i suoi genitori ci hanno domandato se potevamo tenerla con noi. Più di venti persone ora la ascoltano cercando di aiutarla. Ma chi aiuterà queste venti persone? Noi Ormai sono le tre di notte e quasi tutti sono andati a dormire. Domani si lavora e lo spettacolo, anche se sembra impossibile, dovrà andare avanti. Io, Massi, Francesca e Claudia siamo ancora in giro con la macchina. Sto andando verso casa di Francesca, anche se dice di non voler tornare. La situazione si è fatta difficile; siamo tutti stanchi e spossati, ma lei continua a parlare e a porre le stesse domande. Parcheggio nello sterrato sotto il suo cancello. E’ buio intorno; ci siamo solo noi quattro e il pensiero di Renzo così forte da diventare materiale nell’abitacolo. “Non ha mai fatto niente di male” continua Francesca, “Non bestemmiava, era buono… Sarà in paradiso vero? Dio non lo manderà all’inferno?”. Purtroppo non può scegliere persone peggiori a cui fare queste domande. Noi tre siamo totalmente laici, non abbiamo mai creduto in nessuna religione, anzi, se possibile l’abbiamo combattuta. E Renzo era come noi. 217 Consolarla illudendola che ci sia una divinità buona che si occupa di Renzo non è nelle nostre capacità, persino in questo momento. Io rimango in silenzio guardandola negli occhi. Claudia la stringe più forte. Solo Massi riesce a trovare delle parole che possono andare bene: “Se c’è qualcuno che può meritare un paradiso quello è Renzo” dice tenendola per mano. Io sono distrutto. Aiutarla senza essere aiutato mi sta annientando. Vorrei anch’io qualcuno accanto con cui condividere il dolore, scambiare delle parole, darmi un conforto, piangere a dirotto. Non ho ancora assimilato quello che è successo. Renzo non c’è più, ed io non sono assolutamente in grado di aiutare qualcuno, men che meno Francesca. Ma so che Renzo vorrebbe che lo facessi, perciò grazie ad una forza di volontà che non credevo di avere la sto ascoltando, senza cadere in un personale oblio. E non riesco a piangere. Tutti l’hanno fatto ma le mie lacrime si rifiutano di uscire. Ascolto Francesca ripetere sempre le stesse frasi. La notte è buia ed il silenzio calmo. Sempre le stesse frasi… …sempre le stesse frasi… Ci svegliamo tutti e quattro intorpiditi quando sentiamo bussare al finestrino. E’ la madre di Francesca, che uscendo di casa in vestaglia la sta venendo a prendere. Ci siamo addormentati senza accorgercene. Abbiamo passato la notte in macchina ed ora i primi raggi del sole si vedono all’orizzonte. “Dai Fra vieni a letto” le dice dolcemente. Scendiamo facendola passare. Francesca esausta esce da Rischio quattro, si avvicina ad ognuno di noi e ci da un bacio sulla guancia dicendoci ‘grazie’ con la sua voce sottile. Madre e figlia ci salutano con la mano entrando in casa. Noi saliamo in auto e torniamo alle nostre abitazioni. Guido tranquillo, non c’è in giro nessuno. 218 Nei pochi chilometri che facciamo non vola una mosca, anche perché qualsiasi frase sarebbe inutile. Dopo avere accompagnato Massi mi fermo sotto casa di Claudia. Lei mi stringe forte le mani prima di scendere. Le do un bacio sulla fronte. Mi stringe in un abbraccio. Lasciarle la mano è una fatica immensa; l’ultima ancora di salvezza si allontana ed io resto per la prima volta solo. Schiaccio l’acceleratore e me ne vado. Renzo non c’è più. Non è possibile. Non è possibile. Non riesco a piangere. Ora sì che ho bisogno di qualcuno. 219 20 La tua volontà c'è e non se ne andrà Anche se adesso non posso parlarti di me, della mia musica e della città dove vivo da un po'… Ma ci troveremo dove il cielo è più sereno e ascolteremo tutta la musica del mondo Biagio Antonacci Il resto del mondo Oggi ci sarà il funerale. Sono passati cinque giorni. Hanno dovuto fare l’autopsia per accertare la causa del decesso. Tutto questo tempo l’ho passato con Claudia; ogni singola ora del giorno e della notte. Istintivamente ci siamo cercati, non siamo riusciti a fare a meno l’uno dell’altra. Le nostre vite si sono allacciate come dei nodi che nemmeno il più abile marinaio saprebbe sciogliere. Abbiamo dormito insieme ogni giorno, a volte da me e a volte da lei. Senza fare assolutamente nulla, non ne saremmo stati capaci ed era il nostro ultimo pensiero. Avevamo la necessità di stare vicini, non esistono altre spiegazioni. Ci siamo cercati e ci siamo trovati. I discorsi sulla nostra relazione sono molto lontani e non sappiamo nemmeno se li riprenderemo. Adesso ci troviamo in piazza davanti alla chiesa e stiamo guardando la bara entrare per celebrare la funzione. Al suo seguito ci sono centinaia di persone, non ho mai visto uno 220 spettacolo del genere. La fila sembra non finire mai; gente di tutte le età, ragazzi, vecchi e bambini. I colleghi di lavoro, gli amici, parenti lontani e vicini, soci del motoclub dove era iscritto Renzo; personaggi incravattati e personaggi che sembrano appena usciti dal Leoncavallo. Non si riesce a tenere il conto di quanta gente si è presentata. Ed in mezzo a tutto questo ci siamo noi. Massi Claudia ed io appoggiati alle porte del bar della piazza ad osservare la gente che entra in chiesa. Dopo pochi minuti restiamo fuori da soli. I suoi più grandi amici non sono nemmeno entrati. Abbiamo notato le facce delle persone perbene che ci hanno guardato di traverso. Ma loro non possono capire. In questo paese di bigotti siamo fuori dal coro. Perfino adesso. Semplicemente perché Renzo sarebbe stato con noi. Il resto del mondo non lo sa, ma noi sì. Il bicchiere di vino che teniamo in mano è come se lo stessimo bevendo con lui. Dietro gli occhiali scuri è come se vedessimo Renzo che brinda e dice cazzate insieme ai suoi vecchi amici. Ma il resto del mondo non può capire… Un’ora dopo la messa è finita. La bara esce e viene seguita dalla folla che a passo lento si mette dietro il carro funebre. I genitori di Renzo sono i primi; dietro si trova Francesca che appena ci vede fa segno di avvicinarci. Non ce lo facciamo ripetere e la raggiungiamo prendendola sotto braccio; davanti a noi c’è Renzo sdraiato che fa il suo ultimo viaggio. Il prete tra un’Ave Maria e un Padre Nostro ci porta dritti al cimitero di Lassina dove nella sezione nuova verrà messo il nostro amico. Non credevo potesse essere così doloroso assistere ad una sepoltura. 221 Il pochi metri quadrati centinaia di persone guardano il sarcofago che viene messo in un loculo al piano terra, perché non si è trovato spazio nel prato. E’ tutto surreale, mi viene voglia di urlare spezzando questa stupida litania del parroco. Dietro le lenti scure insospettabili lacrime scendono quando viene messo il primo mattone che coprirà la tomba. Francy, famoso per essere un uomo d’acciaio, piange silenziosamente fissando Renzo che viene nascosto per sempre. Claudia pure, così come Massi che tiene per mano Francesca per il timore che possa cadere da un momento all’altro. Ed io impazzisco. Dov’è il vostro Dio?? Avanti rispondete, dov’è il vostro Dio?, mi viene voglia di chiedere. Non c’è niente, massa di illusi! Renzo diglielo anche tu. Quante volte l’ho sentito dire pure da te. E se ora hai una risposta dammela, non farmi aspettare. Perché qui sta succedendo il finimondo. Dentro me succede il finimondo. Eppure non piango. La sorella di Renzo legge ad alta voce un pensiero che ho scritto per lui. Mi hanno chiesto di buttare giù due righe da dire al funerale, perché hanno pensato che essendo autore di canzoni sappia trovare le parole giuste. Ma le avrei scritte lo stesso. Sono sgorgate fuori dalla mia penna il giorno dopo che Renzo ha avuto l’incidente, perciò non ho fatto altro che consegnare il foglio a sua sorella, che ora legge così: “La Compagnia del flagello. La nostra parola d’ordine: Pronti, partenza… Via! Quando cantavi ‘Finché vedrai sventolar bandiera gialla’. Cascina Visconti, il passaggio a livello di San Pietro e casa tua. Il surf. Le litigate e le incomprensioni. Quella volta che volevi menarmi per una tua infondata gelosia. 222 I mille abbracci riparatori. I mille insulti tra amici. Quando sono partito per militare; quella mattina eri lì. Roma e la mia influenza. Le nostre teste dure. Le gare in auto a diciotto anni; avevi ragione ad arrabbiarti. La serata della Tequila. A Riccione e in Valtellina. Il tuo essere sempre un passo davanti agli altri. Tutte le cose che hai voluto e che riuscivi sempre ad ottenere. Rischio 4 e i semafori rossi. I nostri quindici anni. E i nostri trent’anni. La tua memoria storica che era anche la mia. La tua adolescenza anche mia. Quando regalavi un fiore per farti perdonare. La Playstation, la chitarra e i libri. Le cose che solo tu sapevi di me. Le cose che solo io sapevo di te. Il tuo C.B.R. A Milano con la bandiera dell’Italia quando abbiamo vinto i mondiali. Quando giravi ovunque per trovare campo al tuo cellulare. Francesca. I suoi occhi. Quando vedo lei vedo anche te. Ciascuno di noi ha dentro un pezzo di te. Della tua vita, del tuo passato. Delle cose brutte e delle cose belle. E ce le portiamo in giro… Ognuno di noi ha una parte di te che si porta in giro. Mettici tutti insieme e ritornerai. Ogni volta che staremo insieme tu ritornerai. Ciao Renzo”. 223 La sorella di Renzo piega il foglio e lo appoggia in mezzo ai fiori sulla tomba. In un silenzio surreale inizia la sfilata delle persone che vanno a fare le condoglianze alla famiglia, passano davanti a Renzo, e se ne vanno. La fila è interminabile. Io resto a braccia incrociate guardando fisso il mio amico e lasciando passare le persone. Non andrò a fare le condoglianze; ho già svolto il compito e non me la sento. Massi resta immobile accanto a me; nemmeno lui ha voglia di andare. “Anche questa volta è riuscito a mettersi al centro dell’attenzione…” dice indicando tutta la gente che abbiamo intorno. Dietro gli occhiali scuri la voce è incerta. “Già, è sempre stato egocentrico” rispondo cercando di sorridere ma ottenendo solo una smorfia malinconica. Col passare del tempo la folla si assottiglia. Vedo passare i suoi genitori stretti tra le braccia di Francesca; sono esausti, questi giorni hanno subito una prova durissima. Li seguo di qualche passo ma non mi dirigo all’uscita; giro invece all’interno del cimitero aspettando che vadano via tutti. Voglio stare solo. Non riuscirei a parlare con nessuno in questo momento. La mia intenzione è passare da Renzo un’ultima volta in solitudine. Quando sono certo di essere solo torno sui miei passi e mi dirigo da lui. Non faccio nulla di particolare. Mi inginocchio davanti alla tomba e penso. Gli parlo. Secondo qualche religioso… prego. Tocco il punto in cui metteranno la foto e lo saluto: “Ciao…”. Renzo non c’è più. Renzo non c’è più... Sembra impossibile. Eppure non piango. 224 Mi alzo incamminandomi verso l’uscita, ed in mezzo a questo silenzio immobile vedo una figura; sembra un piccolo fiore che spunta tra le pietre. In fondo al corridoio, come se mi stesse guardando da sempre, c’è Claudia. Mi ha atteso fino ad adesso, unica persona rimasta insieme a me nel cimitero. Mi fermo a cinque metri da lei; le mani in tasca. “Non riuscivo ad andare via senza di te…” sussurra. “Hai fatto bene… Hai fatto bene…” rispondo. “Sarà sempre così?” chiedo. “Come?”. “Che aspetterai il mio ritorno… ovunque mi porterà… la vita?”. “Fino ad adesso l’ho fatto…” risponde lei con un accenno di sorriso. “Lo so” dico avvicinandomi “Lo so…”. Prendo le sue mani istintivamente, lei mi stringe in un abbraccio ed insieme ci avviamo verso casa, forse, grazie a Renzo, uniti ancora di più di come lo siamo sempre stati. 225 21 Siamo solo due anime sperdute Che nuotano in una boccia di pesci Anno dopo anno Corriamo sullo stesso vecchio terreno E cosa abbiamo trovato? Le solite vecchie paure Vorrei che fossi qui Pink floyd L’ultima avventura Il lungo corridoio finisce con una porta a vetri. Io e Claudia lo stiamo percorrendo ascoltando Massi che ci racconta di avere ricevuto una chiamata dal centro ricerche cibernetiche di Roma. Il corridoio costeggia tutto il perimetro della chiesa di Lassina, dove in questo momento si sta celebrando una messa per Renzo. E’ passato più di un mese da quel giorno, siamo agli inizi di Novembre ed il freddo comincia a farsi pungente. In questi giorni è arrivato un vento gelido dal nord che ha abbassato le temperature in tutta Italia. C’è appena stato il cambio dell’ora e siamo entrati in quel tunnel autunnale che ci porterà dritti fino all’inverno. La chiesa è gremita di gente. Da dove ci troviamo possiamo sentire i canti e le letture mentre procede la funzione, alla quale ovviamente non abbiamo partecipato. Però ci siamo sentiti in dovere di stare almeno nelle vicinanze, aspettando che tutto sia finito. 226 “E così tra due giorni te ne vai?” chiedo a Massi camminando lungo il corridoio. “Purtroppo sì. La chiamata è arrivata prima del previsto e devo partire per forza”. “Va beh, sarai contento comunque…” dice Claudia. “Certo! Certo che lo sono. Ma avrei preferito restare con voi ancora un po’; ormai mi ero abituato all’idea”. Mentre loro parlano spio attraverso un vetro della porta, che guarda direttamente sull’altare dove Don Vincenzo sta celebrando. Tutte le panche sono occupate e ci sono diverse persone in piedi; Renzo lo conoscevano tutti ed anche in questo caso ha attirato metà paese. “Mi dispiace che te ne vada” dico, “Anche se in realtà non cambia molto, visto che io tra due settimane sarei dovuto comunque tornare a Milano, e Claudia avrebbe ripreso a lavorare al bar”. “Persino i giorni di malattia di Renzo sarebbero scaduti adesso se fosse stato qui” commenta Claudia. “Già, se fosse stato qui…” dico. “Già…” conclude Massi. Camminiamo pensierosi lungo il corridoio; il ricordo del nostro amico è ancora forte, anche se il peggio è passato. Arriviamo al magazzino di fianco alla sacrestia, un luogo dove quando eravamo più piccoli venivamo a giocare rovistando tra scaffali e scatoloni, alla ricerca di palloni e gessetti per colorare. Ci fermiamo sulla soglia commentando: “Sembra uguale a tanti anni fa…”. “Don Vincenzo non è uno che ama rimodernarsi, è un tradizionalista”. Entriamo aprendo diversi cassetti e guardandoci intorno. I tavoli sono pieni di polvere e diverse scartoffie sono sparse per la stanza. In fondo al corridoio prosegue la messa. “Hey, guardate cos’ho trovato!” esclama Claudia. Da un angolo tira fuori un carrello del supermercato uguale a quello dove ci siamo buttati in Agosto; Massi stupito esclama: “Bello! E che ci fa qui? Dai fammelo provare” ed in un batter d’occhio si infila all’interno. 227 “L’ultima volta che ci sono salito ho rischiato di spappolarmi su una macchina”. “Quella è stata una grande giornata!” ribatto mentre lo spingo fuori in corridoio. Claudia ci fa strada aprendoci la porta. Ci troviamo tutti e tre a costeggiare la chiesa, con Massi infilato in un carrello della spesa. Ed i ricordi viaggiano. Vediamo Renzo che corre lungo la discesa della banca a braccia alzate, in un gesto pazzo e spericolato che solo la Compagnia del flagello sarebbe stata in grado di fare. E poi sul tettuccio di Rischio 4 a fare surf per le vie di Lassina, mentre mia madre e le sue amiche incredule ci guardavano a bocca aperta. Oppure a casa mia con una gigantesca fetta di torta in mano, cercando di ingoiare tutto per non lasciarmi neppure una briciola. Poi Renzo a cascina Visconti. Davanti alla sua inseparabile Playstation. Abbracciato a Francesca… Mille altre immagini ci passano per la mente mentre ci avviciniamo alla vetrata all’ingresso della chiesa. Se Renzo fosse presente nel carrello ci sarebbe stato lui. Claudia giunge per prima alla porta, osserva l’interno e come me rimane stupita da quanta gente si è radunata per la funzione. Si gira verso di noi. Io sto ancora spingendo Massi per il corridoio. Dallo sguardo che mi lancia capisco le sue intenzioni senza bisogno di nessuna parola. Anche Massi evidentemente gli legge nel pensiero perché inizia a dire: “Eh no ragazzi… Non lo farete per davvero… Dai, fate i seri!”. Ma la Compagnia del flagello sta per tornare in azione. Claudia apre la porta a vetri ed il corridoio viene inondato dalla voce del parroco; Massi cerca di uscire dal carrello alzandosi con le braccia, ma è incastrato e non ce la fa. “No no no!” impreca sottovoce perché qualsiasi parola adesso rimbomberebbe nella chiesa. “Pronti, partenza…”. 228 “Luca se lo fai t’ammazzo!” minaccia Massimo in preda al panico. “Via!” ad un metro dall’ingresso dò una forte spinta al carrello lanciandolo in mezzo al tempio, tra le panchine delle persone sedute in prima fila. Centinaia di teste si girano all’improvviso. La messa si interrompe di colpo. Le facce sbalordite di tutti i presenti che vedono arrivare un carrello del supermarket con un uomo seduto al suo interno. “Cli-clic, cli-clic…” il cigolio delle ruote rimbomba tra le pareti silenziose. Massi assume l’espressione di un pinguino. Io e Claudia, piegati in due dal ridere, chiudiamo la porta e restiamo ad osservare attraverso il vetro. Massimo si ferma proprio davanti all’altare dove si trova Don Vincenzo; mezza popolazione di Lassina ora lo guarda incredula e sbalordita. Una vecchietta si fa il segno della croce. Don Vincenzo si copre il volto con una mano non potendo credere ai suoi occhi. Vediamo il sindaco Rinaldi scuotere la testa rassegnato, sapendo esattamente cosa è successo e chi sono gli artefici di questa nuova impresa. Ora Massi ha l’espressione di una triglia. “Sono stati Claudia e Luca! Sono stati loro, io non c’entro niente!!” esclama ad alta voce peggiorando ancora di più la situazione, “Io non c’entro niente!”. Ma nessuno muove un dito per aiutarlo. Sono tutti troppo sbigottiti per muoversi! Così il nostro amico inizia a cercare un appiglio per spingersi verso la porta, ma non trova nulla nelle vicinanze; muove le braccia dappertutto, sembra un polipo disperato. Ormai alla frutta inizia a dare poderosi colpi di reni avanzando di pochi centimetri ogni volta. Lo osservano tutti a bocca spalancata. Il silenzio è epocale. Io e Claudia ce la stiamo facendo addosso dal ridere! 229 Prima che riesca a raggiungerci leviamo le tende e scappiamo verso l’uscita, abbandonando Massi al suo destino. Sappiamo che quando si libererà ci farà un culo così, ma siamo certi che alla fine pure lui si metterà a ridere con noi, come avrebbe fatto Renzo se fosse ancora qui. In questo momento lo immagino correre accanto a me e Claudia, con il suo pizzetto da diavolo e lo sguardo sincero. Guardo la mia amica e la prendo per mano, mentre usciamo in strada sorridenti come non lo eravamo da tanto tempo. 230 22 Da quando Senna non corre più Da quando Baggio non gioca più Da quando mi hai lasciato pure tu Non è più domenica... Cesare Cremonini Ultimi due Il mio singolo ha iniziato a girare per radio. L’ho sentito uscire da qualche impianto stereo e dalle casse del Bar Lassina in questi giorni. Il Boss mi ha chiamato dicendomi che è giunto il momento di tornare, eppure non sono al massimo della felicità. Ero convinto che sarei corso a Milano anche a piedi alla prima telefonata del Capo ed invece una punta di malinconia mi martella nella gola. Ho già le valigie pronte. Domani devo partire. La Compagnia del flagello non esiste più, siamo rimasti solo io Claudia; i due fondatori sono anche gli ultimi ad abbandonare la nave. Massi è andato via alcune settimane fa, mentre Renzo vado a trovarlo tutti i giorni. Siamo a fine Novembre e Claudia ha iniziato ad aiutare sua sorella al Bar, visto che tra poco dovranno darsi il cambio per la gestione invernale. Anche per lei è finita questa parentesi che ci ha portato indietro nel tempo; a breve tornerà Gabriele dal Giappone e dovranno decidere la data del matrimonio. Già… La data del matrimonio. 231 Vedo Claudia ogni giorno che passa allontanarsi sempre più da me, anche se in realtà il nostro contatto, la nostra telepatia, non è mai stata così forte. Potremmo evitare di parlare. Ci capiremmo solo con lo sguardo. Renzo ci ha avvicinato di nuovo, ed ogni momento di questi ultimi giorni l’abbiamo passato insieme, come per assimilare istante per istante gli ultimi attimi di questa nuova vita, prima che tutto finisca e si volti pagina definitivamente. La vedo più bella che mai. Mi manca anche se ce l’ho accanto. E’ una sensazione assurda ma non riesco a descriverla in nessun altro modo. Le nostre vite sono destinate a separarsi e non ci possiamo fare niente; qualche anno fa eravamo ancora in tempo, ma ora è troppo tardi. Milano è la mia casa, Lassina è la sua. Inevitabilmente il lavoro mi porterà lontano, attraverso un mondo che Claudia non si sogna neppure; e viceversa l’esistenza della mia amica assumerà aspetti con Gabriele che io fatico a comprendere, e che ancora per lungo tempo non comprenderò. Eppure Claudia ce l’ho dentro come non mai. In questo momento appoggio la mia esistenza su di lei. Quando tornerò sui navigli dovrò cominciare a fare sul serio; ci saranno delle persone che dipenderanno da me, ed io dovrò assumermi delle responsabilità. Il Capo mi ha mandato in vacanza fino ad adesso per tornare carico, ed io lo sono come non mai. Ho una voglia infinita di cominciare a lavorare e di spaccare il culo al mondo! Però impazzisco anche al pensiero di non vedere più Claudia, di lasciare questa parte della mia vita che qualche anno fa ho abbandonato così facilmente. Ora è tutto diverso. Quello che volevo alla fine sono riuscito a capirlo grazie ai discorsi di Alessandro e di Ilaria. Volevo Claudia e la voglio tuttora. Ma sono arrivato troppo tardi, come al solito, e devo farmene una ragione. Lei ha un altro uomo che la renderà felice come non sono riuscito a fare io. E’ giusto che stia con Gabriele e che le nostre vite si dividano. La morte di Renzo ha messo la parola fine ad un pezzo del mio passato, ed ora volente o nolente sono davanti alla porta del futuro. Non ho paura di attraversare la soglia, ma fa male pensare di non poter tornare più indietro. 232 E’ dunque questa la responsabilità? Crescere significa questo? Andare avanti nonostante tutto prendendo coscienza di quello che si è davvero? Se è così il Boss aveva ragione. In questi mesi sono cambiato ed ho ben chiara in mente la direzione che devo prendere. C’è Ilaria che mi aspetta a Milano, il mio lavoro, il disco nuovo… Ma quanto sento già la mancanza di Claudia…! Forse per evitare di soffrire al momento della separazione in questi giorni ci parliamo raramente. Il tempo che viviamo insieme lo passiamo comunicando a monosillabi, cercando di non tirare fuori l’argomento della partenza. Sono successe troppe cose in questi ultimi mesi e sappiamo di aver fatto delle scelte che dobbiamo rispettare; quindi ci basta stare vicini senza entrare in futili discussioni. La vedo nel suo piumino nero, dalla mia finestra al mattino, che si incammina per andare a lavorare. Poi vado a fare colazione da lei, mi serve cappuccio e brioche e restiamo a guardarci senza dire nulla di particolare. In fondo al cuore vorrei stringerla, abbracciarla, gridarle quanto mi mancherà quando sarò a Milano, ma so che lei mi risponderebbe che avrei dovuto farlo cinque anni prima. E avrebbe ragione. Anche se i suoi occhi sono tristi come i miei. So quello che prova, lo sento, ma neppure lei è in vena di parlare, soprattutto dopo quello che è successo in Valtellina. Da quel giorno tutti i discorsi sulla nostra relazione sono finiti. Lei si sposerà ed io me ne dovrò andare. Lei si sposerà… Francesca speranza Questo pomeriggio ho ricevuto una telefonata di Francesca. Ha chiesto di incontrarci al parcheggio della banca perché ha bisogno di parlarmi. Non la sentivo da parecchio tempo e mi ha fatto un gran piacere chiacchierare nuovamente con lei. L’ho sentita tranquilla, con la voce finalmente sicura e normale. 233 Sto andando all’appuntamento al volante della Smart; Rischio 4 l’ho rimessa nel box dopo averla controllata a dovere. Chissà per quanti anni ancora non la userò… Il cielo è chiaro e limpido come una giornata d’estate in alta montagna. In questo fine Novembre l’autunno è esploso nei suoi colori, ed un vento tiepido soffia su Lassina rendendo il freddo meno pungente. Percorro un viale Trieste contornato da alberi in entrambi i lati della carreggiata, dove foglie multicolori volano nell’aria sullo sfondo di un cielo azzurro e senza nuvole. Svolto nel parcheggio, mi fermo nel primo posto libero e scendo, avvicinandomi a Francesca che è già arrivata. Si trova in piedi vicino alla sua macchina, con la schiena appoggiata alla portiera. Non c’è nessuno in giro, solo vento e foglie. Il lunghi capelli riccioli scompigliati dall’aria le vanno sugli occhi; con una mano li sposta portandoli dietro l’orecchio. Un sorriso tranquillo ricamato sulle labbra. “Ciao Luca”. Ha un aspetto dolce e calmo nello stesso tempo, come un oceano dopo la tempesta. Ricambio il saluto con un sorriso altrettanto sincero. Ma prima che possa dire qualsiasi cosa sento che un’altra automobile sta entrando nel parcheggio; svolta fermandosi proprio vicino a noi. E’ Claudia, che si avvicina con aria sorpresa: “E tu cosa ci fai qui?” domanda. “Mi ha chiamato lei. Suppongo che abbiamo ricevuto la stessa telefonata…”. “Sì, vi ho chiamati io. Avevo bisogno di vedervi entrambi” ribatte Francesca. Claudia indossa una felpa coperta da un giubbotto smanicato. Ciuffi di capelli neri le cadono sul viso; ogni volta che la vedo è un tuffo al cuore. “Ragazzi”inizia a dire Francesca guardandoci negli occhi, “So quello che state vivendo e i sentimenti che corrono fra di voi. Vi conosco da tanto tempo e Renzo me ne ha sempre parlato. Vedervi così tristi fa male anche a me. Ma la vita non gira sempre come si vuole, e a volte dobbiamo prendere quello che ci propone guardando in faccia la realtà. Voi due avete accettato di avere due 234 vite diverse, e avete accettato che questo vi separerà. Io invece ho dovuto confrontarmi con la perdita di Renzo. Certe cose capitano senza che possiamo farci niente, bisogna tirare avanti e basta”. Parla con lentezza, eppure sembra sicura come non lo era da parecchio tempo. “Siete stati i migliori amici di Renzo ed io mi fido di voi; vi voglio bene” al suono di queste parole io e Claudia ci guardiamo arrossendo un poco. Le parole di Francesca sono sincere: “Anche noi ti vogliamo bene” dice Claudia intervenendo per entrambi. “Vero che mi starete vicino?” chiede Francesca spostando lo sguardo prima su di me e dopo su Claudia. “Ma certo…” rispondo prendendole la mano, “Non avevi bisogno di chiedercelo”. Il vento le scompiglia i riccioli. Rumore di foglie accartocciate ai nostri piedi. Io, Claudia e Francesca sotto il sole tiepido di un pomeriggio autunnale che non ci regala neppure una nuvola. “Bene” continua interrompendo il silenzio, “Perché devo dirvi una cosa…”. Ci prende per mano come per darsi coraggio. “E volevo che foste voi i primi a saperlo”. Un altro soffio di vento. Lontano si sente un auto che passa. “Aspetto un bambino”. … Il tempo si ferma per un istante. Claudia rimane a bocca aperta sbalordita come me. Anche se sono certo di avere sentito bene le domando: “C-cosa?”. “Sono incinta, Luca… aspetto un figlio”. Mentre lo dice le brillano gli occhi; solo adesso mi accorgo di quanto il suo viso sia luminoso, sembra sprigionare una gioia incontenibile. “Dio santo…” commento. “E’-E’ suo?” chiede Claudia sottovoce stringendole più forte la mano, senza nominare la persona a cui fa riferimento. “Sì, il padre è Renzo”. 235 Risponde con il più bel sorriso che ricorderò nella vita. “Quando l’hai saputo?”. “Il giorno dell’incidente ero già incinta di un mese, ma non lo sapevo. Adesso sono di tre mesi, ma ho aspettato fino ad ora per dirlo perché volevo essere sicura al cento per cento che tutto andasse bene”. “Allora lo terrai?” chiedo mentre nello stomaco mi si scioglie qualcosa. “Certo Luca. E’ tutto quello che voglio. Sapevo che Renzo non mi avrebbe abbandonato, ed ora è qui con me; mi ha lasciato il più grande regalo che ci sia. Mi ha regalato una vita. La sua vita! Ed ora sarà sempre con me. Nemmeno la morte è riuscita a portarmelo via. Renzo sarà sempre dentro di me”. “Aspetti un bambino… Il figlio di Renzo” le parole mi escono direttamente dal cuore, mentre sento che la testa si libera di tutti i pensieri. “E’ bellissimo” dice Claudia sbalordita. “Lo so, è straordinario e sono… finalmente… felice” dice Francesca con occhi tremolanti. “Quel figlio di puttana!” dico ad alta voce, “Quel figlio di puttana di Renzo ne ha combinata un’altra!” grido nel vento iniziando a ridere. “Lo sapevo, lo sapevo che era un bastardo” continuo tra una risata e l’altra. Claudia mi guarda cominciando a ridere pure lei. Francesca la segue dopo qualche secondo. “Renzo è padre! HA HA HA! Lui è fatto così, deve sempre stare… HA HA! …al centro dell’attenzione!”. Continuo a ridere a crepapelle. Anche Francesca e Claudia ridono con me, ed ogni momento che passa avverto delle catene allentarsi nello stomaco. Una inebriante sensazione di euforia mi colpisce come una scossa elettrica, non riesco a smettere di ridere. Io e le due ragazze, in mezzo al parcheggio della banca, siamo invasi da una ilarità incontenibile; se ci vedesse qualcuno di passaggio ci prenderebbe per pazzi. Claudia si avvicina accarezzandomi le guance: 236 “Luca, ... stai piangendo!”. Allontana e le mani e vedo i suoi palmi bagnati delle mie lacrime. Sto piangendo! Sto piangendo e non me ne sono neanche accorto! Non sono mai riuscito a piangere da quando Renzo è morto, questa è la prima volta. E Claudia lo sa. La osservo guardarmi stupita e ricomincio a ridere. Rido e piango, piango e rido! La mia amica si piega in due tenendosi la pancia dalle risate, mentre anche sul suo viso grosse lacrime scendono a solcargli le guance, come fiumi in piena. Francesca ride con noi. Poi si commuove. Poi piange, poi ride ancora. Mi tocco il viso alternando i singhiozzi alle risate. La barba è bagnata come quando mi lavo il viso al mattino. Renzo, cazzo, guarda cosa hai fatto! Ci stringiamo tutti e tre in un abbraccio, e proseguiamo a ridere follemente sentendo la presenza di Renzo accanto a noi più forte che mai. Ed ogni lacrima è una liberazione. Si sciolgono i muscoli. Tutta la tensione di questo periodo svanisce come per miracolo. E non solo quella; sento che anni di preoccupazioni, di indecisioni, di idiosincrasie e paure del mio futuro vengono colpite. Si stanno squagliando lentamente. La mia vita prende forma e si allarga occupando tutti gli spazi vuoti che ho lasciato nel petto; occupa ogni buco di insicurezza prendendo possesso del mio corpo, spazzando via l’inutile volontà negativa che ha preso parte ad ogni mia decisione. La mente si libera ed è come se iniziassi a respirare. Ogni lacrima è un colpo al castello delle mie paure. Bum! Bum! Mi sento leggero come non lo sono stato mai. Anche quando saluto le due ragazze e salgo sulla Smart per tornare a casa continuo a piangere, non riesco a smettere. Renzo ha fatto un miracolo. 237 Il suo bambino è un miracolo della vita che rivaluta le mie concezioni. E se in fondo ci fosse qualcosa di davvero bello nel nascere? E se la vita valesse davvero la pena di essere vissuta? Domande come queste non me le ero mai poste, ma piangendo sto ritrovando me stesso e la positività di quando ero bambino. Mi cullo nelle nuove domande pensando al mio amico, che ora se mi vedesse da lassù, probabilmente si farebbe quattro risate anche lui. Quando tutte le speranze sono finite ecco che accade un miracolo! Solo in questo caso può avvenire. Renzo mi fa bruciare di speranza. E se questo è un miracolo… è opera di Dio? O è opera dell’immenso amore che possiedono gli uomini? O è la stessa cosa?!? Non riesco a smettere di piangere. Ma ho voglia di cantare come non mai! Grido il nome di Renzo e canto a squarciagola dalla felicità, dall’eccitazione, dallo shock di una nuova speranza che divampa dentro me. Francesca ha ragione. Renzo sarà sempre con noi. 238 23 L'impronta di una testa sul cuscino i passi lenti e incerti di un bambino lo sguardo di serenità la mano che si tenderà la gioia di chi aspetterà l'estate che poi passerà il grano che maturerà la mano che lo coglierà per questo e quello che verrà… io canto Riccardo Cocciante Ritorno Ho già salutato tutti ieri sera. Sto caricando le valigie sulla Smart e tra poco partirò. Stamattina fa decisamente freddo, ci sono delle nuvole basse che formano un sottile strato di nebbia che copre le strade. Ma d’altronde in Brianza è così; cosa ci si può aspettare da un luogo dove ci sono solo campi? Chiudo il baule e salgo in macchina. La notizia che mi ha dato Francesca ieri pomeriggio rimbomba ancora in fondo al cuore. Ed è una bella sensazione di stordimento. Ieri sera al bar abbiamo festeggiato la lieta novella con gli altri amici ed è stata una grande serata. Come ultima nel mio paese natale non potevo chiedere di meglio. Ho colto l’occasione per salutare tutti, visto che stamattina sarei dovuto partire abbastanza presto. 239 Accendo la Smart ed esco dal cortile; dallo specchietto retrovisore vedo mia madre che mi saluta. I miei genitori passeranno a trovarmi a Milano già settimana prossima. Io ed Ilaria abbiamo organizzato una cena con loro per festeggiare il ritorno nella metropoli e l’uscita del primo singolo. Si sono trovati simpatici quando Ilaria è venuta a trovarmi, ed una cena è un modo come un altro per farli conoscere meglio. Percorro la strada sterrata che mi porterà fuori da Lassina, ma prima devo fermarmi per una tappa. Non è vero che ho salutato tutti. Manca ancora una persona. Che guarda caso è Claudia. Ieri davanti agli amici non ho avuto il coraggio di andare da lei; ho preferito rimandare a stamattina senza che nessuno potesse intromettersi. Voglio vivere da solo il momento dei saluti con lei, perché sospetto sarà difficile e particolarmente intenso. Giungo davanti a casa sua in un baleno; so che la troverò perché oggi ha il turno di lavoro al pomeriggio. Tiro un lungo respiro come per darmi coraggio e suono il campanello. Pochi secondi di attesa e la porta si apre mostrandomi Claudia che non sembra affatto sorpresa di vedermi. A quanto pare mi stava aspettando. “Ciao scemo, sei in partenza?” domanda passandosi una mano tra i capelli neri, come al solito spettinati e per metà in piedi. Indossa un paio di jeans, una maglietta ed un maglioncino bianco che le avvolge stretto la figura. I bottoni davanti sono aperti mostrando le piccole curve dei seni che ormai conosco bene. Deglutisco a fatica rimpiangendo quando li ho toccati questa estate, e a quanto mi piacerebbe afferrarli un’ultima volta. Ormai anche i difetti di Claudia ai miei occhi sono diventati dei pregi; tutto quello che la riguarda mi piace, anche la sua trasandatezza e i modi di fare non proprio delicati. La sua pelle d’avorio priva di imperfezioni fa risaltare, oggi più che mai, gli occhi nerissimi e profondi. Sembrano un pozzo lunghissimo dove potrei perdermi ore ed ore. 240 Appoggiata alla porta, con una mano sulla maniglia, la sua figura è slanciata nonostante sia un pò magra; probabilmente avrebbe bisogno di mettere su qualche chilo, eppure mi fa impazzire così. “Sì, sono passato a salutarti” rispondo venendo subito al sodo. “Quando tornerai?”. “Non te lo so dire. Adesso uscirà il disco e ci sarà un sacco di lavoro da fare. Magari l’estate prossima”. “Già… E io ci dovrei credere?”ribatte con mezzo sorriso. “Non so, vedi tu…” rispondo un po’ imbarazzato sapendo che la mia amica ha ragione. “Potresti sempre venirmi a trovare” continuo buttando lì la frase. Lei mi osserva qualche secondo perplessa prima di dire: “Dai, perché no. Magari una volta…” “Sì?”. “Sì”. “Sarebbe bello”. “Sempre se riuscirai a trovare tempo per me”. “Certo che lo troverò. Per te ci sarà comunque posto a casa mia, lo sai. E poi potresti invitarmi al tuo matrimonio”. “Dai scemo…” dice sorridendo. “No, dico davvero”. “Luca…” lascia in sospeso la frase abbassando lo sguardo. Ci sarebbero mille frasi da dire ma mi esce solo questa: “Mi dispiace per come sono andate le cose”. “Lascia perdere”. “No, non lascio perdere, fammi parlare. Prima che vada a Milano voglio che tu sappia che sei una delle persone più importanti della mia vita. Forse la più importante. E se mi fossi svegliato prima magari ora la nostra relazione sarebbe diversa. Potevamo essere fidanzati o chissà cos’altro, non lo so. Ma… Abbiamo fatto delle scelte e le nostre vite hanno preso pieghe diverse. Alla fine non ci è andata nemmeno male, anzi. Io sono felice con Ilaria e il mio lavoro; e tu lo sei con Gabriele. Però, volevo solo dirti… Insomma… Che comunque mi mancherai un casino…”. Claudia smette un attimo di respirare guardandomi con occhi dolci e stupiti. 241 Vorrei abbracciarla e stringerla forte, talmente tanto da schiacciarla e farla entrare dentro me. “Tu mi manchi già…” dice lei in un sussurro. Vorrei non avesse mai detto questa frase. Vorrei che tutto fosse andato diversamente. Vorrei avere mille altre possibilità. Ma con il coraggio del senno di poi dico: “Senti… Vedi di stare bene e di sposarti il più presto possibile, prima che cambi idea e venga a sequestrarti, per portarti via con me”. “Luca, non dire così…” continua lei con tono semplice e rassegnato “…perché potrei crederci davvero”. “Dico sul serio”. “Lo so…”. “Allora vieni con me”. “Non possiamo, dai smettila… E non fare il buffone, in fondo lo sai che è giusto così”. “No, invece non lo so!” ribatto alzando un poco la voce “Cosa ne sai di quello che mi frulla per la testa? Nemmeno io capisco cosa è giusto per me. E tu sei sicura che quello che stiamo facendo sia la cosa migliore?”. “Io credo di sì” ribatte non troppo convinta. “Bene” continuo “Beata te che sai sempre tutto. A volte vorrei possedere un po’ della tua sicurezza”. “Io non sono sicura di niente, Luca. Ma… cosa ti devo dire? Tu comunque tornerai a Milano ed io al mio lavoro. Questo succederà per forza! E a noi sta bene. Quello che ti chiedo è… di non allontanarci mai più. Cinque anni sono stati troppi, non riuscirei a sopportarne altri. Ti prego, promettimi che d’ora in avanti ci vedremo più spesso…” fa un lungo respiro prima di aggiungere: “Se non siamo riusciti a stare insieme come amanti, vorrei che riuscissimo a farlo come amici”. “Ma certo…” ribatto sottovoce, “Te lo giuro, non mi perderai mai più…”. “Grazie. Era quello che volevo sentire”. Attimi di imbarazzo. 242 Claudia si sposta cambiando piede d’appoggio. Modifica la presa sulla maniglia della porta. Gira un ciuffo di capelli dietro l’orecchio. “Allora… io vado” dico rompendo il silenzio. “Certo… Fai buon viaggio…”. “Grazie. Ma non sarà lungo, devo andare solo fino a Milano!” dico con accento che vuole essere divertente, ma che ottiene miseri risultati. “Ok, stammi bene…” prosegue lei. “Anche tu”. “Allora ciao…”. “Ciao”. Non ci abbracciamo ne baciamo. Restiamo fermi come due stoccafissi, nessuno ha il coraggio di prendere l’iniziativa. Sappiamo bene che poi sarebbe troppo difficile separarci, e renderemmo ancora più doloroso questo momento. Guardo ancora i suoi occhi profondi per annegarci un’ultima volta. E’ bella più che mai e voglio tenere questa immagine fissa nella mente per il resto dei miei giorni. Giro i tacchi allontanandomi da lei. Ho agito di fretta, non volevo perdere altro tempo. Via il dente via il dolore. Non mi volto nemmeno per guardarla, sarebbe un gravissimo sbaglio. Eppure in questi pochi passi che mi dividono dalla Smart sento di avere il cuore di pietra. Batte forte nel petto con una pesantezza assurda. Do la schiena alla vita passata. Ora è tutto finito. Claudia e la mia esistenza irrisolta sono alle spalle ed io corro ad iniziare una nuova avventura. Eppure, questa mancanza che ho nel cuore, probabilmente non se ne andrà mai via… Mi mancherà Claudia. Cazzo se mi mancherà. Non faccio in tempo ad arrivare alla macchina che sento dei passi veloci dietro di me. Mi giro istintivamente e vedo Claudia correre nella mia direzione. Ogni parola muore nella gola. 243 In breve percorre la distanza che ci separa mettendosi di fronte a me. Afferra il mio giubbino all’altezza del collo tirandomi verso di lei. E poi, come per magia, passando davanti a tutti gli anni che ci hanno separato, ai problemi ed ad un destino che ha giocato contro di noi, copre finalmente quella distanza che troppo spesso ci ha tenuto lontano. La copre senza bisogno di fare l’amore. La copre senza istinti, solo con il cuore. La copre come avremmo sempre dovuto fare. E mi dà un bacio. Il tocco leggero delle sue labbra sulle mie. E il mondo si ferma… L’infinito attimo che stiamo vivendo ci avvolge di calore, facendoci sentire per la prima volta una cosa sola. Io e Claudia per un breve istante ci comunichiamo l’amore di decine di anni chiuso in fondo all’anima. Poi si allontana lentamente guardandomi negli occhi. Ed io vedo nei suoi una malinconia senza confini. Capisco di avere lasciato definitivamente qualcosa di importante. Quando si volta per tornare in casa ho la sensazione che mi abbia rubato qualcosa, che sarà per sempre suo e non potrò avere mai più. Un po’ di me stesso ora ce l’ha lei. E lo porterà con se per sempre. La vedo rientrare in casa e chiudere la porta senza voltarsi. Resto un minuto buono ad osservare casa sua con la testa bombardata dai pensieri. Poi mi giro e salgo in macchina. Chissà cosa resterà di noi, mi chiedo schiacciando l’acceleratore; delle pagine di vita che abbiamo scritto insieme, dei sogni e delle emozioni di due ragazzi che sono cresciuti amandosi silenziosamente. Ripenso a tutte le ragioni che hanno portato Claudia a non confessare mai i suoi sentimenti per me e agli alibi che mi sono creato per non guardare in faccia una realtà che mi angustiava, allontanandomi inesorabilmente da lei. I miei alibi e le sue ragioni. 244 Ora le sue labbra baceranno la bocca di un altro. Il nostro tempo è finito, anzi, si può dire che non è nemmeno cominciato. Ma non ci siamo persi affatto, assolutamente no. Le nostre questioni sono state risolte ed ora non ci perderemo mai più. Gliel’ho promesso, e la mia parola è una sola. Lei avrà qualcosa di me ed io di lei. Fratelli, compagni e amici per sempre. Luca e Claudia sono pronti ad iniziare una nuova vita. Pronti, partenza… Via! 245 24 Ora le tue labbra puoi spedirle a un indirizzo nuovo E la mia faccia sovrapporla a quella di chissà chi altro Ancora i tuoi quattro assi, bada bene di un colore solo Li puoi nascondere o giocare con chi vuoi O farli rimanere buoni amici Come noi Francesco De Gregori 31 Dicembre Quest’anno che sta per finire è passato molto velocemente. Fuori dalla finestra continua a nevicare, non smette più. Milano non fa rumore sepolta sotto una soffice coperta bianca, ed il naviglio Grande continua a scorrere indifferente al gran ciarlare delle persone. Seduto su una sedia osservo la gente spensierata passare qualche metro più in basso, mentre sorseggio una Coca ripensando a tutti i giorni passati. Questi trecentosessantacinque giorni mi hanno colpito con violenza lasciandomi sbigottito e perplesso. Sono accaduti eventi uno sull’altro ed esperienze nuove hanno segnato indelebilmente la mia vita. Tra poco scenderò anch’io in strada mischiandomi alle centinaia di persone che camminano sulla pelle bianca di Milano. La mia trasmissione alla radio inizierà tra poco e porterà gli ascoltatori dritti fino a mezzanotte, quando festeggeremo l’anno nuovo. La stanza illuminata soltanto da un’abat-jours è avvolta in un chiaroscuro affascinante. L’unica altra luce presente è quella del 246 monitor del Pc, che mostra una E-mail di Ilaria spedita poche ore fa. Mi alzo dalla postazione privilegiata alla finestra per sedermi davanti alla scrivania, dove rileggo la mail di Ilaria. Questa ragazza è fantastica, niente potrà mai farmi cambiare idea su di lei. Nel mondo dello spettacolo si dice che le donne siano oche senza cervello, ma di sicuro Ilaria non fa parte di questa categoria. Ha un grande cuore e la sua generosità è disarmante. Sono orgoglioso di avere instaurato una relazione con lei, anche se l’abbiamo basata sulla regola: “Ci vediamo quando abbiamo tempo”. Nello spettacolo questo è l’unico modo per stare insieme, visti gli impegni e gli orari che cambiano in continuazione. Ma forse è arrivato il momento di finirla di essere due bimbi sperduti sull’Isola che non c’è. Il nostro problema di diventare grandi è tempo che venga affrontato (almeno da parte mia), soprattutto dopo quello che è successo quest’anno. Anzi, quello che deve mettere “la testa a posto” probabilmente sono solo io, visto che Ilaria ha già dimostrato ampiamente di essere una donna responsabile e piena di buon senso. Forse da stasera potrò dare il via alla mia nuova esistenza, prenderla per le briglie e guidarla senza le ansie e le paure che l’hanno caratterizzata fino ad ora. Adesso sono più sicuro. Ora sono libero da me stesso. Ilaria, Renzo e tutte le persone importanti che ho incontrato quest’anno mi hanno aiutato a vivermi davvero. Rimangono solo pochi passi da fare per spazzare via anche le ultime insicurezze. La trasmissione in radio tra non molto inizierà. Mi alzo dalla sedia per prendere la giacca a vento e scendere in strada fra la gente. Ma appena sono in piedi vedo Ilaria al centro della stanza, immobile, col le mie chiavi di casa in mano. Ne possiede un duplicato e può entrare e uscire quando vuole anche se non ci sono. Non mi stupisce la sua presenza. L’aspettavo. 247 Nella mail ha scritto che sarebbe venuta. E’ bella come la neve che scende là fuori; magica come Milano illuminata in questa notte straordinaria. Mi avvicino in silenzio portandomi a pochi centimetri dal suo viso. Ilaria solleva le mani accarezzandomi le guance, tirandomi dolcemente verso di lei. Mi bacia, e le sue labbra sanno di poesia. La stanza in penombra si chiude su di noi, soli, nella notte del 31 Dicembre, al centro del grande cuore di Milano. Fuori dalla finestra continua a nevicare, non smette più. 248 25 Sei un piccolo fiore per me E l’odore che hai Mi ricorda qualcosa, va beh… Non sono fedele mai Forse lo so… Vasco Rossi 31 Dicembre, Lassina Mancano pochi minuti all’anno nuovo. Il Bar Lassina è stracolmo di gente e Claudia si trova dietro al bancone a lavorare. Tutti i ragazzi del paese e dintorni sono radunati nel locale, pronti a stappare le bottiglie di spumante. La voce di Luca Nudo esce dalle casse diffondendosi tra la gente, scivolando tra i cappotti e le giacche, le birre, le sambuche, mischiandosi alle risate delle persone in attesa. Il loro compaesano più famoso li porterà fino a mezzanotte, e con lui faranno il conto alla rovescia prima del brindisi. Ma Claudia dietro al bancone non riesce a unirsi al loro divertimento. Sentire il suo amico le provoca solo malinconia. La vita è andata avanti in questi mesi, e come si erano detti, hanno preso le loro rispettive strade senza voltarsi indietro. Eppure quanto le manca Luca! Stasera più che mai. Guarda fuori dalla finestra e vede nevicare copiosamente. Grossi fiocchi cadono sul cortile davanti al locale e nel laghetto per metà ghiacciato. 249 Impronte di scarponi sul pavimento, neve e fanghiglia dei ragazzi che entrano ed escono dalla porta in continuazione. “Ci siamo gente! Meno dieci, nove…” grida Luca alla radio. Claudia afferra una bottiglia pronta a festeggiare, ma il suo cuore è altrove. Chissà se anche Luca può vedere il meraviglioso spettacolo che offre questa nevicata, si chiede. “…due, uno, Buon Anno!!!” la voce esce forte dalle casse mentre esplodono i tappi. Musica a profusione, baci e abbracci a chiunque si incontra. E poi tutti fuori a vedere i fuochi d’artificio che, come ogni anno, partiranno dalla collina. Anche Claudia prende la giacca a vento ed esce, senza però nessuna voglia di guardarli. Appena le è possibile si allontana dalla folla dirigendosi verso la panchina ai bordi del laghetto. Anche lei ha fatto le sue scelte. Anche lei ha preso delle decisioni. … Non sposerà Gabriele. … Una conclusione sofferta e difficile, ma sente di avere fatto la cosa giusta. Ci ha ragionato continuamente in questi mesi, la sua testa era sempre tra le nuvole ed il suo cuore diviso a metà. Il Principe azzurro perfetto era davanti a lei ma sentiva che non poteva donarsi completamente. Al ritorno di Gabriele dal Giappone erano entrarti subito nel discorso matrimonio per decidere finalmente una data, ed era stato allora che Claudia aveva guardato dentro se stessa ed aveva fatto una scelta. Non poteva sposarlo. Lo amava certo, ma quello che sentiva per Luca era tutta un’altra cosa. Prendendo il coraggio a due mani aveva spiegato al suo promesso sposo che non doveva voler sposare una ragazza come lei. Lui meritava di più. Era troppo buono e generoso per stare con una donna così complicata. La verità, aveva spiegato Claudia, era che lei aveva dato il suo cuore tanto tempo prima. 250 Tutto il suo cuore. E in realtà non l’aveva mai ripreso. Non sapeva cos’altro dire, accavallava le parole cercando di dare spiegazioni migliori, ma la sostanza era che non poteva sposarlo. Non poteva. Il suo cuore era di Luca. E Gabriele aveva capito… Con la bontà d’animo che possedeva aveva detto a Claudia che non era una ragazza complicata, ma la persona più onesta che avesse mai conosciuto. Sapeva dei sentimenti che provava per Luca e proprio per questo le aveva chiesto di sposarlo, in modo da obbligarla a fare una scelta e guardare finalmente in fondo al suo cuore. La speranza di Gabriele era naturalmente che alla fine Claudia scegliesse lui, ma i suoi desideri non si erano realizzati. E Claudia, con grande stupore, aveva visto il suo mancato sposo darle un caloroso bacio di addio, augurarle buona fortuna, ed allontanarsi per sempre da lei. Le ultime parole di Gabriele erano state: “Luca non sa quanto è fortunato ad avere una ragazza come te che lo ama…”. Ora Claudia è sola nelle neve. I suoi passi silenziosi lasciano orme una dietro l’altra. Giunge alla panchina vicino al laghetto, spazza via i centimetri di neve che si sono depositati e si mette a sedere. I fuochi d’artificio in collina sono iniziati. Tutta la gente uscita dal locale gli dà le spalle per guardare lo spettacolo che illumina la notte. La voce di Luca esce ancora dalle casse, nonostante i botti cerchino di coprirla. Claudia apre le mani volgendo i palmi al cielo, restando a guardare i fiocchi di neve che si sciolgono sulla sua pelle al primo contatto. Gabriele adesso è partito per un altro viaggio, e chissà quanto tempo starà via. 251 Luca è a Milano ed ha iniziato una nuova vita con Ilaria, con la musica, e con tutto quello che il mondo dello spettacolo potrà offrirgli. In fondo all’anima Claudia sente che va bene così. Sa che ora sarà diverso. Non ha perso il suo amico come l’ultima volta. Ora si sentono spesso, la relazione che hanno instaurato negli ultimi mesi a Lassina ha cementato le loro amicizie rendendoli inseparabili. Sa che non lo perderà mai più. Nel profondo era questo che voleva. Non gli aveva mai confessato il suo amore per paura di allontanarlo; ma adesso che si sono chiariti, confessati, non ci sono più scheletri nell’armadio e sente di vivere la relazione con lui in modo sereno. Finalmente. Dopo tutti questi anni. Luca è stato il primo a sapere che Claudia non aveva più intenzione di sposarsi. Gliel’aveva detto lei stessa qualche settimana prima. Questo è il coraggio di parlarsi. Di dirsi tutto e subito, come solo due persone legate da un fortissimo sentimento possono fare. Da amici. Adesso è sicura di non perderlo più. Claudia avrà vicino Luca per sempre e questo gli basta. Ma allora cos’è questo dolore in fondo al cuore? Si asciuga il viso con la manica e vede la striscia di una lacrima sul tessuto del cappotto. Subito un fiocco di neve cerca di coprirla cadendoci sopra. Claudia fa un sospiro cercando di darsi forza: questa notte non è fatta per piangere ma per divertirsi. Solleva lo sguardo per cercare gli amici, ma la sua attenzione viene spostata su una figura solitaria ad una decina di metri da lei. Non riesce a credere ai suoi occhi. Dalla radio del locale giunge chiaramente la voce del suo amico, eppure davanti a lei c’è Luca Nudo. “L-Luca?” domanda sorpresa e confusa. “Ciao Claudia”. 252 26 Perché essere felici per una vita intera sarebbe quasi insopportabile Su, vieni e riabbracciami se ti ho perso è stato solo per un attimo Mario Venuti - Carmen Consoli 1 Gennaio Nell’appartamento sui Navigli a Milano, Luca si alza avvicinandosi ad Ilaria nel centro della stanza. In penombra si baciano illuminati dalla fioca luce della lampada e dal monitor del Pc. Sullo schermo si può ancora leggere la mail che ha spedito Ilaria qualche ora prima: “Ciao Luca. Sai, a volte la vita è strana. Un momento credi di aver tutto in pugno e l’attimo dopo ti ritrovi a fare i conti con una nuova realtà. Quando mi hai detto che Claudia non si sarebbe più sposata ho capito che anche la nostra relazione era finita. Me ne sono resa conto prima di te. Ho visto come stavate insieme quest’estate ed il rapporto speciale che c’era fra di voi. Io non potevo farne parte, era molto più grande di quello che vivevamo io e te. Claudia era innamorata, si vedeva in ogni suo gesto. Da come ti guardava, dai movimenti che faceva e dalla tonalità della sua voce. Erano sensazioni 253 chiarissime. Chiamalo intuito femminile, ma ho compreso al volo che lei non avrebbe mai potuto fare a meno di te. E tu di lei. E quel giorno sono impazzita di gelosia. Tra l’altro era un modo stupido di reagire perché ci eravamo sempre impegnati a non far diventare troppo seria la nostra relazione. Eppure non ci ho visto più. Ero gelosa di te perché anch’io ti volevo bene e capivo che Claudia era un ostacolo troppo grosso da abbattere per entrare nel tuo cuore. Nemmeno tu l’avevi capito, sono stata io a spiegartelo. Che stupida vero? Ho aiutato la mia ‘rivale’… Il fatto è che io ti volevo un gran bene, mentre Claudia ti amava. Quando l’ho conosciuta meglio ho capito che Claudia era una ragazza eccezionale, senza niente di malizioso. Era innamorata di te da sempre. E tu avevi paura di confessare i tuoi sentimenti per lei. Conoscevo le tue paure, il rifiutare continuamente di accettare la realtà di tornare al tuo paese. Sono cose che con la maturità passano da sole, ma tu perseveravi nel tuo esilio a Milano. C’era qualcosa che non andava. Voleva dire che non eri ancora cresciuto?? Forse sì. D’altronde lo dicevi tu stesso. Ma adesso che stai per tornare a Lassina di tua spontanea volontà, penso che hai risolto tutti i problemi del cuore. E poco importa cosa succederà quando ti ritroverai davanti Claudia. Le tue paure le hai battute. Ora puoi iniziare a crescere davvero. E non mi importa nemmeno se a rimetterci sarò io! So che tu sarai felice e questo mi basta. Anche perché non potrei fare altrimenti; quello che c’è fra te è Claudia è troppo forte persino per me, ragazza da calendario, che potrebbe avere ogni uomo ai suoi piedi. Almeno così dicono. Che ironia… L’unico uomo che mi interessa davvero è innamorato di un’altra! Ricordi quando mi hai detto, dopo che eri tornato da Lassina, che tu e lei sareste rimasti amici per sempre? 254 Ecco, ti sbagliavi. Ad esserti sempre amica sarò io, se lo vorrai; ma sarà Claudia quella che amerai. Sei stato sincero quando mi hai confessato che non potevi stare senza di lei, e che a Capodanno saresti corso al tuo paese. L’ho apprezzato davvero. Amo la tua sincerità. Quindi vai, fai quello che devi fare, e poi torna, magari portandoti dietro quell’amore che non hai mai voluto ammettere. Questa è un’occasione da non perdere. Stasera verrò a salutarti prima che te ne vada. Lasciati abbracciare e baciare un’ultima volta. Luca, ho imparato a volerti bene e so che tu ne vuoi a me. La nostra amicizia spero che continui a lungo. Mi hai detto una grande frase ieri: ‘Se devo crescere per forza lo farò, ma cercherò in ogni modo di lasciare piccolo il cuore’. Prenderò esempio da te. Anch’io faro di tutto per lasciare piccolo il cuore. Ti auguro buona fortuna. Ci vediamo tra qualche ora. Una bacio… Tua Ilaria.” Luca e Ilaria si allontanano guardandosi negli occhi. Poi tornano ad abbracciarsi nel silenzio della stanza. “Grazie” è l’unica parola che Luca riesce a dire prima di prendere la giacca a vento nera e uscire dalla porta. Scende i gradini due alla volta rischiando di slittare sul ghiaccio che si è formato. Apre il portone e si mischia alla gente in via Ripa di Porta Ticinese, dove ha parcheggiato la Smart. Solleva lo sguardo verso la sua finestra e vede Ilaria che lo osserva dietro il vetro. Luca si infila il cappello, poi alza il braccio verso Ilaria facendo con le dita il segno di vittoria. Lei risponde alzando il pollice della mano destra. In un baleno corre alla macchiana, la accende e prende la strada per Lassina. 255 Le strade sono ghiacciate ed è da pazzi fare tutti quei chilometri, ma Luca non ci fa nemmeno caso. L’anno nuovo arriva mentre è ancora alla guida. E’passata mezzanotte da poco quando giunge al bar di Claudia. 256 27 E ho guardato dentro un’emozione E c’ho visto dentro tanto amore E ho capito perché non si comanda al cuore E va bene così Senza parole Vasco rossi 1 Gennaio, Lassina Luca vede la sua amica seduta in disparte sulla panchina. La osserva in silenzio finché lei non nota la sua presenza: “L-Luca?”. “Ciao Claudia”. “M-Ma, non puoi essere qua… Stai trasmettendo alla radio…” chiede stupita alzandosi in piedi. “La trasmissione è registrata. Abbiamo finito di montarla questo pomeriggio, ed appena mi sono liberato sono corso qui”. Claudia osserva il suo amico senza parole; Luca Nudo è davanti a lei, nemmeno nei suoi sogni più arditi l’avrebbe potuto immaginare. Indossa il solito cappello da pescatore che gli scende sulla fronte, ed una sciarpa pesante intorno al collo. Anche al buio riesce a riconoscere i suoi occhi verdi dove si è persa centinaia di volte; la barba incolta è molto più lunga del solito. “Cosa ci fai qui?”. “Non… riuscivo più a stare senza di te”. Ci sono solo loro in mezzo alla neve. Grossi fiocchi cadono intorno mentre la luce dei fuochi d’artificio illumina i loro volti. “Claudia io… Ho bisogno di te. In questi mesi ho imparato tante cose. Ho capito che di vita ce n’è una sola e l’unica cosa che 257 conta è cercare di essere felici. Io ho perso tanto tempo in inutili problemi… Renzo non c’è più. Ed io non voglio perdere le persone che contano nella mia vita. Voglio starti vicino…. E’ l’unica cosa che importa. Se vorrai…”. Al suono di queste parole Claudia si sente bruciare; vede tutta la vita passata insieme a lui scorrere in un attimo, percorre le strade che li hanno fatti incrociare fino a portarli quaggiù, in questo preciso istante, sotto la neve del nuovo anno. Sente tremare la voce mentre dice: “E Ilaria cosa…”. “Ilaria sa tutto” interrompe lui. “Ne ho parlato con lei prima di venire qui. Claudia è tutto a posto… Ci siamo solo io e te. Solo io e te… Come sempre…”. “Come sempre…” risponde lei sottovoce, “Ma come farai con il lavoro?” continua a domandare. “Questo me l’hai suggerito tu, ricordi? Si possono avere radici e ali. Volerò qui ogni volta che avrò tempo. E poi… In qualche modo faremo…”. “In qualche modo faremo…”. Luca si avvicina lentamente schiacciando la neve compatta sotto i suoi piedi. Sente che questi metri che li separano fanno parte di un lungo cammino, iniziato quando erano bambini. Tutti gli anni di scuola passati accanto, i pigri pomeriggi a studiare, i giorni di lavoro aspettando di rivedersi alla sera. La compagnia di Massi e Renzo; i disastri che hanno combinato insieme. L’amore tenuto nascosto per troppo tempo e le parole mai dette. I giorni in Valtellina e la lacrima sul viso di Claudia che ha cambiato ogni cosa. Lo straordinario momento della notizia che Francesca era incinta. Tutto vissuto insieme, fianco a fianco. Una vita divisa a metà. Luca muove gli ultimi passi raggiungendola e mettendosi davanti a lei. Claudia tira su col naso, lo guarda negli occhi e poi dice con voce tranquilla: “Ce ne hai messo di tempo ad arrivare”. “Lo so, scusami…”. 258 Imbarazzata come una bambina, incerta sul da farsi, Claudia resta immobile; non riesce ancora a credere che ora il ragazzo che ha davanti sia suo. Ma Luca, per la prima volta nella vita, la precede, baciandola dolcemente sulle labbra. Lei si abbandona stringendolo forte a se. Luca sente il cuore scoppiare nel petto, e si domanda se abbia questo sapore la felicità; ma non c’è fretta, si risponde, avrà davanti tutta la vita per scoprirlo. E poi Claudia mischia il bacio ad un sorriso. Luca la imita un secondo dopo. Labbra e denti si toccano mentre torna dirompente l’allegria nella loro personalità; quell’allegria che avevano perso per troppo tempo. Ed i loro cuori si incontrano, le carni si mischiano, i pensieri si allargano facendoli diventare una cosa sola, finalmente liberi da tutte le loro paure. Luca passa una mano sui capelli arruffati e fradici di lei, facendo cadere tutta la neve che si era depositata. “Ma bagnati anche tu…” dice Claudia rubandogli il cappello e lanciandolo nella neve. Entrambi si voltano a guardare dove finisce, accorgendosi così che non tutti danno loro le spalle per guardare i fuochi d’artificio. Una figura non è girata con il naso all’insù, ma li sta fissando. E’Alessandro con un boccale di birra in mano. Il ragazzo visibilmente compiaciuto alza il bicchiere nella loro direzione, in un brindisi solitario e bellissimo. I ragazzi rispondono con un saluto. E Luca immagina ci siano Renzo e Massi accanto ad Alessandro, anche loro con una birra tra le mani, che approvano con un brindisi questa unione rimandata per tantissimo tempo. I fuochi ora si fanno più forti, scoppiano uno dietro l’altro illuminando tutta la collina. “Sei sempre il solito stronzo!” sbotta improvvisamente Claudia “Non mi fai nemmeno gli auguri di buon anno!” “Hai ragione, me n’ero dimenticato…” dice ridendo Luca. “Buon anno Claudia”. “Buon anno anche a te”. 259 Tre fortissimi botti si sentono uno dietro l’altro; stanno a significare che lo spettacolo è finito. Ma una nuova avventura è appena cominciata. A Luca ora più che mai viene da dire: Pronti, partenza… Via! 260 Grandi Grandi Grandi Ho mille idee per quando sarò grande Se vuoi ci metto una firma su Mi son sempre definito un sognatore E mi sa che non cresco più Ma tu ci credi? O come me Fai di tutto per restare piccola E non crescere? Perché in fondo mi nascondo Dietro la mia immaturità O mi piace pensare d’esserlo Per fermare il tempo che va Ma tu ci credi? Dimmi un po’ Se davvero in me ci credi Oppure no Grandi grandi grandi Come dei bonsai La vita è una clessidra che non si gira mai Quanto vorrei che la mia sabbia fosse tutta quella del mare… Perché il tempo quando vola via Ha le ali libere Se avessi un’idea Per farlo smettere di correre… Ma tu ci credi? Dimmi un po’ Se davvero in me ci credi Ma già lo so… Luca Nudo 261 L’anno che sta arrivando Tra un anno passerà Io mi sto preparando È questa la novità! Lucio Dalla 262 Inizio “Allora, vuoi diventare la mia fidanzata?”. La bambina lo osserva stupita, poi piega la testa di lato e con voce cantilenante risponde: “Non so, ci devo pensare…” dondolandosi a destra e a sinistra come solo i bambini sanno fare. E poi gli dà un bacio sulle labbra. Il bambino di nome Luca rimane di sasso per il gesto improvviso della sua amica. Spalanca gli occhi per lo stupore mentre lei al contrario li tiene chiusi. Nel salone delle feste sotto di loro è ricominciata la musica; il nuovo anno tra poco farà il suo ingresso. Numerosi fiocchi di neve cadono coprendo il paese di una bianca morbidezza. La bambina intraprendente si chiama Claudia. Appena il bacio finisce Luca e Claudia si guardano e sorridono; sono ancora lontani i giorni dei problemi e delle preoccupazioni, nel loro mondo adesso c’è solo spensieratezza. Poi all’improvviso Claudia spinge il suo amico, lasciandosi cadere a sua volta, sempre tenendolo per mano. Atterrano di schiena nella neve, con le braccia distese, affondando nel morbido manto bianco di una decina di centimetri. Restano in silenzio a guardare i fiocchi che scendono dal cielo, come se fossero all’interno di quelle piccole sfere trasparenti piene d’acqua, che se vengono ribaltate mandano fiocchi bianchi ovunque. “Non mi hai risposto…” dice il bambino dopo un po’. “A cosa?”. “Alla domanda se vuoi diventare la mia fidanzata”. Claudia sbuffa spazientita. Si alza in piedi mettendosi le mani su fianchi, poi guarda il suo amico e con aria scocciata esclama: “Ma non capisci proprio niente tu!” correndo di scatto giù dalla collinetta. “Claudia dove vai? Aspettami” dice Luca alzandosi a sua volta ed inseguendo la sua amica. 263 “Vieni a prendermi!” grida contenta Claudia. “Tanto lo sai che prima o poi ti raggiungo!”. I due bambini si allontanano diventando puntini nelle neve. In cima alla collinetta lasciano le due sagome bianche che si tengono per mano, come degli omini di carta ritagliati con l’origami. Una strana metafora del futuro… Non sanno ancora che si terranno per mano tutta la vita. E la neve indifferente ai festeggiamenti, agli amori e alla vita che prosegue quaggiù, inizia subito a coprire le figure. Con l’arrivo dell’anno nuovo probabilmente saranno già scomparse. 264 [email protected] www.loreleyweb.it www.nicolacarlot.it 265