Racconto breve pubblicato da CONSULTA s.r.l. Editore Online
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ANNO 2025
PREFAZIONE
I RACCONTI DEL III° VENERDI
Perché ”I racconti del III° venerdì”, perché questo piccolo libro? Siamo nel
2025, abbiamo le nostre basi sulla luna e c’è una lunga lista di persone che vogliono
passare le ferie in quel posto freddo e senza un filo d’erba. Già perché?.
E’ stata mia figlia, abito con lei, con la sua mania di cose originali e senso
dell’ordine. Qualche mese fa, mettendo a posto le mie cose, io quasi non mi muovo
più dopo la malattia dell’anno scorso, ha scoperto, giù in cantina, la cartella dei miei
scritti di tanti anni fa. Mi ha fatto un immenso piacere, inutile negarlo, ma poi è
venuta da me che seduto in poltrona guardavo la televisione, non faccio altro tutto il
giorno, ed è sbottata:
< Babbo, devi farmi una prefazione a un libretto con i tuoi vecchi racconti. Voglio
regalarlo ai miei amici per questo Natale >
< Che vuoi Elisa, una prefazione? > Al momento la parola è apparsa sul video e ha
cominciato a ballare.
<Si! Una paginetta che dia un senso a questi tuoi scritti: i tempi sono molto cambiati
da allora. Lo farai, vero babbino? >
La carezza che mi lasciò scorrere sulle guance ebbe più valore di una firma su un
contratto. Così eccomi qui, a cercare di riempire, di malavoglia, queste due paginette.
Tutto iniziò nel lontano 2003, avevo 60 anni, anzi 59 se so fare ancora due
conti, era febbraio se non sbaglio. Il mio amico pittore “Biffe”, si firmava così perché
aveva un nome che non finiva più, con la moglie sempre appresso e dopo qualche
bicchiere fra noi, mi aveva invitato per quel venerdì presso la libreria “Finisterre” di
San Giovanni Valdarno: vi si ritrovava con degli amici per una serata di cultura e
ascolto.
In quel tempo scrivevo qualche poesia: cose semplici, ma di cui ero molto
geloso; al solito finivano in qualche angolo della casa e non le ritrovavo più, così gli
risposi che sarei stato della compagnia.
Quel venerdì fu l’inizio di una bella esperienza: mi ritrovai con alcuni che già
conoscevo e altri che imparai a conoscere, ma la cosa che più mi sorprese fu che
cominciai a cercare dentro me stesso, percorsi mai fatti fino allora.
Tornato a casa, preso da non so cosa, cominciai a scrivere racconti. Ho ancora
in mente il primo: “Il palazzo rosso”, uno spaccato di vita del condominio dove
abitavo e abito tuttora; lo ricordo perché lo amai subito e capii che anche uno che
scriveva come un cane e si faceva correggere dalla moglie, insegnante di lettere, le
virgole e gli accenti, le une troppe e gli altri troppo pochi, poteva buttar giù qualcosa
e giocare con la fantasia che certo non mi mancava.
Giocoforza imparai anche a leggerle queste piccole storie: davanti agli amici e
a chi interveniva casualmente. I primi tempi ero uno strazio; in seguito, tenendo conto
delle esigenze di chi ascoltava, andò decisamente meglio.
Stranamente, delle sere in cui ci incontravamo, ho in mente solo quelle
d’inverno: serate nebbiose fredde, i ritrovi poco illuminati al calduccio e le facce i
volti cui, purtroppo, non so più dare un nome.
Carmelo… si Carmelo lo ricordo ancora, con quel nome e quelle mani come
potrei dimenticarlo: in questo nostro sodalizio suonava il sax e il clarino, rompendo le
attese e i silenzi che a volte incombevano e Nicholas: caro ragazzo, l’anima del
gruppo, che con pazienza riusciva a tenerci insieme, e quella ragazza, di cui mi
sfugge il nome, con gli occhi sognanti, sempre fra le nuvole; infine la Rosanna, la
moglie del pittore, che coglieva attimi di poesia dalla vita di tutti i giorni; e poi, poi
nient’altro, non ricordo, tutto è diventato opaco.
Le cose andarono avanti del tempo, scrissi non so quanti racconti: mi dava un
sottile piacere inventare storie, disporre di personaggi, creare problemi e risolverli:
uno psicologo, forse, mi avrebbe chiarito tutto.
Poi tutto finì, come, forse, era giusto accadesse. Nicholas andò a lavorare in
Inghilterra presso un editore, qualcuno mi ha detto che scrive per vivere, altri si
ammalarono, qualcuno se ne andò, la ragazza che sognava a occhi aperti l’ho vista
anni dopo che spingeva una carrozzina e io sono qui…. seduto in questa poltrona.
Ed ora lasciatemi stare, ho da prendere la medicina, altrimenti c’è da sentirla
quella, mia figlia intendo: è un dottore!
Inoltre, tra breve, inizia il mio programma preferito alla T.V., non voglio
perderlo. Ah, dimenticavo!
Perché il terzo venerdì? Nulla di misterioso, niente a che fare con streghe e lupi
mannari. Era il terzo venerdì del mese che ci incontravamo. Tutto qui.
Marzo 2006
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I racconti del III° venerdì