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7° Concorso
letterario nazionale di scrittura
di POESIA e RACCONTO BREVE
a tema libero
Edizione 2013
Categoria junior (fino a 14 anni)
Categoria adulti (da 15 anni in poi)
letterando Berbenno
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Un particolare ringraziamento alla Prof.ssa Salvi Flavia e alla Bibliotecaria
Salvi Silvana per la preziosa collaborazione.
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BIBLIOTECA COMUNALE di BERBENNO
COMUNE di BERBENNO
PRO LOCO BERBENNO
con il patrocinio di
Assessorato alle Culture,
Identità e Autonomie
Assessorato alla Cultura,
Spettacolo, Identità e Tradizioni
CONSORZIO B.I.M.: Bacino Imbrifero Montano di Bergamo
letterando Berbenno
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PRESENTAZIONE
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Scrivere è un po' come fare i minatori di se stessi: si attinge a quello che si ha dentro,
se si è sinceri non si bada al rischio di farsi crollare tutto addosso. Sono le parole
dello scrittore Andrea De Carlo in uno dei suoi libri più noti, Due di due. E in fondo
è quello che si ritrova in questi scritti: ricordi, amori, il passato che diventa futuro, ma
anche la cronaca del nostro tempo che ci tocca, ci cambia. La scrittura aiuta a raccontarsi e poi, in chi legge, a riconoscersi. È come uno specchio dove ritrovare sfumature, emozioni vissute e magari dimenticate.
Il mio augurio, che si accompagna ai ringraziamenti per tutti coloro che hanno reso
possibile questa nuova edizione di Letterando Berbenno, è che questa lettura sia per voi
un viaggio interiore, per riflettere, commuoversi e ritrovarsi.
Ringrazio il BIM: Bacino Imbrifero Montano di Bergamo, la Regione Lombardia, la
Provincia di Bergamo e tutti i partecipanti e la giuria.
Comune di Berbenno
Assessore alla Cultura
Salvi Flavia
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ELENCO PARTECIPANTI
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SEZIONE POESIA - CATEGORIA ADULTI
NOMINATIVO
PROVENIENZA
TITOLO OPERA
ARDIGO' Daniele
ASTOLFI Rossana
AVALLONE Corrado
BORSONI Paolo
BOTTARO Giovanni
BOTTONI Marco
BROGGINI Enrico
CANNETTI Barbara
CAPECCHI Loriana
CARMINATI Davide
COLOMBO Giulia
COMELLO Renzo
CREMONESI Nadia
DE MARCHI Francesca
DE MICHELE Miriam
DESERRI Dario
DI BIASIO Simone
FERRARI Valter Luciano
FIORENTINI Bruno
FOSSATI Francesca
FRAGOMENI Emilia
GIORDANO Antonino
GIOVELLI Maria Francesca
GROPPELLI Valeria
HABIBI Omar Walid
IACOMINO Rita
IEZZI Arianna
INVERNIZZI Giada
Soncino (CR)
Seriate (BG)
Senago (MI)
Ancona
Molino del Pallone (BO)
Castelmassa (MO)
Bergamo
Corlo (FE)
Quarrata (PT)
Brembilla (BG)
Berbenno (BG)
Chieri (TO)
Brembate di Sopra (BG)
Pozzolengo (BS)
Portici (NA)
Berlino
Fondi (LT)
Coccaglio (BS)
Bracciano (RM)
Mozzanica (BG)
Genova (GE)
Palermo (PA)
Caorso (PC)
Crema (CR)
Berbenno (BG)
Limbiate (MB)
Bergamo
Brembate di Sopra (BG)
Si ricorderà di te la tua anima malata?
Luce
Affresco marino
Odissea
A mia madre
Vasto è il mare
Sipario di sale
Vita di periferia-corale del cuore
Semi d'innocenza
Il silenzio
Un savio gracco
Dopo lo scollinare…
Luna
Alla scogliera
TU
Il vino, la vigna
Statistiche
Ogni volta
Castagne
Il disegno dell'amore
Ricerco orme
Il viaggio di Arlecchino
Inverno lontano
I bulli
Le parole chiave
Binari senza stazione
Ascoltando Duality
Sul confine di un sogno
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LADIK Donato
MAI luisito
MENEGHETTI Graziella
MERONI Paola
MILANI Giancarlo
MORO Margherita
MOSCONI Fabrizio
NALDI Paola
NAVA Eros
POGGESE Nerina
POMINA Genoveffa
PROVENZANO Marisa
PUCA Antimo
RANGHETTI Marino
REDAELLI Vilma
ROSIN BELTRAMINI Marinella
SALA Enrico
SESSA Carmelo
TAIETTI Linda
TENAM Ramis
TUMMINELLO Giovanni
VETTORELLO Rodolfo
Avigliano (PZ)
Castro (BG)
Rosà (VI)
Rovello Porro (CO)
Cardano al Campo (VA)
Capriate S. Gervasio (BG)
Roma
Padova
Calcinato (BS)
Cerro Veronese (VR)
Savona
San Pancrazio (CZ)
Cerro Maggiore (MI)
Colzate (BG)
Olgiate Molgora (LC)
Pordenone (PN)
Albiate (MB)
Avola (SR)
Fontanella (BG)
Lendinara (RO)
Castelbuono (PA)
Milano
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Non mi pervade l'ansia del futuro
Pensiero
io sento il brivido
I giorni del dolore
La veranda del glicine
Pensieri
Canzone
Attesa
La beccaccia
Macerie
Dov'è la vita
Sogni dispersi nel vento
Io ci sarò
In Valle Imagna
…In quella notte…
Maria
Sulle orme di Segantini
Incanto
Prendersi
Talmente ossessionati
Risveglio
Scontri di piazza
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SEZIONE POESIA - CATEGORIA JUNIOR
NOMINATIVO
PROVENIENZA
TITOLO OPERA
CALANDRIELLO Michele
CASSIN Lucia
COLOMBO Aris
PESENTI Silvia
Quarta Elementare
TAMERICI Marika
VALVO Flavia
VANNUCCHI Giulia
ZOIS Sigmund
Taviano (LE)
Almenno S.B. (BG)
Berbenno (BG)
Brembilla (BG)
Piario (BG)
Berbenno (BG)
Fiorano al Serio (BG)
Viareggio (LU)
Berbenno (BG)
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La cascata
Il mio gatto
Triste ricordo
La natura
L'amicizia
Vi voglio bene
La vita
Strade
Poesia per la mamma
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SEZIONE RACCONTO BREVE - CATEGORIA ADULTI
NOMINATIVO
PROVENIENZA
TITOLO OPERA
BAIGUINI Marcella
BARZAGHI Adelina
BELOTTI Elisa
BINDI Angelo
BONINFANTE Antonio
BORSONI Paolo
BROCCHI Francesco
CAMOZZINI Elena
CANTINI Aurora
CAPPELLINI Maria Grazia
CARLI Lorella
CASERI Alfredo
COLOMBO Pierangelo
COMASTRI Milvia
CORRIDORI Roberto
CORSI Christian
DESERRI Dario
DOLCI Monica
DONZELLI Daniela
FERRARI Valter
GASPARETTI Michele
GHERARDI Franco
GHERARDI Monica
LONGANESI Bruno
LOTTI Donatella
MASSA Fabio
MEZZATESTA Concetto
MIRABELLA Patrizia
Rogno (BG)
Villa d'Adda (BG)
Zandobbio (BG)
Rho (MI)
Concesio (BS)
Ancona
Padova
Calusco d'Adda (BG)
Nembro (BG)
Cantù (CO)
San Gimignano (SI)
Villa d'Adda (BG)
Casatenovo (LC)
Bologna
Milano
San G. in Persiceto (BO)
Berlino
Ranica (BG)
Brescia
Tortona (AL)
Costa Volpino (BG)
Mestre (VE)
Zogno (BG)
San Giuliano Mil. (MI)
Albano S.Alessandro (BG)
Alessandria (AL)
Il nonno Giacomo
L'insostenibile leggerezza del tempo
Era bella
I miei giorni da pensionato
Isabel e le caravelle del cielo
Di straforo
Ifigenia
La busta blu
La bambina azzurra
Un mondo rovesciato
Nerina
Gaza
Swinging London
Solitudini
Don Rodolfo
Sigfrid avventuriero
Telegono e la città di Rabea
I quaranta giorni della Madonna
L'alba dopo il crepuscolo
Guglielmo
Affreschi d'autunno
Sogni di una notte
Rosa
Il rivoluzionario
Sognando una tata
La "maledizione" del cavaliere
Terno d'Isola (BG)
Il sei di denari
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MUCCIN Fabio
PALLOCCA Roberto
PAPA Elisabetta
PARUTA Maria Cristina
PAVIA Leonardo
PICCINI Willy
RAINERO Pietro
ROSIN BELTRAMINI Marinella
TAIETTI Linda
TOGNI Alice
Carsara (PN)
Marino (RM)
Chiaravalle (AN)
Alzano Lombardo (BG)
Prato (PO)
Trieste
Acqui Terne (AL)
Pordenone (PN)
Calcinate (BG)
Seriate (BG)
Le tre vite di Malala
L'armadio a sei ante
Edoardo
Il grande cambiamento
Chiodi al muro
La costanza dà buoni…baci
La lastra di ghiaccio
Amore di casa
Agnes
Neve
SEZIONE RACCONTO BREVE - CATEGORIA JUNIOR
NOMINATIVO
PROVENIENZA
ALGERI Beatrice
GENINI Syria
INVERNIZZI Gloria
Bergamo
L'oggetto
Brembilla (BG)
La macchina del futuro
Brembate di Sopra (BG) Che fine ha fatto
il mostro di Loch Ness?
Brembilla (BG)
Un'avventura con i miei tre cani
Berbenno (BG)
Qwerty e la chiave magica
PESENTI Silvia
Seconda media
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TITOLO OPERA
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COMPONENTI DELLA GIURIA
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Poeta Cav. CAPELLI ULDERICO Gran Priorato di Malta residente a Berbenno (Bg).
Sue pubblicazioni: “Poesie delle mie radici”; “Momenti di vita”; “Giubileo 2000”; “Segni nel tempo”
e varie antologie poetiche.
Senatore Accademico all’Accademia dei Micenei; corrispondente della rivista “Oggi futuro” e
Cavaliere Accademico all’Accademia Artistica di Barcellona Spagna.
CARUSO MARIA ANTONIETTA residente a Bergamo, laurea in Lettere classiche con indirizzo
archeologico, corso di specializzazione SISSIS presso l’Università di Messina, corsi di perfezionamento in “Didattica dell’Italiano”, “Didattica della Storia”, “l’Informatica nella scuola”, insegnante di
Lettere in una scuola secondaria di 1° grado.
MAZZOLENI SIMONA residente a S. Omobono Terme (Bg), laurea in Lettere moderne, corso di specializzazione SISSIS presso l’Università di Milano, corso di perfezionamento in mediazione culturale e gestione turismo, corsi di perfezionamento in “Didattica della Storia”, “Didattica della Geografia”,
guida del romanico, insegnante di Lettere in una scuola secondaria di 1° grado.
SALVI FLAVIA residente a Berbenno (Bg), laurea in Lingue e Letterature straniere presso
l’Università degli Studi di Bergamo, insegnante di Lingue straniere in una scuola secondaria di 1°
grado, assessore alla Cultura e Istruzione Pubblica e ai Servizi Sociali del comune di Berbenno, sposata e madre di due figlie.
SALVI FLAVIO residente a Berbenno (Bg), laurea di primo livello in Scienze della Comunicazione e
laurea di primo livello in Lettere entrambe conseguite presso l’Università degli Studi di Bergamo.
TAMERICI ROMINA residente a Berbenno (Bg), diplomata presso l’I.T.C. “Maria Consolatrice” di
Sant’Omobono Terme, frequenta la facoltà di Scienze della Formazione Primaria presso l’Università
degli studi di Milano Bicocca. Scrive soprattutto poesie, ma anche racconti, favole per bambini e brevi
romanzi. Ha partecipato a numerosi concorsi letterari ed alcune sue poesie sono state inserite in antologie. Ha pubblicato due libri per bambini: “Voliamo Insieme con la Fantasia” e “La mia amica
Clorinda”.
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PREMIATI
SEZIONE POESIA
CATEGORIA ADULTI
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1° classificato
Ranghetti Marino di Colzate (BG)
IN VALLE IMAGNA
Borbottando l’Imagna
veloce discende
nel ripido letto
di verde attorniato.
Profuma di fresco
tutta quanta la valle
silenziosa ed assorta
nel chiaro mattino.
Poi giungo quassù
dove il monte s’adagia
e il piano s’allarga
e resto a mirare
il borgo di case
dal sole baciato
ai primi di luglio.
E tra i colpi ritmati
battuti a rifare
il filo alla falce
mi pare quasi d’udire
ancora quei canti
antichi di donne
nell’aria diffusi.
Ed aspre le rocce
quasi amiche solenni,
aguzze e silenti
se ne stanno a guardare.
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2° classificato
Ardigò Daniele di Soncino (CR)
SI RICORDERÀ DI TE LA TUA ANIMA MALATA ?
Così ti ho trovata, ieri
poggiata al silenzio d’una finestra,
in quella stanza estranea e bianca
e lo sguardo fisso nel vuoto infinito,
ora come allora, gentile e fragile.
Così ti ho ritrovata, all’alba
a consumarti lungo i muri della mente
come una viandante nella notte, che vaga
tra nebbie d’assenza a cercare i pensieri,
a inseguire i gesti perduti.
Così ti ho ritrovata questa sera,
seduta accanto alla tua solitudine,
lontana come rondine abbandonata dallo stormo,
umiliata e senza parole, ormai dimenticate,
come sogni che si posano sui ghiacciai del nulla.
Così verrò a svegliarti, anche domani,
ti parlerò ancora di noi, dei nostri sentimenti,
ti porterò una rosa dai giardini del cuore,
ma la tua anima malata d’ Alzheimer
si ricorderà di te, nonna ?
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3° classificato
Fragomeni Emilia di Genova (GE)
RICERCO ORME
Sono i ritorni alla terra mia immersi
sempre nel mio passato, nella nostalgia.
E ho un fremito leggero se accarezzo
la strada muta, le fioche luci sparse.
Ma, oltre i sospiri pallidi e le attese,
ricerco ancora le orme di chi ho amato,
a me consolazione, strada, luce.
Ricerco pure fiati fra le pietre
e un volo che riaccenda i miei
ricordi, di quando a sera ci si
accostava al fuoco con l’animo
già pronto alle preghiere.
Ricerco il sole, che silenzioso guizza
quale arcuata fuga palpitante,
i grappoli di case centenarie,
le lunghe reti distese sul mare
e, su nell’orto, l’ultima rosa che sfiora…
E un sapore d’antico m’aggredisce.
Si sente, tra lo scorrere del tempo,
il colore del vento. Sussurra all’anima
i dolori del mondo. Io m’aggrappo
ai petali vacillanti del tramonto,
salice in preghiera, e vivo memorie
spesse, mentre respiro l’ombra
di un sorriso, seduta dentro
un giorno che sa di sorbe e miele,
in questo frammento di tramonto
che si sbriciola fra le parole e il vento.
Nell’aria opaca di silenzio e pace
muovono lievi e trepide le ombre.
Una fuga d’immagini prevale
nella luce sfinita, fredda, bianca:
volti e sorrisi del tempo prima
del dolore, presenze-assenze
intrecciate a me nel cuore.
Tremano i rami dei gelsi. Tremano,
inquiete, le foglie delle piante.
Un suono di lira risuona nella nuda
terra, quasi a lambire il cielo.
Qualcuno danza tra le chiome
scarmigliate degli alberi, penombra
silenziosa… Inquieto, anche il mio
cuore danza, senza sapere il perché.
Nel mio giardino il verde svanisce.
Non ci sono più canti. Solo parole
gonfie di vento, nella bufera che
chiama per nome chi ormai è
senza nome.
Ma… una lampada attende, in
preghiera, il cammino silenzioso
di ombre, il fuggire improvviso
di nubi, la linea azzurra del mare,
il chiaror della luna e… la luce.
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Segnalata dalla giuria
Ferrari Valter Luciano di Coccaglio (BS)
OGNI VOLTA
Ogni volta
dello stesso sguardo
della stessa luce
che invaghisce il giorno
mi innamoro
al sopraggiungere del tuo cuore,
mentre le mani
si scompigliano nell’abbraccio
mi nasce come da primi affetti
quel profumo acerbo e incosciente
di terra e pioggia
che impasta la vita dal suo inizio.
Ogni volta mi rigenera
la ripetuta emozione del tuo bacio
che s’insinua nella carne
culla di sogni e di giorni
come un fiume di ricordi
ci trasloca alla foce.
Ogni volta mi sorprendo
per la bellezza tagliente
di una carezza senza maschera
che colma tutto quello che è nostro.
Nulla ci divide da questo amore
di cose che nascono ripetute
e sempre nuove ci rigenerano,
ogni volta.
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Segnalata dalla giuria
Groppelli Valeria di Crema (CR)
I BULLI
Pomeriggio d’estate:
lunghi filari di pioppi
s' abbracciano a fazzoletti di terra
ove il grano maturo danza
alla cantilena dolce del vento.
Sull’erta brulla di una zolla
un gruppo di papaveri, bulli,
occhieggia le spighe bionde che,
maliziose, la testa pesante china,
l' ingannano con l’oro dei loro sorrisi.
Sono belli i papaveri,
lembi di seta rossa sparsi alla rinfusa
sopra una morbida coperta di sole:
spavaldi, s’accodano all’ondeggiar sensuale della brezza,
lo sguardo intenso sfiora le giovani spighe.
Sorrido al miracolo semplice
di un idillio, seppur breve,
giusto il tempo di una stagione estiva:
fantasia di un amore che sa di sole
e profuma ancora di giovinezza.
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PREMIATI
SEZIONE POESIA
CATEGORIA JUNIOR
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1° classificato
Colombo Aris di Berbenno (BG)
TRISTE RICORDO
La guerra.
Cos’è la guerra?
E’ forse un gioco o una fissazione?
Perché non provi
a puntare l’arma a terra
e allentare il grilletto?
Forse,
anche tu,
capiresti
cosa vuol dire pace.
Ricordo i verdi prati,
la mia casa,
i miei figli.
Ora ricordo,
per non piangere.
Uomini
trasformati in bestie,
condannati a spaccarsi le ossa,
a morire per un no.
Ricordare e ricordare
perché questo mondo
non si trasformi
in un recinto circondato
da filo spinato.
Dove vi sia solo
sangue, morte, cenere.
In cui nessuno possa far più
niente.
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Segnalato dalla giuria
Vannucchi Giulia di Viareggio (LU)
STRADE
Lisce come velluto
percorro le strade del sogno,
non scosse o fermate
solo la dolce meta.
Ruvide come la vita
conosco le strade del mondo,
tra scosse e fermate
fiorisco ogni domani.
Disciolgo pensieri affannosi
nel dolore di ogni passo,
tra scosse e fermate
percorro le strade del sogno.
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Segnalato dalla giuria
Quarta elementare di Piario (BG)
L’AMICIZIA
Ogni volta che ti incontro vedo il rosso
Come il fuoco che riscalda il mio cuore.
Arancione come gli spicchi dell’arancia
che mi dissetano lungo il cammino della vita.
Giallo come la luce del sole
che illumina il buio delle mie paure.
Verde come lo smeraldo
gemma preziosa da non perdere.
Azzurro come il cielo immenso
dove libero posso volare.
Indaco come i fiori della lavanda
dal profumo intenso e piacevole.
Viola come gli acini dell’uva
uniti in un unico dolce grappolo.
Ogni volta che ti incontro
Nasce in me l’arcobaleno.
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PREMIATI
SEZIONE RACCONTO BREVE
CATEGORIA ADULTI
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1° classificato
Muccin Fabio di Carsara (PN)
LE TRE VITE DI MALALA
Mio padre, conscio di contravvenire alla legge, mi aveva incoraggiata a frequentare la scuola, quando le
mie compagne si erano lasciate sopraffare da quell’imposizione immotivata, che imponeva loro di rinunciare al diritto all’istruzione. Ma mio padre, accarezzandomi con i versi di speranza delle sue poesie, mi
aveva spinta a credere in me stessa e nel potere della parola, scegliendo la via della fiducia nel dialogo.
Avevo scelto di stringere in mano una penna, di imparare a scrivere e soprattutto a parlare, servendomi
delle parole apprese sui banchi di scuola, per costruire ponti d’amore al di là di quel velo scuro calato dai
manipolatori della religione.
Non avrei mai rinunciato alla possibilità di nutrirmi di parole, perché sapevo che, solo così, avrei potuto
ricostruire il mondo con altre parole e non con altra violenza.
Per garantirmi il diritto di essere una donna libera, ho dovuto imparare molte cose.
Tanto per cominciare, non avevo nessuna idea di cosa fosse un blog, né tantomeno di quanto attraverso
le sue pagine virtuali, si possa far sentire una voce in tutto il mondo, dimostrando che è possibile superare mille barriere, anche quella linguistica e culturale.
Grazie a quel blog, sono nata una seconda volta.
Sono rinata ad appena dodici anni, nel momento in cui non avevo neppure ancora lasciato fiorire la mia
prima età. Ne avevo ricevuta improvvisamente una seconda, una vita fatta non più di giochi e maldestri
tentativi di impastare il pane per la mia famiglia, ma trapuntata di parole e testimonianze, pronte ad essere condivise con tutti, anche con chi non sapeva chi fossi. Solo che, questa volta, ero nata già adulta, già
pensante, già capace di pensare e pronta a dialogare.
Sono rinata nel mio stesso paese. Lo Swat, una regione settentrionale del Pakistan, in mano ai talebani,
dove un gruppo di uomini mascherati dietro il falso baluardo della religione avrebbe voluto che nessuna
donna rivendicasse la propria esistenza. Ma la mia lingua, a lungo zittita dalle leggi talebane, un giorno
ha scelto di volare in cielo come un aquilone pronto a sfidare le correnti ascensionali, affinché tutti vedes25
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sero e tutti sapessero, grazie a poche righe quotidiane, scritte in velocità e consegnate a un reporter.
Tutto è ripartito da lì. Da quelle righe che hanno portato nelle case del mondo non la mia storia, ma la
storia delle donne del mio paese. La storia delle ragazze che non potevano indossare vestiti dai colori
appariscenti, di quante non sono considerate agli occhi della società, la storia delle ragazze della mia età,
cui è fatto divieto di frequentare la scuola.
Allora mi hanno minacciata, ma la mia bocca non si è lasciata cucire in un mutismo rassegnato. Ho continuato a dire no ai fili spinati stesi attorno al mondo femminile, no ai cocci di bottiglia infilati sui muri
costruiti attorno alla nostra esistenza con lo scopo di limitarci. No agli occhi abbassati davanti a un uomo.
Ho chiesto la parola e mi è stata negata. Ho chiesto il confronto e mi è stato risposto che il confronto non
serve, quando l’uomo può decidere con il benestare di Dio.
Il mio blog ha continuato a dialogare, guardando la realtà attraverso i miei stessi occhi, affinché il mondo
parlasse e chiedesse che la voce di tutti fosse ascoltata. Attraverso il mio blog ho raccontato di quanto il
mio cuore batteva per andare a scuola, persino quando ho sentito qualcuno, dietri di me, che mi prometteva la morte.
Attraverso il mio blog, ho raccontato della mia scuola, attaccata dall’artiglieria talebana affinché nessuna delle mie compagne di classe avesse più voglia di rischiare la vita per istruirsi e conoscere i propri
diritti di essere umano e di donna. Ho avuto paura per loro, non per me. Se avessero ceduto alla minaccia, tutto sarebbe stato vano, anche la mia voce.
Quella notte, mentre i proiettili trafiggevano le aule del sapere, non ho dormito.
Quella notte mi sono interrogata.
La mia parola, che volava su aeroplanini di carta, faceva così paura? Eppure, ero una semplice ragazza a
cui gli uomini armati avevano più volte giurato una morte definitiva, dell’anima e del corpo. Perché una
ragazza che desidera conoscere, può fare così paura?
“Smettila di scrivere” hanno ribadito, osannando le ragazze mute, cieche e soprattutto analfabete.
Hanno scelto la mancanza di confronto. Io, invece, ho sempre creduto in quanto mi ha detto mio padre.
Eppure, anche lui è un uomo, e la sua parola di libertà mi ha guidata.
Per questo motivo, quella mattina, hanno cercato di mettermi a tacere per sempre. Per provare che due
mondi non possono comunicare e trovare una via, insieme. Era sufficiente annullarmi, togliermi di
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mezzo, me e la mia voglia di parlare e di dimostrare che un mondo senza donne è un mondo a metà.
Avrei potuto essere come tutte le donne della mia terra, accettare una dolce prigionia e godere della certezza che non avrei sofferto. Così, avrei potuto ottenere tutto. Senza alcuno sforzo. Ma, nonostante le
catene che sin da bambina avevano cinto le mie piccole mani, i semi della vita erano germogliati dentro
di me e desideravano dare frutti. Per questo, malgrado le porte d’oro assicurate nel mio futuro, ho preferito schiudere l’unica porta di ferro, oltre cui nessuno avrebbe osato inoltrarsi.
Quella mattina lo scuolabus ci portava a quella suola nella quale mi era proibito andare. E’ successo tutto
all’improvviso, perché non ho voluto abbassare la voce, ma aspettavo quello sconosciuto da anni. Un
uomo è salito a bordo e ha fatto il mio nome. Voleva parlare con me, dialogare con me, ma con una pistola in mano.
Nessuno ha risposto. Tuttavia, gli occhi dei miei compagni mi hanno denunciata.
L’uomo ha mirato a me e ha sparato.
Freddamente.
Uno di quei colpi mi ha centrata alla testa, attraversandomi il cervello, come uno dei tanti pensieri che mi
avevano accompagnata nella lotta. Un successivo, invece il collo, a trafiggere la mia lingua. Il mio assassino ha esultato, convinto che tutto sarebbe tornato come prima e che la mia voce avrebbe smesso di reclamare un diritto che non le aspettava.
In un attimo, la mia lotta ha rischiato di sfumare in nebbia.
Un fremito, una frattura dentro di me. Sono caduta nell’incoscienza e nel silenzio.
La mia voce era spezzata.
Mi avevano zittita, infine. Questo pensavano.
Ma si sbagliavano.
Qualcuno che crede che il mondo privo di riconoscimenti civili non sarebbe lo stesso, non ha voluto che
la violenza avesse ragione. Il mondo ha parlato di me e dei diritti di tutte le ragazze come me.
Quella mano assassina, armata dal buio, aveva commesso un errore.
Non aveva compreso il mio messaggio più puro: che la libertà è un diritto fondamentale di ogni essere
umano, e nessuna mano, per quanto armata e finalizzata, riuscirebbe in alcun modo a soffocarla.
E questa sarebbe la mia terza rinascita.
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Camozzini Elena di Calusco d’Adda (BG)
LA BUSTA BLU
Non le piaceva guidare con la pioggia e quello era un vero diluvio.I tergicristallo faticavano
ad eliminare l’acqua in eccesso ed attraverso il parabrezza intravedeva appena la strada.
Le sembrava una metafora della sua vita: le piovevano addosso talmente tanti doveri e obblighi
verso gli altri che quasi non scorgeva più chi era e cosa voleva. Questo stato di cose stava lentamente portandosi via la sua gioia di vivere.
La strada che stava percorrendo era isolata e ci sarebbero voluti ancora un paio di chilometri
prima di raggiungere un centro abitato. All’improvviso un’ombra sbucò dal ciglio della strada,
Irene frenò bruscamente mentre l’auto continuava ancora per qualche metro la sua corsa con
uno stridio di ruote sul terreno scivoloso. Si aspettava di sentire il tonfo dell’impatto, l’ombra
catapultata sull’auto ed il parabrezza che si rompeva disegnando un’enorme ragnatela. Tutto ciò
non accadde, l’auto si fermò a pochi centimetri da un uomo immobile, in mezzo alla strada.
L’uomo si avvicinò al finestrino ed Irene istintivamente chiuse la sicura. Avrebbe voluto ripartire a razzo ma la sua coscienza le imponeva di aspettare e verificare se quell’uomo avesse bisogno di aiuto.
“Mi scusi..la prego…avrei bisogno di un passaggio..”. Irene abbassò appena il finestrino e cercando di mostrarsi sicura, chiese : “Cosa succede?”. L’uomo le raccontò di aver avuto un incidente mentre tornava a casa, si era recato in ufficio a tarda ora perché aveva dimenticato degli
importanti documenti personali, così dicendo mostrò una busta in plastica blu, poco più piccola di un formato A4. Aveva scelto di percorrere quella strada isolata perché era la più veloce
ma, per la pioggia e la gran fretta, aveva perso il controllo dell’auto. Indicò il margine della
strada ed Irene, guardando, intravide attraverso la pioggia il luccichio del fanale di un’auto probabilmente finita nel fossato. “Abito un paio di chilometri più avanti, la mia casa è proprio sulla
strada. Penserò poi a far recuperare l’auto”. Irene guardò l’uomo negli occhi cercando di capire se potesse fidarsi oppure no. Non era preparata a quello che provò: avvertì chiaramente la
profonda tristezza ed il sentimento di urgenza che lo animavano, istintivamente sentì che si
poteva fidare. Tolse la sicura alla portiera :“Salga, si sta bagnando fino al midollo”. L’uomo salì
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stringendosi al petto la busta. “Lei non sa quanto siano importanti questi documenti per la mia
famiglia, non so davvero come ringraziarla”. Le parlò guardandola negli occhi ed il sollievo
che provava era tangibile.
Lasciò il suo passeggero , che nel frattempo si era presentato come Marco Oldani, dove lui
aveva detto di abitare e si salutarono. La mattina dopo prese la macchina per recarsi al lavoro ,
appoggiando la borsetta sul sedile accanto al guidatore notò con stupore la busta in plastica blu
di Marco Oldani. Come poteva averla dimenticata? Irene era sicura di avere visto l’uomo che
la portava con sé. Eppure la busta era lì. In una frazione di secondo immaginò l'uomo disperato che cercava di rintracciarla per recuperare i documenti. Senza pensarci due volte mise in
moto l’auto e si diresse verso casa Oldani. Sul campanello c’erano due nomi: Segna Antonella
e Marco Oldani, Irene suonò. La donna che le aprì la porta era una signora sulla quarantina dall'aspetto fragile e lo sguardo profondamente triste. Irene immaginò che fosse la moglie di
Marco. “Buongiorno, mi scusi se la disturbo, lei non mi conosce ma ieri sera ho dato un passaggio a suo marito…dopo che aveva avuto l’incidente. Mi sono accorta solo questa mattina
che ha dimenticato sulla mia auto la busta con i documenti che vi servono, so che sono importanti per voi”. La donna la fissò senza parlare, guardò la busta e poi di nuovo Irene. Cominciava
a sentirsi un po’ a disagio, porse la busta alla donna nella speranza che la prendesse in fretta e
mettesse fine a quella situazione. “Lei è la moglie di Marco Oldani?” Chiese, frenando l’impulso di ritrarre la mano che porgeva la busta. “Si, sono io”. Finalmente la donna prese la busta
guardando Irene con diffidenza e la aprì. Fissò a lungo il contenuto senza dire una parola. Poi
iniziò sommessamente a piangere. Irene non si era mai sentita così fuori luogo come in quel
momento, non aveva idea di cosa stesse succedendo e, francamente,non sapeva come togliersi
da quella imbarazzante situazione. Poi la signora si ricompose, si asciugò gli occhi e guardò
Irene con una strana espressione. “ C’è una cosa che vorrei mostrarle , si trova qui vicino. Ha
dieci minuti?” Irene pensò che in ufficio la stavano aspettando ma non le riuscì di dire di no,
guardò la donna e disse: “D’accordo”. Quando si trovarono davanti all'ingresso di un piccolo
cimitero la confusione di Irene fu totale. Antonella la condusse davanti ad una semplice tomba
costituita da una pietra grezza deposta su un tappeto erboso, sulla pietra era inserita la foto di
una persona.
Sulle prime pensò ad uno scherzo ma si rese conto che non lo era: la persona morta era
Marco Oldani ed era morto ben quattro mesi prima del loro incontro sotto la pioggia.
Antonella le raccontò che era molto malata, aveva una rara malattia genetica che si era manife-
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stata tre anni prima, non esistevano cure in Italia. L'unica sua speranza era una terapia che da
un paio d'anni stavano sperimentando a Toronto, il problema erano i costi. Lei e Marco avevano ipotecato la casa, lei aveva dovuto lasciare il lavoro perchè la malattia e le terapie richiedevano tempi lunghi. Marco però aveva un buon lavoro e l'aveva rassicurata: ce l'avrebbero fatta
a sostenere le spese e quando lei sarebbe guarita avrebbe potuto trovare un altro lavoro, tutto
sommato si sentivano fortunati. La vita però riserva sempre delle sorprese e quattro mesi fa, di
ritorno dal lavoro, Marco ebbe un incidente stradale e perse la vita. Oltre al dolore della perdita, Antonella si rese conto che non avrebbe retto per molto la spesa del mutuo e davvero non
sapeva come uscirne. La busta che Irene le aveva consegnato conteneva un'assicurazione sulla
vita che Marco aveva stipulato molti anni prima all'insaputa di Antonella, pensando probabilmente di farle una sorpresa più avanti. Quell'assicurazione adesso avrebbe garantito, a lei ed al
bambino che si era accorta di aspettare, una vita senza l'assillo dei debiti. Antonella non capiva come potesse essere accaduto quello che era successo la sera prima, ma era sicura che Marco
fosse accanto a lei e lo sarebbe sempre stato. Si salutarono abbracciandosi a lungo. Quel giorno Irene lavorò fino a tardi senza tuttavia riuscire a concentrarsi su nulla, dentro di sé aveva un
turbinio di sentimenti che non riusciva a definire. Quando uscì dall’ufficio si fermò a guardare l'orizzonte sul quale si stagliavano le cime innevate delle montagne, infiammate da uno
splendido tramonto. Pensò alla fragilità della vita e pensò a tutte le volte che era passata accanto a quel meraviglioso spettacolo senza mai vederlo perchè presa dal vortice di una vita che
non sentiva più sua. Le tornarono in mente le parole di un libro che aveva letto: “ ..Voltati.
Vedrai una compagna che ti segue costantemente… chiamala Morte...Puoi averne paura, oppure servirtene a tuo vantaggio…la vita è di una brevità che toglie il fiato, domandati: “Dovrei
forse evitare di fare le cose che voglio veramente fare?....” Una fresca brezza cominciò a soffiare, Irene fece un profondo respiro e si incamminò decisa verso l'auto: adesso sapeva cosa
doveva fare, avrebbe vissuto intensamente ogni istante e avrebbe detto di no a tutto ciò che sentiva non appartenerle. Doveva vivere, non lasciarsi vivere. Guardò il cielo e sorrise a Marco.
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Borsoni Paolo di Ancona (AN)
DI STRAFORO
Quella mattina stavo per andare al Centro per l’Impiego. Squillò il telefono. Un’insegnante elementare si era ammalata. Mi chiesero se ero libera. «Certo!» risposi. «È un corso integrativo»
precisarono. Rimasi lì ad aspettare. «Un corso di 20 ore approvato dal Consiglio di Circolo».
«Su quale argomento?».
«Poesia».
…! (sospiro). Sono laureata in Storia, la mia esperienza nel mondo della scuola finora si limita
ad alcune supplenze di Lettere alle medie e a un mese di sostituzioni in una scuola materna. La
scelta più ovvia sarebbe stata quella di non accettare.
I ragazzini, quando entrai in classe, mi guardarono come se fossi un animale strano. Nelle loro
facce sembravano stampati tanti punti di domanda, erano interdetti dal non sapere di cosa gli
avrei parlato. Lo sarebbero stati ancora di più nel venire a conoscenza che non lo sapevo neppure io. Cominciai dicendo che bisognava sempre scrivere ciò che si ha nel cuore. Così, con questa semplice-complicata ovvietà, prese avvio il mio primo corso di Poesia Creativa (ovvero: una
prova mirabile di un’equilibrista-acrobata nell’arte del sopravvivere).
In quelle ore scaturirono pensieri, riflessioni, storie in cui ogni tanto per un’intuizione o uno
sghiribizzo il testo andava a capo prima che finisse la riga; per qualche purista non erano poesie,
ma a me piacevano lo stesso
L’amicizia è un sentimento
che inizia quando ci si aiuta a vicenda
Poi si possono scalare vette
appena sfiorandosi
e dandosi la mano
Erano testi semplici, ma alcuni invece stranamente profondi, se non avessi visto di persona che
erano stati scritti in classe non avrei creduto che in qualche poesia non ci fosse lo zampino di un
adulto
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Guardare oltre il cuore
una stella
Un velo si posa
con un tintinnio leggero
Un raggio rosso che brilla
prima della sera
Solo un bambino se ne stava sulle sue; seduto in un angolo in fondo all’aula non mi aveva presentato nulla dopo cinque volte che ci vedevamo. Alla sesta lezione, mentre gli altri erano intenti a scrivere una nuova poesia tenendo conto dei miei suggerimenti, mi avvicinai. Gli sorrisi.
«Come va?» chiesi. Non rispose.
«Tutto a posto?». Continuava a guardare davanti a sé.
«Fai bene a fare le cose con calma!» gli spiegai. Il mio incoraggiamento era stato fatto al vuoto.
Pensai di non tediarlo con esortazioni; non si dice sempre che ci sono troppi poeti in giro? Beh,
ecco qua qualcuno che non voleva aumentare il numero! Alzai le spalle; ripresi a scorrere tra gli
altri allievi.
Alla fine raccolsi tutti gli elaborati. Erano quanti gli studenti… meno uno: solo il bambino che
sedeva da solo in fondo anche questa volta non mi aveva presentato nulla. Quando uscii dall’aula chiesi alle maestre di quel bambino strano. «È stato diagnosticato come autistico ? risposero,
? la diagnosi non è definitiva ma tutti gli indicatori virano al peggio».
Così nelle lezioni seguenti, ponendo un’attenzione particolare al ragazzino problematico, continuai a svolgere il mio corso estemporaneo di Poesia Creativa.
I primi di maggio si avvicinavano a gran falcate! L’estate faceva capolino dietro un albero! Il
camping mi aspettava a braccia aperte! Ma purtroppo sapevo già che non c’era nessuna poesia
nella stanza dell’ufficio del camping dove mi occupavo dei rendiconti. Nel frattempo invece in
classe erano apparsi testi simpatici
D’inverno risplende la neve sui campi
Una musica sommuove l’aria
Finché il sole buca le nuvole
e l’Inverno si sposa con la Primavera
Solo da quell’angolo in fondo non era arrivato nulla. Raccolsi tutte le poesie e con l’aiuto della
Segreteria le trasformai in un fascicolo. I ragazzi erano elettrizzati quando dissi che le loro poesie sarebbero diventate un libro. E quando portai le copie in classe, si dimostrarono tutti entusiasti, felici… meno uno. Solo a un bambino non brillavano gli occhi, solo uno non allungò la mano
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per reclamare la propria copia; lui restò chiuso nel suo mondo a parte. Squillò l’ultima campanella; lessi l’ultima poesia del libretto
Maggio
Melodie di uccelli
Mormorio di ruscelli
I bambini giocano con allegria
Si avvicina il bel tempo delle vacanze!
“Magari fosse così anche per me” pensai con un sospiro.
«Ragazzi ? dissi, ? questa è la conclusione della nostra avventura. Siete stati bravissimi! Il libro
che avete scritto è magnifico. In futuro sia nel dedicarvi ancora alla poesia sia scegliendo altre
vie per esprimervi, fate sempre quello che avete nel cuore: è il modo migliore per fare qualcosa
di interessante». Una bambina si alzò dal banco e mi diede un bacio. Tutti in quel momento avevano il sorriso sulle labbra… meno uno: solo un bambino restò in silenzio, indifferente a quanto accadeva; lui non era interessato alla fine di quel corso, come non lo era stato del suo inizio;
non sembrava accorgersi di quanto lo circondava, un baccano allegro che lui, chiuso nella sua
camera di silenzio, forse non sentiva. Così dopo aver stretto mani, distribuito baci, accarezzato
testoline vivaci mi separai dai miei studenti del corso di Poesia Creativa. In corridoio salutai le
maestre. Passai all’Ufficio Amministrativo per l’aspetto meno poetico (ma essenziale) del corso.
Mentre camminavo verso l’uscita avvertii uno scalpiccio alle mie spalle. Qualcuno correva nel
corridoio.
Quando la corsa alle mie spalle rallentò, mi fermai, sentii una mano che si infilava fulminea nella
tasca della mia giacca e lo scalpiccio riprese frenetico perdendosi lontano. Per una scelta che non
mi so spiegare non guardai cosa fosse stato imbucato nella mia giacca; ripresi a scendere le scale.
Alla fermata aspettai l’autobus. Giunta a casa estrassi dalla borsa il libretto delle poesie e lo collocai al centro della mia scrivania. Poi controllai l’assegno. Infine estrassi dalla tasca della giacca il foglio che vi era stato infilato di straforo.
“Ecco ? pensai, ? in questa paginetta c’è il messaggio di un naufrago, qualcuno che mi ha sempre ignorata ha deciso all’ultimo istante di mettersi in contatto con me”. Sì, perché nel corridoio
con la coda dell’occhio avevo scorto chi mi aveva messo le mani in tasca: era il bambino autistico che dopo avermi infilato nella giacca il suo foglietto stava già volando via per ritornare nel
suo mondo a parte, spaventato forse dalla sua iniziativa. In quel foglietto forse c’era un disegno
sghembo o uno firma stentata o uno sgorbio che avrebbe voluto essere un saluto. Lo dispiegai
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La mia vita
è un dono di Dio
Il mio sforzo per diventare grande
sarà il mio dono a Dio.
Dio mi ha donato un corpo fragile
e confuso.
Quello che diventerò
sarà il mio dono a Dio.
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Pallocca Roberto di Marino (RM)
L’ARMADIO A SEI ANTE
Marta è rientrata a casa intorno alle cinque, tramontava. Ha sfilato la chiave dalla porta blindata, ha
attraversato di corsa l’ingresso e si è ritrovata in camera, con addosso ancora il cappotto e la sua borsa
rossa.
Ha osservato la parete con la testa di sbieco. Ha appeso il cappotto all’appendiabiti, ha lasciato la borsa
sul letto, ricoperto da una pellicola trasparente. È andata in bagno, si è lavata con cura le mani,
strofinandole con forza, e si è infilata un paio di ciabatte comode. Quando, un minuto più tardi, è tornata a
contemplare la parete, la notte calava frettolosa, e Marta, illuminata dalla luce soffusa della lampada, si è
accorta che il colore del muro non era affatto omogeneo. Distingueva chiaramente il contorno di quel che
fino a una settimana prima era il loro vecchio armadio malconcio. In confronto a quella superficie,
bianchissima, la parete era molto meno bianca.
Non si è resa conto, se non con ritardo, che il citofono stava suonando con insistenza. Per un attimo ha
pensato che fosse Giacomo, e fosse tornato da lei, finalmente.
Ha afferrato la cornetta: «Chi è?»
Una voce dall’accento non italiano ha detto: «Consegna mobile. È qui?»
Marta non stava nella pelle: «Sì, sì… primo piano.»
Ha iniziato a mettere a posto tutto quanto, in un frenetico spostamento di oggetti che non erano affatto
in disordine. Ogni volta che passava davanti all’uscio socchiuso della porta rallentava il passo per non farsi
sorprendere indaffarata dal ragazzo del citofono. Voleva una casa perfetta per quel nuovo pezzo di
arredamento, l’ultimo, ed era convinta che il disordine avrebbe pregiudicato in qualche modo quel
momento.
Ha sentito il cellulare squillare nella borsa, l’ha ignorato. Non è trascorso molto prima di veder spuntare
dalla tromba delle scale la schiena di un ragazzo biondo, che ha rivelato il primo dei pacchi imballati che
Marta attendeva. All’altro capo del pacco è spuntato un ragazzo altrettanto giovane, moro, abbronzato
come se non fosse novembre.
«Buonasera.»
«Buonasera. Lei è la signora Sannino.»
«Sì, sono io.»
«Siamo qui per la consegna dell’armadio.»
«Sì, venite, vi faccio vedere dove scaricarlo».
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Marta ha fatto un cenno con la mano, verso la camera da letto, poi ha aggiunto: «Prendete un caffè?»
«No, grazie, signora,» ha risposto il biondino, «l’abbiamo preso poco fa.»
Marta ha annuito, poi ha indicato la parete vuota.
I due si sono scambiati uno sguardo d’intesa, poi il biondino ha detto: «Scendiamo a prendere il resto.»
«Ok,» ha risposto Marta e si è seduta sul letto.
È rimasta a osservare il marrone sporco dell’imballaggio, si è chiesta quale parte di quel mobile
splendido contenesse. Un’anta? Un ripiano? Lo specchio centrale? Poi si è alzata in piedi, ha fatto mezza
giravolta su se stessa e ha contemplato l’intera stanza, fino a ricordarla così com’era quando lei e Giacomo
arrivarono lì, sei anni prima, felici come due bambini al lunapark.
Una casa vuota, ma loro, finalmente. Presero ad arredarla con fretta, per andare a viverci quanto prima.
Ci misero meno di un mese, arrangiando mobili presi qua e là tra genitori e parenti, sistemando stanza
dopo stanza.
«Manca l’ultimo, signora».
La voce del biondino, dopo aver posato a terra il secondo pacco molto più grande del primo, ha
interrotto questi pensieri. Marta si è limitata a un sì frettoloso con la testa. I suoi occhi brillavano di
speranza. Una camera da letto vera, finalmente. Dopo anni, dopo tanti sacrifici, dopo tante rinunce, anche
loro avrebbero avuto un armadio a sei ante, come tutti i loro amici, come tante sue colleghe, come ogni
coppia che si ama.
Ha desiderato Giacomo lì, accanto a lei, in quel momento importante, come se non fosse mai andato via,
come se non avesse preso le sue poche cose, da un giorno all’altro, e le avesse detto che non l’amava più.
Lo ha desiderato fisicamente, ci avrebbe fatto l’amore su quel letto ricoperto di plastica, mentre quei due
ragazzi finivano di montare tutto quanto. Ha avvertito un brivido.
«E con questo abbiamo finito.»
I due ragazzi hanno posato l’ultimo pacco a terra, accanto agli altri due. Il moro ha tirato fuori dalla tasca
un foglio arrotolato e lo ha passato al biondino, che lo ha steso per bene, poi ha detto: «Firmi qui, tre colli,
c’è tutto.»
«Dove?»
«Qui, dove legge FIRMA DEL CLIENTE.»
Marta ha afferrato una penna già stappata, ha letto qualche riga a caso e ha firmato.
«Ecco fatto.»
«Bene signora, grazie. Noi andiamo che siamo in giro da stamattina alle otto.»
Marta ha pensato di non aver sentito bene, ha detto: «E l’armadio?»
I due ragazzi si sono guardati. Il biondo ha detto: «Eccolo signora, c’è tutto.»
«E chi lo monta?»
A rispondere è stato sempre il biondo: «Signora, lei al momento dell’acquisto ha scelto solo il trasporto,
il montaggio no.»
«Ma non è possibile, non è proprio possibile. E adesso chi lo monta?»
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Il ragazzo ha preso il foglio che Marta aveva appena firmato, ci ha passato sopra un dito fino a dove
c’era scritto “trasporto gratuito”, con una croce accanto, e ha raggiunto il punto in cui invece, senza croce
accanto, il foglio recitava “montaggio a pagamento, 5% del totale”.
Marta ha guardato la sua firma. «Devo essermi sbagliata, mio Dio. No, non potete lasciarmi così, vi
prego.»
«Signora, mi dispiace molto, ma il montaggio non è previsto. Cosa posso dirle?»
«Ragazzi, si tratta sicuramente di un errore. Vi prego, non so come fare.»
«Signora non sappiamo cosa dirle, forse non vi siete capiti con l’ufficio vendite. Noi comunque non
siamo autorizzati a montarlo quando non è previsto dal contratto.»
Il moro, che fino a quel momento non aveva proferito sillaba, ha aggiunto: «Non possiamo prenderci noi
questa responsabilità. E se poi si rompe qualcosa? E se lo montiamo male?»
«Ma è il vostro lavoro! E se doveste sbagliare dirò al negozio di aver sbagliato io, o che il pezzo l’ho
trovato già rotto.»
«Signora per noi montarlo a quest’ora significa arrivare a casa tardissimo. Scusi, ma il suo compagno non
può aiutarla? Le assicuro che è facilissimo. Ci sono le istruzioni in italiano, dentro.»
Marta ha detto: «Il mio compagno non c’è mai, è sempre a lavoro. Arriva stanchissimo. E poi volevo
fargli una sorpresa.» C’e stato un attimo di silenzio, poi ha aggiunto: «Vi prego. Vi pago il disturbo.»
«Signora non insista, siamo in giro da stamattina, dobbiamo rientrare in magazzino, lasciare il furgone e
tornare a casa.»
Lo sguardo di Marta si è inumidito: «Non so come fare, sono disperata. Quanto volete? Cento euro?
Centocinquanta?»
Quei numeri sparati così hanno provocato l’effetto sperato. I due ragazzi si sono guardati nuovamente,
uno ha scosso la testa come a chiedere cosa fare, l’altro l’ha scostata di lato. Impossibile rifiutare.
Il biondo ha tirato via dalla tasca un taglierino, l’ha passato al moro, che ha iniziato a sballare il legno dai
pacchi nel primo dei gesti a memoria che compivano in tutte le loro giornate. Ci hanno messo meno di
un’ora. La donna ha passato tutto quel tempo in cucina, davanti a un tè. Era disturbata dalla visione di quei
ragazzi che lavoravano. Quando sono sbucati sulla porta della cucina, insieme, i ragazzi hanno detto:
«Abbiamo finito.»
«Ah, sì?» Ha detto lei. «Bene. Prendete pure i soldi. Sono lì, vicino la lampada.»
Il biondino ha fatto un passo e ha afferrato le banconote. Le ha contate sommariamente. Ha fatto un
cenno al suo compagno di lavoro, e se ne sono andati.
Marta ha iniziato a piangere, dopo aver udito la porta chiudersi. Piangeva e sorrideva. E non sapeva cosa
c’era da piangere, cosa c’era da ridere. Sul divano l’unica camicia che Giacomo aveva lasciato.
E ora il the era freddo, l’armadio montato, e lei immobile e silenziosa. Pensava che stasera, dopo quasi
due anni, con la casa dei loro sogni finalmente completa, forse lui finalmente sarebbe tornato. Si è alzata,
ha afferrato la camicia e, dopo averci infilato una stampella robusta, l’ha appesa dentro l’armadio nuovo.
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Segnalato dalla giuria
Caseri Alfredo di Villa d’Adda (BG)
GAZA
Gent.mo Signor Ahmed
Quartiere Tal Alhawa
Gaza City
Striscia di Gaza
Caro Ahmed,
sono un ragazzo italiano di quattordici anni che vive su una sedia a rotelle perché ha perso le gambe in un brutto incidente stradale.
Scusa se ti scrivo. Non so se mai ti arriverà questa lettera. Non so neanche il tuo indirizzo completo. Non conosco neanche il tuo
cognome. Non so neppure se capisci l’italiano. Io purtroppo non conosco il palestinese. Non so neanche se sei ancora vivo, scusa
la franchezza, ma io spero tanto di sì. Come sono sicuro che mi risponderai, in qualche modo, non so come ma ce la farai. Io aspetterò.
Mi chiamo Andrea e vivo con mamma e papà in un piccolo paese dell’Italia. Ho trovato il tuo nome nel libro Gaza. Restiamo
umani di Vittorio Arrigoni. So che tu eri suo grande amico. Ho letto il libro di Vik (permettimi di chiamarlo così anch’io, anche
se non l’ho mai conosciuto di persona) e sono rimasto molto scosso. Su alcune pagine ho anche pianto. Doveva proprio essere un
grande uomo ma sfortunato: fare l’attivista per i diritti umani in giro per il mondo e poi morire strangolato da alcuni fanatici musulmani. E noi qui in Italia quasi non lo conosciamo! Infatti ho domandato ai miei compagni di scuola e alla professoressa di storia
ma non mi hanno saputo rispondere. Dario, un mio amico, mi ha detto: “Boh!?! Mai sentito!”. La prof invece mi ha detto qualcosa su Gaza e Israele ma non ci ho capito molto; sicuramente non aveva letto il libro di Vik. Io l’ho avuto perché un giorno papà
mi aveva portato a fare un giro in città e si era fermato a un gazebo dove c’erano dei giovani che raccoglievano firme per non so
che cosa e sul tavolino c’erano alcuni libri tra cui quello di Vik. Mi era piaciuta la copertina con quel ragazzo con uno strano cappello e la pipa in bocca. E poi mi avevano colpito i tatuaggi sulle braccia e quella specie di amuleto che portava al collo. Chiesi a
papà se me lo comprava e così l’abbiamo preso.
In macchina, dopo che papà mi ha sistemato sul sedile posteriore, ho cominciato a sfogliarlo, a guardare le fotografie e a leggere
quello che c’era scritto sotto: palestinese in lutto solleva il cadavere di un bimbo di 4 anni ucciso da un missile… rovine di case
distrutte dopo un attacco aereo… medici palestinesi trasportano un bambino ferito dalle schegge di una bomba…
“Papà – ho chiesto subito - ma cos’è successo in questo posto? E dov’è questa ‘Striscia di Gaza’? Che nome strano per un paese.
Ma perché tutti questi bambini palestinesi uccisi da missili e bombardamenti? E’ una storia vera o un romanzo?”
“Purtroppo è tutto vero, Andrea. - mi rispose – E’ successo tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009. E’ stato durante un’operazione
di guerra chiamata “Piombo fuso”, durata tre settimane, che ha provocato la morte di quasi 1300 palestinesi, tra cui 280 bambini!
Quando siamo a casa cercherò di spiegarti tutto.”
Devi sapere, Ahmed, che mio papà è un grande e conosce molte cose, non dico tutto ma tanto. Perché legge, si informa, viaggia
molto e conosce tante persone. Anch’io vorrei fare come lui da grande. Ma senza le gambe non so come farò.
Una volta a casa, papà mi ha raccontato la storia di Israele e della Palestina, che è cominciata dopo la Seconda Guerra Mondiale
e non si sa quando finirà. Tu la saprai già perché vivi lì e hai visto tutto, come Vik, per cui è inutile che te la ripeta. Anche perché,
a te lo posso dire, non ho capito del tutto quello che mi ha spiegato papà, anche se ha usato parole semplici, ma non ho avuto il
coraggio di dirglielo. Così mi sono messo a leggere il libro di Vik insieme alla mamma, un po’ tutte le sere, e man mano mi face-
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vo spiegare le parole e le sigle e i nomi che non capivo. Un po’ leggevo io e un po’ la mamma, ad alta voce. E in certi momenti,
mi vergogno quasi a dirtelo, ma a tutti e due veniva da piangere e bisognava fermarsi perché le parole non uscivano più. Soprattutto
in certi punti, come quando Vik racconta di quel mulo che spingeva un carretto con sopra una mamma e due bambini quasi morti,
uno col cranio fracassato e l’altro col torace aperto. O quando un dottore fa vedere a Vik una scatola di cartone piena di braccia
e gambe di bambini e uomini mutilati dalle bombe cadute su una scuola. Io ho toccato le mie gambe che non ci sono più e ho pensato che sono uguale a loro, solo che loro sono tanti e forse non avranno carrozzine per girare in casa, anzi molti non ce l’avranno neanche più una casa. Poi ho letto di un bambino denutrito che stava da quattro giorni vicino al corpo di sua mamma morta e
le puliva il sangue dalla fronte, pensando che stesse dormendo. Quella sera non sono riuscito a dormire e ho pensato che molti
ragazzi, oltre alle gambe come me, avranno perso anche i loro papà o le loro mamme e allora mi sono detto che sono ancora fortunato perché io li ho tutti e due e mi vogliono bene anche se sono mutilato.
Caro Ahmed, ti chiederai perché ti scrivo questa lettera, a te che le conosci già tutte queste tragedie.
Prima di tutto per dirti che avrei voluto essere là anch’io, insieme a Vik e agli altri attivisti, a fare da scudo umano ai contadini e
ai pescatori. Anche se capisco che forse sarei stato solo di intralcio. Avrei voluto almeno lanciare con la fionda una pietra verso il
cielo, insieme a quei ragazzini sporchi come i sciuscià napoletani di cui ho letto nel libro.
Ma il motivo più importante per cui ti scrivo è per chiederti un favore.
Io ho già scritto al nostro Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che conosce tutti i potenti del mondo ed è molto rispettato, affinché quando andrà in Israele faccia il possibile per convincere Netanyahu a non bombardare più la Striscia di Gaza, a non
uccidere più bambini, donne e persone che non c’entrano niente, perché non sono tutti terroristi.
Ecco, Ahmed, vorrei che anche tu scrivessi, o meglio ancora che andassi –visto che sei lì vicino- dal Presidente palestinese Abu
Mazen e dal capo di Hamas, di cui non ricordo il nome, per fare un appello alla pace, per dire loro che una soluzione duratura per
tutti non può essere militare ma politica, come dice mio papà e io ci credo.
Scusa se ti ho disturbato e grazie. Spero che la mia lettera ti arrivi.
Permettimi di concludere con la frase che Vik usava sempre. Restiamo umani.
Ciao, tuo Andrea.
Il papà e la mamma di Andrea, dopo aver letto questa lettera, hanno deciso di spedirla all’Ism (International Solidarity
Movement), l’organizzazione umanitaria con cui collaborava Vittorio Arrigoni. Dopo un mese la risposta.
“Carissimo Andrea, sono Leila, un’attivista dell’Ism che ha conosciuto Vittorio e Ahmed a Gaza nel periodo dell’operazione chiamata ‘Piombo fuso’. Ho letto la tua lettera e l’ho inviata a Gaza City. Dalle ultime notizie in nostro possesso Ahmed è ancora vivo
e continua il lavoro che Vik e altri compagni facevano in quella terra disperata. Avrai saputo dai tuoi genitori che anche nel novembre scorso c’è stata un’altra operazione di guerra a Gaza, con altri morti e feriti, durata solo otto giorni, per fortuna. Questa volta
l’hanno chiamata ‘Colonna di nuvola’. Chissà chi inventa questi nomi fantasiosi dietro ai quali c’è solo distruzione e morte. Ti
assicuro che la tua lettera arriverà a destinazione e ti ringrazio di averla scritta. La nostra speranza sono i giovani sensibili come
te, che hanno testa e cuore, anche se hanno perso le gambe (e di questo mi dispiace molto, credimi, anche se non ti conosco personalmente). Tu hai fatto molto molto di più di tante altre persone, ragazzi e adulti, che non hanno bisogno di una sedia a rotelle
per muoversi.
Resta come sei, Andrea! Restiamo umani, come diceva Vik.
Ti ringrazio ancora anche a nome di tutta l’organizzazione e, se posso, vorrei darti un grosso bacio.
Ciao, tua Leila”.
(NdA: Andrea e Leila sono personaggi inventati dall’autore, per raccontare in modo diverso fatti e persone reali; per ricordare una
tragedia ancora in atto dopo più di 65 anni (29 novembre 1947: nascita dello Stato di Israele) e per rendere un sia pur piccolo
omaggio a un uomo come Vittorio Arrigoni, attivista dell’Ism, sequestrato e ucciso a Gaza da un gruppo fondamentalista islamico il 16 aprile 2011.)
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PREMIATI
SEZIONE RACCONTO BREVE
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1° classificato
Invernizzi Gloria di Brembate Sopra (BG)
“CHE FINE HA FATTO IL MOSTRO DI LOCH NESS?”
Nessie era una bellissima creatura marina che abitava con tutto il suo branco in un lago della Scozia chiamato Loch Ness. Essi rappresentavano gli ultimi esemplari sopravvissuti all’ultima era glaciale. Quaranta milioni di anni fa, tutta la superficie terrestre si ricoprì di ghiaccio.
La maggior parte delle specie animali e vegetali esistenti in quell’era morirono a causa del repentino e brusco cambio climatico, ma non i progenitori di Nessie.
Gli antenati di Nessie erano un misto tra un dinosauro ed un anfibio, riuscirono a immergersi nelle acque
profonde degli oceani di allora prima che tutta la “crosta marina” si ghiacciasse e lì, nelle profondità oceaniche, continuarono a vivere, morire ed a modificare la loro struttura per adeguarsi al nuovo ambiente di vita.
Trascorsero milioni di anni e la terra mutò nuovamente.
Gran parte dei ghiacciai si sciolsero, alcune enormi zolle di terra si scomposero formando la terra ferma dove
noi uomini oggi viviamo.
Il lago di Loch Ness si formò solo (si fa per dire) 400 milioni di anni fa, quando il nord della Scozia, a causa
di un movimento tellurico apocalittico si squarciò e le acque del mare si riversarono in una fenditura abissale trascinando in questo vortice immenso molte forme di vita, Nessie compresa. Di quei tempi Nessie non
ricorda nulla in quanto, quando successe tutto questo caos, aveva solo pochi mesi di vita. Tutto rimase pressoché invariato fino all’inizio del nostro secolo.
Era circa il 1930 e Nessie era diventata proprio quella che noi definiremmo una bella ragazzina... se parlassimo della nostra specie. Occhi grandi e azzurri, squame robuste e di un verde brillante, corporatura snella ed
atletica ma alta, troppo alta per la sua giovane età.
Nessie era felice della sua statura perché le aveva permesso di vincere molte gare di atletica nella specialità
del salto in alto ed inoltre aveva partecipato con successo a molti concorsi come modella .Sua mamma però,
era preoccupata per la sua salute e temeva che questa rapida crescita le procurasse dei problemi, così decise
un giorno di portarla dal Dottor Bak, loro medico di famiglia. Il dottore rasserenò la madre sullo stato di salute della figlia, ma dovette riconoscere che effettivamente il suo collo si era allungato troppo nell’ultimo mil-
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lennio e per
evitare che le venisse la scoliosi avrebbe dovuto fare una serie di esercizi di ginnastica correttiva. Nessie uscì
sbuffando dallo studio medico del Dr. Bak. A lei non piaceva proprio l’idea di fare una noiosa ginnastica
posturale e poi il suo lungo collo le piaceva così com’era.
La mattina seguente la madre di Nessie la svegliò e le ordinò di svolgere il programma di esercizi che il Dr.
Bak aveva appositamente creato per lei.
Il primo esercizio prevedeva il “risveglio muscolare”, ossia movimenti lenti e circolari della testa e del collo.
Nessie uscì sbattendo la porta di casa e fra sé pensò: “Prima inizierò questi noiosi e inutili esercizi e prima li
finirò. Li farò velocemente così poi avrò tempo per fare ciò che mi pare.” Nessie iniziò a ruotare velocemente la testa, con movimenti scoordinati e frettolosi e così si trovò a sfiorare l’acqua in superficie.
Prima d’ora non era mai salita fino su in cima, le era sempre stato vietato e a lei non era mai interessato sapere il perché non si potesse farlo o cosa mai ci fosse alla fine dell’acqua.
Arrivò senza accorgersene in superficie e Nessie rimase impietrita quando la sua testa sbucò fuori dall’acqua.
Mai prima d’ora aveva visto il paesaggio circostante e non sapeva nemmeno che esistesse un mondo diverso
da quello sottomarino. Gli alberi, le brulle coste, la nebbia, il debole sole, le rovine del vicino castello erano
per lei tutte novità che la impaurivano ma allo stesso tempo la attraevano. Spaventata ed eccitata per quelle
nuove scoperte tornò velocemente a casa nella sua grotta sottomarina.
Non fece parola con nessuno di ciò che aveva visto in quanto aveva infranto un grave divieto recandosi fin in
superficie.
Per molti giorni a seguire Nessie continuò a scrutare il mondo fuori dall’acqua e si meravigliò nel vedere che
esistevano forme di vita diverse dalla sua, ma coloro che la attraevano più di ogni altra cosa erano gli uccelli perché potevano volare liberi in ogni angolo del creato.
Quel lago dove da sempre viveva cominciò a starle stretto, capì che la sua vita era altrove e che il suo destino era un altro. Cominciò a riflettere su come la sua specie fosse riuscita a sopravvivere a millenni di evoluzioni e si convinse che con molta dura ginnastica anche le sue pinne atrofiche avrebbero potuto trasformasi
in grandi ali che l’avrebbero portata un giorno via da là. Uno sfortunato giorno del 1934 un chirurgo fotografò
Nessie con la testa fuori dall’acqua e la foto finì sulla prima pagina di tutti i giornali. In breve tempo il lago
di Loch Ness venne preso d’assedio da giornalisti, turisti e curiosi, tutti a caccia del “mostro di Loch Ness”.
La vita di Nessie e quella del suo branco era in serio pericolo. Nessie improvvisamente era diventata per gli
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uomini “un mostro” pericoloso e assolutamente da catturare e decise che doveva fare qualcosa per salvare lei
e la sua specie. Radunò tutta la sua comunità e si scusò con loro perché si sentiva colpevole di tutto quanto
stava succedendo e promise che in qualche modo avrebbe sistemato ogni cosa. La notte si fece coraggio, andò
sulla terra ferma e prese un grosso tronco divelto dal temporale con all’estremità un grosso ramo spezzato.
L’impetuosa pioggia di quella notte cancellò le sue orme sulla riva. Tornò in acqua e si spinse al largo dove
cominciò a far galleggiare in verticale il tronco che in lontananza assomigliava perfettamente alla sagoma di
Nessie. I pescatori e i cacciatori che si trovavano sulla riva e videro quella figura nell’acqua si mobilitarono
subito sulle loro imbarcazioni per catturare “il mostro”. L’increspature dell’acqua e le onde creavano forme
strane che suggestionavano la loro fantasia. Quando furono in prossimità di quello che credevano essere “il
mostro di Loch Ness”, i marinai gettarono le loro reti per catturare la creatura e Nessie con uno scatto fulmineo spinse il tronco nelle reti. Concitati ed ansiosi i marinai raccolsero le reti per vedere da vicino il famoso
mostro, ma con grande stupore e delusione scoprirono che in realtà il mostro altro non era che un vecchio
tronco d’albero dalla forma un po’ singolare che la loro fantasia e l’avidità di denaro aveva trasformato in un
trofeo di caccia.
Così presto tutto tornò alla normalità e “il mostro di Locc Ness” diventò una leggenda.
Nessie capì che in questo mondo non c’era spazio per lei, e in un impulso tra rabbia e determinazione sbattè
le sue pinne che si erano irrobustite e spiccò per la prima volta il volo…libera…in cerca di un posto dove non
dover più scappare o nascondersi.
Voglio credere che oggi Nessie abbia trovato un pianeta dove essere felice, dove essere se stessa, dove sia
accettata per quello che è.
Penso a tutte quelle persone che vengono emarginate perché ritenute strane o diverse per razza, cultura o semplicemente perché si innamorano di persone di ugual sesso e poi improvvisamente scompaiono e non vengono mai più ritrovate.
Voglio immaginare che tutte queste persone non siano sparite nel nulla, ma in realtà abbiano spiccato il volo
sullo stesso pianeta di Nessie, il pianeta denominato “Io Sono!”, dove possono liberamente vivere senza essere perseguitati dall’ignoranza di questa civiltà moderna.
Ogni tanto con le sue ali Nessie sfiora una stella e la fa cadere sulla terra.
Questo è il suo modo per comunicare con la sua mamma e per dirle: “Non preoccuparti, sto bene, ho solo
inseguito il mio destino. Ciao mamma ti voglio tanto bene!.”
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Segnalato dalla giuria
Algeri Beatrice di Bergamo
L’OGGETTO
Era una giornata pigra e senza aspettative nel paesello di Pivanò, una giornata come le altre,
forse un po’ troppo primaverile per un giorno d’inverno.
Pivanò era un paesello su una montagna, ma più che sulla montagna si poteva dire che Pivanò
era incastonato nel monte Piva, da cui derivava il nome del paesello.
Era un monte solido e boscoso, interamente coperto dalla selvaggia vegetazione a parte pochi
spazi soleggiati liberi dagli alberi, aree occupate da pascoli e praticelli in cui si scorgevano allegri ruscelli, dapprima resi invisibili dalla fitta boscaglia.
In queste radure a volte greggi e mandrie pascolavano, infatti la caccia e l’allevamento erano
le attività principali delle persone di Pivanò.
In un luogo così radicato nelle antiche tradizioni non era mai successo qualcosa che potesse
sconvolgere la pace e la tranquillità di quei boschi freschi.
Era la fine dell’invero quando successe, precisamente il 12 gennaio 1963, in una di quelle giornate che sapevano ancora di inverno, anche se la luce del sole era forte e i raggi scioglievano
la brina di mattina con il dolce caldo del pomeriggio.
Il vento sottile portava un odore di miele, resina di pino, corteccia, foglie e funghi, mentre dal
paese si sentiva l’odore del pane appena sfornato e dei dolcetti.
“La giornata più bella del decennio”, esclamavano i signori del bar vicino ai peschi, sicuri di
avere ragione, anche perché era domenica e questo voleva dire che era ancora più bella.
Proprio in quella giornata arrivò l’oggetto, nessuno sapeva da dove o come era arrivato, si
sapeva solo che un giorno il bracco del signor Andrea, che era andato alla mensile battuta di
caccia come aveva sempre fatto, fece qualcosa di insolito.
Il vecchio cane, che non riusciva a pigliare neppure un coniglio tanto l ’età si faceva sentire, si
era destato ringhiando e abbaiando come un folle, davanti a una piccola sporgenza di metallo,
che fuoriusciva dal terreno. E’ così che fu trovato l’oggetto.
Venne portato in città, nella piazza, turbando la pace cittadina e la consuetudine degli abitanti. Non si poteva descrivere, perché non aveva descrizione e non si poteva usare, perché non
aveva uso, nessuno riusciva a capire né cosa fosse, né da dove fosse arrivato.
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Era solo un ordigno, un oggetto, non poteva essere altro, perché in realtà non si sapeva neppure come potesse esistere. La gente fu spaventata da questo oggetto, vollero tenerlo però, non
si sa perché lo fecero, ma lo fecero lo stesso.
Cercarono di dimenticarlo, di continuare la loro vita normale, ma l’oggetto e il non sapere cosa
fosse, ne cosa facesse, influenzò le loro menti.
La paura serpeggiava per le strade e nessuno non pensava che all’oggetto, ormai tutto aveva
preso quella forma indefinibile, esattamente come lui.
Tutto poco a poco diventò oggetto, la gente vedeva solo quello.
Nessuno riusciva più a dormire, era colpa dell’oggetto.
Alla signora della mensa era bruciata la polenta, era colpa dell’oggetto.
Tutti credevano che le disgrazie del paesino derivassero dall’oggetto.
La paura si trasformò in terrore e il pensiero in ossessione.
Dal canto suo, l’oggetto, chiuso nel granaio con finestre e porte sprangate, non aveva emesso
suono, né si era azionato, né mosso.
La situazione precipitò quando dall’oggetto, una notte, uscì un ululato profondo e metallico
che fece tremare il paesino e anche le persone.
Sembrava un ululato disperato e profondo.
Il signor Andrea, in balia dell’ira, prese allora l’oggetto e lo lanciò giù dalla gola del monte
Piva. Rotolò parecchie volte, ma non si ruppe e sempre continuò a cacciare ululati strazianti.
Però la gola era profonda, così l’oggetto sparì nell’abisso.
Il signor Andrea tornò al paese da eroe, dicendo che aveva rimandato all’inferno quell’oggetto. Così l’oggetto e il suo mistero vennero apparentemente cancellati dal paese di Pivanò.
Ma cosa era veramente l’oggetto? E a cosa serviva, se serviva a qualcosa? E di che forma era,
se aveva una forma? Sicuramente gli abitanti di Pivanò non lo sapranno mai, forse l’oggetto
non era altro che la paura umana dell’ignoto.
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Segnalato dalla giuria
Classe II scuola secondaria di primo grado di Berbenno (BG)
QUERTY E LA CHIAVE MAGICA
E così per salvarla, la madre l’appoggiò delicatamente nel portale.
Come ogni giorno, Rose e il suo cane Sparky erano usciti per la solita passeggiata mattutina
lungo il fiume. Ad un certo punto, il cane le sfuggì e corse verso un riflesso luminoso, che
intravide nell’erba vicino all’acqua. Lei lo seguì, attratta da qualcosa che sentiva essere importante, prezioso. Si chinò per cercarlo con le mani e sentì un metallo. Guardò meglio: sembrava una chiave, dalla forma originale eppure familiare. Il cane abbaiò inquieto. Rose alzò lo
sguardo e quello che vide la sconvolse: le acque ondeggiavano pericolosamente e stavano per
travolgerla, come un abbraccio mortale. La ragazzina iniziò a chiamare aiuto, ma senza alcun
risultato, perché nessuno, nessuno poteva vedere o sentire ciò che vedeva e provava lei. Gridò.
La sua voce uscì strozzata, ma poi cominciò ad espandersi e giunse lontano, dove qualcuno la
stava aspettando. E lei, allora, capì che doveva andare… tornare a casa…
Si trovò in un mondo fantastico, eppure tanto familiare. Iniziò a guardarsi intorno: fuoco,
ghiaccio e pietre. Sentiva, tuttavia, che c’era vita aldilà delle apparenze, “vedeva” fiori, piante,
case e persone. Bé, persone piuttosto strane: non mancavano elfi, troll, maghi e fate, stravaganti, buffi, dagli sguardi astuti o maligni, tristi e sottomessi o crudeli e perfidi. Dov’era capitata?
Con un dito sfiorò un fiore di pietra, che magicamente al suo tocco riverberò i colori dell’arcobaleno. Lo sguardo le si addolcì in un sorriso, che a sua volta illuminò il suo riflesso su una
lastra di ghiaccio. Come tutte le ragazze norvegesi, Rose era bionda e aveva gli occhi azzurri.
Era magra, alta, bella. Era sempre stata sicura di sé, eppure in quel momento capì che non tutto
poteva essere spiegato e compreso con la presunzione dei suoi giovani anni.
In quel momento uno scricchiolio del ghiaccio lo distolse dai suoi pensieri. Sperò che qualcuno potesse aiutarla e si guardò in giro.
Apparve quasi dal nulla un ragazzo. – Sono, ehm, non mi crederai, forse, ma sono… Spartacus,
Sparky, e sono… il tuo fedele amico. Tua madre mi aveva trasformato in un cane per proteggerti. – Lei gli rispose stupita: - Sparky? Ma mia madre non ha poteri magici! E poi dove mi
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trovo?
Tua madre, la tua vera madre, è tenuta prigioniera al castello della malvagia Regina delle Pietre
che si è impadronita del mondo di Qwerty. Tu sei la principessa di questo regno e la speranza
del mondo degli umani. Sei anche l’unica discendente, perciò devi proteggere questo Regno,
liberarlo dal gelo della morte, se vuoi portare luce anche sulla terra. Ma ricorda, la regina ti
vuole morta e tu ti devi difendere.
So che tutto questo ti sta spaventando, ma non avere paura, non sei sola. Va con i miei piccoli
grandi amici folletti. Essi ti condurranno alla biblioteca di Qwerty: lì troverai la risposta ad
ogni tua domanda.
La biblioteca era ciò che di più bello e affascinante potesse vedere. Libri enormi, volumi
impolverati, scale che conducevano a scaffali che arrivavano al soffitto, tavoli di legno antico
e lampade ad olio… A lei piaceva leggere moltissimo e per un attimo le sembrò un paradiso
potersene stare lì nella Stanza del Sapere.
Ancora una volta qualcosa la richiamò alla realtà. Spartacus le indicò il Libro di Ogni Risposta.
E Rose aveva tante domande da porre. Come mai si trova lì? Che cosa doveva fare? Come poteva sconfiggere la Regina? Il Libro si aprì magicamente e le presentò una pagina parlante. –
Rose, tu sei la prescelta. Non avere paura, leggi il tuo cuore: solo tu puoi sapere che cosa puoi
e devi fare, la risposta è dentro di te.
Nel libro era disegnata tutta la sua storia. Si vide appena nata con sua madre, che le sorrideva
teneramente. Com’era dolce il suo sguardo! Tutto il regno era in festa, ma poi la Regina delle
Pietre aveva indurito le menti e i cuori delle genti: nessuno più capiva quanto l’altro voleva
dire, gli elfi si scontrarono con i troll, i maghi lottarono con le fate, gli animali domestici attaccarono i loro padroni. Niente fu più come prima. La Regina di Qwerty si trovò imprigionata
dalla sorella cattiva che la rinchiuse dentro la Torre del Silenzio con la sua piccola Rose.
Per salvarla dalla maledizione, la mamma l’aveva delicatamente depositata nel portale magico,
che l’avrebbe trasporta nel mondo degli umani. Lì Rose aveva trovato la sua salvezza. Ora,
però, toccava a lei salvare il “suo” mondo. Ma come?
Doveva affrontare la Regina, riuscire a superare la sua magia che trasformava ogni cosa in pietra, sciogliere la durezza delle cose.
Rose, allora, usò la chiave che le aveva permesso di tornare nel suo regno. Aprì la porta della
Torre del Silenzio e poté liberare non solo la Regina, sua madre, ma sciolse la durezza delle
menti e dei cuori, fece tornare la speranza e la fiducia gli uni negli altri: niente era irrimedia-
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bilmente perduto!
Spartacus, sapendo che la regina era una donna molto astuta, corse in aiuto di Rose con un esercito di folletti e creature magiche che popolavano la notte.
L’antica lotta, che sempre pone il Bene contro il Male, iniziò. Il combattimento fu atroce.
Lo slancio e la volontà di Rose riportarono pace e serenità a Qwerty.
La ragazza poté finalmente riabbracciare la madre, che non aveva potuto salutare prima, travolta com’era stata dall’assalto della Regina di Pietra e dai suoi soldati. Si parlarono a lungo,
poi la Grande Regina le mostrò il Libro della Storia: Rose che va a scuola, Rose che porta il
cane a spasso, Rose che salva il mondo, Rose…
- Mamma, ma il libro ha delle pagine bianche. Come mai?
- Cara Rose, ora devi continuare tu. Tu devi scrivere il tuo futuro, così come il nostro regno e
il regno della Terra sono liberi di scegliere la strada da seguire.
Rose decise che doveva tornare. Là sulla Terra aveva i suoi sogni, la realtà fatta di piccole
cose sicure e buone. Salutò tutti con il sorriso di chi poteva contare sulla comprensione e la
protezione degli altri. Abbracciò la Madre e strinse Sparky
- Sparky! Sparky! – si meravigliò Rose. – Sparky, ma tu sei venuto con me! E’ meraviglioso!
Il portale si richiuse dietro di sé. Una piccola chiave di smeraldo s’illuminò brevemente al collo
di Rose. La luce del giorno parve più intensa del solito.
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7° Concorso letterario nazionale di scrittura di POESIA e