PRONTI,
PARTENZA
… VIA!
NICOLA CARLOT
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Inizio
Il salone delle feste è colmo di gente.
Fuori nevica che Dio la manda.
Due bambini incuranti del freddo giocano a palle di neve in
strada, per nulla interessati al fatto che tra poco arriverà l’anno
nuovo. Lui indossa un cappello dei New York Yankees con una
sciarpa di lana intorno al collo, lei ha il cappuccio del giaccone
sulla testa, ma si vede chiaramente che porta un taglio corto e
spettinato. Sia gli occhi che i capelli di lei sono scuri, mentre il
bambino mostra luminose iridi verdi sotto la visiera del berretto.
“Ti sei ricordata di portarli?” chiede il bambino interrompendo il
gioco.
“Certo. E tu ce l’hai l’accendino?”.
“Sì, l’ho rubato dalla tasca di mio padre”.
“Allora andiamo”.
In men che non si dica si ritrovano davanti alla porta del salone;
dentro i noiosi adulti continuano a ballare nella pista improvvisata
fra i tavoli, e a stappare bottiglie di vino.
Lentamente aprono la porta e sbirciano all’interno.
La bambina tira fuori di tasca un Magnum talmente grosso che
fatica persino a starle nella mano.
Invece il suo amico prende l’accendino facendo girare la rotella
con il pollice. Subito una lunga fiamma gialla esplode verso
l’alto.
Si passano il petardo con movimenti religiosi. Il bambino guarda
la sua amica prima di chiederle:
“Sei pronta?”
“Sì”.
“Allora pronti, partenza…Via!” dicono all’unisono.
Il bambino avvicina la fiamma alla capocchia di zolfo del
Magnum che prende subito fuoco rilasciando mille scintille.
La bambina apre la porta di scatto.
Lui allunga il braccio all’interno lanciando il petardo sotto il
tavolo più vicino, dove non c’è nessuno.
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Scappano veloci come il vento:
“Via! Via!”.
Tenendosi per mano corrono verso la collinetta, dove giunti a
metà salita sentono un boato provenire dal salone.
“BOOM!!”.
Urli di spavento all’interno, ed un surreale silenzio dopo. Nessuno
si è fatto niente. Un signore sbuca dalla porta guardandosi intorno
per scovare gli autori dello scherzo.
I due bambini raggiungono la cima della collinetta ridendo a
crepapelle.
“Che botto!” dice lei guardando in giù.
“Hai visto come si sono spaventati?”.
“Se scoprono che siamo stati noi stavolta mia madre
m’ammazza!”.
“Anche la mia”.
Continua a nevicare copiosamente sulle loro teste. Si tengono
ancora per mano nonostante la fuga sia finita.
Il bambino si volta verso la sua amica e d’improvviso le chiede:
“Allora, vuoi diventare la mia fidanzata?”.
La bambina lo guarda stupita, poi piega la testa di lato e con voce
cantilenante risponde:
“Non so, ci devo pensare…” dondolandosi a destra e a sinistra
come solo i bambini sanno fare.
E poi gli dà un bacio sulle labbra.
3
2
Ho un sogno strano sai
vorrei partire, tornare mai
Vieni via con me, Milano non si accorgerà
noi saremo là, senza avvisare neanche al bar
Timoria
31 Dicembre
Un altro anno sta per finire.
Porca miseria com’è passato velocemente!
Soltanto ieri avevo lo spumante tra le mani pronto a far saltare il
tappo allo scoccare della mezzanotte, che già mi ritrovo con una
bottiglia nuova destinata a fare la stessa fine.
Certo che ne sono successe di cose in questi
trecentosessantacinque giorni.
Dalla stanza illuminata soltanto da una abat-jours, guardo fuori
dalla finestra. Ha ricominciato a nevicare. Grandi fiocchi
scendono lentamente danzando nell’aria, al ritmo di una musica
silenziosa che soffoca i pensieri. Milano sembra un panettone,
morbida, completamente ricoperta dallo zucchero a velo che
scende dalle nuvole in continuazione. Dall’alto della mia finestra
al secondo piano mi immergo nella sua sofficità.
Il Naviglio Grande è illuminato a giorno dalle luci natalizie, ma
continua a scorrere indifferente al gran ciarlare delle persone che
si sono radunate intorno a lui. La via Ripa di Porta Ticinese, dove
abito, è affollatissima. E’ normale che nelle feste di Natale ci sia
così tanta gente, soprattutto in una nottata come questa, dove tra
poche ore partiranno i festeggiamenti per l’anno nuovo. Tutti i
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locali intorno al naviglio sono aperti. Ognuno di loro è addobbato
con lucine di vario tipo, allegre e vivaci, che unite insieme
formano un’esplosione di colore che arriva fino al viale Gorizia.
Da qui, l’illuminazione si unisce a quella del naviglio Pavese, per
poi buttarsi definitivamente nella Darsena, colma di macchine
parcheggiate, che incendia letteralmente Milano di un fuoco caldo
e accogliente. Poso lo sguardo sulle centinaia di persone che
hanno tutta l’aria di essere formiche allo sbando. Nessuna meta,
solo voglia di chiacchierare e camminare. Coppie che si tengono
sottobraccio, gruppi di amici con la birra tra le mani, mescolati in
un’atmosfera di allegria contagiosa.
Tra poco mi mischierò a loro.
Mi sposto dalla finestra che fornisce una visuale così privilegiata,
e vado in cucina ad aprire il frigo. Prendo una Coca Cola; niente
di alcolico per adesso, conoscendomi farò il pieno più tardi.
Torno al mio punto di osservazione e di nuovo guardo la strada.
Sono cinque anni che abito in questo appartamento sul naviglio.
Devo ammettere che non è da tutti averne uno qui, sono stato
fortunato. La casa è grande, centoventi metri quadrati divisi in
quattro stanze, su un unico piano. Dimensioni insospettabili se si
prende in considerazione che l’ingresso è una piccola porticina di
legno, di fianco a una gelateria qua sotto. Però appena si spalanca
la suddetta porta, ci si trova all’interno di un vasto cortile al
centro di tre piani di appartamenti, tutti grandi uguali e
ristrutturati da poco. Piccole scale esterne uniscono le abitazioni
al posto dell’ascensore. Sui lunghi balconi comunicanti ci sono
fiori di ogni tipo che traboccano dai parapetti, dando al cortile una
perpetua sensazione di primavera. Non ho ancora conosciuto il
giardiniere, ma di certo per mantenere questo verde tutto l’anno si
deve fare un culo così! Diciamo che è una piccola oasi in mezzo a
Milano, dove si celano (dietro le apparenze) modernissimi locali.
Beh, ovviamente la casa non costa due euro! Infatti i miei vicini
sono tutte persone alquanto… diciamo…. facoltose. Sì, facoltose
è la parola giusta, perché se fossero ricche si comprerebbero una
villetta fuori città, e non sul naviglio al centro di Milano.
Tanto per intenderci, alla mia sinistra ci vive un presentatore di
Rai Tre, che conduce una trasmissione per bambini al mattino
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verso le nove. Due porte più avanti una scrittrice, che con l’ultimo
romanzo ha raggiunto i primi posti della classifica dei libri più
letti. Dritto davanti a me, nel balcone di fronte, uno sceneggiatore
dei più noti programmi televisivi di Mediaset, con la moglie,
anche lei sceneggiatrice. Tutte persone non di primo piano nel
mondo dello spettacolo, ma che comunque ne fanno parte.
Prendo una sedia e mi accomodo meglio, continuando ad
osservare la strada.
Ed io? Chi sono io per avere come vicini tutta questa gente
importante? Beh, diciamo che sono un loro collega…
Forse è giunto il momento di presentarmi: mi chiamo Luca Nudo,
ho trent’anni e faccio l’intrattenitore alla radio.
E non ridete subito per il mio cognome! Ne ho sentite fin troppe
di battute! So che vi state già chiedendo se non ho freddo
d’inverno, visto che sono Nudo, ma risparmiatemi altre fesserie e
lasciatemi continuare.
Sono quasi cinque anni che faccio questo mestiere in una stazione
radiofonica di Milano, zona Linate. Il nome ‘intrattenitore’ non è
altro che il nuovo modo di chiamare i Dj, anche se il lavoro è
molto simile. Vi do una breve spiegazione storica. Fino a una
ventina di anni fa il Dj faceva tutto: metteva i dischi in diretta,
parlava al microfono e rispondeva alle telefonate. Ora, col passare
del tempo, i compiti si sono divisi; c’è una persona specializzata
nel mettere la musica, uno che parla solamente (l’intrattenitore
appunto) e il centralino che risponde alle chiamate.
Il mio lavoro è quindi parlare alle persone.
E devo ammettere che rende bene; non da usare le banconote per
accendersi le sigarette, ma tanto da permettersi un appartamento
in centro a Milano.
Ed è proprio qui che mi trovo in questo momento, con il cuore in
subbuglio e la testa colma di pensieri. Quest’anno che sta per
finire mi ha colpito con violenza, non pensavo di ridurmi in
questo stato. Guardo il Naviglio Grande con la sua calma
apparente, impassibile di fronte allo scorrere del tempo e agli
schiamazzi delle persone. Come vorrei essere impermeabile come
lui, lasciarmi scivolare addosso tutte le insicurezze… La neve
continua a scendere silenziosa mentre penso che tutto è
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cominciato un anno fa, proprio nella radio in cui lavoro tutti i
giorni.
Appoggio la Coca sul tavolo e lascio che i ricordi, come un
riassunto, mi facciano rivivere gli avvenimenti di questi ultimi
dodici mesi.
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Ma si, parliamo un po’
Io dormire no, proprio no
Dai camminiamo insieme
Per questa strada vuota
E dimmi tutto di te, della tua vita
Dai comincia tu…
Ron
Scoop
Vedo Piazza Cinque Giornate delinearsi in fondo al viale Reg.
Margherita. Sono fermo al semaforo con la mia Smart diesel, che
più che un’automobile sembra un giocattolo. Scatta il verde e
brucio in ripresa la Clio sedici valvole alla mia sinistra, tocco
leggermente il cambio e faccio entrare la seconda, grazie
all’automatismo sequenziale.
Sono le sette e venti del mattino e sto andando come tutti i santi
giorni a lavorare in radio. Arrivo in piazza e svolto a destra,
immettendomi sul viale XXII Marzo; fa freddo anche se il cielo è
luminoso e senza una nuvola. “C’è aria di neve” ha detto
stamattina il signor Luigi, proprietario della caffetteria sotto casa
dove vado a fare colazione. Mi sa proprio che ha ragione.
D’altronde c’è da credergli quando fa una previsione
meteorologica; vive a Milano da sempre e conosce le follie di
questa metropoli come le sue tasche, un vero milanese D.O.C.!
Chiuso nel tiepido della Smart, indosso la mia solita giacca a
vento nera con un paio di Jeans pesanti, sciarpa e cappello da
pescatore che mi scende sugli occhi.
Mi destreggio nel traffico con facilità.
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Ho una guida molto sportiva, al limite della sregolatezza; mi piace
andare veloce, confrontarmi continuamente con gli automobilisti
che incontro, è un vizio che mi porto dietro fin da quando ho fatto
la patente a diciotto anni. Prima o poi me la ritireranno e allora
dovrò cominciare a prendere i mezzi pubblici, che per ora non ho
ancora preso.
Fermo la macchina di fianco ad una bancarella che vende giornali,
metto le quattro frecce e scendo. Mi avvicino alla casetta
circondata da riviste, dove c’è l’edicolante che sta servendo una
signora. Spuntano dovunque mensili di ogni tipo, fumetti,
quotidiani, settimane enigmistiche appese alle piccole pareti in
plexiglass. Mi cade lo sguardo su ‘Gente Oggi’ ed esplode un
sorriso sul mio volto: in prima pagina, fotografato mentre
cammino in una via del centro, ci sono io, abbracciato ad una
bellissima bionda.
Mi hanno beccato!
Sapevo che prima o poi sarebbe successo. Ormai era risaputo che
Ilaria Agrati, ex velina di Striscia la notizia, se la filava con Luca
Nudo; infatti la prima pagina del giornale è dedicata a lei, non
certamente a me che faccio solo da comparsa.
Certo, anch’io sono conosciuto, ma lei è una vera e propria star,
soprattutto dopo che ha pubblicato il calendario dell’anno nuovo.
E’ diventato una specie di rituale fra le ragazze immagine della
televisione, e Ilaria non ha potuto tirarsi indietro.
Anche perché gli hanno dato una vagonata di Euro e si è fatta due
settimane di vacanza alle Maldive, dove hanno fatto il servizio
fotografico.
Non pensavo venisse così bene, le immagini fanno venire i bollori
solo a guardarle; infatti è risultato uno dei calendari più venduti in
assoluto.
Il solo pensiero di stare con una ragazza da copertina mi manda al
settimo cielo!
Cerco di non pensare a Ilaria sfilando da uno scaffale la Gazzetta
dello Sport; male che vada stasera la vedrò per cena.
Salgo di nuovo sull’auto e proseguo per Viale Corsica,
zigzagando tra le macchine e le aiuole spartitraffico dove passano
i tram. Sono leggermente in ritardo, ma la diretta comincia tra
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mezz’ora, quindi dovrei fare in tempo ad arrivare. Passo sotto il
ponte della stazione Porta Vittoria bruciando un paio di semafori
rossi. Un tipo col Mercedes suona il clacson mentre gli taglio la
strada. Ok, ho fatto una manovra un pò azzardata, ma che ci
posso fare se sono in ritardo?!
A metà di Viale Forlanini esco in una carreggiata che porta dritta
ai palazzi della radio; sono le nuove costruzioni volute dal
comune per creare uffici e Centri Congressi per le grandi aziende.
Il secondo edificio a otto piani, con un’ immensa antenna
trasmittente sul tetto, è la mia meta.
La diretta
Prima di entrare nei parcheggi mi fermo davanti ad una sbarra
abbassata; per alzarla devo strisciare il badge nel lettore di
riconoscimento sulla colonnina a portata di finestrino. Per fortuna,
prima che mi metta a rovesciare i cassettini della macchina (visto
che non mi ricordo dove l’ho messo), il custode nella cabina di
vetro mi riconosce, ed alza la sbarra per aiutarmi.
Muovo la mano in segno di saluto mentre lui fa altrettanto,
sfoggiando un largo sorriso.
Posteggio la Smart sotto l’edificio nel primo posto libero che
trovo. Di corsa salgo i gradini che portano ai citofoni, premendo il
tasto corrispondente a quello della mia radio. Faccio scivolare il
cappello sulla faccia, mentre mi avvicino alla piccola telecamera
installata per riconoscere i visitatori: in questo modo dall’altra
parte vedranno solo un’enorme macchia nera. Dopo qualche
secondo una voce metallica chiede:
“Chi è?”.
Non rispondo…
“Chi è? Non si vede niente!”.
Abbasso il cappello e mostro il viso a tutto schermo:
“Riiik!” dico con voce allegra.
“Luca, credevo si fosse spaccato il monitor! Dai vieni su che il
Boss si sta agitando; sei in ritardo”.
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“Lo so, lo so, arrivo” rispondo mentre apro la porta appena fatta
scattare da Rik.
Riccardo è un collega addetto al centralino, che si occupa anche
della manutenzione interna relativa ai telefoni.
Al piano terra c’è l’ascensore; premo il tasto per richiamarlo e
immediatamente si aprono gli sportelli sfilando nel muro,
invitandomi ad entrare nell’ascensore già presente. Premo il tasto
otto e una piccola scossa mi fa capire che è cominciata la salita.
Mi guardo nell’enorme specchio montato su una parete
dell’ascensore, illuminato da una forte luce bianca.
Eccomi qua: Luca Nudo in tutto il suo splendore.
Il cappello nasconde a malapena il viso ancora tirato a causa del
sonno appena concluso. Barba incolta, pizzo che si unisce alle
basette facendo il giro delle guance, occhi verdi che molte ragazze
si fermano a guardare. Ho i capelli neri portati corti e spettinati;
come in questo momento ad esempio, visto che stamattina li ho
sistemati soltanto passandoci una mano.
Sono alto sul metro e ottantacinque eppure sono magro come un
chiodo. Tutti mi chiedono come faccio, dato che mangio schifezze
in continuazione; “costituzione” rispondo io, ma devo ammettere
che a malapena so cosa vuol dire.
Si aprono le porte dell’ascensore e mi ritrovo direttamente negli
studi radiofonici, che occupano tutto l’ottavo piano del palazzo.
Percorro il corridoio all’ingresso che passa davanti al centralino.
Seduto al grande banco dei telefoni vedo Rik che sta sfogliando
una rivista con la mano destra, mentre con la sinistra tiene un
bicchierino di caffè.
Giunto a pochi passi da lui, eccolo che alza il giornale nella mia
direzione, mostrandomi la copertina dove sono ritratto con Ilaria.
E’ Gente Oggi, lo stesso mensile che ho visto poco fa in edicola:
“Ci diamo da fare, eh Luca??” esclama divertito.
“Mi hanno beccato Rik, in quanti lo sanno?”.
“Praticamente tutta la radio”.
“Cominciamo bene!” ribatto sorridendo, mentre appoggio la
giacca a vento sul primo appendiabiti libero.
“Muoviti che mancano solo cinque minuti alla diretta”.
“Ok, grazie”.
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Mi infilo nell’atrio che porta agli studi, sperando di non
incontrare il Boss che sicuramente sarà incazzato come Lucifero.
Sto per arrivare nella stanza della diretta quando il capo spunta
fuori inaspettatamente da un ufficio: me lo trovo davanti con uno
sguardo che sputa fuoco e fiamme.
“Buongiorno Luca, svegliato bene stamattina? Vuoi che ti porto
un caffè?” domanda ironicamente.
“Si grazie, mi faresti un piacere” rispondo con un’immensa faccia
di merda.
“MA DOVE CAZZO SEI STATO, HAI VISTO CHE ORE
SONO?!?”.
“Scusami Boss, ma mi sono fermato a prendere il giornale per la
diretta”.
“Si, la Gazzetta dello Sport… Perché non hai comprato anche
Topolino e Tex Willer?”.
“Dieci secondi alla diretta!” esclama Guido, il DJ che stamattina
mette i Cd.
“Mi spiace capo ma devo andare, ne parliamo dopo”.
Entro nell’acquario di vetro dove ci sono i microfoni; è una
piccola stanza isolata e silenziosa, habitat naturale di tutti gli
intrattenitori. Metto le cuffie prima di sentire:
“Cinque secondi… quattro, tre, due, uno…”.
“Ragazzi mi sono appena beccato una ramanzina dal capo”
esordisco impunemente al microfono “Mi sa che il Boss stavolta
si è incazzato; pensate che valga la pena arrabbiarsi per qualche
minuto di ritardo?? Dai capo, non lo faccio più, smak, smak!”.
Mando bacetti nel microfono in direzione del Boss che si è
fermato ad osservarmi di fianco a Guido. Lo vedo alzare e
abbassare le braccia nella mia direzione, in un chiaro gesto di
rassegnazione. L’ho appena sputtanato in diretta nazionale, ma
dal sorriso che sta facendo devo anche avergli fatto passare
l’incazzatura.
“Qui è Luca Nudo, buongiorno a tutti e benvenuti ad una nuova
puntata di ‘Senza veli’!!!” parte il Gingle che fa da sigla al
programma, mentre mi svacco comodamente sulla sedia per
cominciare la trasmissione.
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‘Senza veli’ è il titolo che ho inventato per ironizzare sul mio
cognome. Quando l’ho detto ai responsabili della radio, ne sono
rimasti subito entusiasti! In due ore di diretta al mattino parlo di
tutto e parlo di niente; e lo faccio da un anno e mezzo ormai.
Vado a ruota libera usando quella dialettica spigliata e magnetica
che gli altri mi dicono di possedere.
La proposta del Capo
Il Boss pensa che essere acqua e sapone sia il segreto del mio
successo; dice che ho introdotto un nuovo modo di fare la radio,
e dovrebbe essere vero, visto che da quando ci sono io gli ascolti
sono aumentati del venticinque per cento. Siamo arrivati al punto
di essere la terza stazione radiofonica di Milano, ed ad avere più
di un milione di ascoltatori. Poco se si pensa ai grandi Network
italiani, ma comunque sufficiente per fare opinione.
Il capo mi fa parecchi complimenti in proposito, a volte persino
immeritati; c’è da precisare però che mi ha scoperto lui qualche
anno fa, e quindi le lodi è un pò come se le rivolgesse a se stesso.
Infatti io e il Boss, anche se non sembra, siamo parecchio
affiatati; la sfuriata di prima era solo una finzione, un piccolo
battibecco fatto più per giocare che per discutere. Anche perché in
quattro anni (nonostante la mia scarsa puntualità) non ho saltato
mai neppure un minuto di diretta, sono uno stacanovista per
antonomasia. E il capo che lo sa, ha piena fiducia in me.
Comunque le due ore di diretta passano velocemente, e dopo aver
appoggiato le cuffie sul tavolo ricevo il cambio da Dj Flavio, un
veterano della radio che condurrà il programma fino a
mezzogiorno:
“Ciao Luca” dice battendomi una mano sulla spalla, “Guarda che
ti vuole il Boss nel suo ufficio”.
Un po’ sorpreso da questa richiesta mi allontano nei corridoi,
chiedendomi se non si sia arrabbiato davvero per prima. Giungo
davanti alla porta del suo ufficio e la apro dicendo:
“Non ti sarai mica incazzato sul serio per il mio ritard…” non
riesco a concludere la frase perché lo vedo con i piedi sulla
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scrivania, con un giornale aperto davanti alla faccia, intento nella
lettura.
Ovviamente il giornale è ‘Gente Oggi’!
Abbassa le pagine piegandole un po’ e mi mostra un sorrisetto
ironico che sa tanto di presa per il culo. Ora è il mio turno di
alzare e abbassare le braccia nella sua direzione in un gesto di
rassegnazione.
“E così ti sei fatto beccare…”.
“Sì, in pieno” dico stancamente sedendomi sulla poltrona davanti
a lui.
“Bene bene bene, ora lo sa tutta Italia” dice sempre in tono
canzonatorio. Ma pensa che capo mi tocca avere!
Seduto davanti a me ride delle mie disgrazie e dei pettegolezzi
che ne verranno fuori con aria divertita. Il Boss ha sui
quarantacinque anni ma possiede ancora lo spirito di un
ragazzino. E’ più basso di me di almeno quindici centimetri,
robusto, spalle larghe con due occhi azzurri che scrutano curiosi
ogni cosa che si profila davanti a lui. I suoi capelli sono di un
rosso talmente acceso che lo fanno sembrare un cerino pronto per
la combustione. Il sorriso è largo e coinvolgente, ti trascina con se
in ogni discorso che intraprende portandoti il più delle volte a
dargli ragione, anche quando non ce l’ha. Ci siamo conosciuti in
una circostanza molto originale, che è stata la scintilla del mio
futuro in radio; da allora è diventato come un secondo padre per
me, e seguo ogni suo consiglio senza discutere (anche se ogni
tanto mi piace farlo impazzire come ho fatto stamattina!).
In ogni caso questa storia di me e Ilaria è come miele per lui, visto
che comunque porterà pubblicità alla radio.
“Quando hai finito di prendermi per i fondelli mi dici perché mi
hai fatto chiamare?”.
“Ah già” dice appoggiando il giornale sul tavolo, e con tono del
tutto casuale inizia a chiedermi:
“Come va il tuo disco?”.
“Bene, siamo quasi a metà del lavoro”.
Dimenticavo…
Oltre alla radio sto incidendo anche un Cd.
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Scrivo canzoni da sempre ed ora, grazie anche all’aiuto del Boss,
le sto arrangiando seriamente con l’obbiettivo di combinare
qualcosa discograficamente. Ogni tanto in trasmissione faccio
girare qualche pezzo mio, e devo ammettere che sta riscuotendo
un discreto successo.
“Quanti brani avete pronti?”.
“Stiamo lavorando sulla settima canzone, penso che per Giugno
dovremmo finire”.
“Va bene, ho capito…” dice il capo lasciando in sospeso la frase.
“C’è qualcosa che mi devi dire?” ribatto scocciato visto che non
arriva al nocciolo della questione.
“Sai che l’album uscirà i primi dell’anno prossimo, vero?” mi
chiede con aria circospetta.
“Certo, e il primo singolo lo lanceremo a fine Novembre”.
“Sai quindi che probabilmente ci sarà una tournee invernale,
magari anche estiva, e che quindi non avrai più tempo per te
stesso…”.
“Sì”.
“Magari anche per alcuni anni; all’inizio bisogna battere il ferro
finché è caldo”.
“Speriamo che vada così!”.
“Al novanta per cento andrà così. I nostri sondaggi dicono che
hai tutte le carte in regola per fare successo, e di solito ci
azzeccano sempre. E poi i pezzi che mandi già in diretta sono
richiestissimi. Sei un personaggio che piace Luca, e con una
buona promozione l’anno prossimo sarai in classifica”.
“Ok capo, ammettiamo che vada tutto bene e che tra poco sarò un
collega di Michael Jackson… Mi dici dove vuoi arrivare?!?” dico
ormai spazientito.
“Da quanto tempo non ti prendi una vacanza?”.
“Ma questo che c’entra?”.
“Rispondi”.
“Non so, sarà da quando ho cominciato a lavorare qui; più di
quattro anni sicuramente”.
“Esatto, non sei mancato neppure una volta”.
“E allora?!”.
“Non senti il bisogno di ferie?”.
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“Ma no!!”.
“Ascolta… Voglio che quando finisce ‘Senza veli’ a Maggio, tu ti
prenda una lunga vacanza fino a Dicembre”.
“Che cosa?!?”” esclamo balzando sorpreso dalla sedia “Non se ne
parla neanche”.
“Invece farai così”.
“Non voglio vacanze, non saprei cosa farmene!”.
“Potresti tornare a casa”.
“Questa è l’ultima cosa che mi verrebbe in mente”.
“Dai Luca ragiona” dice il capo assumendo quell’atteggiamento
paterno che tante volte ho sentito nei miei confronti, “Se non
stacchi la spina per un po’ potresti finire le energie proprio nel
momento del bisogno, magari al centro della promozione. Non
voglio che ti esaurisca per causa mia. Torna al tuo paese per un
po’, scappa da questa città e vai a respirare aria buona”.
“Ma io adoro Milano! Sto bene qui, è la campagna che mi
esaurisce! E poi mi sento già in ferie, questo lavoro è tutto quello
che voglio fare”.
“Oh cazzo Luca” esclama perdendo la pazienza “Sei l’unico
italiano che quando gli danno le ferie le rifiuta! Sono quattro anni
che ti faccio lavorare anche se non dovresti. Non voglio che tu
perda i contatti con casa tua per colpa mia; non in questo caso.
Stavolta ti prenderai una vacanza e al ritorno, se vorrai, sarai
libero di ammazzarti di lavoro. Ma adesso segui il mio consiglio”.
“E con l’album come la mettiamo?”.
“Sai benissimo che una volta finito di registrare mancheranno
solo gli arrangiamenti della post- produzione, che i miei ragazzi
possono fare anche da soli”.
“Hai già pensato a tutto vero?”.
“Più o meno…”.
“Beh, comunque non se ne parla” dico alzandomi dalla sedia e
aprendo la porta dell’ufficio.
“Pensaci”.
“Ciao Boss, ci vediamo domattina”.
“Pensaci!” chiudo la porta uscendo nei corridoi. Ma guarda te! Sei
mesi di vacanza, cosa me ne faccio?! Milano è la mia vita, come
potrei tornare in quel posto dimenticato da Dio che è il paese dove
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sono nato? E’ vero che non ci vado da parecchio tempo, ma il
capo non mi può costringere a fare qualcosa che non voglio.
Al diavolo lui e le sue vacanze!
Vado nel mio ufficio continuando a borbottare come un vecchio
pensionato. Concludo che per Maggio riuscirò a fargli cambiare
idea, e che quindi non ho nulla di cui preoccuparmi. Che storia
assurda, Luca Nudo in ferie, tzè….
Magica Milano
Passo il resto del pomeriggio in radio a sbrigare delle pratiche e a
preparare la puntata di domani. Non ho fretta, oggi non devo
nemmeno trovarmi in sala prove per registrare. Di solito trascorro
la maggior parte della giornata nello studio d’incisione, insieme a
dei musicisti turnisti per arrangiare l’album, ma oggi ci siamo
presi una pausa. Quindi metto via la noiosa burocrazia ed esco
dall’ufficio sperando di non incontrare il capo; non ho nessuna
voglia di cominciare una nuova discussione.
Scendo nel parcheggio e salgo a bordo della Smart. Allora, cosa
faccio adesso? Sono le sei di sera e Milano è tutta per me; mi
attira come una bella donna misteriosa. Gli anni ottanta della
Milano da bere ormai sono passati, lo so, eppure non riesco a
resistere alle sue eccitanti provocazioni.
La gente esce dagli uffici, c’è molto traffico, ma un’altra notte sta
per cominciare! Questa metropoli non dorme mai. Ed io adoro il
suo parlare, le sue musiche e il profumo d’indipendenza che
emana da ogni metro quadrato.
Decido di andare dritto al ‘Saturday’, un bar dove sono
specializzati in aperitivi; tanto lo sapevo che sarei finito lì, ci vado
quasi ogni giorno e ormai mi sento di casa. Parcheggio in una
traversa del viale Umbria e mi dirigo nel locale a piedi. Uomini e
donne brillanti camminano sul marciapiede con abiti su misura, il
loro portamento è spigliato ed hanno un bel sorriso sulle labbra.
La maggior parte di essi si sta dirigendo in un locale dove
scambiare due chiacchiere prima di cena; un rito che prende il
nome di Happy Hours.
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Giungo sotto l’insegna ‘Saturday’ e sento già la musica uscire
dalle casse. Apro la porta e vengo investito da luci e colori.
Decine di persone conversano animatamente; vengo riconosciuto
subito da Davide, il barista dietro l’enorme bancone pieno di
liquori, che mi saluta dicendo ad alta voce:
“Udite udite gente! Abbiamo un Vip tra noi: Luca Nudo!”.
La maggior parte dei presenti si volta nella mia direzione
avvicinandosi per salutarmi: sono tutti amici e conoscenti che
vogliono tirarmi il culo per la foto sul giornale.
“Stavolta ci sei cascato, eh?”.
“Devo dire che sei più bello su carta che dal vivo”.
“Grazie ragazzi…” rispondo con il sorriso sulle labbra, mi piace
essere circondato di attenzioni. Vado al bancone e ordino un
Cartizze, il mio aperitivo preferito. Poi come in tutti gli Happy
Hours che si rispettino, cominciamo a muoverci a ritmo di
musica.
Una bella ragazza che ho conosciuto qualche giorno fa si avvicina
e comincia a danzarmi intorno. Wow, che figata! Adoro questi
momenti, mi sembra di essere il re del mondo; ma come faccio ad
andare in vacanza se tutto quello che voglio si trova qui a portata
di mano? Basta fare pochi minuti in macchina ed ecco che sono in
paradiso. Cosa voglio di più dalla vita? Di certo non un Lucano,
al massimo un altro Cartizze!
Esco dal locale mezzo ubriaco dopo avere bevuto cinque aperitivi,
e mi dirigo con calma verso casa. La Smart è facile da guidare, e
anche se ho i riflessi annebbiati mi destreggio lo stesso nel
traffico con facilità. D’altronde ci vuole ben altro per abbattere
Luca Nudo, non bastano due bicchieri di vino! I miei amici più
intimi, compagni di mille sbronze, possono testimoniare.
Ilaria
Arrivo nel parcheggio della Darsena e metto l’auto nel primo
posto libero che trovo. Mentre mi avvio a piedi verso casa penso
che stasera dovrò cenare con Ilaria. Dobbiamo ancora decidere
dove andare; dato che tra mezz’oretta dovrebbe essere da me,
18
faccio in tempo a fare una doccia e pensare ad un ristorante
carino. Salgo i gradini che portano al mio appartamento, inizio a
girare la chiave nella serratura ma mi accorgo che la porta è già
aperta. Non mi stupisco di questo fatto, è già capitato più di una
vota. Ilaria ha le chiavi e può entrare quando vuole. Infatti noto
subito che ci sono le sue scarpe all’ingresso e il cappotto buttato
sul divano. Lo stereo è acceso e una leggera musica di sottofondo
invade la stanza.
“Ila, sono tornato, dove sei?”.
“Sono in camera” sento una voce in lontananza. Mi tolgo il
giaccone e mi dirigo in cucina; prendo un biscotto, lo metto in
bocca e con voce impastata le chiedo:
“Hai già deciso dove andare a mangiare?”.
“Più o meno”.
“Meno male, perché io non ho nessuna idea. Guarda che devo
ancora fare la doccia…”.
“Vieni qui che ti dico cosa ho pensato”.
“Ma non importa, per me va bene qualsiasi cosa…” ribatto mentre
mi avvicino alla camera. Appena varco la soglia della stanza però
rimango di stucco!
Ilaria è sul mio letto a quattro zampe come un gatto, e mi guarda
con occhi vogliosi.
Il bello è che indossa solo una mia camicia bianca, per il resto è
completamente nuda!
Il cuore comincia a battere come un pazzo, sento il Capitano che
si sta alzando. I lunghi capelli biondi le cadono sul viso dandole
un’espressione ancora più maliziosa; è bellissima! Due seni grossi
come frutti maturi penzolano chiedendo di essere toccati, mentre
un sedere disegnato invoca di essere guardato. Le gambe lunghe e
affusolate, i piedi perfetti, la pelle leggermente abbronzata… Mi
appoggio allo stipite della porta per non cadere!
Sento qualcosa premere dietro la schiena e mi accorgo di aver
urtato il calendario di Ilaria appeso alla parete. Possiedo pure il
suo calendario, sono proprio fulminato! Mi sposto leggermente e i
fogli cominciano a dondolare sulla puntina. La foto su cui è
posizionato ritrae Ilaria nella stessa posa in cui è ora, solo che
nell’immagine si trova a gattoni su di una spiaggia bianchissima.
19
Guardo il calendario e poi guardo Ilaria.
Guardo Ilaria e poi il calendario.
Il Sergente è diventato di marmo.
“Pensa come sei fortunato” mi dice “Io sono qui in carne ed ossa;
gli altri mi possono solo vedere”.
Deglutisco a fatica mentre comincio a sudare.
Lei si passa la lingua sulle labbra con una sensualità che farebbe
resuscitare anche un morto.
“Ma non dovevamo cenare?” chiedo a mezza voce, come uno
sfigato quindicenne alla sua prima esperienza sessuale.
“Sarai tu la mia cena. Vieni qui”.
Non mi faccio pregare e la raggiungo ai bordi del letto. Lei
immediatamente si alza in ginocchio e mi bacia infilandomi in
bocca la lingua. La camicia aperta mi mostra il suo seno da Oscar
e il fisico da Leone d’oro.
Ma il mio motore va su di giri completamente quando mi slaccia
la cerniera dei pantaloni, infila la mano e afferra il Comandante.
Lo tira fuori dalla cabina con abili gesti già provati in precedenza.
Si abbassa con la testa e fa sparire il Generale tra le labbra.
Io rischio il collasso.
Non è nuova Ilaria a queste sorprese, già altre volte si è fatta
trovare nuda in casa mia, con cisterne di voglia sessuale da
dividere con me. Ma ogni volta mi lascia stupito.
Guardo il calendario e poi guardo Ilaria.
Guardo Ilaria e poi il calendario.
I fogli dondolano ancora sulla puntina.
Sembra proprio che sia uscita dalla foto per materializzarsi
davanti a me. Un sogno ad occhi aperti. In questo momento sono
l’uomo più invidiato d’Italia. Ma ora è giunto il mio turno di fare
sul serio; la sollevo dal letto, le tolgo la camicia e comincio a
spogliarmi anch’io. Dopo qualche minuto cominciamo a fare
quello che i preti non vogliono…
Questo è quello che desidero, penso tra me e me; non c’è niente
che possa volere di più! La mia vita si trova a Milano! Che
assurda idea quella di mandarmi in vacanza al mio paesello, non
ci farò mai ritorno!
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Per un momento mi passano nella testa le frasi del Capo di questa
mattina.
Come faccio ad andarmene da Ilaria, dagli Happy Hours, dalla
radio, dalle discoteche e dall’atmosfera fatata di Milano? E’
impossibile, farò come voglio io.
Lascio che questi pensieri si dissolvano dalla mente e mi
concentro su Ilaria, decisamente molto più interessante.
Cascasse il mondo, non tornerò al mio paese!
21
4
Guardami
Sei nuda…
Dondola
Sulla puntina
Se la vita fosse di un’ora
Io la vivrei stasera…
Loreley
Come vuole lui
Sto tornando al mio paese.
Cazzo, sto tornando al mio paese!
Guardo la macchina carica di bagagli, le chiavi di casa con cui ho
appena chiuso l’appartamento, e stento ancora a crederci.
Il Boss anche stavolta ce l’ha fatta. Siamo alla fine di Maggio, è
mattina, e sto per cominciare una vacanza di sei mesi.
Non so ancora come sia riuscito a convincermi, ma sta di fatto che
per l’ennesima volta farò come vuole lui.
Guardo il cielo sopra Milano e vedo il sole spuntare dai palazzi.
E’ primavera inoltrata, e da qualche giorno comincia a fare caldo.
Porto dei pantaloni di cotone bianchi ed una maglietta nera dei
Dream Teather, comprata al loro ultimo concerto all’Idroscalo.
Sconsolato metto le chiavi in tasca e salgo in macchina. Sono
davanti alla sala prove dove registro i pezzi del mio Cd, ed ho
appena salutato i musicisti. Ormai il lavoro è finito, mancano solo
alcuni arrangiamenti, ma muoio al pensiero di non poter
partecipare alla fase finale.
Mirko (il chitarrista) ha cercato di consolarmi con frasi di
circostanza, anche se queste ultime non sono proprio il suo forte:
22
“Vai in vacanza tranquillo Luca, non ti preoccupare, le ultime
cose le sistemiamo noi. Un po’ di aria buona fa sempre bene…”.
Poi accorgendosi di non avermi rassicurato del tutto ha aggiunto:
“Comunque qui non servi più a un cazzo, perciò fatti ste minchia
di ferie!”.
L’ho detto che le frasi di circostanza non sono il suo forte.
In ogni caso mi sono servite per metterci una pietra sopra,
convinto come sono che i pezzi si trovano in buone mani.
Avvio la Smart e mi dirigo alla radio dove prenderò le ultime cose
prima di andarmene. Ilaria l’ho salutata ieri, e comunque l’avrei
vista poco nei mesi a venire, dato che sta cominciando a condurre
un programma in televisione. La sua notorietà aumenta di giorno
in giorno, mentre la mia rimane costante. Ma non importa, questo
è l’ultimo dei miei problemi.
Arrivo nei parcheggi, posteggio, e salgo all’ottavo piano mentre
un senso di nostalgia mi assale di già. Al centralino incrocio Rik
come sempre:
“Allora Luca, sei in partenza?”.
“Già” rispondo con poca enfasi.
“E non fare quella faccia!” risponde lui “Avessi io sei mesi di
vacanza sarei l’uomo più felice del mondo!”.
“Tu avrai sei mesi di vacanza solo quando io sarò andato in
pensione” ribatte il Boss sbucando da uno degli uffici.
Mi viene incontro con un sorriso a cinquanta denti mentre Rik
ride alle mie spalle; Riccardo è perfettamente a conoscenza che
non ho nessuna voglia di andare via, perciò se la ride sotto i baffi.
Anche perché sa che il Capo sta venendo a leccarmi il culo, per
farmi ingoiare meglio la pillola.
Insieme ci dirigiamo nel mio ufficio, dove raccolgo un po’ di Cd
e metto in ordine la scrivania. Il Boss mi osserva mentre sbrigo le
faccende:
“Dai Luca, vedrai che ti farà bene”.
“Se se…”.
“Quando tornerai sarai carico come una molla e pronto a dare il
massimo per l’uscita del disco”.
“Se se…”.
“Sei in gamba e mi aspetto molto da te!”.
23
“Guarda che se continui a leccarmi il sedere, dovrò stare attento a
non fermarmi all’improvviso mentre cammino, altrimenti la tua
lingua mi arriverà fino alle orecchie”.
“Ma quanto sei pirla”.
Lo guardo facendo un’espressione da cane bastonato, mentre lui
ha ancora stampato in faccia due metri di sorriso.
Lo so, non ci posso fare nulla… farò come vuole lui.
Qualche anno prima
Sono quattro anni che seguo alla lettera i suoi consigli, e anche
stavolta farò così. Ma che gran fatica in questa circostanza!
Eppure è come un secondo padre per me, non posso negarlo,
perciò gli darò retta come al solito. A pensare come ci siamo
conosciuti mi scappa ancora da ridere.
Sembra ieri che avevo venticinque anni, chitarra sulle spalle e
poca voglia di studiare in una Milano che mi ospitava cinque
giorni su sette. Ero iscritto a lettere e filosofia, ma la mia vera
passione era la musica. Infatti il giorno che ci siamo conosciuti
stavo andando al CPL a prendere lezioni, una specie di scuola
privata per musicisti. Camminavo a passo lento per corso Buenos
Aires, con il mio JoJo da duecentomila lire nella mano destra
(chissà adesso in Euro quanto varrebbe) e lo strumento a tracolla.
Sul naso portavo degli occhiali azzurri senza lenti.
Sì, senza lenti!
Le avevo tolte apposta per essere alla moda, e per prendere in giro
tutti quei ragazzi che compravano occhiali con lente di vetro (che
non riparavano neppure dal sole), ma che costavano mezzo
milione a montatura.
Loro li compravano dall’ottico, io dal farmacista, e con duemila
lire ero figo quanto loro! O almeno credevo di esserlo. Di certo
ero più originale; diciamo più anticonformista, ma con un sottile
velo di ironia.
Insomma, ero un personaggio eccentrico quando passeggiavo per
le vie di Milano in quel periodo.
24
Non avevo ancora ben chiaro cosa fare della mia vita, e con la
testa mi perdevo in estenuanti elucubrazioni. Ormai gli esami
all’università erano quasi finiti e non potevo continuare a vivere
in bilico senza prendere una decisione. Ma non avevo la più
pallida idea di cosa fare. E’ vero che l’università è il parcheggio
degli indecisi, ma ormai la mia sosta a tempo stava per scadere, e
non volevo incappare in una rimozione forzata. Venticinque anni
è il periodo giusto per prendere delle decisioni? Forse… In ogni
caso non sapevo ancora cosa fare di me stesso.
Immerso in queste ed altre considerazioni, ho sentito un grido
provenire dall’altra parte della carreggiata:
“Cesare!”.
Il ricordo è così nitido che mi sembra di viverlo ancora adesso.
Incontro
Mi volto e vedo il viso inorridito di un uomo che guarda nella mia
direzione, verso il centro della strada. Immediatamente noto che
un cane Boxer sta attraversando tranquillamente corso Buenos
Aires, incurante delle macchine che sfrecciano a un metro da lui.
La prima cosa che penso è:
“Se davvero quel cane si chiama Cesare col cazzo che l’aiuto!”,
ma poi, spinto dalla mia innata solidarietà, mi getto in mezzo alla
strada a braccia alzate, intimando alle auto di fermarsi.
“Cesare, piccolo, vieni qui…”.
Un po’ spaventato il cane si avvicina e si lascia prendere in
braccio, mentre una macchina mi passa di fianco strombazzando:
“PPOOOOOOT!!”.
“E che cavolo, non vedi che sto salvando una vita?!?” gli grido
dietro, ma ormai se ne è già andata. Torno sul marciapiede e
adagio il cane per terra tenendolo al guinzaglio, mentre il padrone
mi raggiunge qualche secondo dopo:
“Non so come mi sia sfuggito, ti ringrazio!”.
“Non è niente, non si preoccupi” .
“Ecco, questo è per te” dice tirando fuori dalla tasca una
banconota da centomila lire.
25
“Ma si figuri” rispondo con enfasi “Non ho fatto niente di
speciale”.
“Insisto, devi prenderle, se non era per te sarebbe finito sotto una
macchina”.
“Lasci stare!” ribatto indignato cercando di chiudere il discorso.
A pensarci bene cento carte mi avrebbero fatto comodo, sono
stato un po’ coglione a non prenderle.
“Va beh, ci sarà pure qualcosa che posso fare per te”.
“Sì, una cosa ci sarebbe: mi potrebbe dire come le è saltato in
mente di chiamare Cesare il suo cane. E’ un nome orribile!”.
L’uomo mi guarda sorpreso e sbigottito; non sa più cosa dire, di
certo non si aspettava una domanda del genere. Poi continuo con
fare indifferente:
“Anzi, mi potrebbe dare un parere sulla canzone che ho appena
finito di scrivere. Ci sono ancora un paio di cose che non mi
convincono…”.
Mentre parlo mi inginocchio sul marciapiede, tiro fuori la chitarra
e piazzo in mano lo JoJo allo sventurato spettatore. Mi rialzo con
lo strumento a tracolla e comincio a suonare un pezzo che ho
composto qualche sera prima. Ci troviamo in mezzo ad un
passaggio pedonale, la gente ci guarda circospetta, ma io continuo
a suonare indifferente ai loro sguardi. Non sono uno che si fa
mettere in soggezione facilmente, anzi, mi piace essere osservato;
in poche parole sono un egocentrico del cazzo!
L’uomo con il cane è senza parole.
Lascia cadere lo JoJo tenendolo per il filo, ed ovviamente questo
comincia con il suo moto ascendente e discendente, su e giù, giù e
su…
Io continuo a suonare e a cantare.
Il cane tira un’abbaiata.
Appena finita la canzone gli chiedo innocentemente:
“Piaciuta?”.
“Beh, sì…” risponde sorpreso. Faccio per togliermi la chitarra
dalle spalle ma con la tracolla urto gli occhiali che mi cadono per
terra.
“Attento” esclama chinandosi e cercando di afferrarli, ma io sono
più veloce e li raccolgo per primo, infilando le dita dove
26
dovrebbero esserci le lenti. L’uomo mi guarda sorpreso e
disorientato:
“Ma come? Hai gli occhiali finti?!?”.
“Sì, belli vero?” rispondo in tutta calma “Ho tolto le lenti apposta
per prendere in giro i fighetti che comprano occhiali inutili da
cinquecentomila lire”.
Comincio così a spiegare la mia teoria secondo cui sarei più figo
comprando la montatura in farmacia, mentre l’uomo mi guarda
completamente sbigottito. Di certo non posso dargli torto; anch’io
mi sorprenderei davanti a un ragazzo che gioca con lo JoJo, suona
in mezzo a corso Buenos Aires fermando il traffico pedonale e
gira con occhiali senza lenti!
Alla fine delle mie mirabolanti spiegazioni l’uomo scoppia in una
grande risata ed esclama:
“Certo che sei un bel personaggio tu!”.
“Oh, grazie, cerco di fare del mio meglio”.
“Come ti chiami?”.
“Luca Nudo” e ci stringiamo la mano.
“Bene Luca” dice porgendomi il suo biglietto da visita “Vieni
domani a trovarmi che facciamo una bella chiacchierata”.
L’indirizzo riportato sul cartoncino è quello della radio in via
Forlanini, e naturalmente l’uomo a cui ho salvato il cane è il Boss.
Grazie a quest’episodio ci siamo conosciuti.
Il giorno dopo negli studi mi ha fatto la proposta di lavorare in
radio, prima come apprendista, e poi come vero e proprio
intrattenitore. Il Capo è rimasto stupito dalla mia parlantina e
dall’innata simpatia che sprigiono (sono parole sue).
Così, dopo aver passato un mese di prova osservando vari DJ in
azione, il Boss mi ha lanciato in una trasmissione dove era lui
stesso il conduttore, ed io avevo il compito di fargli da spalla.
L’esordio è stato ottimo. Dopo un anno di rodaggio ho avuto uno
spazio tutto mio, che ancora oggi prende il nome di “Senza veli”.
Ecco la mia storia alla radio.
Il progetto del CD è nato parallelamente, ed il Boss mi ha dato
una mano in tutto e per tutto, consigliandomi ogni volta nel modo
migliore, come un padre con il figlio.
Per questo non posso rifiutargli nulla.
27
Partenza
Il mio muso lungo in un estremo tentativo di non tornare a casa
non ha nessun valore.
Mi osserva sempre con due metri di sorriso stampato in faccia,
mentre finisco di raccogliere le mie cose e di mettere a posto la
scrivania. Insieme proseguiamo per il corridoio fino a raggiungere
l’ascensore, dove mi porge la mano pronunciando le ultime parole
prima di congedarmi:
“Divertiti Luca, e non farti vedere fino a Novembre”.
“Umpf”.
“E ricordati una cosa: quando tornerai avrai molto lavoro da fare,
e soprattutto parecchie responsabilità” lo guardo con occhi
interrogativi, non capisco cosa mi voglia dire. Lui intuendo i miei
dubbi prosegue:
“Luca, il progetto del Cd non è un gioco. Molte persone
dipenderanno da te e dalle tue capacità. I musicisti, gli
arrangiatori, ed io stesso che ti sto spingendo in questa nuova
avventura siamo legati a quello che farai. Quando tornerai dovrai
affrontare queste responsabilità, e volente o nolente, mettere la
testa a posto. Non che tu sia uno scellerato, non fraintendermi,
però dovrai iniziare a confrontarti con il mondo che ti sta intorno.
Molte persone contano su di te, è per questo che ti mando via così
tanto tempo; per rilassarti prima di cominciare. So che la
semplicità è il segreto del tuo successo, ma non ti sto chiedendo
di perderla. Ti chiedo solo di diventare grande e di prendere di
petto la vita, che ti propone sempre situazioni nuove”.
Diventare grande, brrrr….. Queste parole mi mettono i brividi. Io
non voglio diventare grande! Almeno, non adesso…
“Hai capito?” prosegue il capo.
“Credo di sì”.
“Ti chiamerò per sapere come va” .
“Va bene. Se hai bisogno di me…”.
“Non avrò bisogno di te”.
“Sicuro?”.
28
“Sì”.
“Umpf”.
“Adesso vai”.
“Ok”.
“Ciao Luca”.
“Ciao Boss” dico sconsolato mentre le porte dell’ascensore si
chiudono in mezzo a noi. Il capo mi fa ciao con la mano mentre
sento un leggero vuoto allo stomaco, il quale mi fa capire che la
discesa è cominciata.
Ora sono solo.
La vacanza, volente o nolente, è appena iniziata.
Lassina
Non mi resta che salire sulla Smart e prendere la tangenziale che
porta al mio paese.
Sono quattro anni e mezzo che non ci torno; esattamente da
quando mi hanno assunto alla radio. Di punto in bianco me ne
sono andato senza programmare niente.
All’inizio è stata una soluzione provvisoria, pensavo di tornare
appena si fossero calmate le acque e avessi capito il mio ruolo in
radio. Ma poi sono rimasto a Milano rimandando sempre al futuro
il momento del rientro. I miei genitori sono venuti spesso a
trovarmi: con la scusa che mio padre lavora nella metropoli ci
siamo visti un sacco di volte, e molto spesso li ho ospitati a casa.
Persino i miei amici si sono fatti vedere, magari di sabato sera,
per bere qualcosa in qualche locale o andare in discoteca. Però io
non sono mai più tornato a casa da allora. E non mi è mai pesato.
L’aria di quel posto mi ha sempre soffocato; per me andare a
Milano era un sollievo. Vivevo come quei pazzi che hanno la
camicia di forza con le mani legate dietro la schiena, rinchiusi
dentro una stanza vuota con le pareti di gommapiuma.
Quest’esempio calza a pennello, non riuscivo a respirare. Non che
gli amici mi procurassero disagio, anzi, erano proprio loro la mia
ancora di salvezza!
Era il paese che mi andava stretto.
29
Il suo nome è Lassina e si trova in mezzo alla campagna tra Como
e Lecco, al confine estremo della Brianza. Lontano da tutto e
vicino al nulla più assoluto. Ho sempre pensato che il sindaco
pagasse per avere il nome del comune sulle cartine geografiche,
perché Lassina è così insignificante da non meritare nemmeno la
citazione. Per raggiungerlo si devono percorrere strade che
avrebbero bisogno di essere asfaltate da almeno cinquant’anni,
tanto sono dissestate.
Per forza, i veicoli che passano più spesso sono i trattori!
In quel buco di paese l’attività più praticata è ancora l’agricoltura,
e i negozietti a gestione famigliare spuntano come funghi ad ogni
via. Per fare la spesa bisogna girarli tutti, non c’è alcun
supermercato che ti permette di fare un acquisto unico. La civiltà
a Lassina non è ancora arrivata.
Che bello direte voi, il sapore delle cose antiche… Certo, ma io
preferisco un bell’Ipermercato dove comprare un DVD per una
notte in Dolby davanti al PC (cosa che al mio paese non
conoscono neppure).
Eppure a Lassina c’è tutto.
Forse è per questo che molti giovani decidono di rimanere.
Essendo a metà strada tra Como, Milano e vicino a Lecco, si può
passare in un momento dal lago alla montagna, dalla grande
metropoli alla campagna. Ci sono scuole, bar, e attrezzature
sportive di alto livello. Dato che il verde non manca i campi da
calcio sono spuntati come funghi; piste ciclabili e campi da tennis
sono stipati un po’ ovunque intorno al paese, attirando numerosi
sportivi da ogni parte della Brianza.
Eppure il centro di Lassina è come un vecchio addormentato. Il
suo silenzio mi è sempre entrato nelle ossa facendomi pian piano
impazzire.
Quando ho sentito che la camicia di forza mi tirava le braccia
tanto da non poterlo più sopportare, ho preso la decisione di
andarmene. E proprio in quel periodo, per fortuna, è giunto il mio
lavoro in radio a salvarmi. Da allora ho giurato a me stesso di non
tornarci più, e fino a qualche mese fa il mio proposito continuava
ad essere mantenuto.
30
Ma ora mi trovo in macchina sulla Statale centoquindici pronto
per fare ritorno a casa. Immaginavo che prima o poi sarebbe
accaduto, ma speravo di poter rimandare ancora qualche anno.
Solo la fiducia che ho nei consigli del Boss mi ha fatto muovere
sulla strada del mio paese natale; speriamo che anche stavolta il
Capo abbia ragione.
La relazione con Ilaria
Suona il cellulare.
Apro il mio Nokia e leggo sul display che si tratta di una video
chiamata. Lo appoggio sul cruscotto della macchina incastrandolo
nell’ apposito blocca telefono, che mi permette di vedere con chi
parlo senza distrarmi dalla guida. Premo il tasto con la cornetta
verde. Immediatamente compare sul visore il volto di Ilaria:
“Ciao amore, sei già arrivato?”.
“Non ancora, manca mezz’ora di strada” dico fissandola negli
occhi. Anche lei mi guarda, è straordinaria questa tecnologia.
“E non fare quel muso” continua “Pensa che tra poco vedrai i tuoi
amici”.
“Lo sai come la penso, non cercare di consolarmi. Tu invece cosa
stai facendo?”.
“Sono in pausa. Sto registrando la puntata che andrà in televisione
domani”.
“Non ti manco già un pò?” dico sporgendo in fuori il labbro
inferiore, e facendo un’espressione da cucciolotto impaurito che a
lei piace tanto…
“Certo che mi manchi, poi con quel faccione così tenero… Ma
vedrai che ci rivedremo presto. Passerò io a trovarti appena avrò
tempo, d’accordo?”.
“Mmm Mmm” mugugno di dispiacere sporgendo ancora di più il
labbro.
“Che tenero!” dice lei tra il serio e il faceto.
“Allora dai” continua “Ci sentiamo tra qualche giorno, ok?”.
“Va bene”.
“Ciao amore, e divertiti”.
31
“Vedrò quello che riesco a fare”.
“Ciao” e riattacco la comunicazione.
Cosa farei senza Ilaria!
Già, cosa farei? Ci ho pensato parecchio in questi ultimi mesi, e
la conclusione è che praticherei l’autoerotismo!
Un momento, non fraintendetemi, ad Ilaria sono affezionato, non
sto con lei solo per fare sesso. Però mi sono reso conto che non so
se sono innamorato; di sicuro le voglio molto bene. E questo vale
anche per lei.
Quando ci siamo conosciuti due anni fa, è stato come se un
travolgente desiderio passionale ci avesse colpito nello stesso
momento. Di pomeriggio ci siamo incontrati, e la sera eravamo
già nel letto insieme. I primi giorni non riuscivo nemmeno a
credere che una ragazza come lei potesse essere attratta da me, ma
dopo mi sono reso conto che era tutto vero.
La nostra relazione però è sempre stata basata sul postulato: “Ci
vediamo quando abbiamo tempo”. Essendo entrambi nel mondo
dello spettacolo, i nostri orari non sono mai fissi, ma cambiano a
seconda degli impegni. Per questo non abbiamo mai potuto
prendere seriamente il nostro rapporto di coppia e nemmeno
tentato di farlo diventare tale. Ma nonostante tutto ci troviamo
bene così; sono sicuro che Ilaria mi adora esattamente come
l’adoro io, e questo mi basta.
Il futuro deciderà per noi quando arriverà il momento di mettere
la “testa a posto”.
C’è qualcosa di male?
Noi crediamo di no. Non ci diamo obblighi ne tanto meno
responsabilità; forse perché anche lei è come me, ancora
immatura per queste cose.
Crescere, questo è il nostro problema. In fondo ci sentiamo ancora
come due ragazzini che si rifiutano di diventare grandi.
Io e lei siamo come i bimbi sperduti dell’Isola che non c’è.
Oltretutto non credo minimamente che mi verrà a trovare, ne che
mi chiederà di passare l’estate con lei. Però mi sta bene così. Sono
le conseguenze del nostro rapporto libero. Ciò non toglie che sono
pazzo di lei, e finché lo sarò proseguirò per questa strada.
32
Intanto tra pensieri e ragionamenti sono arrivato all’uscita della
tangenziale e all’inizio della strada di campagna. Sento che la
civiltà mi sta abbandonando mentre l’età della pietra prende il
sopravvento. Stradine in salita, strettoie sempre più lunghe e
uomini col cappello alla guida di vecchie automobili. Di uomini
col cappello a Milano non ce ne sono molti, verrebbero
strombazzati in continuazione e sbranati dal traffico della
metropoli. Solo nei piccoli paesi possono ancora circolare, e
questo mi fa capire che mi sto avvicinando sempre di più a casa.
Comincio a riconoscere le strade; questa che sto percorrendo è
quella che mi porterà dritta nel centro di Lassina. Riconosco le
curve, il panorama, e i campi verdi che la circondano; in questo
pomeriggio di sole viene proprio voglia di buttarsi in mezzo
all’erba a giocare a pallone.
Ma io non sono dell’umore adatto.
Magari tra qualche giorno (se riuscirò ad ambientarmi) lo farò.
Basterà mantenere l’anonimato per qualche tempo, in modo da
riprendere la vita di campagna senza che troppe persone facciano
domande sul mio ritorno.
Tanto per rigirare il coltello nella piaga, davanti a me incontro un
trattore, che starà tornando da qualche lavoro fatto all’aperto.
Ovviamente va a dieci all’ora e mi tocca stare in coda; ed io odio
le code. A Milano proprio per evitarle vado a zig zag tra le
vetture, anche a costo di prendere multe salate. Ma qui non si può
fare. La carreggiata è piccola e c’è spazio solo per lui. Tiro un
grosso respiro e mi metto buono in fila (male che vada ritarderò il
mio arrivo a casa, e questo non è male).
Dopo qualche chilometro noto che la strada comincia ad
allargarsi; mi sposto leggermente a sinistra in modo da vedere se
arrivano macchine per cominciare il sorpasso. Non riesco ancora
a vedere nulla. Tiro giù il finestrino e spingo fuori la testa per
sporgermi un po’ di più. Immediatamente un forte odore di letame
mi inonda le narici:
“Bleaaah, che schifo!” commento ad alta voce “ Sono proprio
tornato a casa!”.
Guardo i campi intorno a me e noto che sono pieni di concime.
Altro che due calci al pallone nell’erba…
33
Santo cielo che giornata! Ci mancava solo questa. Con
un’espressione disgustata sulla faccia comincio il sorpasso, ma mi
ritiro in tempo, perché dall’altra parte vedo giungere un nuovo
veicolo della stessa stazza del trattore che ho davanti. Nel punto
più largo della carreggiata i due mezzi si incrociano, con me
dietro a far da spettatore. Gli autisti si salutano, e il conducente
del nuovo mezzo (un camioncino scoperchiato che trasporta
oggetti da lavoro nei campi) prosegue nella mia direzione. Giunto
a qualche metro da me l’uomo a bordo del camioncino si sporge
per guardare chi c’è all’interno della Smart, con la curiosità tipica
delle gente di paese. Se a Milano si facesse un gesto del genere si
verrebbe alle mani in mezzo alla strada, ma in campagna è tutto
nella norma.
Anch’io guardo verso di lui e mi accorgo di conoscere
quell’uomo: è il signor Pozzi, il menamerda di Lassina.
Menamerda è una parola dialettale che significa ‘colui che pulisce
le fognature’ (non è certamente il lavoro più bello a cui si possa
aspirare, ma qualcuno lo deve pur fare…).
Ovviamente mi riconosce:
“Ueila!! Luca sei tornato all’ovile?”.
“Buon giorno Signor Pozzi” dico con un sorriso tirato, e
imbarazzato del fatto che mi abbia già riconosciuto.
“Tua madre me l’aveva detto che saresti arrivato”.
E ti pareva se mia madre non teneva la bocca chiusa…
“Il ritorno del figliol prodigo….” dice mentre si allontana.
“Arrivederci” rispondo, mentre comincio e finisco il sorpasso del
trattore che mi precedeva, approfittando del fatto che la strada è
ancora larga.
Ho capito, mia madre lo avrà già detto a tutto il paese.
Ed io che volevo mantenere l’anonimato per qualche giorno…
Ancora un paio di curve e finalmente arrivo alle porte del paese,
superando il cartello ‘Lassina’ che mi dà il benvenuto nel posto
dove passerò i prossimi sei mesi.
34
5
Piccola città
C’è chi la ama, chi la odia
e lei rimane piccola
Se ripassate tra cent’anni
ci trovate sempre qua
Luciano Ligabue
Nessuno
I campi cominciano a sparire, mentre le case prendono lentamente
il sopravvento. Giungo in centro dopo pochi minuti e mi accorgo
che non è cambiato molto; esattamente come quattro anni e
mezzo fa non c’è in giro nessuno.
La noia aleggia nell’aria.
Parcheggio in mezzo alla piazza, scendo, e comincio a guardarmi
intorno.
Come se fosse un mio personale gesto di saluto mi soffermo a
guardare le abitazioni, a respirare l’aria, e a riprendere confidenza
con un posto che per tanti anni è stata la mia casa.
Non vola una mosca.
Il pavimento a mattonelle della piazzetta fa da contorno al
monumento ai caduti più che mai solitario. Si erge in tutti i suoi
tre metri d’altezza, con la baionetta puntata verso il cielo, ormai
corrosa dalle intemperie. Alla sua sinistra troneggia la chiesa di
Lassina e alla destra sorge l’edificio dei vigili urbani. Dopo
qualche minuto esce un vigile in bicicletta, che attraversa la strada
e sparisce dietro l’angolo; la prima forma di vita che noto da
quando sono in paese!
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Mamma mia che angoscia! Sono qua solo da qualche minuto e già
non ce la faccio più.
Eppure è strano; il paese è fin troppo silenzioso. Da come me lo
ricordavo c’era sempre qualcuno in giro. Casalinghe impegnate a
far spese, anziani che passeggiano diretti a prendere un
bianchino…. Nonostante tutto Lassina è un comune abbastanza
grande, e con tutte le frazioni annesse raggiunge anche seimila
abitanti; possibile che non ci sia nessuno?
Mah, si sarà completamente spopolato; magari è passata la peste
come nel millecinquecento e sono finiti tutti nel Lazzaretto.
D’altronde in un paese antico come questo non mi stupirei se
fosse successo davvero.
Salgo nuovamente in macchina e mi dirigo verso la mia vecchia
casa. Dopo pochi minuti la raggiungo e posteggio in cortile. Beh,
più che un cortile è un campetto di terra libera dove mettere le
auto; qui non ci sono confini di proprietà, le abitazioni non hanno
mura o recinzioni. Casa mia è una piccola villetta in mezzo ad
altre villette che si trovano a est del paese, sul confine con Oseve,
una frazione di Lassina. Non c’è un indirizzo preciso, i numeri
civici non ci sono. Se qualcuno mi vuole scrivere una lettera deve
mettere solo la via, ci pensa poi il postino a recapitare la posta
nella corretta buca delle lettere.
Scendo dalla Smart, prendo il borsone e mi dirigo verso casa.
Devo fare una cinquantina di metri in salita prima di raggiungere
l’abitazione.
La strada è piccola e l’asfalto è tutto dissestato. Sono circondato
dal verde; sento l’odore della terra, delle piante, e dei fiori che
Maggio sta svegliando dal letargo. Sono le undici del mattino e il
sole è una palla gialla in mezzo ad un cielo terso.
Sento il suo calore sulla pelle, ma non è fastidioso; a Milano
questa sensazione non l’ho mai sentita.
E meno male! Vuol dire che è una metropoli, che c’è il caos, lo
smog, e soprattutto tanta voglia di vivere! Non come qui, che
viene solo voglia di dormire…
Faccio ancora qualche passo ma prima di giungere a destinazione,
incrocio due signore che hanno un’aria famigliare. Le squadro per
bene e dopo qualche secondo le riconosco; sono Luigia e
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Mariuccia, due vicine di casa. Appena realizzo quello che
potrebbe accadere cerco un posto per nascondermi.
Da quanto ricordo sono due pettegole di prim’ordine, e se
dovessero riconoscermi sarei bombardato da domande e
commenti sul mio ritorno. Accelero il passo cercando di restare
più disinvolto possibile, ma dopo qualche secondo sento una voce
stridula pronunciare:
“Ma quello non è Luca?”.
…sono fottuto…
“Luca chi?”.
“Luca, il figlio della Teresa!”.
Mi hanno riconosciuto, non ho più scampo. Da un momento
all’altro mi chiameranno e sarò costretto a girarmi…
“Oh signur, lè propi il Luca!”.
“Luca!!”.
Mi giro mostrando una falsa faccia stupita, fingendo di essermi
accorto solo ora della loro presenza:
“Buongiorno!” ora è il turno del finto sorriso, da sfoderare ad una
persona che non si ha voglia di incontrare:
“Salve Luigia, salve Mariuccia” le due donnine mi vengono
incontro dandomi voraci baci sulle guance. Sono entrambe alte un
metro e cinquanta, e mi arrivano a malapena all’ombelico; per
cui mi devo abbassare accartocciandomi su me stesso. Non me le
ricordavo così basse. Hanno ovviamente i capelli bianchi e
portano grandi occhiali con lenti a fondo di bottiglia. Ma lo
sguardo è sveglio e curioso, come tutte le donne di paese. Ecco
che comincia l’interrogatorio:
“Cume te ste?”.
“Va che bel fiò che te se diventà”. Traduco per chi non
conoscesse il dialetto brianzolo: “Come stai? Sei diventato un bel
ragazzo”.
“Grazie, sto abbastanza bene”.
“Me la dì la tua mama che te seret dre a turnaa” (me l’ha detto tua
mamma che stavi tornando).
“Cume te se bel” (che bel ragazzo).
“Te se arivaa adess?” (sei arrivato ora?).
“Te ghe lè la murusa?” (ce l’hai la ragazza?).
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Basta, mollatemi!!
Dopo cinque minuti di discussione sento che sto per svenire.
Trovo un espediente per congedarle dicendo che devo ancora
salutare i miei genitori, e senza troppi complimenti me ne vado.
Tanto avrò tempo per incontrarle di nuovo, dovrò restare a
Lassina per sei mesi!
Casa vecchia casa
Arrivo alla soglia della porta e suono il campanello. Dopo
qualche secondo mia madre viene ad accogliermi, ma al contrario
di quello che mi sarei aspettato esordisce dicendo:
“Dove sei stato? Ti aspettavamo un’ora fa?”.
“Ho trovato un po’ di traffico. Dai mà, non cominciare a
rompere”.
Mia madre è bravissima nel farmi incazzare! Sono bastate due
parole per farmi girare le palle. Mi tratta ancora come se avessi
dieci anni; so che tutte le mamme sono così ma la mia a volte è
insopportabile!
Comunque la sua espressione austera svanisce dopo qualche
secondo, lasciando il posto ad un sorriso:
“Sono contenta che tu sia tornato” mi abbraccia “Vieni a salutare
tuo padre”.
Entro, lascio la roba in cucina, e mi dirigo in sala. Percorro il
corridoio che unisce le due stanze osservando ogni cosa: i quadri
appesi alle pareti, il mobiletto dove si trova appoggiato il
telefono… Sono anni che non vengo qui, ma sembra non sia
cambiato nulla. E’ come se il tempo si fosse dimenticato di
passare; ogni oggetto è ancora al suo posto, come in un museo
dove tutto deve restare assolutamente immobile. Scommetto che
anche i granelli di polvere sono gli stessi, insieme alla noia e al
silenzio che impregnano i muri della casa.
Arrivo in salotto con mia madre dietro le spalle, e vedo papà che
si alza dalla poltrona mentre la tv sta trasmettendo il telegiornale.
Probabilmente era preso a guardare le prime notizie del giorno
svaccato in tutta tranquillità. Si avvicina allargando le braccia in
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un sorriso del tutto simile al mio, sia per spontaneità che per
dentatura. D’altronde ci hanno sempre detto che siamo due gocce
d’acqua.
Indossa una maglietta bianca slisata dal tempo e un paio di
pantaloni corti blu. Mi dà una pacca sulle spalle mettendomi il
braccio intorno al collo:
“Ciao Luca, trovato traffico?”.
“Non tanto, a parte un trattore che andava a dieci all’ora”.
“Ah ah!” esplode di gusto in una sonora risata musicale, mentre io
comincio a rilassarmi per la prima volta.
Mio padre è l’opposto di mia madre. Spirito allegro, sempre
pronto alla battuta, è inconfondibile con quegli occhi che ispirano
simpatia. Ormai porta i capelli bianchi pettinati con la riga sulla
sinistra, ma senza squallidi riporti. Ha una pancia pronunciata che
si nota ancora di più con questa maglietta bianca; probabilmente è
stata la birra ingurgitata in gioventù che l’ha fatta diventare così.
E visto che anch’io sono un forte bevitore come lui, penso che
verrà anche a me.
Specifichiamo: io e mio padre non siamo alcolizzati,
semplicemente ci piace il buon vino e il liquore, ma senza troppi
eccessi. Solo per stare tra amici e per passare qualche ora in
compagnia.
Mia madre al contrario è alta e magra. Porta grandi occhiali tondi
e capelli cotonati color castano chiaro. L’ho sempre vista così; da
quando sono nato credo non sia mai cambiata.
Ha un carattere austero ma socievole, sempre pronta ad analizzare
tutto quello che gli passa vicino, e a dare il suo parere di
‘donnachesatutto’.
Con me poi è una cosa impressionante.
Come ho detto prima crede che io sia ancora un bambino,
completamente incapace di prendere delle decisioni e che ha
ancora bisogno della sua protezione. Ovviamente questo
atteggiamento mi fa arrabbiare come una bestia, ma ho imparato a
non farci caso. In fondo il suo essere iper protettiva sta a
significare che mi vuole un mondo di bene, perciò ho cominciato
a convivere con i suoi atteggiamenti di madre.
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Meno male che mio padre mi dà una mano ad evitarli facendomi
passare l’incazzatura! Come adesso ad esempio, che mi prende
sottobraccio bisbigliandomi nell’orecchio:
“Tua madre ti ha già stressato, vero?” chiede fra i denti mentre la
guarda con un sorriso finto, per nascondere quello che sta
dicendo.
“E già” rispondo io, e continuando il nostro atteggiamento
cospiratore gli passiamo di fianco, mentre lei sospira rassegnata.
Sa benissimo che non potrà mai far parte della complicità che c’è
fra me e mio padre, ma in fondo le sta bene così.
Andiamo tutti e tre in cucina e brindiamo al mio ritorno con un
semplice bicchiere d’acqua. D’altronde non c’è molto da
festeggiare; con loro mi sono visto solo settimana scorsa a
Milano, dove mi hanno raggiunto per aiutarmi a portare qualche
valigia a Lassina (la Smart è piccola e non ci sarebbe stato nulla).
Sono stati da me un paio di giorni; la casa sul naviglio è grande e
ci sono diversi posti letto. Non è la prima volta che miei genitori
alloggiano da me; spesso lo fanno durante l’anno. Per loro è come
prendersi una piccola vacanza, e visto che io non mi muovo mai
dalla metropoli, l’unico modo che hanno per vedermi è
raggiungermi.
Seduto al tavolo della cucina chiedo:
“Questo paese sembra ancora più morto del solito, non lo
ricordavo così”.
“Perché?” risponde mia madre mentre lava alcune posate.
“Non ho visto in giro nessuno. Quando sono arrivato in piazza era
tutto deserto”.
“Per forza”dice mio padre mentre sorseggia del vino bianco
allungato con acqua,
“Saranno tutti al mercato”.
“Al mercato?”.
“Certo Luca, non ti ricordi che martedì c’è il mercato?” ribatte
mamma.
E’ vero, ha ragione! Me ne ero completamente dimenticato.
In questo giorno il paese si svuota per andare a fare spese nel
grande circo che si presenta una volta alla settimana.
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Lo chiamo circo perché sembra di esserci dentro; tutti i venditori
diventano animali impazziti che gridano continuamente per
invitarti a comprare qualcosa. Lungo via Dante, dove si svolge il
mercato, centinaia di casalinghe affollano i baracchini dei vestiti e
dei cibi pronti, facendo aumentare ancora di più la confusione. Da
come lo ricordo c’è veramente tutto il paese, ecco perché non ho
trovato in giro nessuno.
“Dovresti andarci anche tu” dice mia madre.
“E perché?”.
“Per ufficializzare il tuo ritorno a casa. Saluteresti tutti i
conoscenti in una volta sola, così ti leveresti il pensiero una volta
per tutte”.
“Ma che stai dicendo?”.
“Tua madre ha ragione”.
“Dai pà, non ti ci mettere anche tu!”.
“Pensaci bene Luca; la mamma ha detto a tutti che sei tornato,
tanto vale accelerare i tempi. E poi renditi conto che ora non sei
un ragazzo qualunque, sei un personaggio dello spettacolo. Anche
chi non ti conosce vorrà parlare con te. Togliti questo peso subito
e vai al mercato”.
“Oh madonna! Non ci pensare neanche” dico in un tono che non
ammette repliche.
“Fai come vuoi” ribatte mio padre indifferente, mentre torna a
sorseggiare il vino.
Mia madre invece ha assunto il classico sguardo che sta a
significare: ‘E’ la cosa giusta da fare’.
Ed io so che hanno ragione.
E’ inutile stare a pensarci, farò come dicono loro.
Anche perché se non andassi mia madre mi terrebbe il muso tutto
il giorno. E poi come si dice, via il dente via il dolore, no?
“E va bene, avete vinto!” dico alzandomi dalla sedia, mentre dalle
labbra di mio padre spunta un piccolo sorriso soddisfatto.
Il mercato comunale
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Prendo il cellulare e dopo dieci minuti sono sulla strada che
costeggia il mercato, ovviamente a piedi. Sarebbe inutile prendere
la macchina, Lassina si attraversa in un batter d’occhio. Giro
l’angolo e vedo le prime bancarelle spuntare dietro gli alberi;
naturalmente è pieno di persone, che come formiche operose
fanno scorta di cibo per tutta la settimana.
Accidenti quanta gente! Mi sa che si sono aggiunte anche le
frazioni e i comuni confinanti. D’altronde non si può biasimarli;
in una giornata come questa sarebbe un delitto stare in casa.
Speriamo di non incontrare troppe vecchiette rompiscatole!
Mi avvicino a passo lento all’ingresso della via e subito avverto
un odore che non sentivo da anni: patatine e pollo fritto.
Il primo baracchino è una rosticceria ambulante, sono anni che si
posiziona in questo punto, e a quanto pare non ha nessuna
intenzione di cambiare. Per un attimo torno indietro nel tempo…
Ricordo quando venivo in bicicletta con gli amici a comprare le
patatine; costavano duecento lire e il signor Ernesto ce ne dava un
sacchetto pieno fino ai bordi. Erano tantissime! Ricordo che le
divoravo in un istante, con l’ovvia conseguenza che a pranzo non
avevo più fame. Quante ne ho sentite da mia madre: ‘Perché non
mangi? Hai comprato ancora le patatine? La prossima volta non ti
dò più la paghetta’. Ma naturalmente me la dava lo stesso ed io
tornavo ogni volta pieno da scoppiare.
Giungo davanti alla bancarella e noto con piacere che non c’è
nessun volto conosciuto. Cammino lentamente posando lo
sguardo su Ernesto, che serve ancora i polli con la convinzione di
sempre.
All’improvviso mi guarda.
Attimi di perplessità nei suoi occhi, dopodichè esplode in un
poderoso saluto con la sua voce baritonale:
“Guarda un po’ chi si rivede, Luca Nudo! Guardate signore, è
tornato a casa il nostro cittadino più famoso!” dice rivolgendosi
alle vecchiette davanti al bancone.
“Ciao Ernesto come va?” dico a mezza voce. Non faccio in tempo
a finire la frase che due donnine di una certa età si avvicinano
sorridenti. Immediatamente le riconosco: sono Angelica e Italia,
amiche di famiglia di vecchia data. Mi sa che è cominciata la
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sagra dei saluti. Rassegnato le stringo in un abbraccio, mentre
queste attaccano a parlare in dialetto. Dopo una decina di minuti
riesco a staccarmi e a proseguire nel mio giro. Sono consapevole
che incontrerò altre persone, perciò tengo duro e cammino a testa
alta.
Eccomi vicino al camioncino di ‘Tutto per la sarta’.
Subito la proprietaria mi riconosce mentre altri conoscenti mi
vengono incontro, chiedendomi informazioni sul mio ritorna a
casa.
Riesco anche a liberarmi di loro, ma non delle stoffe che mi
piazza in mano la proprietaria dicendo:
“Sono per tua madre, le ha già pagate e mi ha detto di darle a te,
visto che saresti passato a salutare”.
Ma pensa! Mamma sapeva già che sarei andato al mercato, e ha
fatto la spesa scaricando su di me la responsabilità di portare a
casa la roba! Questa me la paga. Giuro, me la paga.
Passo oltre e incrocio il baracchino: ‘Gianni tutto per la casa’.
La storia si ripete: nuove persone da salutare e uno spremi-agrumi
come dono.
“E’ per tua madre” e due “Lo ha già pagato e mi ha detto di darlo
a te, visto che saresti passato a salutare”.
La rabbia monta sempre di più.
Altra bancarella (Il pane di Arturo) e altro regalo: un sacchetto di
francesine fresche di forno.
Nuovi conoscenti da intrattenere.
‘Alla moda con Rita’ e jeans da portare via.
‘Tutto per il bagno’ e l’Idraulico liquido sottobraccio.
‘I fiori di Antonia’ con piantina in un sacchetto.
‘Intimi di Gertrude’ e mutande per mio padre.
Stavolta mamma l’ammazzo!
Carico come un mulo attraverso tutto il mercato circondato da
persone che mi vogliono salutare. Ogni dieci metri incontro
qualcuno; non ricordavo di conoscere così tanta gente! Devo
ammettere però che la maggior parte sono amici di mia madre,
non miei, anche se da piccolo li ho frequentati per un po’ di
tempo.
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Esausto arrivo alla fine della via con la spesa che mi sta per
cadere; non ce la faccio più! Eppure comincio a sentire un odore
pungente nelle narici. Le bancarelle dovrebbero essere finite; mi
chiedo cosa possa esserci ancora. All’improvviso ricordo cosa
manca: il furgoncino del pesce! Il punto più puzzolente del
mercato!
E come se non bastasse odio il pesce crudo.
Prima che possano accorgersi della
mia presenza faccio
dietrofront per tornare sui miei passi, ma il pescivendolo è più
veloce:
“Luca Nudo! Sei proprio tu? Da quanto non ci si vede!” .
…accidenti…
“Vieni ti devo dare una cosa” .
…no, ti prego no…
“ E’ un branzino per tua madre” .
…che schifo!
“Lo ha già pagato e mi ha detto di darlo a te, visto che saresti
passato a salutare” .
…lo sapevo, cazzo!
Accetto con riluttanza sfoderando un sorriso che ormai non ha più
niente di allegro.
Prendo il sacchetto pieno di roba umida e molliccia e me ne vado.
Stavolta mia madre me la paga davvero!
Furibondo attraverso di nuovo tutto il mercato, maledicendo il
momento in cui ho deciso di venirci. Non riesco a tenere tutta la
roba, ogni tanto perdo qualcosa: lo spremi-agrumi mi è caduto un
paio di volte, ma per ‘sfortuna’ non si è rotto. Sarebbe stata la
giusta
penitenza
per
mamma.
Cammino
pensando
incessantemente al modo per vendicarmi. Giungo in prossimità
della rosticceria di Ernesto e mi viene un’idea:
“Ernesto, mi daresti un sacchetto di patatine fritte?”.
“Certo Luca, sono già pronte” dice mentre con la paletta di
alluminio comincia a riempire il sacchetto di carta. Appoggio la
spesa sul marciapiede e tiro fuori il portafoglio; adesso le divoro
come ai vecchi tempi, così faccio impazzire mia madre saltando il
pranzo.
“Abbonda Ernesto”.
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“Te lo riempio fino all’orlo”.
Mi porge un sacchetto di patatine così pieno che traboccano dai
lati; sono talmente tante che mi chiedo se riuscirò a finirle.
“Quant’è?”.
“Due euro”.
“Due euro?!?” ribatto stupito “Ma una volta costavano duecento
lire!”.
“Sì, vent’anni fa forse”.
“Hai ragione. Arrivederci Ernesto” dico mentre mi allontano per
raggiungere il marciapiede. Mi siedo e guardo il sacchetto
stracolmo.
Vendetta, tremenda vendetta!
Ne addento un paio con tanta foga che quasi mi azzanno un dito.
Stavolta mia madre me la paga!
Torno a casa talmente sazio che le patatine mi arrivano
all’epiglottide. Entro in casa e appoggio la spesa sulla sedia con
fare indifferente. La tavola è già apparecchiata:
“Hai preso tutto?” chiede mamma.
“Se intendi la roba che avevi già comprato senza dirmi niente, sì”.
“Ma che bravo, sono proprio contenta che tu sia tornato”.
Papà mi guarda ma non dice nulla. In silenzio attende la mia
risposta che arriva immediatamente:
“A proposito, guarda che non ho fame, mangerò stasera” dico
mentre vado in camera mia. Mia madre mi guarda con occhi di
ghiaccio:
“Come non hai fame? Non avrai mangiato le patatine?”.
Papà comincia a sorridere.
“Certo, ne ho mangiate un sacchetto pieno!” esclamo mentre la
vendetta si compie,
“E adesso prova a dire che non mi dai la paghetta!”.
Mio padre esplode in una fragorosa risata, mentre mi allontano in
un tripudio di applausi immaginari.
Ahhh, che soddisfazione!
Ora sono finalmente contento di essere tornato a casa.
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Quel diavolo di Renzo
Metà pomeriggio.
E’ venuto il momento di andare a trovare gente che abbia meno di
sessantacinque anni.
In poche parole gli amici.
Al mercato stamattina ho salutato tutti i conoscenti in pensione,
ora passiamo a quelli che lavorano ancora, e che a quest’ora
dovrebbero essere tornati a casa.
Mi trovo sotto casa di Renzo, uno dei miei amici più vecchi. La
sua abitazione si trova dall’altra parte di Lassina, vicino alla
stazione. Per arrivarci ho dovuto attraversare solo strade sterrate,
coprendo completamente la Smart di polvere. Ma la campagna è
così; se non riempi la macchina di fango la sporchi di letame,
quindi l’unica soluzione è mettersi l’anima in pace.
Renzo abita da solo ormai da parecchio tempo. Se ne è andato di
casa quando aveva ventidue anni, e ha trovato lavoro in una ditta
di traslochi. Anche lui ha sentito il bisogno di cambiare aria, ma
al contrario di me è rimasto qui, mentre io sono scappato a
Milano.
Ci conosciamo dalle elementari, siamo praticamente cresciuti
insieme. Ho combinato più cazzate con lui che Stanlio e Ollio in
tutti i loro film. Quando eravamo più giovani Lassina era il nostro
campo di battaglia: già allora ci sentivamo come topi chiusi in
gabbia, e per sfogarci ne combinavamo di tutti i colori.
E’ da parecchio che non lo vedo, chissà se ha sempre la solita
faccia da schiaffi. Al telefono ci sentiamo spesso, ma da molto
non ci incontriamo.
Giunto davanti a casa sua guardo dentro il cortile e vedo
parcheggiata la sua moto, un CBR 900 blu scuro. Renzo deve
essere in casa; nelle stagioni calde esce solo con la sua
inseparabile motocicletta, non prende mai la macchina.
Suono il campanello due volte di seguito, esattamente come
facevo quando venivo a trovarlo in piena notte per farmi
riconoscere. Alcuni secondi dopo sento una voce metallica al
citofono:
“Chi è?”.
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“Beh, non mi chiedi la parola d’ordine?”.
Attimi di silenzio…
Anni addietro prima di aprirmi pretendeva che gli dicessi tre
parole magiche che spalancavano il cancelletto. Attendo la sua
reazione:
“Luca?!?” .
“No, Fred Flinston”.
“Cazzo, ma sei proprio tu! Che ci fai a casa?”.
“Ti avevo detto che sarei tornato”.
“Ma non quando! Muoviti, sali”.
“Arrivo”.
“Anzi” si zittisce un attimo “Prima mi devi dire la parola
d’ordine”.
Lascio scorrere delle parole che da troppo tempo non
pronunciavo. Un brivido percorre la mia pelle…
“Pronti, partenza, via”.
Clang! Si apre il cancelletto.
Faccio le scale due alla volta per arrivare nel suo appartamento al
secondo piano. Ogni gradino è un ricordo; sono così tante le
emozioni in questo momento da farmi stringere il cuore in una
leggera morsa di malinconia. Rivedere Renzo mi fa tornare alla
mente quello che di buono ho fatto a Lassina, e che è valso la
pena di essere vissuto. Raggiungo la porta di casa sua mentre si
sta aprendo, ed una figura conosciuta esce in corridoio ad
accogliermi:
“Ciao Pirla!” dice Renzo sfoderando un magnifico sorriso ed
allargando le braccia.
“Come stai?” dico mentre ci stringiamo in un abbraccio.
Immediatamente mi fa entrare.
Il suo appartamento è piccolo e non è diverso rispetto a qualche
anno fa. E’ un bilocale mansardato, tutto concentrato in sessanta
metri quadrati.
Osservo Renzo in mezzo alla stanza e mi accorgo che neppure lui
è cambiato di molto: porta ancora i capelli lunghi neri legati dietro
la testa in una coda di cavallo, pizzetto a punta lungo un paio di
centimetri e orecchino con un teschio sul lobo sinistro. La prima
impressione che dà ad uno sconosciuto non è certo quella di
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essere un bravo ragazzo; la somiglianza con Messer Belzebù (il
diavolo) è davvero impressionante.
Eppure Renzo è buono come il pane.
Sotto l’aspetto demoniaco che gli piace far trasparire si nasconde
un animo buono e giocoso. Per capirlo basta osservare
l’arredamento di casa sua; sotto il televisore troneggia ancora la
Play Station, poggiata su un mobiletto di legno costruito apposta
per lei. Son sicuro che Renzo potrebbe fare a meno perfino del
frigorifero, ma non della Consoll; da quella non riuscirebbe a
separarsi. Qualche tempo fa passava notti intere davanti alla
televisione a giocare, dimenticandosi perfino di mangiare. Non so
se sia ancora così appassionato, ma non mi stupirei se lo fosse.
Di fianco al divano c’è appoggiata la chitarra. Anche lui suona, e
si diverte a storpiare i testi delle canzoni più famose; un po’ come
fanno i Gem Boy, solo che Renzo ha cominciato quando aveva
nove anni.
Nella libreria vicino alla porta del bagno ci sono i libri di Italo
Calvino e di Paulo Coelho, posizionati esattamente come l’ultima
volta che li ho visti. I suoi due scrittori preferiti occupano un
posto di primo piano nella libreria. Se è vero che il carattere di
una persona lo si capisce dai libri che legge, Renzo può essere
definito semplice e filosofico allo stesso tempo.
Apre il frigo per prendere due birre mentre chiede:
“Quando sei arrivato?”.
“Stamattina, strano che mia madre non te l’abbia detto”.
“E’ da parecchio che non la vedo, come sta?” dice mentre si
accomoda su una sedia. Io mi svacco sul divano e apro la lattina
di birra che mi ha offerto.
“Bene, è sempre la solita rompipalle, non cambierà mai”.
“Perché, cosa ha fatto?”.
“Stamattina mi ha costretto ad andare al mercato per salutare tutti
i conoscenti”.
“Noo! Che palle!”.
“E gli ho fatto pure la spesa”.
“Wow, che bel ritorno! A proposito, hai saputo di Michele?”.
“No, cosa è successo, non lo sento da una vita”.
“Ha messo in cinta Veronica, tra tre mesi si sposano”.
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“Cosa?!?”.
“Pazzesco”.
“Dai raccontami tutto, chissà quante me ne sono perse in questi
anni” dico, mentre Renzo attacca con i pettegolezzi del paese. Mi
sento come un vecchio dal parrucchiere, ma la curiosità è così
forte che ascolto ogni parola di Renzo ad orecchie ben aperte.
Ridiamo, scherziamo, ed apriamo altre lattine di birra mente lui
snocciola novità una dietro l’altra.
Accidenti quante cose sono cambiate!
Alcuni conoscenti che reputavo ragazzini ora hanno già una
famiglia, mentre altri sono diventati lavoratori indefessi e portano
a casa stipendi da capogiro.
Ma naturalmente la maggior parte dei nostri amici sono rimasti
contadini ed operai, un po’ come Renzo, che non muove un dito
fuori da Lassina.
“E invece tu cosa mi racconti?” chiede lui cambiando discorso ed
accendendosi una sigaretta.
“Lavoro sempre in radio, spero di rimanerci il più possibile”.
“Non intendevo questo, so già cosa fai per vivere” commenta con
malizia.
“Allora cosa vuoi sapere?” ribatto un po’ stupito.
“E dai…”.
“Cosa?” chiedo con voce indecisa. Renzo si alza e si avvicina alla
porta del bagno.
La spalanca con un gesto volutamente plateale mostrandomi il
calendario appeso a un chiodo:
“Voglio sapere cosa fai con questa, vecchio porco!”.
Oh santo cielo!
Ilaria appesa alla porta dondola nel suo calendario mostrando
completamente il seno.
No! Anche Renzo no!!
“Porca miseria” dico tra il serio e il faceto “Non puoi guardare le
tette della mia ragazza!”.
“Se è per questo non sono solo io che le guardo, te lo assicuro!”.
“Bella gnocca, eh?” dico con un sorriso ammiccante.
“Da paura!” risponde mentre si mette a sfogliare gli altri mesi.
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Racconto a Renzo ogni cosa di me e Ilaria: come ci siamo
conosciuti, quante volte ci sentiamo al giorno e perfino cosa
facciamo a letto! A lui non potrei nascondere nulla.
“Che culo che hai! Come ha fatto una ragazza così a farsi uno
come te non me lo riesco a spiegare”.
“Neanch’io” rispondo sinceramente.
“Ma per un po’ di tempo non la vedrai…”.
“Esatto”.
“Ti prego, dimmi che qualche volta verrà a trovarti in questo
sputo di paese”.
“Lei ha detto di sì, però non credo che lo farà. Ma a te cosa
cambia? Di sicuro se Francesca ti vedrà sbavare su Ilaria te la farà
pagare. A proposito, come va con lei?”.
“Con Francesca? Bene, mi sopporta ormai da sei anni”.
“Accidenti, non è ora di mettere la testa a posto?”.
“Come?!?”.
“Non è ora di crescere?” dico sghignazzando. Renzo è come me,
ha la stessa paura di diventare grande, ed in questo momento lo
sto stuzzicando per bene.
“Ma vaffanculo va!” sbotta ridendo “Proprio da te devo sentire
simili discorsi. Raggiungerò la maturità solo quando la
raggiungerai anche tu, cioè mai!”.
“Ah ah! Bravo, così mi piaci. Anche se non la racconti giusta;
qualche tempo fa mi hai detto che stavate comprando casa”.
“E’ vero, lo ammetto, sono colpevole. Ma verrà pronta solo tra un
anno. E poi chi l’ha detto che quando vivrò con Francesca
diventerò un serio borghese? A lei piaccio così come sono, e farò
di tutto per rimanere tale”.
“Eh già, Francesca ormai si è rassegnata…”.
“Bastardo” dice con un sorriso prima di finire la birra.
“Per quanto resterai a Lassina?” chiede mentre sgranocchia un
grissino.
“Fino a Novembre. Sono qui da neppure un giorno ma sto già
impazzendo”.
“Va beh, ma almeno te ne puoi andare quando vuoi, hai anche una
vita a Milano”.
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“Credi che mi piaccia restare tutto questo tempo in mezzo alla
campagna, anzi, in mezzo al nulla assoluto?”.
“Hai ragione, ma nessuno ti ha obbligato. Guarda me, sono a casa
anch’io, potrei fare quello che voglio ma non so dove andare”
ribatte Renzo.
“Come sei a casa anche tu?” domando incuriosito.
“Non sto lavorando, non lo sapevi?”.
Che grande sorpresa!
“Assolutamente no. Ti sei licenziato?”.
“Ma che dici?! Sono in infortunio”.
“Cosa hai fatto?”.
“Ho avuto uno strappo alla schiena il mese scorso. Stavo
sollevando un armadio per portarlo al terzo piano di un edificio,
quando sono rimasto bloccato. Mi hanno portato al pronto
soccorso dove mi hanno riempito di Voltaren”.
“Porca puttana”.
“Già. Sono stato una notte in ospedale, poi mi hanno rilasciato
con un certificato che richiedeva un mese di riposo assoluto”.
“Quindi non stai facendo niente…”.
“Aspetta, lasciami finire di parlare. Il medico l’altro giorno mi ha
visitato e mi ha prescritto ancora riposo; sai per quanto tempo
stavolta?”.
“Non oso immaginare”.
“Cinque mesi”.
“Cosaaa!?!”.
“Hai capito bene, cinque mesi. Fino ad ottobre sono in vacanza
forzata. Il dottore ha detto che con la schiena non si scherza,
quindi non posso assolutamente lavorare. Il mestiere che faccio
diventa impossibile da praticare”.
“Ma tu come ti senti?”.
“Bene, non ho un cazzo”.
“Bastardo, lo sapevo! Ti farai questi giorni pagato e a spese della
ditta”.
“Ovviamente” esclama Renzo con un sorriso beffardo
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“Sindacalista ruffiano che non sei altro”.
“Hey, vacci piano con le parole; ruffiano sì, ma sindacalista no!”
dice ridendo.
“Aspetta un momento” ribatto facendo per la prima volta il
quadro della situazione, “Vuol dire che entrambi siamo in
vacanza fino ad autunno, senza impegni di nessun genere?”.
“Bravo, ci sei arrivato finalmente” dice ironico.
Cavolo, io e Renzo insieme e liberi come tanti anni fa! Sarà dagli
anni del liceo che non succede una cosa del genere. Le ultime
vacanze con lui le ho fatte in quarta superiore, quando siamo
andati a Ibiza con altri due amici. Come ci siamo divertiti in quel
periodo; eravamo dinamite allo stato puro!
“Ci pensi Luca? Tutto come ai vecchi tempi. Dovremo
organizzarci, trovare qualcosa da fare, oppure intraprendere un
viaggio” .
“Un viaggio? E dove?”.
“Ma che ti importa? Tanto non avremo un cazzo da fare fino al
prossimo autunno”.
“Oh madonna!” esclamo alzandomi dal divano “Questa è proprio
da raccontare”.
In mezzo alla stanza io e Renzo ci scambiamo un cinque che ha
tutto il sapore di un’amicizia ritrovata. Lo guardo sorridere sotto
il pizzetto satanico, mentre penso che sarà bello fare ancora
coppia con lui.
“Chissà cosa dirà Massimo quando lo verrà a sapere” commento
ad alta voce.
“Morirà dall’invidia”.
“Non vedo l’ora di dirglielo” ribatto mentre immagino la sua
faccia rossa di rabbia.
Quel genio di Massi
Appena suoniamo il campanello un cane comincia ad abbaiare in
modo forsennato. E’ da parecchio tempo che non vedo Bubu,
l’alano di Massimo.
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Galoppando come un cavallo si precipita verso di noi, che siamo
vicini al cancelletto in mezzo alla strada. Se non ci fosse il recinto
verremmo travolti dalla sua corsa!
Porca miseria quanto è grande; è semplicemente spaventoso!
Nero, muscoloso, con un muso che scopre denti grandi come i
miei pollici; in piedi potrebbe mettermi tranquillamente le zampe
sulle spalle.
“Oh cazzo!!” esclama Renzo scappando a gambe levate, quando
Bubu è ormai giunto a cinque metri da noi.
Renzo corre veloce come il vento, Bubu ci viene incontro, mentre
io resto fermo ad aspettare l’inevitabile…
SBRAAANG!!!
Bubu si è schiantato contro il cancelletto chiuso come fa tutte le
volte.
Lo osservo rialzarsi con la coda tra le gambe, guaendo per il
dolore. Sarà anche gigantesco, ma è tanto grosso quanto coglione.
Renzo però non lo ha ancora capito ed ogni volta si fa prendere
dal panico. D’altronde ha sempre ammesso di avere paura dei
cani, quindi non posso certo biasimarlo se viene messo in
soggezione da Bubu, che assomiglia più a un rinoceronte.
“Ciao Bubu” dico con rassegnazione mentre apro il cancelletto,
“Come stai?”.
Gli accarezzo la testa con la mano mentre la belva inizia a
scodinzolare. In fondo al giardino vedo giungere una figura
conosciuta; è Massimo a petto nudo con in mano un innaffiatoio
colmo d’acqua.
Appena mi riconosce esplode subito in un grande sorriso:
“Luca! Grandissimo bastardo!Ce ne hai messo di tempo a tornare
da queste parti!”.
“Volevo rivedere la tua brutta faccia!” ribatto mentre ci
stringiamo in un abbraccio.
Massimo è un altro dei miei più grandi amici. Lo conosco da
meno tempo di Renzo, ma il nostro rapporto è altrettanto solido.
Eravamo compagni di classe alle medie; Massimo non abita a
Lassina. In questo momento ci troviamo ad Adea, un paese
confinante fatto di villette con enormi giardini.
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Massimo ha ventinove anni, è alto sul metro e ottanta con capelli
tagliati cortissimi. Inoltre ha un fisico imponente, modellato da
anni di palestra e di combattimenti a base di boxe tailandese. A
petto nudo come si trova adesso fa impressione; se dovesse
tirarmi un pugno mi staccherebbe nettamente la testa dal collo.
Assomiglia molto al suo cane; infatti solo bicipiti del genere
riuscirebbero a portare in giro una bestia come Bubu.
“Ma non doveva venire anche Renzo?” mi chiede.
“E’ rimasto fuori, ha paura di Bubu”.
“Lo immaginavo… Vieni Renzo, lo tengo fermo!!” grida
Massimo in direzione della strada, ed aggiunge: “Ma come si fa
ad avere paura di un cucciolone così? Non farebbe male a una
mosca”.
“Lo so che è buono” ribatto “Ma rimane sempre troppo grande
per non incutere soggezione. Perché poi l’hai chiamato con un
nome così stupido? Ci voleva un nome più altisonante per questo
mostro a quattro zampe!”.
“Ma come? Non vedi che assomiglia un casino a Bubu, l’orsetto
amico di Yoghi nei cartoni animati?” dice prendendo il muso del
cane e facendomelo vedere.
“Guarda che tenerone! Guarda guarda guarda…” continua mentre
strofina il suo naso su quello di Bubu, nero e lucido di bava.
Osservo Massimo in questo atteggiamento di affetto e capisco
perché il cane è così coglione. E’ stato contagiato dal padrone.
Eppure Massimo è una vera forza della natura.
Dotato di un fisico prepotente possiede anche un’intelligenza non
comune, al contrario di quello che si potrebbe credere osservando
i muscoli. Chi è carente di materia grigia di solito tende a
sviluppare il corpo, pareggiando i conti con quello che la natura
gli ha fornito. Chiaramente non è sempre così, ma ho conosciuto
molti amici di Massimo appassionati di Body Building, e non
posso certo dire di avere incontrato dei geni.
Invece Massi è un genio.
Anzi, per essere più precisi, uno scienziato.
Si è laureato a tempo di record in ingegneria, ed ha proseguito gli
studi in un ramo di cui è sempre stato appassionato: la cibernetica.
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Non so nemmeno io cosa voglia dire (mi sembra qualcosa che
studia i robot), però è un bel po’ che fa ricerche su questo
argomento.
A venticinque anni è partito volontario nell’esercito per lavorare
in un centro ricerche cibernetiche, e da poco è tornato a casa.
Anzi, credevo fosse ancora nei laboratori a studiare (che guarda
caso si trovano a Milano) prima che Renzo mi avvertisse del suo
ritorno.
Io e Massimo abitando nella stessa metropoli ci vediamo spesso
durante l’anno, magari anche solo per un pranzo a mezzogiorno;
perciò mi fa una strana impressione incontrarlo qui, nei posti dove
abbiamo passato l’adolescenza. Ho l’impressione di tornare
indietro nel tempo. Il ritorno a Lassina mi sta disorientando, ma
devo ammettere che sono belle sensazioni.
Massi ci fa attraversare l’enorme giardino facendoci entrare in
casa. Ci sediamo intorno al tavolo del soggiorno davanti a tre
Coca Cola. Senza lasciarmi neppure il tempo di aprire la bocca
Massi attacca a parlare di Ilaria, Renzo ovviamente gli dà corda
ed io torno a raccontare di lei e della mia vita da uomo di
‘spettacolo’.
Di solito quando la gente chiede del mio lavoro, porta sempre una
sorta di ‘rispetto’ nei miei confronti; non so come spiegare,
sembra che siano intimiditi da quello che faccio, e da tutte le
responsabilità che devo sostenere. Parlano piano, soppesano ogni
mia parola, e non mancano di aggiungere nelle frasi diversi
‘ohhh’ - ‘davverooo?’ ed esclamazioni di stupore varie.
Diciamo che mi considerano ad un livello superiore, un gradino
sopra la vita normale, pensando erroneamente che io possieda
qualche rara qualità.
Renzo e Massi non fanno niente di tutto questo.
Li osservo ridere di gusto ai miei racconti, prendendomi in giro
spietatamente, senza dare peso a quello che sono diventato. Ecco
che si danno una sonora pacca sulla spalla sganasciandosi per una
battuta ben riuscita, mentre io rido con loro.
Questo è un altro dei momenti in cui sono contento di essere
tornato a casa.
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Massimo e Renzo sono talmente opposti fisicamente quanto
uguali caratterialmente.
Sono rimasti due eterni bambini, con una voglia sconfinata di
divertirsi sempre e comunque, nonostante l’età non sia più quella
della spensieratezza. Con me facciamo un trio di Peter Pan che
non ha nessuna intenzione di lasciare l’Isola che non c’è.
Massi oltretutto è un paradosso clamoroso; la sua mente
matematica e razionale è in netto contrasto con la personalità
spensierata che lascia trasparire quando è con noi.
Anche lui faceva parte della compagnia che fino a pochi anni fa
metteva a soqquadro Lassina, seminando l’ira e il panico dei
tranquilli paesani.
Insieme eravamo pura dinamite!
Il carburo
E proprio di esplosivi cominciamo a parlare dopo circa mezz’ora
di conversazione, quando cioè iniziamo a ricordare le cazzate che
facevamo un tempo.
“…e ti ricordi quando abbiamo distrutto la cascina dei Visconti
col carburo?” esclama Massi scoppiando a ridere.
“Porca miseria se mi ricordo” continua Renzo “ Quella è stata una
delle poche volte dove mio padre si è incazzato davvero!”.
“E non solo tuo padre” insisto io, “Tutto il paese voleva la nostra
pelle”.
Meno male che eravamo ancora piccoli e la cascina doveva essere
smantellata comunque, altrimenti non so come sarebbe andata a
finire.
Avevamo quattordici anni ed era il nostro periodo pirotecnico: ci
piaceva tutto ciò che esplodeva e faceva rumore. Petardi,
miccette, raudi e composti di polverine varie che mischiavamo
per ottenere un effetto più assordante al momento dell’esplosione.
Quella volta eravamo andati nei campi a sud di Lassina, dove
c’erano i terreni Visconti; in mezzo ad un grande prato verde
sorgeva la cascina, non più abitata dai tempi della seconda guerra
mondiale. I ragazzini come noi ci andavano spesso a giocare,
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perché era un posto tranquillo e lontano dai noiosi adulti che
vietavano tutto.
Ricordo che io Renzo e Massi avevamo portato con noi diversi
sacchetti contenenti le magiche polverine esplosive e una cassetta
di legno.
Massimo, che già allora aveva una mente più matematica della
nostra, ci aveva spiegato che mischiando del carbone con altre
sostanze (di cui non ricordo il nome), si poteva ottenere un botto
molto più potente dei soliti petardi.
Renzo ed io ovviamente non ci siamo fatti pregare, e siamo corsi
con lui nell’unico posto in cui potevamo fare l’esperimento del
tutto indisturbati; la cascina Visconti.
Giunti alla grande casa di legno e pietre abbiamo appoggiato a
terra la roba e mentre Massi preparava la miscela, noi abbiamo
scavato un buco nel terreno. Il nostro amico ci aveva spiegato che
in questo modo l’effetto sarebbe stato più spettacolare, perché la
terra sarebbe esplosa per aria come un vulcano in eruzione.
Mamma mia che figata! Non vedevamo l’ora di mettere in pratica
la nostra idea. Ricordo i sorrisi divertiti sulle nostre labbra,
consapevoli che stavamo per vivere
un’altra incredibile
avventura.
Per farla breve ci siamo allontanati di parecchi metri dalla
cascina, dopo avere sepolto nella buca la cassetta contenente
l’esplosivo. Abbiamo lasciato dietro di noi una scia di benzina
che giungeva fino all’interno della cassetta di legno. La benzina
l’avevo rubata a mio padre, che la teneva in una tanica per fare il
pieno al Garelli.
Ci siamo sdraiati tutti e tre sul prato e dopo qualche secondo
Renzo ha tirato fuori una scatola di Minerva; ne ha acceso uno e
ci ha guardato con aria cospiratrice.
Subito io e Massi abbiamo pronunciato all’unisono le parole che
Renzo si aspettava di sentire:
“Pronti, partenza… via!” e lo ha lanciato sulla benzina.
Immediatamente questa ha preso fuoco correndo velocemente
verso la buca.
“Adesso sentirete che botto” ci ha detto Massi tutto contento.
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Ad un tratto abbiamo visto la fiamma sparire sotto terra, come
spenta da dei pompieri invisibili. Eppure sono passati numerosi
secondi senza che accadesse nulla.
Ricordo di essermi girato verso Massimo e di avergli detto con
voce perplessa:
“Beh? Non scoppia?”.
Neppure il tempo di finire la frase e un botto assurdo ci ha
stordito i timpani.
La terra è esplosa verso l’alto di una quindicina di metri.
Fuoco e detriti hanno coperto una parte di cielo davanti a noi.
Il rumore è stato così forte che dallo spavento tutti e tre abbiamo
smesso di respirare.
Sembrava un enorme Gayser, dove al posto del vapore usciva la
lava.
Ricordo le prime parole che Massi è riuscito a pronunciare,
completamente stordito dall’effetto che la sua creazione aveva
ottenuto:
“Minchia…”.
Immediatamente ci siamo accorti che una parte di fuoco era
riuscita ad attaccare la parete di legno della cascina. Che idioti
siamo stati! Abbiamo fatto scoppiare il carburo a pochi metri
dalla casa. Ma chi se lo immaginava che l’esplosione sarebbe
stata così violenta?!?
“Cazzo brucia tutto!” ha esclamato Renzo in preda al panico.
Ci siamo precipitati vicino alla cascina per cercare di fare
qualcosa, ma il fuoco aveva attaccato il tetto e non c’era nessun
modo per spegnerlo. Abbiamo girato intorno alla costruzione
cercando un’improbabile soluzione al disastro, consapevoli che
stavolta l’avevamo proprio fatta grossa.
Quando un pezzo di tetto ci è quasi caduto addosso siamo corsi
via scappando come degli ossessi verso il paese:
“Aiutooo!!!”.
Dopo circa mezz’ora eravamo di ritorno con i vigili urbani,
insieme a una folla di curiosi che si era radunata per vedere cosa
era successo. Poco dopo sono arrivati anche i pompieri, ma non
c’era più molto da spegnere. La cascina, fatta quasi interamente di
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legno, era bruciata completamente lasciando al suo posto solo
delle braci ardenti.
Tutti i paesani ci guardavano come se fossimo pazzi assassini.
Ricordo che ci hanno portato in caserma con i nostri genitori,
dove ci hanno detto che non ci avrebbero messo in galera solo
perché eravamo minorenni.
Non mi sono mai vergognato così tanto come in quei momenti!
Mi sentivo un verme.
Anche se alla fine il capo dei vigili ha concluso dicendo:
“Comunque vi è andata bene perché la cascina Visconti era da
demolire, e ci avete fatto pure risparmiare i soldi che il comune
avrebbe speso per farlo”.
La sua era ovviamente una battuta per sdrammatizzare, ma io ho
guardato mia madre con un’espressione che stava a significare:
“Hai visto? Tutto sommato ho fatto qualcosa di buono”.
Come risposta ho ottenuto un sonoro ceffone e l’obbligo di non
uscire di casa per un mese.
Ed ora, dopo tutto questo tempo, mi ritrovo con gli stessi amici a
riderci sopra. Abbiamo circa il doppio di quegli anni e sui nostri
volti sono rimasti impressi i segni del tempo; non siamo vecchi
ovviamente, ma i ragazzini di allora sono scomparsi. Almeno
fisicamente. Sono sicuro infatti che in fondo al nostro cuore non
siamo mai cresciuti, e facciamo di tutto per restare piccoli dentro.
“A proposito” esclamo all’improvviso “Mi è venuta in mente una
cosa che volevo chiederti: Massi, ma che ci fai a casa?!?”.
Vedo un sorriso complice nascere dalle labbra di Renzo.
Massi risponde scuotendo la testa in segno di approvazione.
“Beh?” chiedo incuriosito “Che c’avete voi due?”.
“Sono a casa fino a Gennaio” risponde Massi.
“Come fino a Gennaio?!” ribatto stupito.
“Ho finito qualche settimana fa la Naia” inizia a spiegare “Come
ben sai il mio non era ancora un lavoro, ma solo una ferma
prolungata nell’esercito. Adesso mi hanno assunto con un
regolare contratto, e sto aspettando di sapere la destinazione, che
al novanta per cento sarà al centro ricerche cibernetiche di Roma.
Ma fino a Gennaio devo rimanere in attesa della comunicazione;
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la burocrazia italiana è lenta dappertutto… Comunque fino ad
allora sono a casa in ferie forzate”.
“Anche tu!” esclamo ad alta voce.
“Sì, anche lui” continua Renzo, che a quanto pare già sapeva tutto
“Quindi siamo a casa tutti e tre a fare un cazzo per sei mesi”.
“Mondiale!” ribatto mentre ancora fatico a realizzare cosa sta
succedendo.
“Ancora insieme come ai vecchi tempi!” commenta Massi.
“Questa è proprio bella!” continuo io “Noi a Lassina liberi di fare
quello che vogliamo, senza impegni lavorativi o scolastici.
Quando lo saprà mia madre le verrà un infarto”.
“Qui bisogna brindare” dice Massi mentre si alza e va in cucina.
Dopo pochi minuti al posto della Coca Cola sul tavolo ci sono tre
bottiglie di birra doppio malto da un litro, bevanda decisamente
più consona alla nostra personalità.
Stupendo!
Lassina mi sta sorprendendo. Speriamo che tutto continui in
questo modo.
“A proposito, quella del carburo è stata una delle poche volte
dove eravamo in tre” commenta Renzo mentre sorseggia la birra.
“Già” rispondo io.
“Tutte le nostre cazzate le abbiamo sempre fatte in quattro”
commenta Massi “Sei già andato a trovare il quarto elemento?”
mi chiede in tono malizioso.
“Non ancora” rispondo “Dammi il tempo!”.
“Ok” ribatte Renzo con fare deciso “Allora stasera andiamo al
Bar. Ci troviamo lì alle nove e mezza, va bene?”.
“D’accordo…” concludo alzando la bottiglia e brindando al
nostro nuovo e inaspettato incontro.
Bar Lassina
Macchine ferme nel grande posteggio di ghiaia.
Musica ad alto volume che esce dalle finestre.
Luci che illuminano la strada come se fosse giorno, e un gran
ciarlare di persone all’interno della costruzione. Anche da cento
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metri di distanza si riesce a leggere chiaramente l’insegna: ‘Bar
Lassina’, l’unico locale degno di questo nome nel raggio di venti
chilometri.
Numerosi tavolini occupano il cortile intorno all’ingresso
principale, dove decine di ragazzi sono seduti all’aperto per
chiacchierare e sorseggiare qualche birra.
Un piccolo laghetto poco profondo si trova a qualche metro dal
locale. D’estate i tavolini vengono spostati nelle sue vicinanze, e
quando fa veramente caldo si può fare anche il bagno. L’acqua è
pulita e dà un’atmosfera di oasi felice al locale e a i suoi dintorni.
Io Renzo e Massi ci avviciniamo all’entrata; non ricordo
nemmeno l’ultima volta che sono venuto qui, è passato tanto
tempo. Rivedere questo posto mi dà delle strane vibrazioni; passo
dopo passo avverto un nodo allo stomaco che diventa sempre più
forte.
‘Bar Lassina’ è il posto di ritrovo più importante per tutti i
giovani della zona. D’estate poi si riempie talmente tanto di
motorini e di macchine che sembra di essere nel bar di una
spiaggia a Riccione.
Riconosco immediatamente alcuni volti su delle sedie in
penombra. Noto che un ragazzo di questi, con in mano un grosso
boccale di birra, aguzza la vista nella mia direzione. Accanto a lui
siede una ragazza; non posso sbagliarmi, si tratta di Silvia.
Entrambi con un’espressione un po’ stupita esclamano ad alta
voce:
“Ma tu sei Luca!” si alzano in piedi e mi raggiungono con passo
veloce.
“Ciao Silvietta”. Saluto prima le donne, come fa un vero
cavaliere. Lei mi dà due baci sulla guancia mentre il suo ragazzo
commenta divertito:
“Allora ci sei ancora, credevamo fossi morto”.
“Tiè!” rispondo mostrandogli le corna, ma abbracciandolo subito
dopo con una stretta poderosa.
Silvia è stata la mia ragazza tanto tempo fa, ce la siamo proprio
spassata insieme. Ricordo che ci frequentavamo ai tempi in cui la
canzone di Carboni ‘Silvia lo sai’ spopolava per radio. Ce ne
hanno dette di tutti i colori: la frase del ritornello ‘…lo sai che
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Luca si buca ancora…’ l’avrò sentita un milione di volte. Anche il
suo ragazzo attuale si chiama Luca. Silvia deve essere proprio
masochista se si mette sempre con uomini che si chiamano così!
Comunque nel giro di pochi minuti sono circondato da ragazzi
che mi vogliono salutare: alcuni sono amici, altri semplici
conoscenti che sono incuriositi dal mio ritorno.
Ci sono proprio tutti: Jimmy, Marco, le gemelle Fumagalli,
Cavallo con il suo immancabile sigaro cubano, Ronny insieme a
Daniela (ora diventata sua moglie) e Francy sempre magro come
un chiodo. E poi Lele, Lucia, Teo con il suo inseparabile cane
Fegato (chiamato così perché alcolizzato come il padrone) e Zanzi
con in mano un immenso boccale di birra.
Arriva anche Francesca, la ragazza di Renzo, che mi abbraccia
calorosamente:
“Bentornato” dice dandomi un bacio sulla guancia. Porta lunghi
riccioli castani che le cadono sulle spalle. I suoi occhi verdi sono
davvero felici di vedermi. Francesca è il contrario di Renzo;
calma, equilibrata e con la testa sulle spalle. Una vera donna
matura insomma. Mi chiedo come sia possibile che possa stare
con uno come Renzo. E’ proprio vero che gli opposti si
attraggono.
Ed infine giungono Sergio, Chiara, Matteo, Chicca…
Stringo decine di mani nel giro di pochi minuti, mentre vedo che
Renzo e Massi entrano nel locale senza di me. Riesco a liberarmi
a fatica da tutti i conoscenti e mi avvio con passo veloce verso
l’ingresso del locale; varco la soglia e immediatamente sento un
grosso ‘Oleee!!’ pronunciato all’unisono da tutti gli allibratori del
bar. Renzo, seduto su di uno sgabello davanti al bancone, ha
diretto questo allegro coro di benvenuto, e immediatamente vengo
circondato da nuove persone che mi vogliono salutare.
Che piacere essere al centro di tutte queste attenzioni! Certo che
la notorietà fa miracoli… Se fossi rimasto qui invece di emigrare
a Milano chissà se avrei mai ricevuto un comitato di accoglienza
come questo!
Il Bar Lassina all’interno è molto grande, circa trecento metri
quadrati. Le pareti sono interamente rivestite di legno, e dei
cartelli stradali sono appesi dappertutto, anche sul soffitto. Ci
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sono targhe automobilistiche dei più svariati Stati inchiodate nel
legno, ed un’enorme bancone a L troneggia su tutta la zona
centrale del locale. In fondo alla costruzione, divisa da due
colonne in cemento, ci sono i tavoli da biliardo ed un calcetto;
praticamente questi ultimi sono sempre prenotati e bisogna fare
diverse ore di attesa prima di poter giocare.
Tutto il salone è illuminato a giorno da delle lampade tipo
Vecchio West appese al soffitto, e tre televisori sono disposti
negli angoli più visibili del locale. Quando trasmettono una partita
della Juve questo posto si riempie talmente tanto che si fatica
persino ad entrare.
Lungo il bancone ci sono dieci diversi tipi di erogatori di birra:
Guinnes alla spina, Tennez, Slalom, Martins, Becks… non manca
proprio niente! In un certo senso ‘Bar Lassina’ è il paese dei
balocchi per la maggior parte dei ragazzi che abitano nella
Brianza. Qui si può bere qualcosa di fresco in santa pace, stare
insieme, giocare, e fare conoscenze in tutta tranquillità.
Appena finisco di salutare gli amici, vedo una ragazza uscire dalla
cucina e puntare nella mia direzione; la riconosco all’istante, è
Giulia, la proprietaria del bar.
E’ una mia coscritta e l’unica parola che mi viene per descriverla
è ‘strepitosa’.
Alta, capelli lunghi neri che le arrivano fino al sedere, fisico
slanciato messo in evidenza da una camminata sicura e decisa.
Indossa una maglietta aderente e dei jeans trasandati, coperti da
una mantella bianca sporca di olio e salsine varie. Siccome sta
lavorando in cucina è normale che sia in queste condizioni, ma
Giulia riesce a essere affascinante lo stesso. Son sicuro che
sarebbe in grado di eccitare un uomo anche con la giacca a vento,
gli sci in spalla, e una sciarpa legata intorno al collo che le
nasconde completamente la faccia.
Si avvicina con un luminoso sorriso sulle labbra. I suoi occhi
scuri mi guardano ridendo mentre mi abbraccia pronunciando ad
alta voce il mio nome:
“Luca Nudo! Allora non ti sei dimenticato degli amici?”.
“No, e neppure delle amiche! Ciao Giulia, sei sempre splendida”.
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Osservo il suo viso allegro e la pelle candida come la neve. I
lineamenti sono lisci e perfetti, ma lasciano trasparire decisione e
concretezza, elementi tipici del suo carattere.
Giulia infatti è tanto bella quanto cazzuta.
Ha sia la mentalità che il modo di fare tipico di un uomo; e
d’altronde ci vogliono questi attributi per gestire un locale come
‘Bar Lassina’.
Giulia con tutti i ragazzi si mette alla pari; non c’è mai stato
nessuno che sia riuscito a metterle i piedi in testa.
Mi dà un bacio sulla guancia, e così sento le sue labbra carnose
affondare nella mia pelle.
“Quando sei tornato?” mi chiede.
“Stamattina”.
“E hai aspettato fino ad adesso per venire qui? Bastardo!” mi tira
un amichevole pugno sulla spalla.
“Pensa che prima ho dovuto salutare tutte le vecchiette del paese”.
“E poi sei andato da Massi e Renzo, immagino. Cos’è, la
compagnia si sta riformando? Devo aspettarmi nuovi disastri a
Lassina?”.
“Può darsi” dico ridendo “A proposito di compagnia, stasera sta
lavorando?”.
Non faccio nessun nome, abbiamo capito entrambi di chi sto
parlando…
“Allora volete davvero riunirvi tutti e quattro come una volta?”
ribatte Giulia con voce maliziosa “Si trova dietro al bancone, sta
preparando i Cocktails”.
Il quarto elemento
“Grazie” le dico allontanandomi. Giulia mi lancia uno sguardo
ambiguo che ha tutta l’aria di essere un avvertimento.
Probabilmente vuole che vada con i piedi di piombo.
Giro intorno al bancone e vado a sedermi su di uno sgabello
libero, Renzo e Massi si avvicinano mettendosi di fianco a me.
Circa alla distanza di un metro sulla mia destra, girata di spalle,
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c’è la persona che cercavo, il quarto elemento, che sta asciugando
dei bicchieri prima di metterli sullo scaffale.
Renzo mi dà una pacca sulle spalle ed alza il pollice per
incoraggiarmi.
Massi attende che cominci a parlare.
“Ciao…” pronuncio a mezza voce un po’ intimidito.
La figura a cui ho rivolto il saluto si volta fissandomi con occhi
neri come la notte.
Rimango per un attimo disorientato.
Davanti a me c’è la sorella di Giulia, anche lei proprietaria per
metà del locale. Avverto un piccolo tuffo al cuore nel rivederla
dopo tutto questo tempo.
All’improvviso tutte le parole che mi ero preparato, tutti i discorsi
che avevo pensato mi muoiono in bocca.
Non riesco più a dire niente davanti allo sguardo magnetico di
Claudia.
Eppure lei fredda come il ghiaccio mi chiede:
“Che cosa vuoi? Perché sei tornato?”.
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6
Io di risposte non ne ho
mai avute e mai ne avrò
Di domande ne ho quante ne vuoi
Max Pezzali
Al completo
“Sto bene grazie, e tu come stai?” rispondo ironicamente alla
domanda di Claudia.
Lei sostiene il mio sguardo chiudendosi in un silenzio pericoloso,
che ha tutta l’aria di anticipare una tempesta.
Guardo Claudia dalla testa ai piedi e mi accorgo che su di lei non
si sono fermati i segni del tempo. Non la vedo da quasi cinque
anni eppure non è cambiata di una virgola. E come sua sorella è
bellissima.
Fisicamente si assomigliano parecchio; anche lei è molto alta e
slanciata, con tutte le curve al posto giusto.
Insomma, quasi tutte…
Se vogliamo fare i precisi non ha molto seno, e questo forse è
l’unico difetto che possiede. Ma ha un sedere che, mamma mia,
sembra un violino intagliato da Stradivari in persona!
Ha i capelli neri e spettinati, che le fanno cadere delle ciocche sul
viso, dandole un aspetto trasandato che la rende ancora più
affascinante. Non sono lunghi, arrivano appena sopra le spalle,
ma le permettono di raccoglierli in un piccolo codino dietro la
nuca.
Il volto è dolce e armonioso, colorato da una pelle chiara che lo
rende ancora più perfetto.
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Gli occhi sono di un nero straordinario e contrastano parecchio
con la pelle candida da cui sono contornati.
Il naso è piccolo e preciso.
Claudia indossa una maglietta senza maniche verde, con la scritta
‘Levis’ sul petto.
La “elle” e la “esse” sono leggermente tondeggianti, gonfiate dal
seno che cercano di coprire. Tra la maglietta e i Jeans ci sono una
decina di centimetri di pancia nuda che lascia intravedere
l’ombelico, mentre i pantaloni sono allacciati così in basso da
lasciare scoperto l’elastico delle mutandine.
Lo sguardo che mi sta lanciando è carico di rancore e
risentimento; le labbra sono chiuse in un’espressione minacciosa.
Come quelle di sua sorella sono carnose (non come quelle di
Angelina Jolie, s’intende, ma ci siamo vicini).
Claudia, insieme a me Renzo e Massimo, fa parte del quartetto
che furoreggiava per Lassina fino a qualche anno fa.
Ora la banda è al completo.
Temevo che non sarebbe stata contenta del mio ritorno, e le
previsioni si sono rivelate esatte.
Claudia
Tra i membri del gruppo che formiamo, Claudia è quella che
conosco da più tempo; non mi ricordo nemmeno da quanto, forse
da sempre.
E’ minore un anno di Giulia, quindi ha ventotto anni, gli ultimi
cinque dei quali vissuti senza di me. Dico così perché ogni
momento della nostra vita prima della mia partenza lo abbiamo
passato insieme.
Io e Claudia abbiamo frequentato le stesse scuole, asilo compreso;
siamo sempre stati inseparabili. Posso dire che è la mia migliore
amica, il mio migliore amico, mia sorella e mia madre
contemporaneamente. Siamo stati compagni alle attività
integrative tantissimi anni, e ogni lavoro che assegnavano le
maestre da fare in gruppo, lo svolgevamo insieme. Ricordo
quando avevamo il compito di disegnare su un grande foglio di
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due metri quadrati, l’Italia divisa tra i Longobardi e i Bizantini. I
Longobardi li dipingevo io in giallo, i Bizantini li dipingeva
Claudia in verde.
Alla fine della lezione eravamo dipinti noi dalla testa ai piedi!
Avevamo cominciato a fare la guerra coi colori. Sembravamo
delle banane che camminavano per l’aula (un po’ acerbe
aggiungerei, visto che c’era anche il verde). Avevamo più o meno
nove anni, ma quanto ci eravamo divertiti!
Io e Claudia ci prendevamo sempre a botte, era il nostro
passatempo preferito. La fisicità che c’era fra noi due non era
imbarazzante, anzi. Di solito un rapporto del genere si sviluppa
fra due maschi, non fra un bambino e una bambina; ma noi non ci
abbiamo mai fatto caso.
Scherzare e fare disastri era all’ordine del giorno. Io e lei siamo
stati i primi due membri del quartetto, completato poi da Massi e
Renzo, che rivoltava Lassina come un guanto.
Ricordo come fosse ieri uno dei primi guai che abbiamo
combinato, uno di quelli veri, di quelli grossi!
C’era la festa del paese quel giorno, e noi eravamo due allegri
bambini di undici anni che scorazzavano nel Parco delle Querce,
assieme ad altri cento coetanei.
La manifestazione annuale di Lassina si svolge per le vie del
centro, con sfilate e carri costruiti dai vari rioni che ne fanno
parte. Ce ne sono otto, ognuno contrassegnato da una bandiera
diversa. Per questa festa tutto il paese è in fermento fin dal mese
prima; i negozi restano aperti fino a mezzanotte, il comune piazza
dei tavoli in mezzo alla strada Provinciale, e si improvvisano
ristoranti che preparano le più svariate specialità brianzole.
Vengono organizzate gare di bocce, corse coi sacchi, corse con gli
asini, tiro alla fune e c’è musica dal vivo tutte le sere.
La sfilata che si svolge per le vie cittadine ha come punto di
arrivo il Parco delle Querce, dove ci sono altri stand e un enorme
pista da ballo, in cui tutti si possono cimentare a passi di Liscio e
Mazurka. Il parco si trova in collina, e ha la possibilità di ospitare
migliaia di persone; infatti la festa di Lassina attira anche i
cittadini di altri paesi, cosicché in quei giorni c’è una confusione
tale da fare invidia ad una metropoli.
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Di conseguenza adoro questa festa.
Il caos è sempre stato l’ingrediente necessario per farmi divertire
come si deve.
Ricordo che quell’anno il comune aveva preso a noleggio una
vettura d’altri tempi, da mettere in mostra in uno Stand in cima
alla collina del parco.
Era una magnifica Isotta Fraschini rossa.
Le dimensioni di quell’auto erano straordinarie; era grande come
tre Smart incollate fra di loro, ma con le ruote molto più grosse.
La carrozzeria era tutta curve, tanto da farla sembrare la carrozza
di cenerentola nel film della Disney; ovviamente noi bambini
eravamo esterefatti!
Io e Claudia giravamo intorno alla macchina osservandola come
se avessimo davanti il paese dei balocchi. Era recintata da dei
paletti di legno che impedivano di avvicinarsi, ma io e lei
avevamo già escogitato un piano strategico. Appena ci fosse stato
un momento di calma, e la gente intorno a noi se ne fosse andata,
saremmo sgattaiolati nel recinto per salire a bordo dell’imponente
vettura. Avevamo troppa voglia di vedere come era dentro!
Nessuno ci avrebbe fermato. Quando io e lei ci mettevamo in
testa una cosa la facevamo a tutti i costi.
Ricordo che dopo qualche minuto Claudia mi ha detto con voce
eccitata:
“Pronti, partenza… via!” mentre entrava nel recinto correndo
verso la macchina.
Io non me lo sono fatto dire due volte.
Abbiamo aperto la portiera e siamo entrati di soppiatto, sedendoci
sugli enormi sedili in pelle marrone.
Com’erano grandi! Mi sembra ancora di sentire il profumo di
quella vettura, vecchio e stantio, come se giungesse da un tempo
lontano.
Claudia si è messa al posto di guida, con la testa che le sbucava
appena dal parabrezza. Subito ha afferrato l’enorme volante
facendo finta di guidare:
“Brumm brumm!! Guarda come vado veloce!” mi ha detto con
voce allegra.
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“Siamo primi, yuuhuu, non farti superare!” ho esclamato di
rimando.
Claudia più che una bambina era un maschiaccio.
Non portava i capelli come adesso, ma un po’ più corti e di colore
nero come gli occhi. Il fisico non si era ancora sviluppato, perciò
sembrava a tutti gli effetti un bambino.
Indossavamo entrambi dei pantaloni corti e una maglietta. Niente
in lei le dava un aspetto femminile; non un fermacapelli, non un
orecchino. Solo il viso tradiva la sua vera natura, perché già allora
era armonioso e limpido, primo indizio della bellezza che sarebbe
esplosa qualche anno dopo.
Claudia era talmente presa dal nuovo gioco che sembrava
Nuvolari sulla pista di Monza. Io le dicevo di stare attenta alle
curve, e di non farsi sorpassare dalle macchine che giungevano a
folle velocità dietro di noi (naturalmente tutte nella nostra
fantasia).
Ad un tratto il disastro.
Claudia afferra il freno a mano e lo toglie!
Non sapevamo neppure cos’era, per noi era una leva come tutte le
altre.
Un vero guaio
Sta di fatto che l’auto era in discesa, e ha cominciato lentamente a
muoversi; prima impercettibilmente, poi acquistando sempre più
velocità. Come ho spiegato in precedenza il parco delle Querce si
trova in collina, e noi eravamo sulla strada che scendeva giù fino
in paese.
Ad un tratto l’auto va a sbattere sui paletti di recinzione
buttandoli a terra.
“Che succede?” mi chiede interrompendo di botto il gioco.
“Si sta muovendo” rispondo cominciando ad agitarmi.
Intorno a noi non c’era nessuno; sfortunatamente saranno stati gli
unici minuti in cui la macchina non ha attirato visitatori.
“Come si ferma?” chiede toccando i tasti sul cruscotto.
“Non lo so!”.
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La vettura aumenta di velocità, comincia ad andare a passo
d’uomo.
“Chiediamo aiuto” propongo
“Ma così scoprono che siamo saliti!”.
“Hai ragione” ho risposto, anteponendo le sgridate che ci
saremmo presi al fatto che potevamo distruggere la macchina e
farci male sul serio.
“Ma dobbiamo fare qualcosa!” ha detto Claudia in agitazione.
“Tieni le mani sul volante!”.
“Sì, scusa”.
L’auto va sempre più forte. La discesa comincia ad aumentare ma
ancora nessuno ci vede.
Io, forse in un lampo di lucidità, capisco qual è l’unica cosa giusta
da fare:
“Aiutooo!!”
“AIUTOOO!!” grida anche lei immediatamente.
Subito dei paesani si voltano verso di noi. Appena comprendono
quello che sta accadendo cominciano a correre verso
l’automobile. Giungono in cinque, alcuni si attaccano alla
portiera, altri agli specchietti retrovisori cercando di fermarla.
“Aiutooo!!” continuiamo a gridare io e Claudia.
Ma l’Isotta Fraschini non accenna a diminuire la velocità. Gli
uomini venuti in nostro soccorso non riescono a farla rallentare.
Ormai corrono accanto a noi, mentre tutta la gente sulla discesa si
è fermata a guardare.
E le persone intorno sono veramente tante! Come ho detto in
precedenza la festa del paese attira migliaia di curiosi, per cui
siamo praticamente circondati da metà popolazione Brianzola.
Ormai stiamo seminando i soccorritori. Io e Claudia ci
attacchiamo ai finestrini delle portiere continuando a gridare
aiuto. Uno degli uomini che si era attaccato allo specchietto
retrovisore, ci grida qualcosa, mentre perde terreno correndo
dietro alla macchina:
“Il freno a manooo!”.
“Cosa?” chiediamo io e Claudia di rimando
“Il freno a mano, tirate il freno a manooo!!”.
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“Ha detto di tirare il freno a mano” le dico mentre mi giro sul
sedile.
“Sì, ma qual è?!” risponde, mentre dal parabrezza vediamo gente
che si butta ai lati della strada, per non venire travolta dall’Isotta
lanciata a gran velocità.
“E’ questa leva” concludo all’improvviso “Quando siamo saliti
era alzata”. E senza perdere un attimo la tiro di nuovo, aiutato da
Claudia, con uno sforzo disumano a quattro mani.
Immediatamente le ruote posteriori si bloccano.
Le gomme stridono sul terreno che non è di asfalto, ma di ghiaia e
ciottoli come quasi tutte le strade di Lassina.
La macchina comincia a sterzare di lato, lentamente, finché ci
troviamo lanciati in discesa a quarantacinque gradi rispetto alla
strada.
SCHREEEK!!! Fanno le ruote in un grido di sofferenza.
Tiriamo dritti alla curva della provinciale finendo direttamente nei
campi aperti.
La gente ci corre dietro disperata.
Io e Claudia dal finestrino vediamo avvicinarsi un grosso covone
di fieno.
“Ci andremo a sbattere!!”
Il covone diventa sempre più grande, sempre più grande…
“OooH!!!”.
SBAAAM!!
Lo prendiamo in pieno con il lato destro della macchina.
Che botta ragazzi!
L’auto viene mezza sepolta dal fieno che le cade addosso.
Dopo qualche minuto giungono le voci dei paesani che si
avvicinano. Il primo soccorritore che spalanca la porta ci vede
accartocciati in un groviglio di gambe e braccia, sul tappetino del
sedile passeggeri.
“State bene!?” domanda in apprensione.
Io e Claudia ci guardiamo un istante, con la faccia di chi è appena
tornato dalla Luna… e cominciamo a piangere!
“Buaaah!!!”.
Subito ci tirano fuori dall’Isotta e ci sommergono di cure.
Non ci eravamo fatti niente. Solo un grande spavento.
72
Mia madre appena mi ha raggiunto si è fatta in quattro per
coccolarmi, dopodichè mi ha riempito di sberle sul coppino fino a
casa.
Il giorno dopo il sindaco in persona è venuto ad accertarsi delle
mie condizioni. Ha detto che non è stata colpa nostra, ma del
Comitato manifestazioni che ha posizionato l’auto in una zona
pericolosa in discesa.
Da quanto ne so l’assicurazione non ha ancora pagato i danni per
la riparazione dell’Isotta; il comune è stato costretto ad anticipare
la cifra, che ovviamente è stata esorbitante!
Quante ne abbiamo combinate io e Claudia!
Amicizia
Con il passare degli anni la nostra amicizia non è affatto scemata.
Forse è cambiato il modo di affrontarla, ma di certo non è
diminuita di intensità.
E così, da due bambini che eravamo, siamo cresciuti e diventati
adulti.
Siamo passati attraverso numerose compagnie, la più importante
delle quali formata dal mitico quartetto con Massi e Renzo.
All’inizio i due fenomeni trovavano strano che in mezzo a noi ci
fosse una ragazza. La sua presenza creava una certa malizia nei
comportamenti.
Sia Renzo che Massi ci hanno messo un po’ a estrapolare la sua
femminilità, e vederla principalmente come un’amica. Entrambi
tradivano sempre la speranza, con una battuta o con un
atteggiamento, di poter concludere qualcosa con lei, anche se lo
hanno sempre negato.
Questo perché l’amicizia tra un ragazzo e una ragazza è rara come
un quadrifoglio.
Non li ho mai biasimati per questo, anzi, capivo perfettamente le
loro difficoltà; anche perchè Claudia non ha mai fatto nulla per
nascondere la sua femminilità. Ci ha sempre considerato come
suoi pari e pretendeva di essere trattata in egual misura.
Non si è mai vergognata di noi.
73
Tutte le vacanze che abbiamo fatto insieme le ha passate in stanza
con noi, si è cambiata con noi (ovviamente non del tutto), e ha
dormito nello stesso letto dove abbiamo dormito noi.
E questo per qualsiasi ragazzo che si rispetti è una notevole
provocazione!
Però ha bevuto anche con noi, si è ubriacata con noi, ha fumato
con noi, e ha preso parte a tutte le goliardate che i ragazzi fanno e
che generalmente sono disapprovate dalla maggior parte
dell’universo femminile.
Quindi dopo qualche anno Renzo e Massi ci hanno messo una
pietra sopra.
Io invece questa pietra non l’ho mai appoggiata da nessuna parte;
ho sempre considerato Claudia una grande amica, e il fatto che
siamo cresciuti insieme ha messo in risalto questa parte affettiva
del nostro rapporto, non facendoci mai pensare a un contatto fra
di noi più serio di un abbraccio. Ma naturalmente non sono così
pirla da credere che l’amicizia tra un ragazzo e una ragazza sia
totalmente casta e pura!
Quante volte guardandole il sedere, magari messo in una bella
posizione, mi sono partite delle fantasie senza che ci potessi fare
nulla. Però non ho mai avuto nessun senso di colpa. Claudia è
bella, ed è normale che pensieri di questo tipo vengano a galla.
Ho sempre esorcizzato ogni desiderio su di lei raccontandoglielo
immediatamente; la sua prima reazione era di darmi del maniaco,
e dopo di farsi quattro risate alle mie spalle.
Insomma, credo che tutte le amicizie fra individui di sesso
opposto abbiano delle piccole deviazioni; è naturale, ed è giusto
che ci siano, fanno parte di una biologica attrazione. Chi lo nega
mente solo a se stesso.
Ma dopo tutti questi bei discorsi di vera amicizia, devo ammettere
che io e Claudia una volta abbiamo fatto l’amore.
Ebbene sì.
Una sola volta, ma l’abbiamo fatto.
E’ stato al ritorno dalla festa di compleanno di Gigi.
74
Qualcosa in più
Eravamo ubriachi come pazzi… Ma questa non era una novità!
Ogni volta che si organizzava un festino, il quartetto delle
meraviglie dava il meglio di se, anche se alla fine venivano a
raccoglierci col cucchiaio.
Quella sera io e lei siamo tornati a casa con la mia macchina
(come facevo a guidare ancora non me lo spiego!), ed al semaforo
della provinciale, in attesa del verde, abbiamo avuto un attimo di
debolezza.
Claudia mi ha guardato per un momento come in preda ad un’
allucinazione, e poi mi ha baciato prima che potessi proferir
parola.
Ho sentito un’esplosione salirmi fino alla testa.
Forse sarà stato il vino, forse le quattordici Sambuche, oppure i
nove litri di Tennets doppio malto, ma sta di fatto che ho
effettuato inversione di marcia e siamo finiti nel bosco delle
querce.
Nel giro di dieci minuti eravamo nudi.
Nel giro di quindici minuti avevamo già finito tutto!
Sono stato veloce come Speedy Gonzales.
Ma che figata ragazzi!
Appena abbiamo finito di fare l’amore Claudia mi ha guardato
ancora ansimante, ed è scoppiata in una fragorosa risata!
Ed io ho riso con lei.
Non è stato molto romantico, lo ammetto, ma è stata la passione a
farcelo fare.
Dopo qualche minuto l’alcool ha fatto il suo effetto e Claudia (mi
duole ammetterlo ma è successo davvero) ha cominciato a
sboccare nel prato. Penso abbia vomitato anche le lasagne della
sera prima.
Santo cielo che serata! Non potrò mai dimenticarla!
Ci siamo rivestiti in qualche modo e siamo usciti dal bosco, diretti
a casa di Claudia.
Durante il tragitto si è addormentata.
Ho dovuto prenderla in braccio per farla uscire dalla macchina,
visto che non aveva nessuna intenzione di svegliarsi.
75
Le luci di casa sua si sono accese appena ho suonato il
campanello, ed i genitori di Claudia si sono presentati sulla soglia
della porta mezzi addormentati ed in vestaglia.
Senza una parola sua madre mi ha fatto entrare, e mi ha chiesto di
portarla in camera da letto.
Non era la prima volta che riportavo Claudia a casa in quelle
condizioni. I suoi si erano abituati, purtroppo. Però si fidavano di
me e la lasciavano uscire ugualmente tutte le volte che c’era una
festa in programma. Claudia aveva al massimo ventitre anni in
quel periodo.
Comunque, sempre tenendola in braccio, l’ho adagiata sul letto e
ho lasciato che sua madre le rimboccasse le coperte.
“Ha dato di stomaco?” mi ha chiesto sottovoce.
“Sì, deve avere preso freddo” ho risposto sparando una gigantesca
bugia “Ma non preoccuparti, ora sta bene”.
Numerose altre volte l’ho portata a casa come uno straccio, ma
quella è stata l’unica volta in cui prima abbiamo fatto l’amore.
Eppure dopo quell’episodio non ci è mai passata per la testa l’idea
di instaurare una relazione. I giorni successivi ne abbiamo parlato,
e anche parecchio, di quello che era successo. Stava nascendo fra
di noi una sorta di “imbarazzo silenzioso”, nel quale ci
rifugiavamo ogni volta che ci guardavamo negli occhi. Le parole
cominciavano a uscirci sempre meno naturali, era un periodo
molto strano. A distanza di così tanti anni posso dire che forse ci
stavamo innamorando. Anche i nostri amici cominciavano a
notare il cambiamento, e si aspettavano che da un momento
all’altro qualcuno di noi rompesse quel guscio di “amici per
forza” in cui ci eravamo rifugiati e che buttassimo le carte in
tavola per iniziare una relazione diversa.
Forse senza dircelo eravamo già una coppia…
Forse avevamo paura ad ammetterlo…
Non lo so.
Non ho mai capito cosa eravamo davvero l’uno per l’altra. Questo
fondamentalmente per colpa mia e della fottuta inquietudine che
mi porto dietro!
Infatti Claudia conosceva bene il malessere che provavo stando a
Lassina, il mio sentirmi chiuso in gabbia in un paese di contadini.
76
Sapeva perfettamente che volevo scappare e che di conseguenza
non volevo avere nessun tipo di legame che mi obbligasse a
restare.
Oltretutto la mia incapacità di accettare dove vivevo influiva
anche sul mio carattere, e mi faceva assumere atteggiamenti
spericolati (e a volte distruttivi) nei confronti di tutto. Anche
Massi e Renzo erano come me, per questo il nostro quartetto era
pura dinamite. Insieme volevamo spaccare il mondo, quindi ne
combinavamo di tutti i colori. Claudia non era da meno, ma era
consapevole del fatto che non se ne sarebbe potuta andare. Il Bar
era già suo e le piaceva lavorare in quell’ambiente. Diceva che i
clienti la salvavano.
Per lei il bar era uno sfogo.
Lo sfogo per Massi era lo studio.
Lo sfogo per Renzo sarebbe diventato il lavoro.
Io lo sfogo non sono mai riuscito a trovarlo.
Così un giorno di quasi cinque anni fa ho deciso di andarmene.
Ho trovato un appartamento a Milano e non sono più tornato a
casa.
Claudia di punto in bianco si è trovata senza di me.
Non so se era innamorata, ma sta di fatto che l’ha presa a cuore
questa faccenda, non voleva assolutamente che me ne andassi. Le
ho ripetuto mille volte che ci saremmo potuti vedere se fosse
venuta a trovarmi a Milano. Anzi, ho aggiunto che casa mia
sarebbe stata sempre aperta per lei, le avevo fatto anche un
duplicato delle chiavi.
Ma Claudia non è mai venuta.
Eppure da me passavano i miei genitori, gli amici, i cugini e i
parenti più lontani, utilizzando il mio appartamento come un
porto di mare nel grande oceano di Milano.
Invece lei non si è mai mossa da Lassina.
Però ammetto le mie colpe. Non sono mai voluto scendere a
compromessi, pretendevo che solo lei venisse a trovarmi.
Ma non me la sentivo assolutamente di tornare a Lassina. Volevo
tagliare tutti i ponti col passato, e il modo migliore era
cominciare subito, scomparendo dalla circolazione.
77
Io e Claudia abbiamo passato i primi mesi al telefono cercando di
trovare una soluzione. Ma più discutevamo più litigavamo, senza
venire a capo di nulla. Alla fine abbiamo smesso di sentirci ed
ognuno di noi ha cominciato una nuova vita lontano dall’altro.
Ma quanto ho sentito la mancanza di Claudia!
La sua immagine è sempre stata come un pugno nello stomaco.
Passavo giorni senza pensarla nascondendo sotto nuove
preoccupazioni il suo viso pieno di allegria. Ma all’improvviso,
magari a metà di un tranquillo venerdì pomeriggio, il suo ricordo
mi assaliva e mi faceva star male per tutto il resto della giornata.
La tentazione di chiamarla in questi anni è sempre stata forte, ma
per il mio stupido orgoglio, ho resistito.
E poi mi chiedevo come poteva essere cambiata la sua vita…
Era già fidanzata?
Magari era in cerca di una casa e si era dimenticata di me, il suo
amico d’infanzia che se ne era andato.
Davanti a lei
Sta di fatto che ora mi trovo qui davanti a lei, dopo quasi cinque
anni che non la vedo.
Come minimo ha il dente avvelenato, anzi, direi tutta la dentiera.
Non potevo aspettarmi che una reazione del genere…
“Che cosa vuoi, perché sei tornato?”.
“Sto bene grazie, e tu come stai?”.
“Se vuoi fare lo spiritoso puoi anche tornartene a Milano”.
“Va bene Claudia, sono tornato per trascorrere una vacanza a
Lassina, contenta adesso?”.
“Non certo di rivederti”.
“E dai… Finiscila per piacere!”.
“Finiscila!?!” Claudia si appoggia al bancone ed alza la voce. Ora
tutti gli occhi del locale sono puntati su di noi.
“Come ti permetti!? Te ne vai di punto in bianco senza avvisare
nessuno, ti ripresenti dopo cinque anni e pretendi che sia tutto
come prima?” .
78
E’ più arrabbiata che mai. Intorno a me si è creato il vuoto,
mentre lei picchia le mani sul tavolo come un camionista e
continua a gridare:
“Te lo puoi scordare che accolgo a braccia aperte uno che non ha
neanche il coraggio di prendere il telefono per farsi sentire!”.
“Ma pensa te!” ribatto mentre gli sguardi si posano su me; sembra
che il Bar si sia fermato ad ascoltare la discussione:
“Questo potevi farlo anche tu” insisto “E ti ricordo che non sei
mai venuta neppure una volta a trovarmi; bell’amica che sei!”.
“Ahhh, adesso è colpa mia?! Che faccia tosta!”. Si sporge
talmente in avanti sul bancone che rischia di volare dall’altra
parte. Ciuffi di capelli neri le sono caduti sul viso, dandole
un’espressione ancora più minacciosa.
“Ma tornatene a Milano a sbatterti la Agrati!”.
Questa frase fa ammutolire di colpo tutto il locale; ora non vola
neanche una mosca. Sapevo che Claudia avrebbe fatto un’uscita
del genere, quando è infuriata perde il senso della misura. Quindi
ribatto con tono tranquillo, pacato, ma altrettanto velenoso:
“Bene bene, vedo che anche in questo antico paese giungono le
notizie. Claudia la contadina ha imparato a leggere?”.
Massi al mio fianco mi dà un pugno sulla spalla per intimarmi di
smettere, mentre Renzo con voce sommessa dice a Claudia:
“Stai calma….”.
“E comunque” insisto io “ho saputo che anche tu ti ‘sbatti’
qualcuno, quindi non fare tanto la moralista”.
“Tu come diavolo fai a saperlo?!”.
“E questo qualcuno si chiama Gabriele ed abita a Lecco”.
“Ma come cazz…” ribatte lei guardando di traverso Massi e
Renzo, e rifilando poi un poderoso pugno sul braccio ad entrambi.
“In ogni caso non ti riguarda quello che faccio con Gabriele!”.
“E a te non riguarda quello che faccio con Ilaria”.
“Tze, Ilaria”.
“Tze, Gabriele” ribatto.
“Se vuoi saperlo a letto facciamo anche numeri da circo!”.
“Anch’io con lei”.
“Complimenti”.
“Altrettanto”.
79
Cade tra di noi un silenzio mortale, mentre tutti i clienti aspettano
la fine della discussione. Ora è arrivata anche Giulia, che incrocia
le braccia in un gesto di rassegnazione mentre si siede su uno
sgabello. Claudia soffia verso l’alto, spostandosi i ciuffi che le
cadono sul volto. La osservo attentamente; forse è ancora più
bella di come la ricordavo. Il suo viso è assolutamente privo di
difetti, sembra una bambola di porcellana. Il fisico è ancora più
magro e slanciato, ed avvolto in questi vestiti aderenti risalta
come non mai.
Ci guardiamo dritti negli occhi ancora per qualche secondo,
finché non avverto in lei i primi segni di cedimento:
“Non mi guardare” dice.
“Perché no?”.
“Ti sto dicendo di non…” sconfitta, chiude gli occhi e lascia
spuntare un sorriso dalle labbra.
Il mio arriva due secondi dopo.
“Non so perché sto sorridendo” dice Claudia.
“Neanch’io”.
“Testa di cazzo”.
“Stronza”.
Claudia si mette a ridere buttando lo straccio per pulire i bicchieri
nel lavandino. La gente intorno a noi ci guarda divertita.
“Ti sono mancata?” mi chiede.
“Neanche un pò” ribatto in tono ironico.
“Vaffanculo”.
“Fottiti”.
Si gira e fa per andarsene, ma all’ultimo momento si volta con un
sorriso radioso stampato sulla faccia ed esclama:
“Abbracciami Luca Nudo!” salendo in piedi sul bancone del bar.
La gente si lascia sfuggire un grido di sorpresa quando Claudia
salta all’improvviso verso di me, che allargo le braccia per
prenderla al volo. Ovviamente Claudia non pesa due chili, perciò
cadiamo rovinosamente per terra avvinghiati e contusi.
Risate da parte di tutti i presenti.
Giulia scuote la testa rassegnata.
Massi e Renzo si danno un cinque in segno di vittoria.
80
Già, perché io e Claudia sapevamo che sarebbe andata a finire
così. La nostra sfuriata era solo un normale passaggio biologico
prima di poterci ritrovare. Morivo dalla voglia di rivederla, ed
anche lei a quanto pare provava le stesse sensazioni. Sarebbe
stato impossibile tenerle il muso; su questo ci ho pensato
parecchio prima di programmare il mio ritorno a Lassina, e solo
dopo aver stabilito che non potevo fare a meno di vederla, ho
deciso di tornare. Non so se mi ha davvero perdonato per essere
scappato a Milano, ma sta di fatto che ora sono qui, abbracciato a
lei sul pavimento del Bar Lassina.
“Claudia, sei matta come al solito!” le dico cercando di rialzarmi
“Tua madre mi ha detto che saresti tornato, volevo vedere quanto
ci avresti messo ad arrivare da me. Bastardo, mi hai lasciato per
ultima!” commenta alzandosi da terra.
La gente radunata intorno a noi si sfoltisce, mentre sento da
lontano la voce di Renzo che ci chiama:
“Luca, Claudia, venite a sedervi”. Subito ci avviciniamo al tavolo
che ci stanno riservando, mentre Claudia mi salta sulla schiena
appendendosi come un Koala:
“Fate passare gente, via, via, il famoso Luca Nudo è di nuovo tra
noi”.
“Smettila, cosa vuoi che gliene freghi a loro?” dico mentre cerco
di sorreggerla.
“Yuppyyy!” esclama lei come un vero cow boy. E’ incredibile…
si comporta come una ragazzina anche se ha quasi trent’anni. Ed
e’ questo che mi piace di lei! Meno male che il tempo non l’ha
cambiata.
Raggiungiamo il tavolo e ci sediamo, io di fianco a Massi e
Claudia con Renzo.
Ora siamo quattro ragazzini di trent’anni.
Dopo che altri conoscenti sono venuti a salutarmi, finalmente
giunge anche Giulia, che con uno straccio in mano ci guarda e
commenta:
“Sembra proprio che la Compagnia del flagello si sia riunita. E’
meglio che cominci a preoccuparmi davvero…”.
81
La Compagnia del flagello
Da quanto non sentivo questo nome…
Una punta di nostalgia mi sale fino alla gola…
Ce lo diede il ragazzo di Giulia, Alessandro, parecchi anni prima,
quando combinavamo disastri uno dietro l’altro.
Ricordo che Alessandro in quel periodo stava leggendo il Signore
degli anelli, un libro di dimensioni spaventose. Ne era talmente
affascinato che non perdeva occasione per raccontarci qualcosa
della storia. La trilogia del film non era ancora uscita al cinema,
perciò per noi che lo ascoltavamo era una novità assoluta.
Sta di fatto che una sera io, Massi, Renzo e Claudia stavamo
entrando nel locale dopo averne combinata un’altra delle nostre.
Avevamo preso in prestito temporaneo (cioè senza chiedere il
permesso) il trattore del signor Fumagalli, per tirare fuori la
macchina di Massi che era finita in un fosso la sera prima. Ma
non sapendolo usare eravamo riusciti a far finire nel fosso anche il
trattore! C’era voluta la gru dei Vigili del fuoco per tirare fuori le
due vetture. Ovviamente il signor Fumagalli si era incazzato come
Ken il Guerriero e non ci aveva denunciato solo per miracolo.
Comunque appena siamo entrati nel locale abbiamo sentito la
voce di Alessandro esclamare:
“Invece adesso sta entrando la Compagnia del Flagello!”.
Risate generali da parte di tutti ragazzi seduti al tavolo con lui.
Giulia, che era al suo fianco, ha riso fino al giorno dopo. Un po’
stupiti da quest’eccesso di allegria ci siamo fatti spiegare il
motivo di tanta ilarità.
Alessandro, che stava raccontando l’ennesimo episodio del suo
libro, era arrivato a descrivere un gruppo di persone che
formavano una Compagnia, chiamata dell’anello. Appena ci ha
visto entrare ha sostituito anello con flagello, e il gioco è venuto
da solo. A noi quattro non ha fatto ridere per niente, ma a quanto
pare le persone che stavano ascoltando l’hanno vissuta
diversamente, ed hanno cominciato a chiamarci in quel modo.
All’inizio non ci piaceva questo soprannome, non era per nulla
divertente. Ma col passare del tempo è diventato come un marchio
di fabbrica, ce lo portavamo dietro ovunque. Anche quando la
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televisione dava qualche notizia strana, o capitava qualcosa di
insolito, la gente commentava dicendo: “Questa è degna della
Compagnia del flagello”.
Alla fine abbiamo dovuto accettare il soprannome arrivando, col
passare degli anni, ad esserne perfino orgogliosi.
Ed ora lo sento nuovamente pronunciare dalla bocca di Giulia,
mentre prosegue chiedendoci:
“Cosa vi porto da bere?” .
“E ce lo chiedi?! Quattro Slalom medie come minimo!” risponde
Massi.
“Ok, arrivano subito”.
“Che storia, siamo ancora insieme come una volta!” dice Renzo
mentre avvolge un braccio intorno alle spalle di Claudia, “Meno
male che ti sei calmata; prima ho creduto che volessi
ammazzarlo”dice indicando me con la testa.
“Non ancora, ma nei prossimi giorni sicuramente” ribatte lei con
fare scherzoso.
Cominciamo così a ricordare i bei tempi andati, in cui eravamo
dei veri pericoli pubblici. Come a casa di Massi parliamo delle
scorrerie di qualche anno prima, in cui non passava giorno senza
che il quartetto combinasse un disastro. Il periodo dai quindici ai
venticinque anni è stato un vero e proprio spasso!
Dopo qualche minuto arrivano le birre, ma sono soltanto tre.
Giulia le distribuisce sul tavolo a Renzo, Massi e sua sorella
Claudia, senza dare nulla al sottoscritto.
“Beh, cos’è sta storia?” chiedo stupito.
Dalle labbra di Renzo e Claudia spunta un sorriso beffardo,
mentre Massi al mio fianco non si trattiene e comincia a ridere.
“Ma cosa avete ? Mi sono perso qualcosa?” domando
imbarazzato.
“Non ti ricordi?” dice Renzo.
“Cosa?!?”.
Mi volto all’improvviso come colto da un pungente sospetto e
vedo Giulia giungere nella mia direzione con un boccale da litro
in mano. Solo che non è pieno di birra, ma di latte caldo fumante.
“Nooo! Bastardi!” esclamo all’improvviso ricordandomi tutto.
Giulia appoggia davanti a me l’enorme bicchiere colmo di latte
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bollente, mentre i miei tre compagni incominciano a cantare
facendomi la stecca come a Naia:
“Bellooo, non ti passa piuuù, te lo sei voluto tuuu, vuoi il Bar
Lassina e poooi, latte caldo cazzi tuoooi!!”.
Questo era il nostro scherzo quotidiano quando venivamo al bar;
di solito lo facevamo se uno dei quattro aveva rotto le scatole per
qualsiasi motivo. Era il nostro modo per dire:
“Mollaci, hai rotto i coglioni!” .
Solitamente dopo il latte caldo l’accusato capiva di avere
sbagliato e si concludeva la discussione.
Veniva utilizzato anche per dare il benvenuto a persone che per la
prima volta mettevano piede nel Bar Lassina. Gli amici conosciuti
da poco subivano il trattamento del latte caldo, che per noi era
come un passaggio di stecca. Superato il rituale si entrava a far
parte del gruppo a tutti gli effetti, anche se le due prove da
superare erano terribili…
La prima consisteva nel bere tutto il litro di latte.
La seconda nel doverlo pagare!
Oltre il danno si aggiungeva la beffa.
Sulla seconda prova in molti hanno gettato la spugna. Ma questa
sera non posso mollare, ne va della mia reputazione, quindi
afferro il boccale di latte e dico ad alta voce:
“Me lo merito per essere stato via così tanto tempo, brindo alla
vostra salute!”.
“Alla nostra” rispondono Renzo, Massi e Claudia facendo
tintinnare i boccali.
“E a quella cosa che finisce per ‘no’ ” aggiunge Renzo.
“La figa nooo!!!” ribattiamo in coro, scolandoci le birre ed il latte
caldo.
Sembra strano ma anche Claudia partecipa a quest’ultimo brindisi
entusiasta. Come noi ci siamo rassegnati alla sua femminilità, lei
non fa più caso alla nostra mascolinità, e a tutti i modi rozzi che
ne conseguono. A proposito di Claudia… Mi chiedo come mai
non sia tornata dietro al bancone a lavorare. Ormai è già mezz’ora
che è al tavolo con noi. Di certo è rimasta per farmi compagnia,
ma sua sorella non può fare tutto da sola:
“Ma non torni al bancone?” le chiedo sorseggiando il latte.
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“Sì, adesso ci vado, perché ti sei già rotto di vedermi?”.
“Ma no; solo che Giulia avrà bisogno di aiuto”.
“Infatti sono già arrivate le ragazze della stagione estiva, non ti
sei accorto?”.
“Quali ragazze?” dico aguzzando la vista per il locale.
Effettivamente ci sono tre o quattro cameriere che servono ai
tavoli, una delle quali si è messa già al posto di Claudia per
sostituirla.
“Hai ragione” le dico “Non le avevo viste” .
“Ancora un paio di settimane e poi mollo tutto; non vedo l’ora!”
commenta Claudia scroccando una sigaretta a Massi.
“Come molli tutto? Ti licenzi?” chiedo stupito.
“Ma allora non ti ricordi proprio niente!” esclama Renzo a gran
voce.
“Mi sa che Milano gli ha bruciato i neuroni del cervello” insiste
Massi.
“Impossibile, non ce l’ha mai avuto un cervello” conclude
Claudia.
“Ma cosa dovrei ricordare stavolta?!” chiedo rassegnato. Renzo si
accende una sigaretta e spiega con calma:
“Claudia e Giulia fanno a turni. In inverno il locale lo gestisce
Claudia e d’estate Giulia. Fanno sei mesi ciascuna, ti ricordi
ora?”.
“In questo modo ci possiamo permettere di tenerlo sempre aperto”
continua Claudia, “Il mio turno è scaduto qualche giorno fa; sto
facendo le ultime settimane di passaggio. Darò comunque una
mano a mia sorella, ma agli inizi di Giugno potrò considerarmi in
vacanza”.
Improvvisamente ricordo tutto.
“Quindi fino a quest’inverno praticamente sarai in ferie?” chiedo.
“Fino a Dicembre per l’esattezza, lo facciamo da parecchi anni;
adesso ti ricordi?” risponde lei.
“Aspetta un momento” chiedo come fulminato sulla via di
Damasco, “Ma lo sai che anche io Renzo e Massi fino a Dicembre
non facciamo niente?”.
“Beh, sì…” risponde Claudia con un sorriso.
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“Incredibile ragazzi!” esclamo, “Fatemi fare mente locale. Allora.
Io starò a Lassina per sei mesi costretto dal mio capo. Renzo è in
malattia per uno strappo alla schiena. Massi non andrà a lavorare
fino all’anno prossimo, quando giungerà la chiamata dal centro
ricerche. E tu fai il turno di pausa per l’estate. Ma sapete che vuol
dire?!?”.
“Che la Compagnia è tornata!” conclude Massi.
“Sì! Incredibile, non avrei mai pensato che potesse accadere” dice
Renzo.
“Questa volta a mia madre verrà un colpo sul serio” commento tra
il serio e il faceto.
“E allora in alto i calici!” propone Massi alzando il suo boccale di
birra.
“Al ritorno della Compagnia!” rispondiamo in coro.
Guardo negli occhi i miei tre amici e mi accorgo che il tempo non
è passato. In questo momento siamo ancora i ragazzi di qualche
anno fa, con la stessa voglia dirompente di divertirci.
Renzo, Massi e Claudia…
Mi sembra impossibile averli ritrovati tutti e tre. Questa vacanza
forzata a Lassina comincia a diventare interessante.
Giulia giunge dopo qualche minuto chiedendo a sua sorella di
darle una mano, e vedendo i nostri visi illuminati chiede:
“Beh? Cosa è successo, mi sono persa qualcosa?”.
“Ti dico solamente questo” rispondo con un sorriso “Avevi
ragione, è meglio che cominci a preoccuparti davvero!”.
Claudia se ne va con sua sorella, e dopo qualche minuto ci
allontaniamo anche noi per uscire dal locale; Renzo e Massi
vogliono fumarsi una sigaretta all’aria aperta. E’ una calda serata
di Maggio e si sta bene fuori. E poi dobbiamo parlare di tutto
quello che potremo fare ora che siamo di nuovo riuniti! Dovremo
escogitare un piano d’azione, magari organizzare una vacanza!
Ma appena ci troviamo al centro del locale Massi si ferma e mi
chiede ad alta voce:
“A proposito, sai chi ti saluta un casino?!”.
Rimango un po’ sorpreso da questa domanda: primo, perché me
la fa improvvisamente, secondo, per il suo tono di voce troppo
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alto. Come minimo avranno sentito anche tutte le persone che mi
stanno intorno. Non troppo convinto rispondo:
“No, chi?”.
“STO CAZZOOO!!” esplode un coro incredibile da parte di tutti i
clienti del bar!
Ogni persona si volta nella mia direzione prendendosi il pacco tra
le mani.
“Ha ha ha!” ridono i clienti all’unisono.
Persino Giulia si scompiscia dalle risate.
Mi hanno fregato ancora!
Il gioco del ‘Sai chi ti saluta un casino’ l’ho inventato io, ma me
lo sono completamente dimenticato.
Avevo preso spunto da una canzone di Elio e le Storie tese, dove
nel finale si faceva questo scherzo ad un ragazzo soprannominato
‘Panino’.
Ed ora me lo vedo rivolgere contro.
“Ma cazzo, adesso basta!” rispondo esasperato.
“Ai ai ai” ribatte Massi con espressione volpina.
“Ti sei arrabbiato…” dice Renzo avvicinandosi.
“N-No, non mi sono arrabbiato” ribatto ricordandomi (stavolta
alla perfezione) cosa potrebbe accadere.
“Sì sì, ti sei proprio arrabbiato”.
Vedo avvicinarsi oltre a Renzo e Massi, anche Cavallo, Jimmi e
Teo.
Cerco di allontanarmi velocemente, ma Ronny da dietro mi
blocca.
Sono spacciato!
Conosco benissimo le loro intenzioni.
Il seguito del gioco è per chi si arrabbia inutilmente. Lo sfortunato
viene afferrato di peso e buttato nel laghetto con tutti i vestiti. Di
solito si fa solo d’estate, ma penso che stavolta faranno
un’eccezione.
Anche questo scherzo l’ho inventato io. La prima vittima è stata
Claudia, che è finita nell’acqua per essersela presa quando le ho
detto “Sto cazzo!”.
Ricordo di averla presa in braccio e di averle detto: “Ti stai
scaldando troppo, ora ti spengo io”.
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Quando ha capito che la stavo per buttare nel laghetto ha
cominciato a scalciare, e nell’acqua ci siamo finiti entrambi. La
scena è stata vista da tutti i ragazzi che erano presenti quella sera,
ed è risultata veramente spassosa. Tanto che il giorno successivo
qualcuno imitandomi ha buttato nello stagno un amico troppo
permaloso. Poi con il passare del tempo è diventata una specie di
usanza, un po’ come quella del latte caldo. E adesso ogni volta
che qualcuno se la prende per uno scherzo o una battuta, viene
scaraventato nell’acqua.
“No ragazzi dai, fa freddo per un tuffo”.
“Dieci” dice Massi iniziando il conto alla rovescia.
“Cavallo, non vorrai farlo davvero?”.
“Nove” dice Cavallo avvicinandosi.
Mi afferrano sotto le ascelle e mi portano fuori dal locale.
“Giuliaaa! Digli qualcosa!” esclamo in un ultimo disperato
tentativo di aiuto.
“Otto”.
“Sentite ragazzi, sono tornato oggi, abbiate pietà!”.
“Sette”.
“E va bene! Ma solo i piedi, d’accordo?”.
“Sei!”.
“No, non siete d’accordo…”.
“Cinque” dice Jimmi mentre si fa largo fra i tavolini all’aperto,
spostando tutti i curiosi che vogliono osservare l’insolita scena.
“Quattro”.
“Ok, ma non buttatemi come un sacco di patate, fate piano”.
Appena lo dico Teo e Ronny mi sollevano per le gambe e
cominciano a farmi oscillare, prendendo la spinta per il lancio.
“Dai ragazzi, fa freddo!”.
“TRE” rispondono tutti gli amici in coro, compresi gli spettatori
che ci hanno seguito fino a qui.
“DUE”.
“Pago da bere a tutti se non lo fate!!”.
“UNO”.
“Ma porca putt…”.
“ZEROOO!!!” mi lanciano nel lago.
“SIETE DEI BASTARD….”.
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SPLASCHH!
Vengo sommerso dall’acqua.
Come ho spiegato prima non è profonda, mi arriva appena sotto le
ascelle se resto seduto, ma è sufficiente a lavarmi completamente.
Con un gesto di stizza mi levo l’acqua dagli occhi e resto a
osservare, bagnato come un pulcino, le risate di tutti i presenti.
“HA HA HA!”.
Io con un’espressione rassegnata seduto nel laghetto…
Claudia piegata in due dal ridere ai bordi dello stagno…
“La stagione estiva è cominciata!” esclama lei tutta contenta.
Tiro un lungo respiro e penso che adesso sono davvero tornato a
casa.
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7
Sono una macchina da corsa che sfila come Lady
Godiva
Vado, vado, vado, vado, niente mi può fermare
Brucio nel cielo, Sì!
Queen
Rischio quattro
“Ecco, siamo arrivati” dico avvicinandomi al garage.
Renzo, Massi e Claudia restano alle mie spalle in attesa.
Afferro la maniglia del portone e la tiro con forza verso l’alto.
Davanti a noi si delinea la figura inconfondibile di un’automobile.
Troppi anni è rimasta chiusa al buio senza poter sgranchire le
ruote. Ora la Compagnia del flagello riprende possesso del suo
mezzo di trasporto, la nostra inconfondibile compagna di
avventure.
La mitica Renault 4 rossa!
“Minchia, da quanti anni non la vedo!” dice Renzo.
“Troppi” rispondo “L’ultima persona che l’ha usata sono stato io
cinque anni fa. Mio padre non l’ha mai toccata, dice che non
riesce a trovarsi con le marce…”.
Infatti la Renault 4 è l’unica vettura che ha il cambio all’interno
del cruscotto. Un vero e proprio segno di riconoscimento.
“L’ho sistemata ieri” continuo “Ho controllato i freni, l’olio, il
motore, e dopo un attento esame posso dire ufficialmente che
‘Rischio 4’ è più in forma che mai!”.
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Rischio 4 (R4) non è altro che la sigla della macchina: ma visto
che con lei ne abbiamo passate di tutti i colori, l’abbiamo
soprannominata in questo modo pittoresco.
Quest’ auto è un vero e proprio miracolo. E’ praticamente
indistruttibile. Abbiamo saltato ponti, passaggi a livello, solcato
colline (chiaramente fuoristrada) senza che si fermasse neppure
un momento.
Un carro armato.
Mi infilo nel garage e mi metto al posto di guida. Inserisco la
retromarcia e tiro fuori il veicolo.
Ci troviamo sotto casa mia, nel piccolo cortile dove la vettura ha
riposato per cinque lunghi anni.
Oggi è il primo giorno in cui Claudia ha ufficialmente smesso di
lavorare. Siamo agli inizi di Giugno e le giornate cominciano a
diventare calde.
Io, Massi, Renzo e Claudia siamo in vacanza per sei mesi; tutti e
quattro spensierati e senza problemi, come quando eravamo
adolescenti. Certo, ora abbiamo qualche anno in più, ma è come
se ci fossimo spogliati del peso di tutto questo tempo, e rivestiti di
entusiasmo. Esteriormente trentenni, ma in fondo al cuore poco
più che diciottenni.
“Wow” esclama Claudia mentre si siede sul sedile posteriore
insieme a Renzo. Massi si posiziona al mio fianco mentre ingrano
la prima.
“Allora, sai ancora guidare?” mi chiede Massi.
“Certo” rispondo mentre svolto nei parchi pubblici.
“Seee, scommetto che non ce la fai più ad andare come una
volta”.
“Scherzi? Guarda che Milano è una jungla d’asfalto. Mi tengo in
allenamento tutti i giorni zigzagando tra le macchine e le corsie
d’emergenza. E’ strano che non mi abbiano ancora ritirato la
patente”.
“Beh, se a Milano vai come quando guidavi qui in paese è
veramente incredibile che non ti abbiano arrestato!”.
“Che dici, vuoi vedere di persona se sono migliorato?”.
“No Luca, non dare retta a Massi” dice Renzo dietro di me, “E tu
Massimo, non lo provocare!”.
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“E chi lo sta facendo?”.
“Proprio tu! Sai com’è fatto Luca quando guida”.
“Perché, come sono fatto?” chiedo mentre premo il piede
sull’acceleratore.
“Ecco, adesso si comincia” dice Claudia che ha già capito le mie
intenzioni.
“Dai ragazzi, festeggiamo il nostro ritorno come hai vecchi
tempi” dico con un largo sorriso, “E poi in questo straccio di
paese non c’è mai nessuno in giro. Guardate, è il paradiso
dell’automobilista”.
Effettivamente non c’è anima viva, solo campagna e strade
dissestate. Forse è per questo che siamo ancora vivi nonostante
tutte le avventure con Rischio 4.
E quando dico ‘ancora vivi’ non è un eufemismo.
Ne è la dimostrazione la domanda che pongo a Claudia:
“Cominciamo dal passaggio a livello di San Pietro?”.
“Se ti dicessi di lasciar perdere cambierebbe qualcosa?”.
“Assolutamente no”.
“Allora fai come ti pare” risponde lei.
“Bene, dunque allacciatevi le cinture!”.
Svolto a gran velocità nella rotonda di piazza Mazzini e prendo
via Risurrezione a tavoletta. In fondo alla strada c’è il passaggio a
livello, quello con la rampa alta, dove se attraversato a velocità
normale si fa un piccolo saltino. Chiaramente quando l’ho
scoperto l’ho superato a cento all’ora, ottenendo gli effetti che
adesso andremo a riprovare.
Le sbarre sono alzate, non sta passando nessun treno. Dall’altra
parte della strada non sopraggiunge alcun veicolo, è la condizione
ideale.
“Vai vai…” dice Massi con entusiasmo, “Sììì” risponde Claudia
che sta accantonando la paura. Loro due hanno una voglia matta
di correre con l’auto, al contrario di Renzo che non ha mai
condiviso questa nostra follia. Infatti stringe forte il mio sedile
con le mani e abbassa la testa tra le braccia come per proteggersi.
Mancano pochi metri al salto:
“Ragazzi ci siamo, tenetevi forte” dico ad alta voce.
“Cazzo Luca!” dice Renzo terrorizzato.
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“Pronti, partenza… via!” .
La macchina prende il dosso a tutta birra e si impenna
all’improvviso.
Prima si staccano da terra le ruote davanti, poi quelle posteriori,
finché ci troviamo sospesi per aria a un metro d’altezza.
“Sta minchia…!”.
Sentiamo un prepotente vuoto allo stomaco prima di atterrare con
uno schianto sull’asfalto:
“Sbraaang!!” sul cemento striscia la marmitta che ormai in quel
punto deve essere completamente consumata.
“Siete pazzi!” grida Renzo a gran voce rialzando la testa, ma con
un largo sorriso sulle labbra. Svolto per via Piave carico come
non mai mentre i miei amici si scambiano gesti di vittoria. E
questo è solo l’inizio. Alla guida di Rischio quattro sono il
pericolo pubblico numero uno. E’ così che ho imparato a guidare.
Fare il matto con la macchina ti aiuta ad aumentare i riflessi e a
vedere i pericoli molto prima che ci arrivino gli altri. Sembra
strano ma è così. Nella mia carriera di automobilista non ho mai
fatto nessun incidente, pur avendo rischiato la pelle di mia
spontanea volontà in mille modi diversi. La maggior parte delle
persone che ho conosciuto prudenti nella guida, hanno sostituito
la macchina diverse volte per distrazioni, causando collisioni
evitabili.
Forse la mia è solo una gran fortuna, ma la guida sportiva
sicuramente aiuta a essere più attenti. I tre amici qui presenti ne
sanno qualcosa, e ne potrebbero raccontare di cotte e di crude.
Ma ora vogliamo provare le stesse sensazioni di una volta, ed io
non mi faccio certo pregare; mi piacciono le sfide, anche con il
me stesso di qualche anno fa. Voglio dimostrare di essere ancora
in gamba.
Su due ruote
Mi avvio sulla strada che porta verso Ogana, chiaramente in
mezzo alla campagna.
Quando superiamo il cartello di ingresso nel paese chiedo:
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“Vi ricordate qual’era il record di velocità?”.
“Non vorrai farlo di nuovo!?” domanda Renzo.
“Ottanta all’ora” risponde Claudia.
“Vediamo cosa riesco a fare” dico mentre schiaccio il piede
sull’acceleratore. Ai bordi della lunga strada verso Ogana c’è un
marciapiede che porta dritto in paese. Qualche anno fa ci salivo
con due ruote e guidavo inclinato per tutta la sua lunghezza;
Massi guardava il contachilometri ed una volta siamo riusciti a
toccare gli ottanta.
Naturalmente adesso lo voglio rifare.
Vediamo il marciapiede dopo pochi secondi che siamo entrati in
paese con Rischio 4 lanciata a tutta velocità. Pregusto già il
momento di cavalcarlo, quando un imprevisto mi si pone davanti:
un trattore viaggia in mezzo alla carreggiata, occupando entrambe
le corsie di marcia.
“Visto?” dice Renzo, “Non puoi passare , stavolta devi
rinunciare”.
Sospiro sconsolato pensando che Renzo stavolta ha ragione. Non
c’è spazio neanche per far passare uno spillo. Comincio a
buttarmi a destra e a sinistra della carreggiata per riuscire a vedere
al di là del trattore, e magari azzardare un sorpasso se la strada si
dovesse allargare. Raggiungiamo il famoso marciapiede degli
ottanta all’ora e improvvisamente ho un’ illuminazione… Freno
di colpo e lascio che il trattore prosegua per la sua strada.
“Torniamo indietro?” chiede Renzo.
“No” rispondo, mentre do gas facendo sgommare le ruote.
Raggiungo il grosso veicolo in una manciata di secondi, ma sterzo
bruscamente a destra salendo sulla piccola rampa del marciapiede.
Su due ruote comincio il sorpasso del trattore.
“Cristo ma sei pazzo!” dice Massi aggrappandosi al sedile.
Lo spazio per superare è veramente poco, ma su due ruote riesco a
mettermi nei metri tra l’automezzo e il marciapiede. E’ una
mossa da ergastolo, lo so; se più avanti ci fossero i carabinieri mi
fucilerebbero in Piazza Rossa come nemico del popolo! Eppure ce
la sto facendo. Con i muscoli tesissimi mi volto per un istante ad
osservare quanto spazio mi rimane. Incrocio così lo sguardo con il
conducente del trattore, un anziano contadino del luogo, che ha
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un’espressione simile al ‘Grido’ di Munch. Mi scappa una piccola
risata mentre finisco il sorpasso, sempre su due ruote.
“Che cazzo hai da ridere?!” dice Claudia con gli occhi spalancati.
“Niente” rispondo “Massi, a quanto stiamo andando?”.
“Settantacinque” risponde lui un attimo prima che finisca il
marciapiede. Con un tonfo ritorniamo in mezzo alla strada. Il
trattore è lontano nello specchietto retrovisore. Che impresa, sono
ancora carico di adrenalina!
“Fatemi scendere!” dice Renzo.
“Stavolta hai battuto tutti i record” commenta Massi.
“Purtroppo no, andavamo solo a settantacinque…” rispondo con
ironia.
“Fatemi scendere!!” continua Renzo.
“Non ancora” rispondo io “Andiamo a fare un po’ di Surf a
Sant’Andrea e poi torniamo a casa”.
Surf
Il Surf è una follia che abbiamo inventato dopo aver visto “Voglia
di vincere”. Il protagonista in quel film si trasformava in un
uomo-lupo che faceva surf sulla capote di un camioncino.
Ovviamente abbiamo ripetuto quelle gesta con Rischio 4.
Come allora quindi ci dirigiamo nel grande parcheggio di
Sant’Andrea, e dopo esserci fermati scendiamo tutti dalla
macchina:
“Allora, chi vuole cominciare?” chiedo.
“Io no di certo” dice Renzo.
“Facciamo come al solito” propone Claudia “Va su Luca per
primo mentre io guido”.
“Ci sto!” rispondo, e in un baleno salgo sulla capote della
macchina mentre Claudia va alla guida.
Renzo e Massi restano in piedi a guardare, in un parcheggio
deserto, dove le macchine sono andate via alle diciassette precise,
orario di chiusura delle fabbriche.
Claudia sale in macchina mentre mi piego sulle ginocchia
mettendo un piede davanti all’altro. Con le mani mi aggancio alle
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portiere (dopo avere abbassato i finestrini laterali), mentre
Claudia preme l’acceleratore. La partenza è lenta, non superiamo i
venti all’ora. Quando mi sento sicuro della stabilità sgancio le
mani e mi alzo in piedi sulla capote, con la macchina che viaggia
alla velocità folle di venticinque chilometri all’ora! Basta un
attimo per cadere, ogni piccola buca, anche solo ogni cambio di
marcia è uno scossone che potrebbe rovesciarmi sull’asfalto. Ma
Claudia è in gamba, ed io mi sento un vero e proprio drago sul
tettuccio di Rischio 4!
Finisco il mio giro e ci fermiamo davanti a Renzo e Massi; ora
tocca a Claudia fare un po’ di surf. Massi si offre volontario alla
guida, e dopo qualche minuto vediamo Claudia a braccia distese
in equilibrio sopra la macchina.
A turno facciamo tutti quanti un giro sul tettuccio, anche Renzo,
che fino a qualche minuto fa era molto titubante. Ma Renzo è
sempre così; all’inizio è contrario a qualsiasi nuova avventura, poi
si butta a capofitto con noi, a volte perfino esagerando.
Come adesso per esempio che non vuole più scendere anche se è
ora di tornare a casa.
“Dai Renzo, dobbiamo andare” dice Claudia.
“Fatemi fare un altro giretto” dice lui sbucando a testa in giù dal
finestrino.
“Guarda che ti porto a casa sul tettuccio se non la finisci”
commenta Massi alla guida di Rischio 4.
“Va bene!”.
“Come va bene?”.
“Ho detto va bene, andiamo”.
“Ok” dice Massi stupito, mentre preme l’acceleratore e si dirige
verso casa. Tutti e tre ci aspettiamo che da un momento all’altro
Renzo ci chieda di scendere, ma lui imperterrito continua a fare
surf.
Ormai giunti alle porte di Lassina, un po’ preoccupato, mi sporgo
dal finestrino per controllare che Renzo ci sia ancora. E così lo
vedo cantare davanti a un microfono immaginario una canzone
dei Beach Boys, agitando le mani nel ballo tipico di Surf in Usa!
Completamente scioccato rientro in macchina dicendo:
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“Renzo è impazzito”, intanto che Massi inforca le prime strade di
paese.
Incontriamo dei passanti che si fermano a guardare basiti Renzo
sulla capote della macchina, mentre noi proseguiamo e ce ne
andiamo. Per portarlo a casa stiamo facendo le vie meno
trafficate; è ovvio, se incontrassimo un carabiniere ci arresterebbe
seduta stante.
In una via trasversale alla piazza incrociamo tre signore cariche di
sacchetti della spesa. Appena gli passiamo di fianco sento una
voce inconfondibile pronunciare il mio nome:
“Luca, ma che diavolo…?”.
Immediatamente ci voltiamo e vediamo mia madre che guarda a
bocca aperta Renzo sul tettuccio della Renault 4 rossa!
Una signora si porta la mano davanti alla bocca per coprire lo
stupore.
L’altra lascia cadere il sacchetto della spesa, facendo rotolare due
arance sulla strada.
Renzo sul tettuccio continua a cantare Surf in Usa.
Io Massi e Claudia all’interno ci guardiamo perplessi, per poi
esplodere in una fragorosa risata, continuando a percorrere la
strada che porta a casa di Renzo.
Oserei dire che nel primo giorno del suo ritorno, Rischio 4 ha
fatto il suo dovere.
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8
Baby questa città ti strappa le ossa dalla schiena
E' una trappola mortale, un invito al suicidio
Dobbiamo uscirne finché siamo ancora giovani
Perché vagabondi come noi, baby, sono nati per
correre
The Boss
Come a casa sua
Rientro in casa con un pacco di cd in mano.
Sono stato al ‘Discordia’ di Mariano Comense dove ho fatto il
pieno di musica. Anche se sono lontano da Milano devo tenermi
aggiornato sulle nuove tendenze musicali, ed Alessandra, la
proprietaria del negozio, è sempre informatissima. Mi ha fatto
sentire una marea di album appena usciti sul mercato, ed io ho
scelto i migliori da portare a casa per ascoltarli con calma.
Vado in cucina, appoggio i cd sul tavolo e saluto mia madre che
sta preparando una torta. Quella donna non è capace di stare
ferma; se non ha qualcosa da fare se la inventa, come in questo
momento che sta cucinando al posto di rilassarsi davanti alla
televisione o sulla sdraio in giardino. Oggi è una bella giornata di
sole e sono solo le quattro di pomeriggio. Stranamente non mi ha
detto nulla della scenetta sulla capote della macchina che ha visto
l’altro giorno; forse si è rassegnata al fatto che essendo a casa tutti
e quattro, la Compagnia del flagello prima o poi avrebbe
combinato qualcosa.
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“Ciao mà, sono tornato”.
“Trovato qualcosa di interessante a Mariano?” chiede mia madre.
“Sì, parecchia bella musica, adesso vado in camera ad ascoltarla”.
“Bene, così gli farai compagnia, è parecchio che ti sta
aspettando”.
“Chi mi sta aspettando?”.
“Anzi, chiedigli se vuole una fetta di torta”.
“Una fetta di torta? Ma a chi?”. Prendo i cd e mi dirigo con aria
perplessa verso la camera. Giungo sulla soglia della porta e noto
che è spalancata. Seduta sul mio letto, a gambe incrociate, con in
mano un manga giapponese, c’è Claudia.
“Ciao” mi dice.
“E tu che ci fai qui?”.
“Sono passata a trovarti ma non c’eri. Tua madre mi ha detto di
aspettarti e così ho fatto. Perché? Lo trovi strano?”.
“No, però, vederti in camera mia… Insomma…”.
“Insomma cosa?”.
“Mi sembra che non sia passato il tempo, ecco”.
“E’ vero, ho questa impressione anch’io” dice osservandomi con
un piccolo sorriso.
Molti anni fa per noi era assolutamente normale stare da me;
Claudia la considerava una seconda casa. Andava e veniva come
se ci abitasse, indipendentemente dal fatto se ero presente o meno.
Mia madre ha sempre considerato Claudia come una figlia, perciò
era naturale averla in casa.
Ora si trova seduta sul mio letto indossando un paio di pantaloni a
mazza gamba leggeri. Porta una maglietta molto corta che le
scopre l’ombelico, mentre le scarpe sono volate in fondo alla
stanza, lasciandola a piedi nudi. Fa caldo fuori, l’estate è alle
porte e la gente comincia a spogliarsi.
“Cos’hai in mano?” mi chiede.
“Dei cd, sono andato da Alessandra a comprarli”.
“Fa vedere” dice, mentre allunga le braccia per prenderli. Glieli
passo intanto che mi levo il giubbetto di jeans riponendolo
nell’armadio. Osservo il suo viso incuriosito mentre guarda i miei
acquisti. Quante volte l’ho spiata in camera mia intenta a fare i
compiti, a studiare, o semplicemente a giocare al vecchio
99
Commodore 16. Ne abbiamo passato di tempo insieme! Ed ora,
come per magia, sembra che tutto sia tornato come allora,
facendoci aprire una piccola parentesi che sa di passato.
“I cd li compri sempre originali?” chiede girandosi sul letto. Ora è
sdraiata a pancia in giù mentre comincia a sparpagliare gli album
sul cuscino.
“Ma va, sei matta? Li masterizzo!”.
“Che bastardo!” dice sorridendo “Proprio tu che lavori in radio,
che dovresti lottare contro la pirateria”.
“Ti dirò di più, mi scarico album completi da internet”.
“E ti pareva”.
“Anche intere discografie”.
“Un pirata! Non sei altro che un pirata. Capitan Uncino era un
dilettante in confronto a te”.
“Modestamente…” dico avvicinandomi al letto e mettendomi di
fianco a lei. Claudia si mette a sedere incrociando nuovamente le
gambe, e iniziamo a sfogliare i libretti dei cd commentando i testi
delle canzoni. I suoi occhi nerissimi scorrono le parole, mentre i
capelli le nascondono leggermente il viso cadendo sulle guance.
La sua bellezza è imbarazzante. Sicuramente non è più la
ragazzina di qualche anno fa, ma di certo non sembra a un passo
dai trent’anni in questo momento. Se oltre all’abbigliamento
sbarazzino aggiungiamo che si trova a piedi nudi sul mio letto, in
un pigro pomeriggio di metà della settimana, sembra più una
studentessa a un passo dal diploma.
“Perché te ne sei andato?” mi chiede all’improvviso. Cade subito
un profondo silenzio, smetto di leggere un libretto e mi rivolgo a
lei accantonando i toni scherzosi.
“Lo sai perché”.
“No, non lo so”.
“Perché me lo chiedi di nuovo?”.
“Voglio sentirlo dalla tua voce. Non me ne hai mai parlato; hai
dato sempre per scontato che lo sapessi. E probabilmente avevi
ragione, ma adesso voglio sentirlo da te”.
“Claudia” dico rassegnato “Me ne sono andato perché altrimenti
sarei impazzito”.
Mi guarda senza dire nulla; resta in attesa delle mie spiegazioni.
100
“Insomma, io… io… Io avevo paura. Sì, forse avevo paura.
Avevo paura di affrontare la vita. Avevo paura che tutto fosse già
finito ed io non avessi vissuto veramente. Avevo visto già tutta la
mia esistenza programmata. Il lavoro, la famiglia, la vecchiaia e la
morte, tutto in rigoroso percorso inevitabile. Quando sulla soglia
dei venticinque anni mi sono accorto che l’università stava per
finire e che mio padre mi aspettava in bottega per lavorare, sono
impazzito. In quel periodo non sapevo assolutamente cosa volessi
fare. Avevo studiato per anni senza essere interessato
minimamente a quello che leggevo. Non sapevo che fare della
mia vita, ma ero consapevole che comunque non potevo
continuare a fare l’indeciso, e dovevo crescere. Sarei dovuto
tornare a Lassina finita l’università, e avrei cominciato a lavorare.
Un lavoro che non volevo.
In un paese che non volevo.
Ma anche andare avanti a studiare non mi interessava! Eppure
tutti attendevano il mio ritorno, e si aspettavano qualcosa da me.
Mio padre, mia madre, gli amici e perfino tu, mi stringevate in
una morsa soffocante”.
“Io non ho mai fatto niente di tutto questo!” dice Claudia
sorpresa.
“Certo che non l’hai mai fatto, ma inconsciamente era così! Mi
sembrava di leggere negli occhi di tutti la frase: ‘Adesso Luca
finiscila di fare lo scemo e metti la testa a posto’. Forse era solo
una mia impressione ma io ci stavo male da morire. Ognuno di
voi voleva qualcosa da me, mentre io non sapevo ancora cosa
volevo da me stesso.
A me interessava solo la musica, nient’altro”.
“Questo l’ho sempre saputo”.
“Sì, ma la musica non è un lavoro normale; non è come
presentarsi in una ditta dopo avere letto l’annuncio sul giornale
per farsi assumere. La musica non può essere un lavoro… Va a
fortuna! E intanto che aspetti la svolta devi pur fare qualcosa, no?
Devi pur lavorare. E non è detto che il colpo di fortuna arrivi…”.
Scivolo giù dal letto e mi siedo per terra, con la schiena poggiata
sul materasso. Claudia si sdraia avvicinandosi con la testa per
ascoltarmi.
101
“Sapevo già che se fossi tornato a Lassina sarei rimasto. Questo
paese mi avrebbe risucchiato, mi avrebbe mangiato l’anima
lentamente, facendo scivolare via tutti i miei sogni e prendendosi
le energie. Claudia ma non capisci?! Se fossi tornato qui sarei
morto! Io dovevo vivere”.
“Ed alla fine il colpo di fortuna è arrivato…” dice sussurrando.
“Già. Quando ho conosciuto il Boss è come se mi avessero gettato
un salvagente. Mi sono salvato dall’annegamento di una vita già
scritta. La sfida in radio mi appassionava. Col passare dei giorni
mi sono reso conto che stavo finalmente vivendo in un mondo che
volevo. Vedevo la mia vita programmata cancellarsi poco a poco.
Sentivo che c’era solo l’imprevisto davanti a me, e ne ero
estremamente felice. Ho cominciato ad accantonare l’università e
a trovare scuse sempre diverse per non tornare a casa. D’altronde
i miei non mi hanno ostacolato più di tanto, visto che comunque
lo stipendio era buono ed era un’occasione da non perdere. Poi è
arrivato l’appartamento sui navigli, un po’ di successo, e la
possibilità di registrare un album con dei musicisti professionisti.
Insomma, avevo tutte le scuse per non andare più via da Milano, e
così ho fatto. Tutti se ne sono fatti una ragione, i miei genitori per
primi. Ed io finalmente avevo trovato un equilibrio. Insomma, ero
felice! Non mi interessava affatto avere perso la mia vita
passata… A parte naturalmente gli amici… e te.
Massi, Renzo e gli altri mi venivano a trovare a Milano, capivano
la mia avversione per Lassina e non se ne facevano un problema.
Tu invece non lo hai mai capito”.
Claudia mi osserva senza dire una parola, aspetta che io prosegua.
“Io ti ho sempre voluto bene, per me sei sempre stata un’amica,
una sorella, mia mamma e mia nonna insieme” sorrido mentre
faccio questo esempio, “E la persona che mi mancava di più nei
primi mesi a Milano eri tu. Ma io non volevo tornare a Lassina e
tu non passavi mai dai navigli, quindi è tutto finito come
sappiamo bene entrambi… Ma Claudia, dovevo agire in quel
modo! Io sarei impazzito. Sarei impazzito…”.
102
Sabbie mobili
Claudia resta un momento in silenzio, mi accorgo che neppure lei
sa cosa dire. Sembra sul punto di parlare quando si volta
all’improvviso dicendo:
“Sì, è quello che mi hai sempre detto. Almeno in questo non sei
cambiato”.
“Già”.
“Ma adesso sei veramente felice? Hai risolto ogni tuo
problema?”.
“In che senso?”.
“Se sei a posto. Se hai trovato tutto quello che volevi e non hai
più nessuna paura”.
“Sì, credo di sì”.
“E allora perché hai aspettato tanto a tornare? Se non era per il tuo
capo non saresti qui neppure ora”.
Rimango basito ascoltando le sue parole che toccano qualcosa nel
profondo.
“L’hai detto tu stesso che non avevi la minima intenzione di
tornare a Lassina, ma solo dopo mesi di insistenze sono riusciti a
convincerti. Perché? Luca mi devi dire perché. Se veramente eri
in pace con te stesso ed avevi cancellato le insicurezze, come mai
rifiutare nuovamente questo paese? Cosa c’è qui che ancora non ti
piace?”.
“I-io, non so…” rispondo.
“Sai” dice Claudia sdraiandosi sul letto “Ci ho pensato tanto in
questi anni. Eppure non ho trovato nessuna risposta. Ti conosco
da sempre, ho vissuto con te ogni emozione. La nostra rabbia di
essere chiusi in una vita monotona era simile. Abbiamo lottato per
tanti anni; abbiamo gridato, pianto e riso insieme. Ma quando i
nodi sono venuti al pettine te ne sei andato. Non ti ho mai
accusato per questo, ma del fatto che sei sparito completamente.
Io ero qui, sono sempre stata qui. Eppure ti sei rifiutato di tornare.
Come se esistessero delle sabbie mobili che anche se fossi passato
di sfuggita ti avrebbero impantanato a Lassina.
103
Era di questo che avevi paura? E’di questo che hai ancora paura?
Quali sono queste sabbie mobili? Devi dirmelo. Altrimenti non
riuscirò mai a spiegarmi perchè ancora oggi ti rifiuti di tornare”.
Guardo Claudia perplesso, ho perso le parole. Resto per degli
interminabili istanti in silenzio prima di dire:
“Non so, ti giuro che non lo so. Forse hai ragione, c’è qualcosa
che non sono ancora riuscito a risolvere. Come dici tu ci sono
delle sabbie mobili che possono catturarmi e trattenermi qui. Però
neppure io so quali sono. Non riesco a spiegarmi del tutto
l’inquietudine che mi procura questo posto. Eppure devo
ammettere che ora sto bene. Sto davvero bene! Probabilmente è il
fatto che ti ho rivisto, che ho incontrato nuovamente i vecchi
amici; e questa situazione strana che stiamo vivendo, di avere
formato ancora la Compagnia come un lungo salto indietro nel
tempo. Non lo so. Credimi, non lo so”.
“Ti credo”.
“E fai bene” ribatto “Ascolta” dico afferrandole una mano, “Se
mai scoprirò cosa sono queste sabbie mobili e la paura che mi
porto dentro nascosta da qualche parte, tu sarai la prima a saperlo.
Anzi, ti chiedo di aiutarmi a scoprirlo…”.
Mi guarda con occhi decisi prima di dire:
“Lo farò”.
“Sempre se ci sarà qualcosa da scoprire…” ribatto con mezzo
sorriso.
Claudia mi osserva curiosa per un attimo.
I nostri visi sono a pochi centimetri di distanza.
Sento una strana leggerezza in fondo al cuore, il suo viso mi
ipnotizza spazzando tutti i pensieri cupi e malinconici. Le sue
labbra sembrano un fiore.
Mi è mancata così tanto che provo un’ irrefrenabile voglia di
baciarla. Anche se è la mia migliore amica, nonostante la
consideri come una sorella non riesco a togliermi dalla mente di
baciarla. Mi chiedo se non sia quello che veramente voglio…
Claudia non sarà tutta colpa tua?
Un attimo prima di chiudere le palpebre e di avvicinare le mie
labbra alle sue sento la voce di mia madre dalla cucina:
“Ragazzi, è pronta la torta!”.
104
Abbasso lo sguardo improvvisamente, sorpreso dalla timidezza.
Per un istante mi chiedo se Claudia abbia percepito i miei
pensieri. Mi vergogno come un bambino. Sollevo nuovamente gli
occhi e noto che neppure lei mi sta guardando, ma fissa il
pavimento con un leggero sorriso…
“Andiamo scemo” dice dandomi una spinta e scuotendosi
dall’immobilità, “Non vorrai far aspettare la mamma?”.
La osservo alzarsi con un bel sorriso e uscire dalla camera per
dirigersi in cucina. Cammina a piedi nudi nella stanza. Guardo la
sua figura longilinea fermarsi prima di dire:
“Ti muovi?!” voltandosi indietro sulla soglia della porta.
“Arrivo arrivo…” rispondo alzandomi con un lieve calore sulle
guance. Claudia scappa via mentre tiro un lungo respiro di
sfinimento, prima di imboccare il corridoio che porta in cucina.
105
9
E sono ancora qui
Qui con le mie domande
E sono ancora qui
Cosa farò da grande?
Gino Paoli
Sigaretta…
Torniamo in camera con ancora le briciole della torta sulle labbra.
Briciole si fa per dire perché più che altro sono pinoli e
cioccolato, ingredienti necessari per una torta Paesana. Mia madre
è una vera maestra nel farla. Ne è la prova che due casalinghe
vicine di casa sono arrivate quando hanno sentito il profumo, ed
ora sono in cucina a mangiarla.
Non vedo l’ora che arrivi stasera per divorarne un’altra bella fetta.
Pochi minuti fa ho ricevuto una chiamata da Renzo, che mi
annunciava il suo arrivo insieme a Massi. Tra poco saranno qua e
la compagnia del Flagello vivrà un altro pomeriggio insieme,
cercando di combinare qualche disastro come ai vecchi tempi.
In attesa del loro arrivo io e Claudia torniamo in camera per
mettere via i cd.
“Vediamo se c’è ancora…” dico avvicinandomi alla scrivania.
“Che cosa?” domanda lei.
Apro un paio di cassetti frugando tra vecchi fogli e fotografie,
lettere e biglietti di concerti finché lo trovo: un pacchetto di
Marlboro ancora mezzo pieno.
“Eccolo!” esclamo contento.
“Ma è vecchissimo” dice Claudia avvicinandosi, “Non vorrai
fumarne una, saranno tutte secche!”.
106
“E allora? Mica vanno a male” ribatto sfilandone una. Tiro fuori
anche i Minerva rimasti nel pacchetto e la accendo, aspirando una
lunga boccata di fumo.
Comunque Claudia ha ragione, il pacchetto è davvero vecchio. E’
uno di quelli che non ha le odiose scritte a caratteri cubitali ‘Il
fumo uccide’, ‘Il fumo invecchia la pelle’ e ‘Provoca malattie
cardiovascolari’. Deve avere come minimo cinque anni.
“Ahh, dopo la torta ci voleva!” commento soddisfatto mentre apro
la finestra.
“Certo che sei proprio strano” dice Claudia incrociando le
braccia, “Non hai mai perso questo vizio di fumicchiare ogni
tanto. Quante ne fumi al giorno? Anche a Milano lo fai?”.
“Certo, anche a Milano. Posso fumarne una, come posso fumarne
dieci oppure nessuna. Non è cambiato niente rispetto a quando
abitavo qua”.
“Ma non è ora di liberarti di questo vizio?” dice Claudia
sedendosi sulla scrivania, “Non ti senti schiavo della sigaretta?”.
“Come?” domando un po’ stupito.
“Proprio tu che sei sempre alla ricerca della libertà” continua lei
“Che ti vanti di essere indipendente!” dice accentuando la frase
per prendermi in giro. “Fumare è una dipendenza bello mio,
quindi non venire più a raccontarmi storie sulla tua fantomatica
libertà” conclude con un ampio gesto delle mani, accennando un
sorriso.
Io resto a guardarla con un sopracciglio alzato, con la chiara
intenzione di invitarla a proseguire.
“Te ne sei andato per avere la tua libertà. Perché a Lassina ti
sentivi imprigionato. Hai cambiato addirittura vita nel nome della
tua libertà! Dai Luca, non mi puoi cadere su una sigaretta!”.
“Hai finito?”.
“Non ancora. Non sei credibile Luca. Ecco, adesso ho finito” dice
concludendo la sua provocazione.
“Bene” dico osservandola con cipiglio da professore.
Dalla sigaretta lunghe spirali di fumo salgono fino al soffitto.
Getto un po’ di cenere fuori dalla finestra.
“Allora sappi che la libertà non sta nel fumare la sigaretta, ma nel
decidere di fumarla”.
107
“Come?!” esclama Claudia divertita.
“Dal punto di vista della libertà non c’è nessuna differenza tra chi
fuma e chi no”.
“Questa è bella! Cos’è, un’ altra delle tue assurde teorie? Un
esempio della tua filosofia spicciola?”.
“Può darsi”.
“Ok, sentiamo cos’hai inventato questa volta” commenta
incuriosita. Anni fa questi scambi di pensieri erano il nostro pane
quotidiano. Io e Claudia parlavamo per ore provocandoci
continuamente. Ed ora stiamo per confrontarci di nuovo.
“Va bene, l’hai volto tu. Credo che quando il ‘Non fumatore’
dice al ‘Fumatore’ di essere schiavo della sigaretta, sia schiavo a
sua volta. E’ schiavo del Non fumare! I non fumatori
assolutamente convinti della loro causa, e che non hanno mai
provato a fumare una sigaretta, sono schiavi della non sigaretta.
Non sanno il piacere che prova il fumatore a gustarsi una bionda.
A gustarsi quella vera, quella dopo il caffè, quella serale rilassato
in poltrona. Si privano per scelta di provare a capire. Rifiutano il
fumo a priori, perché fa male, e ne hanno ben donde. Ma sono
schiavi anche loro della sigaretta! Nel senso contrario sono
schiavi pure loro delle bionde”.
“Ma tu non fai parte di nessuna delle due categorie” osserva lei.
“Appunto. Il mio modo di fumare è strano ma libero. Io fumo una
sigaretta ogni tanto, senza avere nessun tipo di vizio o
dipendenza. Passo giorni, settimane o mesi senza toccare una
paglia, ma poi nei momenti giusti so fumare e gustarne veramente
il sapore, il momento, l’atmosfera che si viene a creare. Non
posso collocarmi nella categoria fumatori ne in quella dei non
fumatori. Al massimo sono un libero fumatore. Non sono schiavo
della sigaretta, ma nemmeno dipendente dal proibizionismo che si
è venuto a creare. Io fumo quando ne ho voglia, se ne ho voglia,
sapendo quello che guadagno o che perdo. Non è la sigaretta che
comanda me, sono io che la gestisco. E’ qualcosa che so che c’è e
che se mi va posso prendere e apprezzare. Chi non fuma si perde
un universo di sensazioni che non potrà mai capire. Ovviamente
lo stesso concetto è ribaltato dal punto di vista del fumatore; i
gusti sono più svegli, il fisico risponde meglio. Insomma, sia i
108
fumatori che i non fumatori si perdono qualcosa. Io credo di
sapere apprezzare entrambe le caratteristiche. Ho imparato a
fumare ma non sono mai riuscito a prendere il vizio. La so gustare
e non la attacco a priori, non mi allontano davanti a lei. E’ una
presenza che non mi dà alcun tipo di fastidio e che so apprezzare.
Certo, se fossero tutti come me le multinazionali del tabacco
andrebbero in rovina. Ma credo sia l’approccio migliore alla
sigaretta. Dovrebbe essere fumata così. Un po’ come facevano gli
indiani d’America con il Calumè della pace. Cioè come punto di
incontro e piacere vero. Io sono un libero fumatore”.
…e Libertà
“Ecco dove volevi arrivare!” esclama Claudia seduta sulla
scrivania con le gambe a penzoloni, “Volevi riuscire a dimostrare
che sei libero anche usando le sigarette come esempio”.
“Certamente”.
“Non ti sembra che i tuoi ragionamenti siano un po’ complicati?”.
“Affatto. Il rapporto che ho con la sigaretta non è nient’altro che
la rappresentazione in miniatura della mia libertà. Claudia, io mi
ritengo libero, o almeno tento di esserlo. Diciamo che ci sto
lavorando. Appeso al mio petto c’è un cartello con scritto:
“Lavori in corso. Libertà in costruzione”. E, come la maggior
parte delle persone rifiuta, la definizione di libertà più semplice è
anche quella più vera. Cioè Libertà vuol dire ‘Poter fare quello
che si vuole’. Ovviamente la difficoltà sta nel capire se quello che
si fa lo si vuole davvero, o si è condizionati dal mondo che si ha
intorno, dalle situazioni e dalle circostanze. La definizione di
libertà è semplice, ma essere liberi davvero è difficilissimo, quasi
impossibile. Si è sempre dipendenti da qualcosa, anche se a volte
non ci si rende neppure conto. Come il Non fumatore che è
schiavo della sigaretta nel senso opposto; non sa neppure di
esserne vincolato, eppure crede di essere libero. La libertà sta nel
prendere davvero coscienza dei propri limiti e delle proprie paure
e cercare di non farsi condizionare. O almeno essere consapevoli
della propria limitata libertà. Una volta che si ha la
109
consapevolezza si è già fatto il primo passo verso la vera libertà.
Ma la padronanza delle proprie azioni è facile; è la gestione del
nostro pensiero che è difficile. Io mi sento libero perché cerco di
capire in ogni momento, in ogni cosa che leggo, che sento e che
vedo, cosa mi condiziona e cosa no”.
“Ho capito Luca, ma se devi pensare in ogni istante a quello che
fai, diventi matto, non riesci più ad andare avanti”.
Rimango a guardarla con espressione da professore.
Mi piace assumere questo atteggiamento di superiorità con
Claudia, perché so che la faccio arrabbiare. Anche se lei è l’unica
persona che può capire i miei astrusi ragionamenti, nonostante
faccia di tutto per darmi contro.
Ma ora stiamo più che altro giocando, cercando di rivivere i
battibecchi di quando avevamo vent’anni.
“Sì, ma la libertà tocca chiunque, Claudia. Tutti siamo liberi e
tutti dobbiamo fare i conti con lei. Anche se bisogna saper
distinguere chi è veramente libero da chi non lo è affatto”.
“Cioè?”.
“Non lo è necessariamente l’anarchico che va per il mondo senza
avere una casa, assaporando ogni magia che può proporgli questa
vita” dico agitando la mano “Ma può essere libero l’impiegato
che si alza al mattino e va a lavorare sempre nello stesso posto da
venticinque anni, che ha una famiglia, paga le tasse e rispetta sia
le leggi dello Stato che della religione a cui appartiene.
L’anarchico può essere pieno di paure di se stesso che lo fanno
impazzire nel profondo, mentre l’impiegato può avere la mente
libera e non farsi condizionare dal giudizio degli altri ma solo dal
suo. Quest’ultimo può, solo dopo averci ragionato, decidere di
essere devoto alla moglie e ad una vita relativamente ‘banale’,
perché lo ha scelto davvero con la propria testa, e non perché gli è
stato imposto dal mondo che lo circonda”.
“Accidenti che paroloni, sei sicuro di quello che stai dicendo?”.
“Certo. In pochi hanno scelto davvero la vita che stanno vivendo.
Tutti crediamo che sia così, ma in realtà molto spesso ci
accontentiamo, e consumiamo un’esistenza che comunque ci
piace, convinti che era quello che volevamo. Ma come facciamo a
sapere se era quello che desideravamo davvero? Molto spesso
110
viviamo la vita che ci hanno insegnato a vivere, conosciamo solo
il mondo che ci hanno presentato. Come facciamo a sapere se era
davvero quello che volevamo? Questo è uno dei motivi per cui
me ne sono andato da Lassina cinque anni fa… Se assaggi una
cosa e ti piace, non è detto che non ci siano altre cose squisite da
provare. Ma a noi basta così, prendiamo quello che ci interessa e
ce lo teniamo stretto. E magari perdiamo di vista una cosa che ci
avrebbe fatto impazzire molto di più della nostra scelta. Oppure,
ancora peggio, scartiamo subito una cosa che non ci piace,
convinti che non faccia per noi, ma che magari, assorbita
veramente, potrebbe essere quella che desideriamo davvero.
Come un Cd che al primo ascolto non piace. Può darsi che col
passare del tempo, con l’ascolto costante, ci piaccia veramente e
ci faccia scoprire delle cose che con la nostra pigrizia avremmo
rifiutato.
Proprio dalle cose scartate possono nascere le sorprese più belle.
Come il Non fumatore che rifiuta di provare una sigaretta. Magari
potrebbe piacergli davvero e fargli provare rilassanti sensazioni.
Ovviamente senza rimanerne schiavo. Bisogna prima tentare di
capire il piacere che ne può derivare e poi prendere la decisione;
che sarà veramente libera. Una decisione che rispecchia davvero
il tuo essere e non nata per partito preso.
La nostra vita spesso è vissuta per partito preso.
C’è, eccola qua, viviamola, punto. Ma la libertà non è prendere
quello che c’è, ma sapere davvero di volerlo prendere. La libertà è
un ideale. La libertà è una condizione. La libertà è uno stato
mentale”.
“Mi stai facendo venire mal di testa”.
“Dici?”.
Lei sbuffando apre un’antina del mio mobiletto e afferra il
dizionario. Sfoglia le pagine velocemente. E’ un Devoto Oli di
quando eravamo alle medie, trova la parola Libertà e legge la
definizione:
“Senti qua: stato di autonomia essenzialmente sentito come
diretto, e come tale garantito da una precisa volontà di coscienza
di ordine morale, sociale, politico”.
“E io cos’ho detto?”.
111
Mi osserva con sguardo di compatimento.
“Va beh, ma di quello che c’è scritto lì non si capisce niente!
Molto meglio il mio esempio con la sigaretta”.
Claudia fa una piccola risata prima di dire:
“Sei sempre il solito complessato del cazzo!”
“Grazie” dico facendo un piccolo inchino, “E tu una studentessa
di Oxford”.
Ci guardiamo e sorridiamo.
So benissimo che ha capito tutto quello che intendevo dire. Io e
lei abbiamo sempre ragionato in simbiosi. E’ l’unica persona al
mondo che mi potrebbe leggere nel pensiero, e qualche volta ho il
sospetto che lo faccia sul serio.
Com’è bella in questo momento…
Il sole che entra dalla finestra le illumina il viso e le gambe nude,
facendola sembrare una bambolina di seta.
Il suo sorriso mi scalda come neppure cento soli saprebbero fare.
Sento la porta di casa spalancarsi e due voci conosciute inondare
il corridoio:
“Salve signora, come va??”.
“Ha fatto una torta vero? Abbiamo sentito il profumo fino in
strada”.
Renzo e Massi sono entrati senza suonare il campanello, bussando
direttamente alla porta per farsi aprire da mia madre.
Vogliono farmi fuori il dolce, ne ho la certezza.
Da piccoli mi svuotavano il frigorifero, sbafandosi tutto quello
che trovavano e lasciandomi a bocca asciutta.
Ricordo che mi incazzavo come una bestia.
E più mi incazzavo più loro mangiavano.
“Ne volete una fetta?” chiede mia madre.
“Ma certo signora”.
“No mamma!!!” dico mentre scatto in corridoio.
Claudia dietro di me ride divertita.
Arriviamo in cucina appena in tempo per vedere Renzo e Massi
con due enormi fette di torta in mano, chiaramente già morsicate.
Sono così grandi che sembrano una bistecca fiorentina!
Sul sottopiatto ci sono solo le briciole.
112
Claudia Massi e Renzo se la ridono sotto i baffi. Addio alla mia
fetta serale.
Fisso mia madre con sguardo accusatorio.
Lei in risposta allarga le braccia dicendo:
“Cosa dovevo fare? Dirgli che non potevano assaggiarla?”.
Sì.
Era proprio quello che doveva fare.
113
10
Ognuno vada dove vuole andare
Ognuno invecchi come gli pare
Ma non raccontare a me
Che cos’è la Libertà!
Francesco Guccini
Nachos
Il suono del clacson della macchina di Renzo mi dice che devo
uscire:
“Ciao Mà, io vado”.
“Dove?”.
“Non lo so, penso da qualche parte a bere” dico mentre mi infilo
al volo una maglietta nera e apro la porta di casa. Renzo Massi e
Claudia stanno aspettando in cortile.
“Ciao Bagai” saluto sedendomi sul sedile posteriore con Claudia;
Massi prende il posto del passeggero davanti, mentre Renzo
afferra il volante della sua Grande Punto. Questa è una delle
poche volte in cui vedo Renzo guidare la sua macchina d’estate e
lasciare a casa la moto.
Come al solito la serata è calda, e non potrebbe essere altrimenti
in questo mese di Giugno. Anche se siamo tutti e quattro
disoccupati, non troviamo il tempo (ovviamente per pigrizia) di
programmare le nostre serate, quindi credo che anche stasera
bighelloneremo per le strade della Brianza.
“Allora che si fa?” chiedo a tutti.
“Non ne ho la più pallida idea!” risponde Claudia con un sorriso.
114
“Ahh, che figata!” commenta Massi mentre Renzo ingrana la
prima “E’ questo il bello, non sapere cosa fare. Oziare tutto il
giorno in una eterna vacanza!”.
Giriamo per qualche chilometro ascoltando musica e cercando di
farci venire un’idea per la serata. Di fermarci al Bar di Claudia
non se ne parla neppure: ci andiamo praticamente tutti i giorni ed
abbiamo voglia di cambiare aria. Detoniamo ottani di benzina su
strade sterrate, su e giù per le colline brianzole: qualche isolato
lampione ci illumina la via, mentre passiamo accanto a case
coloniche o ville con ettari di giardino. La Brianza nonostante sia
poco raggiungibile dalle strade statali è una zona molto ricca. Qui
ci abitano noti imprenditori lombardi che attirati dal verde e dalla
tranquillità costruiscono il centro del loro impero, facendo
prosperare la propria famiglia.
Passiamo davanti a diversi locali per dare una sbirciata all’
interno cercando l’ispirazione. Ma nessuno di loro ci attira, così
continuiamo a viaggiare accompagnati dalla musica
dell’autoradio.
Quando all’improvviso suona il cellulare di Massi:
“Ciao Ale” dice Massi “Dove sei?”.
Deve essere Alessandro, il “cognato” di Claudia.
“Non stiamo andando da nessuna parte per ora” prosegue Massi
“…dici davvero? Ma che storia, molto bene” commenta girandosi
verso di noi; “Alessandro dice che al Nachos c’è la festa della
Tequila. Ci sono dei tipi che servono da bere con l’imbuto. E’ una
figata; che dite, andiamo?”.
“Certo!” esclamo io intanto che Renzo fa inversione di marcia.
“Alessandro è già lì?” chiede Claudia.
“No, rimane al bar con tua sorella, ma ha voluto darci la dritta”.
Massimo chiude la comunicazione mentre ci dirigiamo nel locale
che ci hanno suggerito.
Il Nachos si trova al confine fra tre paesi, e per raggiungerlo
bisogna passare in mezzo a grandi campi di grano. Visto da
lontano sembra una cascina lasciata andare, ma dentro è un locale
enorme, con anche un palco dove si esibiscono i più svariati
gruppi rock. Lo stile è quello messicano, ma al di là del tema che
115
l’accompagna è un locale al cento per cento, che serve qualsiasi
tipo di bevanda.
Parcheggiamo e scendiamo.
All’interno i posti sono quasi tutti occupati e come previsto una
band sta suonando dal vivo. Ci sediamo in un tavolino al centro
del locale, notando i ragazzi della Josè Quervo che stanno
passando in mezzo alla gente per servire tequila. Alessandro
aveva ragione. Sono due ragazze e un ragazzo vestiti di rosso;
quest’ultimo tiene tra le mani un imbuto gigantesco che infila
direttamente in bocca alla gente, per poi rovesciare al suo interno
la bevanda. Le ragazze tengono diverse bottiglie di tequila appese
alla cintura. Li guardiamo affascinati per qualche momento,
finché decidiamo di chiamarli. Dopo qualche minuto si
avvicinano al nostro tavolino da quattro; Claudia si trova seduta
di fronte a me, mentre Massi e Renzo sono ai miei lati. Subito
Renzo chiede:
“Come funziona sta storia? Come facciamo a ordinarvi da bere?”.
La ragazza bionda inizia a rispondere, e adesso che la guardo così
da vicino mi accorgo che è un pezzo di gnocca straordinario:
“Dunque, per ordinare dovete solo alzare il braccio tenendo in
mano il foglietto bianco della Josè Quervo, che vedete appoggiato
sul tavolo” dice indicando i tagliandi davanti a noi. “Questo serve
per far capire che non volete i camerieri del Nachos, ma volete
noi. Dopodiché ci dite come volete bere, se nel classico
bicchierino da Chupito, o direttamente dall’imbuto. E’ ovvio che
con l’imbuto ve ne daremo di più”.
“Quanto costa un’ordinazione?” chiede Massi.
“Tre euro”.
“Poco” commento io.
“Dopo che avrete bevuto vi daremo un altro tagliandino bianco”
dice la ragazza mora, anche lei molto bella, “E vi basterà
sventolarlo di nuovo per chiamarci”.
“E poi ci sono i premi” interviene il ragazzo con in mano
l’imbuto. “Con la prima consumazione vi regaliamo un’agendina,
con la seconda un accendino” spiega mostrandoci i regali che ha
legato alla cintura. I gadget sono molto carini e colorati; intuisco
116
subito che con le nostre capacità alcoliche faremo man bassa di
premi.
“Va bene!” esclama Massi “Una tequila per me”.
“Una tequila per tutti” dice Claudia con un largo sorriso.
“Ok, come la volete?”.
“Ovviamente con l’imbuto”.
“Bene ragazzi, già mi piacete!” commenta il ragazzo cominciando
ad allungare l’imbuto nella direzione di Renzo. Ci allarghiamo
per fare spazio ed osservare meglio la scena. Il ragazzo fa alzare
la testa al nostro amico e gli infila l’imbuto in bocca, mentre con
l’altra mano comincia a suonare un campanaccio (tipo quelli che
portano appesi al collo le mucche) che fa un fracasso assordante.
Subito le due ragazze sfilano dalle cinture le bottiglie e
cominciano a rovesciarle nell’imbuto. L’attenzione di tutto il
locale adesso è rivolta su noi. Gli animatori della Josè Quervo
sanno veramente fare il loro mestiere! Renzo comincia a deglutire
in modo forsennato la tequila che gli arriva direttamente in bocca.
La sua faccia assume espressioni di panico mentre beve a più non
posso. La scena è veramente divertente, ed io Massi e Claudia
ridiamo come pazzi nel vedere Renzo in difficoltà.
“Olè!” esclama il ragazzo che leva l’imbuto dalla bocca del nostro
amico e subito si avvicina a me. La scena si ripete, ed io mi trovo
a bere quantità industriali di tequila a velocità supersonica, per
evitare che mi si rovesci addosso se non dovessi riuscire a
tracannarla tutta. Il che ovviamente avviene. Ma non perché non
sia riuscito a berla, ma perché inevitabilmente qualche goccia ti
lava quando l’imbuto si allontana. Comunque il tutto è
estremamente divertente, e lo dimostro dando un cinque a Renzo
appena finito di bere. I tre ragazzi poi si avvicinano a Massi che
beve senza problemi, e a Claudia che prosciuga tutto come una
spugna.
I premi
117
“Bravi” dice la ragazza mora, “Eccovi le agende” e rovescia sul
tavolo quattro piccoli libricini con stampato un bicchiere di
Tequila.
“E poi che premi ci sono?” chiede Claudia osservando il regalo
appena ricevuto.
“Se ci chiamate per cinque volte vincete il nostro cappellino”
spiega il ragazzo indicando quello che ha in testa.
“Bello!” dico, “Fai conto che sia già mio”.
“Te lo auguro, ma guarda che cinque imbuti sono tanti”.
“Non ti preoccupare” interviene Massi, “Se diciamo che
riusciremo a prenderli ti conviene già metterceli in testa”.
“Ha ha ha!”ridono le ragazze alla battuta di Massi, senza sapere
che non è affatto una battuta.
“E si vince qualcos’altro se beviamo ancora di più?” chiede
Renzo.
“Qualcos’altro?! Sì, quelle magliette della Josè Quervo laggiù”
dice indicando dietro al bancone, dove ci sono appese delle
maglie a maniche lunghe nere. “Ma quelle sono veramente
difficili da vincere. Raramente riusciamo a regalarle, e di solito va
a nostra discrezione, se vediamo che i clienti hanno veramente
bevuto tanto”.
Io Renzo Massi e Claudia ci guardiamo sogghignando; sappiamo
benissimo che quelle magliette saranno nostre. Questi ragazzi
della Josè Quervo non sanno con chi hanno a che fare.
“E quello zaino di fianco alle magliette?” chiede Renzo “E’
vostro anche quello?”
“Certamente”.
“E cosa dobbiamo fare per vincerlo?”.
“E’ impossibile” esclama il ragazzo “Nessuno lo ha mai vinto.
Per portarlo a casa ne dovete bere di Tequila!”.
“Esagerati” commento divertito.
“E’ vero” continua la ragazza bionda “Da quando faccio questo
lavoro non sono mai riuscita a regalarne neanche uno. E che io
sappia nessun altro collega lo ha mai fatto. Quello zaino
sostanzialmente è lì per bellezza; chi lo vuole davvero di solito se
lo compra”.
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“Ellamadonna!”. Ci guardiamo divertiti e al tempo stesso caricati,
mentre i ragazzi vestiti di rosso si allontanano per servire altri
tavoli.
“Io dico che dobbiamo tentare” dice Massi divertito.
“Certamente” risponde Claudia “Pensavi che ci saremmo arresi
senza neanche provare?”. Tutti e quattro prendiamo il bigliettino
bianco che ci hanno appena lasciato sul tavolo, ci guardiamo, e
pronunciamo all’unisono le tre paroline magiche:
“Pronti, partenza… Via!”.
Alziamo tutti e quattro il braccio e diciamo ad alta voce:
“Sete! Seteee!!” sventolando il talloncino bianco.
Subito i ragazzi della Josè Quervo ci notano e appena finiscono di
servire un tavolo si avvicinano a noi.
“Eccoci qua” esclama la ragazza bionda che si avvicina
servendomi per primo.
In un batter d’occhio ogni membro della Compagnia del flagello
beve dall’imbuto e si ritrova per le mani i famosi accendini. Ma
appena i camerieri appoggiano sul tavolo i nuovi tagliandi li
afferriamo e iniziamo a sventolarli come qualche minuto prima:
“Seteee!”. Le ragazze ci guardano stupite di fronte a questa
immediata ordinazione.
“Accidenti, non scherzate voi” commenta il ragazzo mentre inizia
a rimboccarsi le maniche per la nostra terza ordinazione. Le
persone sedute ai tavoli intorno a noi cominciano ad osservarci
con occhi curiosi, come se fossimo strani animali da alcool che
possono essere tenuti a bada solo a sorsi di Tequila. Questa volta
non vinciamo niente e i camerieri se ne vanno lasciandoci a mani
vuote. Ci osserviamo in giro con aria allegra; adesso il locale è
gremito di gente, ci saranno circa duecento persone intorno a noi.
Il gruppo sta suonando del Dixieland come nella migliore
canzone dei Dire Strates, quando si danno da fare i Sultani dello
Swing. La cantante vocalizza come una vera professionista
mentre noi ci rendiamo conto che la tequila comincia a fare
effetto. Mi accorgo che la faccia di Renzo si muove troppo
velocemente, non è più stabile, e rido anche per le battute più
stupide. I sorrisi si fanno larghi e spontanei anche per i miei tre
compagni di tavolo, e per non perdere il ritmo ordiniamo un’altra
119
tequila. I camerieri arrivano e ci versano da bere, accorgendosi
che il loro lavoro sta facendo effetto; cominciamo a parlare ad alta
voce rispondendo alle loro battute in modo troppo accentuato.
Non siamo ancora ubriachi (dopo solo quattro giri di tequila
sarebbe umiliante) ma diciamo che stiamo viaggiando ad alta
velocità sui binari dell’allegria. I nostri vicini di tavolo ci
osservano divertiti, cominciamo ad attirare l’attenzione.
All’improvviso Massi alza la mano con il tagliandino e comincia
a sventolarlo:
“Sete!”. Subito lo seguiamo ordinando anche noi:
“Seteee!”.
Siamo a cinque ordinazioni, con questa giungiamo al traguardo
del cappellino. I tre ragazzi arrivano sorridenti:
“Finalmente possiamo dare il cappello, bravi!” dice il ragazzo,
“Vi và di fare un po’ di spettacolo, così animiamo la serata?”.
Naturalmente la nostra risposta è affermativa, ma non riusciamo a
darla, perché i camerieri passano subito all’azione. La ragazza
bionda mi viene vicino, mentre il suo collega suona il
campanaccio più forte del solito per attirare lo sguardo di chi è
seduto.
“Sei pronto per giocare con me?” dice a bassa voce ponendo il
suo viso davanti al mio. A questa distanza mi accorgo che è
veramente bellissima; il suo volto giovane e pulito fa da cornice
perfetta agli occhi azzurri che mi guardano curiosi.
All’improvviso prende la bottiglia di tequila e se la versa
direttamente in bocca, allungando il braccio per una lunga scia col
liquore.
“Guarda che dovevo berla io!” esclamo divertito, mentre anche i
miei amici osservano con occhi allegri. Immediatamente la
ragazza smette di versare il liquore e tenendoselo in bocca si
dirige verso di me. Si avvicina finché le nostre labbra si uniscono,
e inizia a rovesciare la tequila dalla sua bocca alla mia.
Ho gli occhi spalancati per lo stupore!
Sento un commento inconfondibile di Massi: “Ellamadonna!”.
Quando finisce di travasarla mi fa un larghissimo sorriso.
Rimango come un fesso ad osservarla con la bocca piena di
tequila. Deglutisco mandando giù tutto in un colpo solo, mentre
120
una gocciolina di sudore mi scende dalla tempia come nei fumetti
giapponesi; praticamente non sento la tequila bruciarmi nella
gola.
“Olee!!” Parte un applauso dai nostri vicini di tavolo mentre sento
Renzo commentare:
“Ma cazzo! Tutte a lui capitano!!”. Claudia è rimasta a bocca
aperta per lo stupore ed osserva la bionda con sguardo incredulo.
Il ragazzo della Josè Quervo intanto ha sentito il commento di
Renzo e si avvicina a lui con fare sospettoso. Si versa in bocca
una robusta dose di Tequila e fa per versarla direttamente in bocca
a Renzo:
“Se ci provi t’ammazzo!” dice Renzo puntandogli il dito contro.
Tutti scoppiamo a ridere e il cameriere manda giù facendo
nuovamente suonare il campanaccio.
I tre ragazzi ci versano da bere per la quinta volta e ci regalano i
cappellini.
“Ve l’avevamo detto che li avremmo vinti” commenta Massi
soddisfatto prima che i camerieri ci lascino per andare a servire
altri tavoli.
Ora la faccenda è peggiorata. Sento l’alcool prendermi alla testa
e il sorriso che ho stampato sulle labbra sembra incollato.
Giochi esagerati
Non riesco ad essere serio, tutto è tremendamente divertente ed
ogni battuta di Massi è geniale, degna di essere presentata allo
Zelig. Eppure tutti e quattro siamo ancora abbastanza lucidi, non
siamo arrivati ai nostri livelli. Anche se non credo manchi
molto… Soprattutto dopo che ordiniamo la sesta consumazione,
poi la settima… fino a perdere il conto.
“Seteee” diventa la parola d’ordine della serata.
La Compagnia del flagello è diventata l’attrazione del locale, ed i
proprietari cominciano a lanciarci occhiate inquietanti.
Siamo lanciati alla massima velocità; Claudia canta a
squarciagola tutte le canzoni che propone la band, Massi è piegato
dal ridere sulla spalla di Renzo il quale nell’ultimo giro ha fatto lo
121
shampoo con la tequila. Vedo Claudia ciondolare paurosamente;
la testa mi gira come da tempo non capitava. Eppure indomiti e
invincibili ordiniamo ancora sventolando il talloncino bianco! I
tre camerieri vestiti di rosso si avvicinano e dai loro sguardi
intuisco che vogliono continuare a giocare con noi.
“Alzati dai” mi dice la ragazza bionda prendendomi per un
braccio. Credo proprio che mi abbia preso in simpatia, visto che
viene sempre da me. Appena in piedi mi infila le mani sotto la
maglietta e fa per togliermela:
“Che fai?!” le dico biascicando. Lei al posto di rispondere mi
spinge per terra e mi fa sdraiare, sedendosi poi sopra di me. Mi
sfila la maglietta e rimango a petto nudo sul pavimento.
“Ma sei impazzita!” le dico coprendomi istintivamente con le
mani “Mi vuoi far prendere la polmonite?”. A queste parole
scoppia una risata generale; mi accorgo di essere circondato da
persone che guardano divertite. Massi si tira una gran pacca sulla
fronte come per sottolineare l’immensa cazzata che ho detto.
La ragazza si versa nuovamente della tequila in bocca e la travasa
nella mia esattamente come prima. Scatta l’applauso dei presenti!
Mi alzo da terra e vedo che l’altra tipa sta facendo la fontanella
spruzzando dalla sue labbra direttamente nella bocca di Massi, ed
il cameriere fa la stessa cosa con Claudia…
Non so se è a causa dell’alcool, ma sento che quest’ ultimo gesto
mi dà parecchio fastidio…
Decido di lasciar perdere e cerco di coprirmi, mentre vedo che i
ragazzi della Josè Quervo vanno a prendere le magliette a
maniche lunghe. Arriva la ragazza bionda che mi aiuta ad
indossarne una facendomi i complimenti. Ecco perché mi aveva
spogliato! Sapeva già che mi avrebbe regalato la loro T-shirt!
“E vai” commenta Massi dando un cinque a Claudia. Ci sediamo
nuovamente e questa volta siamo davvero ubriachi! Abbiamo
perso il conto di quanta tequila abbiamo bevuto. Però il nostro
tavolo è pieno di gadget e cappellini, siamo riusciti a mantenere le
promesse.
Ma per pazzia o per autodistruzione alziamo ancora la mano e
gridiamo:
“Seteee!”.
122
Sento quelli del tavolo di fianco commentare con un lungo
“Ooh”.
Mi rendo conto che questa è follia, ma non ne ho ancora
abbastanza. Il mio personale limite di resistenza non l’ho ancora
superato e a quanto pare nemmeno i miei amici. I camerieri
tornano dopo alcuni minuti per continuare con i loro giochetti.
Ormai non mi fa neppure effetto la bionda che mi salta sopra, e
loro non sanno più cosa inventare.
Continuiamo a bere come delle macchine! Non abbiamo limiti!
La Compagnia del flagello non è affatto cambiata.
Stiamo facendo una confusione incredibile, tutta l’attenzione del
locale è su di noi. I camerieri dopo l’ennesima ordinazione sono
disperati ed inventano un gioco estremo; ci fanno alzare in piedi e
ci mettono davanti al bancone del bar.
“Ragazzi, vi diamo da bere doppio se qualcuno di voi va sul palco
e grida nel microfono ‘Super Tequila!’”.
“Cosaa!?!”.
“So che ce la potere fare!”.
“Tu sei matto” diciamo al ragazzo.
“Dai che ci divertiamo! E dovete farlo a petto nudo con il
mantellino della Tequila!”.
“Ma non se ne parla proprio!”.
Passano i successivi minuti cercando di convincerci a fare questo
numero da circo, mentre noi rifiutiamo tra una risata e l’altra.
Ovviamente Claudia non lo può fare, perciò insistono con me
Renzo e Massi.
Ad un certo punto la cameriera bionda si avvicina ed inizia a
strusciarsi:
“Dai, vai a farlo, che ti costa?” dice a mezzo centimetro dalla mia
faccia. Mi infila le mani sotto la maglietta e fa per sfilarmela:
“Ancora? Ma allora è un vizio!” dico ridendo. Però la mia forza di
volontà è praticamente nulla, e in men che non si dica mi ritrovo a
petto nudo con il mantellino della tequila sulle spalle.
“Bravo, così mi piaci” dice lei. Improvvisamente mi accorgo che
sono circondato da persone che vogliono vedere la scena.
“Vai, vai!” sento incoraggiamenti da tutte le parti.
“E va bene” sbotto ubriachissimo e con la vista annebbiata.
123
Non posso deluderli!
“Pronti, partenza… Via!” dico, mentre inizio a correre tra i tavoli
cercando di raggiungere il palco.
Ci arrivo.
Inciampo in uno scalino.
La cantante mi guarda impaurita.
Mi alzo, le strappo il microfono dalle mani, e grido con tutta la
voce che ho:
“Super Tequilaaa!”.
I musicisti smettono di suonare.
Si fa un silenzio di tomba.
Io, a petto nudo, con il microfono in mano, davanti a tutto il
Nachos che mi guarda.
Improvvisamente parte un applauso pazzesco! La gente si alza
sulle sedie sbellicandosi le mani.
Mi sento l’eroe della serata.
Ma che immensa figura di merda!
“Bravo! Bravo!” gridano i clienti e gli amici ancora davanti al
bancone. Vedo Renzo che non ce la fa più dal ridere, mentre
Claudia è praticamente sdraiata su un tavolo dalle ghignate.
Scendo dal palco barcollando e li raggiungo, intanto che il gruppo
riprende a suonare. I ragazzi della Josè Quervo ci fanno i
complimenti, anche loro agitati e contenti per l’impresa che ho
appena compiuto.
Subito ci danno da bere due tequila bum-bum a testa, e stavolta al
brindisi si uniscono anche loro vuotando tutte le bottiglie che
sono rimaste.
“Alla vostra!” dicono picchiando sul tavolo il bicchiere. Che
serata ragazzi! Erano anni che non mi divertivo così! Come se
non bastasse il cameriere se ne va per tornare dopo pochi secondi
con i due zaini che c’erano appesi al muro:
“Questa è una serata storica!” dice “Avete vinto lo zaino. E non
ve ne regaliamo uno solo, ma tutti e due! Non ho mai visto
nessuno bere come voi”.
“Siamo i migliori!” urla Claudia salendo in piedi sulla sedia. Noi
la seguiamo con grida da stadio, mentre prendiamo gli zainetti
come se stessimo ritirando la medaglia d’oro alle olimpiadi. I
124
proprietari del locale ci guardano malissimo, stiamo facendo un
fracasso infernale. Claudia per poco non scivola dalla sedia, ma
riesco ad afferrarla in tempo prima che si sfracelli per terra.
Ovviamente è ubriaca, ed ha le guance così rosse che sembrano
peperoni. Anche Massi e Renzo non sono da meno.
Riempiamo la nostra ultima vincita con tutti i gadget che ci hanno
dato, mentre i tre camerieri se ne vanno.
Eppure non è ancora finita!
Come eroi nell’epoca del Mito alziamo il braccio e chiamiamo a
gran voce:
“Seteee”.
Il talloncino bianco stavolta non ce l’hanno lasciato, non
credevano potessimo giungere a tanto!
I ragazzi della Josè Quervo, che hanno finito di lavorare e si
stanno cambiando, ci vedono e si mettono le mani nei capelli.
Uno dopo l’altro li vediamo avvicinarsi al nostro tavolo
strisciando sulle ginocchia:
“Vi prego, basta! Non abbiamo più niente”.
E’ incredibile, non credevo potessero supplicarci! Un’ondata di
trionfo squarcia il velo di alcool che c’è in noi e fa dire a Renzo:
“Meno male che ne dovevamo bere di Tequila! E che vincere uno
zaino era impossibile!”.
“Che scarsi, andiamo a bere da qualche altra parte” dico io.
“Certo” dice Massi barcollando mentre si alza raccogliendo le sue
cose.
Sostenendoci l’un l’altro, ma fieri come leoni, attraversiamo il
locale e usciamo.
“E adesso dov’è la macchina?” chiede Renzo.
“Di che colore è?” domanda Claudia.
“Boh!” rispondo scoppiando a ridere. Tutti e quattro camminiamo
a zig zag ridendo come pazzi alla ricerca della Punto; ormai non
saprei riconoscere un Caterpillar da un’Ape Piaggio. Eppure
miracolosamente ci arriviamo; gettiamo gli zaini nel portabagagli
e ci sediamo all’interno. Io e Claudia ci svacchiamo dietro
mettendoci spalla contro spalla, flosci come due molluschi.
125
Stracciati
Renzo appena accende il motore si gira a guardarci e con occhi
strabici commenta:
“Ragazzi, se arriviamo a casa stavolta è un miracolo”.
“Guida cazzo!” implora Massi. La tequila ci ha ucciso. Era facile
fare i grandi quando eravamo nel locale, ma ora che siamo fra di
noi giungono a galla le prime verità. E cioè che se non arriviamo
al più preso a casa domattina ci sveglieremo in un fosso.
Renzo parte e grazie a chissà quale prodigio guida dritto. Anche
se dopo appena un minuto lo vediamo abbassare il finestrino e
cacciare fuori completamente la testa:
“Sei impazzito?” grida Claudia.
“Lasciatemi stare! Devo respirare altrimenti non ce la faccio”. Io
rido per non piangere, mentre le ruote percorrono la strada che ci
porta a Lassina.
Dopo qualche minuto Claudia chiede di fermarsi e senza pensarci
due volte apre la portiera, scende e sbocca nel prato!
“Blea!” commenta Massi disgustato.
Esco anch’io cercando di soccorrerla, ma appena mi avvicino
sento un incredibile odore di acido alla fragola e torno subito in
macchina.
Claudia strisciando rientra in auto appoggiandosi a me e
respirando rumorosamente.
Renzo riparte piano, questa volta lasciando cadere nella vettura un
minaccioso silenzio.
E’ la famosa quiete prima della tempesta. Tutti e quattro stiamo
male, e probabilmente questa notte la passeremo con la testa nel
water!
Arriviamo dopo parecchio a Casa di Claudia: ovviamente è lei la
prima che porteremo a dormire.
“Claudia… Hey Claudia” le dico cercando di sollevarla.
“Mpf” risponde con un mugugno accasciandosi di nuovo su me.
Mentre cerco di svegliarla Renzo schizza fuori dalla macchina e
va a vomitare davanti al cancelletto del signor Motta.
126
“Che bella serata” commento, ma non faccio in tempo a finire la
frase che Massi scende a va a rigettare su un panettone di
cemento.
“Bingo!” dico, mentre inizia a salire la nausea anche a me. Cerco
di non pensarci e afferro Claudia sotto le ascelle portandola fuori
dall’autovettura.
Renzo e Massi si avvicinano e pallidi come mozzarelle mi
chiedono:
“Muoviti a portarla dentro, ti aspettiamo”.
“Non vi preoccupate, torno a casa a piedi”.
“Sei sicuro?!”.
“Sì, abito a due passi. E poi devo camminare, se no sto male”.
Non se lo fanno ripetere due volte, ingranano la prima e con un
colpo di frizione da galera se ne vanno. Siamo rimasti soli io e lei,
che si è addormentata sulla mia spalla. Tiro un bel respiro e la
sollevo prendendola in braccio. Questo sforzo mi fa riprendere un
po’ di lucidità. Arrivo sulla soglia di casa e cerco di suonare il
campanello tenendola sollevata. Dopo qualche secondo vedo che
si accendono le luci del corridoio, e la porta si apre mostrandomi i
suoi genitori assonnati e in pigiama:
“Marta… Luigi…” dico salutandoli.
“Luca…” rispondono.
“Quanto ha bevuto?” chiede Luigi mentre varco la soglia.
“Niente, ha solo preso freddo”.
“Se, se… Come al solito….” dice lui. Sa benissimo che è ubriaca.
E’ solo l’ennesima volta che la porto a casa in braccio e nel cuore
della notte. Sanno che sarebbe inutile fare discussione;
probabilmente gli faranno una testa così domani mattina.
“La porto in camera…” dico percorrendo il corridoio.
“Certo” annuisce sua mamma.
Giungo davanti al letto di Claudia e la adagio delicatamente sul
materasso. Sua madre le sfila le scarpe coprendola poi con un
lenzuolo. La stanza è buia, ci siamo solo io e Marta perché Luigi è
tornato a dormire.
Osservo Claudia sotto il lenzuolo. Sembra così fragile quando
dorme; in questi momenti è più bella che mai.
Il silenzio è interrotto solo dal suo respiro regolare.
127
“Ti ha aspettato tanto…” dice Marta sussurrando.
“Lo so…” rispondo con un leggero groppo in gola che chissà da
dove è arrivato. Marta ha gli stessi occhi di Claudia, e come lei mi
conosce da sempre; è come una seconda mamma per me. Le do
un leggero bacio sulla guancia e le dico:
“Vado Marta, domani passo a vedere come sta…”.
Mi accompagna alla porta e dopo qualche minuto mi ritrovo in
strada in una calda notte d’estate.
Ormai la nausea è sparita anche se mi gira vorticosamente la testa.
Ripenso a questa incredibile serata, anche se le uniche immagini
che ho davanti agli occhi sono quelle di Claudia che dorme.
E sento ancora le parole di sua madre che dicono: “Ti ha aspettato
tanto…”.
Lo so, non ne avevo alcun dubbio.
Eppure ho sempre cercato di non pensarci; come mai adesso
provo questa sensazione strana? Come un leggero senso di
colpa…
Scuoto la testa cercando di cacciare via i pensieri, ma Claudia
resta fissa come mastice nella mia testa.
E barcollando ritorno a casa sotto la luce della luna, che stanotte
sembra splendere più che mai.
128
11
Per gli amici
butto giù
grappa, birra
e fumo quello che c'è
Clandestino
The day after
Apro la porta del Bar Lassina con un leggero mal di testa.
Non sono ancora riuscito a smaltire la Tequila di ieri sera, ma
d’altronde posso ritenermi fortunato di essere in piedi. Ho saputo
che Renzo e Massi hanno vomitato tutta notte, mentre io ce l’ho
fatta a non dare di stomaco. A quanto pare non è stata una grande
idea, perché adesso loro sono in forma al contrario di me che mi
ritrovo ancora in coma.
All’interno del bar c’è una gran confusione; vedo Renzo in fondo
al locale, seduto di fianco a Francesca, che mi saluta agitando la
mano. Poi riprende a parlare ai ragazzi che stanno con lui, alzando
un braccio al cielo in una perfetta imitazione di Superman quando
vola. Credo che questo bastardo stia imitando le mie gesta di ieri
sera, quando sono salito sul palco e ho gridato ‘Super tequila!’.
Infatti tutti i presenti esplodono in una fragorosa risata guardando
nella mia direzione. Accenno un timido saluto prima di vedere
Alessandro seduto su una panca alla mia sinistra; è grazie a lui se
ieri sera ci siamo ubriacati.
“Ueilà Ale!” saluto raggiungendolo.
“Ciao Luca” risponde “Ho saputo della performance di ieri, siete
proprio malati”, commenta mentre mi siedo accanto a lui.
129
“Lascia stare” ribatto “Ho ancora un mal di testa da competizione.
Non so se ringraziarti o mandarti a quel paese; sicuramente la
serata entrerà nella leggenda (visto che Renzo sta già spargendo la
notizia), ma erano anni che non stavo così male”.
“Giulia mi ha detto che hai portato a casa Claudia in braccio”
dice. Alessandro probabilmente sa già tutto, visto che è il
fidanzato della sorella di Claudia.
“In piena notte! Marta aveva una faccia così addormentata che
sembrava di cartapesta. Non oso pensare quante gliene avrà dette
stamattina”.
“Ha ha” ride “Mi sarebbe piaciuto esserci. Soprattutto per vedere
te a petto nudo gridare “Viva la tequila!” ”.
“Super Tequila” puntualizzo “Se devi raccontare la mia figura di
merda almeno raccontala bene”.
Bip! Bip!
Suona il cellulare di Alessandro.
Lo vedo rovistare nel marsupio e tirare fuori il videofonino.
Osservo Renzo da lontano fare ancora gesti nella mia direzione;
probabilmente starà di nuovo raccontando la nostra avventura al
Nachos.
Di Massi e Claudia neanche l’ombra; c’eravamo dati
appuntamento qua ma saranno un po’ in ritardo.
“Ciao Anna!” sento dire ad Alessandro. E’ una videochiamata
perché Ale guarda il telefono al posto di appoggiarlo all’orecchio.
“Oh cavolo, come stai?!” gli sento dire. Non posso fare a meno di
ascoltare la sua conversazione visto che mi trovo a mezzo metro
da lui, perciò dopo qualche minuto decido di intromettermi (la
mia curiosità non ha confini!).
“Ciao” dico guardando il videofonino “ Il mio nome è Luca”. Mi
appoggio sulle spalle di Alessandro e vedo nello schermino una
ragazza a dir poco meravigliosa! Capelli lunghi biondi e lisci, un
viso perfetto e due occhi azzurri come acqua. Per poco non mi
mancano le parole…
“Scusa sai, ma Ale non presenta mai le belle ragazze agli amici”.
La osservo ridere.
A mia volta guardo Alessandro e mi chiedo come possa conoscere
una ragazza così incredibile.
130
“Lui è Luca, un mio amico di vecchia data. Luca, questa è Anna”.
“Ciao Luca” dice lei con un sorriso. Prima che possa strappargli il
telefono dalle mani per continuare la conversazione con Anna
decido di allontanarmi:
“Ora me ne vado e vi lascio soli” dico “Poi questa me la
spieghi…” sussurro nell’orecchio di Ale mentre mi allontano. Lo
osservo assumere un leggero colorito rosso prima di alzarsi ed
andare fuori dal locale.
Ma tu guarda Alessandro, penso tra me e me; sembra che veda
soltanto Giulia e invece….
“Avvicinati Luca!” grida Renzo dal fondo della sala, mentre mi
accorgo che entrano anche Massi e Claudia.
Subito Claudia mi salta sulla schiena imprecando:
“Sei il solito stronzo, non potevi entrare dal retro per portarmi a
casa?”.
“Che bel ringraziamento!” dico con voce soffocata dal suo
braccio che mi stringe il collo.
“Stamattina i miei mi hanno fatto una testa così! ‘Sei una
disgraziata, hai quasi trent’anni, devi mettere le testa a posto….’,
e tutto grazie a te che li hai svegliati!”.
“Ma pensa! E come potevo fare? Tu eri addormentata ed io così
ubriaco da non riuscire neppure a camminare. La prossima volta ti
lascio in strada”.
Ovviamente sta scherzando visto che lo dice con il sorriso sulle
labbra, ma deve essere vero che Marta l’avrà sgridata per bene.
Saluto Massi avvicinandomi a Renzo; avevo ragione, tutti sanno
già delle nostre gesta di ieri sera.
I commenti che sento più spesso sono:
“Siete pazzi”.
“E’ un miracolo che siete vivi”.
“Avrebbero dovuto fermarvi”.
“Luca, hai fatto una immensa figura di merda”, dice Zanzi con la
sua naturale sincerità. Lucia è così scioccata da quello che
abbiamo fatto che continua a rimanere a bocca aperta senza
proferir parola. Incalzato dalle domande stavolta tocca a Massi
ripetere tutta la storia, mentre ci sediamo al tavolo insieme ai
nostri amici.
131
Dopo qualche minuto arriva Giulia portandoci le birre, posa una
media davanti a me e dice:
“Lo sapevo che dovevo cominciare a preoccuparmi. Da quando
sei tornato il paese non è più tranquillo…”.
“Io?!? Guarda che non ho fatto proprio niente, sono le circostanze
che mi fregano!” sbotto convinto che sia la verità. Ma Giulia
rassegnata non ci crede, e scuotendo la testa si volta e torna in
cucina.
Dopo mezz’ora mi guardo in giro cercando Alessandro che non è
ancora tornato.
“Claudia” dico “Esco a cercare Ale”. Mi alzo prendendo la birra e
me ne vado.
Alessandro
Prima però faccio tappa davanti al bancone:
“Isa, mi fai una media chiara per piacere?”.
“Subito” dice la ragazza prendendo un bicchiere e spillando il
denso liquido ambrato.
“Grazie”. Con in mano due boccali esco all’aria aperta inspirando
il caldo profumo dell’estate. La sera è limpida, non ci sono nuvole
e l’acqua del laghetto brilla come se fosse punta da migliaia di
spilli bianchi.
Cerco Alessandro con lo sguardo e lo vedo seduto su di una
panchina di legno, lontano dalle luci del Bar. Mi avvicino
lentamente, curioso come non mai di sapere la causa di questo
strano comportamento.
“Birra?” chiedo una volta che l’ho raggiunto. Lui alza la testa e
dice:
“Certo, ti ringrazio”. Mi siedo accanto a lui; facciamo tintinnare i
bicchieri in un brindisi e trangugiamo un lungo sorso.
“Come mai non vieni dentro?” dico.
“Non mi va… E poi ho già sentito la vostra avventura di ieri
sera”.
Dalla tasca tira fuori un pacchetto di Marlboro e ne accende una.
“Ne offri una anche a me?” chiedo.
132
“Certo” risponde lui allungandomi il pacchetto, “Fumi ancora a
intermittenza?”.
“Sì, non riesco a prendere il vizio”.
“Beato te”.
“Chi era la ragazza al telefono?” chiedo diretto più che mai.
Alessandro sorride e risponde:
“Certo non si può nascondere nulla a te, forse è per questo che sei
così bravo in radio, quando ascolti la gente… E’ una ragazza che
ho conosciuto diversi anni fa al mare”, inizia a raccontare. “Penso
sia stata una delle esperienze più belle che mi siano mai capitate”.
“Ma stavi con Giulia in quel periodo?”.
“Sì, era già la mia ragazza”.
“Ma… l’hai…. Cornificata?”. Sorride di nuovo a questa
domanda.
“Non nel modo che pensi tu, e comunque secondo me no. Ma non
credo abbia importanza”.
“Vai avanti”.
“Abbiamo incontrato questa compagnia di ragazze, di cui Anna
faceva parte. A lei sono piaciuto subito e mi ha provocato tutta
l’estate”.
“Ma dai?!”.
“Già! Da non crederci vero?! Sta di fatto che non ho mai provato
a darle corda pur piacendomi moltissimo anche lei. Stavo con
Giulia, non potevo farle questo torto. Eppure, alla fine della
vacanza… Insomma… Mi sono accorto che provavo qualcosa per
Anna. Non so, era una sensazione strana. Ad un tratto non potevo
più fare a meno di lei”.
“Accidenti, e Giulia lo sa?”.
“Sì, anche se non le ho raccontato tutti i particolari” fa una
smorfia d’intesa pronunciando questa frase. “Ero confuso, non
sapevo cosa volevo. Ma per la prima volta nella mia vita mi sono
guardato dentro e ho deciso di essere sincero con me stesso. Non
potevo negare questi nuovi sentimenti che stavano nascendo. Così
ho deciso di affrontarli e di buttarmici completamente. Di mettere
in gioco la mia vita e tutte le certezze che avevo avuto fino a quel
momento”. Fa una lunga pausa prima di riprendere. “I quei giorni
al mare ho deciso di stare con Anna”.
133
Resto allibito per alcuni secondi. Non credevo che Alessandro
potesse compiere un gesto del genere. L’ho sempre visto con
Giulia, loro sono la coppia che da più tempo conosco. Non
ricordo neppure quando è iniziata la loro relazione, forse sono
insieme da sempre.
“E come è andata a finire?” chiedo.
“Nel modo che tu conosci” dice “ Sono tornato da Giulia. Ho
preso le mie responsabilità ed ho lasciato andare la storia con
Anna. E ti assicuro che è stato il passo più difficile che ho
compiuto da quando sono vivo. Mi sono affrontato, mi sono
guardato dentro e ho scelto. Giulia era la mia vita, è sempre stata
la mia vita. Ho superato un muro, una barriera che mi bloccava e
che non mi faceva andare avanti. Da quel momento sono stato più
sicuro di me stesso; so ciò che voglio, diciamo che ho fatto il
primo passo verso una nuova esistenza. Ho scelto Giulia, ma non
ho dimenticato Anna. Non ci vediamo più, ma è sempre rimasta
dentro me. Stare con lei mi ha fatto crescere”.
Rabbrividisco di fronte a questa parola. Alessandro lo nota e
prosegue:
“Lo so che ti dà fastidio, anch’ io sono come te, vorrei che il
tempo si fermasse. Ma non è possibile. Però grazie a questa storia
ora sono più responsabile. Tutti i dubbi che avevo su Giulia e sul
mio futuro li ho spazzati via. Ora convivo con lei, ho una casa,
due lavori di cui vado fiero e mille progetti per la testa. Non ho
più paura di me stesso. Non ho più paura di me stesso….”.
Mi osserva mentre pronuncia questa frase.
“Mi capisci?” chiede.
“Credo di si” rispondo.
Sorseggiamo ancora birra in silenzio; le luci del bar ci illuminano
debolmente.
All’improvviso mi chiede:
Paura di me
“E tu cosa vuoi?”.
“Come??”.
134
“Tu cosa vuoi?”.
“In che senso!?”.
“Sai benissimo in che senso Luca, non fare il finto tonto”.
“Non capisco cosa vuoi dire”.
“C’è sicuramente un motivo per cui sei tornato a Lassina… E non
raccontarmi la solita storia che è stato il tuo capo a volerlo” dice
prima che possa interromperlo. “Sappiamo bene entrambi che hai
lasciato qualcosa in questo luogo, e che non saresti stato in pace
con te stesso finché non avresti risolto i problemi che avevi qui
dentro” dice toccandosi la fronte.
Sento che Alessandro tocca corde sensibili, perché in fondo allo
stomaco avverto che si muove qualcosa.
“Luca” continua sorseggiando birra “Cinque anni fa sei fuggito da
un paese di seimila abitanti. Ma scappare da una realtà così
piccola è come fuggire da te stesso. E credimi se dico che da te
stesso non scappi neppure se ti chiami Carl Lewis . Ma tu non sei
un corridore, sei solo un ragazzo confuso, e lasciamelo dire, anche
spaventato”.
“Spaventato io?! E da cosa?” rispondo con enfasi.
“Dalla tua vita” dice lui. “Non sei ancora riuscito a capire cosa
vuoi”.
“So benissimo cosa voglio!”.
“Ah sì?” continua “E dimmi, sei voluto restare a Milano tutto
questo tempo senza farti vedere perché l’hai voluto tu, o perché
avevi paura di questo paese? Magari di qualcosa in questo angolo
di Brianza che non riuscivi ad affrontare? Forse le tue radici, la
tua esistenza che non hai mai compreso e che hai trascinato come
un peso morto sulle spalle. Altrimenti non capisco come non ti sia
mai fatto vedere fino ad ora. Nessuno ti era così nemico da
costringerti ad allontanarti in questo modo, a meno che il nemico
non fossi tu stesso. Fermami se sbaglio…”.
“N-Non so…” dico cercando le parole.
“Hai sempre combattuto contro tutto” prosegue incalzante “Ogni
tuo gesto era di ribellione; questa vita ti stava stretta e distruggevi
qualunque cosa ti capitasse sotto mano. Quando avevi vent’anni
lo potevo capire, ma ora no. Adesso c’è qualcosa che non
135
funziona. Secondo me non sei ancora a posto dentro e vaghi
sempre nell’incertezza”.
“Su questo punto credo che ti sbagli”.
“Può darsi, ma cos’hai di veramente fisso nella tua vita? Pensaci
bene… La radio è un lavoro bellissimo, ma come hai detto tu è un
saliscendi continuo. Un giorno ci sei e quell’altro puoi ritrovarti
per strada. Non è il tuo caso perché so che sei in gamba, ma è
comunque un lavoro instabile, che non può essere un paletto
fermo dove appoggiarsi. Il mondo della musica, dove stai
cercando di entrare, è altrettanto variabile. E non dirmi che la
relazione con la Agrati è seria e duratura!”
Sto quasi per alterami quando pronuncia il nome di Ilaria, ma
dopo un sospiro mi fermo a riflettere, ben sapendo che
Alessandro ha ragione.
“Vedi” continua “Vale ancora il proverbio che gli amici ti
conoscono meglio di quanto tu conosca te stesso”. Fa un sorso di
birra. “Quindi non credo che tu sia a Lassina perché sei stato
costretto, ma perché in fondo lo volevi davvero. Sono convinto
che prima o poi saresti tornato da solo, perché un giorno o l’altro
avresti dovuto affrontare le tue paure, quel Luca Nudo che vedi
allo specchio tutte le mattine, e che hai nascosto sotto gli abiti
dell’intrattenitore”. Fa un sospiro per poi aggiungere:
“E quindi ti chiedo ancora: tu cosa vuoi?”.
Resto in silenzio per un attimo:
“Accidenti come parli bene” dico.
“Sei anni di psicologia saranno serviti a qualcosa…”.
“Sembra proprio di sì”.
“E pensa che di solito la gente mi paga” sorride, “Ma credimi,
queste parole te le avrebbe dette anche un amico qualsiasi, non
necessariamente un esperto”.
“E’ vero, Claudia me le dice da sempre”.
“Appunto Claudia” prosegue, “Hai finalmente capito chi è per
te?”.
“Un’amica ovviamente”.
“Sei sicuro?”.
“Sì”.
136
“Chi è l’unica persona a cui hai pensato in tutti questi anni? Chi è
che non hai mai dimenticato e che probabilmente è il motivo del
tuo ritorno?”.
“Ma…”.
“Non rispondermi subito, se mi dici che Claudia per te è un’amica
io ci credo, vi conosco da talmente tanto tempo… Ma vorrei che
ci riflettessi di più. Sia su di lei, che su tutti i motivi che ti hanno
tenuto lontano da Lassina”.
“Cos’è un compito a casa?!?”
“No, non è niente di tutto questo, scusami” dice Ale rilassandosi
sulla panchina “Ma era un sacco di tempo che volevo dirti queste
cose. La tua partenza di cinque anni fa ha stupito anche me, e ho
pensato molto a cosa potesse averti fatto agire così. Ti chiedo di
perdonarmi se ti ho fatto un esame di coscienza…” dice
guardandomi negli occhi.
Dopo qualche secondo sollevo le spalle e dico con leggerezza:
“Chissà, magari un giorno questo discorso mi servirà”.
“Alla tua” dice Alessandro alzando il boccale.
“Alla nostra” rispondo sorseggiando Slalom.
137
12
Ma se ci penso, forse già d'allora
avevo dentro questa paura,
questa rabbia, quest'ansia che
mi continua a portare via lontano da te...
Edoardo Bennato
Buon compleanno
Poco fa ho detto a Claudia che la vita è una merda.
Sembra incredibile ma è così.
E’ un tranquillo pomeriggio che abbiamo deciso di passare
insieme per festeggiare il mio compleanno. Oltretutto oggi
compio trent’anni, quindi è un giorno molto particolare. Ma
quando ci siamo seduti sul letto di camera sua iniziando a
scherzare sulla mia età, la discussione è andata degenerando. Nel
momento in cui abbiamo cominciato a parlare di maturità, di
tempo che passa e di decisioni che bisogna avere il coraggio di
prendere, mi è salito il sangue alla testa. Scontri di questo tipo io
e Claudia ne abbiamo fatti a centinaia, ed è anche per non doverne
fare più che me ne sono andato.
Quando lei ha pronunciato questa frase: “E allora non prendere
mai responsabilità, chiuditi in un armadio e butta la tua vita!
Proprio oggi che compi gli anni dobbiamo litigare!” sono
scoppiato. Non sono riuscito a trattenermi e mi è uscita la frase di
prima…
Sì, la vita è una merda.
Sono ancora alterato e non riesco a smettere di pensarci, anche se
la discussione con lei è finita da un pezzo.
138
Come qualche anno fa la rabbia dentro sta montando; è l’effetto
che mi fa questo paese dimenticato da Dio.
Non c’è niente che mi possa convincere che valga la pena di
essere nato, ne sono pienamente certo.
Però, come ho cercato di spiegare a Claudia, non dico che non
bisogna vivere, penso che sarebbe stato meglio non nascere…
C’è una grande e sostanziale differenza.
Il Pessimismo Cosmico che ho ereditato da Leopardi mi aiuterà a
esprimermi meglio.
La vita è una serie di sbattimenti e sacrifici che non portano
assolutamente a nulla.
Forse alla soddisfazione personale, alla felicità, ma parliamoci
chiaro; la felicità è un concetto così effimero che ben pochi
riescono a spiegarlo (o a capirlo). E ben pochi riescono a essere
felici tutta la vita. Chi riesce a essere sempre felice è perché si
inganna da solo, o peggio ancora perché è così terribilmente
sciocco e di animo semplice da non pensare minimamente
all’essenza stessa del vivere.
Io invidio molto quelle persone.
Io vorrei essere di animo semplice.
Apprezzo molto di più chi afferma che sbattimenti e sacrifici
possono portare soldi.
Sarebbe sicuramente una verità inconfutabile, perché dolore e
sacrificio non mi hanno mai portato felicità. Se lavoro, sudo e mi
dispero per ottenere qualcosa, non sono felice di essere riuscito
nel mio scopo, ma al contrario, sono arrabbiato dal fatto che per
ottenere qualcosa a cui tengo davvero devo faticare così tanto. La
sensazione di gioia che provo ottenendo il risultato in realtà è il
giusto appagamento per i sacrifici fatti nel raggiungerlo.
Perché devo sacrificarmi per ottenere qualcosa?
Perché?
Perché soltanto facendomi un culo così riesco ad ottenere quello
che voglio? Non sarebbe meglio ottenerlo e basta?
Ma questa è la vita, piena di sacrifici! Che ironia!
Quindi, di nuovo, apprezzo chi dice che sbattimenti e sacrifici
portano soldi.
139
Eppure quante volte ho sentito affermare che il denaro non fa la
felicità.
Fa molto tendenza esprimere questo concetto, è sulla bocca di
tutti. Ed una frase di questo tipo strappa applausi in un discorso in
piazza, o nelle ospitate alla televisione.
Io credo più semplicemente che ci siano altre cose che portano
felicità, non solo i soldi.
Ma di certo il denaro aiuta moltissimo! Diciamo un buon 60%.
E se la vita è tutta una serie di infiniti sacrifici, allora mi chiedo se
veramente avrei voluto nascere.
Mister Destino
Facciamo un esempio.
Mettiamo che prima di venire al mondo vengo convocato nella
sala udienze di Mister Destino. Lui ha il compito di spiegarmi che
sto per nascere e di mettermi al corrente di tutto quello che mi
aspetta.
“Allora guarda” mi dice “Tu domani nasci. Per i primi anni di vita
non fai nulla, vieni coccolato, riverito e ottieni tutto quello che
vuoi. Poi vai a scuola dove ti riempiono di doveri e ti tolgono
gran parte dei divertimenti. A un certo punto vai a lavorare tutti i
giorni per portare a casa il denaro, altrimenti laggiù sulla terra
dove adesso ti sto per spedire non si vive. Tieni presente che il
danaro puoi procurartelo anche senza lavorare; puoi rubare,
fregare la gente, o se sei furbo trovare un metodo onesto per
procurartelo; ma in qualsiasi caso ti devi impegnare per farlo. Poi
cominci a invecchiare, il tuo fisico a decadere, finché non muori,
magari tra rimpianti e sofferenze”.
Mister Destino mi ha parlato chiaro e tondo dicendomi la verità e
sbattendomi in faccia la realtà. Questo è quello che succede, nudo
e crudo!
Tutte queste possibilità sono vere e nessuno può metterle in
discussione. Anzi, è una visione della vita ottimistica, perché c’è
chi muore a dieci anni in un paese del terzo mondo senza ne cibo
ne acqua, ed è oltretutto gran parte della popolazione della terra.
140
Bene, a questo punto Mister Destino chiede:
“Beh, che ne dici? Figata No?!”.
“Ma che cazzo dici!?” risponderei io “Stai scherzando? E chi me
lo fa fare di cominciare un’avventura del genere?”.
“L’amore!” potrebbe rispondermi lui, come tutti i cattolici
benpensanti che venerano il ‘Signore Dio nostro’, o come quelli
che credono che l’amore per una donna lenisce dolori e
sofferenze.
“Ma vaffanculo!” è la mia unica risposta.
Nella vita non c’è assolutamente niente che mi può far credere
che valga la pena nascere. Quindi saluterei Mister Destino e
andrei per la mia strada, cioè quella attraverso il campo delle
persone mai nate.
Certo, in molti potrebbero ribattere che non ho mai provato
l’amore per un figlio, qualcosa di grandioso che non si può
neppure immaginare.
E’ vero.
L’amore per un figlio non lo conosco; potrebbe anche darsi che
sia così grande e dirompente da diventare uno dei motivi per cui
possa valere la pena nascere.
Quindi tornerei sui miei passi e chiederei a Mister Destino:
“Ma se l’amore per un figlio è così grande, cosa pensano i miei
genitori, le persone che mi vogliono regalare una vita?”.
“Guarda” direbbe “Loro dopo averti fatto crescere, cominceranno
ad avere delle pretese. Ad un certo punto vorranno che tu te ne
vada di casa per costruirti una vita propria. Vorranno che li lasci
in pace e che possano continuare la loro esistenza”.
“Ma come?” risponderei io “ Ma se proprio loro mi hanno voluto,
perché dovrebbero cacciarmi via? Dovrebbero sempre prendersi
cura di me! Non gli ho chiesto mica io di nascere!”.
“Purtroppo è così” direbbe Mister Destino con il suo sorriso
sincero.
“Bene, wow, che immensa fregatura! Ma chi me lo fa fare, io sto
bene dove sto! Vacci tu a vivere”. E me ne andrei nuovamente.
141
Figli e conseguenze
Un figlio è importante!
Fare un figlio porta enormi conseguenze!
Su questo punto Claudia si è incazzata parecchio, anche se ha
ammesso che la mia visione dell’argomento non è sbagliata.
Infatti se si ragiona un attimo ci si accorge che fare un figlio è un
atto di grande responsabilità. Di immensa responsabilità. E’ un
gesto che compromette l’intera tua vita, che la cambia
radicalmente. E’ un atto che va molto al di là della responsabilità
che ognuno di noi crede di assumere quando decide di avere un
figlio.
E’ come decidere di morire.
Dare una vita è come decidere di morire.
Perché da quel momento in poi non si è più in grado di poter
scegliere solo per se stessi, ma bisogna prima mettere le priorità
della vita che si ha scelto di dare.
Sempre e comunque.
In ogni caso.
La mia vita sarà dedicata completamente a mio figlio e ad ogni
sua volontà. Proprio perché ho deciso io di dargli la vita; lui non
ha deciso proprio niente! Lui sarà al mondo per mio volere. Per
una mia scelta. L’importanza di avere un figlio è così grande che
è un concetto difficilmente comprensibile. Tutte le coppie che
hanno deciso di fare un figlio (che ho conosciuto), lo hanno fatto
perché lo volevano avere. Non c’è nessuna spiegazione ulteriore.
Perché si fa così e basta. Perché lo si è sempre fatto. E’ normale e
naturale.
E terribile.
Non ci si pone nemmeno il problema delle gigantesche
conseguenze di un atto del genere. Dare la vita è un peso
gigantesco.
“Dare una vita, ma Claudia te ne rendi conto?” le ho chiesto.
Io non sono assolutamente in grado di assumermi tale
responsabilità. Solo Dio (se c’è) può fare un gesto così grande.
Dato che lui è l’unico che può dare la morte, di conseguenza è
anche l’unico che può dare la vita (come si usa pensare su questa
142
terra). Ma siccome Dio non si fa sentire, tocca a noi sbrigarci
entrambe le faccende.
Io non ho il coraggio per decidere di morire.
Io non ho il coraggio per decidere di dare una vita.
Un figlio per me sarebbe tutto, non potrei mai cacciarlo “Perché
deve farsi una famiglia”, “Perché si fa così”, “Perché deve
costruirsi la sua vita”.
Mio figlio non deve fare assolutamente niente di quello che
decido io. Deve fare quello che vuole lui.
Al massimo posso consigliarlo, ma di certo non dirgli cosa deve
fare. Io mi devo prendere cura di lui in tutto e per tutto. Dovrò
seguirlo per sempre. La mia vita sarà annullata dalla sua presenza,
perché ho deciso io che lui esista. Lui non ha scelto proprio nulla.
La mia responsabilità è totale. La mia vita muore con la sua
nascita. E anche la mia libertà è condizionata, se non annullata
completamente dalla sua esistenza.
Ho chiesto a Claudia se chi decide di fare un figlio pensa a tutti
questi fattori.
Io credo di proprio di no.
Penso che chi generi una nuova vita lo faccia perché è sempre
stato così, perché è il normale processo biologico dell’esistenza.
“Tu sarai il bastone della mia vecchiaia” è una frase che mi fa
rabbrividire…
“Io sarò il bastone della tua vita” è la frase che sarebbe da dire!
Quante volte ho sentito dire da persone anziane: “Meno male che
ho fatto tanti figli, se no adesso che sono vecchio chi mi
curerebbe?”. E poi aggiungere il consiglio: “Falli anche tu, mi
raccomando…”.
E’ assolutamente terrificante nella sua crudeltà e nella sua
disarmante superficialità.
Una mancanza totale di umanità.
Io non ho il coraggio per decidere di morire.
Io non ho il coraggio per decidere di dare una vita.
Quindi direi a Mister Destino che i miei genitori, se veramente mi
vogliono dare una vita, sono degli egoisti.
Degli immensi egoisti.
143
Se la vita fosse una continua ascesa verso la goduria estrema,
come un orgasmo continuo e costante verso il Nirvana, potrei
anche capirli. Ma comunque sarebbe una scelta non mia, quindi la
responsabilità di chi mi ha dato la vita sarebbe la stessa.
Ma la vita nella sua essenza è triviale, una continua discesa verso
la morte. Nel momento stesso in cui si nasce si è condannati a
morte. Quindi che cosa nasco a fare?
Dare la vita è un atto di assurdo egoismo.
Quello che da tutti è definito come il più grande atto d’amore è
anche il più grande atto di egoismo. Non sono di certo il primo a
dirlo, ma ho seri dubbi se il concetto più profondo e intrinseco di
questa frase sia sempre capito da tutti.
Io e te ci amiamo, perciò facciamo un figlio.
E’ l’egoismo assoluto.
Ma cazzo bisogna usare il cuore e il cervello!
Bisogna essere disposti a morire per lui!
Voglio proprio vedere quanti farebbero un figlio se gli dicessero
che nel momento stesso della sua nascita si deve morire.
Nessuno.
Io per primo.
Chi davvero accetterebbe una condizione del genere pur di dare
una vita, allora è degno di avere un figlio. Ma sarebbe lo stesso
egoista, perché non ci sarebbe più per curarlo e accudirlo lungo
tutta la sua esistenza.
Quindi penso che non vale la pena nascere.
Claudia mi ha chiesto perché non mi suicido, visto che ho una
visione così orribile dell’esistenza. Mai obiezione fu più
sbagliata!
Se non c’è niente per cui vale la pena nascere, ci sono migliaia di
motivi per cui vale la pena vivere.
Perché l’unica cosa che possiedo davvero è la mia vita! Non ho
nient’altro.
E ne sono geloso.
E la voglio vivere tutta, fino in fondo. Proprio perché è la sola
cosa che ho. Non voglio sciuparne neppure un attimo; ogni
giorno, ogni ora, ogni secondo voglio viverlo davvero, voglio
respirarne l’essenza. E col sorriso sulle labbra! Se la vita fa schifo
144
cerco di combatterla con il sorriso, col buonumore da regalare e
distribuire a tutte le persone che mi stanno intorno e soprattutto a
me stesso.
E’ l’unico modo che possiedo per combattere la sua assurdità e il
suo non-senso.
L’arma migliore è il sorriso.
Per questo tutti quelli che mi conoscono dicono che sono una
persona allegra e positiva.
Il positivismo esteriore mi aiuta a combattere la negatività
interiore, quest’ultima conosciuta solo da una persona: Claudia.
Prendere la vita di petto, con sorriso e positività, mi ha aiutato a
trovare lavoro in radio e fa di me una persona ben voluta tra
ascoltatori e amici, che vedono un amico al quale appoggiarsi.
Ed io ne sono fiero.
Vuol dire che nel mio piccolo sto vincendo la sfida con la vita.
Anche i comportamenti distruttivi e spericolati sono sintomo di
questa lotta. Li manifesto perché voglio vivere davvero
gustandomi ogni singolo istante di esistenza. Non so se il mio
metodo sia giusto o sbagliato, ma sta dando risultati.
Claudia non ne è affatto convinta. Dice che non so ancora quello
che voglio, e mi rifugio in questi discorsi contorti perché non
riesco ad accettarmi. Perché anche se ho trent’anni non so ancora
cosa voglio, ed ho paura di me stesso. Anche Alessandro ci è
arrivato dicendomi le stesse cose.
So che potrebbero avere ragione ma io non voglio cambiare.
Forse ho davvero paura…
Claudia ed io poco fa ci siamo messi ad urlare così tanto che per
la disperazione me ne sono andato sbattendo la porta.
Ora mi trovo a piedi in strada sulla via per tornare a casa.
Mille pensieri mi passano per la testa. Sono passati cinque anni
ma i discorsi sono sempre uguali, così come i punti di vista.
Litigherò sempre con Claudia perché pensiamo in modo diverso.
Col passare del tempo ho rafforzato le mie idee invece di
smussare gli angoli adattandoli alla vita che mi gira intorno.
Claudia Renzo e Massi ce l’hanno fatta, io non ancora. E non
sono certo di volerlo fare. Io non voglio crescere! O meglio, non
voglio pagare l’alto prezzo del doverlo fare.
145
Me ne sono andato per questi motivi e tornando li ho ritrovati
ancora, avvolti nella noia di questo paese. Erano qui che mi
aspettavano, ed io sono pronto a scappare di nuovo… Anche se in
questo modo dimostrerei la mia paura e darei ragione a Claudia.
Ma non sono pronto ad affrontarli, non ce la faccio…
La rabbia se ne va
Dopo diversi minuti immerso in queste turbe mentali sento in
lontananza un campanello di bicicletta.
Mi volto e vedo Claudia col tandem che si dirige verso di me.
Mi sta venendo a prendere! Sento qualcosa sciogliersi nello
stomaco, sono felice che mi abbia raggiunto. Tutto il rancore e
l’incazzatura svanisce in attimo appena vedo il suo volto carico di
aspettative davanti al mio.
Il pomeriggio è caldo e inondato di sole. Claudia si appoggia al
manubrio della bicicletta e mi osserva restando in attesa. Indossa
dei pantaloncini verdi ed una maglietta bianca dei Boston Celtics
con la faccia di Larry Bird, così vecchia da essere completamente
slisata.
“Pensi che io sia un coglione?” domando.
Lei annuisce con la testa alzando ironicamente le sopracciglia.
“E va bene, mi sono incazzato… Ma volevi che ti mentissi? Che
non ti dicessi quello che pensavo davvero?”.
Rimane in silenzio.
“Va bene” dico rassegnato “Scusami”.
“Non ho sentito” dice.
“Ho detto scusami”.
“Ci deve essere un aereo che passa, non sento bene…”.
“Ho detto SCUSAMI! Ci senti adesso?” le grido nell’orecchio.
“Sì… Penso di aver capito” commenta soddisfatta.
“Ma va a quel paese!”.
“Luca Nudo, sei sempre il solito pirla. Nemmeno oggi che compi
gli anni abbassi la guardia” dice con un sorriso dandomi un pugno
sulla spalla così forte da farmi male.
146
“Sempre Miss Dolcezza vero?” ribatto assestandole un altro
sganassone. Claudia si afferra il braccio dolorante dicendo:
“Salta su che torniamo a casa”.
“E’una vita che non vengo sul tuo tandem!” dico posizionandomi
sulla sella “Sei sicura di saperlo ancora guidare?”.
“Tu pensa a pedalare” risponde, mentre la catena inizia a girare
portandoci verso casa mia.
Sono contento che la situazione sia risolta.
Le nostre discussioni qualche anno fa finivano a pugni o a insulti
per settimane. Invece adesso nel giro di pochi minuti si è tutto
sistemato. Forse perché è talmente tanto che non stiamo insieme
che abbiamo troppo bisogno di noi; e lasciare che una litigata ci
possa allontanare anche per poco tempo risulta davvero
impensabile.
Tiro un bel respiro e riprendo il controllo.
Immediatamente mi lascio sfuggire una battuta:
“Però” esclamo “Devo dire che questo spettacolo mi è mancato”.
“Cosa?”.
“Il tuo sedere” rispondo osservando le sue forme perfette adagiate
sul sellino davanti a me, “Qualcosa di bello ce l’hai anche tu”.
“Fottiti” dice Claudia ridendo, mentre anche io mi lascio sfuggire
un sorriso spingendo più forte sui pedali.
147
13
L’universo trova spazio dentro me
Ma il coraggio di vivere
Quello ancora non c’è
Lucio Battisti
Giochi d’acqua
Rischio 4 è coperta di schiuma.
In mezzo al cortile di casa mia, Claudia ed io, la stiamo lavando.
Era così piena di sporcizia che a malapena si vedeva il rosso della
carrozzeria. Perciò abbiamo deciso di pulirla, anche perché c’era
il rischio di prendere il tetano mettendosi alla guida.
Luglio è iniziato da poco ed il caldo picchia forte sulle nostre
teste.
Massi deve essere a casa per delle ricerche, mentre Renzo è
andato al lago con la sua moto. Un vero centauro come lui queste
giornate non se le lascia fuggire.
Ho attaccato la canna dell’acqua al rubinetto del lavatoio ed ho
srotolato il tubo fino all’aperto. Come un navigato pompiere sto
innaffiando la macchina mentre Claudia passa una grossa spugna
gialla sui finestrini.
“E’ gelata” dice lei mentre dell’acqua le cade sulle gambe.
Indossa dei pantaloncini corti ed una maglietta che le scopre
completamente le spalle. Il reggiseno le si vede chiaramente ad
ogni movimento, ma d’altronde con questo caldo è impossibile
mettere qualcosa di più pesante. Io invece porto dei jeans leggeri
e sono a petto nudo.
Con la canna innaffio il muso di Rischio 4 mentre Claudia
immerge la spugna nel secchio traboccante di schiuma.
148
“Secchio!” grida mio padre dalla finestra. Una cascata d’acqua
cade dall’alto e atterra direttamente sulla macchina:
“Sciaff!”, io e Claudia ci spostiamo per non riceverla in testa. Non
è acqua normale, è mischiata ad un lucidante che dovrebbe
rendere la carrozzeria più splendida che mai. Però va mischiata
con acqua calda che si trova solo in casa, quindi papà getta tutto
dall’alto per fare prima.
Mia madre ci guarda dal balcone e chiede:
“Volete dei biscotti?”.
“No mamma”.
“Sì grazie!” risponde Claudia ad alta voce. Come al solito
andiamo d’accordo su tutto…
“Chi ti ha detto di rispondere anche per me?” commenta mentre
deterge il lunotto posteriore.
“Pensavo non li volessi”.
“Hai pensato male”.
“Che carattere!” ribatto io.
“Sei tu che mi fai arrabbiare” ribatte mentre un ciuffo nero le cade
sugli occhi. Lo sposta via soffiando con le labbra, accennando poi
un sorriso divertito.
Come è bella in questo momento… Mi viene voglia di mangiarla.
Lo sguardo di Claudia ha qualcosa di magico; tutte le volte che mi
fissa con quegli occhi scuri perdo un po’ di autocontrollo. Tiro un
lungo respiro cercando di non pensarci ed involontariamente mi
cade lo sguardo sul suo seno. Lo vedo piccolo e tondeggiante
oscillare dentro la maglietta.
E’ di marmo.
Praticamente non si muove, forse a causa delle piccole
dimensioni. Però è di una rotondità imbarazzante!
Claudia si accorge che sono in fissa e domanda:
“Hai finito di guardarmi le tette?”.
“C-Cosa? Scusa, non volevo, io…”.
“Se me le consumi te le faccio ripagare” dice poggiando le mani
sui fianchi in un atteggiamento di sfida. Rimango spaesato per
un attimo dalla sua reazione; decido di prendere la situazione di
petto esattamente come l’ha presa lei.
149
Le punto la canna dell’acqua addosso centrandola direttamente in
faccia:
“Bastardo!” esclama coprendosi con le mani. La maglietta ora è
completamente bagnata e le si vede il seno molto meglio di
prima!
“Ecco” dico “Adesso le vedo bene”. Claudia afferra la spugna e fa
il giro della macchina per colpirmi.
“Dovresti…” dico cercando di scappare “…fare qualcosa…”, mi
raggiunge con la grossa spugna grondante di schiuma “…per
ingrossarle!”, avanza scaraventandomi la spugna in faccia.
Dell’acqua mi entra nel naso; tossisco come un pazzo per sputarla
fuori.
“Sei finita” dico minaccioso appena riesco a parlare.
“Provaci!” ribatte in tono di sfida. Subito alzo la canna dell’acqua
e la bagno completamente:
“Ahhrg” grida ridendo mentre l’annaffio. Cerca di coprirsi con il
braccio ma non ci riesce; ora ha i capelli del tutto fradici! Mi
ricorre mentre giro intorno alla macchina sempre puntandogli
l’acqua addosso. Claudia tira la spugna che cerco di evitare
voltandomi di schiena, ma la prendo dritta tra le scapole. Ora la
schiuma è scesa dentro nei pantaloni e mi sta bagnando pure le
mutande!
“Maledetta!” esclamo divertito. Lei in tutta risposta prende il
secchio con il detersivo e me lo rovescia in testa!
Boccheggio come un pesce mentre una cascata d’acqua mi
sommerge.
Come al solito Claudia non ha mezze misure.
Ed ora come diavolo facciamo a lavare la macchina?!
Cerco di levarmi la schiuma dagli occhi mentre Claudia mi infila
la spugna nei pantaloni:
“Stai ferma cazzo!”.
“Adesso me le paghi tutte” risponde ficcandomi metà spugna
nelle mutande. Sollevo la canna dell’acqua e gliela punto dritta in
faccia.
In un tira e molla continuo stiamo giocando a farci il bagno come
dei ragazzini. Mi sembra di rivivere qualche anno addietro,
150
quando facevamo la guerra coi gavettoni e tornavamo a casa
lavati come se avessimo nuotato sotto le cascate del Niagara.
Io sono ricoperto di schiuma.
Lei ha le mani infilate nei miei calzoni.
L’acqua ci lava entrambi.
Ed è in questa posizione compromettente che sento una voce
chiamare a pochi passi da me:
“Luca?!?”.
Mi volto di scatto a guardare.
In piedi, sotto il sole caldo di luglio, come se fosse apparsa dal
nulla, c’è Ilaria!
“I-Ilaria…” dico a mezza voce sbalordito chiedendomi se ho le
allucinazioni.
Sorpresa
Lei resta a guardarmi con un viso sorpreso quanto il mio.
E’ venuta davvero a trovarmi, non ci posso credere!
Indossa un vestito rosso che le avvolge tutta la figura. Ai piedi
porta dei sandaletti, anche quelli rossi, allacciati intorno alla
caviglia. Borsa di Gucci sulla spalla, occhiali scuri e lunghi
capelli biondi che scendono sulle spalle. E’ semplicemente
straordinaria. Decisamente è fuori categoria; si abbina a Lassina
come della senape su un Taralluccio. Ed oltretutto ha due tette
leggendarie! Sono così grosse e sode che quelle di Claudia
scompaiono al confronto.
“M-Ma, che ci fai qui?” domando poggiando la canna per terra.
Claudia leva le mani dai miei pantaloni in un lampo, mentre
cerchiamo di darci un po’ di contegno davanti alla visita inattesa.
“Te l’ho detto che sarei venuta a trovarti, ma a quanto pare non ti
manca di certo la compagnia…” dice sottile come un rasoio.
“Ciao” la saluto dandole un bacio sulle labbra “Stavamo lavando
la macchina… E tu con che auto sei arrivata?”.
“Il Cayenne” risponde accennando con la testa al parcheggio
dietro di lei. Eccola lì la sua vettura ferma di fianco alla Smart;
vista così la mia auto sembra un pulcino.
151
Ilaria con gesti non troppo convinti mi toglie la schiuma dal petto
e dalle spalle:
“Hai fatto fatica a trovarmi?” chiedo imbarazzato.
“No, un po’ me l’avevi spiegata, e poi ho usato il navigatore…
Ma la schiuma di solito non va sulla macchina?” domanda
ironicamente.
“Emm… questa è Claudia, una cara amica” dico ormai arrivato
alla frutta, “Claudia, questa è la mia ragazza Ilaria”.
Claudia si pulisce la mano sui pantaloni prima di porgerla alla
nuova arrivata.
Se la stringono.
“Credo di averti visto in televisione” commenta Claudia
salomonica.
“Oppure sul satellite, sempre se è arrivato fino a qui” ribatte Ilaria
con un velo di acidità. Non so perché ma ho l’impressione che
siano partite saette dagli occhi di entrambe le ragazze. Mi sa che
le prossime ore non saranno affatto facili!
“Pensavo mi dessi un colpo di telefono, non ti aspettavo” dico
stemperando la tensione.
“L’avrei fatto se non tenessi sempre spento il cellulare! Ed il
numero di casa non me l’hai dato. Sapevo solo l’indirizzo, perciò
ho pensato che venendo direttamente avrei fatto prima. Ho fatto
male?”.
“No, ci mancherebbe! Resti fino a stasera?”.
“Pensavo di fermarmi per la notte”.
“Davvero?” chiedo con occhi spalancati.
“Ho portato una piccola valigia. Sempre se sei d’accordo…”.
“Ma certo!” esclamo indeciso se essere contento o preoccupato.
Accidenti com’è bella, sembra appena uscita da una Beauty
Farm. Sono talmente abituato a vedere contadini che questa
perfezione mi sconvolge. Osservo Claudia leggermente
corrucciata alla notizia che Ilaria si fermerà a dormire. Ma prima
che possa fare commenti sento la finestra aprirsi sopra di me:
“Secchio!”.
Oh cazzo.
“Spostati Ilaria!” grido.
Mio padre lancia la secchiata.
152
“Splash!” prende in pieno Ilaria sulla schiena.
“No papà!!”.
Ilaria, bagnata come un pulcino, resta a bocca aperta in un urlo
soffocato. Tutti i capelli fradici; il vestito praticamente da buttare!
“Cosa diavolo…?” dice senza riuscire a terminare la frase.
“Chi c’è laggiù?!” chiede mio padre dalla finestra.
“Hai appena lavato Ilaria Agrati! Ma non potevi guardare prima
di lanciare??”.
“Santo cielo” esclama papà grattandosi la testa.
Con la coda dell’occhio vedo spuntare dalla labbra di Claudia un
sorriso di soddisfazione.
“Oh signore!” esclama mia madre dal balcone con il vassoio di
biscotti tra le mani. Immediatamente si precipita verso di noi,
come solo una madre apprensiva sa fare.
“Mi dispiace” dice aiutando Ilaria a ricomporsi, “Mio marito è
imperdonabile”.
“Fa niente signora” risponde Ilaria niente affatto convinta.
“Tu sei la Agrati vero? E’un piacere conoscerti… Sono la
mamma di Luca” dice porgendogli la mano. Nel frattempo papà
arriva come un treno in canotta e ciabatte: più grezzo di così non
si può…
“Scusum ma to minga vist”.
Scusami ma non ti ho visto
“Va che cavei che te ghe”.
Guarda che capelli che hai
“Sperem che il lucid te li brusa minga”.
Speriamo che il lucido non te li bruci
“Ma cosa sta dicendo?!” chiede Ilaria perdendo la pazienza.
“Papà, devi parlare italiano!”.
“Scusa, non ho fatto apposta!” risponde lui.
Comincio a perdere la pazienza.
Io che litigo con mio padre.
Ilaria incazzata e lavata.
Claudia che se la ride.
E mia madre che fa le presentazioni!
Sembra di essere in un film di Stanlio e Ollio.
153
“Mi sa che Ilaria vorrebbe cambiarsi” dico ad alta voce
prendendole la mano e portandola in casa.
“Eh sì, Ilaria dovrebbe proprio cambiarsi” dice lei ironicamente
sgocciolandosi le mani.
Lasciamo tutti in cortile ed entriamo in casa.
Questa visita di Ilaria non è decisamente cominciata nei migliori
dei modi.
Spiegazioni e allusioni
“Allora, adesso mi vuoi spiegare chi è questa Claudia?” domanda
Ilaria asciugandosi i capelli.
“Te l’ho detto, è un’amica” rispondo chiudendo la porta. Vestita
solo di un accappatoio si siede sul mio letto continuando a
strofinarsi la lunga chioma.
“Sembrava foste un po’ più che amici”.
“Senti” dico allargando le braccia “Stavamo lavando la macchina
e ci siamo messi a giocare, come te lo devo dire?”.
“Però aveva le mani nei tuoi pantaloni!”.
“Ma tra di noi è normale, non c’è nessuna malizia!”.
“Ah, è normale?”.
“Sì è normale. La conosco da una vita, è praticamente mia sorella.
Questo te lo può confermare anche mia madre. Stavamo
giocando”.
“E perché non mi hai detto niente di lei?” dice appoggiando
l’asciugamano sul cuscino ravvivandosi i capelli con le mani.
“Non mi è mai venuto in mente. E poi da quando sei gelosa? Non
ti ho mai vista così”.
“Perché non me ne hai dato motivo fino ad ora” dice in tono
scontato.
“Bè, capisco che ci hai sorpreso in un atteggiamento equivoco,
ma credimi, non c’è niente tra me e Claudia. Anzi, solo pensare
ad una relazione con lei mi viene da ridere!”
Ilaria rimane zitta qualche secondo prima di dire:
“Ti credo”.
“Meno male. Ora possiamo archiviare il discorso?”.
154
“No”.
“Come no?”.
“Ho detto che credo a te, ma non credo a lei”.
“In che senso?!”
Ilaria si alza e si avvicina al centro della camera da letto, dove
sono in piedi da quando è iniziata la discussione. Sembra una
Venere scesa dal cielo da quanto è bella.
“Credo sia innamorata di te”.
“Innamorata di me? Chi? Claudia?!” scoppio in una fragorosa
risata nel sentire questa assurda ipotesi.
“Guarda che non c’è niente da ridere”.
“E’ impossibile, tu non conosci Claudia”.
“Ma ho visto il suo sguardo quando sono arrivata. Prova qualcosa
per te. E non è solo amicizia”.
“Ma figurati!”.
“Tra donne queste cose si capiscono. Siete voi uomini ad essere
ciechi”.
Scoppio in un’altra risata.
“Adesso non fare la femminista che non lo sei. Sì, è vero,
ammetto che prova qualcosa per me, ma è lo stesso sentimento
che provo io per lei. Mi vuole un mondo di bene, però non è
certamente amore come dici tu”.
Lascio uscire queste affermazioni velate di dubbio. Non ne sono
così certo come voglio far credere. Claudia per me è molto più di
un’amica. Ed in alcuni momenti della vita mi sono chiesto
davvero se non fossi innamorato di lei. Ma questo non posso
certamente dirlo ad Ilaria…. E non posso dirle neppure che una
volta abbiamo fatto l’amore!
In cinque anni di Milano Claudia ce l’ho sempre avuta in mente,
ma ad Ilaria non ho detto nulla. Forse perché nominandola avrei
fatto tornare i fantasmi della mia vecchia vita, e in qualche modo
avrei distrutto l’equilibrio che con tanta fatica avevo creato dentro
me stesso.
Eppure non posso affermare di essere davvero innamorato di lei.
Ne tanto meno lei di me. Anzi, questa ipotesi mi sembra assurda;
altrimenti non saremmo stati lontani così tanto e senza sentirci.
Convinto ancora di più da questi pensieri dico:
155
“Fidati Ila, è così”.
“Sarà” dice lei “Ma anche se fosse non avrebbe nessuna
speranza” commenta con un sussurro facendo cadere una spallina
dell’accappatoio. Trattengo il respiro mentre Ilaria si volta
andando a chiudere la porta. Dà un giro di chiave alla serratura.
Torna indietro andandosi a sedere sulla scrivania. Allarga le
gambe come Sharon Stone in Basic Instinct e mi mostra le sue
bellezze.
“Sei già sull’attenti” dice sorniona. Abbasso lo sguardo e vedo
che tutto quello che doveva alzarsi si è già alzato! A pensarci
bene sono mesi che non ho un rapporto sessuale e questa
eccitazione è solo la naturale conseguenza.
Ilaria lascia cadere l’accappatoio sulla scrivania.
La raggiungo arrapato come una bestia.
Nei pochi passi che mi separano da lei faccio volare scarpe e
pantaloni sul letto.
Pochi minuti dopo stiamo facendo l’amore tra il computer e la
stampante.
Porca miseria quanto mi è mancata Ilaria!
156
14
Se vuoi ci amiamo adesso, se vuoi
però non è lo stesso
tra di noi
Da solo non mi basto
stai con me
Solo è strano che al suo posto
ci sei te, ci sei te…
Nek
Sola
Mentre Luca e Ilaria discutono in camera, Claudia cammina verso
casa.
Dà un calcio ad un sasso che finisce sotto una macchina.
La faccia corrucciata, il passo svogliato, e una sensazione
pungente di gelosia che le sale dallo stomaco.
Innamorata di Luca…
Certo che è innamorata di lui!
E lo è praticamente da sempre. Chiunque abbia un minimo di
spirito di osservazione lo capirebbe al volo. Persino il ciottolo che
ha appena scalciato lo sa. Ma il suo compagno di avventure, il
bambino con cui ha passato l’infanzia e con il quale ha vissuto
praticamente tutta la vita non ci è ancora arrivato.
Idiota.
Non riesce a definirlo in nessun altro modo.
E’ soltanto un’idiota.
Ha sempre fatto la parte dell’amica per potergli stare almeno
vicino. Non è mai riuscita a dirgli i sentimenti che provava per il
semplice fatto che non era sicura dei suoi, e non voleva rovinare
157
tutto. Sì, rovinare tutto. Anche se sembra banale l’amore può
davvero rovinare un’amicizia lunga e duratura, e questo Claudia
non riuscirebbe a sopportarlo. Perdere Luca non sarebbe
concepibile in nessun caso.
Tira un calcio ad un altro sasso.
Eppure l’ha perso per cinque lunghi anni. Un sacrificio enorme
ma senza alternative. Sempre meglio che perderlo per sempre, si è
ripetuta innumerevoli volte.
Ed ora eccolo qui, con la sua bellissima ragazza milanese.
Idiota.
E’ soltanto un’idiota.
Quante volte ha cercato di fargli capire quello che provava, con
piccoli gesti o frasi velate di malizia.
E il suo cuore ha battuto a mille all’ora ogni volta che stavano
vicini o soli in una stanza.
Ricorda come se fosse ieri le attese del pullman di Luca alla
fermata; Claudia arrivava mezz’ora prima e rimaneva sotto la
pioggia fredda dell’inverno in attesa del suo arrivo.
Che gioia quando lui scendeva sorridente andandole incontro!
Ma che tristezza se il pullman era vuoto perché Luca era andato
con i suoi compagni di classe a divertirsi.
Non esistevano ancora i cellulari e lei non poteva sapere i suoi
programmi. Oltretutto si vergognava a chiederglieli, non aveva
nessun motivo per interessarsi a lui in modo così preciso, a meno
che non gli confessasse i suoi veri sentimenti. E questo era fuori
discussione. Quindi restava sotto la pioggia sentendo il cuore
affondare in una pozzanghera.
Trovava i motivi più disparati per andare a casa sua.
A volte per studiare insieme, a volte per giocare a qualche nuovo
videogame uscito sui vecchi Pc 80.86, gli antenati dei moderni
computer.
Fortunatamente era la sua migliore amica quindi stare insieme era
logico e naturale. Spesso era Luca a cercarla.
Passavano insieme tantissimo tempo ed in quei momenti Claudia
si sentiva a suo agio. L’amore che provava per lui restava
nascosto in sua presenza; scoppiava solamente quando non c’era.
A volte rimaneva giornate intere a guardare il soffitto chiedendosi
158
come fare con lui. Lo pensava ripetutamente, lo vestiva di parole
che avrebbe voluto sentire e immaginava di rispondergli.
Ma quando arrivava la resa dei conti, il momento in cui dire tutta
la verità, le frasi le morivano in bocca. Non trovava il coraggio di
buttarle fuori. Sentiva un grande peso al cuore ed un imbarazzo
che la bloccava, confondendole i pensieri e facendole perdere del
tutto il controllo. Claudia così diventava aggressiva e rispondeva
male a Luca apparentemente senza motivo. Tutto questo a causa
del fatto che non riusciva ad esprimere i suoi veri sentimenti;
un’arrabbiatura era la naturale reazione. Ma Luca non capiva e si
rassegnava a pensare che la sua amica fosse un po’ svitata, senza
sospettare che sotto c’era ben altro.
Quando diversi anni prima avevano fatto l’amore per Claudia era
stato magnifico.
Non tanto per l’atto in se, quanto perché aveva avuto la certezza
che anche Luca provava qualcosa per lei. La maschera di eterna
amicizia era volata via in quel periodo, e si erano trovati a doversi
relazionare con due persone diverse. Per mesi si erano chiesti se
fossero innamorati o se era solo una sbandata. Naturalmente
Claudia sapeva benissimo cosa provava per lui, ma non aveva il
coraggio di rivelarglielo. Luca aveva già in mente di scappare da
Lassina ed era già da tempo infuriato con il mondo.
In quel periodo Luca aveva bisogno di tutto, fuorché di un
pretesto per rimanere in un paese di contadini. Claudia intuiva che
una relazione fra di loro lo avrebbe solo fatto impaurire ed
accelerare ancora di più i tempi della sua fuga.
No, non poteva dirgli cosa provava, doveva capirlo da solo.
Doveva farlo rimanere a Lassina.
Ma la sua pazienza non ha dato i frutti sperati e Luca si era
trasferito a Milano…
Tira un lungo sospiro rassegnato.
Continua a camminare svoltando nella via dei giardinetti.
Quanto ha sofferto quando se ne è andato!
Non ne voleva sapere di lasciarlo scappare e per questo non
facevano altro che discutere. Litigavano in continuazione. Quando
Luca era andato via definitivamente Claudia era rimasta senza
parole. La sua lontananza la faceva impazzire e quelle poche volte
159
che si sentivano al telefono non riusciva ad essere naturale, era
completamente bloccata. Così dopo poco tempo avevano smesso
persino di chiamarsi, perdendo qualsiasi contatto.
Troppo orgogliosa e innamorata per andare a trovarlo era rimasta
nel suo guscio senza piangersi addosso. Avrebbe voluto che la
rabbia prendesse il sopravvento, per annullare l’amore che
provava per lui, ma non riusciva dimenticarlo.
Così aveva cominciato a seguirlo da lontano.
Ascoltava tutte le sue trasmissioni alla radio, leggeva le interviste
e i gossip che lo riguardavano, visitava i siti internet che
parlavano di lui. Avrebbe potuto telefonargli, certo, ma non ne
aveva il coraggio.
Finché non era arrivato Gabriele.
Un amore nuovo
Claudia aveva mentito a Luca; Gabriele non era solo una persona
con cui ogni tanto andava a letto, ma era il suo ragazzo da più di
tre anni.
Si erano conosciuti un giorno al lago parecchio tempo prima. Lui
si era rotto una gamba e cercava con la sedia a rotelle di entrare
nella spiaggia di sassi dove si trovava Claudia. Lei con la sua
compagnia lo avevano aiutato ed erano diventati subito amici.
Gabriele e Claudia dopo quel primo incontro avevano cominciato
a frequentarsi, e nel giro di pochi mesi era iniziata una relazione.
Gabriele era una persona eccezionale dal carattere mite e
tranquillo. Sostanzialmente l’opposto di Luca. A Claudia questo
atteggiamento era piaciuto subito, anche perché era stato il primo
uomo dopo tanti anni a fargli dimenticare Luca. Non
completamente, certo, ma aveva spostato le attenzioni dal suo
amico d’infanzia, facendole fare una pausa tra i tumulti del cuore.
Si sentiva più leggera, più libera. Poteva finalmente respirare
senza sentire quell’enorme peso allo stomaco. Gabriele le aveva
portato un po’ di pace.
160
Figlio di un imprenditore, era l’erede designato di una ditta con
numerose filiali che producevano mobili in tutta la Brianza: la
Mobilarte.
Fatturato di milioni di euro all’anno, un giro d’affari
impressionante che toccava anche l’America e diversi paesi
dell’est.
Ma al contrario di quello che poteva sembrare Gabriele era un
uomo buono, onesto e tranquillo. Non aveva alcun vizio, non
beveva e non fumava. L’unico suo svago era andare con la barca
in giro per il lago di Como nei giorni in cui tornava a casa dai
suoi lunghi viaggi all’estero. Claudia era rimasta sbalordita da
quanti soldi aveva. Ma non era per quello che aveva deciso di
mettersi con lui. Il suo denaro non le interessava; il bar rendeva
abbastanza ed era troppo indipendente per mettersi sotto l’ala
protettiva di un ragazzo così ricco. Stava con lui semplicemente
perché era innamorata. Dopo tantissimi anni si era presa una cotta
per qualcuno che non era Luca. Era un amore dolce, delicato
come un soffio di vento e bello come la primavera. Non aveva la
potenza distruttiva di quello per Luca, e forse era un bene. Col
passare del tempo vedeva sbiadire il suo amico nella nebbia dei
ricordi, e la figura di Gabriele delinearsi sempre di più nella sua
vita.
Finché, la vigilia di Natale dell’anno scorso, Gabriele le aveva
chiesto di sposarla.
Si era presentato in salotto una sera che guardavano pigramente la
televisione, con in mano un anello sopra il quale brillava un
diamante di proporzioni enormi.
Claudia era rimasta senza parole.
L’unica frase che era riuscita a dire era:
“S-sei sicuro?”.
“Come non mai” aveva risposto lui col solito sorriso tranquillo.
Naturalmente Claudia aveva risposto di sì.
Ma in quel momento il cuore le si era spezzato a metà.
Luca era tornato dentro di lei. Non dubitava di quello che provava
per Gabriele, ma aveva paura che i vecchi sentimenti potessero
tornare a galla. Finché non avesse fatto chiarezza nel suo cuore
non si sarebbe sposata. Per questo aveva chiesto e ottenuto di
161
rimandare la data del matrimonio il più tardi possibile, cioè un
anno e mezzo dopo la richiesta di convolare a nozze. Non voleva
prendere in giro Gabriele, non se lo meritava. Oltretutto gli aveva
raccontato quello che c’era stato con Luca in precedenza, e
Gabriele si era dimostrato comprensivo come al solito. Un vero
uomo da sposare; un principe azzurro perfetto.
Claudia voleva vedere Luca per l’ultima volta. Voleva guardare
dentro se stessa prima di fare un così grande passo.
E l’occasione era giunta quando era venuta a sapere che Luca
sarebbe tornato a Lassina; oltretutto in un periodo in cui Gabriele
sarebbe stato via diversi mesi in Giappone per lavoro. Una
coincidenza alquanto particolare.
Aveva chiesto a genitori ed amici di non dire a Luca del suo
matrimonio. Voleva mantenere il segreto almeno per qualche
tempo, in modo da poterlo osservare senza condizionamenti e
soprattutto tastare la propria reazione nel rivederlo.
Ed aveva ragione…
Era ancora innamorata di lui.
Le era bastato vederlo un secondo per far tornare tutto a galla.
Il suo cuore aveva cominciato a battere follemente, anche se la
prima reazione era stata quella di infuriarsi con lui, per essere
stato via così tanto tempo senza farsi sentire.
Si era arrabbiata così proprio perché era ancora innamorata!
E poi erano cominciati i guai.
Luca era tornato a martellarle nella testa come tanti anni prima.
In questi ultimi mesi Claudia aveva cercato di cacciarlo e di far
prevalere la figura di Gabriele, ma i suoi sforzi erano stati vani.
Un esempio chiarissimo era accaduto pochi minuti prima, quando
aveva conosciuto Ilaria ed era impazzita di gelosia.
Non ci poteva fare niente, era ancora innamorata di Luca.
Con la sostanziale differenza che era anche innamorata di
Gabriele. Ma nessuna delle due figure prevaleva sull’altra, era una
gara testa a testa. Con lo stomaco voleva che a vincere fosse il suo
futuro sposo, ma il suo cuore non ne voleva sapere.
Persa in questi mille pensieri Claudia svolta nella via che porta a
casa sua.
162
Prima di aprire la porta decide che chiamerà Gabriele in
Giappone, vuole sentire la sua voce rassicurante.
“Accidenti a te Luca e a quando sei tornato!” dice tra se e se
mentre cerca il numero di telefono. Gabriele dovrebbe essere
ancora sveglio nonostante il fuso orario.
Solleva la cornetta e compone il numero…
163
15
Ma la verità
bisogna ammetterla e già…
che chi mi manca sei tu
che chi mi manca sei tu.
Gianluca Grignani
Il mio mondo ed Ilaria
Arriviamo davanti al Bar Lassina con la Smart.
E’ una sera calda e invitante.
Con Ilaria mi avvio verso l’ingresso ben conscio di quello che sta
per succedere.
E’ voluta venire a tutti i costi per conoscere i miei amici e il posto
dove sono cresciuto. Solo che Ilaria non è una ragazza come tutte
le altre.
Stasera si è vestita in modo relativamente normale: Jeans,
camicetta leggera con i primi due bottoni in alto slacciati (che
mostrano un seno rigoglioso) e sandali col tacco. E’ inusuale un
abbigliamento del genere per lei, forse vuole conformarsi al
nostro modo di fare, ma di sicuro non può farcela. La sua bellezza
è appariscente ed il suo fascino fuori dal comune.
Mi fa un leggero sorriso prima di raggiungere i tavolini all’aperto.
“Che bello questo posto” commenta incuriosita “A Milano
farebbe un successone. Il proprietario deve essere un tipo in
gamba”.
Subito molte teste si voltano nella nostra direzione. Occhiate di
ragazzi sbalorditi che esaminano Ilaria come fosse una marziana.
Una stangona di un metro e ottanta così l’hanno vista solo in
164
televisione. Varchiamo la soglia del bar sentendo pronunciare il
suo nome sottovoce da decine di ragazzi:
“Ma quella è la Agrati!”.
“Noo! Che ci fa qui?”.
“E’ la ragazza di Nudo”.
“Minchia che figa!”.
“Il mondo è ingiusto se sta con quel cesso di Luca…”. E’ sempre
così, se trovi una bella ragazza finisci per essere brutto e
fortunato. Quante volte l’ho detto anche io; è solo l’invidia che fa
parlare.
Vedo Renzo seduto in fondo al locale con Massi.
Appoggia il bicchiere sul tavolo rimanendo a bocca aperta.
Si alza con movimenti lenti venendomi incontro.
“Ila, sta per raggiungerci il mio amico Renzo. Probabilmente dirà
qualche cazzata; non farci caso, è un ragazzo d’oro”. Non faccio
in tempo a finire la frase che Renzo si getta platealmente in
ginocchio al centro del locale, ed inizia ad adorarla come i
mussulmani quando pregano in direzione della Mecca.
“Oggi la mia vita non sarà più la stessa! Posso conoscere Ilaria
Agrati! Sarò per sempre il tuo schiavo se mi rivolgerai la parola!”.
“Alzati pirla” dico imbarazzato. Ilaria ride di gusto mentre saluta
Renzo che fa partire un baciamano in perfetto stile neoclassico.
Tutti i presenti ridono di questa scenetta mentre ci avviciniamo al
tavolo dove si trova Massi. Quest’ultimo al contrario di Renzo è
un po’ agitato nel conoscerla perchè vedo spuntare dalle sue
guance un leggero rossore.
Ci sediamo ed ordiniamo due birre.
Dopo qualche minuto l’atmosfera torna normale ed i miei amici
ritrovano il loro abituale modo di essere. Questo anche per merito
di Ilaria, che nonostante la notorietà è simpatica e alla mano come
noi; infatti il suo carattere dolce e naturale è quello che mi ha
sempre fatto impazzire.
Comincia l’andirivieni di ragazzi che vogliono conoscerla: alcuni
chiedono di baciarla, altri l’autografo, Francy e Marco le offrono
da bere mentre Teo le presenta il suo cane Fegato:
“Che buffo nome, perché l’hai chiamato così?” chiede Ilaria
curiosa.
165
“Perché beve come un tombino” è la risposta da alcolizzato del
padrone.
Io e Massi ci guardiamo e scoppiamo in una fragorosa risata:
probabilmente gente così strana Ilaria non l’ha mai conosciuta!
Infine giunge Claudia.
La vedo entrare e guardare dalla porta nella nostra direzione; si
ferma un attimo prima di procedere verso il tavolo. E’ vestita più
o meno come Ilaria: jeans, scarpe da tennis e maglietta che le
scopre le spalle. Le si intravede il seno, che però sfigura
clamorosamente accanto a quello di Ilaria.
Si siede di fianco a me ponendosi esattamente di fronte a
quest’ultima.
“Ciao Ilaria”.
“Ciao Claudia” si dicono in tono neutro.
“Vedo che vi siete ripresi dall’avventura di questo pomeriggio. Il
tuo bel vestito si è rovinato?”.
“Non tanto, con una lavata si può sistemare” risponde Ilaria a
denti stretti.
“Meno male, mi spiace che una ragazza di mondo come te abbia
conosciuto i nostri modi da campagnoli così presto” dice Claudia
in tono pungente.
“Non c’è problema. In cambio quando verrai a Milano ti farò
conoscere un po’ di progresso” ribatte Ilaria sottile come un
rasoio.
Cominciamo bene.
Massi mi guarda con espressione stupita dicendo sottovoce:
“Ma cosa hanno ste due?”.
“E che ne so. A quanto pare non si trovano simpatiche”.
Renzo invece non capisce nulla e continua a fissare Ilaria da vero
maniaco.
Per allentare la tensione spiego ad Ilaria che loro sono i miei
migliori amici, che siamo soprannominati ‘La compagnia del
flagello’, raccontando un paio di episodi che abbiamo combinato
insieme.
Ma credo di non avere fatto la mossa giusta…
Più vado avanti a raccontare, più Ilaria fissa Claudia come un
Cobra che punta la preda, mentre la mia amica si gongola
166
letteralmente. Forse non dovevo dire di quanto siamo intimi io e
Claudia; penso di avere peggiorato la situazione.
Gelosia
“Praticamente abbiamo passato la vita insieme” dice Claudia
mettendomi un braccio intorno al collo. Ilaria spalanca gli occhi
stupita. “Non c’è stato un momento della nostra adolescenza che
non abbiamo condiviso” prosegue Claudia stringendosi ancora di
più.
“Avere passato la giovinezza vicini deve essere stato bello”
ribatte Ilaria sorniona prendendomi le mani “Ma noi stiamo
vivendo insieme l’età adulta, che ti assicuro è molto più
interessante”.
“Ah sì?” domanda Claudia a denti stretti.
“Certo, ci sono un sacco di cose divertenti che si possono fare in
un letto, sai?” conclude Ilaria buttando gli assi sul tavolo.
Gli occhi di Claudia diventano fessure.
Ilaria osserva minacciosa.
Anche Renzo trattiene il respiro per la tensione che si è venuta a
creare.
“Ai ai…” si lascia sfuggire Massi dalle labbra.
Io sono in mezzo a loro due: Claudia mi abbraccia mentre Ilaria
tiene le mie mani.
Che situazione di merda!
Mi alzo all’improvviso rompendo il silenzio:
“Emm… Claudia, vado a ordinarti da bere, cosa prendi?”
“No, lascia stare” dice lei alzandosi a sua volta senza smettere di
fissare Ilaria, “Vado io, tu resta pure seduto”. La osservo
allontanarsi mentre tiro un respiro di sollievo:
“Ila, cosa diavolo ti è preso?” domando.
“Guarda che ha cominciato lei!”.
“Non ha iniziato nessuna delle due, vi state provocando insieme”.
“Ma non hai visto come è gelosa?”.
167
“Va bene, può darsi che lo sia, ma non è un buon motivo per
comportarvi come bambine”. Appena finisco la frase Claudia
torna tra noi sorridendo, si siede di fianco a me e dice:
“Le nostre ordinazioni stanno arrivando…”.
“Come le nostre ordinazioni?”.
“Eccole!” ribatte lei mentre giunge un cameriere che piazza
davanti a Claudia una media chiara, e ad Ilaria un litro di latte
caldo fumante!
“Nooo!” esclama Massi divertito.
“E questo cos’è?” chiede la mia fidanzata innocentemente.
Renzo non si fa attendere e fa partire il coro: “Bellaaa, non ti
passa piuuù, te la sei voluta tuuu, vuoi il Bar Lassina e poooi, latte
caldo cazzi tuoooi!!”.
Decine di persone si sono radunate all’improvviso intorno al
tavolo ed hanno intonato con Renzo un coro della madonna!
Sul “cazzi tuoi” Ilaria spalanca la bocca sbalordita. Ci fissa come
se fossimo tutti impazziti. Le spiego che lo deve bere e pure
pagare, mentre tutti continuano a ridere. Claudia ha fatto una
mossa da vera bastarda! Di fianco a me ride soddisfatta.
Eppure Ilaria, con grande spirito di compagnia, si alza in piedi,
solleva il boccale e fa una lunga sorsata di latte!
“Ole!” scatta l’ applauso di tutti i presenti.
Magnifico. Ilaria ha reagito nel modo migliore.
Nonostante sia un personaggio del mondo dello spettacolo non ha
assolutamente la puzza sotto il naso e non è neppure lontanamente
snob. Al contrario, è socievole, dal sorriso facile e sincera.
Ed anche Claudia sembra che se ne sia accorta.
Rimane per un attimo ad osservare la showgirl con espressione
curiosa; mentre Ila fa il primo sorso di latte vedo Claudia annuire
impercettibilmente con la testa. Credo di non sbagliare dicendo
che Ilaria ha scalato di parecchi gradini la scala della stima di
Claudia.
Passiamo il resto del tempo seduti al tavolo a chiacchierare. Le
due ragazze si punzecchiano di meno anche se vedo ancora
dell’astio nei loro occhi. Però va bene così, siamo sulla strada
buona; magari tra un milione di anni riusciranno persino ad essere
amiche.
168
Renzo invece, che è già entrato in intimità, decide di fargli
conoscere tutti i personaggi di Lassina. Usciamo all’aperto,
sempre circondati da ragazzi che vogliono vederla. Stasera c’è
davvero un sacco di gente; sarà la voglia d’ estate a fare
quest’effetto.
Eppure Claudia, più perfida che mai, fa ad Ilaria una domanda che
mai avrei voluto sentire…
“A proposito Ilaria, sai chi ti saluta un casino?”
“Non rispondere!” cerco di dire alla mia fidanzata, ma lei
incuriosita domanda a sua volta:
“Non so, chi?”.
In un attimo vedo tutti i clienti del locale girarsi
contemporaneamente verso Ilaria, prendendosi il pacco tra le
mani. Chiudo gli occhi e tiro un sospiro prima di sentire un
fragoroso:
“STO CAZZO!!!”
“HA HA HA” risate generale a profusione. Ilaria mi guarda
sbalordita, non riesce a proferir parola.
“Accidenti Claudia, sei simpatica come un Tir in contromano”
dico.
“E’ la tradizione!” risponde lei allargando le braccia come se non
avesse potuto fare altrimenti. Tra le risate che non accennano a
smorzarsi Ilaria chiede:
“Sono finiti gli scherzi o devo subirne degli altri?”. Accompagna
la frase con un largo sorriso, che però non viene visto dai miei
amici, perché Renzo esclama subito:
“Oi oi, la Agrati si è arrabbiata…”.
Massi drizza le antenne insieme a Teo e Cavallo.
“Non mi sono arrabbiata”.
“Capito? Non se l’è presa!” ribatto, anche se ho già intuito che
non c’è più nulla da fare. Infatti Renzo l’ha già afferrata per le
spalle mentre Massi le si pone davanti.
“E adesso che succede Luca?!” Domanda con occhi impauriti e
divertiti nello stesso tempo.
Sospiro rassegnato prima di rispondere:
“Succede che ora fai un tuffo nel laghetto”.
“Cosa?!?”.
169
“Attenzione Attenzione! La velina Agrati sta per fare un bagno!”
grida Renzo richiamando l’attenzione di tutti i presenti.
Ilaria viene portata come un sacco di patate ai bordi del laghetto,
seguita praticamente da tutti i clienti.
“Maledetto il momento in cui ho deciso di venire a trovarti!!”
esclama Ilaria divertita. Per fortuna anche questo scherzo l’ha
preso bene; Ilaria è una ragazza davvero fantastica!
“Uno”.
Vedo oscillare la mia fidanzata.
“Due!”
Sta per essere lanciata in acqua.
“Tre!!”.
Atterra nel laghetto…
“SPLASH!”.
Risate e applausi a profusione. Claudia a pochi metri da me
osserva la scena ridendo di gusto.
La guardo più vendicativo che mai. Questa volta me la paga!
Veloce come un gatto sopraggiungo da dietro prendendola in
braccio:
“Aiut… Ma che fai!” esclama lei sorpresa.
“Ti faccio fare un giro gratis!”.
Tutti i presenti sentendo queste parole esplodono in un
incitamento da stadio:
“Vai Luca!!”.
Mi faccio spazio tra i tavoli con Claudia tra le braccia che scalcia
come un’ossessa.
Entro in acqua fino a metà ginocchio prima di lanciarla senza
troppi complimenti.
Chiaramente Claudia non molla il mio braccio e finiamo entrambi
nel laghetto come la prima volta che l’ho buttata:
“SPLASH!”
E due.
Sapevo che sarebbe finita così ma Claudia meritava una lezione!
Seduto nel laghetto cerco di togliermi l’acqua dal viso mentre
sento partire un grosso applauso divertito.
Apro gli occhi appena in tempo per vedere Claudia che si è già
alzata in piedi, e camminando nello stagno si avvicina ad Ilaria
170
che è ancora col sedere a mollo. Giunta a un metro da lei le tende
la mano. Ilaria stupita osserva Claudia che le fa un amichevole
sorriso:
“Grazie” dice Ilaria afferrandole il braccio ed alzandosi in piedi.
Fatico a credere ai miei occhi.
“Di niente” risponde Claudia “Anzi, scusami per lo scherzo di
prima. Sei una ragazza a posto…”.
“Non preoccuparti Ilaria!” grida Alessandro dai bordi del laghetto
“Claudia tratta sempre così i suoi nuovi clienti!”.
“I tuoi nuovi clienti?” ripete Ilaria stupita, “Non dirmi che questo
posto è tuo!?”.
“Bhè, sì…”.
“Complimenti, è bellissimo!” dice la mia fidanzata entusiasta.
“Grazie”.
Si fissano per alcuni secondi, questa volta senza astio nei loro
volti ma con espressione curiosa e amichevole.
Ecco qua; le due ragazze più importanti della mia vita stanno
trovando la strada per essere amiche?
Non lo so, vorrei che fosse così.
Si incamminano verso i tavolini chiacchierando tranquillamente.
Io rimango ancora seduto in acqua per alcuni secondi:
“Ti muovi?” mi intima Renzo invitandomi ad uscire.
Strizzo i pantaloni e lo raggiungo.
Claudia ed Ilaria proseguono a parlare distese e sorridenti.
Il giorno dopo
Sto aiutando Ilaria a caricare la borsa sulla macchina. Siamo nel
cortile davanti a casa mia, è mattina, ed Ilaria sta per partire.
E’ rimasta solo per una notte.
Ieri sera abbiamo fatto le tre ma Ila sembra non risentirne. Tra
qualche ora deve trovarsi a Milano a registrare una puntata del
suo spettacolo perciò deve essere in forma.
Io al contrario di lei sono un cadavere ambulante. Ho delle borse
sotto gli occhi così grandi che potrei caricarle sulla macchina
insieme alle valige.
171
Ila si avvicina, mi passa una mano tra i capelli e dice:
“Ciao amore, io vado” dandomi un bacio.
“Quando passerai a trovarmi?” le chiedo con voce cavernosa.
“Non lo so, appena avrò un momento libero”.
“Vuoi che torno io?”.
“No Luca, ne abbiamo già parlato. Tu stai qua a Lassina buono
buono e divertiti. Il tuo capo aveva ragione a farti fare una pausa.
E poi mi sembra che ti stia divertendo, no?”.
“Sì ma…”.
“Niente ma! Oltretutto a Milano fa un caldo bestiale e la gente
comincia ad andarsene al mare. Ti divertirai di più qui. Va
bene?”.
“Va bene…” rispondo non troppo convinto.
“E poi c’è Claudia a farti compagnia”.
“Mmm?” domando poco sicuro di avere capito bene. Ilaria
appoggia la borsetta sul sedile dell’auto e mi prende la mani.
“Claudia… Claudia è una ragazza speciale. L’ho capito ieri sera.
Anzi, chiedile scusa da parte mia per quello che le ho detto. Non
ne ho avuto l’occasione”.
“Lo farò ma…”.
“Luca te lo ripeto” dice guardandomi negli occhi “Claudia ti
vuole molto bene. Prima era solo un’ intuizione, ora ne ho la
certezza. Ma è un bene diverso da quello che ci vogliamo noi due.
E’ molto profondo, qualcosa di grande e unico. Per lei tu sei una
persona molto importante. Credo che non possa fare a meno di
te”.
“Senti Ila…”.
“E tu di lei. Vi ho osservato come stavate insieme ieri sera.
Eravate a posto. Eravate… perfetti. Mi davate l’impressione che
era giusto che foste lì, voi due con la vostra storia, il vostro
carattere e i vostri momenti. Non so come mai; magari perché
siete amici da così tanto tempo che siete entrati in simbiosi senza
neppure accorgervene”.
“Può darsi ma…” .
“Dimmi la verità, tu potresti fare a meno di lei?”.
172
Apro la bocca per rispondere ma non esce alcun suono. Ila mi
osserva qualche secondo prima di fare un cenno affermativo con
la testa.
“Visto Luca? Le vuoi un gran bene; così enorme che neppure tu
riesci a comprendere. Ma vedi… Proprio per questo ti dico di
stare con lei. Non sono più gelosa di Claudia. Dopo ieri sera non
lo sono più.
Vi proteggerete a vicenda e starete bene insieme, come in realtà
avete sempre fatto. Questa è una parte della tua vita che è venuta
prima di me, e non posso fare altro che accettarla”.
Ascolto Ila senza proferir parola. Questa ragazza mi stupisce
sempre di più. Prosegue dicendo:
“Al contrario di te che non l’hai ancora accettata. Claudia è
importante per te. Stalle vicino e vedrai che starai bene anche tu.
Vedrai che tutti i problemi, la noia e le paure che ti porti dentro
piano piano svaniranno. Ma devi accettarla. Devi accettarti. Ed
anche io e te staremo meglio, sono sicura. E magari la nostra
relazione riuscirà a prendere una piega più seria; la serietà che ci
manca per fare quel passo che fino ad adesso non abbiamo mai
fatto”.
Sorrido imbarazzato ascoltando quello che ha appena detto. Lei
mi osserva intuendo quello che provo e mi dà un bacio.
“Mi fido di Claudia. E’ una ragazza speciale”.
Si volta salendo sul Cayenne; io come un fesso non so cosa dire.
Sarà che sono addormentato oppure a causa del discorso che ha
appena concluso, ma mi sento un perfetto imbecille.
“Ciao” dice lei facendo la retro e mandandomi un bacio.
Io la saluto con la mano.
“E tieni il cellulare acceso!” esclama uscendo dal cortile e
sparendo dalla visuale.
Tiro un sospiro rassegnato.
Mi volto rientrando in casa con i soliti mille pensieri che mi
passano per la mente.
Questo discorso di Ilaria mi ha colpito. E il bello è che non vedo
l’ora di dirlo a Claudia…
Ma pensa te!
Che Ilaria abbia davvero ragione?
173
16
Sulla faccia delle donne
Batte quasi sempre il sole
Per noi che se non ci fossero loro…
A noi basta una parola
Anche un gesto solamente
Per cambiare il colore di un giorno
Stadio
Mezzogiorno di fuoco
Manca poco ad Agosto. Il caldo è soffocante in questi giorni e
Lassina si è svuotata. Eppure la Compagnia del flagello è rimasta.
A causa della schiena Renzo non può andare da nessuna parte.
Non perché gli faccia male, ma se dovesse uscire un controllo e
non lo trovassero a casa finirebbe in guai seri. Oltretutto
Francesca ha colto l’occasione per andare in villeggiatura con i
suoi genitori, visto che erano anni che non lo faceva, lasciandolo
solo a casa. Non è una novità, il rapporto tra loro due è molto
libero e non sono ossessivi l’uno con l’altro; si prendono le loro
libertà nel totale rispetto dell’altra persona.
Renzo e Francesca sono decisamente una bella coppia. Chissà se
quando andranno a convivere le cose cambieranno. Ad ogni modo
Renzo adesso è bloccato a Lassina, quindi per solidarietà non ci
muoviamo neppure noi.
Bisogna ammettere che questo sacrificio non ci costa molto…
Sono più di due mesi che siamo in ferie e di andare in vacanza
non ne abbiamo voglia.
Oltretutto Lassina deserta ci piace.
174
Possiamo scorazzare per il paese e combinare disastri senza dare
fastidio a nessuno. Come oggi ad esempio che stiamo per ripetere
una follia di qualche anno fa.
Siamo andati a prendere un carrello della spesa al Mak Market,
che ovviamente è chiuso per ferie. Con una monetina l’abbiamo
sganciato dai suoi fratelli infilati in colonna e lo stiamo portando
in strada. E’ mezzogiorno e l’asfalto è così bollente da creare i
tipici miraggi di pozze d’acqua in lontananza.
Non circola neppure una macchina. Io Renzo Massi e Claudia
stiamo spingendo il carrello verso la discesa dell’oratorio, che
termina alla rotonda della banca. Se tutto andrà come previsto
sarà un mezzogiorno certamente di fuoco!
“Chi sale per primo?” chiede Claudia.
“Io no di certo” ribatte Renzo che porta una maglietta senza
maniche dei Napalm Death, con dei jeans lunghi tutti sfilacciati. Il
pizzo da diavolo è così cresciuto da arrivargli fino allo sterno.
Anche Claudia porta dei jeans ma sono molto corti, ed una
maglietta bianca con il simbolo della Nike. Indossa un cappello di
paglia a larghe falde per coprirsi dal sole. Io e Massi siamo vestiti
uguali, con pantaloni a tre quarti pieni di tasche ed una maglietta
presa a caso dall’armadio.
“Salgo io” dico per risolvere la questione. Massi fa un cenno
affermativo con la testa mentre arriviamo in prossimità della
discesa. Subito lui e Renzo la percorrono tutta lasciando me e
Claudia in cima alla salita. Osservo da lontano Renzo posizionarsi
al centro della rotonda, mentre Massi si avvicina leggermente a
noi. Quando Renzo è sicuro che non passino automobili grida:
“Vai!”.
Entro nel carrello della spesa.
“Pronti, partenza… Via!” dice Claudia.
Mi spinge leggermente giù per la discesa.
Piano acquisto velocità mentre sento l’aria calda sbattermi sulla
faccia.
E’ incredibile! Sono lanciato da una discesa nel carrello di un
supermercato!
Sono come quei pazzi che si buttano dalle cascate all’interno di
una botte di legno.
175
“Yeee!!” grido in preda all’adrenalina.
Raggiungo Massi dopo alcuni secondi. Prima che possa
sfrecciargli di fianco a tutta velocità mi afferra le gambe fuori dal
carrello, in un gesto già provato centinaia di volte quando
eravamo più piccoli. Mi fermo in un attimo; anche perché la forza
erculea di Massi fermerebbe persino un trattore. Claudia applaude
in cima alla salita così come Renzo in mezzo della rotonda.
“Allora?” chiede Massi.
“Pazzesco!” rispondo con enfasi uscendo dal carrello, “Non
ricordavo che era così bello; ti giuro che c’è stato un momento in
cui credevo che me la sarei fatta addosso”.
Torno da Claudia con il carrello mentre gli altri due restano dove
sono. Ora tocca a lei fare un giro. Si infila dentro mentre dico:
“Pronti, partenza… Via!” lanciandola giù per la discesa.
Il cappello le vola subito lontano, mentre tiene le braccia alzate
come se fosse sulle montagne russe di Gardaland.
Alla fine Massi la afferra con molta naturalezza, facendo scendere
Claudia più radiosa che mai.
“Adesso tocca a me” dice Renzo trovando coraggio. Lo
sostituisco alla rotonda. Quando non sopraggiungono automobili
do il segnale di partenza, e Renzo viene lanciato da Claudia.
Massi lo afferra tranquillamente e continuiamo questa follia sotto
il sole di un pomeriggio bruciante.
Massi fa pochi giri; lui è l’addetto alla frenata e si diverte di più in
questo ruolo. Oltretutto fermarlo nel carrello lanciato è impresa
non da poco, e solo Renzo è in grado di compierla. Io e Claudia
siamo troppo gracili per questo genere di sforzi, e probabilmente
lo lasceremmo schiantare sul muro della palazzina oltre la
rotonda, sempre che prima non lo investa una macchina.
“Fate fare una discesa anche a me?” chiede Massi dopo un’ora,
“Ne ho fatte veramente poche”. Per noi non c’è alcun problema.
Ci posizioniamo in questo modo: Claudia in cima alla salita con
Massi dentro al carrello, Renzo a metà strada per fermarlo ed io
sulla rotonda.
“Puoi lanciarlo!” grido a Claudia. Lei a quanto pare mi prende
alla lettera e dà una poderosa spinta a Massi! Il carrello viene
spedito a gran velocità. Massimo alza le braccia contento della
176
super-velocità, non accorgendosi che inizia a girare su se stesso.
Dopo pochi metri corre già di lato senza più controllo.
“Oh cazzo…” commento con un filo di voce.
Lentamente continua la rotazione finché Massi si trova a scivolare
al contrario, dando le spalle a Renzo che lo deve afferrare.
“Voltati! Così non riesco a prenderti i piedi!” grida Renzo.
“Non posso! Come si fa?!?” risponde Massi con quanto fiato ha
in gola, mentre si fa prendere dal panico. Claudia si mette le mani
nei capelli. In pochi secondi realizzo che stavolta siamo proprio
nei guai.
Oltretutto dalla strada che incrocia quella in cui siamo vedo
sopraggiungere una macchina. Se Renzo non afferrerà il nostro
amico per le gambe finirà dritto sul muso dell’automobile.
Ed infatti è quello che sta per succedere!
“Prendimi prendimi!” grida Massi. Renzo fa per agganciarlo ma il
carrello è al contrario e lo manca. Massi scivola a tutta velocità
nella mia direzione, dritto in bocca alla macchina o al muro dove
inevitabilmente si schianterà.
Devo fare qualcosa!
So che non ho la forza per fermarlo, ma devo tentare. Senza
pensarci due volte mi metto in mezzo alla carreggiata ad aspettare
il carrello.
“Bloccalo!”urla Renzo a gran voce.
Claudia sta correndo per raggiungerci.
Vedo Massi bianco come la morte che mi guarda disperato.
Quando arriva a pochi metri da me faccio l’unica cosa possibile:
con un calcio volante degno di Bruce Lee colpisco di lato al
carrello. Lo prendo in pieno e con una forza tale da sbatterlo nelle
aiuole ai bordi della strada. Vedo Massi volare come Ralph
Supermaxieroe e finire seppellito in un cespuglio. Il carrello
rotola al di là della siepe con clangore metallico. Io cado su un
fianco e vedo le stelle quando sbatto l’anca sull’asfalto!
In quel momento l’auto imbocca la rotonda e passa nel punto
dove si sarebbe certamente spappolato Massi se non avessi tentato
questa mossa da suicidio.
177
Il signore a bordo della vettura mi guarda con occhi curiosi,
chiedendosi come mai ho deciso di prendere il sole sul cemento in
un giorno così bollente!
“Porca puttana” impreca Renzo.
“Vi siete fatti male?”.
“Claudia vai a cagare!” urla una voce in mezzo alla siepe. Ci
guardiamo un momento per poi scoppiare a ridere tutti e quattro!
Per fortuna nessuno di noi si è fatto nulla, a parte qualche livido
che resterà alcune settimane. Ci alziamo, ci spolveriamo e
raccogliamo il carrello accartocciato come un foglio di carta.
“Ora va bene per metterci dentro solo delle sogliole…” commenta
Massi dolorante, mentre percorriamo la salita che porta al
supermercato. Penso che sarà l’ultima volta che faremo questo
gioco...
Il corvo
Arriva sera e più svitati che mai decidiamo di compiere un’altra
follia. Ci troviamo davanti alla scuole sulla strada sterrata che
porta al campo di calcio di Lassina. Massi ha una grossa tanica di
plastica in mano e mostra il liquido nero in essa contenuto con
gran soddisfazione:
“Questo l’ho fatto io. E’ un misto di petrolio e Cloro di benzo
raffinato che brucia da Dio!”.
“Cloro di che?” chiediamo in coro.
“Niente, una roba che si incendia. Dai, scendiamo sul campo a
provarlo” propone con entusiasmo. Lassina è deserta e nessuno
vedrà questo misfatto. L’idea è di spargerlo sul terreno di gioco
(che non è erboso ma sabbioso, a causa del maltrattamento) e fare
un disegno usando come inchiostro il petrolio. Dato che siamo
rimasti affascinati dal film “Il corvo” con il figlio di Bruce Lee, ci
siamo promessi che prima o poi avremmo rifatto la scena dove un
corvo infuocato brucia per terra. E oggi sembra il giorno ideale.
Non dovrebbero vederci proprio perché non c’è anima viva.
178
Giungiamo davanti al recinto ed entriamo nel campo. Ci mettiamo
nel cerchio di centrocampo (o almeno quello che rimane) e ci
chiediamo:
“Chi lo sa disegnare?”.
“Non guardare me” dico sinceramente. Claudia scuote la testa
mentre Renzo allegro afferra la tanica e si dirige verso le
panchine. D’altronde è sempre stato lui ad avere la fissa di questa
avventura, ed è giusto che si cimenti nel disegno.
Immediatamente rovescia la tanica centellinando il liquido scuro
ed inizia a disegnare l’ala. Presi alla sprovvista dalla sua azione
repentina restiamo a guardare per qualche secondo prima di
reagire:
“Forza, facciamo un tracciato del corvo sulla sabbia, in modo che
Renzo possa seguire una figura già preparata”. Scavando linee coi
piedi ci mettiamo subito all’opera; Massi si preoccupa di
disegnare la testa, Claudia l’altra ala mentre io stilizzo la coda e le
zampe. Renzo prosegue a spargere il petrolio finché non
raggiunge il nostro tracciato, dopodichè alza la testa incuriosito
commentando:
“Ragazzi, ma non sarà un po’ troppo grande?”. Tutti e quattro ci
fermiamo accorgendoci che l’uccello che sta venendo fuori è delle
dimensioni del campo di calcio! Io e Massi ci troviamo sotto le
porte opposte e non riusciamo a fare a meno di sorridere:
“Vuol dire che l’effetto sarà ancora più spettacolare!” commenta
Claudia. Renzo alza le spalle e prosegue a testa bassa continuando
a rovesciare il petrolio.
Dopo circa quindici minuti ultimiamo il lavoro e ci posizioniamo
al centro del campo ad ammirare la nostra fatica: è veramente
immenso! Illuminati solo dalla luce della luna fatichiamo perfino
a vedere la punta delle ali, ma il colpo d’occhio resta
impressionante. Una lunga striscia nera corre fino alle aree di
rigore, perdendosi poi nel buio della notte.
“Lo avremo disegnato bene?” chiedo.
“Secondo me sì” risponde Claudia.
“C’è un solo modo per saperlo” interviene Massi “Diamogli
fuoco”.
179
Scattiamo tutti in preda ad una sana eccitazione e ci dirigiamo
verso la porta dove finisce la coda. Ci arrampichiamo sulla rete e
raggiungiamo la traversa sdraiati a pancia in giù sulla tela.
“Ci reggerà?” chiede Renzo cercando di stabilizzarsi.
“Certo, e poi ci vorrà poco…” ribatte Massi.
“Spiegaci cosa dovrebbe fare il tuo petrolio”.
“Non è petrolio, è un composto che ho preparato io”, e di questo
nessuno aveva dubbi vista l’innata passione di Massimo per la
chimica. “Dovrebbe bruciare più lentamente. Secondo i miei
calcoli il fuoco si alzerà di pochi centimetri, lasciando per
parecchi minuti il corvo che abbiamo disegnato. Anche se basterà
solo per il tempo di scattare alcune fotografie” dice estraendo di
tasca la macchina digitale.
“Bene” commento.
“Hai i fiammiferi?”chiede Claudia.
“Eccoli” esclama Massi. Ne strofina uno che si accende con un
leggero fruscio. Sotto di noi c’è una piccola chiazza di petrolio
lasciata apposta per essere centrata.
“Pronti, partenza… Via!” dice Massi gettando il cerino in mezzo
alla macchia. Dalla nostra posizione privilegiata sopra la traversa
osserviamo il fiammifero cadere. Appena tocca terra il petrolio si
incendia ed inizia a correre con due strisce sottili ai lati del
campo. Le ali di fuoco prendono forma mentre guardiamo a bocca
aperta la corsa incendiaria. Le fiamme salgono fino alla porta
dall’altra parte del campo, formando la testa dell’uccello che ora
si staglia davanti a noi in tutta la sua grandezza.
Uno spettacolo magnifico!
Il fuoco entra nel buio con lingue tremolanti e lascia il nostro
corvo bruciante ergersi maestoso in tutta la sua grandezza.
“Sti cazzi!” commentiamo elegantemente. Massimo scatta una
foto dietro l’altra mentre noi tre ci guardiamo estasiati.
Bellissimo!
Quest’impresa ce la ricorderemo per sempre.
Eppure dopo qualche minuto chiedo un po’preoccupato:
“Ma il fuoco non doveva rimanere basso?”.
“Cosa?” risponde Massi.
“Il fuoco. Non hai detto che rimaneva di qualche centimetro?”.
180
“Certo”.
“A me sembra che si sia alzato”. Restiamo in silenzio ad
osservare le fiamme, ed effettivamente notiamo che aumentano
sempre di più. Il nostro amico chimico ci guarda dubbioso;
sembra di vedergli un grosso punto di domanda sulla testa. Il
fuoco continua nella sua progressione finché notiamo che le
fiamme sono alte quasi un metro.
“Cazzo, cosa sta succedendo?”chiede Renzo.
“Non so, a quest’ora dovrebbero spegnersi” ribatte Massimo.
Velocemente scendiamo dalla rete avvicinandoci al disegno di
fuoco. In un batter d’occhio la fiamma si è alzata arrivando a un
metro e mezzo!
Preso dal panico grido:
“Spegniamolo! Copriamolo con la sabbia!”.
Iniziamo a scalciare verso le strisce di petrolio infuocate, ma
l’impresa è disperata; il corvo gigante nemmeno sente le manciate
si sabbia che tiriamo. Sembra un elefante indifferente al
camminare di una formica sul suo dorso.
Le fiamme si alzano ancora di più!
Mi allontano coprendomi il viso dal fuoco che ora è più alto di
me.
“Come si fa a spegnerlo?!”.
“Non lo so!” risponde Massimo spaventato.
Ci stringiamo ad osservare la nostra opera. Siamo tutti sbigottiti.
Come al solito la situazione ci è sfuggita di mano. Per giunta dalle
fiamme inizia a sprigionarsi un denso fumo nero che si innalza
altissimo nella notte. Il campo da calcio di Lassina sta
letteralmente bruciando!
“Così lo vedranno dai palazzi rossi!” commenta Claudia
indicando dietro di noi. A un centinaio di metri infatti c’è un
condominio abbastanza alto che con tutta questa luce potrebbe
notare l’incendio. Speranzoso che gli inquilini siano tutti in
vacanza mi volto a guardarlo.
Decine di luci alle finestre sono accese!
Alcune figure nere sono affacciate e hanno tutta l’aria di guardare
nella nostra direzione.
Mi gela il sangue nelle vene.
181
“Scappiamo!” dice Renzo con occhi sbarrati. Non ce lo facciamo
ripetere due volte e di corsa raggiungiamo l’uscita vicino agli
spogliatoi.
“Dove andiamo?” chiede Claudia correndo.
“Saliamo sulla collinetta”.
“Quella del teatro nuovo?!”.
“Sì, cosi possiamo nasconderci tra le siepi e vedere cosa
succede”.
Veloci come lepri saliamo fino in cima, troviamo un albero
circondato dai cespugli e osserviamo. Da quassù la scena è ancora
più micidiale. Ci credo che dai palazzi rossi abbiano visto tutto! Il
fuoco illumina a giorno l’intera zona ed il fumo nero sembra
quello di una grossa ciminiera di una fabbrica di carbone; si
potrebbe tagliare a fette con un coltello da quanto è denso.
Pochi minuti dopo sentiamo la sirena dei pompieri:
“Questa volta abbiamo esagerato…”, subito seguita da quella
della polizia municipale.
Vediamo l’autobotte dei Vigili del fuoco fermarsi e srotolare le
manichette all’interno del campo di calcio. Tre pompieri con
potenti getti d’acqua colpiscono le fiamme.
Ho il cuore che batte a duecento all’ora!
Claudia e Renzo potrebbero far parte del museo delle cere da
quanto sono paralizzati; stasera abbiamo superato ogni limite.
Deglutisco a fatica e mi giro a guardare Massi, che al contrario di
noi sta facendo fotografie per nulla impaurito.
“Sei pazzo! Non hai pudore!” commento scioccato. Massimo si
gira e mi fa una risatina sommessa alla Muttley, quando inseguiva
il piccione Yankee Doodle in vecchio cartone animato.
Eppure qualche secondo dopo le fiamme cessano all’improvviso!
Come assorbite dal terreno si spengono in ogni parte del campo,
lasciando tutto nell’oscurità.
“Che diavolo è successo?!” chiedo sollevandomi.
“Deve essersi consumato il Cloro di benzo” risponde Massimo.
“Ecco perché sono durate così tanto. Dovevo metterne di meno in
modo che le fiamme restassero basse e si spegnessero subito!
Sono stato stupido. La prossima volta non sbaglierò”.
182
“Non credo ci sarà una prossima volta” dice una voce alle nostre
spalle.
Ci giriamo paralizzati dal terrore e vediamo il Comandante dei
vigili di Lassina davanti a noi insieme ad altri colleghi.
“Avanti, venite fuori di lì” intima con voce imperiosa.
Siamo fottuti.
Questa volta siamo davvero fottuti!
Anche Massi perde il sorriso mentre ci avviciniamo ai nostri
aguzzini.
Scavalchiamo la siepe ed usciamo sulla strada che costeggia la
collinetta, dove ci sono le loro auto parcheggiate con la luce blu
che gira lentamente.
“Ve lo chiederò solo una volta: tutto questo è opera vostra?”.
Restiamo in silenzio. Per un attimo mi chiedo se valga la pena
mentire e negare tutto, ma so che peggiorerebbe soltanto la
situazione. Perciò rispondo con un filo di voce:
“Sì…”.
“Vi hanno visto…” prosegue il comandante “…dai palazzi mentre
eravate sdraiati sulla rete della porta. Avete fatto una luce tale da
illuminare metà paese. Come pensavate di non farvi notare?”.
Continuiamo a non preferir parola. Ci sentiamo imbarazzati e
umiliati. Gli altri vigili ci osservano come se fossimo animali da
tenere in gabbia.
“Cosa vi è saltato in mente?”.
Silenzio.
“La chiamata è arrivata mezz’ora fa…”.
Silenzio.
“Ditemi i vostri nomi”. Schiacciati come piadine diamo le nostre
generalità: alla fine il Comandante ci invita a salire in macchiana.
“Dove ci portate?” chiede Renzo.
“In centrale”.
“Minchia, come nei film…” dice Massi sottovoce; Claudia gli tira
una pedata sugli stinchi per fargli capire che non è il momento di
dire cazzate.
Dopo pochi minuti arriviamo in centrale, che si trova al confine
con Oseve. Ci accompagnano attraverso alcuni corridoi e finiamo
in una stanza spoglia con alcune panchine.
183
“Stanotte la passerete qui” dice il comandante.
“Cosa?!?” esclamo sbigottito.
“Domattina vedremo cosa fare di voi. Il sindaco o i carabinieri
vorranno porvi delle domande”.
Ci guardiamo spaesati perdendo anche gli ultimi resti di
spavalderia.
“Qualcuno deve avvertire a casa?”.
Facciamo cenno di no con la testa; tutti i nostri parenti sono in
vacanza.
“Allora buonanotte” conclude il comandante uscendo dalla
stanza.
“Che figura di merda…” osserva Renzo con un filo di voce. Non
posso che dargli ragione. Muti come pesci ci avviciniamo alle
panchine e ci sediamo. Nessuno riesce a dire nulla. Massi è il
primo a sdraiarsi seguito subito da me e da Renzo. Nella
penombra della stanza solo Claudia resta seduta.
Dopo qualche minuto sento la nostra amica ridere
sommessamente…
Anche a Massimo scappa da ridere; lo osservo sussultare piano
sdraiato sulla panca di metallo. Improvvisamente anche sul mio
volto esplode un largo sorriso, che cerco di nascondere con la
mano.
“Ma che avete de ridere??” domanda Renzo dall’angolo più buio.
Noi in tutta risposta continuiamo a sghignazzare senza proferir
parola.
“Siete proprio deficenti…” dice girandosi verso il muro cercando
di dormire.
Che botta!
Siamo in piedi tutti e quattro nell’ufficio del comandante.
E’ mattino, sono le nove ed abbiamo una faccia da sonno da
raccontare.
Dopo alcuni minuti di attesa dalla porta entra il sindaco di
Lassina, un uomo che ha passato da un pezzo i settant’anni. Si
chiama Federico Rinaldi e credo non abbia fatto nient’altro nella
184
vita se non gestire questo piccolo paese. Con occhi vispi e acuti ci
osserva da sotto la giacca di lino grigia, che porta anche quando
fuori ci sono queste assurde temperature. Lo osserviamo sedersi
in silenzio alla scrivania e rivolgerci la parola con ostentato tono
di rimprovero:
“Ragazzi… Ragazzi… Ma cosa avete combinato stanotte?”.
Non rispondiamo; non è una domanda ma solo l’inizio del
sermone.
“Avete dato fuoco al campo di calcio, vi rendete conto? Credo
proprio di no…”.
Si aggiusta gli occhiali sul naso; dimostra al massimo
sessant’anni ed ha ancora scorza da vendere. Lo conosco da
parecchio ed è pure amico di famiglia; d’altronde in questo buco
di paese ci si conosce tutti per forza. Penso che sia venuto lui e
non i carabinieri perché conosce ognuno di noi, ed ha deciso di
lavare i panni sporchi in casa.
“Accidenti, avete trent’anni! Non potete più fare queste
sciocchezze da ragazzini! E’ ora di mettere la testa a posto”, mi
trattengo dal tiragli un pugno sentendo quest’ultima frase.
“Massimo…” prosegue “Da uno scienziato come te, non me lo
sarei mai aspettato! Renzo, mi vuoi spiegare col tuo mal di
schiena come hai fatto ad arrampicarti sulla traversa della porta?!
E tu Claudia, proprio perché sei una donna dovresti essere più
matura e responsabile”. Si alza dalla scrivania raggiungendomi.
Con un plateale gesto di rassegnazione esclama:
“Luca! Santo cielo Luca! Da quando sei tornato a Lassina non c’è
più pace!”.
“Ma non è vero, io…”
“Sei il personaggio più in vista” prosegue senza ascoltarmi
“Dovresti stare molto attento. Povera Teresa, quando saprà cosa
hai combinato stavolta le verrà un colpo… E se la televisione
scoprisse che sei un piromane?”.
“Adesso non esageriamo!”.
“Ah no? E come definiresti dei ragazzi che incendiano un campo
da calcio?!”.
Restiamo in silenzio di fronte a questa inconfutabile
affermazione.
185
“Come si fa adesso? Cosa dobbiamo fare con voi?” chiede a tutti
e a nessuno in particolare. La domanda si perde nella stanza
mentre Rinaldi appoggia il sedere nuovamente sulla sedia.
Rimaniamo in piedi di fronte a lui. Aspettiamo che si decida a
dirci cosa ha in serbo per noi.
“Ci sarà una bella multa da pagare” inizia sollevando lo sguardo
nella nostra direzione “la segnalazione dei vostri nomi ai
Carabinieri e probabilmente dovrete passare qualche giorno in un
centro di recupero. Ma se il giudice sarà benevolo ve la caverete
facendo volontariato in un centro per anziani”.
“Quale giudice?!” chiede Renzo a bocca aperta.
“Quello che vi giudicherà al processo. Per un atto come il vostro
si entra nel penale”.
“Nooo!” rimaniamo di gesso.
“Signor sindaco, la prego, non c’è niente che si può fare?”
domanda Massi disperato, “Una soluzione alternativa? E’ stato un
momento di follia, siamo veramente pentiti” conclude con una
magnifica faccia di bronzo.
Rinaldi resta in silenzio alcuni momenti prima di rispondere con
un piccolo ed ironico sorriso sulle labbra.
“A dire il vero, qualcosa ci sarebbe….”.
Tendiamo le orecchie come conigli.
“Da tanti anni c’è un buco nelle casse del comune” sospira, “Che,
aimè, non siamo mai riusciti a chiudere. Se con una generosa
donazione qualcuno si offrisse di pagarlo, noi gliene saremmo
davvero grati”.
Attimi di riflessione.
“Mi scusi sindaco” chiede Claudia “Ci sta suggerendo di
provvedere noi alla soluzione di questo problema comunale?
Insomma, in cambio lei chiuderebbe un occhio sull’incendio del
campo da calcio… Ho capito bene?”.
“Non ho mai detto queste parole!” esclama Rinaldi indignato
“Però sarebbe una buona idea” conclude girando la frittata e
lavandosene le mani.
E’ un vero politicante.
Se avesse qualche anno di meno potrebbe ambire alla presidenza
del consiglio.
186
“Va bene, abbiamo capito” riflette Massi “E a quanto
ammonterebbe la nostra multa, cioè il debito nelle casse del
comune?”.
“Oh, esattamente come i danni provocati ad una automobile circa
vent’anni fa” dice osservandomi con occhi da volpe. “Vero Luca?
Un’ Isotta Fraschini finita nei campi”.
Rimango sbigottito! Sta parlando del giorno in cui io e Claudia
abbiamo quasi distrutto quella vettura al Parco delle Querce.
“Ancora?!? Non è possibile” esclamo a gran voce mentre Claudia
mi stringe il braccio.
“Accidenti Luca” dice il sindaco alzandosi e perdendo il fare
mieloso ed ammiccante; ora parla come un vero contadino
infuriato:
“Costava un patrimonio l’Isotta Fraschini e tu e Claudia l’avete
fatta a pezzi! Santo cielo come ricordo quel giorno! E’ stato il
momento più difficile della mia carriera di sindaco e tutto grazie a
voi! Insieme siete una sciagura per questo paese e soprattutto per
me!” dice sfogandosi con parole che da troppi anni si tiene dentro
“Non mi lascerò scappare di certo l’occasione di rendervi pan per
focaccia”.
Se non fosse così arrabbiato ci scapperebbe da ridere; è la prima
volta che vedo il sindaco Rinaldi incazzato.
“Quanto dobbiamo pagare” chiedo per tagliare la testa al toro.
“Ventimila Euro”.
“Cosaa?!?”.
“Ventimila euro, prendere o lasciare. Io farò finta che ieri sera
non sia successo niente, ma voi pagate questa cifra. Sono
cinquemila euro a testa, ed è anche poco rispetto a tutti i danni
che avete fatto in questi anni. Oltretutto spero che la smettiate di
bruciare Lassina; le macerie di Cascina Visconti stanno ancora
fumando dall’ultima volta che siete passati!”.
Ci guardiamo tutti e quattro sorpresi, il sindaco non ha
dimenticato proprio nulla. Capisce di avere colpito nel segno
perché riprende l’atteggiamento ironico e garbato di sempre
tornando a sedersi.
“Comunque, vi aspetto questo pomeriggio alle quattordici nel mio
ufficio, così potremo risolvere il problema. Ora potete andare”
187
dice rivolgendoci un cenno con la testa. Confusi e sbalorditi ci
voltiamo e usciamo dalla porta.
In fila come indiani percorriamo il corridoio sotto gli occhi di
alcuni vigili alla scrivania, che sicuramente avranno sentito il
predicozzo.
Cinquemila euro!
Sicuramente pagheremo la multa, ma stavolta abbiamo preso una
bella batosta. Credo che per un po’ la Compagnia del flagello
starà tranquilla.
Inforchiamo la porta che dà sulla strada.
Il sole splende alto e caldo nel cielo.
Un vigile ci aspetta sui gradini con in mano la tanica di petrolio
che abbiamo usato ieri sera:
“Avete dimenticato questa” dice facendola dondolare.
“Mpf…” risponde Massi afferrandola con una smorfia.
Mentre ci allontaniamo sento lo sguardo ironico del tutore
dell’ordine sul collo.
Porca miseria che nottata!
Penso che non la dimenticheremo facilmente.
188
17
Fammi provare capitano
un’avventura dove io son l’eroe
che combatte accanto a te
Fammi volare Capitano
senza una meta
tra i pianeti sconosciuti
per rubare a chi ha di più
Capitan Harlock
Vacanze
Claudia sta dormendo.
Osservo il suo volto mentre sono seduto nel letto di fronte a lei.
Dorme sdraiata sul materasso della casa in montagna di Massi,
dove abbiamo deciso di passare una settimana.
Dopo le ultime scorribande a Lassina ci siamo convinti che era
meglio cambiare aria, perciò siamo partiti per la Valtellina, dove
trascorreremo una settimana tutti e quattro.
Siamo qui già da qualche giorno e manca poco a Ferragosto.
Rischio quattro ci ha portato indenni a mille metri d’altezza,
mentre Renzo è venuto con la sua inseparabile motocicletta ed ora
è via con Massi per fare un giro a Livigno.
Io e Claudia abbiamo deciso di rimanere.
Stamane si sono alzati troppo presto per noi, perciò ci siamo fatti
una bella dormita al fresco della montagna.
Nella camera c’è il matrimoniale dove sta dormendo Claudia ed
un letto a castello dove sono seduto io.
Da non so quanto tempo la sto osservando dormire.
Sono come calamitato da lei.
189
Vederla così piccola e indifesa mi dà tutta un’altra sensazione. Il
terremoto del suo carattere è sopito tra le lenzuola e non mi va di
svegliarlo. Con una mano sotto il cuscino dorme respirando
piano; i leggeri movimenti del suo corpo sono a mala pena
percettibili.
Il viso è disteso e rilassato.
Indossa solo una canottiera e degli slip; le lenzuola sono
raggomitolate in fondo al letto per il caldo. Ciuffi di capelli neri le
si posano delicatamente sugli occhi.
Dalla finestra entra una luce bianca che la illumina.
Non l’ho mai vista così bella.
Da quando sono tornato a Lassina ho riscoperto Claudia. Quelle
sensazioni che provavo stando con lei fino a qualche anno fa sono
tornate. Ma al contrario di allora non cerco di soffocarle; non le
nascondo tra le ansie e le paure del mio futuro. Ora le lascio
libere; sto provando a vedere che effetto mi procura farle correre a
briglia sciolta.
Eppure da poco mi sono accorto di quello che sto facendo; solo
adesso che sento battere forte il cuore ho la certezza di volerla
accanto.
Ripenso alle parole di Ilaria: “Stalle vicino e vedrai che starai
bene anche tu. Vedrai che tutti i problemi, la noia e le paure che
ti porti dentro piano piano svaniranno. Ma devi accettarla. Devi
accettarti”. E se avesse ragione? Se fosse lei l’antidoto alla mia
cocciutaggine, alla smania che ho sempre avuto di andarmene e di
lottare contro tutto e tutti? Probabilmente è la fobia di avere una
relazione seria che non mi ha mai permesso di vedere Claudia
diversamente da un’amica. La paura di ammettere a me stesso che
forse sono innamorato di lei.
‘Innamorato’, che parola pesante, accidenti! Ma se fosse vero?
Dovrei scavare in fondo al cuore per saperlo; togliere i veli di
paure in cui è impacchettato, le insicurezze e le bugie dette
solamente a me stesso.
La comprensione
190
In fondo non ho mai capito perché sono stato via tutto questo
tempo senza mai tornare; l’astio nei confronti di un paesino di
seimila abitanti non poteva essere il solo motivo.
Ma ora credo di avere capito. Erano quelle sabbie mobili che mi
avrebbero trattenuto se fossi tornato.
Ma cos’erano queste sabbie mobili? Anzi, chi erano??
E se erano proprio Claudia?
Se la paura di innamorarmi di lei fosse la vera causa?!
Amarla avrebbe voluto dire restare bloccato nella Brianza senza
alcuna possibilità di salvezza. Ed io inconsciamente sapevo che se
fossi tornato sarebbe successo…
Ma ero davvero innamorato di Claudia allora?
A questo punto sì, altrimenti non si spiega come mai in cinque
anni di Milano non ho fatto altro che pensare a lei…
E ne ho avuto la prova in questi giorni.
Starle vicino mi ha fatto sentir bene: sono stato davvero felice
come non mi capitava da anni, o come forse non mi era mai
capitato.
Tolta la paura del mio futuro, i sentimenti che provo per lei
potrebbero davvero essere liberati.
La radio, le canzoni, Milano, sono punti stabili nella mia testa.
Certo, non sono una sicurezza a cui appoggiarsi completamente,
come dice Alessandro, ma dentro me un po’ lo sono. E questo mi
fa bene. Mi fa stare in pace senza avere troppa paura del domani.
Ma per avere il cuore in ordine al cento per cento manca ancora
qualcosa.
Lo sento, lo so.
Anche in questo caso Alessandro aveva ragione. Quando mi ha
domandato: tu cosa vuoi? Non ho detto nulla. Mi ha aiutato Ilaria
a trovare una risposta...
Che cosa voglio?
Cosa vuole Luca Nudo?!
Beh…
Io voglio Claudia.
E’ lei il tassello mancante.
Accettare quello che provo per lei sarebbe la fine del puzzle.
Può essere davvero così?
191
Sono innamorato di Claudia?
La osservo respirare; strisce di luce entrano dalle tapparelle
illuminandole la figura.
Il cuore batte più forte.
In fondo l’ho sempre saputo. Sono tornato a Lassina per rivederla,
è inutile continuare a negarlo a me stesso. Avrei potuto
convincere il Capo a restare in radio in ogni momento; ed invece
sono tornato. Non per seguire un suo consiglio, ma perché lo
volevo davvero! Morivo dalla voglia di rivedere Claudia. Di
sentire la voce del cuore e di capire quanto ancora la volevo e
quanto mi era mancata. Possibile che tutte queste cose erano sotto
i miei occhi ed io non sono mai riuscito a vederle? Possibile che
amici e parenti lo abbiano sempre saputo, mentre io sono stato
l’ultimo ad accorgermene?
Claudia si muove facendo un leggero fruscio con le lenzuola.
Il mio cuore perde un battito.
Apre gli occhi lentamente posando il suo sguardo su di me.
“Ciao” dice sottovoce “Da quanto tempo sei lì… così..?”
Divampa il sentimento nei suoi confronti. E’ come se la
osservassi da un’eternità. Mi sembra di provare le vibrazioni del
periodo in cui avevamo fatto l’amore, quando mi sono chiesto per
la prima volta se ero innamorato di lei. E’ straordinario vederla
mezza addormentata nel letto, seminuda, con lo sguardo ancora
indeciso se tornare nel mondo di Morfeo oppure fare un salto
nella realtà.
“Forse da sempre” rispondo con un soffio.
“Cosa…?” ribatte stropicciandosi gli occhi.
Si alza tenendosi appoggiata con una mano al cuscino. I capelli
neri tutti spettinati le danno un’aria da ragazzina; la maglietta da
un lato è rimasta raggomitolata scoprendo l’ombelico ed una
pancia piatta come un tavolo da biliardo. Se è vero che il valore di
una ragazza lo si nota quando è appena alzata al mattino Claudia
allora è bellissima.
“Hey” dice sottovoce “Come mai eri lì in silenzio?”.
“Ti stavo guardando…”.
“E perché?”.
192
“Pensavo a un po’ di cose…” rispondo lasciando in sospeso la
frase, “Aspetta, ti porto il caffè”.
Senza darle tempo di risponderle mi fiondo in cucina prendendo
la moka che ho lasciato in caldo, verso due tazze abbondanti e
torno in camera. Nel frattempo si è ricomposta piegando le gambe
sotto il sedere e dandosi una scrollata con la mano ai capelli. Mi
siedo accanto lei sul matrimoniale:
“E così ti saresti pettinata?” chiedo porgendole il caffé.
“Perché non va bene?”.
“Se lo dici tu”.
Si porta la tazza alle labbra sorseggiando un po’ del liquido nero
caldo.
Mi guarda e con occhi curiosi chiede:
“Come mai tutta questa gentilezza?”.
“Sai che sono un gentleman”.
“Come no!”
“Diciamo che stamattina mi va di essere gentile”.
“Grazie” dice sia con la bocca che con gli occhi. Restiamo ad
esaminarci per alcuni attimi silenziosi. L’atmosfera è avvolgente;
una luce tenue illumina la camera dandole tranquillità. Il silenzio
è dolce e ci coccola come se fossimo parti di questa stanza
immutate nel tempo. E forse è davvero così. Forse non siamo mai
cambiati e le due persone che ora si guardano sono le stesse che
per tutta la vita hanno camminato, riso, sono cresciute, e magari
senza dirselo si sono innamorate.
“Sai una cosa?” dico “Alessandro pensa che io sia innamorato di
te”.
Spalanca leggermente gli occhi prima di dire:
“Davvero?”.
“Beh, non ha detto proprio così ma il senso era quello. Crede che
io sia spaventato da te; spaventato dall’amore che provo per te e
che mi costringerebbe a stare Lassina se ne prendessi atto. Ale
pensa che il motivo per cui non me ne sono più andato da Milano
sei tu. Perché se fossi tornato e ti avessi rivisto sarei rimasto
impantanato a Lassina”.
Claudia appoggia la tazza tra le gambe .
“Quando hai parlato con lui?”.
193
“Qualche mese fa”.
Sposta leggermente un piede appoggiandolo sull’altro:
“E tu cosa pensi?”.
“Cosa penso io? Claudia… non lo so. Ma non è finita qui. Anche
Ilaria prima di partire mi ha detto le stesse cose. Addirittura la mia
ragazza! Sembra che tutti vogliano farmi ammettere che sono
innamorato di te. Non è buffo? Ilaria dice che quando riuscirò a
capire il bene che ti voglio, staremo meglio anche io e lei, perché
mi sarò capito davvero e le mie paure svaniranno”.
“Ha detto così?”.
“Sì, tutte le frustrazioni e il senso di incompletezza che provo
stando a Lassina secondo lei non ci saranno più. Ed io starò bene
sempre; sia a Milano che qui, sia nel cuore che nella mente. E
quindi sarò felice anche con lei”.
“Accidenti che parole” commenta con un sorriso che ha tutta
l’aria di essere triste.
“Queste non sono parole sue, sono mie, le ho dette adesso ma
sono parecchi giorni che ci penso…”.
“No, non è buffo”.
“Come?”.
“Non è buffo” dice Claudia abbassando leggermente lo sguardo.
La vedo sul punto di dire qualcosa ma di non riuscire a farlo. Con
un sospiro ed un sussurro mi domanda:
“Chi sono io per te?” guardandomi negli occhi.
“Sei molto di più di un’amica, questo lo sai…”.
“Sì, lo so”.
“E’ inutile che continuiamo a prenderci in giro Claudia, io ho
pensato a te ogni singolo giorno che ho vissuto a Milano. E il
resto del tempo l’ho passato a chiedermi come mai non volevi
raggiungermi”.
“Stupido scemo, lo sai che non potevo farlo!”.
“Non potevi o non volevi?”.
“Tutte e due. E non cominciamo la solita discussione su ‘di chi è
la colpa’ per non esserci visti in questi anni!”.
“Oh Claudia com’è difficile…” esclamo sdraiandomi con le mani
dietro la testa.
194
“Il fatto è che sono molto felice a Milano, davvero molto. Ma poi
torno qui e… Anche qui sono felice”.
“E da quando una cosa esclude l’altra?”.
“Mpf” dico sospirando con lo sguardo perso sul soffitto.
“Luca, si possono avere radici e ali”.
“Forse in estate potrei volare qui”.
“Oppure fare tutto contemporaneamente. C’è un sacco di gente
che lavora a Milano ma abita in Brianza”.
“Lo so” rispondo, “Ma stare in campagna vorrebbe dire stare con
te. Ed Ilaria non ha capito che non posso stare con due donne
contemporaneamente, soprattutto se una di quelle sei tu”.
“Cosa intendi?”.
“Io… Claudia ascolta” dico mettendomi a sedere accanto a lei.
“Io sono davvero innamorato di te, e lo sono da sempre”.
Claudia al suono di queste parole non diventa rossa, al contrario,
sbianca come un lenzuolo.
“Lasciami finire, ti prego non interrompermi. Io l’ho sempre
saputo quello che provo per te, ma non l’ho mai voluto
ammettere. Ti amo fin da quando eri bambina, lo so, lo sento. Ma
forse perché eravamo amici, o perché non stavo bene con me
stesso e con la vita che facevo, non te l’ho detto. Non ci ho mai
ragionato su. Ma quando sono andato via la tua mancanza mi ha
fatto impazzire! E il bello era che lo sapevo che mi saresti
mancata. Ero innamorato ma non lo ammettevo. D’altronde tutto
combacia: pensa a quante relazioni serie ho avuto nella vita; tu le
conosci tutte. Non ne ho avuta mai nessuna… Qualche settimana
al massimo con ragazze di passaggio. Solo Ilaria è la relazione più
completa che posso dire di avere avuto. Ma, come ti ho spiegato,
anche con lei ci sono dei paletti. Ci vogliamo bene ma viviamo
alla giornata. Non vogliamo una relazione seria che ci impegni
totalmente. Questo a causa degli orari di lavoro che nel mondo
dello spettacolo sono tutti sballati, ma anche perché abbiamo
paura di crescere… Soprattutto io. Questa parola mi mette i
brividi ogni volta che la pronuncio ma è la verità. Anche il mio
Capo lo dice e devo ammettere che ha ragione. Mi ha mandato via
sei mesi, apposta perché quando tornerò avrò un mare di
responsabilità e dovrò essere pronto ad affrontarle. Ma non è di
195
quelle responsabilità che ho paura, ma di quella che ho nei tuoi
confronti. Non ho mai avuto una relazione seria perché l’unica
l’ho avuta con te. E non parlo di quella notte in cui abbiamo fatto
l’amore…” adesso si che è diventata rossa “ma di ogni singolo
giorno che ho vissuto con te”. Faccio una pausa prima di dire:
“Tu eri quelle Sabbie mobili che mi avrebbero fatto restare qui”.
Resta in silenzio guardando la tazza che tiene tra le mani.
“Stupido”.
“Grazie”.
“Perché non me l’hai detto prima?”.
“E cosa ti dicevo? ‘Oh Claudia sai una cosa, sono innamorato di
te, e quindi per causa tua non posso vivere davvero la vita che
vorrei’…!? ”.
“Certo, potevi dire così”.
“Seee, e cosa avrei ottenuto?” chiedo alzandomi in piedi, “A te
cosa importava se ero innamorato? Non ho mai capito cosa
provavi tu per me; so che mi vuoi un mondo di bene, certo, ma
amare è una cosa molto diversa”.
Claudia mi osserva con la stessa tristezza negli occhi che ho visto
poco fa. Rimango disorientato dal suo sguardo.
“Hai ragione Luca, non hai mai capito niente”.
“Claudia…” dico lasciando in sospeso il suo nome “Tu… cosa
provi per me?”.
196
18
Claudia non tremare…
Non ti posso far male
Se l’amore è amore
Antonello Venditti
La resa dei conti
“Tu che cosa provi per me?” è la domanda che si sente rivolgere
Claudia.
Sono anni che aspettava questo momento, ed ora, seduta sul letto
accanto a lui, ha la possibilità di raccontargli tutto. Il cuore batte
forte, cerca di raccogliere le parole ma non ci riesce.
“Claudia” dice Luca perplesso, “Che succede?”. Osserva la sua
amica rimanere immobile di fianco a lui.
“Hey, guardami; ho detto qualcosa che non va?”.
Claudia solleva lo sguardo puntandolo fisso negli occhi di Luca.
Nella stanza cade un silenzio immobile che sembra durare
un’eternità.
E questo silenzio parla per loro.
Le frasi dei due ragazzi volteggiano nell’aria senza uscire dalla
bocca.
Girano e raccontano di un mondo di sensazioni, di sguardi e di
silenzi nascosti nell’abisso dell’insicurezza. Narrano delle
incertezze di un sentimento troppo forte per essere raccontato, e
delle paure che potevano scatenarsi lasciandolo uscire.
Voci invisibili spiegano dell’amore che Claudia ha tenuto
nascosto nel cuore tutti questi anni, di ogni singolo momento in
cui ha pensato a Luca, e di una vita che avrebbe voluto vivere ma
che purtroppo è rimasta nel cassetto. Un cassetto che custodisce i
197
sogni, i sospiri e i sorrisi che lei ha conservato per lui, ma che non
ha mai potuto rivelare. Miliardi di frasi continuano a girare
intorno alla stanza, volteggiando su di loro seduti a pochi
centimetri uno dall’altro.
Lei vestita solo di mutandine e maglietta, i capelli tutti arruffati.
Lui in jeans e T-shirt, con un’espressione dipinta sul volto di
assoluto stupore.
Il silenzio continua a narrare la storia, come una musica
instancabile, melodiosa, incredibile…
Finché sul viso di Claudia si chiudono impercettibilmente le
palpebre.
Un leggero tremito negli occhi, ed una piccola goccia le scende
lentamente sulla guancia, come un dolcissimo miracolo.
Claudia non è mai stata così bella come in questo momento, pensa
Luca.
E capisce ogni cosa…
Tutti i pezzi del puzzle si compongono magicamente lasciandogli
vedere il quadro completo.
Luca rivive come in un film tutta la vita passata con lei; le
smorfie, i ripensamenti, le arrabbiature e i gesti quotidiani di anni
insieme.
E a tutto dà un significato…
Niente è stato lasciato al caso.
Claudia è stata sempre coerente con i sentimenti che provava per
lui.
Soltanto adesso Luca riesce a capire la sua misteriosa amica.
Dentro una lacrima legge tutta la loro storia, come nemmeno
migliaia di libri saprebbero raccontare.
E dentro a quella goccia Luca ha l’impressione di annegare.
“Tu mi…”.
Claudia abbassa lo sguardo sul materasso per un istante prima di
fissarlo nuovamente in quello di lui, come un silenzioso assenso.
“I-io, non lo sapevo, non me l’hai mai detto…”.
Lei continua a rimanere in silenzio.
Lui le prende le mani sfiorandole appena, come fossero di
cristallo, prima di abbracciarla stringendola forte a se.
198
Affonda il viso nell’incavo della spalla, lasciando che la lacrima
bagni anche la sua guancia.
“Claudia…” dice poggiando la fronte su quella di lei.
“E’sempre stato così” dice Claudia.
“Io… Non potevo immaginare…”.
“Lo so, lo so”.
“Ma perché non me l’hai detto?”
“E dai Luca!” dice lei dandogli una leggera spinta sullo sterno,
“Per gli stessi motivi per cui non me l’hai detto tu!”.
“Cioè?!?”.
“Come cioè? Ma sei proprio tonto” dice asciugandosi la guancia
col dorso della mano, “Ecco perché non hai capito niente in tutti
questi anni. Cosa volevi che ti dicessi? Che ero innamorata di te e
che ti avrei voluto sempre vicino? In questo modo non avrei fatto
altro che metterti ancora più paura, e ti avrei fatto sentire
maggiormente in gabbia. Così saresti scappato ancora prima da
Lassina e magari non saresti più tornato”.
“Ma non è vero, chi ti assicurava che avrei reagito così!?”.
“Dai pensaci. Qualcuno che ti amava in un posto da cui volevi
scappare era l’ultima cosa che avresti voluto”.
Luca non riesce a rispondere, sa che la sua amica ha ragione.
“Parlami di te…”.
“I-io..” inizia Claudia “Ti ho sempre voluto bene fin dall’inizio.
Credevo che tu fossi il mio fidanzatino quando eravamo bambini,
e in fondo non ho mai smesso di crederlo” dice tra le pieghe di un
sorriso, “Il mio amore è cresciuto a dismisura e col passare del
tempo è diventato un bisogno. Non potevo fare a meno di te,
Luca. E proprio perché ti conoscevo capivo che se te l’avessi
detto ti avrei perso per sempre. Eppure io non volevo perderti, era
impensabile che tu ti allontanassi da me. Perciò ho creduto che
averti amico era meglio di niente, e non ti ho mai detto nulla.
Chiamami codarda se vuoi, ma ero troppo innamorata per dirti la
verità. Però alla fine te ne sei andato lo stesso. Lo so, era
inevitabile, e piano piano me ne sono fatta una ragione. Ma non
sono riuscita a dimenticare quello che provavo per te. E credo
che questo sentimento non riuscirò più a mandarlo via”.
“Chi sa… di queste cose…?”.
199
“Solo Giulia”.
“E’ incredibile…”.
“Renzo e Massi però non sono stupidi, e avranno già capito tutto
da parecchio tempo, al contrario di te che non hai mai capito
niente”.
Luca non ha parole.
Vede la sua amica di cui è innamorato da sempre ricambiare il
suo affetto.
Come è stato cieco in tutti questi anni!
“Prima… hai detto che ‘eri’ innamorata di me… Ma adesso…”.
“Luca, Luca…” ribatte sospirando “E’ passato tanto tempo”.
“Cioè?” dice Luca avvicinandosi di più.
“Cioè le cose cambiano!”.
“Cosa vuoi dire?”.
“Luca…” dice con un sospiro poggiandogli la mano sul collo e
accarezzandogli la testa, “Lascia perdere, la vita è andata avanti
e… non farmi dire cose che non vorrei”.
“Io voglio solo sapere cosa provi per me adesso”.
“Lo so. Non ti è bastato quello che ti ho detto finora?” ribatte
poggiando entrambe le mani sulle sue guance. Gli accarezza gli
zigomi coi pollici avvicinandosi sempre di più.
Luca capisce che per queste domande la sua amica non ha
risposte. Quindi decide di non chiederle più niente; si lascia
trasportare dentro i suoi occhi scuri e dal suo profumo, che ora lo
avvolge di inebrianti sensazioni.
Le afferra i polsi. Claudia adesso è tutto ciò vuole.
Se la comunicazione non può essere verbale allora avrà delle
risposte in un altro modo.
Restano fermi alcuni secondi con le facce che quasi si toccano.
Claudia avvicina ancora un po’ il viso di Luca alle sue labbra,
mentre lui le scosta una ciocca di capelli.
Sentono la paura nel loro respiro, nelle mani e sulla pelle.
Lei si lascia scivolare sotto il corpo di lui intrecciando le gambe
alle sue, sdraiandosi poi entrambi sul letto.
Claudia spinge le lenzuola in fondo al materasso.
“Non dovremmo fare queste cose” dice Claudia.
“Perché?”.
200
“E Ilaria?” chiede bisbigliando. Luca lascia la domanda sospesa
perché adesso non ha una risposta. Claudia gli leva la maglietta
sfilandogliela dalla testa, facendolo rimanere a petto nudo su di
lei.
“E Gabriele?” chiede Luca rendendogli pan per focaccia. Nei
pochi secondi in cui Claudia rimane in silenzio Luca gli infila la
mano sotto la maglietta, arrivando al gancio del reggiseno,
facendolo scattare.
“Ci sono delle buone ragioni se non l’abbiamo fatto per sette
anni” risponde lei con voce roca.
“Lo so. Sto cercando di ricordarmele”.
“Deficiente!” dice Claudia mordendogli la mano che cercava di
accarezzarla, stringendo più forte il corpo contro il suo.
“Ai..”.
“Non ti lamentare, dovrei farti più male per essere stato via tutti
questi anni” continua afferrandogli i capelli con una rabbia
improvvisa. Luca in risposta le tira i suoi allo stesso modo.
“Adesso sono qui” ribatte facendo scivolare una gamba in mezzo
alle sue e allacciandosi alle caviglie a mò di uncino.
“Lo so” risponde passandogli una mano sotto il torace fino a
raggiungere l’elastico dei boxer. Luca va su di giri immaginando
Claudia che tocca parti del suo corpo che da parecchio non
ricevono una visita.
“Claudia…”.
Lo zittisce mettendogli un dito sulle labbra.
Si volta facendolo sdraiare e mettendosi a sedere sopra di lui.
Piega la schiena levandosi la maglietta e facendola volare con il
reggiseno a un lato del letto.
Ora indossa solo le mutandine mostrando al suo amico due piccoli
seni bianchi.
Luca si trova davanti una Venere di rara bellezza.
Nuda in questo modo non l’aveva mai vista. Quella notte era
molto buio e non ha potuto osservare granchè; ma adesso con la
luce del mattino che illumina la stanza gli sembra di vedere un
dipinto dei grandi maestri del cinquecento. La bellezza allo stato
puro.
201
I capelli spettinati le cadono sugli occhi dandole un sguardo
magnetico; la bocca socchiusa ad indicare la voglia ingorda che
ha di lui.
Gli prende le mani posandole sui propri seni.
Luca stringe piano i capezzoli.
Claudia abbassa leggermente la testa prima di dire:
“Mi sei mancato in questi sette anni”.
“Anche tu”.
“Bene” dice sempre in un bisbiglio.
Luca si solleva mettendosi a sedere e baciandola sulla bocca.
Tenendogli una mano tra i capelli arruffati si stacca dalle sue
labbra, ma Claudia lo segue e posa di nuovo la bocca sulla sua,
affondando la lingua al suo interno.
Luca scende con la mano accarezzandole la schiena, fino a
raggiungere l’elastico delle mutandine.
Si sdraiano sul letto; Claudia è sopra di lui.
Il corpo di lei si solleva permettendo a Luca di sfilarle anche
l’ultimo indumento. Le mutandine si attorcigliano diventando una
spirale tra i fianchi e le natiche.
La mano di Claudia giunge in aiuto facendo scivolare
l’indumento fino alle ginocchia:
“Non sei capace nemmeno di spogliarmi”.
“Ho bisogno di ripetizioni”. Scambiano le battute fra i sorrisi, con
bocche e denti a un centimetro di distanza.
“Aiutami a toglierle”. Luca fa scivolare la mano accarezzandogli
la gamba, fino a raggiungere quella di Claudia che è alle prese
con le mutandine ferme a metà strada.
Insieme le spingono giù alle caviglie facendole poi volare fuori
dal letto.
Claudia ora è completamente nuda.
Sulla sua pelle brilla qualche goccia di sudore.
Emette un gemito di esasperazione prima di far affondare i suoi
seni nella bocca di lui.
Il telefono.
“Fanculo…” dice Claudia sottovoce.
Luca la stringe posandogli una mano sul sedere, mentre con
quell’altra le afferra il seno che non sta succhiando.
202
Secondo squillo.
“E’ il tuo Claudia”.
“Lo so” risponde con voce rauca.
“Saranno Massi e Renzo che rompono le palle”.
“Mpf…” dice lei, mentre con la mano gli afferra il cavallo dei
calzoni, sentendo sotto le dita il gonfiore dell’eccitamento di
Luca.
Un altro squillo.
“E se avessero bisogno di noi?” chiede Claudia con un sussurro.
“Cazzo! Senti cosa vogliono e poi mandali a quel paese” risponde
Luca morsicandole l’altro seno.
“Mmm…” geme Claudia mentre si allunga a prendere il
telefonino.
“Pronto?”
Una flebile voce metallica giunge dal cellulare.
Luca sente subito un gran freddo che fa sparire di colpo ogni
sensazione magica.
“C-ciao, non aspettavo una tua chiamata. Che ora è lì da te?” dice
Claudia sedendosi sul letto e infilando le mutandine.
“Chi è? Il tuo ragazzo giapponese?” chiede Luca poggiandosi su
un gomito. Lei si porta l’indice sulle labbra e continua la
conversazione. Nel frattempo raccoglie da terra il reggiseno e se
lo infila, allacciandolo con una mano come soltanto le donne
sanno fare.
“No, sono in montagna, ci siamo presi una vacanza…” continua
mentre si infila anche la maglietta.
Luca capisce che è tutto finito; in un istante sente che la sua amica
si è allontanata anni luce. Anche lui si veste facendo il minor
rumore possibile. Sente un profondo senso di smarrimento partire
dallo stomaco e giungere fino al cuore. Perché Claudia ha avuto
una reazione così? Va bene, al telefono c’è l’uomo con cui si è
vista nell’ultimo periodo, ma non era tutto finito con lui? La
guarda mentre gli volta le spalle parlando con toni bassi e
calorosi. Decisamente per Claudia Gabriele non può essere
soltanto un amico.
Ma accidenti, si domanda, solo qualche istante fa stavano per fare
l’amore, possibile che sia tutto cambiato così?
203
Parole mai dette
Dopo qualche minuto Claudia chiude la comunicazione.
“Cos’è successo?” chiede alla sua amica che non smette di fissare
il telefono.
“Beh, senti Claudia… Solo pochi istanti fa stavamo per…” dice
indicando il letto con un gesto impacciato, “Ed ora non mi guardi
neppure?”.
Lei continua a rimanere in silenzio.
“Va beh ma… Non mi sembri una tipa da sensi di colpa. Ok, tra
te e Gabriele c’è qualcosa però… Dovrei essere io a sentirmi
stronzo perché stavo tradendo Ilaria!”.
Lei rigira il cellulare tra le mani senza dare alcuna risposta.
Luca si avvicina poggiandogli una mano sulla spalla e
pronunciando il suo nome sottovoce:
“Hey Claudia…”.
“Non è per quello…”.
“Cosa?” chiede Luca.
“Non è perché stavamo per fare l’amore” continua in un sussurro,
“Io l’avrei voluto davvero. L’avrei voluto fare con una persona
che amo. Luca… Io ti amo…” gli dice guardandolo finalmente in
faccia.
Le tre parole più importanti della vita di Claudia sono finalmente
uscite dalla sua bocca. Quanto ha aspettato questo momento! Il
momento in cui le avrebbe potute pronunciare fissandolo negli
occhi. Eppure Claudia sa che questa frase non può rimanere da
sola, ma deve essere accompagnata da un’altra che sente di dover
dire, adesso più che mai:
“…ma non amo solo te” conclude.
“C-cosa vuoi dire?”.
“E’ tutto così complicato” dice appoggiando il telefono sul
comodino.
“Ascoltami bene Luca. Io sono innamorata anche di Gabriele. Lo
amo davvero, su di lui non ho nessun dubbio. Era su quello che
provavo per te che avevo delle incertezze. Ma da quando sei
204
tornato ho capito che non è cambiato niente nel mio cuore. Io amo
anche te”.
“Cazzo…”
“No aspetta, lasciami finire di parlare” ribatte agitando la mano,
“Fammi dire tutto adesso che ne ho il coraggio, altrimenti potrei
non farcela più”.
“Ma cosa stai dicendo?” chiede il suo amico confuso.
“Insomma… Gabriele non è solo il mio ragazzo, o l’avventura più
recente che sto vivendo. Io e lui tra un anno ci sposiamo”.
Luca rimane paralizzato. Una sottile nebbia si pone davanti agli
occhi impedendogli di ragionare e di assimilare completamente
quello che ha sentito.
“I-io non so cosa dire” continua lei, “Siamo insieme ormai da tre
anni, e qualche mese fa mi ha chiesto di sposarlo. Lui è la persona
più importante che mi sia capitata di incontrare; all’inizio è stato
tutto casuale, ma poi abbiamo costruito una storia speciale, come
non mi era mai capitato”.
Luca guarda la sua amica come fosse una marziana.
“E mi sono innamorata di lui. Veramente.”
“Ma perché…” dice Luca guardandosi le mani, come se potesse
trovarvi dentro le parole da dire “Me lo dici solo ora?”.
“Perché non ero sicura di quello che provavo per te, e volevo
avere la certezza di essermi lasciata ogni cosa alle spalle prima di
sposarlo. Non volevo prenderlo in giro. Ma non volevo nemmeno
fartelo sapere, altrimenti non avrei mai potuto capire se il mio
amore per te c’era ancora o meno. Dovevo rivederti… Riesci a
capirmi?”.
“No” dice Luca deglutendo a fatica.
“Ok” inizia Claudia prendendo fiato e afferrandogli le mani,
“Devi sapere che io e Gabriele ci siamo conosciuti per caso un
pomeriggio sul lago…”, ed inizia così a raccontargli tutta la storia
che la vede protagonista insieme al suo futuro sposo. Gli parla del
fatto che Gabriele ha portato una pausa fra i tumulti del suo cuore,
facendogli dimenticare Luca e regalandole finalmente dei periodi
di tranquillità. Gli spiega che l’amore per lui era forte e pazzesco,
mentre quello per Gabriele basa le fondamenta sulla serenità e la
tranquillità, sensazioni che forse non aveva mai provato. Ma
205
anche che, ora come ora, le due figure non riescono a superarsi e
gareggiano continuamente alla ricerca di accaparrarsi il posto in
prima fila al centro del suo cuore.
“Vi amo entrambi, in maniera diversa ma è così. Quando ti ho
rivisto al bar qualche mese fa mi è bastato un secondo per capire
che non era cambiato niente. Ero cotta di te come quando ero una
ragazzina. ‘Sono’ cotta di te. Credimi Luca, è tutta la vita che
aspettavo il momento di dirti queste parole. Però adesso è diverso.
Ora c’è anche Gabriele, ed io amo anche lui”.
“In che giorno… vi sposerete?” chiede con voce incerta, quasi
avendo paura di sentire la risposta.
“Non lo sappiamo ancora. L’estate prossima credo. Non ho voluto
stabilire una data precisa perché prima volevo vederti. Quando
Gabriele tornerà dal Giappone gli darò una risposta e decideremo
un giorno”.
“Ti sposerai con lui” dice Luca a mezza voce.
“Gabriele è un uomo buono, sa tutto quello che provo per te. E sa
anche di questi giorni che stiamo passando insieme”.
“Ti sposerai con lui” continua Luca come se non l’avesse sentita.
“Luca…” dice lei mentre il suo volto viene inondato dalla
malinconia.
Il ragazzo che ha amato per tutta la vita è davanti a lei, ma non
può essere suo. Proprio adesso che ogni cosa è andata a posto.
Ora che i nodi dei sentimenti sono venuti al pettine non possono
più stare insieme.
In fondo allo stomaco Claudia sente che qualcosa è cambiato per
sempre. Le confessioni venute a galla in questa stanza
modificheranno il loro rapporto definitivamente.
Luca indietreggia di un passo senza guardare la sua amica, che
ora stringe le labbra fino a farle diventare due fessure:
“Luca…” dice in un sussurro che vorrebbe essere un urlo.
“Ti sposerai con lui…”.
“Dove vai?”.
“I- io, devo uscire” ribatte infilandosi le scarpe. Si volta dando le
spalle a Claudia che ora stringe a pugno le mani fino a sbiancare
le nocche.
Chiude la porta dietro di se lasciandola da sola.
206
Scende i gradini e raggiunge un sentiero che lo porterà dritto in
paese.
Il sole rovescia ondate di luce sulle montagne.
Claudia si mette una mano davanti alla bocca cercando si
soffocare un singhiozzo.
“Ti sposerai con lui…” pensa Luca, mentre il sole brucia sulla sua
testa.
207
19
Spettinata quando fai l’amore
Il tuo sorriso piange
Perché tu
sai le cose che voglio di più
Se mi guardi capisci perché
Sei l’amore proibito lo so
Ma non è importante…
Ora devi fuggire da me
E ogni tanto fuggire con me
Spettinata io e te non si può
Ma non è importante…
Giuseppe Povia
Vita
“Si sposerà con lui…” penso camminando nelle vie di Lassina.
Siamo alla fine di Settembre ma non mi è ancora passata.
Da quel giorno in montagna dove ci siamo confessati tutto, non
riesco a pensare ad altro.
Sono le undici del mattino e mi sto dirigendo al bar di Giulia per
fare colazione.
Ormai l’estate è volata via portandosi dietro il caldo e l’afa dei
mesi passati, anche se le temperature sono miti e si riesce ancora a
girare in maglietta.
Io e Claudia non siamo più tornati sull’argomento.
Quando usciamo con gli altri due fenomeni parliamo solo di
cazzate, evitando con cura di intraprendere il discorso.
Tra di noi è tornato quell’imbarazzo silenzioso che c’era qualche
anno fa, quando abbiamo fatto l’amore. Se ci guardiamo anche
208
solo per un istante, leviamo di scatto lo sguardo, come se ci
avesse punto qualcosa. Siamo due bambini che hanno paura di
farsi leggere in faccia i pensieri.
Non riesco a darmi pace.
Claudia non doveva tenermi nascosta una cosa così importante. Si
sposerà, accidenti a lei, ed io la perderò per sempre.
In fondo è questo che non riesco a mandare giù, il fatto che se ne
vada dalla mia vita. Non so per quale motivo, ma ho sempre dato
per scontato che Claudia ci sarebbe stata in tutti gli anni a venire.
Per me era una certezza come il sole la mattina; pensare di non
vederla di più o di cambiare il nostro rapporto a causa di una terza
persona, è impensabile. Eppure è questo che accadrà.
E il mio stomaco si contorce, il cervello si annebbia, il cuore
avverte un nuovo peso da sostenere come se ci fosse attaccata una
pietra, che presto o tardi lo schianterà al suolo.
E Claudia cosa pensa di tutto questo?
Anche lei sta impazzendo così?!
Entro nel Bar Lassina con la testa confusa e le borse sotto gli
occhi. Finché non berrò un cappuccio sarò per metà ancora nel
letto.
Non c’è nessuno.
Mi siedo su uno sgabello di fronte al bancone.
Giulia arriva salutandomi con voce atona:
“Ciao” dice mentre si avvicina alla macchinetta “Vuoi un caffè?”.
“Cappuccino grazie. Tutto ok?” chiedo in tono retorico, tanto per
dire qualcosa. Mi passo una mano sui capelli cercando di darmi
una svegliata.
Giulia mi guarda ma non risponde.
Con rapidi gesti scalda il latte restando in silenzio.
“Ma non sai niente?” chiede finalmente dopo alcuni secondi.
“Di cosa?”.
Qualche attimo di silenzio.
Il latte monta dentro il pentolino.
“Renzo ha avuto un incidente stanotte”.
“No!” dico alzando la testa, “Dove?”.
“Dopo aver portato a casa Francesca. Ha sbattuto con la moto”.
“Non lo sapevo, si è fatto male?”.
209
…
Tra la domanda e la risposta passano i secondi più lunghi che
ricorderò nella vita.
…
“E’ morto”.
…
…
Giulia rimane a guardarmi con un’espressione di dolore
indescrivibile sulla faccia.
Nello specchio dietro al bancone la mia immagine riflette un
ragazzo a bocca aperta, incredulo alla notizia.
“C-Come è morto…?!!”.
“Mi dispiace Luca”.
“Ma… ieri sera era qui con me, l’ho visto andare via con
Francesca…”.
Giulia non sa cosa dire.
“Come è successo?” chiedo senza sentire la mia voce.
“Non si sa ancora. Secondo alcuni testimoni è caduto cercando di
evitare un animale che gli ha attraversato la strada all’improvviso.
Un cane forse. Ha perso il controllo ed ha sbattuto la testa su un
auto parcheggiata. Si è rotto l’osso del collo. E’ morto sul colpo.”.
“Abbiamo bevuto insieme una Sambuca… Anzi no, l’ho bevuta
io, lui non prende alcolici quando deve guidare la motocicletta…
solo un caffè…” dico gesticolando con le mani.
“I carabinieri stanno ancora accertando la dinamica dell’incidente,
non posso dirti altro”.
Ammutolito la osservo mentre finisce di prepararmi la colazione.
Appoggia il cappuccio davanti a me.
Poi senza dire nulla si sporge dal bancone e mi abbraccia.
“Dai, non è vero… Dimmi che non è vero”.
Lei mi stringe più forte.
Si allontana e vedo i suoi occhi.
210
Sono venati di rosso e delle lacrime tristi scendono a solcargli le
guance.
“E’ vero”.
“No, dai no…”.
“La croce rossa l’ha portato in ospedale per dei controlli. Stava
rientrando a casa. Abbiamo saputo la notizia stamattina verso le
sei”.
Il mondo gira al contrario. Lo specchio di fronte a me si
moltiplica e riflette mille Luca increduli che non riescono ad
assimilare la notizia. Vengo schiacciato da una strana dimensione
che mi allunga i pensieri rendendoli inutili.
Renzo non c’è più.
Non è possibile.
“Cristo…” dico con un filo di voce.
“Francesca lo sa?” domando.
“Sì, è già all’ospedale. Stamattina mi ha telefonato Alessandro per
dirmelo”.
“E i genitori di Renzo?” chiedo come se fosse possibile che non
lo sappiano.
“Certo” ribatte lei “Luca… mi dispiace, anche io… non riesco a
crederci…”.
Bevo due sorsi di cappuccio senza accorgermene. Lo stomaco si è
improvvisamente chiuso.
Non mi rendo ancora conto di quello che è accaduto. Forse sono
nel letto a dormire ed è tutto un sogno. Renzo…
Non è possibile.
“Dov’è tua sorella?”.
“A casa. Massi è già andato in ospedale, ma lei non vuole
muoversi”.
“S-Senti, vado da lei”.
“Ok” dice Giulia accompagnandomi con lo sguardo mentre esco
dal locale.
Cammino con passo veloce come fossi in trance.
Ma che è successo? continuo a ripetermi. Solo qualche ora fa
bevevamo insieme; non riesco ad accettare la realtà. Ho bisogno
di vedere Claudia. Mi deve spiegare, mi deve dire tutto. So che
211
vedendola si aggiusterà ogni cosa, basterà una sua parola per
farmi capire cosa è successo.
Non è possibile.
Non è possibile.
Arrivo in un lampo a casa sua. Suono il campanello e viene ad
aprirmi Marta con un’espressione che mai avevo visto prima.
“Dov’è?” le chiedo senza preamboli.
“In camera sua”.
Entro e faccio il corridoio quasi correndo, come se fossi inseguito
da spettri invisibili.
Spalanco la porta e vedo Claudia seduta sul letto con le gambe
raccolte sotto il mento.
Mi guarda… e improvvisamente realizzo ogni cosa.
I suoi occhi lacrimano copiosamente e le guance sono coperte di
un rossore distrutto.
“Claudia” dico avvicinandomi.
Non ho bisogno di altre spiegazioni.
Non una frase. Non una risposta.
Claudia ha detto in un miliardesimo di secondo tutto quello che
c’era da dire.
“Claudia…” mi siedo sul letto accanto a lei e la abbraccio.
Appoggio la testa sulla sua guardando nel vuoto. Lei solleva gli
occhi fissandoli nei miei:
“Ho provato…” inizia a dire mangiandosi le parole “…a
chiamarti, ma avevi il telefono spento”.
“Quando?”.
“Fino a qualche minuto fa”.
Tiro fuori dalla tasca il cellulare e lo accendo. Mi arriva subito il
messaggio di tentativo di chiamata di Claudia, seguito
immediatamente da quello di Francesca.
Mi si gela la fronte.
Francesca ha tentato di chiamarmi.
E un istante dopo, come fossimo telepatici, Francesca mi telefona.
Guardo il display col suo nome e non so che fare. Lo mostro
anche a Claudia in un estremo gesto patetico, per chiederle di
darmi il coraggio di rispondere. Lei tira su col naso senza dire
niente; si asciuga una lacrima col dorso della mano.
212
Al terzo squillo premo la cornetta verde e appoggio il telefono
all’orecchio.
“Francesca…”.
…
Silenzio.
“Fra? Non ti sento…” insisto.
“Ho bisogno… di voi...”
“Come? Non capisco” la sua voce è sottilissima, sembra che
debba spezzarsi da un momento all’altro. Spingo più forte il
Nokia sull’orecchio.
“Ho bisogno di voi… Venite qui…”.
Comprendo finalmente le sue parole, che hanno l’effetto di una
scossa elettrica. Alzo la testa di scatto guardando Claudia.
“Sei all’ospedale?” le chiedo.
“Sì”.
“Stiamo arrivando” dico con risolutezza. Ora so esattamente cosa
fare, questa sua richiesta mi ha fatto uscire dallo sbalordimento e
dall’incapacità di reagire.
“Francesca ci vuole con lei. Vado a casa a prendere la macchina e
passo a prenderti tra cinque minuti, va bene?” dico a Claudia
mentre sto già uscendo dalla camera.
Lei accenna un sì con la testa.
Corro e raggiungo casa mia in un batter d’occhio; nel frattempo
ho telefonato a Massi che mi informa di trovarsi già in ospedale.
Dopo pochi minuti torno con Rischio 4 da Claudia, che mi sta
aspettando in cortile; sale e sgommiamo facendo saltare la ghiaia
davanti a casa sua.
Realtà
L’ospedale da lontano sembra che ci stia aspettando.
213
Si erge silenzioso e indifferente davanti a tutte le esistenze che
dentro di lui stanno combattendo per la vita. O che hanno già
perso la battaglia.
Parcheggiamo sotto l’ingresso del pronto soccorso.
Con passi veloci entriamo nel silenzio disinfettato dell’edificio,
mentre una strana sensazione di inutilità si fa largo nello stomaco.
Incrociamo subito Cavallo che sta uscendo per fumarsi una
sigaretta. La faccia lunga e bianca accentua gli occhi infossati che
sono venati di rosso.
Gli chiediamo dove dobbiamo andare e lui ci risponde con parole
semplici e tristi.
Io e Claudia percorriamo i corridoi tenendoci per mano, come non
capitava da anni. Siamo l’uno per l’altra un’ancora alla quale
aggrapparsi per non cadere nel vuoto che abbiamo di fronte.
Giriamo l’angolo e ci troviamo davanti decine di persone.
Ci sono tutti.
Jimmi, Marco, Ronny e Daniela, le gemelle Fumagalli, Silvietta e
tutti gli amici di sempre che ora stanno a testa bassa con sguardi
assenti.
Si girano verso di noi.
“Ciao” dicono flebili voci che tornano dal mare di pensieri in cui
erano annegate.
Una pacca sulla spalla.
Un abbraccio ad un amico.
Chicca si butta su Claudia piangendo sommessa. Lei la abbraccia
trattenendo a stento le lacrime.
“Dov’è Massi?”.
Mi fanno spazio lasciandomi entrare nella stanza; Claudia è subito
dietro di me.
Superiamo una grande porta a vetri prima di vedere Massi che
esce da una camera circondata da tende verdi.
Francesca è accanto a lui, più piccola che mai davanti alla
mostruosità di quest’evento.
Ci vede, e senza piangere si avvicina a noi poggiando la testa in
mezzo a me e a Claudia, circondandoci con le braccia.
La abbracciamo a nostra volta.
214
Io non sono pronto per questo; nessuno mi ha insegnato come
comportarmi in queste situazioni.
Nessuno dovrebbe mai saperlo.
Ma Francesca inizia a piangere con la sua voce sottile che spezza
ogni equilibrio interiore, come un’esplosione di mille schegge di
vetro.
Claudia si lascia andare in singhiozzi sofferti mentre grosse
lacrime le solcano le guance.
Io ho un pugno nella gola che non mi permette di respirare.
Ma non piango.
Mi stacco da loro lasciandole abbracciate, e mi dirigo nella stanza
dove c’è Massi.
Ci guardiamo con occhi concreti e rassegnati.
“Che cazzo ha fatto?” chiedo.
“Ha dovuto fare ancora una volta lo scemo” ribatte con l’ironia
che solo due amici assoluti possono tirare fuori in momenti come
questi.
Massi volta la testa al centro della stanza.
Io mi giro con lui.
Renzo è lì, sdraiato su un lettino e coperto da un lenzuolo.
Il viso rilassato ma bianco; sembra stia dormendo.
Attorno a lui c’è la famiglia; sua madre gli tiene la mano
accarezzandogli la testa.
Michela, la sorella maggiore di Renzo che non vedo da una vita,
sta parlando con un medico.
Il padre fissa il vuoto della stanza.
Il suo sguardo è altrove. Dietro gli occhiali non si vede più
nessuna scintilla di vita.
Il mio amico è lì a due metri, ma è come se fosse lontano anni
luce.
Ritorna Francesca che si avvicina a Renzo prendendogli l’altra
mano.
“Hai visto che è arrivato anche Luca?” gli dice come se potesse
sentire, “Ha dormito troppo ed è arrivato solo adesso”. Si volta
verso di me:
“Se gli parlo mi sente, sai Luca? Vero che mi può sentire?” chiede
guardandomi e attendendo una risposta.
215
Parlare sarebbe impossibile.
L’unica cosa che posso fare è allargare le braccia verso di lei.
Francesca si avvicina e affonda la faccia nel mio petto.
Inizia a piangere forte e senza ritegno, sfogando quello che è
impossibile sfogare.
Appoggio il mento sulla sua testa stringendola come se dovessi
cadere anch’io.
Anche Massi e Claudia si avvicinano.
Lei li vede e allarga l’abbraccio ad ognuno di noi.
Tutti e quattro restiamo stretti reggendoci a vicenda, mentre
Renzo a due passi è immobile e protetto dalla mano di sua madre
che lo accarezza dolcemente.
Siamo tutti all’ingresso del pronto soccorso.
Abbiamo passato l’intera giornata qui, ma dopo che hanno portato
Renzo in un’altra stanza ci siamo convinti ad andare.
La compagnia è al completo; venti ragazzi non mollano e
vogliono stare vicino al loro vecchio amico il più possibile.
Decine di sigarette sono accese; quando saranno finite saliremo in
macchina.
Abbiamo deciso di trovarci tutti quanti al bar di Giulia, la quale
ha promesso che chiuderà la saracinesca e lascerà aperto solo per
noi.
Ci avviamo verso Rischio 4 io Claudia Massi e Francesca;
quest’ultima sale dietro e si stringe tra le braccia di Claudia.
Arriviamo al Bar dopo alcuni minuti e lo troviamo deserto.
Giulia ci fa entrare dal retro, parlando a Francesca con voce calda
e rassicurante.
Nessuno di noi ha voglia di dire niente, ma nello stesso tempo
sentiamo il bisogno di stare insieme, come se soltanto così
potessimo anestetizzare la mancanza di Renzo.
Non riusciamo nemmeno a sederci ai tavoli; non è una serata
come le altre e non vogliamo far finta che lo sia.
Ci ritroviamo quindi seduti per terra con la schiena appoggiata
alle panche.
216
Nessuno ha preso l’iniziativa, è nata spontanea nel silenzio del
Bar.
Giulia porta delle birre ed iniziamo a bere sul freddo del
pavimento.
“E adesso chi compra la casa? Noi dovevamo comprare casa…
Perché è capitato a lui?” chiede continuamente Francesca. La sua
litania è straziante; guarda ognuno di noi cercando delle risposte
che ovviamente non arrivano. Le nostre poche parole buttate lì
non bastano, ma sappiamo che in questo momento quello che
conta è starle vicino il più possibile. Francesca non è in sé,
straparla, ma ci ha chiesto di non lasciarla sola. Non voleva
andare a casa e i suoi genitori ci hanno domandato se potevamo
tenerla con noi.
Più di venti persone ora la ascoltano cercando di aiutarla.
Ma chi aiuterà queste venti persone?
Noi
Ormai sono le tre di notte e quasi tutti sono andati a dormire.
Domani si lavora e lo spettacolo, anche se sembra impossibile,
dovrà andare avanti.
Io, Massi, Francesca e Claudia siamo ancora in giro con la
macchina. Sto andando verso casa di Francesca, anche se dice di
non voler tornare. La situazione si è fatta difficile; siamo tutti
stanchi e spossati, ma lei continua a parlare e a porre le stesse
domande.
Parcheggio nello sterrato sotto il suo cancello.
E’ buio intorno; ci siamo solo noi quattro e il pensiero di Renzo
così forte da diventare materiale nell’abitacolo.
“Non ha mai fatto niente di male” continua Francesca, “Non
bestemmiava, era buono… Sarà in paradiso vero? Dio non lo
manderà all’inferno?”.
Purtroppo non può scegliere persone peggiori a cui fare queste
domande. Noi tre siamo totalmente laici, non abbiamo mai
creduto in nessuna religione, anzi, se possibile l’abbiamo
combattuta. E Renzo era come noi.
217
Consolarla illudendola che ci sia una divinità buona che si occupa
di Renzo non è nelle nostre capacità, persino in questo momento.
Io rimango in silenzio guardandola negli occhi.
Claudia la stringe più forte.
Solo Massi riesce a trovare delle parole che possono andare bene:
“Se c’è qualcuno che può meritare un paradiso quello è Renzo”
dice tenendola per mano.
Io sono distrutto.
Aiutarla senza essere aiutato mi sta annientando.
Vorrei anch’io qualcuno accanto con cui condividere il dolore,
scambiare delle parole, darmi un conforto, piangere a dirotto. Non
ho ancora assimilato quello che è successo. Renzo non c’è più, ed
io non sono assolutamente in grado di aiutare qualcuno, men che
meno Francesca. Ma so che Renzo vorrebbe che lo facessi, perciò
grazie ad una forza di volontà che non credevo di avere la sto
ascoltando, senza cadere in un personale oblio.
E non riesco a piangere.
Tutti l’hanno fatto ma le mie lacrime si rifiutano di uscire.
Ascolto Francesca ripetere sempre le stesse frasi.
La notte è buia ed il silenzio calmo.
Sempre le stesse frasi…
…sempre le stesse frasi…
Ci svegliamo tutti e quattro intorpiditi quando sentiamo bussare al
finestrino. E’ la madre di Francesca, che uscendo di casa in
vestaglia la sta venendo a prendere.
Ci siamo addormentati senza accorgercene.
Abbiamo passato la notte in macchina ed ora i primi raggi del sole
si vedono all’orizzonte.
“Dai Fra vieni a letto” le dice dolcemente.
Scendiamo facendola passare.
Francesca esausta esce da Rischio quattro, si avvicina ad ognuno
di noi e ci da un bacio sulla guancia dicendoci ‘grazie’ con la sua
voce sottile.
Madre e figlia ci salutano con la mano entrando in casa.
Noi saliamo in auto e torniamo alle nostre abitazioni. Guido
tranquillo, non c’è in giro nessuno.
218
Nei pochi chilometri che facciamo non vola una mosca, anche
perché qualsiasi frase sarebbe inutile.
Dopo avere accompagnato Massi mi fermo sotto casa di Claudia.
Lei mi stringe forte le mani prima di scendere.
Le do un bacio sulla fronte.
Mi stringe in un abbraccio.
Lasciarle la mano è una fatica immensa; l’ultima ancora di
salvezza si allontana ed io resto per la prima volta solo.
Schiaccio l’acceleratore e me ne vado.
Renzo non c’è più.
Non è possibile.
Non è possibile.
Non riesco a piangere.
Ora sì che ho bisogno di qualcuno.
219
20
La tua volontà c'è e non se ne andrà
Anche se adesso non posso parlarti di me,
della mia musica e della città dove vivo da un po'…
Ma ci troveremo
dove il cielo è più sereno
e ascolteremo
tutta la musica del mondo
Biagio Antonacci
Il resto del mondo
Oggi ci sarà il funerale.
Sono passati cinque giorni.
Hanno dovuto fare l’autopsia per accertare la causa del decesso.
Tutto questo tempo l’ho passato con Claudia; ogni singola ora del
giorno e della notte. Istintivamente ci siamo cercati, non siamo
riusciti a fare a meno l’uno dell’altra. Le nostre vite si sono
allacciate come dei nodi che nemmeno il più abile marinaio
saprebbe sciogliere. Abbiamo dormito insieme ogni giorno, a
volte da me e a volte da lei. Senza fare assolutamente nulla, non
ne saremmo stati capaci ed era il nostro ultimo pensiero.
Avevamo la necessità di stare vicini, non esistono altre
spiegazioni.
Ci siamo cercati e ci siamo trovati.
I discorsi sulla nostra relazione sono molto lontani e non
sappiamo nemmeno se li riprenderemo.
Adesso ci troviamo in piazza davanti alla chiesa e stiamo
guardando la bara entrare per celebrare la funzione. Al suo
seguito ci sono centinaia di persone, non ho mai visto uno
220
spettacolo del genere. La fila sembra non finire mai; gente di tutte
le età, ragazzi, vecchi e bambini. I colleghi di lavoro, gli amici,
parenti lontani e vicini, soci del motoclub dove era iscritto Renzo;
personaggi incravattati e personaggi che sembrano appena usciti
dal Leoncavallo.
Non si riesce a tenere il conto di quanta gente si è presentata.
Ed in mezzo a tutto questo ci siamo noi.
Massi Claudia ed io appoggiati alle porte del bar della piazza ad
osservare la gente che entra in chiesa.
Dopo pochi minuti restiamo fuori da soli.
I suoi più grandi amici non sono nemmeno entrati.
Abbiamo notato le facce delle persone perbene che ci hanno
guardato di traverso.
Ma loro non possono capire.
In questo paese di bigotti siamo fuori dal coro.
Perfino adesso.
Semplicemente perché Renzo sarebbe stato con noi.
Il resto del mondo non lo sa, ma noi sì.
Il bicchiere di vino che teniamo in mano è come se lo stessimo
bevendo con lui.
Dietro gli occhiali scuri è come se vedessimo Renzo che brinda e
dice cazzate insieme ai suoi vecchi amici.
Ma il resto del mondo non può capire…
Un’ora dopo la messa è finita.
La bara esce e viene seguita dalla folla che a passo lento si mette
dietro il carro funebre.
I genitori di Renzo sono i primi; dietro si trova Francesca che
appena ci vede fa segno di avvicinarci. Non ce lo facciamo
ripetere e la raggiungiamo prendendola sotto braccio; davanti a
noi c’è Renzo sdraiato che fa il suo ultimo viaggio.
Il prete tra un’Ave Maria e un Padre Nostro ci porta dritti al
cimitero di Lassina dove nella sezione nuova verrà messo il
nostro amico.
Non credevo potesse essere così doloroso assistere ad una
sepoltura.
221
Il pochi metri quadrati centinaia di persone guardano il sarcofago
che viene messo in un loculo al piano terra, perché non si è
trovato spazio nel prato.
E’ tutto surreale, mi viene voglia di urlare spezzando questa
stupida litania del parroco.
Dietro le lenti scure insospettabili lacrime scendono quando viene
messo il primo mattone che coprirà la tomba. Francy, famoso per
essere un uomo d’acciaio, piange silenziosamente fissando Renzo
che viene nascosto per sempre. Claudia pure, così come Massi
che tiene per mano Francesca per il timore che possa cadere da un
momento all’altro.
Ed io impazzisco.
Dov’è il vostro Dio??
Avanti rispondete, dov’è il vostro Dio?, mi viene voglia di
chiedere.
Non c’è niente, massa di illusi! Renzo diglielo anche tu. Quante
volte l’ho sentito dire pure da te. E se ora hai una risposta
dammela, non farmi aspettare.
Perché qui sta succedendo il finimondo.
Dentro me succede il finimondo.
Eppure non piango.
La sorella di Renzo legge ad alta voce un pensiero che ho scritto
per lui. Mi hanno chiesto di buttare giù due righe da dire al
funerale, perché hanno pensato che essendo autore di canzoni
sappia trovare le parole giuste.
Ma le avrei scritte lo stesso.
Sono sgorgate fuori dalla mia penna il giorno dopo che Renzo ha
avuto l’incidente, perciò non ho fatto altro che consegnare il
foglio a sua sorella, che ora legge così:
“La Compagnia del flagello.
La nostra parola d’ordine: Pronti, partenza… Via!
Quando cantavi ‘Finché vedrai sventolar bandiera gialla’.
Cascina Visconti, il passaggio a livello di San Pietro e casa tua.
Il surf.
Le litigate e le incomprensioni.
Quella volta che volevi menarmi per una tua infondata gelosia.
222
I mille abbracci riparatori.
I mille insulti tra amici.
Quando sono partito per militare; quella mattina eri lì.
Roma e la mia influenza.
Le nostre teste dure.
Le gare in auto a diciotto anni; avevi ragione ad arrabbiarti.
La serata della Tequila.
A Riccione e in Valtellina.
Il tuo essere sempre un passo davanti agli altri.
Tutte le cose che hai voluto e che riuscivi sempre ad ottenere.
Rischio 4 e i semafori rossi.
I nostri quindici anni.
E i nostri trent’anni.
La tua memoria storica che era anche la mia.
La tua adolescenza anche mia.
Quando regalavi un fiore per farti perdonare.
La Playstation, la chitarra e i libri.
Le cose che solo tu sapevi di me.
Le cose che solo io sapevo di te.
Il tuo C.B.R.
A Milano con la bandiera dell’Italia quando abbiamo vinto i
mondiali.
Quando giravi ovunque per trovare campo al tuo cellulare.
Francesca.
I suoi occhi.
Quando vedo lei vedo anche te.
Ciascuno di noi ha dentro un pezzo di te.
Della tua vita, del tuo passato.
Delle cose brutte e delle cose belle.
E ce le portiamo in giro…
Ognuno di noi ha una parte di te che si porta in giro.
Mettici tutti insieme e ritornerai.
Ogni volta che staremo insieme tu ritornerai.
Ciao Renzo”.
223
La sorella di Renzo piega il foglio e lo appoggia in mezzo ai fiori
sulla tomba.
In un silenzio surreale inizia la sfilata delle persone che vanno a
fare le condoglianze alla famiglia, passano davanti a Renzo, e se
ne vanno.
La fila è interminabile.
Io resto a braccia incrociate guardando fisso il mio amico e
lasciando passare le persone.
Non andrò a fare le condoglianze; ho già svolto il compito e non
me la sento. Massi resta immobile accanto a me; nemmeno lui ha
voglia di andare.
“Anche questa volta è riuscito a mettersi al centro
dell’attenzione…” dice indicando tutta la gente che abbiamo
intorno. Dietro gli occhiali scuri la voce è incerta.
“Già, è sempre stato egocentrico” rispondo cercando di sorridere
ma ottenendo solo una smorfia malinconica.
Col passare del tempo la folla si assottiglia. Vedo passare i suoi
genitori stretti tra le braccia di Francesca; sono esausti, questi
giorni hanno subito una prova durissima.
Li seguo di qualche passo ma non mi dirigo all’uscita; giro invece
all’interno del cimitero aspettando che vadano via tutti. Voglio
stare solo. Non riuscirei a parlare con nessuno in questo
momento. La mia intenzione è passare da Renzo un’ultima volta
in solitudine.
Quando sono certo di essere solo torno sui miei passi e mi dirigo
da lui.
Non faccio nulla di particolare.
Mi inginocchio davanti alla tomba e penso.
Gli parlo.
Secondo qualche religioso… prego.
Tocco il punto in cui metteranno la foto e lo saluto:
“Ciao…”.
Renzo non c’è più.
Renzo non c’è più...
Sembra impossibile.
Eppure non piango.
224
Mi alzo incamminandomi verso l’uscita, ed in mezzo a questo
silenzio immobile vedo una figura; sembra un piccolo fiore che
spunta tra le pietre.
In fondo al corridoio, come se mi stesse guardando da sempre, c’è
Claudia.
Mi ha atteso fino ad adesso, unica persona rimasta insieme a me
nel cimitero.
Mi fermo a cinque metri da lei; le mani in tasca.
“Non riuscivo ad andare via senza di te…” sussurra.
“Hai fatto bene… Hai fatto bene…” rispondo.
“Sarà sempre così?” chiedo.
“Come?”.
“Che aspetterai il mio ritorno… ovunque mi porterà… la vita?”.
“Fino ad adesso l’ho fatto…” risponde lei con un accenno di
sorriso.
“Lo so” dico avvicinandomi “Lo so…”.
Prendo le sue mani istintivamente, lei mi stringe in un abbraccio
ed insieme ci avviamo verso casa, forse, grazie a Renzo, uniti
ancora di più di come lo siamo sempre stati.
225
21
Siamo solo due anime sperdute
Che nuotano in una boccia di pesci
Anno dopo anno
Corriamo sullo stesso vecchio terreno
E cosa abbiamo trovato?
Le solite vecchie paure
Vorrei che fossi qui
Pink floyd
L’ultima avventura
Il lungo corridoio finisce con una porta a vetri.
Io e Claudia lo stiamo percorrendo ascoltando Massi che ci
racconta di avere ricevuto una chiamata dal centro ricerche
cibernetiche di Roma.
Il corridoio costeggia tutto il perimetro della chiesa di Lassina,
dove in questo momento si sta celebrando una messa per Renzo.
E’ passato più di un mese da quel giorno, siamo agli inizi di
Novembre ed il freddo comincia a farsi pungente. In questi giorni
è arrivato un vento gelido dal nord che ha abbassato le
temperature in tutta Italia. C’è appena stato il cambio dell’ora e
siamo entrati in quel tunnel autunnale che ci porterà dritti fino
all’inverno.
La chiesa è gremita di gente.
Da dove ci troviamo possiamo sentire i canti e le letture mentre
procede la funzione, alla quale ovviamente non abbiamo
partecipato.
Però ci siamo sentiti in dovere di stare almeno nelle vicinanze,
aspettando che tutto sia finito.
226
“E così tra due giorni te ne vai?” chiedo a Massi camminando
lungo il corridoio.
“Purtroppo sì. La chiamata è arrivata prima del previsto e devo
partire per forza”.
“Va beh, sarai contento comunque…” dice Claudia.
“Certo! Certo che lo sono. Ma avrei preferito restare con voi
ancora un po’; ormai mi ero abituato all’idea”.
Mentre loro parlano spio attraverso un vetro della porta, che
guarda direttamente sull’altare dove Don Vincenzo sta
celebrando. Tutte le panche sono occupate e ci sono diverse
persone in piedi; Renzo lo conoscevano tutti ed anche in questo
caso ha attirato metà paese.
“Mi dispiace che te ne vada” dico, “Anche se in realtà non cambia
molto, visto che io tra due settimane sarei dovuto comunque
tornare a Milano, e Claudia avrebbe ripreso a lavorare al bar”.
“Persino i giorni di malattia di Renzo sarebbero scaduti adesso se
fosse stato qui” commenta Claudia.
“Già, se fosse stato qui…” dico.
“Già…” conclude Massi.
Camminiamo pensierosi lungo il corridoio; il ricordo del nostro
amico è ancora forte, anche se il peggio è passato.
Arriviamo al magazzino di fianco alla sacrestia, un luogo dove
quando eravamo più piccoli venivamo a giocare rovistando tra
scaffali e scatoloni, alla ricerca di palloni e gessetti per colorare.
Ci fermiamo sulla soglia commentando:
“Sembra uguale a tanti anni fa…”.
“Don Vincenzo non è uno che ama rimodernarsi, è un
tradizionalista”.
Entriamo aprendo diversi cassetti e guardandoci intorno. I tavoli
sono pieni di polvere e diverse scartoffie sono sparse per la
stanza.
In fondo al corridoio prosegue la messa.
“Hey, guardate cos’ho trovato!” esclama Claudia.
Da un angolo tira fuori un carrello del supermercato uguale a
quello dove ci siamo buttati in Agosto; Massi stupito esclama:
“Bello! E che ci fa qui? Dai fammelo provare” ed in un batter
d’occhio si infila all’interno.
227
“L’ultima volta che ci sono salito ho rischiato di spappolarmi su
una macchina”.
“Quella è stata una grande giornata!” ribatto mentre lo spingo
fuori in corridoio. Claudia ci fa strada aprendoci la porta.
Ci troviamo tutti e tre a costeggiare la chiesa, con Massi infilato
in un carrello della spesa.
Ed i ricordi viaggiano.
Vediamo Renzo che corre lungo la discesa della banca a braccia
alzate, in un gesto pazzo e spericolato che solo la Compagnia del
flagello sarebbe stata in grado di fare. E poi sul tettuccio di
Rischio 4 a fare surf per le vie di Lassina, mentre mia madre e le
sue amiche incredule ci guardavano a bocca aperta. Oppure a casa
mia con una gigantesca fetta di torta in mano, cercando di
ingoiare tutto per non lasciarmi neppure una briciola.
Poi Renzo a cascina Visconti.
Davanti alla sua inseparabile Playstation.
Abbracciato a Francesca…
Mille altre immagini ci passano per la mente mentre ci
avviciniamo alla vetrata all’ingresso della chiesa.
Se Renzo fosse presente nel carrello ci sarebbe stato lui.
Claudia giunge per prima alla porta, osserva l’interno e come me
rimane stupita da quanta gente si è radunata per la funzione.
Si gira verso di noi. Io sto ancora spingendo Massi per il
corridoio.
Dallo sguardo che mi lancia capisco le sue intenzioni senza
bisogno di nessuna parola.
Anche Massi evidentemente gli legge nel pensiero perché inizia a
dire:
“Eh no ragazzi… Non lo farete per davvero… Dai, fate i seri!”.
Ma la Compagnia del flagello sta per tornare in azione.
Claudia apre la porta a vetri ed il corridoio viene inondato dalla
voce del parroco; Massi cerca di uscire dal carrello alzandosi con
le braccia, ma è incastrato e non ce la fa.
“No no no!” impreca sottovoce perché qualsiasi parola adesso
rimbomberebbe nella chiesa.
“Pronti, partenza…”.
228
“Luca se lo fai t’ammazzo!” minaccia Massimo in preda al
panico.
“Via!” ad un metro dall’ingresso dò una forte spinta al carrello
lanciandolo in mezzo al tempio, tra le panchine delle persone
sedute in prima fila.
Centinaia di teste si girano all’improvviso.
La messa si interrompe di colpo.
Le facce sbalordite di tutti i presenti che vedono arrivare un
carrello del supermarket con un uomo seduto al suo interno.
“Cli-clic, cli-clic…” il cigolio delle ruote rimbomba tra le pareti
silenziose.
Massi assume l’espressione di un pinguino.
Io e Claudia, piegati in due dal ridere, chiudiamo la porta e
restiamo ad osservare attraverso il vetro.
Massimo si ferma proprio davanti all’altare dove si trova Don
Vincenzo; mezza popolazione di Lassina ora lo guarda incredula e
sbalordita.
Una vecchietta si fa il segno della croce.
Don Vincenzo si copre il volto con una mano non potendo
credere ai suoi occhi.
Vediamo il sindaco Rinaldi scuotere la testa rassegnato, sapendo
esattamente cosa è successo e chi sono gli artefici di questa nuova
impresa.
Ora Massi ha l’espressione di una triglia.
“Sono stati Claudia e Luca! Sono stati loro, io non c’entro
niente!!” esclama ad alta voce peggiorando ancora di più la
situazione, “Io non c’entro niente!”.
Ma nessuno muove un dito per aiutarlo.
Sono tutti troppo sbigottiti per muoversi!
Così il nostro amico inizia a cercare un appiglio per spingersi
verso la porta, ma non trova nulla nelle vicinanze; muove le
braccia dappertutto, sembra un polipo disperato.
Ormai alla frutta inizia a dare poderosi colpi di reni avanzando di
pochi centimetri ogni volta.
Lo osservano tutti a bocca spalancata.
Il silenzio è epocale.
Io e Claudia ce la stiamo facendo addosso dal ridere!
229
Prima che riesca a raggiungerci leviamo le tende e scappiamo
verso l’uscita, abbandonando Massi al suo destino. Sappiamo che
quando si libererà ci farà un culo così, ma siamo certi che alla fine
pure lui si metterà a ridere con noi, come avrebbe fatto Renzo se
fosse ancora qui.
In questo momento lo immagino correre accanto a me e Claudia,
con il suo pizzetto da diavolo e lo sguardo sincero.
Guardo la mia amica e la prendo per mano, mentre usciamo in
strada sorridenti come non lo eravamo da tanto tempo.
230
22
Da quando Senna non corre più
Da quando Baggio non gioca più
Da quando mi hai lasciato pure tu
Non è più domenica...
Cesare Cremonini
Ultimi due
Il mio singolo ha iniziato a girare per radio. L’ho sentito uscire da
qualche impianto stereo e dalle casse del Bar Lassina in questi
giorni. Il Boss mi ha chiamato dicendomi che è giunto il momento
di tornare, eppure non sono al massimo della felicità. Ero
convinto che sarei corso a Milano anche a piedi alla prima
telefonata del Capo ed invece una punta di malinconia mi martella
nella gola.
Ho già le valigie pronte.
Domani devo partire.
La Compagnia del flagello non esiste più, siamo rimasti solo io
Claudia; i due fondatori sono anche gli ultimi ad abbandonare la
nave.
Massi è andato via alcune settimane fa, mentre Renzo vado a
trovarlo tutti i giorni.
Siamo a fine Novembre e Claudia ha iniziato ad aiutare sua
sorella al Bar, visto che tra poco dovranno darsi il cambio per la
gestione invernale. Anche per lei è finita questa parentesi che ci
ha portato indietro nel tempo; a breve tornerà Gabriele dal
Giappone e dovranno decidere la data del matrimonio.
Già…
La data del matrimonio.
231
Vedo Claudia ogni giorno che passa allontanarsi sempre più da
me, anche se in realtà il nostro contatto, la nostra telepatia, non è
mai stata così forte. Potremmo evitare di parlare. Ci capiremmo
solo con lo sguardo. Renzo ci ha avvicinato di nuovo, ed ogni
momento di questi ultimi giorni l’abbiamo passato insieme, come
per assimilare istante per istante gli ultimi attimi di questa nuova
vita, prima che tutto finisca e si volti pagina definitivamente.
La vedo più bella che mai.
Mi manca anche se ce l’ho accanto. E’ una sensazione assurda ma
non riesco a descriverla in nessun altro modo. Le nostre vite sono
destinate a separarsi e non ci possiamo fare niente; qualche anno
fa eravamo ancora in tempo, ma ora è troppo tardi. Milano è la
mia casa, Lassina è la sua. Inevitabilmente il lavoro mi porterà
lontano, attraverso un mondo che Claudia non si sogna neppure; e
viceversa l’esistenza della mia amica assumerà aspetti con
Gabriele che io fatico a comprendere, e che ancora per lungo
tempo non comprenderò.
Eppure Claudia ce l’ho dentro come non mai.
In questo momento appoggio la mia esistenza su di lei.
Quando tornerò sui navigli dovrò cominciare a fare sul serio; ci
saranno delle persone che dipenderanno da me, ed io dovrò
assumermi delle responsabilità. Il Capo mi ha mandato in vacanza
fino ad adesso per tornare carico, ed io lo sono come non mai. Ho
una voglia infinita di cominciare a lavorare e di spaccare il culo al
mondo! Però impazzisco anche al pensiero di non vedere più
Claudia, di lasciare questa parte della mia vita che qualche anno
fa ho abbandonato così facilmente.
Ora è tutto diverso. Quello che volevo alla fine sono riuscito a
capirlo grazie ai discorsi di Alessandro e di Ilaria. Volevo Claudia
e la voglio tuttora. Ma sono arrivato troppo tardi, come al solito, e
devo farmene una ragione. Lei ha un altro uomo che la renderà
felice come non sono riuscito a fare io. E’ giusto che stia con
Gabriele e che le nostre vite si dividano. La morte di Renzo ha
messo la parola fine ad un pezzo del mio passato, ed ora volente o
nolente sono davanti alla porta del futuro. Non ho paura di
attraversare la soglia, ma fa male pensare di non poter tornare più
indietro.
232
E’ dunque questa la responsabilità? Crescere significa questo?
Andare avanti nonostante tutto prendendo coscienza di quello che
si è davvero?
Se è così il Boss aveva ragione. In questi mesi sono cambiato ed
ho ben chiara in mente la direzione che devo prendere. C’è Ilaria
che mi aspetta a Milano, il mio lavoro, il disco nuovo…
Ma quanto sento già la mancanza di Claudia…!
Forse per evitare di soffrire al momento della separazione in
questi giorni ci parliamo raramente. Il tempo che viviamo insieme
lo passiamo comunicando a monosillabi, cercando di non tirare
fuori l’argomento della partenza. Sono successe troppe cose in
questi ultimi mesi e sappiamo di aver fatto delle scelte che
dobbiamo rispettare; quindi ci basta stare vicini senza entrare in
futili discussioni.
La vedo nel suo piumino nero, dalla mia finestra al mattino, che si
incammina per andare a lavorare. Poi vado a fare colazione da lei,
mi serve cappuccio e brioche e restiamo a guardarci senza dire
nulla di particolare.
In fondo al cuore vorrei stringerla, abbracciarla, gridarle quanto
mi mancherà quando sarò a Milano, ma so che lei mi
risponderebbe che avrei dovuto farlo cinque anni prima.
E avrebbe ragione.
Anche se i suoi occhi sono tristi come i miei.
So quello che prova, lo sento, ma neppure lei è in vena di parlare,
soprattutto dopo quello che è successo in Valtellina. Da quel
giorno tutti i discorsi sulla nostra relazione sono finiti.
Lei si sposerà ed io me ne dovrò andare.
Lei si sposerà…
Francesca speranza
Questo pomeriggio ho ricevuto una telefonata di Francesca.
Ha chiesto di incontrarci al parcheggio della banca perché ha
bisogno di parlarmi. Non la sentivo da parecchio tempo e mi ha
fatto un gran piacere chiacchierare nuovamente con lei. L’ho
sentita tranquilla, con la voce finalmente sicura e normale.
233
Sto andando all’appuntamento al volante della Smart; Rischio 4
l’ho rimessa nel box dopo averla controllata a dovere. Chissà per
quanti anni ancora non la userò…
Il cielo è chiaro e limpido come una giornata d’estate in alta
montagna. In questo fine Novembre l’autunno è esploso nei suoi
colori, ed un vento tiepido soffia su Lassina rendendo il freddo
meno pungente. Percorro un viale Trieste contornato da alberi in
entrambi i lati della carreggiata, dove foglie multicolori volano
nell’aria sullo sfondo di un cielo azzurro e senza nuvole.
Svolto nel parcheggio, mi fermo nel primo posto libero e scendo,
avvicinandomi a Francesca che è già arrivata. Si trova in piedi
vicino alla sua macchina, con la schiena appoggiata alla portiera.
Non c’è nessuno in giro, solo vento e foglie.
Il lunghi capelli riccioli scompigliati dall’aria le vanno sugli
occhi; con una mano li sposta portandoli dietro l’orecchio.
Un sorriso tranquillo ricamato sulle labbra.
“Ciao Luca”. Ha un aspetto dolce e calmo nello stesso tempo,
come un oceano dopo la tempesta. Ricambio il saluto con un
sorriso altrettanto sincero.
Ma prima che possa dire qualsiasi cosa sento che un’altra
automobile sta entrando nel parcheggio; svolta fermandosi
proprio vicino a noi.
E’ Claudia, che si avvicina con aria sorpresa:
“E tu cosa ci fai qui?” domanda.
“Mi ha chiamato lei. Suppongo che abbiamo ricevuto la stessa
telefonata…”.
“Sì, vi ho chiamati io. Avevo bisogno di vedervi entrambi” ribatte
Francesca.
Claudia indossa una felpa coperta da un giubbotto smanicato.
Ciuffi di capelli neri le cadono sul viso; ogni volta che la vedo è
un tuffo al cuore.
“Ragazzi”inizia a dire Francesca guardandoci negli occhi, “So
quello che state vivendo e i sentimenti che corrono fra di voi. Vi
conosco da tanto tempo e Renzo me ne ha sempre parlato.
Vedervi così tristi fa male anche a me. Ma la vita non gira sempre
come si vuole, e a volte dobbiamo prendere quello che ci propone
guardando in faccia la realtà. Voi due avete accettato di avere due
234
vite diverse, e avete accettato che questo vi separerà. Io invece ho
dovuto confrontarmi con la perdita di Renzo. Certe cose capitano
senza che possiamo farci niente, bisogna tirare avanti e basta”.
Parla con lentezza, eppure sembra sicura come non lo era da
parecchio tempo.
“Siete stati i migliori amici di Renzo ed io mi fido di voi; vi
voglio bene” al suono di queste parole io e Claudia ci guardiamo
arrossendo un poco. Le parole di Francesca sono sincere:
“Anche noi ti vogliamo bene” dice Claudia intervenendo per
entrambi.
“Vero che mi starete vicino?” chiede Francesca spostando lo
sguardo prima su di me e dopo su Claudia.
“Ma certo…” rispondo prendendole la mano, “Non avevi bisogno
di chiedercelo”.
Il vento le scompiglia i riccioli.
Rumore di foglie accartocciate ai nostri piedi.
Io, Claudia e Francesca sotto il sole tiepido di un pomeriggio
autunnale che non ci regala neppure una nuvola.
“Bene” continua interrompendo il silenzio, “Perché devo dirvi
una cosa…”. Ci prende per mano come per darsi coraggio.
“E volevo che foste voi i primi a saperlo”.
Un altro soffio di vento.
Lontano si sente un auto che passa.
“Aspetto un bambino”.
…
Il tempo si ferma per un istante.
Claudia rimane a bocca aperta sbalordita come me.
Anche se sono certo di avere sentito bene le domando:
“C-cosa?”.
“Sono incinta, Luca… aspetto un figlio”. Mentre lo dice le
brillano gli occhi; solo adesso mi accorgo di quanto il suo viso sia
luminoso, sembra sprigionare una gioia incontenibile.
“Dio santo…” commento.
“E’-E’ suo?” chiede Claudia sottovoce stringendole più forte la
mano, senza nominare la persona a cui fa riferimento.
“Sì, il padre è Renzo”.
235
Risponde con il più bel sorriso che ricorderò nella vita.
“Quando l’hai saputo?”.
“Il giorno dell’incidente ero già incinta di un mese, ma non lo
sapevo. Adesso sono di tre mesi, ma ho aspettato fino ad ora per
dirlo perché volevo essere sicura al cento per cento che tutto
andasse bene”.
“Allora lo terrai?” chiedo mentre nello stomaco mi si scioglie
qualcosa.
“Certo Luca. E’ tutto quello che voglio. Sapevo che Renzo non
mi avrebbe abbandonato, ed ora è qui con me; mi ha lasciato il
più grande regalo che ci sia. Mi ha regalato una vita. La sua vita!
Ed ora sarà sempre con me. Nemmeno la morte è riuscita a
portarmelo via. Renzo sarà sempre dentro di me”.
“Aspetti un bambino… Il figlio di Renzo” le parole mi escono
direttamente dal cuore, mentre sento che la testa si libera di tutti i
pensieri.
“E’ bellissimo” dice Claudia sbalordita.
“Lo so, è straordinario e sono… finalmente… felice” dice
Francesca con occhi tremolanti.
“Quel figlio di puttana!” dico ad alta voce, “Quel figlio di puttana
di Renzo ne ha combinata un’altra!” grido nel vento iniziando a
ridere.
“Lo sapevo, lo sapevo che era un bastardo” continuo tra una risata
e l’altra.
Claudia mi guarda cominciando a ridere pure lei.
Francesca la segue dopo qualche secondo.
“Renzo è padre! HA HA HA! Lui è fatto così, deve sempre
stare… HA HA! …al centro dell’attenzione!”.
Continuo a ridere a crepapelle.
Anche Francesca e Claudia ridono con me, ed ogni momento che
passa avverto delle catene allentarsi nello stomaco. Una inebriante
sensazione di euforia mi colpisce come una scossa elettrica, non
riesco a smettere di ridere.
Io e le due ragazze, in mezzo al parcheggio della banca, siamo
invasi da una ilarità incontenibile; se ci vedesse qualcuno di
passaggio ci prenderebbe per pazzi.
Claudia si avvicina accarezzandomi le guance:
236
“Luca, ... stai piangendo!”.
Allontana e le mani e vedo i suoi palmi bagnati delle mie lacrime.
Sto piangendo! Sto piangendo e non me ne sono neanche accorto!
Non sono mai riuscito a piangere da quando Renzo è morto,
questa è la prima volta.
E Claudia lo sa.
La osservo guardarmi stupita e ricomincio a ridere.
Rido e piango, piango e rido!
La mia amica si piega in due tenendosi la pancia dalle risate,
mentre anche sul suo viso grosse lacrime scendono a solcargli le
guance, come fiumi in piena.
Francesca ride con noi. Poi si commuove. Poi piange, poi ride
ancora.
Mi tocco il viso alternando i singhiozzi alle risate.
La barba è bagnata come quando mi lavo il viso al mattino.
Renzo, cazzo, guarda cosa hai fatto!
Ci stringiamo tutti e tre in un abbraccio, e proseguiamo a ridere
follemente sentendo la presenza di Renzo accanto a noi più forte
che mai.
Ed ogni lacrima è una liberazione.
Si sciolgono i muscoli.
Tutta la tensione di questo periodo svanisce come per miracolo.
E non solo quella; sento che anni di preoccupazioni, di
indecisioni, di idiosincrasie e paure del mio futuro vengono
colpite. Si stanno squagliando lentamente.
La mia vita prende forma e si allarga occupando tutti gli spazi
vuoti che ho lasciato nel petto; occupa ogni buco di insicurezza
prendendo possesso del mio corpo, spazzando via l’inutile
volontà negativa che ha preso parte ad ogni mia decisione.
La mente si libera ed è come se iniziassi a respirare.
Ogni lacrima è un colpo al castello delle mie paure.
Bum!
Bum!
Mi sento leggero come non lo sono stato mai.
Anche quando saluto le due ragazze e salgo sulla Smart per
tornare a casa continuo a piangere, non riesco a smettere.
Renzo ha fatto un miracolo.
237
Il suo bambino è un miracolo della vita che rivaluta le mie
concezioni.
E se in fondo ci fosse qualcosa di davvero bello nel nascere?
E se la vita valesse davvero la pena di essere vissuta?
Domande come queste non me le ero mai poste, ma piangendo sto
ritrovando me stesso e la positività di quando ero bambino.
Mi cullo nelle nuove domande pensando al mio amico, che ora se
mi vedesse da lassù, probabilmente si farebbe quattro risate anche
lui.
Quando tutte le speranze sono finite ecco che accade un miracolo!
Solo in questo caso può avvenire.
Renzo mi fa bruciare di speranza.
E se questo è un miracolo… è opera di Dio?
O è opera dell’immenso amore che possiedono gli uomini?
O è la stessa cosa?!?
Non riesco a smettere di piangere.
Ma ho voglia di cantare come non mai!
Grido il nome di Renzo e canto a squarciagola dalla felicità,
dall’eccitazione, dallo shock di una nuova speranza che divampa
dentro me.
Francesca ha ragione.
Renzo sarà sempre con noi.
238
23
L'impronta di una testa sul cuscino
i passi lenti e incerti
di un bambino
lo sguardo di serenità
la mano che si tenderà
la gioia di chi aspetterà
l'estate che poi passerà
il grano che maturerà
la mano che lo coglierà
per questo e quello che verrà…
io canto
Riccardo Cocciante
Ritorno
Ho già salutato tutti ieri sera.
Sto caricando le valigie sulla Smart e tra poco partirò.
Stamattina fa decisamente freddo, ci sono delle nuvole basse che
formano un sottile strato di nebbia che copre le strade. Ma
d’altronde in Brianza è così; cosa ci si può aspettare da un luogo
dove ci sono solo campi?
Chiudo il baule e salgo in macchina.
La notizia che mi ha dato Francesca ieri pomeriggio rimbomba
ancora in fondo al cuore. Ed è una bella sensazione di
stordimento. Ieri sera al bar abbiamo festeggiato la lieta novella
con gli altri amici ed è stata una grande serata.
Come ultima nel mio paese natale non potevo chiedere di meglio.
Ho colto l’occasione per salutare tutti, visto che stamattina sarei
dovuto partire abbastanza presto.
239
Accendo la Smart ed esco dal cortile; dallo specchietto retrovisore
vedo mia madre che mi saluta. I miei genitori passeranno a
trovarmi a Milano già settimana prossima. Io ed Ilaria abbiamo
organizzato una cena con loro per festeggiare il ritorno nella
metropoli e l’uscita del primo singolo. Si sono trovati simpatici
quando Ilaria è venuta a trovarmi, ed una cena è un modo come
un altro per farli conoscere meglio.
Percorro la strada sterrata che mi porterà fuori da Lassina, ma
prima devo fermarmi per una tappa.
Non è vero che ho salutato tutti.
Manca ancora una persona.
Che guarda caso è Claudia.
Ieri davanti agli amici non ho avuto il coraggio di andare da lei;
ho preferito rimandare a stamattina senza che nessuno potesse
intromettersi. Voglio vivere da solo il momento dei saluti con lei,
perché sospetto sarà difficile e particolarmente intenso.
Giungo davanti a casa sua in un baleno; so che la troverò perché
oggi ha il turno di lavoro al pomeriggio.
Tiro un lungo respiro come per darmi coraggio e suono il
campanello. Pochi secondi di attesa e la porta si apre
mostrandomi Claudia che non sembra affatto sorpresa di vedermi.
A quanto pare mi stava aspettando.
“Ciao scemo, sei in partenza?” domanda passandosi una mano tra
i capelli neri, come al solito spettinati e per metà in piedi. Indossa
un paio di jeans, una maglietta ed un maglioncino bianco che le
avvolge stretto la figura. I bottoni davanti sono aperti mostrando
le piccole curve dei seni che ormai conosco bene. Deglutisco a
fatica rimpiangendo quando li ho toccati questa estate, e a quanto
mi piacerebbe afferrarli un’ultima volta. Ormai anche i difetti di
Claudia ai miei occhi sono diventati dei pregi; tutto quello che la
riguarda mi piace, anche la sua trasandatezza e i modi di fare non
proprio delicati.
La sua pelle d’avorio priva di imperfezioni fa risaltare, oggi più
che mai, gli occhi nerissimi e profondi. Sembrano un pozzo
lunghissimo dove potrei perdermi ore ed ore.
240
Appoggiata alla porta, con una mano sulla maniglia, la sua figura
è slanciata nonostante sia un pò magra; probabilmente avrebbe
bisogno di mettere su qualche chilo, eppure mi fa impazzire così.
“Sì, sono passato a salutarti” rispondo venendo subito al sodo.
“Quando tornerai?”.
“Non te lo so dire. Adesso uscirà il disco e ci sarà un sacco di
lavoro da fare. Magari l’estate prossima”.
“Già… E io ci dovrei credere?”ribatte con mezzo sorriso.
“Non so, vedi tu…” rispondo un po’ imbarazzato sapendo che la
mia amica ha ragione.
“Potresti sempre venirmi a trovare” continuo buttando lì la frase.
Lei mi osserva qualche secondo perplessa prima di dire:
“Dai, perché no. Magari una volta…”
“Sì?”.
“Sì”.
“Sarebbe bello”.
“Sempre se riuscirai a trovare tempo per me”.
“Certo che lo troverò. Per te ci sarà comunque posto a casa mia,
lo sai. E poi potresti invitarmi al tuo matrimonio”.
“Dai scemo…” dice sorridendo.
“No, dico davvero”.
“Luca…” lascia in sospeso la frase abbassando lo sguardo. Ci
sarebbero mille frasi da dire ma mi esce solo questa:
“Mi dispiace per come sono andate le cose”.
“Lascia perdere”.
“No, non lascio perdere, fammi parlare. Prima che vada a Milano
voglio che tu sappia che sei una delle persone più importanti della
mia vita. Forse la più importante. E se mi fossi svegliato prima
magari ora la nostra relazione sarebbe diversa. Potevamo essere
fidanzati o chissà cos’altro, non lo so. Ma… Abbiamo fatto delle
scelte e le nostre vite hanno preso pieghe diverse. Alla fine non ci
è andata nemmeno male, anzi. Io sono felice con Ilaria e il mio
lavoro; e tu lo sei con Gabriele. Però, volevo solo dirti…
Insomma… Che comunque mi mancherai un casino…”.
Claudia smette un attimo di respirare guardandomi con occhi
dolci e stupiti.
241
Vorrei abbracciarla e stringerla forte, talmente tanto da
schiacciarla e farla entrare dentro me.
“Tu mi manchi già…” dice lei in un sussurro.
Vorrei non avesse mai detto questa frase.
Vorrei che tutto fosse andato diversamente.
Vorrei avere mille altre possibilità.
Ma con il coraggio del senno di poi dico:
“Senti… Vedi di stare bene e di sposarti il più presto possibile,
prima che cambi idea e venga a sequestrarti, per portarti via con
me”.
“Luca, non dire così…” continua lei con tono semplice e
rassegnato “…perché potrei crederci davvero”.
“Dico sul serio”.
“Lo so…”.
“Allora vieni con me”.
“Non possiamo, dai smettila… E non fare il buffone, in fondo lo
sai che è giusto così”.
“No, invece non lo so!” ribatto alzando un poco la voce “Cosa ne
sai di quello che mi frulla per la testa? Nemmeno io capisco cosa
è giusto per me. E tu sei sicura che quello che stiamo facendo sia
la cosa migliore?”.
“Io credo di sì” ribatte non troppo convinta.
“Bene” continuo “Beata te che sai sempre tutto. A volte vorrei
possedere un po’ della tua sicurezza”.
“Io non sono sicura di niente, Luca. Ma… cosa ti devo dire? Tu
comunque tornerai a Milano ed io al mio lavoro. Questo
succederà per forza! E a noi sta bene. Quello che ti chiedo è… di
non allontanarci mai più. Cinque anni sono stati troppi, non
riuscirei a sopportarne altri. Ti prego, promettimi che d’ora in
avanti ci vedremo più spesso…” fa un lungo respiro prima di
aggiungere:
“Se non siamo riusciti a stare insieme come amanti, vorrei che
riuscissimo a farlo come amici”.
“Ma certo…” ribatto sottovoce, “Te lo giuro, non mi perderai mai
più…”.
“Grazie. Era quello che volevo sentire”.
Attimi di imbarazzo.
242
Claudia si sposta cambiando piede d’appoggio.
Modifica la presa sulla maniglia della porta.
Gira un ciuffo di capelli dietro l’orecchio.
“Allora… io vado” dico rompendo il silenzio.
“Certo… Fai buon viaggio…”.
“Grazie. Ma non sarà lungo, devo andare solo fino a Milano!”
dico con accento che vuole essere divertente, ma che ottiene
miseri risultati.
“Ok, stammi bene…” prosegue lei.
“Anche tu”.
“Allora ciao…”.
“Ciao”.
Non ci abbracciamo ne baciamo. Restiamo fermi come due
stoccafissi, nessuno ha il coraggio di prendere l’iniziativa.
Sappiamo bene che poi sarebbe troppo difficile separarci, e
renderemmo ancora più doloroso questo momento. Guardo ancora
i suoi occhi profondi per annegarci un’ultima volta.
E’ bella più che mai e voglio tenere questa immagine fissa nella
mente per il resto dei miei giorni.
Giro i tacchi allontanandomi da lei.
Ho agito di fretta, non volevo perdere altro tempo. Via il dente via
il dolore. Non mi volto nemmeno per guardarla, sarebbe un
gravissimo sbaglio.
Eppure in questi pochi passi che mi dividono dalla Smart sento di
avere il cuore di pietra. Batte forte nel petto con una pesantezza
assurda.
Do la schiena alla vita passata. Ora è tutto finito. Claudia e la mia
esistenza irrisolta sono alle spalle ed io corro ad iniziare una
nuova avventura.
Eppure, questa mancanza che ho nel cuore, probabilmente non se
ne andrà mai via…
Mi mancherà Claudia.
Cazzo se mi mancherà.
Non faccio in tempo ad arrivare alla macchina che sento dei passi
veloci dietro di me.
Mi giro istintivamente e vedo Claudia correre nella mia direzione.
Ogni parola muore nella gola.
243
In breve percorre la distanza che ci separa mettendosi di fronte a
me.
Afferra il mio giubbino all’altezza del collo tirandomi verso di lei.
E poi, come per magia, passando davanti a tutti gli anni che ci
hanno separato, ai problemi ed ad un destino che ha giocato
contro di noi, copre finalmente quella distanza che troppo spesso
ci ha tenuto lontano.
La copre senza bisogno di fare l’amore.
La copre senza istinti, solo con il cuore.
La copre come avremmo sempre dovuto fare.
E mi dà un bacio.
Il tocco leggero delle sue labbra sulle mie.
E il mondo si ferma…
L’infinito attimo che stiamo vivendo ci avvolge di calore,
facendoci sentire per la prima volta una cosa sola. Io e Claudia
per un breve istante ci comunichiamo l’amore di decine di anni
chiuso in fondo all’anima.
Poi si allontana lentamente guardandomi negli occhi.
Ed io vedo nei suoi una malinconia senza confini.
Capisco di avere lasciato definitivamente qualcosa di importante.
Quando si volta per tornare in casa ho la sensazione che mi abbia
rubato qualcosa, che sarà per sempre suo e non potrò avere mai
più.
Un po’ di me stesso ora ce l’ha lei.
E lo porterà con se per sempre.
La vedo rientrare in casa e chiudere la porta senza voltarsi.
Resto un minuto buono ad osservare casa sua con la testa
bombardata dai pensieri. Poi mi giro e salgo in macchina.
Chissà cosa resterà di noi, mi chiedo schiacciando l’acceleratore;
delle pagine di vita che abbiamo scritto insieme, dei sogni e delle
emozioni di due ragazzi che sono cresciuti amandosi
silenziosamente.
Ripenso a tutte le ragioni che hanno portato Claudia a non
confessare mai i suoi sentimenti per me e agli alibi che mi sono
creato per non guardare in faccia una realtà che mi angustiava,
allontanandomi inesorabilmente da lei.
I miei alibi e le sue ragioni.
244
Ora le sue labbra baceranno la bocca di un altro.
Il nostro tempo è finito, anzi, si può dire che non è nemmeno
cominciato.
Ma non ci siamo persi affatto, assolutamente no. Le nostre
questioni sono state risolte ed ora non ci perderemo mai più.
Gliel’ho promesso, e la mia parola è una sola.
Lei avrà qualcosa di me ed io di lei.
Fratelli, compagni e amici per sempre.
Luca e Claudia sono pronti ad iniziare una nuova vita.
Pronti, partenza… Via!
245
24
Ora le tue labbra puoi spedirle a un indirizzo nuovo
E la mia faccia sovrapporla a quella di chissà chi altro
Ancora i tuoi quattro assi, bada bene di un colore solo
Li puoi nascondere o giocare con chi vuoi
O farli rimanere buoni amici
Come noi
Francesco De Gregori
31 Dicembre
Quest’anno che sta per finire è passato molto velocemente.
Fuori dalla finestra continua a nevicare, non smette più.
Milano non fa rumore sepolta sotto una soffice coperta bianca, ed
il naviglio Grande continua a scorrere indifferente al gran ciarlare
delle persone.
Seduto su una sedia osservo la gente spensierata passare qualche
metro più in basso, mentre sorseggio una Coca ripensando a tutti i
giorni passati.
Questi trecentosessantacinque giorni mi hanno colpito con
violenza lasciandomi sbigottito e perplesso. Sono accaduti eventi
uno sull’altro ed esperienze nuove hanno segnato indelebilmente
la mia vita.
Tra poco scenderò anch’io in strada mischiandomi alle centinaia
di persone che camminano sulla pelle bianca di Milano.
La mia trasmissione alla radio inizierà tra poco e porterà gli
ascoltatori dritti fino a mezzanotte, quando festeggeremo l’anno
nuovo.
La stanza illuminata soltanto da un’abat-jours è avvolta in un
chiaroscuro affascinante. L’unica altra luce presente è quella del
246
monitor del Pc, che mostra una E-mail di Ilaria spedita poche ore
fa.
Mi alzo dalla postazione privilegiata alla finestra per sedermi
davanti alla scrivania, dove rileggo la mail di Ilaria.
Questa ragazza è fantastica, niente potrà mai farmi cambiare idea
su di lei. Nel mondo dello spettacolo si dice che le donne siano
oche senza cervello, ma di sicuro Ilaria non fa parte di questa
categoria. Ha un grande cuore e la sua generosità è disarmante.
Sono orgoglioso di avere instaurato una relazione con lei, anche
se l’abbiamo basata sulla regola: “Ci vediamo quando abbiamo
tempo”. Nello spettacolo questo è l’unico modo per stare insieme,
visti gli impegni e gli orari che cambiano in continuazione.
Ma forse è arrivato il momento di finirla di essere due bimbi
sperduti sull’Isola che non c’è. Il nostro problema di diventare
grandi è tempo che venga affrontato (almeno da parte mia),
soprattutto dopo quello che è successo quest’anno.
Anzi, quello che deve mettere “la testa a posto” probabilmente
sono solo io, visto che Ilaria ha già dimostrato ampiamente di
essere una donna responsabile e piena di buon senso.
Forse da stasera potrò dare il via alla mia nuova esistenza,
prenderla per le briglie e guidarla senza le ansie e le paure che
l’hanno caratterizzata fino ad ora.
Adesso sono più sicuro.
Ora sono libero da me stesso.
Ilaria, Renzo e tutte le persone importanti che ho incontrato
quest’anno mi hanno aiutato a vivermi davvero.
Rimangono solo pochi passi da fare per spazzare via anche le
ultime insicurezze.
La trasmissione in radio tra non molto inizierà.
Mi alzo dalla sedia per prendere la giacca a vento e scendere in
strada fra la gente.
Ma appena sono in piedi vedo Ilaria al centro della stanza,
immobile, col le mie chiavi di casa in mano. Ne possiede un
duplicato e può entrare e uscire quando vuole anche se non ci
sono.
Non mi stupisce la sua presenza.
L’aspettavo.
247
Nella mail ha scritto che sarebbe venuta.
E’ bella come la neve che scende là fuori; magica come Milano
illuminata in questa notte straordinaria.
Mi avvicino in silenzio portandomi a pochi centimetri dal suo
viso. Ilaria solleva le mani accarezzandomi le guance, tirandomi
dolcemente verso di lei.
Mi bacia, e le sue labbra sanno di poesia.
La stanza in penombra si chiude su di noi, soli, nella notte del 31
Dicembre, al centro del grande cuore di Milano.
Fuori dalla finestra continua a nevicare, non smette più.
248
25
Sei un piccolo fiore
per me
E l’odore che hai
Mi ricorda qualcosa, va beh…
Non sono fedele mai
Forse lo so…
Vasco Rossi
31 Dicembre, Lassina
Mancano pochi minuti all’anno nuovo.
Il Bar Lassina è stracolmo di gente e Claudia si trova dietro al
bancone a lavorare.
Tutti i ragazzi del paese e dintorni sono radunati nel locale, pronti
a stappare le bottiglie di spumante.
La voce di Luca Nudo esce dalle casse diffondendosi tra la gente,
scivolando tra i cappotti e le giacche, le birre, le sambuche,
mischiandosi alle risate delle persone in attesa. Il loro
compaesano più famoso li porterà fino a mezzanotte, e con lui
faranno il conto alla rovescia prima del brindisi.
Ma Claudia dietro al bancone non riesce a unirsi al loro
divertimento. Sentire il suo amico le provoca solo malinconia. La
vita è andata avanti in questi mesi, e come si erano detti, hanno
preso le loro rispettive strade senza voltarsi indietro.
Eppure quanto le manca Luca! Stasera più che mai.
Guarda fuori dalla finestra e vede nevicare copiosamente.
Grossi fiocchi cadono sul cortile davanti al locale e nel laghetto
per metà ghiacciato.
249
Impronte di scarponi sul pavimento, neve e fanghiglia dei ragazzi
che entrano ed escono dalla porta in continuazione.
“Ci siamo gente! Meno dieci, nove…” grida Luca alla radio.
Claudia afferra una bottiglia pronta a festeggiare, ma il suo cuore
è altrove. Chissà se anche Luca può vedere il meraviglioso
spettacolo che offre questa nevicata, si chiede.
“…due, uno, Buon Anno!!!” la voce esce forte dalle casse mentre
esplodono i tappi. Musica a profusione, baci e abbracci a
chiunque si incontra.
E poi tutti fuori a vedere i fuochi d’artificio che, come ogni anno,
partiranno dalla collina. Anche Claudia prende la giacca a vento
ed esce, senza però nessuna voglia di guardarli.
Appena le è possibile si allontana dalla folla dirigendosi verso la
panchina ai bordi del laghetto.
Anche lei ha fatto le sue scelte.
Anche lei ha preso delle decisioni.
…
Non sposerà Gabriele.
…
Una conclusione sofferta e difficile, ma sente di avere fatto la
cosa giusta.
Ci ha ragionato continuamente in questi mesi, la sua testa era
sempre tra le nuvole ed il suo cuore diviso a metà. Il Principe
azzurro perfetto era davanti a lei ma sentiva che non poteva
donarsi completamente.
Al ritorno di Gabriele dal Giappone erano entrarti subito nel
discorso matrimonio per decidere finalmente una data, ed era
stato allora che Claudia aveva guardato dentro se stessa ed aveva
fatto una scelta.
Non poteva sposarlo. Lo amava certo, ma quello che sentiva per
Luca era tutta un’altra cosa.
Prendendo il coraggio a due mani aveva spiegato al suo promesso
sposo che non doveva voler sposare una ragazza come lei. Lui
meritava di più. Era troppo buono e generoso per stare con una
donna così complicata.
La verità, aveva spiegato Claudia, era che lei aveva dato il suo
cuore tanto tempo prima.
250
Tutto il suo cuore.
E in realtà non l’aveva mai ripreso.
Non sapeva cos’altro dire, accavallava le parole cercando di dare
spiegazioni migliori, ma la sostanza era che non poteva sposarlo.
Non poteva.
Il suo cuore era di Luca.
E Gabriele aveva capito…
Con la bontà d’animo che possedeva aveva detto a Claudia che
non era una ragazza complicata, ma la persona più onesta che
avesse mai conosciuto. Sapeva dei sentimenti che provava per
Luca e proprio per questo le aveva chiesto di sposarlo, in modo da
obbligarla a fare una scelta e guardare finalmente in fondo al suo
cuore.
La speranza di Gabriele era naturalmente che alla fine Claudia
scegliesse lui, ma i suoi desideri non si erano realizzati.
E Claudia, con grande stupore, aveva visto il suo mancato sposo
darle un caloroso bacio di addio, augurarle buona fortuna, ed
allontanarsi per sempre da lei.
Le ultime parole di Gabriele erano state:
“Luca non sa quanto è fortunato ad avere una ragazza come te che
lo ama…”.
Ora Claudia è sola nelle neve.
I suoi passi silenziosi lasciano orme una dietro l’altra.
Giunge alla panchina vicino al laghetto, spazza via i centimetri di
neve che si sono depositati e si mette a sedere.
I fuochi d’artificio in collina sono iniziati.
Tutta la gente uscita dal locale gli dà le spalle per guardare lo
spettacolo che illumina la notte.
La voce di Luca esce ancora dalle casse, nonostante i botti
cerchino di coprirla.
Claudia apre le mani volgendo i palmi al cielo, restando a
guardare i fiocchi di neve che si sciolgono sulla sua pelle al primo
contatto.
Gabriele adesso è partito per un altro viaggio, e chissà quanto
tempo starà via.
251
Luca è a Milano ed ha iniziato una nuova vita con Ilaria, con la
musica, e con tutto quello che il mondo dello spettacolo potrà
offrirgli.
In fondo all’anima Claudia sente che va bene così. Sa che ora sarà
diverso. Non ha perso il suo amico come l’ultima volta. Ora si
sentono spesso, la relazione che hanno instaurato negli ultimi
mesi a Lassina ha cementato le loro amicizie rendendoli
inseparabili. Sa che non lo perderà mai più.
Nel profondo era questo che voleva.
Non gli aveva mai confessato il suo amore per paura di
allontanarlo; ma adesso che si sono chiariti, confessati, non ci
sono più scheletri nell’armadio e sente di vivere la relazione con
lui in modo sereno.
Finalmente.
Dopo tutti questi anni.
Luca è stato il primo a sapere che Claudia non aveva più
intenzione di sposarsi. Gliel’aveva detto lei stessa qualche
settimana prima.
Questo è il coraggio di parlarsi.
Di dirsi tutto e subito, come solo due persone legate da un
fortissimo sentimento possono fare.
Da amici.
Adesso è sicura di non perderlo più.
Claudia avrà vicino Luca per sempre e questo gli basta.
Ma allora cos’è questo dolore in fondo al cuore?
Si asciuga il viso con la manica e vede la striscia di una lacrima
sul tessuto del cappotto. Subito un fiocco di neve cerca di coprirla
cadendoci sopra.
Claudia fa un sospiro cercando di darsi forza: questa notte non è
fatta per piangere ma per divertirsi.
Solleva lo sguardo per cercare gli amici, ma la sua attenzione
viene spostata su una figura solitaria ad una decina di metri da lei.
Non riesce a credere ai suoi occhi.
Dalla radio del locale giunge chiaramente la voce del suo amico,
eppure davanti a lei c’è Luca Nudo.
“L-Luca?” domanda sorpresa e confusa.
“Ciao Claudia”.
252
26
Perché essere felici
per una vita intera
sarebbe quasi
insopportabile
Su, vieni e riabbracciami
se ti ho perso è stato
solo per un attimo
Mario Venuti - Carmen Consoli
1 Gennaio
Nell’appartamento sui Navigli a Milano, Luca si alza
avvicinandosi ad Ilaria nel centro della stanza. In penombra si
baciano illuminati dalla fioca luce della lampada e dal monitor del
Pc.
Sullo schermo si può ancora leggere la mail che ha spedito Ilaria
qualche ora prima:
“Ciao Luca.
Sai, a volte la vita è strana. Un momento credi di aver tutto in
pugno e l’attimo dopo ti ritrovi a fare i conti con una nuova realtà.
Quando mi hai detto che Claudia non si sarebbe più sposata ho
capito che anche la nostra relazione era finita.
Me ne sono resa conto prima di te.
Ho visto come stavate insieme quest’estate ed il rapporto speciale
che c’era fra di voi. Io non potevo farne parte, era molto più
grande di quello che vivevamo io e te. Claudia era innamorata, si
vedeva in ogni suo gesto. Da come ti guardava, dai movimenti
che faceva e dalla tonalità della sua voce. Erano sensazioni
253
chiarissime. Chiamalo intuito femminile, ma ho compreso al volo
che lei non avrebbe mai potuto fare a meno di te.
E tu di lei.
E quel giorno sono impazzita di gelosia.
Tra l’altro era un modo stupido di reagire perché ci eravamo
sempre impegnati a non far diventare troppo seria la nostra
relazione. Eppure non ci ho visto più. Ero gelosa di te perché
anch’io ti volevo bene e capivo che Claudia era un ostacolo
troppo grosso da abbattere per entrare nel tuo cuore. Nemmeno tu
l’avevi capito, sono stata io a spiegartelo.
Che stupida vero? Ho aiutato la mia ‘rivale’…
Il fatto è che io ti volevo un gran bene, mentre Claudia ti amava.
Quando l’ho conosciuta meglio ho capito che Claudia era una
ragazza eccezionale, senza niente di malizioso. Era innamorata di
te da sempre. E tu avevi paura di confessare i tuoi sentimenti per
lei.
Conoscevo le tue paure, il rifiutare continuamente di accettare la
realtà di tornare al tuo paese. Sono cose che con la maturità
passano da sole, ma tu perseveravi nel tuo esilio a Milano.
C’era qualcosa che non andava.
Voleva dire che non eri ancora cresciuto??
Forse sì.
D’altronde lo dicevi tu stesso.
Ma adesso che stai per tornare a Lassina di tua spontanea volontà,
penso che hai risolto tutti i problemi del cuore. E poco importa
cosa succederà quando ti ritroverai davanti Claudia.
Le tue paure le hai battute. Ora puoi iniziare a crescere davvero.
E non mi importa nemmeno se a rimetterci sarò io!
So che tu sarai felice e questo mi basta. Anche perché non potrei
fare altrimenti; quello che c’è fra te è Claudia è troppo forte
persino per me, ragazza da calendario, che potrebbe avere ogni
uomo ai suoi piedi.
Almeno così dicono.
Che ironia… L’unico uomo che mi interessa davvero è
innamorato di un’altra!
Ricordi quando mi hai detto, dopo che eri tornato da Lassina, che
tu e lei sareste rimasti amici per sempre?
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Ecco, ti sbagliavi.
Ad esserti sempre amica sarò io, se lo vorrai; ma sarà Claudia
quella che amerai.
Sei stato sincero quando mi hai confessato che non potevi stare
senza di lei, e che a Capodanno saresti corso al tuo paese.
L’ho apprezzato davvero. Amo la tua sincerità.
Quindi vai, fai quello che devi fare, e poi torna, magari portandoti
dietro quell’amore che non hai mai voluto ammettere.
Questa è un’occasione da non perdere.
Stasera verrò a salutarti prima che te ne vada. Lasciati abbracciare
e baciare un’ultima volta.
Luca, ho imparato a volerti bene e so che tu ne vuoi a me.
La nostra amicizia spero che continui a lungo.
Mi hai detto una grande frase ieri: ‘Se devo crescere per forza lo
farò, ma cercherò in ogni modo di lasciare piccolo il cuore’.
Prenderò esempio da te.
Anch’io faro di tutto per lasciare piccolo il cuore.
Ti auguro buona fortuna.
Ci vediamo tra qualche ora.
Una bacio…
Tua Ilaria.”
Luca e Ilaria si allontanano guardandosi negli occhi.
Poi tornano ad abbracciarsi nel silenzio della stanza.
“Grazie” è l’unica parola che Luca riesce a dire prima di prendere
la giacca a vento nera e uscire dalla porta.
Scende i gradini due alla volta rischiando di slittare sul ghiaccio
che si è formato.
Apre il portone e si mischia alla gente in via Ripa di Porta
Ticinese, dove ha parcheggiato la Smart. Solleva lo sguardo verso
la sua finestra e vede Ilaria che lo osserva dietro il vetro.
Luca si infila il cappello, poi alza il braccio verso Ilaria facendo
con le dita il segno di vittoria.
Lei risponde alzando il pollice della mano destra.
In un baleno corre alla macchiana, la accende e prende la strada
per Lassina.
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Le strade sono ghiacciate ed è da pazzi fare tutti quei chilometri,
ma Luca non ci fa nemmeno caso.
L’anno nuovo arriva mentre è ancora alla guida.
E’passata mezzanotte da poco quando giunge al bar di Claudia.
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E ho guardato dentro un’emozione
E c’ho visto dentro tanto amore
E ho capito perché non si comanda al cuore
E va bene così
Senza parole
Vasco rossi
1 Gennaio, Lassina
Luca vede la sua amica seduta in disparte sulla panchina. La
osserva in silenzio finché lei non nota la sua presenza:
“L-Luca?”.
“Ciao Claudia”.
“M-Ma, non puoi essere qua… Stai trasmettendo alla radio…”
chiede stupita alzandosi in piedi.
“La trasmissione è registrata. Abbiamo finito di montarla questo
pomeriggio, ed appena mi sono liberato sono corso qui”.
Claudia osserva il suo amico senza parole; Luca Nudo è davanti a
lei, nemmeno nei suoi sogni più arditi l’avrebbe potuto
immaginare. Indossa il solito cappello da pescatore che gli scende
sulla fronte, ed una sciarpa pesante intorno al collo. Anche al buio
riesce a riconoscere i suoi occhi verdi dove si è persa centinaia di
volte; la barba incolta è molto più lunga del solito.
“Cosa ci fai qui?”.
“Non… riuscivo più a stare senza di te”.
Ci sono solo loro in mezzo alla neve. Grossi fiocchi cadono
intorno mentre la luce dei fuochi d’artificio illumina i loro volti.
“Claudia io… Ho bisogno di te. In questi mesi ho imparato tante
cose. Ho capito che di vita ce n’è una sola e l’unica cosa che
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conta è cercare di essere felici. Io ho perso tanto tempo in inutili
problemi… Renzo non c’è più. Ed io non voglio perdere le
persone che contano nella mia vita. Voglio starti vicino…. E’
l’unica cosa che importa. Se vorrai…”.
Al suono di queste parole Claudia si sente bruciare; vede tutta la
vita passata insieme a lui scorrere in un attimo, percorre le strade
che li hanno fatti incrociare fino a portarli quaggiù, in questo
preciso istante, sotto la neve del nuovo anno.
Sente tremare la voce mentre dice:
“E Ilaria cosa…”.
“Ilaria sa tutto” interrompe lui. “Ne ho parlato con lei prima di
venire qui. Claudia è tutto a posto… Ci siamo solo io e te. Solo io
e te… Come sempre…”.
“Come sempre…” risponde lei sottovoce, “Ma come farai con il
lavoro?” continua a domandare.
“Questo me l’hai suggerito tu, ricordi? Si possono avere radici e
ali. Volerò qui ogni volta che avrò tempo. E poi… In qualche
modo faremo…”.
“In qualche modo faremo…”.
Luca si avvicina lentamente schiacciando la neve compatta sotto i
suoi piedi. Sente che questi metri che li separano fanno parte di
un lungo cammino, iniziato quando erano bambini. Tutti gli anni
di scuola passati accanto, i pigri pomeriggi a studiare, i giorni di
lavoro aspettando di rivedersi alla sera.
La compagnia di Massi e Renzo; i disastri che hanno combinato
insieme.
L’amore tenuto nascosto per troppo tempo e le parole mai dette.
I giorni in Valtellina e la lacrima sul viso di Claudia che ha
cambiato ogni cosa.
Lo straordinario momento della notizia che Francesca era incinta.
Tutto vissuto insieme, fianco a fianco. Una vita divisa a metà.
Luca muove gli ultimi passi raggiungendola e mettendosi davanti
a lei.
Claudia tira su col naso, lo guarda negli occhi e poi dice con voce
tranquilla:
“Ce ne hai messo di tempo ad arrivare”.
“Lo so, scusami…”.
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Imbarazzata come una bambina, incerta sul da farsi, Claudia resta
immobile; non riesce ancora a credere che ora il ragazzo che ha
davanti sia suo. Ma Luca, per la prima volta nella vita, la precede,
baciandola dolcemente sulle labbra.
Lei si abbandona stringendolo forte a se.
Luca sente il cuore scoppiare nel petto, e si domanda se abbia
questo sapore la felicità; ma non c’è fretta, si risponde, avrà
davanti tutta la vita per scoprirlo.
E poi Claudia mischia il bacio ad un sorriso.
Luca la imita un secondo dopo.
Labbra e denti si toccano mentre torna dirompente l’allegria nella
loro personalità; quell’allegria che avevano perso per troppo
tempo. Ed i loro cuori si incontrano, le carni si mischiano, i
pensieri si allargano facendoli diventare una cosa sola, finalmente
liberi da tutte le loro paure.
Luca passa una mano sui capelli arruffati e fradici di lei, facendo
cadere tutta la neve che si era depositata.
“Ma bagnati anche tu…” dice Claudia rubandogli il cappello e
lanciandolo nella neve.
Entrambi si voltano a guardare dove finisce, accorgendosi così
che non tutti danno loro le spalle per guardare i fuochi d’artificio.
Una figura non è girata con il naso all’insù, ma li sta fissando.
E’Alessandro con un boccale di birra in mano.
Il ragazzo visibilmente compiaciuto alza il bicchiere nella loro
direzione, in un brindisi solitario e bellissimo.
I ragazzi rispondono con un saluto.
E Luca immagina ci siano Renzo e Massi accanto ad Alessandro,
anche loro con una birra tra le mani, che approvano con un
brindisi questa unione rimandata per tantissimo tempo.
I fuochi ora si fanno più forti, scoppiano uno dietro l’altro
illuminando tutta la collina.
“Sei sempre il solito stronzo!” sbotta improvvisamente Claudia
“Non mi fai nemmeno gli auguri di buon anno!”
“Hai ragione, me n’ero dimenticato…” dice ridendo Luca.
“Buon anno Claudia”.
“Buon anno anche a te”.
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Tre fortissimi botti si sentono uno dietro l’altro; stanno a
significare che lo spettacolo è finito.
Ma una nuova avventura è appena cominciata.
A Luca ora più che mai viene da dire:
Pronti, partenza… Via!
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Grandi Grandi Grandi
Ho mille idee per quando sarò grande
Se vuoi ci metto una firma su
Mi son sempre definito un sognatore
E mi sa che non cresco più
Ma tu ci credi?
O come me
Fai di tutto per restare piccola
E non crescere?
Perché in fondo mi nascondo
Dietro la mia immaturità
O mi piace pensare d’esserlo
Per fermare il tempo che va
Ma tu ci credi?
Dimmi un po’
Se davvero in me ci credi
Oppure no
Grandi grandi grandi
Come dei bonsai
La vita è una clessidra
che non si gira mai
Quanto vorrei
che la mia sabbia
fosse tutta quella del mare…
Perché il tempo quando vola via
Ha le ali libere
Se avessi un’idea
Per farlo smettere di correre…
Ma tu ci credi?
Dimmi un po’
Se davvero in me ci credi
Ma già lo so…
Luca Nudo
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L’anno che sta arrivando
Tra un anno passerà
Io mi sto preparando
È questa la novità!
Lucio Dalla
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Inizio
“Allora, vuoi diventare la mia fidanzata?”.
La bambina lo osserva stupita, poi piega la testa di lato e con voce
cantilenante risponde:
“Non so, ci devo pensare…” dondolandosi a destra e a sinistra
come solo i bambini sanno fare.
E poi gli dà un bacio sulle labbra.
Il bambino di nome Luca rimane di sasso per il gesto improvviso
della sua amica.
Spalanca gli occhi per lo stupore mentre lei al contrario li tiene
chiusi.
Nel salone delle feste sotto di loro è ricominciata la musica; il
nuovo anno tra poco farà il suo ingresso.
Numerosi fiocchi di neve cadono coprendo il paese di una bianca
morbidezza.
La bambina intraprendente si chiama Claudia.
Appena il bacio finisce Luca e Claudia si guardano e sorridono;
sono ancora lontani i giorni dei problemi e delle preoccupazioni,
nel loro mondo adesso c’è solo spensieratezza.
Poi all’improvviso Claudia spinge il suo amico, lasciandosi
cadere a sua volta, sempre tenendolo per mano. Atterrano di
schiena nella neve, con le braccia distese, affondando nel morbido
manto bianco di una decina di centimetri.
Restano in silenzio a guardare i fiocchi che scendono dal cielo,
come se fossero all’interno di quelle piccole sfere trasparenti
piene d’acqua, che se vengono ribaltate mandano fiocchi bianchi
ovunque.
“Non mi hai risposto…” dice il bambino dopo un po’.
“A cosa?”.
“Alla domanda se vuoi diventare la mia fidanzata”.
Claudia sbuffa spazientita. Si alza in piedi mettendosi le mani su
fianchi, poi guarda il suo amico e con aria scocciata esclama:
“Ma non capisci proprio niente tu!” correndo di scatto giù dalla
collinetta.
“Claudia dove vai? Aspettami” dice Luca alzandosi a sua volta ed
inseguendo la sua amica.
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“Vieni a prendermi!” grida contenta Claudia.
“Tanto lo sai che prima o poi ti raggiungo!”.
I due bambini si allontanano diventando puntini nelle neve.
In cima alla collinetta lasciano le due sagome bianche che si
tengono per mano, come degli omini di carta ritagliati con
l’origami. Una strana metafora del futuro… Non sanno ancora
che si terranno per mano tutta la vita.
E la neve indifferente ai festeggiamenti, agli amori e alla vita che
prosegue quaggiù, inizia subito a coprire le figure.
Con l’arrivo dell’anno nuovo probabilmente saranno già
scomparse.
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pronti, partenza…Via!