Davis Bonfatti Davis Bonfatti Gli “Invadenti” “INVADENTI” sono i ricordi. Tanto più sono lontani nel tempo, più si presentano insistenti e improvvisi. Di giorno come di notte. Talvolta in sogno, che l’alba non cancella. ... Sono fluttuanti. Emergono, riemergono, scompaiono, si mischiano, si sovrappongono. Come carte da gioco. Il gioco dei ricordi. Subdolo e raffinato insieme... 5 Davis Bonfatti Un flash per una vita 9 Davis Bonfatti Un flash per una vita In quella fine d’anno (si era di novembre) s’andava veloci verso un inverno prevedibilmente duro e già nelle campagne, e ancor più nelle valli padane, le avvisaglie del gelo avevano fatto comparsa. Nelle lunghe serate era il filò nelle stalle a tener banco alla luce fioca della lampada ad olio, con lo stoppino unto e corto. Chiacchierare di uomini, fatto di pettegolezzi e prospettive, intrecciando paglia dura per sedie e divani; talvolta spannocchiando del granoturco da semina, con le donne a dare una mano. Ai margini di quell’unica fonte di luce, una giovane sposa, bruna di chioma e di pelle, sferruzzava in silenzio, sostando ogni tanto per accarezzarsi il ventre dove qualcosa scalciava, avido di movimento e di vita. I lineamenti marcati del viso non tradivano emozioni. Soltanto gli occhi sfavillavano a tratti, quasi a dar luce alla penombra. Nessuno badava a lei, anche perché figliare - nella bassa padana - era cosa di ordinaria amministrazione. E il partorire in casa era altrettanto naturale. Magari sul tavolaccio di cucina, con l’acqua bollente, le fasce pronte e pulite e la levatrice quando c’era. ... Un debole gemito della sposa fece voltare la testa, per un attimo soltanto, alla “rossa” che ruminava lentamente, sdraiata sulla posta soffice di paglia. I suoi grandi occhi tondi parvero inviare un battito di solidarietà, e lo schiocco della coda un incitamento... §§§ Il nome del dottore, gridato forte dalla strada nella notte novembrina ovattata dalla neve, sembrò non raggiungere l’obiettivo di un medico ormai non più giovane, che nemmeno da mezz’ora si era infilato nel letto. E quando la moglie già stava buttandosi addosso qualcosa per aprire la finestra e rispondere “no, il dottore non c’è”, ben forte s’udì di nuovo il richiamo dalla strada. Al dottore fu facile, a finestra socchiusa, capire che quella voce era di Pietro da San Martino e che qualcosa doveva essere successo. Il “vengo subito” di risposta echeggiò nella stanza e uscì all’aperto, mentre al buio cercava alla meglio i grossi calzoni di fustagno, con le mutande di lana lunghe lasciate già incorporate allo spogliarsi. Gli "Invadenti" - Un flash per una vita 11 Davis Bonfatti Così due figure intabarrate e col respiro forte andarono nella notte, fra la neve fitta e corposa, sul lungo stradone che da Mirandola porta a San Martino, con Pietro davanti a far da pista e il dottor Pignatti dietro, badando di non mettere i piedi fuori dalle orme. ... L’alba non era lontana quando, nella grande cucina di una casa rurale, satura di umido calore, venne posto mano al miracolo eterno della natività. Ma tutto facile non fu se poi si raccontò in giro che una mamma e “uno schizzo” si erano salvati solo perché - mi spiegarono - la vita era fatta anche così. §§§ In verità, la faccenda, così come l’ho sentita, mi fu raccontata per intero a rate da Sofia già in tarda età, perciò non garantisco che tutto sia uno specchio. D’accordo: agli avvenimenti partecipai in prima persona, ma era come se non ci fossi. 12 Gli "Invadenti" - Un flash per una vita Davis Bonfatti §§§ Non erano trascorsi due mesi da quella notte di novembre che - ricordavano in giro - già alloggiavo in quel di Ravenna in via Gamba. Ci sarei restato con i miei per alcuni anni. Confusamente i ricordi cominciano quando presi entità di un palazzone in una tranquilla via della città vecchia: i giochi con i gemelli Pino e Pina, il rincorrersi per le scale e nel cortile, il chiasso con altri bambini che si chiamavano tutti “burdél”, il transitare alto nel cielo di un dirigibile; la nauseante somministrazione giornaliera di un cucchiaio di olio di fegato di merluzzo, il grammofono a tromba, il canto gracchiato di un certo Caruso e la “marcia reale eseguita dalla banda dei carabinieri”. La bandiera tricolore con uno stemma rosso e blu in campo bianco esposta al balcone in talune giornate. La grande bicicletta del babbo con altrettanto grande manubrio e un coso a leva che chiamavano freno e che, a tirarlo, si appoggiava sulla ruota davanti bloccandola. Legato sul manubrio uno scatolotto tondo che, spingendo una levetta, faceva drin drin. Poi ricordo il mio piccolo lettino di ferro dipinto di bianco, un vaso di terracotta con il manico sistemato sotto il lettone grande, il cesso in condominio sul pianerottolo della scala (ideale sede per il gioco a nascondersi tra noi bambini, anche se il vano era piuttosto piccolo) dove tutti sedevano su una specie di tronetto con un buco tondo nel mezzo e una ciambella di paglia sopra per rendere confortevole il sostare. Alla bisogna però, quasi tutti si portavano la “ciambella” propria. §§§ A pranzo non mancava il bollito di manzo domenicale e alla fine compariva anche la ciambella dolce con un mezzo bicchiere di albana che facevano assaggiare anche a me. Ma non mi piaceva. Sul tardi della giornata, specie nella stagione estiva, si andava ancora nella grande piazza, tra una marea di piccioni saltellanti che io e altri ragazzi rincorrevamo. Incontravamo anche carabinieri a coppie con un pennacchio blu e rosso sul cappello. Non di rado si faceva sosta al chiosco dei gelati, anche se i miei, quasi sempre, ripiegavano sulla granatina: un bicchiere piccolo alla menta perché “troppo ghiaccio può far male”. La sera a casa, in cucina, mortadella con la piadina calda. Poi a letto a luce spente perché le zanzare femmine - a Ravenna - erano grosse e sempre affamate. Anche d’inverno s’andava a letto subito perché la stufa “mangiava carbone del treno” e non Gli "Invadenti" - Un flash per una vita 13 Davis Bonfatti si sapeva mai se la scorta sarebbe bastata per tutto l’inverno. Il babbo di mattino presto doveva andare in un ufficio che si chiamava “Genio Civile”, un titolo che, con quel “genio” incorporato, a me faceva molta impressione. Già a primavera era bello andare col vaporetto lungo il Candiano che, dalla darsena di Ravenna, arrivava a Porto Corsini. Belli i pescatori e le loro barche, con vele colorate e reti gonfie di sarde, sogliole e cefali. Bella la gente romagnola di quell’epoca, simpaticamente rumorosa, facile allo scherzo e all’imprecazione classista. Belli, in piazza d’armi, i soldati a far manovre marciando e gli ufficiali a cavallo con fascia azzurra a tracolla e la sciabola sguainata che luccicava al sole. Per il loro rientro in caserma s’accompagnava la banda militare e talvolta eravamo in tanti a seguirla cantando “Tripoli bel suol d’amore”. Una volta successe che un uomo gridò qualcosa verso i soldati e d’attorno si accese una zuffa. Domandai al babbo il perché e lui mi disse che erano gli anarchici che si picchiavano con i nazionalisti. §§§ Più di tutto mi piaceva giocare con la Pina nella sua casa, che confinava con la mia, perché era più spaziosa e con tante stanze. E con anche un balcone che guardava sulla via. E mi piaceva la mamma della Pina perché era alta, piuttosto bionda e formosa. E qualche volta mi faceva una carezza. Mi piaceva quando si andava alle feste del “Circolo Unione” perché mangiavamo le paste alla crema e bevevo la gazzosa. Le coppie, ballando, qualche volta si facevano l’inchino e la donna una piroetta. Ma più ancora mi piaceva quando qualche signora mi prendeva sulle ginocchia ed io, guardando oltre la scollatura spesso generosa, sentivo morbido un seno odoroso di cipria buona dove era bello appoggiarvi il volto e chiudere gli occhi. 14 Gli "Invadenti" - Un flash per una vita Davis Bonfatti §§§ La sera - quella sera - era serena ma fredda. Nella piazzetta di Ravenna appena alle spalle di quella grande, ardeva un falò alto di fiamme con faville a spargersi d’attorno e verso il cielo. Dalle finestre di un palazzo, alcuni buttavano fuori cartame e sedie ad alimentare il fuoco. Tutt’attorno era un gran vociare e ridere di gente. Babbo mi teneva stretto in braccio e mamma piangeva piano. Poi arrivarono dei soldati con un fucile lungo ed uno strano coso in testa che pareva di ferro. Da qualche parte si sentirono applausi, da altre fischi. Una tromba squillò e tutti presero a scappare. Gli "Invadenti" - Un flash per una vita 15 Davis Bonfatti §§§ Qualche mese dopo, finito l’inverno, andammo in campagna dal nonno a San Martino Carano dove feci nuove amicizie. Presto dimenticai la Pina, Ravenna, il suo fascinoso Candiano e di quando (in certe sere) con babbo e mamma andavamo davanti al Teatro Alighieri a vedere la gente che entrava e quelli che a teatro vi arrivavano in carrozza. In autunno, dopo la vendemmia dell’uva d’oro, con i miei mi trasferii direttamente da Mirandola a Modena senza passare da Ravenna che rividi più volte soltanto tant’anni dopo quando all’andare della mia vita non diceva più niente se non fascinosi sentimenti per le sue antiche bellezze. Paradossalmente si può dire che così ebbe inizio anche la mia vita notevolmente nomade che sempre mi ha accompagnato secondo le vicende delle mie attività, delle mie vittorie o delle mie sconfitte. Un destino come tanti… 16 Gli "Invadenti" - Un flash per una vita Davis Bonfatti §§§ Si andò presto in campagna dai nonni materni quell’anno perché mamma aveva sofferto durante l’inverno di non so quale disturbo e il medico Agnini consigliò l’abbandono anticipato delle pesanti arie di città per quelle e più familiari della campagna mirandolese. Senza escludere che il pane bianco cotto nel forno a legna dietro la casa, il brodo di cappone con mano e il lambrusco fatto in casa da zio Giovanni avrebbero potuto giocare un ruolo piuttosto importante. Trovai e ritrovai bambini come me che, prima timidi e poi lieti, mi fecero festa. Una modesta raccolta del “Corriere dei Piccoli “ mi rendeva importante. Intrecciai in breve le conoscenze, spingendo il campo delle nostre imprese fino alla Madonna della via di Mezzo lungo l’argine del Diversivo, facendoci notare e non di rado cacciare dai coloni e dai bovai. Al Gino, all’Elvira, a suo fratello Antonio, a mio cugino Anselmo s’aggiunsero la Santina e suo fratello più piccolo Renzo e, spesso, la Rosetta con suo fratello Michele, tutti figli di coltivatori che abitavano nella zona di confine tra San Martino e San Giacomo. Si andava per i campi caccia di talpe, lungo i fossi a far saltare le rane o a scoprire le lumache oppure i grilli giganti. Di nascosto andavamo anche alla stazione di monta del Castello, attenti a non farci scorgere, perché allora erano fughe allegre e pazze in più direzioni con le donne e gli uomini anziani a urlarci dietro parolacce dialettali. Ma il più divertente per noi ragazzi era andare di pomeriggio per i fienili a scovar uova, fra le grida stridule delle vecchie rimaste a “badare la casa” mentre gli altri erano nei campi a sudare con zappe e falci o con i bovi da tiro all’aratro, mescolando al lavoro sotto il sole spietato richiami e muggiti e non di rado imprecazioni istintive. Gli "Invadenti" - Un flash per una vita 17 Davis Bonfatti §§§ La prima “cosa” che mi colpì abitando a Modena, in un piccolo appartamento nella zona di Sant’Agostino lungo le vecchie mura, fu il vedere dall’alto, nei pomeriggi festivi, molta gente vociare dentro un recinto poco erboso. In esso, due gruppi di giovanotti, con maglie diverse e mutande corte. Rincorrevano a calci una grossa palla, cerando di mandarla dentro uno strano rettangolo delimitato da “pali” verniciati di bianco. Tra i pali un uomo, che immancabilmente si buttava per terra per acchiappare la palla quando quella gli arrivava vicino. Mio padre vicino a me sentenziava che erano “cose da matti che non dureranno”. 18 Gli "Invadenti" - Un flash per una vita Davis Bonfatti §§§ Verso l’autunno di quell’anno andai per la prima volta a scuola. Un grembiulino nero con tanti bottoni sul retro e un fiocco bianco al collo a far da bavero. Una borsa di stoffa grigia a tracolla cucita dalla mamma con dentro un quaderno a righe, il sillabario, una scatoletta di legno con cannuccia e pennini. Poi un cestino quadrato di paglia e dentro un pezzo di pane, una mela, talvolta un biscotto. Di rado una caramella. Nonostante mamma ci tenesse, non feci amicizie. Com’ero esuberante in campagna dai nonni, così ero solitario e facile al pianto in quella scuola che non mi piaceva. Un mondo che a me - bambino - non diceva niente. Senza amicizie, senza entusiasmi, senza curiosità, senza nemmeno quei piccoli litigi facili fra i bambini, fui a lungo un “isolato”, com’erano chiamati in quei tempi certi corridori in bicicletta. Di quel tempo (di quella scuola) ricordo con vivezza una serie di immagini statiche proiettate in una sala buia su un lenzuolo bianco attraverso le lenti di una lanterna che chiamavano “magica”. Più avanti nel tempo le figure non erano più statiche ma si muovevano tremolando e facevano ridere. Spiegarono che quello era il cinematografo. Non mi sforzai per capirne di più. Qualche interesse lo provavo solo nel tentare di scrivere le vocali. Gli "Invadenti" - Un flash per una vita 19 Davis Bonfatti §§§ Babbo e mamma mi hanno dato due fratelli: Dario (che si doveva chiamare Achille) e Pietro (in famiglia chiamato Piero). Il primo è diventato uomo di legge affermato e di cui segretamente ne invidio il sapere, il secondo un Eroe. La sua dedizione al dovere, il suo amore per la Bandiera ne hanno deciso il destino. Nel cielo del Mediterraneo “assalito dice la motivazione ufficiale del bollettino di guerra - da preponderanti forze avversarie, è stato... “. Piero ebbe la fortuna di ricevere un grosso dono: quello di saper affrontare con rara forza d’animo le avversità e il dolore fisico. Lo ricordo bambino: biondo, esuberante, impetuoso, briccone. Stava sempre - come si dice - nel mezzo. Quelli più grandicelli si mettevano in qualche impresa spericolata? Lui era con loro. Si buttavano dall’alto sull’ammucchiata di fieno nel gioco del volo dell’angelo? Lui si buttava. Rimediò una volta una sanguinante fessura in testa: disse che “non era niente” mentre gli suturavano a freddo la ferita e dagli occhi gli scendevano lacrime secche. In piscina, mentr’io tra il sì e il no mi bagnavo appena per vergognosi timori, lui salì sul trampolino più alto e si buttò. Ripescato per il rotto della cuffia, a chi gli domandava perché l’aveva fatto, rispose candido che “si buttavano tutti”. Veniva talvolta con me alla dottrina perché così, nel frattempo, mamma “poteva riposarsi”. Però finiva sempre col disturbare un poco tutti e una volta lo rimproverò perfino don Alfonso con un “almeno sta fermo in quell’angolo visto che non impari niente”. Ci restò male e lì per lì lo perdemmo di vista. Poi la campana di mezzo prese a rintoccare prima lenta e poi allegra come a gioire. Accorremmo e lo trovammo che, avvinghiato alla corda, andava su e giù con i rintocchi. Perché lo aveva fatto? Semplicemente – disse - perché non era vero che non sapeva far niente. Un giorno rientrò a casa inzuppato d’acqua e con un piccolo pesciolino rosso in mano. Lo aveva “pescato” nella vasca del giardino comunale. “E’ morto” disse mamma e lui, tranquillo: “Domani ne vado a prendere un’altro”. Cominciò presto - Piero – a “mettere le ali”. Poco più che ragazzo già si dava da fare a Pavullo con il “volo a vela” (come si diceva a quei tempi), veleggiando su certi trabiccoli da sembrare - oggi - impossibili. Certamente emerse, se ebbe gli elogi di Italo Balbo. Ma il suo destino era l’aereo, quello vero, da cacciatore. Il Macchi col cavallino rampante, che nella storia dell’ardimento aereo ha lasciato in pace e in guerra tracce profonde, è stata la sua più importante conquista. Amava dedicarsi - in contemporanea - al pugilato e nella categoria dei pesi medi molte furono le sue vittorie anche prima del limite. Fino a quando uscì di casa perché arruolato dagli aerei, il suo “secondo” fu papà. In un torneo militare, tra pugili di varie nazioni, perse 20 Gli "Invadenti" - Un flash per una vita Davis Bonfatti l’incontro di finale ai punti solo perché l’ultima ripresa la sostenne soltanto difendendosi alla meglio, avendo la spalla destra pressoché slogata. Anche il paracadutismo (con il paracadute ancora agli albori) lo trovò subito ai cimenti. Il perfezionismo odierno porta di certo anche la sua impronta, attraverso le sue esperienze vissute in prima persona. Talune cronache del tempo dicono che “portò l’ala italiana nei cieli di mezza Europa”. Gareggiò e combatté in Spagna, nelle Afriche, in Germania. Comandante di squadriglia – recitano le motivazioni - seppe in ogni circostanza superare difficoltà considerate impossibili, tanta era la perizia, la determinazione, che sapeva mettere nei compiti a lui affidati. Hanno anche detto che - dall’avversario - ebbe l’onore delle armi. Ma lui, ormai, veleggiava nel silenzioso mondo degli Eroi. A noi fratelli sono rimaste le sue insegne, le medaglie (alle quali abbiamo unito le tre al valore guadagnate da nostro padre ai suoi tempi), il frammento di un’elica. E una foto con dedica particolare di Amedeo d’Aosta. §§§ Ci è rimasto - incancellabile - il suo sorriso. Aveva ventisei anni quando venne abbattuto nel cielo di Malta. Gli "Invadenti" - Un flash per una vita 21 Davis Bonfatti §§§ Per quella piccola città anche “quel funerale” rappresentò l’avvenimento del giorno. C’era la banda in divisa, gli ottoni ornati di crespo nero e la “catuba” a scandire il passo lento nella folla in corteo. C’era il prete col mantello nero e, davanti a tutti il Gino, a reggere il Crocefisso in cima ad una pertica. Al cimitero a voce alta, uno disse che era morto “un cittadino esemplare” e disse anche altre cose che a me fanciullo sfuggivano. Qualche occhio rosso di commozione o forse per il tedio di un sole ancora alto, salutò l’orazione del congedo assieme ad un singhiozzante gemito di donna già canuta, chiusa nel nero del suo dolore misto a sorpresa per quanto gli accadeva d’attorno. E fu quella - credo - la prima e forse unica volta che vidi piangere mia nonna Sofia. Il pianto di una vecchia dal cuore ancora bambino, non tanto crucciata dagli anni quanto da un clamore d’occasione a lei in gran parte sconosciuto, vissuta come visse all’ombra di un uomo esuberante, franco, fedele, amico di tutti, fra gente non troppo incline per tradizione a concedere fiducia. Con la morte di mio nonno non cambiò granché a San Martino, perché se la terra accoglie i morti pretende anche il continuo amore dei vivi. Ma nella casa ci fu un gran vuoto, anche se zio Tullio faceva il possibile per non darlo a sentire. 22 Gli "Invadenti" - Un flash per una vita Davis Bonfatti §§§ Per la salvaguardia di quali tradizioni mio padre mi comandò, non dico a studiare musica, ma a dedicarmi alla tromba, non l’ho mai capito. Lo capì invece, e subito, il paziente prof. Torelli, al quale ero stato affidato presso la Scuola di Musica “Orazio Vecchi”, per farmi intendere la convenienza di passare a qualche altro strumento quale il corno o il clarino, oppure al flauto, qualora il trombone non fosse di mio gradimento. Per me - diretto interessato - rispose mio padre col tono fermo da ex carabiniere di Re Umberto I, secondo cui “suonatori di cornetta non si nasce: si diventa” che non lasciò scampo alle alternative. Eppure la tromba mi fu compagna paziente e stonata per un quindicennio della mia prima gioventù, puntigliosamente rendendomi protagonista di frane musicali che oggi (ma siamo verso il 2000) potrebbero apparire di apertura verso nuove prospettive nel campo delle interpretazioni della musica. Quello che sovente non riuscivo a capire, nel corso delle esecuzioni di gruppo, era il perché, a fine esecuzione di un pezzo, io fossi ancora a metà percorso rispetto agli altri orchestrali. S’andava, quasi sempre il sabato sera e senza preparazione alcuna, in un teatrino parrocchiale di via Sant’Orsola a due passi dall’Accademia Militare, ad “intrattenere” durante gli intervalli della recita di una filodrammatica, gli spettatori. E noi del “Complesso Aurora” offrivamo il contributo delle nostre esecuzioni. Un pianoforte, un violino, una viola, un violoncello, un oboe (talvolta un flautista che suonava con me anche nella “Banda della Crocetta”) ed una tromba con sordina: io. Ed anche questo della “sordina” non mi è mai entrato nella testa perché se la tromba era nata per squillare gioia o impeti, perché imbavagliarla? Tanto per dirne una delle mie prestazioni, ricordo che una sera, alla distribuzione degli spartiti in via Sant’Orsola, quello della tromba mancasse per omissione dell’autore o per smarrimento. Domando alla Silvestri del pianoforte che cosa debbo fare e lei mi risponde arcigna: “Ma la musica non sai leggerla? Allora prendine una e arrangiati”. Diligentemente lo feci, mi misi in posizione per l’attacco ma poi lasciai perdere. Tanto, gli applausi familiari, alla fine non mancarono. E la Silvestri, con un cenno del capo, mi fece intendere che - come si direbbe oggi - ero stato OK. §§§ Gli "Invadenti" - Un flash per una vita 23 Davis Bonfatti Fu nel 1934 - credo - che mio padre, stanco di attendere, vendette la tromba per 15 lire. E - forse - abbandonò anche taluni sogni per l’avvenire musicale di un figlio traditore. §§§ Mi piaceva soltanto la musicalità del solfeggio. La composizione un sogno. La fisarmonica una speranza e tale rimasta. Forse mio nipote Gabriele placherà le ansie di mio padre. 24 Gli "Invadenti" - Un flash per una vita Davis Bonfatti §§§ In un angolo dei ricordi c’è un bambino estroverso, musone, timoroso di tutti e di tutto. Fra la gente tiene gli occhi bassi, il pianto è costantemente a fior di labbra. S’aggrappa ai genitori ad ogni più piccola contrarietà e in casa, se qualcuno viene a far visita, scappa a nascondersi dietro la porta o sotto il tavolo, sordo ad ogni invito. Da dove venisse tanta malinconia non saprei. Era gracile - è vero - rifiutava le minestre, il latte, le carni. Gradiva il pane, i dolciumi, poco la frutta. Non desiderava la compagnia di altri bambini. All’asilo non erano mai riusciti a fargli recitare una poesiola qualsiasi. Nelle recite era l’eterna comparsa di contorno, stretto in una tunichetta che si addiceva a qualsiasi rappresentazione. Adorava, a suo modo, quella tunichetta e nient’altro. Quando andò alla scuola vera, l’esporre un pensiero, svolgere una “risoluzione” alla lavagna, era sempre un’impresa dura. Talvolta tragicomica. Nei conversari anche più futili, la sua voce non entrava mai. Se si sforzava alla partecipazione, la sera – come minimo - presentava qualche linea di febbre. Per definirlo fate voi … §§§ Ragazzo o poco più (il ricordo è ancora nitido) e già lasciata la scuola, lavoravo – si fa per dire alle dipendenze di un certo Cav. Arcelli che era anche presidente della filodrammatica “Avia Pervia”. Intrappolato non so come nella “Compagnia Artistica”, forse più per segreto primo amore per una certa signorina Isolde che per interesse all’arte, ne seguivo marginalmente l’attività teatrale. Commediole brillanti o strappalacrime come “Addio giovinezza”, “Papà eccellenza” o “Battaglia di dame” formavano il cartellone che veniva portato in giro su palcoscenici spesso disastrati, all’aperto d’estate o dentro certe sale (d’inverno) di cui oggi per fortuna si è persa la memoria. Anche perché ormai, di filodrammatiche, ce ne sono meno e poi non si chiamano neppure così. Dirigeva la compagnia (oggi si dice regista) un’anziana composta signora che si chiamava Virginia Reiter e sentii anche citare una certa Laura Adani che non è stata certamente l’ultima nel grande mondo artistico nazionale. Una cosa seria, insomma, per noi giovani di quel tempo dove l’unico scontroso (se così si può dire) ero sempre io, addetto a questo o a quel compito di supporto come addetto al sipario, buttafuori, trovarobe, affissione manifesti e, in caso di necessità, anche suggeritore dentro la buca normalmente sgangherata. Fu una sera a Spezzano, con teatro già pieno, che il Silingardi (spalla del prim’attore) mancò alla recita. Gli "Invadenti" - Un flash per una vita 25 Davis Bonfatti Si dava “Addio giovinezza” e la parte dell’assente non poteva certo essere tolta dal copione senza stravolgere tutto. Ci furono affannose proposte di cambiare questo o quello, di leggere in scena o fuori campo le battute, ci fu un sacramentare boia poi la trovata ritenuta più logica: io avrei dovuto - dissero proprio così, “dovevo” - sostenere quella parte tanto più che la conoscevo avendola sentita più e più volte prove comprese. E poi che andasse come voleva. Risposi subito di no, minacciando di salutare tutti se avessero insistito. Fui implorato, blandito, minacciato, baciato dall’Isolde che mai avevo baciato. Fui tacciato di vigliaccheria verso l’arte. Niente. Sentivo che se anche solo avessi tentato la prova, la voce, il fiato, le gambe, il battito del cuore mi sarebbero mancati. E così, senza un niente di fatto, la recita si avviò e buona notte al secchio. §§§ Fu a metà circa del secondo atto, quando Dorina doveva civettare con Leone per ingelosire Mario a causa di una sua avventura con Elena, che mi trovai scaraventato in scena. Dapprima - anche a causa delle luci sceniche - non vidi niente, poi mi apparvero in un bulinare sfuocato gli spettatori in sala e mi sentii svenire. Non caddi solo perché Dorina, civettando come la parte imponeva, mi sorresse abbracciandomi sussurrando parole d’amore in un soffio appassionato. Sentii il suo profumo di femmina ardente di desiderio, m’incantò come mai la voluttà della sua voce, persi il lume dell’intelletto e, scena o non scena, dialogo o non dialogo, baciai con impeto quella bocca che mi si offriva in tanto olocausto d’amore. E fu un delirio di applausi mentre - più per prudenza che per obbligo di copione - il sipario veniva chiuso. Sì, lo so. Quel bacio c’entrava poco col testo della commedia, ma questo meriterebbe un discorso a parte. Fatto è che l’Artioli, che nella realtà della vita era il marito di quella che faceva la parte di Dorina, mi tolse il saluto guardandomi male; il presidente Cav. Arcelli bofonchiò che “teatro o non teatro le effusioni debbono sempre avere un limite” e la signora Dirce madre dell’Artioli mi diede dell’energumeno. Abbandonato da tutti soltanto Isolde mi rimase accanto e mi sorrise guardandomi negli occhi. E allora? Allora niente. Il fatto è che quell’episodio operò profondamente sul mio carattere e via via frequentando quell’ambiente fatto e vissuto in un certo modo un po’ astratto, contribuì a farmi acquistar e sicurezza, facilità nell’improvvisazione, disinvoltura nella vita. Un maggiore coraggio – insomma – di vivere la vita. Chi sostiene che il Teatro - in particolare il teatro minore - è una grande scuola di vita, ha ragione. §§§ ... Poi anche lo “scandalo” della recita di Spezzano si spense. Fui guardato dagli amici con occhi diversi, l’Artioli si rabbonì e l’Isolde mi rinnovò il suo dolcissimo indulgente sorriso. Un ricordo di cui ancora ne custodisco il calore, assieme ad una grande mestizia... 26 Gli "Invadenti" - Un flash per una vita Davis Bonfatti §§§ Alla prima occasione fu festeggiata più di sempre quella recita “comunque riuscita”, con lambrusco offerto dal sig. Chiarli e la solita ciambella della signora Caliumi. Ci trovammo addirittura a ricantare in coro la canzone che faceva un poco da cornice ad “Addio giovinezza”, con quella sua metrica musicale incontaminata e poetica come vollero Giuseppe Blanc e Nino Oxilia, autori dal purissimo pensiero. Un canto un poco nostro, di noi giovani di un tempo, nato attorno al 1909 … Son finiti i giorni lieti degli studi e degli amori, o compagni in alto i cuori e il passato salutiam. E’ la vita una battaglia è il cammin irto d’inganni ma siam forti, abbiam vent’anni l’avvenire non temiam. Giovinezza, giovinezza primavera di bellezza della vita nell’asprezza il tuo canto squilla e va! Gli "Invadenti" - Un flash per una vita 27 Davis Bonfatti §§§ Il signor Belmiro (chiamato così per via di una vistosa benda nera sull’occhio sinistro rimasto vuoto per un incidente di caccia) era il proprietario di una melonaia largamente invidiata in quella zona della bassa mirandolese dove la terra è forte e dura da coltivare ma sa fendere bene chi l’ama. Come hobby il signor Belmiro aveva quello di amare lo sport: per questo era il presidente della società “la Fratellanza” di vaga bandiera anarchico-repubblicana di Concordia e dintorni. Presidente, segretario, allenatore, accompagnatore e, naturalmente, cassiere e mecenate, il signor Belmiro era tutto e non disdegnava alcuna specialità: ma per lui quella sovrana era il podismo. Quello su strada, per intendersi. E non importa su quali distanze. Una passionaccia cotta seconda soltanto alla sua osannata melonaia. Tutto il resto della vita veniva dopo. Noi ragazzi formavamo quella che oggi viene definita una comunità e dove tra noi, parla che ti parla, ecco venir fuori la faccenda della melonaia campionaria e decidere, una sera di luna tonda, di farvi una spedizione. Andammo così, chiassosi ed incauti, nell’aperta radura. Uno spettacolo mai visto di meloni gialli e verdi ci accolse in un’atmosfera quasi irreale al chiarore intenso della luna. Magnifico e invitante insieme. Senza passarci parola alcuna ci trovammo d’istinto a “levarne” almeno uno o due a testa quando – feroce - sentimmo su di noi l’urlo di una rabbia incontenuta mista a parole irripetibili di sdegno e di un sentito dolore. Da qui la nostra disordinata fuga e dietro a questo e a quello l’ansimante signor Belmiro a manganellare a vuoto anche perché, lui, molto veloce non lo era. Ecco: tutto questo per dire che il mio primo incontro con l’atletica leggera, specialità del mezzofondo, che mi portò fino alle soglie del P.O., avvenne così. §§§ Nella fuga non feci come gli altri che andarono per fossi e terreni arati. Io scappai per l’interrata che dalla Concordia porta a San Possidonio e da qui a San Martino che raggiunsi abbastanza presto per poi sedermi sugli scalini della chiesa ansimando. Stentavo ancora a riprendermi quando ecco, in bicicletta, arrivare il signor Belmiro. Si ferma, mi scruta e mi domanda un “Cosa fai qui a quest’ora”. Non risposi. Tornò a squadrarmi in silenzio (un poco già sapeva chi ero) poi sbottò in un “Come fai ad essere già qui” che diceva tutto. Ancora non risposi trattenendo il respiro per non far sentire che ansimavo più di lui. Poi fingendo di guardare la luna mi allontanai pian piano, ma dopo la curva del caseificio ripresi a correre forte verso casa. A letto senza svestirmi: sfinito più dall’emozione che dalla 28 Gli "Invadenti" - Un flash per una vita Davis Bonfatti faticata. §§§ Vidi qualche giorno dopo il signor Belmiro che parlava con mio nonno e mi tremarono le gambe. Poi nonno mi chiamò ed a stento resistetti alla fuga; “Senti – mi propose - il signor Mazzoli ti vorrebbe nella “Fratellanza” per una gara di corsa a Mirandola. Dice che tu vai forte.” Risposi di sì, che ci sarei andato e scappai via prima che venisse fuori il resto. Dire adesso che il “Giro della Mirandola” lo vinsi staccando tutti - compreso un certo Mussini che già due volte aveva vinto la maratona a Modena ed a Bologna - potrebbe sembrare vana gloria. Aggiungere che avevo vinto anche due capponi quale premio del traguardo volante dell’Osteria “la Cagnola” e che alla premiazione mi diedero anche una medaglia grossa come una moneta da dieci centesimi di quel tempo e che luccicava d’argento, può sembrare vanità. Ma le cose andarono cosi. Poi nel corso della mia vita l’atletica leggera la ritrovai ancora, ma questo è un altro discorso. Nel cassetto dei ricordi la medaglia, ancora oggi, luccica come appena coniata. Gli "Invadenti" - Un flash per una vita 29 Davis Bonfatti §§§ Climene e Serafino mi erano zii paterni. Lei era sorella di mio padre. Traevano reddito da alcune biolche di terra dura alla periferia di Mirandola, coltivata ad orticoli a forza di braccia. Avevano nove figli ed i maschi erano più delle femmine: 5 a 4 per intenderci. Non ricordo tutti i loro nomi ma l’importante è che, in questa “truppa”, l’uno era al servizio dell’altro. Cioè: la più adulta vigilava ed aiutava il più piccolo, il secondo la penultima e così via. Poi al mattino ad una cert’ora, eccoli a ritrovarsi in fila a dare il buon giorno alla madre ed al padre ed assieme recitare una preghierina al Signore prima di assaltare il latte con pane e miele, in grandi tazze decorate, ordinate sulla tavola in cucina con la tovaglia sempre bianca. Ho ancora ben chiaro negli occhi il ritmo di quell’andare famigliare, oggi forse impensabile. Ospite loro per diversi giorni d’estate io - ragazzo di città - non trovai affatto difficile inserirmi nel quadro legando subito con Giovanni che della brigata era un poco il caporale. Con lui imparai a distinguere le insalate da altre verdure, il sesso dei pulcini, il perché di certi frutti già studiati poco e male sui libri di scuola. Appresi a distinguere gli uccelli, come allevare i conigli, a non disturbare le nidiate ed i pipistrelli. Vinsi il ribrezzo verso i rospi, tanto che uno me lo feci amico nei giochi. Imparai che il riccio è un grande amico della natura. Al tramonto si era già tutti in casa per un’abbondante lavatura prima e la cena subito dopo, che molto assomigliava alla colazione del mattino. Prima del cibo ancora una preghierina per ringraziare - diceva la zia - “colui che ci aveva regalato un’altra giornata di vita”. E noi a rispondere “amen” in coro, ridendo piano e già affondando i denti nel pane un poco duro. Un pane bianco cotto ogni dieci giorni nel forno a legna dietro la grande casa. A cena terminata era d’uso non sparecchiare per l’osservanza di una tradizione che sarebbe tutta da raccontare, in seguito si dava corso al conversare dapprima vivace anche su motivi futili. Poi, a cominciare dai più piccoli, le teste ciondolavano, gli occhi si chiudevano un poco, qualcuno sbadigliava magari malamente e subito veniva ripreso da nonna Matilde che era vecchia - diceva - ma che grazie a Dio ci vedeva ancora. Poi il rito del mattino riprendeva a ritroso. La più grande a svestire il più piccolo e così via per gli altri. Camicioni lunghi di cotone grezzo uguali per tutti nella foggia, sempre puliti di bucato sul corpo nudo. Un bacio alla nonna, alla madre, al padre, un segno di croce ginocchioni sul letto e buona notte. Non passava gran tempo che i sogni già ricamavano le loro storie. 30 Gli "Invadenti" - Un flash per una vita Davis Bonfatti §§§ Giù nella grande cucina, alla luce fioca della lucerna (abbassata la fiamma per risparmiare) zio Serafino e zia Climene traevano, conversando piano (lui tra una tirata e l’altra di un mezzo toscano) il consuntivo della giornata programmando al contempo quello dell’indomani. A Dio piacendo. Gli "Invadenti" - Un flash per una vita 31 Davis Bonfatti §§§ Di quel libretto non ne conoscevo il costo, ma a forza di appostamenti lo imparai: mezza lira che giusto giusto avevo. Così un giorno rischiando il rosso fino agli occhi, porsi cinque monetone da dieci, sfarfugliai il titolo, presi il libretto e via subito a casa e poi sul letto per la lettura. Fu fortuna che la nonna Sofia non vide il mio rientro perché - altrimenti l’interrogatorio sarebbe arrivato minuzioso e scomodo. Alla prima pagina il testo (su per giù) diceva: “Questo prezioso libro riporta le più belle e nobili letture d’amore dell’uomo alla donna amata o della sposa al marito lontano, oppure di chi ricerca l’anima gemella per riscaldare il cuore e la vita …”. Poi altre cose ancora che, forse per la fretta, non comprendevo. Ma a pagina sei ecco, finalmente, il titolo atteso: “Lettera d’amore”. Mi accomodai meglio e lessi: “Virtuosa signorina, fin dal giorno che l’ho notata il mio cuore, il mio pensiero, l’anima mia si sono legate a lei perché ammiro nelle sembianze vostre così dolci agli occhi miei …” e avanti così per almeno altre due pagine fino alla firma con un “vostro devotissimo servo” che ingigantì a cento i miei interrogativi. Ma è questo - mi domandai - l’amore? Mi sentii deluso. Per ricredermi lessi ancora altre pagine tutte su per giù uguali nei sentimenti. Ora era un lui che scriveva ad una lei, ora era una lei che rispondeva dandogli del “bel giovine dei miei sospiri”. Per farla breve mi parve che tutto un mondo crollasse. Era questo l’amore? Rimpiansi le monetone spese e buttai tutto. In fatto “d’amore” ne sapevo meno di prima. Anzi: non mi galoppava nemmeno più la fantasticheria … 32 Gli "Invadenti" - Un flash per una vita Davis Bonfatti §§§ Tony Bragadin - padano ma di ceppo veneto - non ho mai capito come e perché fosse ricordato come mio sia pur lontano parente. Nella sua vita – dicevano – fece un solo mestiere: l’imbroglione. È vero che per le strade non assalì mai nessuno con il mitra di quei tempi ma imbrogli sì, e tanti e scaltri per chiunque – credulo al suo dire – gli fosse passato a tiro. Imbrogliò perfino la Cesira, vedova del “Marangon”, che dopo avergli sfornato un paio di gemelli in cambio di una fantomatica parola d’amore, la lasciò lì a rodersi perché lui, insalutato, il Po ad Ostiglia lo aveva ormai passato per ridonarsi alle sue antiche contrade venete. Anche se poi si era fermato alle prime rampe del bellunese in quel di Fonzaso perché – disse - “Le strade che vanno in salita sono dure”. Anche Tony Bragadin, di professione imbroglione, un giorno morì come succede a tanti e quasi subito si trovò, mentre soltanto un frate accompagnava le sue spoglie a cristiana sepoltura, intruppato in una moltitudine di altra gente in una grande radura senz’alberi. Una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazionalità, razza, colore, lingua, età, sesso. Tutti in piedi a comporre una lunga fila che pian piano avanzava verso un grande quadro luminoso troneggiante sopra tre piccole porte bianche dove, or in una ora in altra, gli inquadrati entravano dopo aver pronunciato, ben chiaro e forte, il loro cognome e nome. Con l’avvicinarsi a quel traguardo fu facile a Tony il capire che l’interessato di turno, dopo aver gridato le proprie generalità, vedeva di lì a poco comparire sul gran quadro la propria destinazione per l’eternità: Paradiso, Inferno, Purgatorio a seconda delle vicende vissute. Un affare da niente insomma. Facile e sbrigativo. Ma proprio qui, la sua collaudata scaltrezza gli suggerì l’ultima prova. Ad un vecchio che gli era a fianco, Bragadin chiese: “Chi sono quelli vestiti di bianco che stanno ai lati delle porte?” “Sono l’esempio dei giusti - rispose il vegliardo - cioè coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello”. Ma di tutto questo discorso Tony Bragadin non capì niente (o quasi) perso ormai dietro a un ben altro pensiero. “Se io dico il mio nome e cognome certamente non ho scampo - si trovò a riflettere il Tony ma se dico che ad esempio mi chiamo Giopin Zavata che è un sant’uomo, forse chissà …” E così, senza tanti preamboli eccolo, ormai davanti al grande quadro, gridare risoluto e Gli "Invadenti" - Un flash per una vita 33 Davis Bonfatti forte: “Sior, mi me ciamo Giopin Zavata par servirla”. Ed aspettò. Al computer anagrafico super elettronico non sfiorò nemmeno l’idea (come talvolta accade ai burocrati) di verificare la dichiarata identità e così ecco apparire, luminosa, la sentenza: “Paradiso”, mentre d’attorno un mormorio represso di ammirata invidia saliva dalla folla, a conferma che, in Paradiso, notoriamente andavano veramente in pochi. Vergognandosi forse per la prima volta, mentre entrava in un mondo che definire fantastico non dice niente, Tony Bragadin si trovò a mormorare un “è andata” che la diceva tutta. Ma proprio allora sentì sulla spalla un tocco lieve e voltandosi appena si vide accanto un Angelo in tunica nera. “Tony – disse l’Angelo – io sono stato per una vita (lo sono ancora), il tuo custode. La tua condotta, come vedi, mi ha tolto le ali e il Padre mi ha vestito di nero, mentre la purezza è bianca. Come la mettiamo?”. Rispose Bragadin quasi d’impeto (ma di suo c’era solo la voce): “Veramente non saprei come metterla, ma so per certo che laddove c’è il perdono dei peccati, non c’è più bisogno di offerta per essi”. Parola di Dio. 34 Gli "Invadenti" - Un flash per una vita Davis Bonfatti §§§ Qui andiamo molto avanti negli anni perché è un ricordo di guerra - di quella che viene chiamata ultima, per intenderci, che cominciò nel 1939-40 - dove il protagonista vero è un cane. Un bastardo bianco di pelo raso, frutto di amori incerti tra il lupo e il pastore. Intelligente e ladro capitò al mio reparto in zona d’operazioni non ricordo come. Visto che neanche a calci riuscimmo a mandarlo via l’animale fu dapprima tollerato, poi assistito, coccolato e ammaestrato. State a sentire. Ci trovavamo - come ho detto - in “zona operativa”, diciamo fuori dai confini del nostro paese, un poco come occupanti tollerati per forza di guerra e un poco accettati dai civili come “male minore” date le circostanze. Vigilanze, ispezioni, pattugliamenti, appostamenti, accomodamenti vari di vertenze con gli ospitanti ed altre diavolerie del genere erano i nostri compiti in quel territorio. Incombenze talora delicate, disagevoli, anche faticose allorché il clima si faceva inclemente e la montagna metteva paura. Ma era il minimo che il reparto, autonomo per i compiti che deve assolvere, doveva affrontare. Poi veniva tutto il resto che con questa storia non c’entra. “Boby”, così chiamato con scarsa fantasia, divenne in breve parte integrante del reparto e preso in forza ad ogni effetto, compresa la razione di viveri, mediante apposita proposta al “Superiore Comando di Zona”, firmata ed inoltrata con palesi quanto disinvolti imbrogli di termini tutti da dimenticare. Il Boby però fu anche ammaestrato da quel gran figlio di mamma sua che era un certo Scattolin da Mestre che da civile passava la vita appiccicato a un circo. Da qui, l’addestramento del Boby a fare il “pattugliere”. E garantisco che l’idea – per certi aspetti innovativa – non la copiammo da nessuno. Tanto meno dagli americani o dai russi. §§§ Pattugliare – lo dico per gli obiettori d’armi – significa far fare al reparto un quasi sempre maledetto determinato percorso con appostamenti mimetizzati e vigilanze particolari per “sorprendere l’avversario” che, per suo conto, fa altrettanto per fregarti. Significa in parole povere procedere con avanguardia e retroguardia, e ali superiori ed inferiori per il fiancheggiamento. Poi mandare vedette in certe quote ed altre diavolerie tutte da ridere quando la guerra non c’è. Cose massacranti se poi l’equipaggiamento è quello da combattimento e nevica o c’è il sole che brucia. E allora chi più e meglio del Boby poteva assolvere con gran correre a destra e a sinistra, su e giù per i calanchi, avanti e indietro dall’avanguardia al fiancheggiamento per “fiutare “ le Gli "Invadenti" - Un flash per una vita 35 Davis Bonfatti eventuali sorprese? Bastava quel suo speciale modo di abbaiare tra l’ululo e il ringhiare per destare allarme e far prendere le misure. E - se del caso – fornire tempestive segnalazioni al comando di base attraverso quelle radio cassette a manovella che, a parte il peso e le complicazioni dei congegni, due volte su tre non funzionavano neanche a maledirle. Non posso giurarlo, ma sono convinto che il mio reparto non subì certe avventure proprio perché il Boby aveva raggiunto un tale grado di addestramento che fosse stato un soldato certamente si sarebbe meritato quanto meno una promozione. §§§ Un dannato giorno il Boby sparì dalla nostra organizzazione. I miei bersaglieri nello svolgimento dei loro compiti andarono sia di giorno che di notte per certe esplorazioni a cercarlo, ma tutto fu inutile. Niente. Il Boby, forse stanco di fare il militare, forse accasatosi in qualche più tranquilla sede o forse perché “d’amore rapito” si era auto congedato. Amen. Come disse il Muccignato, tacciandolo anche di “figlio di cane”. §§§ Fu una mattina che albeggiava appena quando le sentinelle udirono, prima debolmente e poi più forte, il suo inconfondibile abbaiare. Non v’era dubbio: era il Boby che era ritornato. Fu tanta la sorpresa, lo scompiglio, la gioia o l’accidente che si vuole che il Cappelletti da Marostica sparò addirittura una raffica di mitra. Così fummo tutti fuori, in disordine ma anche con le rosse “Balilla” a portata di mano come urlava di fare il sergente Silvestrini da Ancona o giù di lì, perché le sorprese erano sempre in agguato. E una bomba a mano, anche se di scarsa efficienza offensiva, era pur sempre un modo spiccio per difendersi. Era sporco – il Boby – smagrito. Sul collo e sul muso ferite e sangue. La zampa posteriore destra l’appoggiava appena. Ai primi che lo raggiunsero guaì un poco menando piano la coda. Poi si stese a terra esausto ad occhi chiusi. Sul dorso - a catrame nero sul pelo bianco – una scritta: “Duce”. 36 Gli "Invadenti" - Un flash per una vita Davis Bonfatti §§§ Raccontano che la donna tornò nella grande cucina dove i familiari stavano avidamente mangiando in silenzio dopo una giornata di fatiche nei campi e disse: “Sta’ morendo”. L’alzare delle teste dai piatti untosi e l’immobilizzo generale del moto masticatorio fu – tra quella gente contadina - uno stop come a comando. L’Argia fu la prima ad accorrere di là dal vecchio e gli altri, visto che “di là” era già andato qualcuno, non si mossero più di tanto e chi a bocca chiusa e chi a bocca aperta attesero. L’Argia rientrò ben presto quasi imprecando: “Macché rantolo e rantolo. Sta’ cantando quella sua sporca filastrocca di Garibaldi, che Dio lo fulmini. Donne e guerra, donne e vino. Maialate. Come ha sempre fatto”. E si pulì con energia le mani nel gran grembiule che una volta - forse - era stato bianco. Al tavolo ci fu chi ghignò un rutto, chi si attaccò al fiasco bevendo a bocca larga e chi scappellò un ragazzetto che si era messo a ridere forte. Poi tutti di nuovo ad intingere polenta nel gran tegame comune, unto di carne di maiale e rosso di conserva, piazzato in mezzo al tavolo. §§§ Il vecchio, un tempo che ormai si perdeva lontano, era stato giovane, biondo, gagliardo e briccone. Senza voglia di dedicarsi alla terra, un giorno era sparito per il mondo in cerca di fortuna ma in realtà per vivere possibilmente senza responsabilità civica e senza troppo faticare. E di vita, aggiungevano chi lo ricordava, ne aveva fatta … C’è ancora chi ricordava (ma forse oggi non c’è più) come ritornò dopo molti anni alla grande casa di certi suoi parenti nelle valli del mirandolese. Verso sera di una giornata di luglio, quando la terra di quelle valli crepa d’arsura. Stentarono a riconoscerlo vestito com’era tra un che di militare e di civile sbrindellato. Una gran testa di capelli ormai grigiastri a far tutt’uno con la barba folta tra il nero e il rosso e due occhi vivacissimi a sfavillare tra la foresta pelosa. Fu subito un suo gran menare di pacche agli uomini e al sedere delle donne, un abbracciare e questo e quella tra gli oh! ed i moh! Ed il fuggire delle più giovani non si sa bene se per paura o per farsi rincorrere. Abbaiava anche il cane ma si prese un calcio e tacque. §§§ Ora di là, sul letto di ferro scalcagnato nella rete e nelle gambe e nei materassi di foglie secche, quattro candele accese ai lati per creare “barriera al diavolo” come s’usava Gli "Invadenti" - Un flash per una vita 37 Davis Bonfatti allorché un cristiano era sulla via della dipartita, il vecchio pian piano moriva. Oppure ancora cantava, a seconda dei pareri, mugugnando le parole. “Far l’amor non è peccato se lo fa anche il Curato. Vieni vieni bella mora, vieni vieni a far l’amor. Garibaldi lo comanda lo comanda ai suoi soldà”. §§§ Dal “di là”, all’improvviso, viene l’urlo tra lo strozzato e l’isterico di una donna. Dalla grande tavola dove il mangiare è ormai al termine, lo scatto di tutti (uomini, ragazzi, donne) è all’unisono per il precipitarsi nella stanza. È ormai morto. Gli è accanto la Rosetta (due anni o giù di lì) che gli è quasi cavalcioni e gli accarezza la gran barba pregna di tutto, stinta più che mai tra il biancore e il giallastro. Tipico per chi per anni ha masticato tabacco e bevuto vino che - usava dire - “Mandava sangue al cuore e Garibaldi in guerra”. §§§ I più sostenevano che mi era prozio. Il suo nome non l’ho mai saputo. Lo chiamavano Garibaldi e basta. E dicono anche che quando, da poco morto, cercarono di aprirgli una mano chiusa a pugno, resa ormai rigida dalla morte, per mettergli attorno alle dita un rosario per amorosa pietà, trovarono che stringeva una medaglia con uno sfilacciato nastrino che un giorno certamente - era stato di colore azzurro. 38 Gli "Invadenti" - Un flash per una vita Davis Bonfatti §§§ Nonno e nonna paterni non li ho conosciuti. So che lui si chiamava Celso e lei Aurora e che ebbero diversi figli da me mai incontrati salvo una che si chiamava Climene e, naturalmente mio padre. Di questo mio nonno metterò assieme frammenti di vita raccolti in giro dalla mia curiosità di ragazzo, uditi per lo più da mio zio Tullio nelle torride serate di agosto quando, seduti al buio sull’aia i conversari contadini scivolavano rapidi nella notte senza luna e i grilli tenevano concerto grande. Nonno Celso era un tipo sull’uno e novanta che a digiuno pesava sui centotrenta e dopo in proporzione al pasto consumato. Analfabeta, o quasi, la sua grande passione era l’opera lirica. Raccontavano che gli bastava anche un solo ascolto per carpire i passi salienti delle romanze e farle sue. Tra Pico della Mirandola e lui forse c’era - dicevano - qualche affinità. Ma questo non c’entra. Dotato di una voce tenorile robusta, udibile anche a non breve distanza, mai si faceva pregare due volte quando allo stuzzicante invito: “Dai Celso, canta la Gioconda”, partiva per la tangente cercando sempre di offrirsi al meglio. Per lui quell’aria del Ponchielli, musicalmente vibrante d’amore, che il dalmata canta nel “cielo e mar”, non aveva incertezze. Poi giù tante altre cantate di questa o di quell’opera, specie se tortellini e lambrusco facevano d’attorno scenario ed orchestra. L’amore senza confini per l’opera lirica, le sue folte esibizioni canore, gli inviti innumerevoli qua e là per feste e festini, non aiutavano certo il lavoro dei campi, per cui era soltanto l’Aurora a darci dentro visto che assai presto, dei loro figli, nessuno era rimasto in casa. Ma poi anche la moglie mollò tutto per andare dietro al suo uomo e qui la storia di un contadino, nato certamente per non farlo, potrebbe anche considerarsi finita. Ma come sovente avviene per certe opere liriche dove ci sono un prologo e un epilogo, anche nonno Celso ebbe il suo. §§§ Chi fu a mettergli in testa che il mestiere del contadino non era fatto per lui non l’ho saputo. Certo è che vendette alla meglio campagna, bicocca rurale, carro e buoi e si trasferì a San Possidonio dove aprì un’osteria. E qui il destino di quest’uomo fatto in certo modo si compì fino in fondo anche perché in meno di tre anni si mangiò tutto. Intendiamoci: “mangiarsi tutto” non è stato un modo di dire come per i tanti che per un motivo o per l’altro di avversa fortuna vanno a finire in niente. No, nonno Celso “si mangiò” materialmente tutto sia perché lui, nell’osteria, era senz’altro il cliente principale e poi perché - in più - la sua ospitalità era proverbiale. Come sempre bastava il fatale Gli "Invadenti" - Un flash per una vita 39 Davis Bonfatti invito “Dai Celso: canta!”, che cominciasse l’accorato “Vicino al sol” dell’Aida, la Fedora con lo struggente “Amor ti vieta” (che una sera fece delirare una sconosciuta straniera per via di una boccaccesca offerta) e ancora Manon o il Trovatore “A spegnere col sangue vostro”, per non dire del canagliesco “Questa o quella” del Rigoletto. E tutto il suo ardore canoro grandinava, conferendo letizia alle comitive sempre più numerose dove lui, immancabilmente, s’accodava or nell’uno, or nell’altro tavolo nelle mangiate. Tutto offerto, tutto gratis, perché l’onorato era lui pur di poter mangiare e cantare alla vita in compagnia lieta e adulante. E nel rifiutare di porgere il conto, lui si sentiva gran sovrano ed artista. E padrone. §§§ Raccontavano in giro di lui che ormai verso i centocinquanta di peso ed una gran chioma bianca a far da cornice ad un volto ancora fresco, una notte se ne andò cantando per l’ultima volta quel “Celeste Aida” che era il suo cavallo di battaglia. Si era d’ottobre e polenta calda di paiolo con stracotto di lepre dopo un paio di piatti a fondo largo di tortellini al sugo, fu la sua “ultima cena”. All’acuto finale ebbe un attimo di pausa, alzò solenne il bicchiere di lambrusco color rubino vivo, lo guardò da intenditore alla fiamma alta del camino e stramazzò. §§§ In eredità non lasciò che il suo nome. Il nome soltanto perché il cognome, da tempo, si era involato nel nulla, dimenticato anche dagli amici per i quali – negli eventi paesani del genere - vale soltanto il ricordo di brigate allegrie che segnano una vita e talvolta (nonostante tutto) la rendono più sugosa. 40 Gli "Invadenti" - Un flash per una vita Davis Bonfatti 80: Una giornata (quasi) qualsiasi -- Guarda chi si vede - disse l’uomo aprendo gli occhi alla luce ormai alta di un mattino di novembre – il mio Angelo Custode è venuto a trovarmi. -- Tu sbagli, uomo, io ti sono sempre accanto. Se oggi sono qui è perché la giornata è particolare. Sono ormai ottant’anni che siamo assieme. -- Perché, non ce ne sono più? -- Non fare lo spiritoso maldestro. Sulla tua vita che verrà non è affar mio. -- Però ti sei fatto vedere poche volte in questi ultimi anni. -- Agli appuntamenti importanti non sono mai mancato, a parte le volte che io c’ero e tu non mi vedevi. -- E’ vero: ricordo quando suggeristi alla cicogna dove doveva recapitarmi perché la poveretta, ormai vecchia, aveva dimenticato l’indirizzo. Poi ti rividi al mio battesimo nella chiesetta di San Martino in Carano in una Val Padana mezza sepolta dalla neve, poi ancora sul molo di Napoli al salpare per l’Africa mentre noi giovani cantavamo “Faccetta nera”. E anche quando emigrai verso il Sud per motivi di lavoro: ti rividi mentre il traghetto lasciava Villa San Giovanni … Che stretta al cuore per quel continente che si allontanava. Ma eravamo giovani. -- Mi fa piacere che tu l’abbia ricordato. Ma tanti altri sono i ricordi. -- Tuttavia sempre poche volte ti ho visto. -- Non è vero. La vecchiaia annebbia il ricordare, specie se scomodo. Fummo fianco a fianco nel ‘42 fra le bombe franco-americane a Triglav, poi nel rifugio antiaereo a Padova nel ‘44 e nel pomeriggio di mezza estate del ‘47 sulla riva polesana del Brenta quando la “rivendicazione sindacale” degenerò. Poi ancora nel ‘61 quando su un trimotore scassato rientravamo da Praga ed atterrammo fuori pista e ancora nel ‘64 quando ti prese un infarto cattivo e nel ‘72 quando a Feltre ti operarono d’urgenza senza nemmeno chiederti chi eri. Poi fummo assieme ai funerali dei tuoi genitori e poi oggi perché è importante, e tante altre volte. -- E mi pareva che un perché oggi non ci fosse! Fuori le verità, Angelo, che succede? Gli "Invadenti" - 80: Una giornata (quasi) qualsiasi 41 Davis Bonfatti -- Non succede niente, ma una preghierina al Padre la potresti anche dire se ancora ne ricordi una. Almeno per dirgli “grazie”. Ti ho mai detto bugie? -- In verità non mi sembra. -- Bene. La tua vita può benissimo continuare ancora, a Dio piacendo, se è questo che temi. Ciao. -- Aspetta, Angelo - disse l’uomo da capelli bianchi - ti prego, non andartene. Camminiamo un poco assieme oggi, come mai abbiamo fatto. C’è anche un poco di sole a farci festa. -- Bene, uomo, andiamo. Mi sembra giusto. Proprio perché è un giorno particolare. -- E dàgli, Angelo. Non me lo ricordare troppo. Vuoi sapere che cosa mi sta passando per la mente? -- Forse lo so già, ma dimmelo lo stesso. -- Sto immaginando di scrivere una poesia dedicata a questo giorno con tanti ricordi. -- Il tuo solito scarso peso letterario … -- Non distruggermi. Lasciami le mie illusioni. Costano così poco … Ascolta: “Nel trequarti del cammin della mia vita mi ritrovai sperduto e sconosciuto guidando un trabiccolo a benzina mentre la diritta via avea smarrita”. -- In verità, uomo, qualcosa di simile mi sembra di averla già sentita tanti e tanti anni fa. Era di uno che ci sapeva fare e il suo Angelo penava assai a stargli dietro. -- Forse hai ragione Angelo. Troppe letture sono passate dai miei occhi alla mente. Posso fare confusioni. Lasciamo perdere. -- Ecco, bravo, lascia perdere. C’è già un mare di gente che scrive per il prossimo. Ora andiamo. -- Ben detto; andiamo. Dove andiamo per cominciare? -- Vedi un po’ tu. Ad esempio: non senti questo scampanellare? Cominciamo da lì. -- In chiesa ci sono stato anche l’altro giorno. -- E’ vero, ma ti trovavi a Montepulciano e sei entrato per curiosità. A proposito: perché quell’insolito sostare davanti alla teca di fra Bartolomeo Franceschi-Guidi? -- Non mi dire che non lo sai. -- Non sempre afferro i tuoi sentimenti. Vigilo di più sulle azioni. E allora? 42 Gli "Invadenti" - 80: Una giornata (quasi) qualsiasi Davis Bonfatti -- Sinceramente non lo so che cosa mi abbia attratto di quel frate. Forse la storia della sua vita, forse anche lui, a suo modo, è stato un laico liberale. -- Ho capito. Lasciamo perdere e andiamo dove abbiamo detto. -- Andiamo pure, ma non starmi dietro. Stammi al fianco per favore. -- A Dio piacendo. -- D’accordo: a Dio piacendo. Gli "Invadenti" - 80: Una giornata (quasi) qualsiasi 43 Davis Bonfatti Bipedi e Quadrupedi Documenti e Commenti inutili Davis Bonfatti Personaggi Interpretati Così Davis Bonfatti 48 Gli "Invadenti" - 80: Una giornata (quasi) qualsiasi Davis Bonfatti Un “Uomo Qualunque” e dintorni “Otto milioni di baionette” si sono ormai disciolte come neve a primavera. Eroi, martiri, sacrifici a migliaia neanche più nel ricordo. Moralità sotto le scarpe, oppure sotto le macerie. Confini stravolti, dalla Venezia Giulia a Tenda, nell’Istria, nella Dalmazia. L’odio della dittatura moscovita ha fatto il resto nello spirito di gran parte della gente. Un’Italia allo sbrindello guarda e s’adegua, intontita dalle propagande e dalle “assistenze” americane. La mafia, nell’ombra, prepara il conto. Ma questo sarà il senno di poi. Al “tavolo della pace” sono ben ventuno i Paesi che alzano contro l’Italia la bandiera della loro vittoria. E si dichiarano creditori, sostenuti da “Quattro Grandi” che, solidali a parole, sotto il tavolo si scalciano derubandosi a vicenda. Ma questo la storia lo dirà raramente. Davanti al “Tribunale dei vincitori” nel processo all’Italia, il russo Molotov il 13 agosto del ‘46 così si esprimerà: “ … l’Unione Sovietica sviluppa i suoi rapporti con gli altri paesi soltanto in base a condizioni che favoriscano la loro rinascita economica e contribuiscono al loro progresso industriale ed agricolo, nonché a quello dell’intera vita economica nazionale”. Tutto questo per dire, in parole chiare, che l’Italia - queste cose - le aveva sempre ripudiate e perciò doveva essere punita. §§§ Siamo ai primi mesi dalla fine della “Seconda Guerra Mondiale”. Il teatro “Verdi” è gremito, dopo anni di astinenza, e il pubblico è impaziente. Gli addetti alla claque si sfregano le mani affinché, rese più calde, diano all’applauso più intensità. Lo spettatore pagante - invece – accarezza furtivamente una chiave femmina nell’eventualità di dover fischiare. Non si sa mai . Si recita l’Amleto. L’ambiguo romantico protagonista è il Parri, già noto nell’anteguerra. L’Italia è personificata dalla dolce afflitta malinconica Ofelia. Forte Braccio è un certo Togliatti non del tutto sconosciuto nei paesi dell’Est europeo. Rosencrantz è il Nenni dal sangue romagnolo da sempre avventuroso con alterne fortune. Per uno scherzo del signor Destino detto anche “il regista”, la scena piuttosto rattoppata ha per fondale il Viminale. La domanda della pubblica opinione spettatrice è una e plurima: penderà il Parri per una recitazione di destra o di sinistra? Si avrà cioè una novella notte di San Bartolomeo contro gli agrari, gli industriali della catto-liberal-democrazia che contano Gli "Invadenti" - Un “Uomo Qualunque” e dintorni 49 Davis Bonfatti o si avrà la deportazione a vita dei vari Pertini, Gullo, Scoccimarro e compagni suoi? Intanto si fa d’attorno il silenzio: il velario si apre… Il buio è profondo, sulla scena vagano dei fantasmi, ciò nonostante Amleto fin dalle prime battute già s’impappina. Il buttafuori fa sbagliare un “attacco” a Forte Braccio che viene fischiato dai magistrati autorevolmente locati nei palchi di proscenio con la giustificazione che sono imparziali. Rosencratz cerca di placare le acque mettendosi in mezzo, ma sua entrata è intempestiva, inciampa fra le quinte dell’Epurazione frettolosamente messa in piedi e rischia una planata sul palcoscenico non previsto dal copione. Ai fischi di quelli dei palchi si aggiungono ora quelli del loggione, un popolo notoriamente protestatario in nome del proletariato. La claque entra subito in azione per coprire gli svarioni della recita più a soggetto che a copione, allo scopo di rialzarne il tono. Cerca anche di rialzare il morale dei protagonisti, ma chi ha pagato si associa a chi fischia e urla che rivuol indietro i soldi del biglietto. Il Nenni vuol fare da paciere ma si becca un pomodoro maturo sul frac preso a nolo e che indossa con scarso stile. Gli addetti al ministero dell’Alimentazione che cercano in sala di calmare i più esagitati, si beccano pomodori anche loro perciò lasciano il campo. I sottosegretari di Stato, anche se sono in molti a sedersi sulle poltrone, non sanno più dove voltarsi e corrono chi a destra e chi a manca come azionati da razzi, finché escono dalla comune. I giornalisti presenti, ognuno secondo il proprio stile casereccio, scrivono la storia. §§§ Sei personaggi di un tempo, che ormai hanno fatto il loro tempo, immediatamente si pongono alla ricerca di un nuovo presidente e, scenicamente, si prendono a calci per dare maggior peso alle loro ragioni. Orlando, Bonomi, Nitti ne approfittano per presentarsi alla ribalta in evangeliche vesti appena ritirate dalla lavanderia di Montecitorio. Il conte Sforza, che nel trambusto ha perso il monocolo, lascia il campo non vedendo più dove mette i piedi. Un napoletano bizzoso quanto verace che si chiama De Nicola, appare e scompare dalla scena lasciando capire che neppure lui sa che cosa vuole. Un nientepopodimeno che maresciallo d’Italia chiamato Badoglio, che nella locandina figura tra i personaggi della tragicommedia, non lo si vede per niente. Forse si è auto-annullato. La forza pubblica di nuova nomina, tenendosi a destra il più possibile, interviene spesso, sparando fortunatamente a salve, perciò sono in pochi ad avere paura. Ne approfittano i liberali, seppur non più giovani rampanti come Benedetto Croce, incoraggiati una volta tanto dal pubblico sollazzo, per darsi allo sport del lancio delle torte in faccia. Nella bolgia crescente c’è chi saluta a pugno chiuso sognando romanità tramontate e chi non saluta per niente e se ne va per i fatti propri meditando. Ferruccio Parri sospinto da azionisti ribelli, ritenta ancora di mantenere in piedi lo spettacolo, in nome dell’arte se non si vuole quello della democrazia, ma l’addetto al sipario soprannominato “Pajetta”, perduto l’orientamento ritiene che l’atto sia finito e abbassa il velario. 50 Gli "Invadenti" - Un “Uomo Qualunque” e dintorni Davis Bonfatti Il pubblico, che ne ha abbastanza, sfolla tenendosi la pancia. Chi ha pagato si porta dietro almeno la sedia per rifarsi del biglietto ed i soliti “portoghesi” fanno altrettanto per non perdere il vizio. All’indomani ricominceranno le consultazioni luogotenenziali alla ricerca di un governo. §§§ Nella fretta della cronaca dimenticavamo che, seduto nelle prime file della platea, c’è un distinto signore chiamato De Gasperi, che non essendo del tutto italiano si è agitato nel corso della serata con studiata compostezza. Dicono di lui un gran bene specialmente nelle vaste sale del Vaticano. C’è pure - mingherlino e menomato alle gambe - un certo Einaudi, anche di lui dicono bene in fatto di scienze economiche e di viticoltura. Ma fin dall’inizio, in galleria, c’è anche un certo Giannini che non di rado sghignazza irriverente urlando “fetentoni” a questo ed a quello. E’ - come si dice - un personaggio. Altri del suo genere verranno di poi nel corso dell’itala storia politica nostrana, ma Giannini, al momento, è unico nel suo genere. Un misto tra l’attore di teatro e lo scrittore. Lui si definisce un “uomo qualunque”. §§§ Secondo le cronache questo Guglielmo Giannini è stato un prodotto tipico di quell’epoca in formazione, combattuta tra democrazia e dittatura comunista. Piuttosto alto di statura, biondastro, corposo, caramella all’occhio destro, faccia sorridente e sorniona per natura. Politicamente sembra per certi aspetti un discendente dei giullari di un tempo come (senza offesa) ce ne sono in politica anche ai tempi nostri. Solo che lui gioca in proprio. Ha fondato e dirige un settimanale che ha chiamato “L’Uomo Qualunque” e che in breve raggiunge le 800.000 copie. Durerà una decina d’anni poi non conterà più niente. Propugna lo Stato Amministrativo governato da tecnici eletti direttamente dagli elettori. Definisce i politici “fetentoni, panscrementi, carogne”. Ma poi lui stesso finirà a Montecitorio, perché nel 1946 si è presentato con una lista che a posteriori diremmo di sbandati guadagnando 32 seggi parlamentari. In qualche santuario rosso o bianco non si ride più. La sua “avversaria primaria” è la Democrazia Cristiana che definisce “infedele” perciò non bada al sottile nei suoi sondaggi con i comunisti e – personalmente - con Nenni. I liberali lo tengono fuori dalla porta e lui, di loro, formula presagi di tramonto. I suoi fan lo chiamano “il Fondatore”, altri gli danno del fascista catto-monarchico. Come si vede c’è confusione. Come l’epoca che attraversa. Nei salotti bene gli danno del briccone, in altri del pagliaccio. §§§ Nei dintorni degli anni ‘50 circola nel Sud, nei periodi elettorali, un volantino che recita: “Senza religione, senza il culto della famiglia, senza amore per la Patria, senza onestà, non Gli "Invadenti" - Un “Uomo Qualunque” e dintorni 51 Davis Bonfatti è possibile alcuna autentica efficace ricostruzione” Dicono che le spese della campagna le paghi un certo Achille Lauro, altro “personaggio” emergente di quei tempi politici. Dicono anche che in certe parrocchie rurali gli venga dato credito ospitale. Lauro cerca di “far ragionare” Giannini ma non ci riesce. Si giustifica dicendo che è sempre difficile far ragionare l’esaltazione e il concetto ha di certo una sua validità. Molto più tardi verrà detto che a Lauro non restò altro da fare che foraggiare taluni addetti ai lavori di casa Giannini per favorirne il crollo. Così inizia, poi si afferma, poi tramonterà anche il fenomeno chiamato “laurismo”. Similarmente si dissolve un altro indirizzo auto definitosi d’azione, che nel Sud e nelle Isole sovente va ad affiancare movimenti politici locali. E a guardarci bene inizia anche - stranamente a dirsi - la decadenza partitica dell’idea liberale. Verosimilmente si attua la lucida profezia filosofico-politica di Benedetto Croce che nel 1947 a noi giovani appena emergenti ebbe a ricordare che “In tempi e in popoli nei quali l’idea liberale è passata in succo e in sangue e vive nelle leggi, nel costume e nella pratica, non si sente più bisogno o grande bisogno di uno specifico partito che la rappresenti in proprio” Nelle meteore politiche che passano forse è proprio il concetto crociano che il partito liberale deve vivere e patire. 52 Gli "Invadenti" - Un “Uomo Qualunque” e dintorni Davis Bonfatti Un prete Lo conobbi, per doveri d’ufficio, che era – si fa per dire - un semplice prete. In meno di trent’anni divenne Vescovo, poi Patriarca, indi Papa alla “terza fumata” nel 1978. Ma questo è noto. Delle vicende dai risvolti interroganti e drammatici che conclusero la vita terrena di questo sacerdote, non azzarderò una parola perché già troppo ed anche a sproposito è stato detto. Piuttosto esile, dalla voce suadente ma incisiva, succedette a Paolo VI aprendo, alquanto a sorpresa nella storia vaticana, un “casato nuovo” nell’Albo dei papi. Un pontefice, data l’età, preconizzato a proiettarsi verso il duemila. Invece… “Humilitas” fu il motto che domandò per il suo stemma, assieme a tre stelline d’argento: Fede, Speranza, Carità. §§§ Accompagnato dai miei soli pensieri, al volante di una “600” che non amava la velocità, sto scendendo dall’agordino verso la città di Belluno. Vedo, dopo una curva, una macchina ferma e due che armeggiano nel cofano aperto. Occhieggiando di striscio m’accorgo che uno è “don Albino” perciò mi fermo per offrire un qualche aiuto pur sapendo che in fatto di meccanica non conosco niente. Alla mia offerta risponde con un personalissimo sorriso avendomi riconosciuto, aggiungendo un “Veramente avrei fretta di rientrare”. E così s’accomoda con me e andiamo. §§§ La strada da percorrere è ancora piuttosto lunga, l’andatura guardinga. Inevitabile che la conversazione si apra. Sociologo di rara coscienza mi parla della sua gente montanara. Gli faccio notare che ormai è conosciuto come il prete che i problemi li va a vedere sul posto. Non mi sembra sorpreso. Sorride alla buona come usava fare aggiustandosi al contempo gli Gli "Invadenti" - Un prete 53 Davis Bonfatti occhiali a montatura leggera poi (parola più, parola meno) mi fa notare che è idea buona ed evangelica accordare grande importanza ai problemi sociali distinguendo i veri dai falsi. Che è dovere religioso il preoccuparsi della promozione delle classi diseredate, della giustizia, della disoccupazione. Poi tace a lungo come preso da un’ombra. Dico una banalità per rompere il silenzio ma mi corregge. “Vede cavaliere - mi dice - non si attua il Vangelo se non ci s’impegna a cambiare radicalmente le strutture, anche di uno Stato, laddove esse non funzionano. Non si è buoni cattolici se non si da mano a coinvolgere tutta la Chiesa in quest’azione rivoluzionaria dei sentimenti”. Sì, disse proprio così: “rivoluzionaria”. Non mossi parola. Non ne avevo il diritto. Ora siamo arrivati in città nei pressi del Duomo con il suo originale campanile. Scende in fretta ringraziandomi per il passaggio ed io sento di vergognarmi perché - a ringraziare dovrei essere io testimone dei suoi pensieri sulle grandi vicende della vita. Oggi si fa facile scrivere di queste cose e di certi principi, ma a quel tempo era, come si dice, un’altra cosa. §§§ Oso un peccato di presunzione. A quanti ancora domandano chi fu - in definitiva - Giovanni Paolo I, mi sembra lecito azzardare che con il suo sia pur breve papato ma con una grande esperienza umana alle spalle, don Albino Luciani - bellunese da Canale d’Agordo - la Chiesa, nell’agosto del ‘78, voltò una pagina della sua storia, avviando una riforma proiettata alle generazioni che verranno. 54 Gli "Invadenti" - Un prete Davis Bonfatti Adeodato detto “Gustavo” All’anagrafe, ufficialmente, è iscritto come Adeodato; nella vita pubblica, in casa, fra gli amici è chiamato Gustavo. Gustavo e basta. Il cognome conta poco. Piuttosto basso di statura, corposo, l’eterno cappello di feltro in testa, negli ultimi anni portava a spasso la sua pancia con disinvolta dignità. Spesso zufolando piano. Amava senza strafare le buone compagnie e la buona tavola come ogni modenese che si rispetti. Venuto - come dire - dalla gavetta proveniente da Spezzano, si era fatto da solo tirando per davvero (anche) la carretta, non per modo di dire. Migliorando l’attività aveva aggregato al veicolo un’asina che con l’andare del tempo viaggiava da sola su certi percorsi. Talvolta trotterellava ma era soltanto quando imboccava la via del ritorno. Nutriva - Gustavo - oltre al gusto della vita, due passioni innocenti: il gioco delle bocce al Dopolavoro “Villa d’Oro” e la partita a briscola. Per una di quelle imponderabilità che talvolta gioca il destino, io - arcinoto giovane immaturo a tali giochi - fui uno dei pochi che lo sconfissero mediante una fortuna sfrontata. Non se la prese più di tanto. Zufolò un poco “a striscio” come usava fare in certi momenti, ma sorrise con franchezza. Forse da lì gli fui simpatico. E con molto coraggio mi accolse in famiglia. “Partì” una mattina che albeggiava appena per il viaggio dell’eternità. In punta di piedi, forse per non disturbare il prossimo. Come sempre aveva fatto nella vita. Durò a lungo chi domandò di lui. Un modo senza dubbio raro e genuino di dire che in tanti lo stimarono. E che in quel di Bologna, il ristorante “al Pappagallo”, perse un cliente. Gli "Invadenti" - Adeodato detto “Gustavo” 55 Davis Bonfatti Al tramonto di un secolo “Mamma - belò flebile un capretto nato da pochi giorni - perché gli uomini mi hanno preso a simbolo dell’umiltà, della fraternità, della dolcezza e poi mi uccidono per meglio nutrirsi?” “Perché gli uomini e le loro compagne sono ipocriti”, belò mamma capra. Il capretto un po’ tremante per il freddo mattutino guardò la madre con occhi dolci e prese a rincorrere un passero che frullava vicino. Poi ritornò presto alla madre e domandò: “Che significa essere ipocriti?” “Significa - rispose mamma - parlare bene e razzolare male. Significa il pretendere di essere i migliori e nella realtà essere i peggiori. Significa nascondere i sentimenti veri e le malvagità compiute e far pagare agli innocenti le colpe”. “Ma chi - allora - non è ipocrita”, ribatté l’agnellino con la petulanza dei bambini. Mamma capra esitò un poco, guardò il cielo e mormorò quasi a se stessa: “Non è ipocrita chi ha mani innocenti e cuore puro. Chi non pronunzia menzogna, chi non giura a danno del suo prossimo”. Belò forte, la pecora, al sole di primavera che stava dipingendo il verde del creato ed i fiori di campo. Il suo sembrò un canto di vittoria. Era soltanto un’invocazione. (Pasqua 1990) 56 Gli "Invadenti" - Al tramonto di un secolo Davis Bonfatti Salmo per l’anno 2000 Non ricordo chi, ma qualcuno disse: “E’ un giusto l’uomo che retto procede e non entra a consiglio con gli ipocriti e nei convegni non siede con gli arroganti e non cammina per la stessa via degli ingordi”. (Primavera 1991) CP Gli "Invadenti" - Salmo per l’anno 2000 57 Davis Bonfatti Un Maggiore T.O. “Ora sono Maggiore” annunciai in famiglia durante il pranzo forse con una mal celata leggera enfasi. “Maggiore in dove” interrogò mia moglie con una faccia da dubbio convinto, tipico della sua razza pedemontana. “Ma cosa avete capito: parlo della mia avvenuta nomina T.O. al grado di maggiore dell’Esercito, anzi, maggiore dei bersaglieri”. “Oddio, hanno richiamato il nonno” sbottò mia nipote Chiara con il tono che in genere hanno i neolaureati dell’Accademia di Belle Arti, inconfondibilmente teso fra il divertito e l’ipocrita. “Ma va” intervenne mia suocera ben decisa a sapere quello che intendeva dire poi nell’aggiungere un “ma che vuoi che se ne facciano di lui, ormai”. “Ormai cosa” (tentai di ribattere). “Se le Forze Armate chiamano, evidentemente è…” Ma poi non trovai la parola e mi fermai lì. “Il solito guerrafondaio” rincarò mia suocera. “Un momento” - tentai di argomentare, ma ormai tutto era perduto. Riprendemmo a mangiare in silenzio rotto soltanto dal masticare. Un flash, un piccolo flash, attraverso la mia mente sognante: sono in divisa, la ricurva sciabola sguainata al sole, la fascia azzurra che mi attraversa il petto. Le piume mosse dalla brezza scendono dal cappello e mi baciano le guance. Davanti ho un battaglione gagliardo di gioventù che mi presenta le armi. Il mio battaglione… 58 Gli "Invadenti" - Un Maggiore T.O. Davis Bonfatti Il millepiedi Una sera d’estate, siamo in gruppo a discutere sulle iniziative del Governo circa taluni aggiornamenti costituzionali quando il Giuseppe fa: “A proposito, la sapete la favoletta del millepiedi?” Dicemmo tutti di no, anche se a qualcuno era già più o meno nota. Così, ecco il racconto. Un giorno la lucertola incontrò il millepiedi che piangeva. “Oh, cos’hai” - domandò premurosa. Ma il millepiedi anziché rispondere continuava a piangere ancora più forte. “Ma insomma - si spazientì la lucertola - che ti succede?”. E il millepiedi, calmatosi un poco, raccontò: “Ho dolori per tutte le gambe, non ne posso più. Ora morirò di certo”. La lucertola, che invece era svelta di gambe e conosceva il mondo, ci pensò un poco e poi: “Senti millepiedi, vai nel bosco, cerca e troverai un vecchio gufo. Dicono che è un fenomeno, capace di trovare ogni rimedio”. Il millepiedi ringraziò per il suggerimento ed arrancando al meglio andò nel bosco dove infatti - trovò il gufo che su un ramo sonnecchiava dondolando un poco la testa. Era vecchio, spelacchiato, ma il millepiedi si disse che nonostante ciò forse era veramente la Saggezza e l’esperienza in persona. Si sentì rinfrancato e alla prima occasione, allorché il gufo aprì un occhio, attirò la sua attenzione e gli espose la sua pena. Il gufo non rispose subito, dapprima strabuzzò gli occhi, si dimenò un poco riaggiustandosi l’equilibrio e poi, datosi una scrollatina di ali rispose: “Tutto qui?” “E ti pare poco?” piagnucolò il millepiedi. “Non è un problema - insistette il gufo - Non è un problema. Ascolta che cosa devi fare. Devi diventare un bipede. Quindi vai da un cerusico e fatti tagliare tutte le gambe. Eccetto due, Gli "Invadenti" - Il millepiedi 59 Davis Bonfatti naturalmente, possibilmente appaiate”. Il millepiedi ci pensò un poco e convenne che la “trovata” era un capolavoro di accortezza, perciò ringraziando e rimuginando il suggerimento ricevuto si rimise sulla via di casa. Ma d’improvviso ecco gli scrupoli, i timori, e tanti nuovi interrogativi. Fece dietrofront ed eccolo di nuovo davanti al gufo. Senza tanti preamboli ne richiamò l’attenzione e: “Gufo - cominciò - ma chi mi garantisce che potrò superare l’operazione? E dopo, chi mi dice che quando sarò un bipede potrò ancora contare qualcosa? E chi mi assicura che…” “Oh basta - replicò secco il gufo - Credi che io abbia tempo da perdere per approfondire il come e il dove certe faccende possono finire? Non ti basta che ti abbia enunciato il principio della soluzione al tuo problema? Mica posso occuparmi anche delle bazzecole!” E ridatosi una scrollatina di ali dondolò un poco per accomodarsi meglio sul ramo e si mise, per così dire, a sedere. Poi chiuse gli occhi alla luce, anche per rientrare più intensamente nell’estasi in cui - talora - anche i grandi strateghi della politica amano rifugiarsi. §§§ Ora è lecito ritenere che taluni si domandino che cosa c’entri la favoletta del millepiedi con la riforma delle istituzioni. Giusto. Perché, allora, vuol dire che non l’ho saputa raccontare. 60 Gli "Invadenti" - Il millepiedi Davis Bonfatti Un computer del Medioevo Fra i primi ricordi che ho di ragazzo fu quando sentii magnificare dalla gente di campagna un certo Giovanni Pico della Mirandola conte della Concordia. Morì giovanissimo - mi dicevano - avendo vissuto tra il 1463 e il 1494. Bello, ricco, filosofo, credente in Dio, sebbene all’epoca di Papa Innocenzo VIII fosse stato accusato di essere un eretico. Accusa lacerante anche per un mite coltissimo giovane come Pico, che poteva facilmente portare alla condanna più atroce. Parlava con intensa passione – quella gente - del loro Pico. Specialmente nelle sere d’estate buie ma piene di lucciole giganti, seduti a circolo sulle aie già ripulite dalle erbacce per accogliervi come un rito il grano da essiccare al sole. Me ne parlavano per esaltarne la sua memoria prodigiosa che oggi si direbbe da computer, ricordando episodi (tramandati da epoca in epoca) di rara sapienza, di amicizie con uomini del tempo che si chiamavano Poliziano, Ficino e Lorenzo il Magnifico che poi era quello che faceva più effetto. Cose grandi - insomma - che accendevano la fantasia e la bandiera paesana. Era - per dirla tutta - “un cavallo di razza”, salvato per un pelo dalle scomuniche papali (vedi caso del destino) da un Borgia che in certe faccende era indubbiamente un esperto. Pico della Mirandola conte di Concordia - se oggi lo potesse - così scriverebbe sul marmo della sua tomba: … scrisse l’orazione sulla dignità dell’Uomo, che dai contemporanei fu considerato il “manifesto dell’umanesimo”. Filosofo, letterato, leader della cultura tra il Medioevo e il Rinascimento, nulla o ben poco di tutto questo lasciò nella mente del volgo popolare e d’insegnamento per i posteri. Ma questo l’hanno detto anche altri. §§§ La verità è che restarono - indelebili - soltanto i ricordi di certi episodi al servizio di una memoria prodigiosa. Tutto il resto contava poco. Eccezione fatta - forse - per un’intensa storia di un amore infelice che indubbiamente contribuì a rendergli più breve la vita. Gli "Invadenti" - Un computer del Medioevo 61 Davis Bonfatti Piero Gobetti Ebbi a trovarmi, ancora giovanotto, in una serata d’autunno umida e fredda del 1924 in una via centrale della mia città quando dalle finestre di uno studio notarile venivano gettati mobili, carte, libri in un rogo che si andava allargando rapidamente. Nello spingi spingi mi capita tra le mani un libretto. Faccio per gettarlo alle fiamme ma d’istinto mi trattengo. Metto il libretto in tasca e me ne vado. D’attorno a baraonda si urla e si canta “chi se ne frega della galera… “. A casa guardo il libretto: s’intitola “Risorgimento senza eroi”. E’ stato stampato da un certo Cappelli di Rocca San Casciano che non ho idea dove si trovi. Quattro capitoli compongono il testo che con crudo realismo dicono cose finora a me sconosciute aprendomi a molteplici interrogativi. Questo il mio primo “incontro” con Piero Gobetti. §§§ E’ passato qualche anno e mi trovo intruppato in una fumosa vettura ferroviaria di terza classe di un treno che “corre” verso il nord. Attorno ad un giovane pallido, magro, vestito in modo indefinibile, un gruppetto chiacchiera. Talvolta animatamente. Fra le mani di qualcuno circola una specie di quaderno. Allungo gli occhi e leggo: “Rivoluzione Liberale”. Domando chi è il “lui” che tiene la discussione. Mi risponde il “lui” stesso: “sono Piero Gobetti”. L’episodio del rogo, del libretto sottratto alle fiamme, gli interrogativi che dalla sua lettura mi vennero, tutto in breve mi è davanti. Nel discorrere che continua, molti termini come “socialismo liberale”, “capitalismo industriale e lavoratori”, oppure “democrazia e riforma agraria” entrano lentamente nella mia mente, ma mi attirano. Così è stato il secondo ed ultimo e unico mio fortuito (o fortunato) incontro con Piero Gobetti. §§§ C’è ancora un episodio che mi porta a Gobetti. Coinvolto in certi ludi di regime chiamati “Litorali della cultura” mi trovo ad argomentare con altri giovani su questo o quel tema, di futuro e di “vittoriose certezze”. Si facevano anche dei nomi ed io butto il mio: “Piero 62 Gli "Invadenti" - Piero Gobetti Davis Bonfatti Gobetti”. Forse ho sbagliato. Un gerarca mi tocca lieve la spalla e mi dice secco di lasciar perdere. A quel tempo andava così. §§§ Ma la figura storica di Piero Gobetti non può essere considerata soltanto in forza di labili valutazioni dettate da imprevedibili incontri. Nel periodo delle vicende parlamentari “aventiniane” - per esempio - del 1923-24, che in un certo senso favorirono il consolidamento del fascismo su una democrazia populistica allo sbando, Piero Gobetti si dedicò ad un’intensa attività anche attraverso scritti su “il Baretti” da lui fondato, evidenziando in tal modo il suo caratteristico impegno di organizzatore culturale. Mario Bernardi Guardi - storico e pubblicista - così parla di Gobetti: “ …un laico che ammirava don Sturzo, un antisocialista convinto che avrebbe celebrato nel deputato Giacomo Matteotti ucciso nel giugno del 1924 da una banda di sciagurati, l’alfiere della democrazia, un fiero antifascista che avrebbe difeso contro la normalizzazione dell’era mussoliniana”. Sempre su Gobetti (come su Oriani) si leggano anche le acute riflessioni di Claudio Pogliano in “Piero Gobetti e l’ideologia dell’assenza”, edito dal De Donato di Bari, nel 1976. Da parte sua Paolo Spriano in una corrispondenza giornalistica annotava: “ Si manifesta ormai un’altra tipica tendenza gobettiana: quella di approfondire i termini ideali dei problemi, di andare al di là del concretismo salveminiano nell’affrontare le grosse questioni teorico-politiche”. Nel corso delle sue prime esperienze nel gennaio del 1919, Piero Gobetti - così almeno è dato a noi di annotare - fa pubblicare sulla sua rivista due scritti antitecnici rispettivamente di Balbino Giuliano dal titolo “ Perché sono un uomo d’ordine” e di Antonio Gramsci su “Stato e Sovranità”. Quanto a dire un episodio di autentica cultura politica che il PCI fingerà sempre di ignorare. Queste “ospitalità” non piacciono però a taluni delle sinistre di quei tempi, prigionieri di limitati orizzonti. Nel maggio del 1920 Gobetti pubblica un articolo intitolato “La nostra fede”, “ e subito troviamo che Palmiro Togliatti si dimostra il più inquieto fra gli inquieti come Terracini e Amadeo Bordiga - gran condottiero del” Partito Comunista d’Italia” di quell’epoca - nel criticare aspramente gli ideali di Gobetti. Egli tuttavia non demorde dalle sue tesi e il 20 dello stesso mese così risponde seccamente alle critiche: “ Per rispondere alle intemerate del signor Togliatti e dei suoi amici, dovrei mettermi a dimostrare che io non sono così sciocco come lui dice e che lui non è così serio come crede”. Battaglie d’altri tempi, si dirà. Esatto, ma il metro di misura degli ideali fra liberalismo e socialismo reale già la dice lunga se proiettati al futuro… Gli "Invadenti" - Piero Gobetti 63 Davis Bonfatti Anche per il settimanale “La rivoluzione liberale” che Gobetti dirige, egli sollecita ed ottiene scritti di Croce, Gentile, Mondolfo, Prampolini, Cosmo ed Einaudi che segue con particolare favore “ il giovane rivoluzionario liberale senza complessi”. Come si evince chiaramente lo scopo primario delle collaborazioni sollecitate ed ottenute è quello di una critica della filosofia di Marx e del Partito Socialista Unitario dal punto di vista liberale, con qualche eccezione come quelle di Mondolfo. Gobetti non è visceralmente antisocialista: vuole soltanto capire e far capire criticamente il bolscevismo e perché i comunisti tendano sempre a litigare con i socialisti. E, ancora, perché non si debba liberamente non credere alla “Rivoluzione di Ottobre”. Tanto più che i principi informatori del Soviet non sono nella realtà amati dal popolo e che - in fondo – le opere di Lenin e di Trotskij sono (secondo Gobetti) la negazione del socialismo vero, ed in particolare del sistema socialista rivolto al futuro, nell’ambito del libero progresso economico, nel ripudio della repressione quale inevitabile sbocco logico dell’esperimento bolscevico. Il “senno di poi” dirà che infatti vennero gli Stalin e gli stalinisti, vennero i brigatisti ma anche il brigantaggio, vennero i crolli delle ideologie imperialiste non soltanto dell’Est, il crollo di paesi retti da regimi federativi, caddero uomini ed ideali, guerre note e guerre taciute. Siamo ancora alle incertezze che Gobetti mai esitò a denunciare. Resta ancora oggi - nella sua ideale purezza d’intenti la gioventù di Piero Gobetti il cui pensiero, anche se siamo al 2000, non sembra lecito dimenticare. §§§ Piero Gobetti negli anni attorno al 1920 Un seppur sommario ricordo della vita breve ma intensa di questo giovane liberale, di un tempo che soltanto a misura sembra lontano, sarebbe improprio senza talune più approfondite considerazioni. L’anno 1920 è quello della grande svolta per Piero Gobetti. Inizia la polemica con Gentile e persino con Sorel e Salvemini. Approfondirà conoscenza e concetti con Gramsci, prenderà qualche abbaglio sui valori idealistici e libertari del “giovane Mussolini socialista” e sulla Russia dei Soviet attraverso il concetto di Trotskij che, marxista, “volle… una rivoluzione anarchica, la sola che potesse non essere reazionaria… “. Il 1920 fu anche il tempo che vide concludersi il suo rapporto con la “Lega Democratica” che si era rivelata incapace di un’efficace azione politica di fronte al problema operaio. Si badi: il concetto di un bolscevismo liberale, liberatore di energie, distruttore di universi decadenti e creatore di mondi nuovi non è soltanto di Gobetti. È largamente condiviso in vari schieramenti intellettuali animati dalla voglia di svecchiare ed è positivamente salutato anche in alcune frange futuriste e fasciste. Ma poi Gabetti chiuderà questo capitolo considerando l’inutilità di proporre in Italia un esperimento rivoluzionario del genere russo, riaffermando che se rivoluzione dev’esserci dovrà avvenire soltanto nelle forme legali dello 64 Gli "Invadenti" - Piero Gobetti Davis Bonfatti Stato liberale, garantendo il buon governo e difendendo l’iniziativa privata. Frutto di un liberalismo nuovo come iniziativa popolare, impegno creativo delle masse, adesione alla lotta politica contro le classi ottusamente conservatrici. Ed è sintomatica, a questo proposito, la polemica sia pure garbata che egli conduce in questo periodo con i nazional-liberali, una nuova formazione della Destra moderata promossa di Luigi Einaudi, Giovanni Gentile, Gioacchino Volpe, Widar Cesarini Sforza ed altri. Su un punto sembra continuamente insistere il Gobetti liberale: “ …il problema non è quello di sostituire la democrazia capitalistica e borghese con un sistema collettivistico, ma quello di farla vivere, forte, moderna, compiuta nella nuova coscienza operaia, ansiosa non di sovvertire ma di partecipare, di farsi nazione e Stato.” Passano gli anni e Gobetti con il massimo della buonafede continua a muoversi entro un gratificante schema ideologico che procede dal basso con capacità di offrire una forma di coesistenza e di collaborazione di tutti gli elementi produttivi quale unico rimedio contro i trust e contro i rapaci sindacati operai istituiti burocraticamente, così com’egli diceva parlando della rivoluzione sovietica. Oggi, alle soglie del duemila, quali risposte possono dare i partiti ed i politologi alle attese di giustizia e verità che animano l’uomo? Gli "Invadenti" - Piero Gobetti 65 Davis Bonfatti Preistoria - Storia – guerra e dopoguerra Di statura medio alta, capelli bianchissimi ancora folti e ben composti, spedito nel passo, un bastone senza pretese più a “far da compagnia” che a reggere gli anni. L’incontro sovente al mattino sui sentieri ombreggiati attorno alla pensione che lo ospita nel periodo estivo dalle parti del valico dei Mandrioli. Una pensione-soggiorno senza pretese quanto ridente di biancore e di fiori. Un poco isolata quel tanto che basta per attenuare i rumori della vita che s’affanna talvolta per un niente. Forse è stato un uomo d’arme, forse un nobile al tramonto, uno studioso. Forse niente, tant’è naturale così com’è. Dal saluto educato dei primi incontri allo scambio riservato di qualche affrettata opinione, passa qualche tempo. Poi avviene che un giorno, grazie alla comune “testata” di un quotidiano che entrambi teniamo in mano, si aprono le prime misurate confidenze. Ci presentiamo (solo il cognome, che di lui non afferro neppure) semplicemente, senza titoli, residenze od altro. Ritengo che entrambi si abbia poi avuto il buon gusto di indagare per saperne di più. §§§ Quel mattino il “nostro quotidiano” porta in terza pagina un titolo: “Le Tre Regine d’Italia”. Incontrandomi mi domanda se l’ho già letto. Ipocritamente nego e lui non aggiunge altro. Subito ho l’impressione di averlo un poco deluso, ma poi il nostro conversare approda ad altre rive e l’interrogativo resta. Riportare che cosa era detto nell’articolo può non essere importante anche perché dai più già conosciuto, ma quel che ricordo è che rileggendone il testo provai un profondo senso di meditazione per la singolarità delle conclusioni: Margherita per la sua bella cultura e la perfetta distinzione dei modi; Elena per il grandissimo cuore perennemente rivolto alle vicende dei più umili; Maria Josè per avere intensamente amato i princìpi della libertà secondo i postulati crociani. “Tre Regine” tutte degne - secondo l’autore - di portare sul capo la corona d’Italia. Se è vero che le istituzioni passano, che i confini sono friabili, che tutto è mutevole, quello 66 Gli "Invadenti" - Preistoria - Storia – guerra e dopoguerra Davis Bonfatti che non dovrebbe mai passare è il rispetto per chi abbia occupato il suo posto con la dignità richiesta dal suo rango e dal proprio onore. §§§ A distanza di molto tempo ancora m’insegue un pensiero pervaso di accorata amarezza: che l’anziano interlocutore di quell’occasionale giorno fosse per caso l’autore di quella nota giornalistica storica e del “commento” che qui senza merito ho cercato di riassumere? Non mi perdonerei mai il tradimento di un fasullo diniego alla lettura, buttato là, così, come una cattiveria. Gli "Invadenti" - Preistoria - Storia – guerra e dopoguerra 67 Davis Bonfatti Davis Bonfatti Lettere mai spedite Gli "Invadenti" - Preistoria - Storia – guerra e dopoguerra 69 Davis Bonfatti Davis Bonfatti S .E . Mons. Vescovo Gioacchino Muccin 32100 BELLUNO Rev/mo Mons. Vescovo, Mi hanno raccontato un flash - come si dice oggi da qualche parte - che mi prendo la libertà di segnalarle senza secondo scopo alcuno. Se poi la E. V. vorrà darmi riscontro, ne sarò particolarmente lieto. “Signore - disse un vecchio prete che aveva perso la nozione del tempo e della memoria c’è qui un uomo e una donna che si vogliono sposare: che debbo fare?”. “Accompagnali alla loro casa - rispose il Signore - Dona all’uomo un paio di calzari con le suole di legno e alla donna calzari di pezza, più un tegame con pomodoro spremuto mescolato con un po’ d’olio e di sale. Poi benedicili in mio nome affinché così restino, nel bene e nel male, finché morte non li separi”. “Poi cosa faccio?” - domandò ancora il vecchio prete. “Poi ritorna alla mia Chiesa ed aspetta che io ti chiami”. (Aprile 1979) Gli "Invadenti" - Vescovo Gioacchino Muccin 71 Davis Bonfatti Rev. Mons. Prof. Don Piero Altieri 47023 CESENA Reverendo, Mi è capitato un incontro che mi sembra giusto non tenere soltanto per me come un segreto. È una mattinata splendida di luglio. Cammino lentamente per un sentiero montano dalle parti del valico dei Mandrioli, ammirando la natura tosco-romagnola laddove si “scontrano” i calanchi romagnoli col verde toscano, quando m’imbatto in un personaggio vestito così e così, ma di gradevole aspetto, seduto su di un masso. Mi saluta con un “Buona giornata a lei” che mi colpisce per la tonalità della voce. Ricambio il saluto, sento desiderio di riposarmi un poco e siedo sul terrapieno costoso quasi di fronte a lui. Ci scambiamo subito qualche opinione di circostanza sulla frescura dell’ombra alpina, sul tempo che rapido passa, sul piacere della lettura nel silenzio incantato della natura, e qui… estrae da una specie di bisaccia un fascicoletto piuttosto sgualcito dalla copertina rossiccia. Cerco con gli occhi di carpirne il titolo ma non ci riesco e, arido come sono per natura, penso subito per quale motivo l’individuo - come si dice - desideri attaccare bottone. “Vede - mi dice - se lei ha un briciolo di tempo vorrei leggerle di un episodio ormai lontano (lo chiamò proprio così: “episodio”) qui descritto e di cui, forse sbagliando, trovo una sconcertante certezza. Vuole?”. Dico di sì, più meccanicamente che convinto, ed ascolto. E cominciò a leggere. Ascolti anche lei, reverendo, poi - se vorrà - un giorno mi dirà la sua. Un giorno Gesù se ne stava seduto sulla soglia di una grotta, durante uno di quei periodi di ritiro di cui si ha notizia anche dai Vangeli. D’un tratto venne avanti, dal fondo del deserto, un uomo che gli si avvicinò, gli fece un saluto con la mano e dopo qualche esitazione prese a parlargli dicendo all’incirca: Tu sicuramente sai che mio fratello è morto: l’ho ucciso io. Mia madre è morta anche lei, dopo un’estenuante vecchiezza di dolori. Mio padre non l’ho più visto da anni. 72 Gli "Invadenti" - Don Piero Altieri Davis Bonfatti Forse le sue ossa giacciono in qualche grotta. Io invece non posso ancora morire. Io, la morte, debbo solo pensarla. Se morissi potrei dimenticare ma vivendo la morte è con me, dentro di me, sopra le mie spalle dilaniante dalle calure, dalla sabbia che punge, dai rimorsi. Il mio nome è Caino. Sono venuto a cercarti perché ti ho visto varie volte, ho ascoltato le tue parole, ho amato i tuoi messaggi di libertà per chi vuole amare solo Dio. Chi tu sia io non lo so bene, ma certamente non sei una mente chiusa. Tu certamente sai anche cose che non dici. Per questo sono venuto. E’ necessario che ti dica che sono pentito del delitto che ho commesso? Eppure oltre al mio pentimento sento anche le lame fredde di certe domande che tagliano il cuore, il cervello, la carne. Mi chiedo: quando dovrò morire che cosa potrò dire a Colui che dispone dei nostri destini? Ho sentito dire che quando il corpo finisce di respirare, il nostro “io” che chiamano anima, vive ancora e un giorno verrà giudicata secondo il concetto di merito e di colpa. Ho sentito anche altri invece, che dicono che quando il corpo non respira più, niente più respira, niente più pensa, niente più vive. Io non so chi dica il giusto: se i pagani delle isole oppure noi i fedeli di Abramo. Tu, certo, lo sai. Ma io non sono venuto a chiederti chi di costoro dice il giusto. Io non merito questi doni. Io sono venuto ad esprimerti soltanto un mio pensiero: chiedo di non essere perdonato”. Ti ho detto che sono pentito, ma se è destino che io possa morire, io chiedo che non mi si usi misericordia alcuna. Proprio perché sono pentito chiedo che il castigo rimanga su di me. Anche quando il Signore solleverà un giorno le mie ossa. Io sono pentito ma non chiedo di essere perdonato. Ecco: sono venuto a dirti che se un giorno tu sarai presso Dio, vorrei che tu gli dicessi che Caino non s’è pentito per timore della pena. Se Caino è stato grande nel suo delitto, non vuole essere minore nella violenza contro di sé. Il mio pentimento non mi deve dare nessuna consolazione, non un diritto alla misericordia. Chiedo a Dio di restarmi davanti nemico. Se nessuno mi perdona io sono meno abietto. Se tu sarai presso Dio, non pronunciare una sola parola buona per me. Tu, se verrà il momento di dire qualcosa, parla a Lui solo per chiedergli di negarmi misericordia, qualora avessi la viltà di chiederla o di solo sperarla. E non voglio nemmeno che la morte - come dice taluno - cancelli ogni traccia. Gesù non rispose. Caino restò lì, muto, alcune ore poi prese ad incamminarsi nella direzione del sole che stava calando fin quando diventò un punto nero assorbito dalle ombre della sera. (marzo 1989) P.S. Si leggerebbe nelle Sacre Scritture che il Signore ebbe a dire: “Chi alzerà la mano contro Caino subirà vendetta sette volte sette”. Gli "Invadenti" - Don Piero Altieri 73 Davis Bonfatti La Conferenza Gentili signore, cari amici, Vengo alla conclusione della mia non so quanto interessante chiacchierata. In un prossimo futuro, sicuramente più vicino di quanto si pensi, gli americani “bianchi” diventeranno gruppo di minoranza. Molto prima che questo avvenga, la presunzione che il cittadino americano tipico sia qualcuno che in linea diretta discenda da una famiglia europea, sarà un fatto trapassato. Già oggi un americano su quattro definisce se stesso come ispanico e non bianco. Se perdureranno le attuali tendenze nell’immigrazione e nei tassi di natalità, all’inizio del 2000 la popolazione ispanica sarà cresciuta almeno del 21%, la presenza asiatica del 22%, i neri dell’11% ed i bianchi poco più del 2%. A circa metà del 2000 gli ispanici arriveranno vicino ai 120 milioni mentre quella bianca non crescerà affatto. Passato il 2050 il residente americano medio sui 70 anni di età sarà originario dell’Africa, dell’Asia, del mondo ispanico e delle isole del Pacifico: sempre e comunque di un luogo diverso dall’Europa. Il problema razziale americano, sollevato da varie indagini, pone interrogativi enormi e suggestivi per tutto il restante del mondo e per l’Europa in particolare, sia per la sua portata politica, che commerciale ed agroindustriale, oltre a quello di una società multirazziale. Ma a farci ben mente, questo mondo nuovo è già presente e costituisce il futuro irreversibile dell’America. §§§ Viene detto da più parti che oggi, quando il 1990 è già passato, l’ostacolo principale alla modernizzazione della Cina, cioè il successo della relativa trasformazione sociale ed economica, è costituito dalla caparbia resistenza che una cultura bimillenaria di ininterrotta tradizione contrappone all’idea stessa del cambiamento, come minaccia alla propria sopravvivenza. Da qui sono più i dubbi che vengono manifestati e gli interrogativi che vengono posti che le risposte che vengono date. Nel frangente una cosa, tuttavia, si può ipotizzare: che i cinesi vivono nell’attesa di un 74 Gli "Invadenti" - La Conferenza Davis Bonfatti qualcosa di inevitabile. Non escluso il crollo di una dinastia - chiamiamola così - che non sa più governare e quindi ha perso il mandato “del cielo”. Ma questa crisi può presentarsi in molti modi, fra cui quello che l’impero si sfaldi in vari segmenti nazionalistici. Fra meno di cento anni sarà tutto da ridisegnare non escludendo il ricorso alle armi. Taiwan potrebbe essere stato il prologo, Tian’anmen un intermezzo, e ancora non è ben chiaro se Hong Kong venga considerato un preludio o un’affittanza più o meno prorogabile. Ma queste sono soltanto delle parentesi varieggiate di un impero enorme, non si sa bene quanto forte e quanto vulnerabile insieme. §§§ Sia per gli Usa che per la Cina le sintomatiche sono nell’aria sempre più spessa. Perciò vengono ammesse le “svolte” sia umane che sociali per l’uno che per l’altro paese. (Novembre 1990) Gli "Invadenti" - La Conferenza 75 Davis Bonfatti On. Antonio Patuelli ROMA Caro Antonio, Perdonami se ti faccio perdere qualche minuto per parlarti delle cooperative e dell’evoluzione del loro sistema. L’evoluzione, del nostro sistema agricolo, cammina da tempo verso nuove strategie operative: non prenderne cognizione sarebbe errore. Non ridisegnarne i termini economicoproduttivi un errore ancora più grosso. Le correlazioni, dirette ed indirette, tra l’attività produttiva ed altri fattori, sono diventate così strette e complesse che si parla ormai (quasi esclusivamente) di agro-alimentare, agroindustria, agro-marketing e termini similari in tutta naturalezza. Nel campo organizzativo delle cooperative già si affacciano concetti come la costituzione di un “Consorzio Cooperativo Transnazionale” con il compito principale di favorire l’importexport dei prodotti agricoli reciproci. Poi da cosa nasce cosa… In questa visione già s’intravede una nuova centralità dell’agricoltura non più come attività primaria e prevalente, tipica dei paesi industrializzati, ma come attività che concorre a disegnare nuove strategie di sviluppo. Una questione pregiudiziale per adeguare la capacità delle imprese cooperative a muoversi nel mercato, rimane basilare la riforma della cooperazione della quale si parla da anni senza alcuna volontà unanime di realizzarla: quasi si temesse il crollo generale di un baraccone ricco soltanto di vetustà. Ricordare a te agricoltore, figlio di agricoltori di una Romagna generosa e culla di cooperative, quali sono i problemi che domandano urgente soluzione, mi sembra un’offesa. Non mi sembra offensivo ripetere a te, uomo politico d’onore, che non intervenendo significherebbe soltanto il consolidamento delle molteplici debolezze in atto. Un cordiale abbraccio. (dicembre 1988) 76 Gli "Invadenti" - On. Antonio Patuelli Davis Bonfatti On. Dr. Giovanni Goria ROMA Il Governo, di cui lei è alla guida dalla fine di luglio ‘87, forte - si fa per dire - di trenta ministri e sessantuno vice ministri, più una dozzina di sottosegretari ”ombra”, possiamo convenire che ha visto giusto. Il numero ed i ruoli di questo mezzo battaglione, se vi comprendiamo i portaborse per l’indotto, appare sufficiente per avviare l’affossamento della nostra prima Repubblica e non soltanto di un Governo come spesso è accaduto. Lei è il tipico prodotto piemontese della crisi di un sistema ormai entrato nella fase finale della sua decomposizione. Potrà al massimo, fatto salvo il solito intervento dello “stellone” che non di rado protegge il nostro Paese, far scrivere nel libro della storia che ai giovani tutto dev’essere perdonato. Ma la Storia dirà pure che allo sfascio vi hanno contribuito in quarant’anni di barbare influenze, in molti. Abbiamo avuto vecchi marpioni della politica, demagoghi incalliti, sindacalisti irrispettosi della Costituzione, cooperativisti arraffoni, l’arroganza delle mafie, l’indisciplina dei partiti, imprenditori disonesti, terroristi travestiti da lavoratori, la burocrazia più stracciona e la licenza del diritto contrabbandata per libera democrazia. Anche per lei vale il principio che tutto ha un inizio e tutto una fine. Perciò una volta che sarà disarcionato, non si metta anche lei - se possibile - fra i tanti che pretendono la rivincita. Si faccia prima le ossa. Con rispettosa cordialità. (Agosto 1987) Gli "Invadenti" - On. Dr. Giovanni Goria 77 Davis Bonfatti Resto del Carlino 14/08/1988 LETTERE Costituzione manomessa Egregio Direttore, Dal 1° febbraio in tutte le edicole è in gratuita distribuzione un libretto con il testo ufficiale della Costituzione Italiana. L’iniziativa, più che lodevole, è da considerarsi opportuna perché il “Popolo Italiano” – in nome del quale la Carta Costituzionale è stata emanata – potrà così constatare e valutare come e quanto (in quarant’anni di vita) le sue norme siano state disattese, stravolte, ignorate, violate, “adeguate”, taglieggiate e quindi vanificate. Davis Bonfatti, Cesena (FO) 78 Gli "Invadenti" - Resto del Carlino 14/08/1988 Davis Bonfatti Alto Giurista della Corte Costituzionale ROMA Una volta veniva detto che in Italia “siamo tutti dottori”. Poi si disse che a nessun pensionato dello Stato veniva mai negata una croce di cavaliere. Ma in entrambi i casi si trattava di battute. Oggi invece non è una battuta se diciamo che tutti si sentono “opinionisti”. L’argomento non importa. Non c’è trasmissione televisiva o radiofonica, della carta stampata o congressuale, negli uffici, botteghe, salotti, autobus, treni ecc. in cui nel mucchio non uno ma tre, dieci, cento non si sentano opinionisti, con pretesa di essere creduti. Si dirà che questa è democrazia, libertà di opinione, intellettualità. Bene: ma proprio che proprio non c’è chi dichiari un “Me ne frega niente perché - tanto - io rimango subordinato esecutore?”. Con tanti opinionisti a sballare qual è l’opinione vera? Dice: “Non c’è. Quella vera devi fartela da te”. Ma se non ce l’ho in quale reato incorro? Lei - signor giurista dai molti gradi - me lo vuol far sapere? Ricordo che a noi bambini la bisnonna raccontava che per un qualcosa di simile all’opinionismo a un certo filosofo diedero da bere la cicuta. Ma oggi - la cicuta - non mi pare sia più di moda. Grazie per la risposta, signor Giurista. (Febbraio 1991) Gli "Invadenti" - Alto Giurista della Corte Costituzionale 79 Davis Bonfatti Resto del Carlino 11/01/1988 LETTERE I miliardi in TV Egregio Direttore, A parte il fatto personale che non compro prodotti troppo reclamizzati per senso di “ribellione” al sistema, mi sembra che sia esasperante quel distribuire milioni e miliardi per giochi, concorsi e quiz vari o per faraoniche reclamizzazioni. Ora sarebbe da ingenui pretendere di muovere “crociate” contro queste situazioni, però lo Stato potrebbe approfittarne per introitare i miliardi di cui tanto abbisogna. Basterebbe che chi elargisce “premi” a questo o a quel titolo, fosse anche tenuto a versare allo Stato eguale importo. Davis Bonfatti, Cesena (FO) 80 Gli "Invadenti" - Resto del Carlino 11/01/1988 Davis Bonfatti Quando FIAT è “voluntas dei” Nobile signora, Dopo l’acquisto dell’Alfa Romeo e della Galbani alimentari, l’impero economico degli Agnelli si è ulteriormente allargato. Ma non le scrivo per questo. Il fatto è (sembra) che l’8 % circa di questo “impero” dovrebbe approdare nell’area delle attività produttive del cesenate. Per il “Gruppo Agnelli” (Fiat, Lancia, Autobianchi, Ferrari, Alfa e dintorni più l’indotto in generale, che spazia dai missili alle assicurazioni, dall’editoria alle telecomunicazioni, dalla Juventus agli Hotel, dall’agroalimentare ai tessili, alla borsa, alle acque minerali, alle valvole cardiache fino al leasing) quest’approdo a Cesena appare del tutto fortuito e, forse, nemmeno vero. Ma per il cesenate potrebbe essere (senz’altro sarebbe) non dico importante ma, economicamente parlando, determinante. Giusto? Bacio le mani Donna Mariasole Agnelli Teodorani Fabbri, cesenate honoris causa. (dicembre 1986) Gli "Invadenti" - Quando FIAT è “voluntas dei” 81 Davis Bonfatti Dr. Indro Montanelli Direttore de “Il Giornale” MILANO Caro direttore, Un amico da Londra mi scrive che tempo addietro in un locale di quella capitale, tra l’imbarazzo di quanti erano presenti, si è dato uno “spettacolo” dal titolo: “Hey Luciani”, un quasi musical in chiave rock sulla vita, ma soprattutto sulla morte, di Papa Albino Luciani da Canale d’Agordo nel bellunese, chiamato Giovanni Paolo Primo. La commedia – se così si può chiamare – traeva ispirazione dal libro-scandalo di David Yallop “In God’s name” (nel nome di Dio), centrato sull’ipotesi che Papa Luciani fosse stato assassinato perché stava progettando una radicale riforma delle gerarchie vaticane, maturata fin dai tempi in cui era Patriarca di Venezia. Sulla scena – venne riferito – accadde di tutto: il cardinale Villot suona la batteria, il gran maestro Licio Gelli è un mafioso italo-americano, Marcinkus indossa vestiti femminili sotto la tonaca e ordisce speculazioni finanziarie. Dietro le quinte la musica si scatena mentre una ragazza in reggicalze rosse e parrucca viola introduce i “quadri scenici” dove agiscono guerriglieri arabi, rivoluzionari sudanesi, amazzoni armate di mitra e tanti cartelli con svastiche, simboli massonici e comunisti ed altre insegne del genere per poi arrivare al gran finale con Papa Luciani, poche ore prima della sua morte, intento a compilare un lungo elenco di esponenti vaticani implicati in complicati abusi. A questo punto il Papa beve qualche sorso da un bicchiere e lentamente si assopisce stringendo fra le mani lo scritto appena ultimato e che qualcuno subito provvede a far sparire. Non ricordo – caro direttore – chi fu a dire che tutto fa spettacolo, ma su questa premessa mi pare di poter dire che sembrano essersi frantumati anche gli ultimi pallidi limiti della decenza umana. A Londra – in nome di non so che cosa – s’è giocato a spiazzare non soltanto un dogma religioso ma anche le regole del buon gusto. Può anche essere stato un esperimento, ma c’è da augurarsi che abbia insegnato qualcosa, se è vero che il pubblico, alla fine, è rimasto di gelo, indeciso se darsi alla fuga o protestare, oppure fare qualcosa d’altro, tanto era evidente che i tentativi di spacciare strampalate bidonerie sotto le spoglie artistico-avveniristiche-storiche-informative non trovano più nessuno capace di dirigerle. Con molta cordialità. (Febbraio 1986) 82 Gli "Invadenti" - Dr. Indro Montanelli Davis Bonfatti Rev. Mons. Don Pietro Galavotti Protonotario Apostolico - S. C. Cause Santi 00120 CITTÀ del VATICANO Monsignore, Ora che il Capo dello Stato d’Israele chiede con pertinace insistenza al “Sovrano della Città del Vaticano” il riconoscimento diplomatico, e siccome ritengo che questo non può essere concesso sino a quando lo Stato d’Israele non restituirà la Città Santa di Gerusalemme alle tre Religioni monoteistiche con la sua internazionalizzazione e non rispetterà la spartizione della Palestina deliberata dall’Onu, come si devono comportare i cattolici italiani? I cattolici, che come tali sono membri della Chiesa, rimangono però anche membri di uno Stato. Quindi come tutti i membri della comunità statale, i cattolici italiani sono obbligati di cooperare ai compiti e finalità dello Stato italiano che - come arcinoto - riconosce lo Stato d’Israele. Però come membri della Chiesa, i cattolici italiani sono obbligati a difendere i concetti (gli interessi) cattolici dovunque, sia in Italia (sede della Chiesa universale) che in Palestina, patria carnale di Gesù Cristo: per cui non sono tenuti a riconoscere lo Stato d’Israele. E allora - Monsignore - che devono fare i cattolici italiani se le cose stanno così com’io le ho capite? Con profonda considerazione (Febbraio 1991) Gli "Invadenti" - Don Pietro Galavotti 83 Davis Bonfatti On. Egidio Sterpa Ministro per i rapporti col Parlamento ROMA La Jugoslavia, artificiosa costruzione statale messa faticosamente insieme in funzione antiitaliana all’indomani della prima guerra mondiale, sta attraversando da tempo tensioni interne fortissime. La molteplicità delle lingue, delle etnie, delle religioni e le difficoltà economiche insanabili la stanno frantumando. In queste condizioni ritengo che si possa ripensare sia al trattato di Osimo che regalò la zona B del mai istituito “Territorio Libero di Trieste” alla Jugoslavia con la “benedizione” di tutti i nostri partiti (tranne missini e liberali), sia allo stesso trattato di pace del 1947. La verità e la storia ci ricordano la presenza millenaria della Serenissima Repubblica di Venezia in quelle terre e la vasta cultura istriana, giuliana, fiumana, dalmata e romana: in altri termini dell’Italia. Parlare quindi di una nostra nuova presenza in quelle regioni, di una risistemazione dei confini, di una revisione della cattiveria e dell’ingiustizia di Osimo, non è da ritenersi impensabile. Nulla, in politica estera, è fermo e immutabile. Non solo (o non soltanto) per le poche migliaia di italiani ancora in Istria e in Dalmazia, ma per le centinaia di migliaia di profughi venuti in Italia per sfuggire alle vendette ed alle barbarie ipocritamente sobillate. Non mi dispiacerebbe conoscere - onorevole ministro – il suo parere. (Ottobre 1990) 84 Gli "Invadenti" - On. Egidio Sterpa Davis Bonfatti On. Prof/ssa Franca Falcucci ROMA Signorina ministro, Io sono un suo ammiratore. Non sono democristiano, m’interesso direttamente della scuola non essendo insegnante, né genitore, né studente. Eppure lei mi piace. Oh, non mi confonda onorevole ministro: non parlo dell’aspetto fisico. Lei mi piace perché tutti ce l’hanno con lei. Perché è il ministro più impopolare dell’odierna Repubblica nostrana. Perché non si trova uno straccio non dirò di parlamentare o di politologo, ma nemmeno di docente o di studente che prenda le sue difese. Neanche un semplice bidello, niente. Persino nel suo vasto e multiforme partito non le lesinano critiche anche velenose. Non di rado interessate. La stampa le dà addosso in ogni circostanza. Le opposizioni parlamentari hanno chiesto più volte la sua testa. La maggioranza di governo le ha votato di malavoglia la fiducia solo per salvare un Governo traballante, per motivi che gli inglesi definirebbero di “stupidity universal bomb”. Ma è risaputo che l’humour anglosassone è molto diverso dal nostro. Noi siamo più allegroni. Non so se mi comprende. Tanto è vero che gli studenti hanno trovato in lei un bersaglio facile con quel tam-tam del “Ucci ucci diamo fuoco alla Falcucci” ed altri ancora di gusto dubbio. Lei è così signora da evitare di chiarire che le responsabilità dello sfacelo della scuola italiana le portano (più di lei) molti illustri - si fa per dire - predecessori e quelli, in tempi non ancora lontani, che pretendevano il diploma facile, la laurea politica idealmente sostenuta da sociologi bombaroli teorizzatori di una società d’egualitari. E difesa, anche, da certi genitori per i quali è più importante il “pezzo di carta” da sbattere in cornice che il pensoso apprendere della scienza. Mi sovviene che se la sono presa con lei per via dell’ora di religione. Ma lei non ha fatto che “dar seguito” a un concordato che discende niente di meno che da un evento chiamato storicamente “Mussolini-Gasparri” che poi, attraverso tempi che inesorabili passano, è stato - diciamo - consolidato da un altro capo di governo chiamato Craxi e ratificato dal Gli "Invadenti" - On. Prof/ssa Franca Falcucci 85 Davis Bonfatti Parlamento a grande maggioranza. Lei dirà che non ho citato i liberali che pure fanno parte del governo detto del “pentapartito”. Bene: l’ho fatto di proposito per non dare l’impressione di ricordare a lei che i liberali, visto il pateracchio, hanno votato contro. Lei - inoltre - viene criticata perché vorrebbe “eliminare” l’insegnamento della storia antica. Personalmente non sono d’accordo, ma le riconosco almeno il coraggio di avere suggerito una (pur che sia) riforma. Si lamentano perché lei ha ridotto i giorni di lezione: ma che poteva fare quando certe leggerezze del potere dei sindacati predicano l’avvento di settimane lavorative ancora più corte? Lei, signorina ministro, è lo specchio della nostra società. Anziché prendersela con lei molti dovrebbero prendersela con se stessi. E qui può comprendere facilmente il dove, il quando e il perché, essendo lei uno dei rari tecnici ad occupare poltrone politiche. Certo, la scuola italiana (fatte le solite rare eccezioni) è un catafascio, ma lei, fin che può, resista alle critiche e creda nella mia stima. (Marzo 1987) 86 Gli "Invadenti" - On. Prof/ssa Franca Falcucci Davis Bonfatti On. Dr. Giovanni Goria ROMA Signor Ministro, Lei non è certamente tenuto a ricordare la lettera che le mandai nell’agosto del 1987 all’epoca delle sue vicissitudini politiche ad altissimo livello istituzionale. A quei tempi furono in molti (anche del suo partito) a muoverle critiche talora impietose. Io fui, da semplice cittadino, a difenderla con spirito liberale e comprensivo. Le scrissi - in altri termini – che ai giovani tutto doveva essere perdonato: a patto che una volta disarcionato non si mettesse fra i tanti che pretendono la rivincita. Se gli anni passano per me, passano anche per lei on. Goria. Il suo temperamento piemontese ha molte analogie con quello delle genti di Romagna. Questo dovrebbe ricordarle che non essendo più «un giovane a cui tanto perdonare» l’eventuale ripetersi di passate vicende sarebbe - come si dice - diabolico. Specie in un settore, come quello agricolo, da anni impantanato in sventurate avventure. Come vede non domando alcunché. Non si pretende nemmeno che lei cambi le assistenze (se ce ne sono ancora) ai produttori ed alle loro cooperative. Si vorrebbe soltanto il cambio della mentalità assistenziale. Si vorrebbero approfondite le linee del compianto Marcora che di lei fu maestro e che per gli agricoltori resta l’incarnazione di una rimpianta età. Transitando dalle parti di Cesena venga al «Fruttadoro». Troverà, con la nostra accoglienza cordiale, una targa bronzea murata da anni nel frontale dell’edificio che certamente potrebbe ricordarle almeno un capitolo della sua vita politica. “RUSTICUS” Gli "Invadenti" - On. Dr. Giovanni Goria 87 Davis Bonfatti Davis Bonfatti Una Romagna chiamata “Fruttadoro” Gli "Invadenti" - On. Dr. Giovanni Goria 89 Davis Bonfatti Davis Bonfatti Romagna è … Dante la pose “tra il Po, il monte, la marina e il Reno”. Grosso modo vi comprese anche Bologna che non ne fa parte poiché i confini della “Regione Romagna” vengono siti dal Sillaro fino alla confluenza nel Reno, poi da questi alla sua foce e dallo spartiacque appenninico al mare di Punta Focara fra Cattolica e Pesaro. Dentro questi limiti coesistono peraltro, per molteplici motivazioni, oltre alle due province di Ravenna e Forlì con Rimini, anche territori toscani di Arezzo, Firenze e del bolognese; quasi tutto il Montefeltro ed altri di Pesaro e Urbino, non esclusa la Repubblica di San Marino che – geograficamente parlando - romagnole non sono. La Romagna appare dunque abbastanza ben delineata e, per quanto si sappia, esprime un’identità etnica che si dice risalga al tempo dei Celti che vi s’insediarono nel V secolo a.C. È vero che la Costituzione repubblicana del 1948 l’ha abbinata all’Emilia, ma è parere di molti che sia stato un “disguido”, perché la Romagna per le sue particolari caratteristiche geografiche, etnografiche, i dialetti diversi, la storia e le tradizioni, l’economia, i secolari concetti di libertà e di pensiero, la sua atavica indipendenza, l’hanno da sempre distinta dalle regioni contermini. “Nessun’altra regione - come scrive la Vianello Di Renzo - può vantare tanta varietà di paesaggi come la Romagna: un trapezio di terra corroso nella parte montana da torrenti che a valle diventano fiumi talvolta sregolati; lassù a volte magra e stentata fino a mostrare l’ossatura dei suoi calanchi nei Mandrioli o dell’alto Bidente, quaggiù grassa, polposa, incredibilmente fertile di terre arate, vigneti e di frutteti”. “Fruttadoro di Romagna”, come s’usa dire oggi sui mercati e sulle mense europee. Gli "Invadenti" - Romagna è … 91 Davis Bonfatti Il “Concetto Fruttadoro” e la realtà Si era discusso a lungo, verso la fine del ‘67, in taluni bar della periferia di Cesena e dei comuni del comprensorio spesso in un mare di fumo - non di rado tra un marafone e l’altro di come fare un’organizzazione di buon livello cooperativo capace di interessare veramente i produttori ortofrutticoli grandi e piccoli e, possibilmente, giovani d’età. Nelle discussioni, talvolta anche non pacate, era nato - si fa per dire - anche il nome da dare alla cooperativa: “FRUTTADORO di ROMAGNA”; con quel “Fruttadoro” tutto d’un pezzo in barba ad ogni regola. Per la verità “storica” l’insegna sortì involontariamente allorché, con l’impeto oratorio romagnolo che a turno personalizzava i promotori, uno sbottò fuori con un “Ciou burdél, mo la frota l’è òr” che fece colpo. Veramente di cooperative in giro ne esistevano già molte in zona, qualcuna anche sui generis tanto per non smentire le tradizioni ma, per un verso o per l’altro, tutte già “accasate” con tanto di bandiera. E una Bandiera, in Romagna, è “la” Bandiera. E provatevi a sostenere il contrario. Quando - poi - i discorsi si facevano più analitici e buttati sui soldi, ecco qualcuno venir fuori per dire che le cooperative erano già tante, che i grossi produttori preferivano trattare direttamente con gli esportatori e che, volendo, fin dall’epoca del papato in Romagna, esistevano i bagarini pronti dietro l’uscio. Un mercato fatto così - insomma - ma che grazie a Dio tirava, e certe argomentazioni proiettate al futuro erano in pochi ad ammetterle. 92 Gli "Invadenti" - Il “Concetto Fruttadoro” e la realtà Davis Bonfatti Questa pubblicazione (un semplice “spaccato” di vita contemporanea) viene cordialmente offerto alla lettura dal “GRUPPO FRUTTADORO di ROMAGNA” - CESENA che sul mercato europeo dell’ortofrutticoltura opera da oltre vent’anni, con l’apporto di 3.500 produttori, con il marchio: PRODOTTO GARANTITO. Questo prodotto è ottenuto con l’applicazione della tecnica biologica di lotta integrata e di lotta guidata, costantemente seguite dallo staff dei tecnici agricoli delle Coop componenti il Gruppo Fruttadoro. Analisi di laboratorio continue, per campione, ne garantiscono la perfetta rispondenza alle norme di Legge. Pertanto il Gruppo Fruttadoro garantisce che il prodotto contenuto in questa confezione è sano, garantito, e può essere consumato da tutti per beneficiare delle qualità organolettiche e vitaminiche che questo frutto contiene. Nel settore dei surgelati è presente con i marchi: OROGEL, MARMELLATE SOLOFRUTTA, FRUTTADORO DI ROMAGNA. L’avvio promozionale del “Fruttadoro” non è stato facile. Diffondere l’iniziativa, spiegarne i concetti, convincere gli increduli, colloquiare non di rado con chi a farsi convincere ci teneva poco, era impresa ardua. Girare per le campagne, dal cesenate al ravennate, fino al ferrarese, era facile solo a dirsi. Creare d’attorno fiducia e credito, domandare una firma (talvolta qualche mille lire) sulla parola, in ambienti che prima di darti una mano intende vedere chiaro se la mano che chiede è pulita, è cronaca tutta da raccontare… Una cronaca talvolta disadorna, fredda; talvolta esaltante, umana, sempre viva che ancora continua dilatata nel tempo e sviluppata nel progresso. Gli "Invadenti" - Il “Concetto Fruttadoro” e la realtà 93 Davis Bonfatti Tra cronaca e storia E tutti (o quasi) dissero O.K. Saranno I postumi dell’effetto Golfo Persico a suggerirne scioccamente l’immagine ma in giro c’è l’impressione che il mondo cooperativo Italiano sia tutto preso - o quasi - da grandi manovre prima di intraprendere la grande battaglia che non potrà che essere transnazionale. E così quando è stato detto che non era più il tempo di concorrenze all’interno della cooperazione ma di affrontare il mercato e che bisognava aggiornarsi proprio nell’interesse dei produttori operando secondo economie di scala e secondo analisi di mercato che tenessero conto dei costi e dei benefici, ecco tutti a dire O.K. che così andava bene. Anche perché, al momento, non venivano offerte idee sostitutive per la sopravvivenza economica del sistema cooperativo. Qualcosa di simile, del resto, va accadendo anche nel mondo sindacale. L’idea cooperativa nata oltre cent’anni fa principalmente come Opera di Mutuo Soccorso Nell’ambito di un principio sociologico insito nel solidarismo cattolico, è stato via via stravolto da motivi tecnici e da opportunità di comodo, specie allorquando bandiere politiche la fecero propria fino a depauperarne statuti e intenti. E su tante piccole debolezze si costruì talvolta una debolezza più grande. Patrimoni ingenti economici e morali buttati nel rusco per iniziative soltanto sulla carta o nel deserto. 94 Gli "Invadenti" - Tra cronaca e storia Davis Bonfatti Il ridisegnamento Di questa immagine oggi se ne tenta il ridisegnamento attraverso accorpamenti, confluenze, fusioni anche non indolori per arrivare ad una più diffusa cultura cooperativa d’impresa, in una nuova managerialità, secondo un processo di ristrutturazione il cui prezzo economico, ideologico, strategico resta tutto da definire. Il futuro dell’agricoltura è anche il futuro della cooperazione. Le incertezze ed i rischi impliciti di una liberalizzazione dei mercati agricoli, costituiscono anche per le cooperative agricole un problema non indifferente a causa di un mercato agroalimentare profondamente cambiato rispetto al passato tradizionale. In questo contesto le cooperative e le loro organizzazioni di più elevato grado vengono a contatto con imprese di portata nazionale ma soprattutto con grandi gruppi transnazionali che controllano quote sempre maggiori negli scambi dei prodotti e specialmente condizionano il sistema agroalimentare nella fase decisiva della distribuzione avendo un rapporto diretto con la domanda. Gli "Invadenti" - Il ridisegnamento 95 Davis Bonfatti Restare alla pari Ora, fusioni od accorpamenti più o meno all’italiana a parte, o viene costruito qualcosa di più avanzato di quanto viene fatto in altri Paesi o si va a “confondersi” con loro. In quest’ultima evenienza c’è chi raccomanda di “mettersi con i più forti” con la volontà di almeno restare alla pari. Insomma, cambiali per pagare il costo delle innovazioni le cooperative possono anche essere indotte a rilasciarle, ma con la firma in bianco lo dubitiamo. Se già oggi nessuno regala più niente, figuriamoci domani. Anche la varata costituzione di società finanziarie fra enti bisognosi di risanamento e centrali cooperative pur sempre gelose di passate autonomie, non saranno esperienze facili da superare in presenza dei grandi processi di trasformazione dei sistemi produttivi e dei nuovi rapporti internazionali 1993. Ci sembra essere nel vero chi sostiene che il benessere viene giocato solo nel rapporto tra capitalismo, democrazia e libertà e che il pericolo più grosso che corriamo è quello di pensare che il presente possa essere gestito come il passato e il futuro come il presente. Conclusione: strategie operative da discutere per il loro consolidamento le nostre cooperative di base indubbiamente ne hanno a tutto campo. Ma è giusto che sia così. Davis Bonfatti 96 Gli "Invadenti" - Restare alla pari Davis Bonfatti La struttura “Fruttadoro” - 18 cooperative ed enti consorziati - 9 stabilimenti di lavorazione - 3.000 soci produttori - 1106 dipendenti fissi o stagionali - 1.250.000 ql di prodotti (tra freschi, surgelati e confetture) - 160 miliardi di fatturato (1990) - 2 laboratori scientifici di ricerche e sperimentazioni - ~ 7.000 ettari associati per i conferimenti di prodotti freschi al “Fruttadoro” e per i surgelati “Orogel” Della produzione conferita dai soci, oltre 850.000 quintali sono destinati al mercato del prodotto fresco ed il rimanente viene assorbito dalla surgelazione per il marchio “Orogel” ed a quello delle confetture. Più del 60% della produzione (principalmente del prodotto fresco) viene collocato sui mercati esteri. Nel complesso le celle-frigo presentano una capacità totale di oltre 300.000 quintali. Investimenti vari nelle strutture per circa 49 miliardi nel corso dei primi venti anni di attività del “Gruppo”. Ulteriori sviluppi sono in corso per le associate: “VITRO-PLANT” per la moltiplicazione in vitro delle piante, “SEMEDORO” per lo sviluppo dei servizi collettivi e “CAPORALI” per la produzione delle mostarde di Romagna “ Orofrutta “ Gli "Invadenti" - La struttura “Fruttadoro” 97 Davis Bonfatti Davis Bonfatti Documenti e Commenti Gli "Invadenti" - La struttura “Fruttadoro” 99 Davis Bonfatti Davis Bonfatti Il commento E’ appurato che se una grande industria deve licenziare un migliaio di operai, tutta la nazione viene fatta agitare di commozione e il Governo si dimostra subito disponibile per imporre sacrifici. Ma se la progressiva desertificazione dei territori agropastorali collinari e montani del nostro paese denuncia che 50 o 60.000 addetti hanno dovuto abbandonare l’attività e sono rimasti senza possibilità di altri impieghi, l’avvenimento non fa neppure notizia. §§§ Al cameriere che a complemento del pranzo vi suggerisce ossequioso “una fresca fetta di asahi miyako dark green per dessert”, non opponetegli la vostra faccia stupita - quel cameriere - avendo letto quanto di recente pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della nostra repubblica - ha inteso soltanto offrirvi una fetta di anguria. §§§ A me l’hanno raccontata così: Pinocchio non “morì” quando si trasformò in un bambino in carne ed ossa: Pinocchio restò tale per tutta la vita come lo costruì Mastro Geppetto. Anzi: divenne adulto, invecchiò, ebbe un figlio. Morì amareggiato - è vero – ma per via del figlio, della vita grama vissuta, per le cose che gli avevano fatto dire e che lui (Pinocchio) mai si era sognato di dire. E poi quel figlio tutto sbagliato, sempre in giro per le piazze a portar bandiere e cartelli della contestazione, dove l’unica cosa da fare era di urlare invettive e quella da non fare era di lavorare. Ora Pinocchio è li, morente, e chi gli è accanto sente nel rantolo l’ultima preoccupazione: la sorte di quelle sue “tre vacche nella stalla” e che qualcuno dovrà pur badarci perché non si può aspettare a lungo che il figlio ritorni per prendersi cura di un bene messo su impiegando - diceva - una vita. §§§ “Intendiamo promuovere un’azione di risanamento economico finalizzato alla difesa e allo Gli "Invadenti" - Il commento 101 Davis Bonfatti sviluppo dell’occupazione in coerenza con l’utilizzazione delle risorse esistenti e attraverso iniziative, che riducano l’inflazione, rilancino la produttività, introducano un rigore che, nel rispetto dell’equità, riordinino e rendano efficiente il sistema economico nazionale”. Il “documento” che abbiamo riportato per intero (dove c’è tutto di tutto) è lo stralcio di un programma di governo di un partito che si dice vada per la maggiore. Sintassi a parte, la prosa ci ricorda i requisiti prescritti nel “regolamento ferroviario” del 1938 dove (per il trasporto delle damigiane) gli involucri dovevano essere “flessibili ma abbastanza rigidi, resistenti all’urto ma non duri”. §§§ Ormai sembrano tutti d’accordo: la nostra Costituzione non va più bene. Ha appena quarant’anni ma ne dimostra molti di più. In verità nacque condizionata, e in più parti distorta, dalle ossessioni. Perciò evirò l’Esecutivo attribuendo esagerati poteri al Legislativo. Viziata da un certo tipo di ultraparlamentarismo e da enfasi predicatorie, oggi mostra la corda. Una sua revisione è urgente. §§§ In pratica - in Italia - non si è ancora fatta né una politica anticongiunturale seria né si sono attuate le riforme di cui abbiamo bisogno. Si è discusso, si è polemizzato, ci si è talvolta incattiviti ma l’appuntamento con la realtà è stato sempre rinviato. AI massimo si sono fatti dei rattoppi per decreto che poi si sono regolarmente scollati. L’agricoltura (per parlare di casa nostra) ha una struttura produttiva ancora sostanzialmente sana. Però chiede punti fermi. Segnali precisi lungo una rotta non dichiarata. Sia sui suoi problemi interni che con l’estero. Dicevano i nostri padri che bisogna sapere navigare: siano le acque alte o basse. L’importante è avere una pertica per non incagliarsi. Ecco all’Azienda Italia serve una pertica per non naufragare. Una semplice “pertica” che si chiama realismo. §§§ Nell’uso che è invalso di andare a ripescare tutti gli anniversari, vorremmo che trovasse posto il ventennale di una famosa lettera che Emilio Colombo, all’epoca ministro del Tesoro, inviò al presidente del Consiglio Aldo Moro, alle prese con il suo primo e breve governo di centro-sinistra. La rievocazione sarebbe giustificata da tre motivi: il primo è che quella lettera (che pure provocò una crisi di governo) rimase sempre un segreto di stato; il secondo è che essa prefigurò con estrema lucidità i rischi cui il sistema economico italiano andava 102 Gli "Invadenti" - Il commento Davis Bonfatti incontro; il terzo è che oggi, dopo vent’anni, siamo ancora a colluttare con i medesimi problemi. §§§ Contrabbandare le sconfitte come altrettante vittorie sembra essere la nuova «bandiera» di questa nostra epoca. Ma i conti non tornano. Non tornano da una quarantina d’anni allorché diedero al nostro Paese norme e «carte» di vita figliastre di quei tempi difficili. Per mille segni (culturali, economici, sociali, politici) la necessità di profonde riforme istituzionali non è più procrastinabile. Anche contrabbandando per libertà democratiche le debolezze istituzionali si può morire. §§§ Quarant’anni fa un mostruoso diktat tolse all’Italia antiche terre venete costringendo mezzo milione di giuliani, dalmati ed istriani all’esodo più drammatico del nostro dopo guerra. Giornate fatte di speculazioni ignobili, di silenti ufficiali ancor oggi ripetuti, di rabbia impotente e di nostalgie amare alimentarono la diaspora di quelle genti. Gli "Invadenti" - Il commento 103 Davis Bonfatti Davis Bonfatti Quando la storia si ripete I ricordi lontani sono come il primo amore: difficili da dimenticare. Se il mio primo amore aveva nome Olga, il ricordo inciampa nei Consorzi Agrari. Attorno agli anni trenta del 1900 mi trovo anonimo accompagnatore di Carlo Pareschi che per via di certi precedenti è un poco di casa con Mussolini dal quale un giorno si fa ricevere per esporre con “cameratesca franchezza” uno sconsolato parere sulle disfunzioni della Federconsorzi e di taluni Cap di quei tempi. Il Duce ascolta e dice: “... Provvederemo!” Poi come parlando al vento conclude: “...purché non finisca tutto con un colpo di spugna”. La storia - come noto- ama ripetersi. Arriviamo agli anni ‘60 e per circostanze più forti del mio scarso potere mi faccio ricevere a Roma da un certo rag. Leonida Mizzi che alla Federconsorzi è conosciuto da una moltitudine. Espongo al ragioniere i motivi di un diffuso malessere sulla gestione di taluni Consorzi Agrari e poi aspetto adeguate risposte. Il cav. Mizzi resta un poco in silenzio, si passa una mano fra i capelli grigi ben curati, schiaccia un bottone da una tastiera ed al messo che compare nella stanza dice, rivolto a me: “Si accomodi”. E siccome indica la porta esco. Passano ancora trent’anni e siamo ai giorni nostri. Molti personaggi sono nel frattempo entrati ed usciti dagli accoglienti saloni federconsortili di Roma e dintorni. Diversi sono scomparsi dalla vita terrena. Ma quello che non è mai scomparso è quello strano malessere che praticamente da sempre ha accompagnato (e solo gli storici di queste cose troveranno i perché) le vicende della Federconsorzi e dei suoi Consorzi periferici. Dicono che il futuro dell’Ente sia nelle mani del Banco di Santo Spirito (e dei giapponesi). Può darsi. Ma sarebbe più rassicurante se il tutto fosse nelle intenzioni del solo Spirito Santo. Ma questa è una battuta ignobile di cui mi vergogno. RUSTlCUS Gli "Invadenti" - Quando la storia si ripete 105 Davis Bonfatti Questa sera corsa tris Vi partecipano: - Cesena - Un ippodromo - Alcuni cavalli - Diversi personaggi - Una decina di miliardi di lire - Una folla urlante per un cavallo che vince - Altra folla urlante per un cavallo che “rompe” Raccontano che tutto (o quasi) cominciò col cavallo. Da secoli. Non ci sono battaglie, trasporti, collegamenti, fughe che non abbiano avuto per protagonista l’intelligenza, il coraggio, la duttilità di questo animale. Un nobile tra nobili. Nella Roma dei cesari avere un cavallo era titolo di merito. Arrivò perfino a “valere un regno”. Almeno così fa dire Shakespeare a Riccardo III alla battaglia di Dsoworth nel 1485. Ma era solo un’invocazione. Fu familiare (il cavallo) agli indoeuropei e, assieme, ai popoli turco-arabi. A sua patria d’origine può essere citato il territorio stepposo sito tra l’Asia e L’Europa dalle parti del Mar Caspio. Più tardi, dopo la sua diffusione unita all’ammirazione di “animale superiore”, lo troviamo sia presso gli Egizi ed i Sumeri che gli Assiri. Arabi ed Ebrei furono tra i primi che usarono il cavallo per il traino del “carro di guerra”. Nei film western il cavallo fa rivivere intense pagine da epopea. Carne, latte, pelle per le necessità della vita dell’uomo sono il cardine di questo animale. Anche se, da qualche parte; questo utilizzo viene definito cannibalismo. Dal Bucefalo di Alessandro ai giorni nostri è però negli ippodromi che il cavallo meglio esprime talune delle sue molteplici capacità. E quando si è voluto dare una misura alla 106 Gli "Invadenti" - Questa sera corsa tris Davis Bonfatti potenza del motore, non si è trovato di meglio che chiamarlo “cavallo vapore”. É l’unico animale che sia riuscito (con l’elefante) ad avere un nome e un posto nella storia. Ci sarebbero anche le oche, ma questo non fa testo. Per quanto possa apparire non credibile, viene detto che le prime corse al trotto (documentabili) vennero disputate nelle Olimpiadi antiche; cosa che non sarebbe disdicevole se ai tempi odierni venissero reinserite. Addirittura si ha notizia di una gara effettuata nel 445 a.C. vinta da Pataikos nella città di Dime. Nell’era moderna sono parecchi i paesi che si contendono l’onore di aver dato per primi l’avvio delle corse al trotto come, più o meno, le intendiamo oggi. Pare (il condizionale è d’obbligo) che la prima gara sia stata disputata in Russia nel 1775 mentre le prime “piste” ufficiali siano state costruite in America (Long Island) nel 1825 ed in Francia (Cherbour) nel 1836. In Italia il documento più antico che si conosce sarebbe il manifesto della “Corsa per Sedioli” organizzata a Padova il 13 agosto del 1908 in quella grande piazza che veniva chiamata (ed ancora si chiama) Prato della Valle. Ma già dopo qualche decennio già si correva in Romagna ed in altre regioni e fin da allora si scommetteva sui risultati. §§§ A Cesena - per dirne una - è tradizione che ai primi di settembre si corra all’ippodromo del Savio - in un impianto per le gare in notturna fra i più moderni esistenti - il Campionato Europeo di trotto con la formula del vincere, nella stessa serata – due prove su tre. Gli "Invadenti" - Questa sera corsa tris 107 Davis Bonfatti I. É stato detto, per antiche ragioni, che se a Cesena non ci fosse l’ippodromo bisognerebbe inventarlo. Tanto meglio: così non c’è niente da inventare ma tutto da vedere. E chi volesse saperne di più sul mondo del trotto, sui cavalli, sui drivers, sugli artieri e “faccendieri” che attorno a questo mondo ruotano, non cerchi qui la risposta. Vada di persona a coglierne l’essenza. Il “miracolo” dello sport del trotto non è dato dalle luci o dal mondo barracandiero che lo circonda: è dato da un qualcosa di più che sta a monte dove si creano le premesse per l’ultimo atto che avverte “i cavalli si avviano alla partenza”. Quello che segue poi è soltanto fantasia che la folla accompagna con l’urlo talvolta gioioso, talvolta deluso. Come per tutte le cose. II. Sono tentato. Il rischio è parte integrante della mia indole. Ci provo. Nell’androne sotto le vaste tribune mi butto nella mischia per tentare un cinquemila di fortuna. La ressa è molta ma confido di farcela. Errore. Dall’altoparlante una voce annuncia che” i cavalli si avviano alla partenza” ed allora tutti scappano fuori mentre i vetri calano sulle custodie, a chiudere i residui multicolori biglietti del gioco. Mi ritrovo solo nell’androne che sembra ancora più grande a rigirarmi fra le mani il cinquemila scampato. Dalla folla viene l’urlo: “Ha rotto, ha rotto”, ma non sento alcun rumore di qualcosa che si è infranto. Forse debbo farmi una cultura. III. Dice: “Beh, che ci vuole per suonare una campana?”. E invece no. La campana, quando si tratta di corse al trotto con cavalli in pista in disaccordo, bisogna suonarla così e cosà e non diversamente. La legge è uguale per tutti, almeno all’ippodromo. Poi via in gruppo serrato dietro la decapottabile bianca con le ali a rientrare. “Angelo” e lucciola insieme. Che per via dei zik zik gialli di coda, quando le cose non vanno bene, obbliga a rifarle. IV. Fra i giovani, oggi - cavalcando potentissime moto dalle strutture tecniche altamente elaborate o al volante di possenti automezzi 4x4 - impera il Cross, il Trial, il Country, il fuoristrada e qualche altra diavoleria. Attraverso queste speciali competizioni od anche soltanto per diletto, i piloti prendono diretti contatti con la natura, convinti di fare dello sport nell’ecologia. Ci sembra che se sport è, vero è anche che (ecologicamente parlando) è una forma di abbruttimento dell’ambiente. 108 Gli "Invadenti" - Questa sera corsa tris Davis Bonfatti V. Al di fuori di una prospettiva di esagerata industrializzazione sportiva o dilettevole, condurre un mezzo meccanico “fuori strada” non vale certamente una passeggiata a cavallo sullo stesso percorso. E’ come vivere dal di dentro della natura. VI. Le discipline ippiche sembrano (a parere degli intenditori) il mezzo migliore per rilanciare decisamente l’immagine del cavallo. I 18.000 del “parco trottistico” italiano ed i circa ottomila di quelli “da sella” sono ancora pochi: oltretutto limitati nell’impiego a costi spesso proibitivi. Ben di più si potrebbe fare attuando una politica più attuale a partire dagli allevamenti. Per portare alla possibilità di tutti il cavallo. VII. Dice: Parliamo del cavallo? -- Parliamone - dico -- Il cavallo è nobile. -- Beh? -- Anche quando tira un carro. -- E allora? -- Il cavallo, quando corre forte, sembra che le sue gambe non tocchino terra. -- E con questo? -- Come Mennea ai suoi tempi. -- Chissà com’è contento. -- Il cavallo? -- No, Mennea. -- Che c’entra? -- Chi? -- Mennea. -- Ma non si parlava del cavallo? -- E allora? -- Allora niente. Ciao. -- Ciao. Gli "Invadenti" - Questa sera corsa tris 109 Davis Bonfatti VIII. All’ippodromo, se vi capita di guardare su verso l’alto della tribuna, dove regnano sotto vetro i santoni della cronaca, non potete non notarlo. Stakanovista preciso, con qualunque tempo, non manca mai. Il giorno dopo, sulle cronache, racconta tutto. Anche quello che tu - distratto - non hai visto. Il suo volto non dice niente; fa eccezione il pelo rossiccio. Ed un sorriso largo che non si sa bene fino dov’è canzonatorio. É un tipo. Nella “galleria dei ricordi del Savio” - un giorno – ci starà meritatamente. IX. Uno che conosco di vista e che di mestiere ha fatto lo scassinatore, mi ha confidato che non è importante quello che c’è dentro la cassaforte della Società corse quanto, piuttosto, la cassaforte stessa. Vero pezzo da museo. X. Il miglior punto di osservazione in un ippodromo (per un buongustaio in cerca di emozioni “trottistiche”) è quello sulla prima curva dopo l’arrivo. E’ lì che si captano dopo la conclusione della prova i complimenti reciproci, non sempre fraterni, che i protagonisti si scambiano. XI. “007: giudice o spia” potrebbe sembrare il titolo di un film d’azione. E invece no. Più semplicemente è l’auto blu notte che a fari spenti, guatando nel buio, dall’interno della pista segue ogni corsa. I cavalli, muniti di paraocchi, forse la non la vedono, ma i loro conduttori no, la vedono benissimo. E la temono. Perché da quell’abitacolo talvolta viene trasmesso un ordine che - ingigantito dagli altoparlanti - suona così: “numero quattro: squalificato”. E dalle tribune al parterre non di rado un’imprecazione boia sale al cielo come un tuono estivo. XII. Gridare festoso della folla, luci sfolgoranti nella notte, inno nazionale, bandiera, un mucchio di gente d’attorno a stringere come in un grande abbraccio Pershing, cavallo vincitore dell’Europeo sulla grande pista di Cesena. Lui è abituato alle grandi vittorie, ma un titolo è sempre un titolo. Perciò alla premiazione abbassa un poco la sua testa superba di bellezza per ricevere la corona di alloro. Ne addenta un rametto, così, tanto per ricordare che la vittoria è stata - anche - sua. XIII. 110 L’inno della sua patria lo accoglie per la premiazione. Il titolo europeo è suo. Lindstedt, dondolandosi composto e lieve a bordo del sulki, si toglie il casco in segno di rispetto. I biondi capelli resi più vividi dalle luci, lo fanno sembrare un vikingo da leggenda: approdato vincente dopo aver domato la contesa. Gli "Invadenti" - Questa sera corsa tris Davis Bonfatti XIV. Lui - nella storia - è il caro grande “vecchio” della trottistica e quando corre lui c’è di mezzo la bandiera e la gente di Romagna s’incendia e vorrebbe il miracolo. Ma i miracoli - pur sulla pista resa magica dalla tecnica - sono duri a venire. Anche le conquiste hanno un limite. Ti abbraccio vecchio generoso Delfo. XV. Tra luglio e settembre, nonostante la “stazza” che con tenacia tenta di ridurre, è come una bandiera “sbattuta dai venti”. Però com’è capace lui di condurre le “pubbliche relazioni” di più non è possibile. Nemmeno col turbo. Imprevedibile, instancabile, impuntuale da sempre (qualche volta anche uomo di toga) è il “cavallo vincente” del Savio e dell’Arcoveggio. Quando non vince, quantomeno si piazza. XVI. La corsa sfila via veloce sulla pista che sembra di seta grigia. Tutti la vedono, la seguono, la commentano. Ognuno a proprio uso e consumo. Soltanto lui - la voce - insiste potente in una specie di radiocronaca, illudendosi di essere ascoltato. E di non sbagliare. XVII. Improvvisamente s’è stancato del sulky, delle briglie, del driver, della capretta, delle cure dell’artiere, delle frustate nei fianchi, del gridare della folla. Ha piantato tutto e s’è messo in proprio. Libero. Di sorpresa è “scappato dalla cuccia” e si è buttato in pista. Inanella giri su giri a coda dritta, ogni tanto sgroppando a balzi. Poi stramazza esausto. Fulminato dalla gioia di sentirsi libero. XVIII. Ogni tanto sulla pista resa più vivida dalle luci, si rincorrono un trattore col coperchio che trascina una grande scopa; un trattore senza coperchio che spinge un’altra grande scopa e un’autobotte che spolvera acqua. Ma nessuno scommette un soldo su di loro. XIX. Una corona di alloro al collo del cavallo vincitore, una coppa al proprietario, una medaglia al guidatore. E tante feste d’attorno di addetti e di intrusi a sgomitarsi in primo piano per la foto di rito dell’eterno Calbucci. XX. Se anche mi ha fatto fesso la colpa non è sua. L’ho “giocato” forte e vincente perché occulte vie mi avevano mormorato il suo nome. E sono stato al gioco. Alla sgambatura mi era sembrato un dio. Scattante, lucido, potente. Bella la criniera alla brezza della notte. Alla partenza l’ho seguito palpitando, l’ho visto anche in testa, poi alla seconda curvatura l’ho perso nel mucchio. All’arrivo era in coda, buon ultimo. E volgendo un poco la testa verso il Gli "Invadenti" - Questa sera corsa tris 111 Davis Bonfatti pubblico ghignava anche, il bastardo. XXI. Lo chiamano driver ma è soltanto un modo come un’altro per dare l’impressione di conoscere la lingua inglese. Ma il punto non è questo. L’importante sta nel capire come faccia a tenere, in contemporanea, le redini, il cronometro, il frustino e, non di rado, un secondo marcatempo. XXII. Maniscalco: una professione la cui origine si perde nella notte dei tempi. E’ (quasi) una scienza. A volte basta aumentare o spostare di mezzo millimetro il ferro nello zoccolo del cavallo per ottenere risultati che, diversamente, non verrebbero. Una ricerca oculata, difficile, paziente dove ogni cavallo costituisce un’esperienza. XXIII. Nell’archivio fotografico della vecchia e gloriosa Società Cesenate Corse al Trotto la sua immagine di “padrone di casa” è presente a migliaia. In particolare non manca mai alle premiazioni. Puntuale, compito, sorridente, distinto nei modi e nel vestire si porta appresso con disinvolta natura la propria stazza. Non è il “capo” della società, ma viene subito dopo. Lo studio privato con finestra grande a guardare una piazza importante di Cesena è come un museo: ingombro di trofei, foto, lettere autografe incorniciate, manifesti di ieri e dell’altro ieri. E tanti ricordi. Una stanza che vale la pena di visitare, se lui permette. XXIV. Lui, lei e un ragazzo. Rossiccio di pelo lui, spessi ricciolini biondi su capelli corti lei, tarchiatello con occhiali e capelli color stoppa cotta nel vino il ragazzo. Provengono, indubbiamente, dalla vicina spiaggia di Cesenatico ed altrettanto indubbiamente sono del Nord Europa. Siedono compostamente in tribuna a mezza costa, non parlano e non si agitano. Nemmeno quando il finale della gara è incerto. Guardano la folla; l’ambiente, le corse con distacco. Passa il gelataio a scomodar la gente con la cassetta ingombrante ed ognuno dei tre si serve. Il ragazzo preferisce un ghiacciolo. Alla terza corsa passano prima il piadinaro con le fette imbottite di prosciutto e poi il solito ragazzo dalla cassetta ingombrante con la Coca-Cola e l’acqua tonica e i tre si servono nuovamente. Alla quarta disputa l’uomo scende al piano e ritorna con pacchetti di noccioline e lupini. Mangiano con metodo, lentamente. I gusci dei lupini non finiscono a terra ma vengono riposti nel cartoccio: educatamente. Ripassa alla quinta tornata l’addetto alle bevande e il rifornimento idrico si ripete puntuale mentre in pista la solita disfida tra uno dei Bald e il Clementoni (con il 112 Gli "Invadenti" - Questa sera corsa tris Davis Bonfatti Bechicchi a fare da terzo incomodo) passa veloce. Ancora ripassa il petulante venditore dalla cassetta ingombrante e il ragazzo frigna a lungo un qualcosa che non capisco ma non becca niente. Escono alla penultima gara, uno dietro l’altro in fila a passo ritmato. Anch’io - dopo l’ultima sconfitta al totalizzatore - esco mentre le grandi luci si spengono. Fra gli appassionati qualcuno ride e qualche altro impreca piano. Alla pizzeria d’angolo chi c’è? Ci sono loro tre, perbacco, davanti ad una pizza grande così e due boccali di birra scura. Al ragazzo acqua minerale (grande). All’Ippodromo del Savio - di sera - ci si va anche per passare qualche ora così. Gli "Invadenti" - Questa sera corsa tris 113 Davis Bonfatti Davis Bonfatti Quando le lucciole sembrano lanterne Gli "Invadenti" - Questa sera corsa tris 115 Davis Bonfatti Davis Bonfatti … Questa è Romagna Sole, pinete, spiagge infuocate, terme sorgive, donne abbronzate. Verdi colline, calanchi argentati, fiori da miele a cento sui prati. Frutteti, fragole, orticoli a josa, bietole e grano su terra buona. Se intensa è la vita del romagnolo, nelle campagne più forte è il lavoro. Bello al mattino, quando all’aurora canta col gallo la “gramadora”. Gabbiani, rondini, lucciole a sera, grilli in concerto per l’atmosfera. Cavalli al trotto al “Savio” d’estate, “rustide” di pesce col Sangiovese. Sapore di mosto nell’aria autunnale, neve d’inverno nelle contrade. Un marafone giocato alla buona, un valzer volato alla birbona, una cantata andando in campagna, … beh questa è Romagna Gli "Invadenti" - … Questa è Romagna 117 Davis Bonfatti La sabbia stanca A fine settembre La sabbia ormai stanca M’accoglie svogliata. Tenue è il sole Più tranquillo il mare Dopo gli assalti a luglio. Qua e là qualche luce a sera Più a richiamar ricordi Che a goder la vita. 118 Gli "Invadenti" - La sabbia stanca Davis Bonfatti Pensione-Soggiorno in Riviera Pensione-soggiorno per vecchi ed anziani d’inverno in riviera vicino a Lavagni. Coppie a rimorchio i passi tremanti, un ombrello a bastone a reggere gli anni. Diverse signore a gruppo ciarliere, parlano fitte in cento maniere. Tre vecchi discutono urlate opinioni, ma sembran tre sordi di un solo copione. Quattro alle carte fan lo scopone tra un mare d’insulti ad ogni occasione. Un gruppo vociante discute a più mani (Craxi, Zanone, Andreotti, Fanfani) e vengon risolti problemi e magagni, di oggi, di ieri e di dopodomani. Ma l’ora del pranzo ormai s’avvicina, i gruppi si sciolgon e il mare respira. Ritmico sbattere di piatti e posate, a tavola sembrano tutti affamati. La minestrina, la formaggina, il riso in bianco, l’acqua salina. La mela cotta, la pera matura, latte al mattino e a cena il budino. Il telefono squilla: “c’è la Cesira?” no - prego - io sono la Elvira di Pisa. Mimose a josa, fiori sui prati, ardite colline d’ulivi argentati. Gabbiani in volo, vele sul mare, l’anziano a Lavagni ritorna a sognare. Gli "Invadenti" - Pensione-Soggiorno in Riviera 119 Davis Bonfatti L’Onda Burrascosa l’onda, d’impeto sulla scogliera urlando s’abbatte, sfinita, come atleta sul traguardo per la vittoria ambita. 120 Gli "Invadenti" - L’Onda Davis Bonfatti Cecilia Carlotta Dalla finestra di casa mia che guarda spaziosa sulla via cittadina, vedo passare ogni mattina un’alta, magra svelta vecchina. Cappellino di feltro un po’ smunto, frappa celeste sull’abito stinto, guanti, stola, borsetta d’argento, un ombrellino stile ottocento. Né da dove tu venga conosco perciò stasera immaginare mi piace di lietamente con te conversare nel tuo piccolo lindo salotto. Carta a fiorami alle pareti, pelle di orso sul pavimento, un grosso vaso di terracotta un diploma intestato Cecilia Carlotta. Dolce, vivace Cecilia Carlotta, a più di ottant’anni ancora è uguale nella voce, nel gesto, in quel modo di fare di un tempo lontano che non puoi scordare. Il tempo di quando era bello danzare al ritmo di un valzer leggero e giocondo, il tempo di quando, un fiore baciato, languido il cuore faceva sognare. Gli "Invadenti" - Cecilia Carlotta 121 Davis Bonfatti Stanotte in tre Io, il cielo, il mare, stanotte in tre, la stessa donna vorremmo amare. In tre al buio, in braccio all’onda calda, quando l’estate sogna, quando l’estate canta. Si gonfia il vento, il mare respira, lenta s’adagia l’onda alla riva. Stanotte il cielo io e il mare, la stessa donna vorremmo amare. Vivide stelle suoni lontani, dimmi mare che cosa brami. lo, il cielo, il mare, stanotte in tre la stessa donna vorremmo amare. 122 Gli "Invadenti" - Stanotte in tre Davis Bonfatti Senza fine Innamorarmi di te fu facile quel dì sulla collina, quando del campo ti offersi un fiore e tu - semplicemente - mi dicesti “amore”. É vero: arrossisti un poco ma non nascondesti il viso e quando ti guardai negli occhi vi ritrovai il sorriso. In fretta poi passarono, nello sfiorire gli anni; tempi, stagioni, gioie temprate dagli affanni. Se oggi ancor tornassimo - Lidya - su quello stesso prato, ritroveremmo (certo) il fiore di quel dì rigermogliato. Che se per noi la vita, l’amore stesso ha fine, soltanto la natura, il cielo i prati… il Creato tutto non avrà mai fine. Gli "Invadenti" - Senza fine 123 Davis Bonfatti Un giorno di piova Un giorno di piova un ritrovo di anziani tre balli in famiglia ricordi lontani. Un disco che suona alla vecchia maniera al “ Bagno Mirella” sulla Riviera. Nel lento danzare l’anziana tardona si fa palpeggiare fingendo un caschè. Arzillo il vecchietto s’aggrappa alle tette tenute ben salde dal busto di stecche. Starnazza un moccioso “dov’è la mia nonna” ma quella già balla cantando yiè yiè. Un giorno di piova un ritrovo di anziani un ballo in famiglia ricordi lontani. 124 Gli "Invadenti" - Un giorno di piova Davis Bonfatti L’orologio Come dono d’amicizia mi regalò un orologio: quadrato, dorato, da tavolo, che da anni, ormai - batte dei giorni le ore. Volendo mi può far ricordare con un trintillio l’appuntamento. Ho riprovato - talvolta - a farlo, ma all’appuntamento nessuno più è venuto. Lui continua a batter l’ore, chiedendo solo un po’ di cura, un ricordo, un nome, un sospiro e della molla… un giro. Gli "Invadenti" - L’orologio 125 Davis Bonfatti Il mio presepe Presepe mio di quand’ero bambino: un angioletto dorato sul capannino, una stellina a coda argentata (alta e lontana) sulla montagna. Bue, asinello, San Giuseppe, la Madonna e - quieto - nella cesta a paglia, bambìn Gesù che fa la nanna. Adesso il mio presepe è fatto di ricordi e di nostalgia e, a guardar d’attorno vedo, che non soltanto il tempo è volato via. 126 Gli "Invadenti" - Il mio presepe Davis Bonfatti ... Attraverso campi arati sono venuto su per il fosso senza far rumore e all’ombra di una siepe in fiore l’ho trovata: ch’era lunga e stesa e addormentata. Dormiva il suo bel sonno leggero, come di notte distesa sul suo letto e adagio con la calma del respiro le si gonfiava e le si abbassava il petto. Ha aperto un occhio appena e poi “lasciatemi dormire” ha detto ed io mi son messo giù, lungo e steso accanto a lei e per dormire ancora nessun dei due ci ha pensato più. Gli "Invadenti" - ... 127 Davis Bonfatti Davis Bonfatti Maschera per due Gli "Invadenti" - ... 129 Davis Bonfatti Davis Bonfatti Maschera per due LA SCENA Un salotto arredato con gusto moderno. Televisione telefono, divano, poltrone. Tavolo da gioco per quattro in un angolo. Luci indirette appropriate. PERSONAGGI - Anna - Luca Abiti appropriati. Età sulla trentina. §§§ ANNA: … si può sapere quali pensieri vai rimuginando? LUCA: Se sapessi che i miei capelli conoscono i miei pensieri, non esiterei a tagliarli; come disse quel generale prussiano. ANNA: Sei certo che si trattasse di un generale prussiano? LUCA: No, ma rende l’idea. ANNA: Calvo saresti decisamente orribile. LUCA: La maggioranza delle donne non la pensano così. ANNA: Lo ha detto il prussiano? LUCA: No, gli amatorilizzatori. ANNA: … gli? Gli "Invadenti" - Maschera per due 131 Davis Bonfatti LUCA: Amatorilizzatori. ANNA: E che bipedi sono? LUCA: Più semplicemente gli amatori. ANNA: Se lo dici tu... (squilla il telefono). LUCA: (all’apparecchio)… pronto… sì, te la passo… è qui. ANNA: (all’apparecchio). Pronto… ah, sei tu… niente, si sta facendo una conversazione cretina… non lo so, è per la faccenda del prussiano… LUCA: Puoi anche tacere. ANNA: … no, niente, è lui che mi supplica di sorvolare… sì, sempre per la faccenda del prussiano calvo… No, non c’entra. LUCA: Ora sì che non la fermi più. ANNA: (sempre al telefono) ... senti, ora stacco. Ne riparleremo… no, noi non si esce stasera, dobbiamo risolvere dei problemi… LUCA: Uffa, basta. Non avete di meglio? ANNA: … no, no… è sempre lui che sbuffa… sì il prussiano… mah, non so, dice che si farà tagliare i capelli… LUCA: Cosa? ANNA: Dice di andare dall’Arnaldo. Fa dei tagli perfetti… Ciao, a domani, ciao. LUCA: Ma dico, era proprio necessaria una conversazione cosi idiota? Poi si lamentano perché il telefono è costoso. ANNA: Almeno quella parlava. LUCA. Io sono muto? ANNA: Spesso, caro. Troppo spesso. LUCA: Non capisco. Non vorrai dire… ANNA: Si voglio, voglio… sei in casa fra sì e no due sere la settimana e quando ci sei la scena è fiacca se non silenziosa. Oppure scrivi a macchina. Ecco. Scrivi a macchina. Così disturbi anche. Una cosa infernale. LUCA: E adesso? ANNA: Adesso vuoto il sacco e poi non so cosa farò. LUCA: Non un dramma, spero… (Suona il telefono). ANNA: Ancora! (stacca il ricevitore) …Pronto … sì, che c’è? ... (a Luca)… prendi, è per te. 132 Gli "Invadenti" - Maschera per due Davis Bonfatti LUCA: Pronto… Anna? … Non lo so, scusa, aveva detto che era per me… Niente, non sta accadendo niente. Non accade mai niente… Te la passo. (porge ad Anna il telefono) … ma era per te, “cara” ANNA: Pronto… ah, sei tu. Non avevo capito… ma niente, che cosa vuoi che ci sia… ma niente ti dico. Tu piuttosto, che vuoi? … va bene, va bene, sei scusata, ma che vuoi? … Senti Rita, ti ho già detto che ci vedremo domani… Niente, ho già detto che sei scusata… insomma, una semplice discussione tra me e Luca. LUCA: (rassegnato) … Addio! ANNA: (a Luca) Dice di mandarti al bar così ti calmi; che poi tu sai che cosa vuol dire. LUCA: Digli che è una lurida pettegola gelosa. Diglielo! ANNA: (mostrando il telefono) Prendi, diglielo tu. (Luca prende il telefono e chiude) … Senti, perché dovresti andare al bar? LUCA. Fatti miei. ANNA: Fatti miei? Mi sembra che a questo punto siano anche fatti nostri. Di noi due. Visto che Rita ti ci manda. Al bar. LUCA: Un accidente! (squilla di nuovo il telefono) ANNA: (più svelta di Luca riprende il telefono)... Qui casa Rinaldi, chi parla? Sì, ma chi parla? LUCA: Chi è? ANNA: Tiè, ecco chi parla. LUCA: (al telefono) Dica… Ah, è lei… no, questa sera non è possibile. Sono occupato. Una riunione di famiglia. Passi dal mio studio domani… Quando vuole, prendo appunto… Arrivederla. ANNA: Ipocrita. LUCA: (posando l’apparecchio) Scocciatori. C’è lo studio, la segreteria telefonica, il sostituto… Nossignori, a casa bisogna telefonare. Rompere a casa, bisogna. ANNA: E sméttila. L’ipocrisia è degradante. Quella voce ha telefonato altre volte. L’ho riconosciuta subito. Non ti sembrerebbe meglio dire le cose col loro nome? LUCA: Nome un corno. ANNA: L’hai detto! LUCA: Non dire stupidaggini. Dimmi piuttosto cosa significa che “ha telefonato altre volte”? Supposizioni, le tue. Ecco, supposizioni stupide. Insinuazioni. Come se il mio lavoro fosse facile, senza tentazioni… ANNA: Chiamale tentazioni… Gli "Invadenti" - Maschera per due 133 Davis Bonfatti LUCA: Ora basta! ANNA: Però t’incavoli! Straparli e salta fuori pure il bar. LUCA: Smettila. ANNA: Piantala tu, piuttosto. Perché non è soltanto Rita a parlare di certe cose. LUCA: Come, come… quali cose. Adesso non tirarti indietro come il tuo solito. ANNA: Il tuo socio Armani, per esempio. LUCA: E che c’entra Armani oltre a farti il cascamorto d’intorno? ANNA: Roba fritta e rifritta e lo sai. LUCA: Rifritta fin che vuoi ma puzza. ANNA: Puzza sì, se non altro per le fatiche che fa per giustificare certe tue assenze… Potrei stancarmi. LUCA: E io della tua gelosia. ANNA: Ma non sono cretina. E senza il… prussiano. E il maschio a mezzo servizio. LUCA: Bene. Sai allora che faccio? ANNA: Sì. É un’ora che vuoi farlo e ancora non sai che scusa trovare… (lieve gesto di protesta di Luca) … Lascia andare. Vai, vai pure… (quasi come un sussurro) ipocrita. LUCA: Non lo dire due volte. ANNA: (forte) Ipocrita tu e il tuo biondo amico, “quello che conta” per essere chiari. LUCA: Ne hai detta una di troppo. (esce in fretta) ANNA: (dopo congrua pausa, si accende una sigaretta, va al telefono e con calma forma un numero) … pronto Rita? … sì, è andato. Sbattendo la porta ma è andato. Vieni, vieni presto… Non importa, il vestito non importa. Vieni subito… Ti amo, Rita. Ti aspetto… (abbassa lentamente il telefono, abbassa fino alla penombra le luci della stanza, avvia il giradischi che trasmette a volume basso una musica dolcissima, poi si stende sul divano aspirando lentamente la sigaretta…) Lentamente: SIPARIO 134 Gli "Invadenti" - Maschera per due Davis Bonfatti Tre documenti da (non) buttare Gli "Invadenti" - Maschera per due 135 Davis Bonfatti Davis Bonfatti Tre documenti da (non) buttare A rileggere taluni documenti a cinquant’anni di distanza riguardanti eventi che dal 1939 al 1946 interessarono in modo determinate le sorti del nostro paese, essi ci appaiono come ancora collocati in un’immotivata area di parcheggio. Il lavorio politico-diplomatico di quegli anni di anteguerra, guerra e dopoguerra era stato non breve ed intenso, sotterraneo nelle incertezze, brutale nelle premesse e per taluni “tradimenti”, ostico e punitivo nelle sue conclusioni. Era il 23 agosto 1939. Non più di quattro bandiere rosse con la svastica nera in campo bianco penzolano pressoché inerti sulla facciata interna dell’aeroporto di Mosca. Molotov per la Russia e von Ribbentrop per la Germania hitleriana dopo pochi preamboli firmano un protocollo d’intesa per “salvaguardare la pace fra i popoli”. Così, almeno, si esprimono le agenzie di stampa che a sorpresa annunciano l’evento. Tra le righe del comunicato da qualche parte si arriva ad ipotizzare un quasi “sostegno esterno” del Vaticano, memori che il 2 marzo del 1939 Pio XII si era premurato rivolgere al mondo un “appello per la pace minacciata” e che il 24 successivo aveva ripetuto con angoscia lo storico “Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra”. Ma nel corso della storia anche recente, più volte i pontefici saranno chiamati a queste angosciose prove… Nelle realtà - in quei giorni agostani - si sanciva di fatto tra due paesi dominati da regimi a severa dittatura la spartizione dell’Europa, con le conseguenze distruttive, gli errori e le ipocrisie ormai arcinote che largamente influenzarono anche l’Italia nonostante il famoso proclama “O Roma o Mosca” di mussoliniana memoria. Il più spietato comunismo ed il più spietato nazifascismo volevano far credere che per “salvaguardare la pace” si erano amalgamati. Era una beffa, ma qualcuno ci cascò e milioni di esseri umani ci lasciarono la vita. Ma non è di questo che intendiamo parlare. §§§ Il “punto” che c’interessa è il ricordo di tre documenti. Ecco il primo. E’ di Benito Mussolini e s’intitola: Gli "Invadenti" - Tre documenti da (non) buttare 137 Davis Bonfatti “Il tempo del bastone e della carota”. Viene pubblicato il 9 agosto del 1944 per far conoscere come i fatti e gli avvenimenti si svolsero nei mesi tragici - nei mesi più tragici - della storia d’Italia: una storia che potrà essere e sarà a suo tempo completata ma non potrà mai essere smentita e dove nella stessa vicenda e nelle sue fatali conseguenze è contenuta la morale di una Italia “oggi crocifissa”, ma dove - anche - (conclude l’autore) già si delinea all’orizzonte il crepuscolo mattinale della resurrezione. Un preciso concetto valutativo apre il documento mussoliniano. Ecco cose dice: “Un dato di fatto della catastrofe italiana dell’estate 1943 è che l’origine prima è dovuta alla Francia e si riconnette a una data: quella dell’8 novembre 1942, allorché aprì all’America le porte del Mediterraneo mentre gli inglesi si tenevano prudenzialmente al largo. Così fin dal primo momento apparve chiaro che lo sbarco di un’annata americana nel Mediterraneo (con la “benedizione” russa e i tradimenti) costituiva un evento di grande portata strategica destinata a modificare - se non a capovolgere - il rapporto delle forze in quel settore che in Italia fu da sempre considerato, se non proprio decisivo, certo della massima importanza…“. La pubblicazione di Mussolini racconta poi per una cinquantina di pagine la “sua storia di un anno” e di un popolo “in mille pezzi stracciato, con quell’eterna ansia e fatica del “ricominciare” che sembra il privilegio e la condanna del popolo italiano”. In genere - accade - che i fatti storici siano sovente se non dimenticati, almeno accantonati o, più spesso, interpretati a seconda dei fini che si vogliono raggiungere. Ma il farlo è un errore. §§§ Il secondo documento - per tanti versi lasciato sbiadire - porta la data dell’agosto 1946 e viene da Parigi. Trattasi del discorso che Alcide De Gasperi, capo del governo provvisorio del tempo, tiene alla cosiddetta “Conferenza della Pace” davanti - come scrissero i giornali dell’epoca - al “Tribunale dei Vincitori” forte di ben ventuno membri in rappresentanza di altrettanti ex avversari, tutti protesi a “farci pagare misfatti e colpe” che di fatto, nemmeno la dichiarazione di Quebec aveva convalidato nonostante le pressioni di Stalin e dei rappresentanti di Jugoslavia e di Albania. Alla conferenza parigina il riscatto che l’Italia aveva già in gran parte pagato non ebbe obiettiva considerazione. Testimonianze oculari come quella dell’on. Brusasca affermano che la nostra delegazione fu trattata “come imputati tenuti in camera di sicurezza fino all’ingresso in aula dei giudici”. Soltanto l’americano Byrnes e un olandese ebbero per i rappresentanti della “nouvelle Italie” qualche cenno di incoraggiamento. In quel clima dove preminenti erano l’ostilità e la fretta di chiudere il “capitolo italiano”, Alcide De Gasperi cominciò il suo dire… “ Prendo la parola - disse - in questo consesso mondiale ben persuaso che tutto è contro di me: e soprattutto lo è la mia qualifica di ex nemico, che mi 138 Gli "Invadenti" - Tre documenti da (non) buttare Davis Bonfatti fa considerare come imputato e l’essere citato qui dopo che i più influenti di voi hanno già formulato le loro conclusioni. Ebbene, permettete che vi dica con la franchezza che un alto senso di responsabilità impone in quest’ora storica a ciascuno di noi, che questo trattato è, nei confronti dell’Italia, estremamente duro”. E concludeva: “Come italiano non vi chiedo nessuna concessione particolare, vi domando solo di inquadrare la nostra pace nella pace che ansiosamente attendono gli uomini e le donne di ogni Paese senza sostare su labili espedienti… “. §§§ La “terza documentazione” viene il 13 agosto, sempre del 1946 e sempre da Parigi, dalla “Conferenza della Pace”. Trattasi del discorso che Molotov pronuncia, a nome della Russia e Paesi satelliti ad essa, in aperta risposta alle posizioni dell’Italia. Quello che Molotov ebbe a dire, non rifuggendo a taluni effetti retorici, lo abbiamo integralmente desunto non dalle agenzie di stampa (spesso affrettatamente riassuntive) ma dall’ufficiale “Supplemento n°4 del 15/8/1946 di Notizie Sovietiche”. Vediamone qualche frammento. “ Abbiamo ascoltato il discorso - dice il russo - del signor De Gasperi a proposito del progetto di trattato con l’Italia. Se questo discorso rispecchia in modo giusto la politica della nuova Italia, merita di essere considerato con attenzione, tanto per quel che è stato detto quanto per quel che è stato omesso. In ogni caso non si può lasciare senza risposta un discorso di rigetto del trattato di pace e che può suscitare molti dubbi. L’Italia fascista, che edificava il proprio benessere sulla base dell’espansione e dell’occupazione di piccoli stati, si è screditata agli occhi dei popoli ed è arrivata al fallimento. Voi avete sentito che il signor De Gasperi ha concentrato la sua attenzione sulla giustificazione delle pretese italiane che riguardano la parte occidentale della Venezia Giulia, compresa la città di Trieste, eccitando le passioni nei riguardi di questo problema. … l’Unione Sovietica considera poi con estrema cautela richieste quali, ad esempio, quella di accordare ai cittadini di qualsiasi Stato straniero, diritti uguali a quelli dei cittadini italiani … “ §§§ A soltanto nostro personale avviso abbiamo voluto di proposito non addentrarci nei tre Gli "Invadenti" - Tre documenti da (non) buttare 139 Davis Bonfatti documenti citati. Li abbiamo voluti soltanto ricordare perché meritevoli (secondo noi) di essere fatti conoscere “per intero” alle giovani generazioni di questo fine secolo e di quelle future per le considerazioni e valutazioni che l’onestà storica vorrà trarre. (marzo 1991) 140 Gli "Invadenti" - Tre documenti da (non) buttare Davis Bonfatti Davis Bonfatti Davis Bonfatti Davis Bonfatti Sommario Gli “Invadenti” Un flash per una vita Un flash per una vita 80: Una giornata (quasi) qualsiasi 11 41 Bipedi e Quadrupedi Documenti e Commenti inutili Personaggi Interpretati Così Un “Uomo Qualunque” e dintorni Un prete Adeodato detto “Gustavo” Al tramonto di un secolo Salmo per l’anno 2000 Un Maggiore T.O. Il millepiedi Un computer del Medioevo Piero Gobetti Preistoria - Storia – guerra e dopoguerra Lettere mai spedite Vescovo Gioacchino Muccin Don Piero Altieri La Conferenza On. Antonio Patuelli On. Dr. Giovanni Goria Resto del Carlino 14/08/1988 Alto Giurista della Corte Costituzionale Resto del Carlino 11/01/1988 Quando FIAT è “voluntas dei” Dr. Indro Montanelli Don Pietro Galavotti On. Egidio Sterpa On. Prof/ssa Franca Falcucci On. Dr. Giovanni Goria 47 49 53 55 56 57 58 59 61 62 66 69 71 72 74 76 77 78 79 80 81 82 83 84 85 87 Davis Bonfatti Una Romagna chiamata “Fruttadoro” Romagna è … Il “Concetto Fruttadoro” e la realtà Tra cronaca e storia Il ridisegnamento Restare alla pari La struttura “Fruttadoro” 89 91 92 94 95 96 97 Documenti e Commenti 99 Il commento Quando la storia si ripete Questa sera corsa tris 101 105 106 Quando le lucciole sembrano lanterne … Questa è Romagna La sabbia stanca Pensione-Soggiorno in Riviera L’Onda Cecilia Carlotta Stanotte in tre Senza fine Un giorno di piova L’orologio Il mio presepe ... Maschera per due Maschera per due Tre documenti da (non) buttare Tre documenti da (non) buttare 115 117 118 119 120 121 122 123 124 125 126 127 129 131 135 137