0.0 Titolo: Il Ballo delle Ingrate Musica: Claudio Monteverdi Testo di Ottavio Rinuccini Prima rappresentazione alle nozze di Francesco Gonzaga, erede del trono ducale di Mantova con Margherita, infante di Savoia, 1608, a Mantova La musica è stata pubblicata nei Madrigali Guerrieri e Amorosi (Venezia 1638) dall’ editore Ricciardo Amadino. Frontespizio Madrigali Guerrieri e Amorosi Maria de' Medici Firenze, 1575 -1642 fu regina consorte di Francia e Navarra come seconda moglie di Enrico IV di Francia dal 1600 al 1610. Frans Pourbus il Giovane 1610 Claudio Monteverdi, Blasonatura araldica Gonzaga dipinto di Fetti Domenico, (circa 1620) Margherita di Savoia, Duchessa di Mantova. successiva all'anno 1530 Olio su tela-1608 Palazzo Te Camera di Ovidio o delle Metamorfosi Palazzo Te Camera delle aquile Giulio Romano 1524-34 0.1 Claudio Monteverdi: (1567-1643), autore del primo vero capolavoro lirico: Orfeo (Mantova, 1607). Si forma alla scuola del compositore veronese Marco Antonio Ingenieri. Chiamato a Mantova dal duca Vincenzo Gonzaga, è influenzato dal maestro fiammingo Jacques de Wert. A Mantova è maestro di cappella. Alla morte del duca ritorna per un breve periodo a Cremona per ripartire, subito dopo, alla volta di Venezia dove, nel 1613, diventa maestro di cappella in San Marco. Qui scrive i suoi capolavori. Monteverdi raccoglie l'eredità del madrigale rinascimentale e pone le basi del teatro musicale, scrivendo una musica espressiva, densa di affetti, emozionante. Quando, nel 1600, la libertà armonica dei madrigali monteverdiani viene attaccata dal teorico Giovanni Artusi, che lo accusa di non aver rispettato le regole dell'equilibrio polifonico secondo i dettami dell'armonia rinascimentale, Monteverdi risponde che il vecchio stile, la prima prattica, era ancora adatto alla musica da chiesa, ma che per i madrigali ci si doveva attenere al nuovo stile, la seconda prattica, in cui "le parole sono compagne dell'armonia, non sue serve". Nell'opera, il campo in cui Monteverdi esercita con maggior profitto il suo immenso genio, teatrale oltre che musicale, il cromatismo tipico della seconda prattica si fonde perfettamente con lo stile monodico messo a punto da Jacopo Peri e Giulio Caccini, nel fuoco di una espressione avvincente, calda, moderna. Nel 1607 si rappresenta il suo primo dramma per musica, l'Orfeo. Quest'opera, che supera grandiosamente ogni precedente tentativo, fa del dramma in musica uno spettacolo di enorme successo storico. Il linguaggio cromatico di Monteverdi è ricco e vario, libero dai vecchi canoni, capace di esprimere ogni sentimento dettato dal testo, ogni emozione. L'orchestra si arricchisce di strumenti e di timbri e diventa un efficace veicolo narrativo ed emozionale. Il successo di pubblico è clamoroso. Monteverdi raggiunge una grande fama nel mondo raffinato delle corti italiane. Fama che si consolida con l'opera Arianna del 1608, su libretto di Ottavio Rinuccini. Nel 1637, a Venezia, si inaugura il San Cassian, il primo teatro lirico pubblico. L'opera è ormai un genere di grande successo. Monteverdi scrive per il pubblico veneziano una serie di composizioni teatrali, molte delle quali per sempre perdute. Ci resta però la musica del Ritorno d'Ulisse in patria (1640) e dell'Incoronazione di Poppea del 1643. Opere della piena maturità, meravigliosamente intense di sensualità, di vita, di sensibilità umana. Una galleria portentosa di personaggi, ognuno dei quali scolpito con le note più appropriate, si incontrano, si amano e si odiano, piangono e gioiscono, tradiscono, si sacrificano, dicono addio alla vita, si perdono nell'eros... in queste vicende lontane, della mitologia e della storia romana, ma rese sempre presenti dalla potenza del disegno, dalla sapienza armonica e ritmica. A volte la musica si fa incandescente di erotismo, come nell'addio tra Nerone e Poppea, la terza scena del primo atto dell'Incoronazione di Poppea, dove il canto rende in musica la notte d'amore, la mollezza dei sensi spossati dalla delizia. Ottavio Rinuccini: (Firenze 1562-1621) è il primo vero librettista d'opera. Di famiglia aristocratica, frequenta giovanissimo la Camerata de' Bardi, il circolo di intellettuali, poeti e musicisti, nell'ambito del quale nasce il melodramma. Sono di Ottavio Rinuccini i libretti di Dafne (1597) per la musica di Jacopo Peri e Jacopo Corsi (e poi, nel 1608, di Marco da Gagliano); Euridice per la musica di Jacopo Peri (1600), l'opera con la quale si dà inizio alla storia del melodramma; Arianna, per la musica di Claudio Monteverdi, opera della quale ci resta solo il famoso Lamento di Arianna; Il ballo delle ingrate (1608), messo in musica da Claudio Monteverdi. Gli argomenti sono tratti dalla mitologia e alternano dialoghi, monologhi e azioni coreografiche 0.2 . Palazzo Te: Mantova era anticamente circondata da quattro laghi formati dal corso del fiume Mincio; poco distante dall’isola su cui sorse la città si trovava un’altra isola denominata sin dal medioevo Teieto (poi abbreviato in Te) collegata con un ponte alle mura meridionali della città. Due sono le ipotesi più attendibili sul significato del termine Teieto: esso potrebbe derivare da tiglieto, località di tigli, oppure essere collegato a tegia, dal latino attegia, che significa capanna. L’isola, che possiamo immaginare verdeggiante e tranquilla, divenne ben presto luogo di svago per la famiglia Gonzaga; numerosi sono i documenti che attestano già dalla metà del Quattrocento l’uso di questo contesto naturale. Agli inizi del 1500 Francesco II Gonzaga, marito di Isabella d’Este, vi fece costruire stalle per gli amati cavalli di razza e anche una casa padronale. Rimangono infatti tracce di un edificio di pregio con pitture murali nei sottotetti dell’attuale palazzo. Un affresco reca la data 1502 e le iniziali del committente. Camera a crociera Ritratto di Giulio Romano Federico II Gonzaga, Volta dipinta nel 1534 da Luca da Faenza Tiziano, Tiziano, L’incontro tra Giulio Romano e Federico II Gonzaga e il successivo incarico di costruire il Palazzo del Te è suggestivamente descritto da Vasari nelle sue Vite. Quando Giulio giunge a Mantova nell’ottobre del 1524, il marchese gli fornisce una dimora, lo colma di regali e, donatogli uno dei suoi cavalli favoriti, cavalca con lui fino all’isola del Te. Qui Federico incarica Giulio di ristrutturare le scuderie esistenti per “accomodare un poco di luogo da potervi andare e ridurvisi tal volta a desinare, o a cena per ispasso”. Il proposito dunque appare piuttosto modesto ma, come riferisce Vasari, alla vista del bellissimo modello predisposto da Giulio, il marchese dà incarico, con entusiasmo, di iniziare immediatamente la costruzione del palazzo. La funzione dell’edificio è anche chiaramente espressa in un’iscrizione che si trova nella sala di Psiche. È un palazzo per il tempo libero e lo svago, per l’onesto ozio del principe, che ritempra le forze nella quiete. Palazzo Te viene utilizzato spesso dalla famiglia Gonzaga come luogo atto ad accogliere e onorare gli ospiti illustri, come dimostrano le visite dell’imperatore Carlo V che soggiorna al Te in due occasioni, nel 1530 e nel 1532, mentre Enrico III re di Francia vi è ricevuto nel 1574. Giulio di Piero Pippi de’Iannuzzi, detto Romano, nasce a Roma nell’ultimo decennio del Quattrocento. La data di nascita non è certa, l’atto di morte del 1546 lo dice deceduto all’età di 47 anni facendo risalire la nascita intorno al 1499, mentre Vasari la fa cadere nel 1492. Gli studiosi sono del parere di accettare il dato documentario. Giulio si afferma presto tra i principali collaboratori di Raffaello nelle opere di pittura; inoltre sotto la guida del maestro, “seppe benissimo tirare in prospettiva, misurare gl’edifizii e lavorar piante”, come attesta Vasari. La sua venuta a Mantova è preceduta da una modello per un nuovo edificio a Marmirolo, talmente bello da sembrare di mano di Michelangelo. Il suo genio creativo si alimenta moltissimo dell’esempio del suo maestro, Raffaello, ma a differenza di altri discepoli che rimangono fedeli al suo stile, guarda anche a Michelangelo, di cui si ritrova molto nella possanza e nel dinamismo delle figure che per mano di Giulio prendono vita nei dipinti e negli stucchi di Palazzo Te. A Mantova presso i Gonzaga, dove giunge nel 1524, diviene immediato punto di riferimento, prima come eccelso artista e abile coordinatore dei progetti gonzagheschi, poi, dal 1526 anche come Prefetto delle fabbriche. Giulio Romano è attivo su molti fronti, nel principato gonzaghesco e in altri stati. A Mantova, oltre che nelle fabbriche gonzaghesche (Palazzo Te e Palazzo Ducale), interviene anche sulla città dove segue progetti di carattere urbanistico e vigila sull’edilizia privata. Importante anche il contributo all’edilizia religiosa: suoi i progetti per la cattedrale di Mantova e per la basilica di San Benedetto al Polirone. Tale è il rilievo che assume presso la corte dei Gonzaga che nel 1526 viene elevato alla dignità di vicario di corte. Il committente del palazzo è Federico II Gonzaga (1500-1540), figlio di Francesco II e Isabella d’Este. Federico regge Mantova come marchese dal 1919 al 1530; quell’anno è elevato a duca dall’imperatore Carlo V. Condottiero di non grande abilità, a parere del Guicciardini, si ritira presto dalle armi per dedicarsi al governo del suo piccolo stato e agli interessi personali, tra i quali spiccano le arti e la collezione di opere antiche. Segue quindi la tradizione familiare che vede nella madre una colta mecenate e collezionista e anche nel padre un attento committente (fa costruire il Palazzo di San Sebastiano, poco lontano dall’isola del Te, e vi colloca i celebri Trionfi del Mantegna). Con l’aiuto di Baldassarre Castiglione, ambasciatore gonzaghesco a Roma, Federico riesce a far arrivare a Mantova, nel 1524, il migliore degli allievi di Raffaello. Il Gonzaga trasmette a Giulio Romano il suo sogno, quello di esaltare la vita della corte mantovana grazie al genio di un artista che progetta “non abitazioni di uomini, ma case degli Dei” come ci dice Vasari nelle sue Vite. 1.0 Il Ballo delle Ingrate è - secondo l'opinione di Henry Prunières1 — il solo "balletto alla francese" conservato integralmente. Il modello del Ballet de Cour non può stupire quando si ricordino i frequenti viaggi e soggiorni a Parigi di Rinuccini, l'amicizia del quale per Maria de' Medici, regina di Francia, faceva sussurrare i maligni. D'altra parte il figlio del poeta, pubblicando le poesie paterne, fa gloria al padre di essere stato il primo a importare in Italia il "balletto francese". Per il libretto nessun dubbio, anche se gli intermezzi cantati in "stile recitativo" non si trovino nel modello originale. Monteverdi definisce il lavoro « in genere rappresentativo» (come tutti quelli destinati al teatro). La scena rappresenta un paesaggio con, nel mezzo, l'entrata dell'inferno donde escono fiamme e bagliori rossastri. Amore prega sua madre, Venere, d'intervenire presso Plutone perché conceda alle Ingrate (le donne che si son mostrate crudeli verso i loro amanti) di ritornare qualche ora sulla terra, affinché Vegga su'l Mincio, ogn'anima superba A qual martir, cruda beltà si serba. Plutone acconsente: e ordina alle Ombre di condurre le Ingrate. Queste, vestite con abiti « di color ceneritio adornato di lacrime finte », escono alla luce del sole «con gran dolore significato per gesti». Poi danzano; alla fine della danza restano immobili, mentre Plutone al proscenio mostra alle Dame presenti quale castigo attenda le donne troppo crudeli verso coloro che le amano. Poi ordina alle Ingrate di rientrare nell'inferno. Queste riprendono la loro danza « con atti pieni di maggior disperazione e di maggior cordoglio », ma quando Plutone ripete il suo ordine si affrettano ad obbedire. Una sola si arresta sulla soglia del regno infernale per un commosso addio alla luce: Aer sereno e puro, addio per sempre... e per esortare le Dame presenti alla pietà verso chi le ama: O ciclo, o sole: addio lucide stelle. Apprendete pietà donne e donzelle. L'idea originale non manca di intenzioni drammatiche, ma il testo ha carattere più narrativo e descrittivo che veramente drammatico: poco adatto dunque a stimolare la sensibilità inventiva di Monteverdi. Infatti, accanto a pagine veramente belle, altre denotano una certa stanchezza e quasi un laisser aller (non curanza). Si comprende: dopo la composizione di Arianna e già preso dal lavoro di preparazione con gli interpreti, Monteverdi doveva essere molto stanco, e la verbosità mitologico-galante di Rinuccini non era tale da invogliarlo ad affaticarsi maggiormente. Le parti vocali son trattate, quasi sempre, in "stile recitativo": ma basterà un accento veramente sentito, una espressione viva e vera, perché quel recitativo assuma subito movenze di arioso, perché la melodia riveli una rispondenza autentica con l'espressione poetica: nel monologo di Venere, che ha quasi il carattere di un "madrigaletto"2 con Basso Continuo; nel duettino tra Venere e Amore e, più ancora, nella lunga apostrofe di Plutone realizzata con una declamazione lenta, con frasi discendenti nella tessitura grave e con ampi intervalli (le parole: «là giù... » comportano un intervallo di undecima): un arioso alternato con ritornelli strumentali dopo ogni strofe. Il momento più alto dell'opera è il lamento dell'anima ingrata che s'è arrestata sulla soglia dei regni infernali: due strofe che terminano con una stessa frase, ripetuta "a cappella" da altre quattro voci; una pagina patetica, intensamente espressiva: tanto commovente che le dame del pubblico ne furono «non meravigliate, sì bene mosse al pianto ».La parte strumentale ha una certa ampiezza e un significato particolare. Per questa Monteverdi esige: cinque viole da brazzo, un clavicembalo e un chitarrone, « li quali ustrimenti si radoppiano secondo il bisogno della grandezza del loco in cui devisi rapresentare ». Si preoccupa anche di dare all'insieme una chiara unità tematica: infatti la Sinfonia (che con la sua ripetizione inquadra l'esortazione di Venere), l'Entrata con gli episodi che seguono, e i ritornelli son composti con materiali musicali affini. Il "balletto" propriamente detto è la scena più importante dell'opera. È composto di una Entrata (un motivo semplice, in 4/2, ripetuto più volte) e di cinque episodi tutti costruiti con lo stesso materiale melodico, variato solo ritmicamente. Unico, l'episodio centrale è costruito su disegni melodici diversi; il quarto richiama il tema originale parzialmente rovesciato, e nell'ultimo il motivo dell'Entrata è leggermente variato. Per questo lavoro si è parlato di influenza francese: s'è visto come, da parte sua, Rinuccini l'abbia riconosciuta. Per Monteverdi invece — come afferma Leo Schrade3 - nessuna influenza può essere provata, neppure nell'Entrata o nelle musiche di danza, perché l'alterazione ritmica d'uno stesso materiale melodico era praticata nella musica strumentale italiana fin dagli inizi del secolo XVI; e lo stile delle parti strumentali, come quello delle forme vocali, è tipicamente monteverdiano. Si ignora se, dopo la rappresentazione mantovana, II Ballo delle Ingrate sia stato eseguito ancora e dove. Monteverdi lo pubblicherà trent'anni più tardi nei Madrigali Guerrieri e Amorosi. 1.0 Note: 1: Prunières, Henry. - Musicologo (Parigi 1886 - Nanterre 1942). Studiò alla Sorbona con R. Rolland. Scrisse molti saggi e studî, documentati mediante ricerca diretta, specialmente su musicisti francesi e italiani antichi e moderni e opere storiche di largo impegno. Emergono: Lulli (1909) e l'intrapresa edizione integrale delle opere lulliane; Le ballet de Cour en France ... (1914); La vie et l'oeuvre de C. Monteverdi (2 voll., 1927); F. Cavalli et l'opéra vénitien au XVIIe siècle (1931). Fondò e diresse la Revue musicale (1920-39) e dal 1924 al 1934 fu corrispondente del New York Times; partecipò alla fondazione (1922) della Società internazionale per la musica contemporanea e a quella (1927) della Società internazionale di musicologia. 2:Il madrigale è una composizione musicale, in maggior parte per gruppi di 3-6 voci, originata in Italia, e diffusa in particolare tra Rinascimento e Barocco. L'origine della parola è a tutt'oggi discussa: se ne ipotizza l'etimologia dal latino volgare mandria-mandrialis in riferimento al contenuto rustico e pastorale; da matrix-matricalis, "di lingua materna, dialettale" o, nell'accezione proposta da Bruno Migliorini, "alla buona"; dal Provenzale mandra gal, "canto pastorale" o ancora dallo spagnolo mandrugada, "canto dell’alba"; dal latino "materialis" opposto a "spiritualis" ovvero "cose materiali o grosse". Altri attribuiscono l'origine del nome Madrigale al termine materialis, ovvero di argomento profano, contrapponendosi a spiritualis. Tutte queste saranno caratteristiche del madrigale musicale del '300. 3: Schrade, Leo. - Musicologo (Allenstein, Prussia Orient., 1903 - Spéracèdes, Alpi Marittime, 1964). Studiò nelle univ. di Heidelberg, Monaco e Lipsia, dove si diplomò in musicologia nel 1927. Insegnò a Königsberg e a Bonn; si trasferì poi negli Stati Uniti, dove dal 1938 insegnò all'univ. di Yale; dal 1958 ha insegnato nell'univ. di Basilea. È autore di numerosi scritti tra cui Monteverdi, creator of modern music (1950) e saggi sulla musica medievale e rinascimentale 2.0 Il Ballo delle Ingrate Testo di Ottavio Rinuccini Interlocutori Amore, Venere e Plutone Quattro Ombre d'Inferno Otto Anime Ingrate che ballano Strumenti Cinque Viole da brazzo Clavicembalo e Chitarrone, li quali istrumenti si radoppiano secondo il bisogno della grandezza del loco in cui devisi rapresentare Prima si fa una scena la cui prospettiva formi una bocca d'Inferno con quattro strade per banda, che gettino fuoco, da quali usciscono a due a due le Anime Ingrate, con gesti lamentevoli, al suono della entrata che sarà il principio del ballo, il qual va cotante volte ripetito da suonatori fino che trovino poste nel mezzo del loco in cui assi da dar principio al ballo, Plutone sta nel mezzo conducendole a passi gravi, poi ritiratosi alquanto, dopo finita la entrata, danno principio al ballo, poscia AMORE De l'implacabil Dio Eccone giunt'al Regno, Seconda, O bella Madre, il pregar mio. PLUTONE Chi spogliè di valore l'auree saette Che tante volte e tante Giunsero al cor de l'immortal Tonnante? VENERE Non tacerà mia voce Dolci lusinghe e prieghi Finche l'alma feroce Del Re severo al tuo voler non pieghi. VENERE Donne, che di beltate e di valore Tolgono alle più degne il nome altero, Là, nel Germano Impero, Di cotanto rigor sen van armate, Che di quadrell'aurate E di sua face il foco Recansi a scherzo e gioco.. AMORE Ferma, Madre, il bel piè, non por le piante Nel tenebroso impero, Che l'aer tutto nero Non macchiass'il candor del bel sembiante: Io sol n'andrò nella magion oscura, E pregand'il gran Re trarotti avante. VENERE Va pur come t'agrada. Io qui t'aspetto, Discreto pargoletto. (Sinfonia) Udite, Donne, udite! I saggi detti Di celeste parlar nel cor servate: Chi, nemica d'amor, nei crudi affetti Armerà il cor nella fiorita etate, (Sinfonia) Sentirà come poscia arde a saetti Quando più non avrà grazia e beltate, E in vano risonerà, tardi pentita, Di lisce e d'acque alla fallace aita. PLUTONE Bella madre d'Amor, che col bel ciglio Splender l'Inferno fai sereno e puro, Qual destin, qual consiglio Dal ciel t'ha scorto in quest'abisso oscuro? VENERE O de la morte innumerabil gente Tremendo Re, dal luminoso cielo Traggemi a quest'orror materno zelo: Sappi che a mano a mano L'unico figlio mio di strali e d'arco Arma, sprezzato arcier, gli omer e l'ali. PLUTONE Mal si sprezza d'Amor la face e'l telo. Sallo la terra e'l mar, l'inferno e'l cielo. VENERE Non de' più fidi amanti Odon le voci e i pianti. Amor, Costanza, Fede Non pur ombra trovar può di mercede. Questa gli altrui martiri Narra ridendo. E quella Sol gode d'esser bella Quando tragge d'un cor pianti e sospiri. Invan gentil guerriero Move in campo d'honor, leggiadro e fiero. Indarno ingegno altero Freggia d'eterni carmi Beltà che non l'ascolta e non l'aprezza. Oh barbara fierezza! Oh cor di tigre e d'angue! Mirar senza dolore Fido amante versar lagrime e sangue! E per sua gloria, e per altrui vendetta Ritrovi in sua faretra Amor saetta! PLUTONE S'invan su l'arco tendi I poderosi strali, Amor che speri, e che soccorso attendi? AMORE Fuor de l'atra caverna Ove piangono invan, di Speme ignude, Scorgi, Signor, quell'empie e crude! Vegga, vegga sull'Istro Ogni anima superba A qual martir cruda beltà si serba! Plutone fattolo fermare nel mezzo, parla verso alla Principessa, e Damme, che saranno presenti, nel modo che sta scritto; Delle Anime Ingrate, il lor vestito sarà di color cenerito, adornato di lacrime finte; finito il ballo tornano nel Inferno, nel medesimo modo del'uscita, e al medesimo suono lamentevole, restandone una nella fine in scena, facendo il lamento che sta scritto, poi entra nel'Inferno. Al levar de la tela si farà una sinfonia a beneplacito. PLUTONE Deh! Chi ricerchi, Amor! Amor, non sai che dal carcer profondo Cale non è che ne rimeni al mondo? AMORE So che dal bass'Inferno Per far ritorno al ciel serrato è il varco. Ma chi contrasta col tuo poter eterno? PLUTONE Saggio signor se di sua possa è parco. VENERE Dunque non ti rammenti Che Proserpina bella a coglier fiori Guidai sul monte degli eterni ardori? Deh! Per quegli almi contenti, Deh! Per quei dolci amori, Fa nel mondo veder l'ombre dolenti! PLUTONE Troppo, troppo possenti Bella madre d'Amore, Giungon del tuo pregar gli strali al cuore! Udite! Udite! Udite! O dell'infernal corte Fere ministre, udite! OMBRE D'INFERNO Che vuoi? Ch'imperi? PLUTONE Aprite aprite aprite Le tenebrose porte De la prigion caliginosa e nera! E de l'Anime Ingrate Trahete qui la condannata schiera! VENERE Non senz'altro diletto Di magnanimi Regi Il piè porrai ne l'ammirabil tetto! Ivi, di fabri egregi Incredibil lavoro, O quanto ammirerai marmorii fregi! D'ostro lucent' e d'oro Splendon pompose le superbe mura! E per Dedalea cura, Sorger potrai tra l'indorate travi, Palme e trionfi d'innumerabil Avi. Ne minor meraviglia Ti graverà le ciglia, Folti Theatri rimirando e scene, Scorno del Tebro e de la dotta Atene! Qui incominciano apparire le Donne Ingrate,et Amore e Venere così dicono: AMORE E VENERE Ecco ver noi l'adolorate squadre Di quell'alme infelici. Oh miserelle! Ahi vista troppo oscura! Felici voi se vi vedeva il fato Men crude e fere, o men leggiadre e belle! Plutone rivolto verso Amore e Venere così dice: PLUTONE Tornate al bel seren, celesti Numi! Rivolto poi all'Ingrate, così segue: PLUTONE Movete meco, voi d'Amor ribelle! Con gesti lamentevoli, le Ingrate a due a due incominciano a passi gravi a danzare la presente entrata, stando Plutone nel mezzo, camminando a passi naturali e gravi.Giunte tutte al posto determinato, incominciano il ballo come segue. (Sinfonia) Danzano il ballo sino a mezzo; Plutone si pone in nobil postura, rivolto verso la Principessa e Damme, così dice: PLUTONE Dal tenebroso orror del mio gran Regno Fugga, Donna, il timor dal molle seno! Arso di nova fiamma al ciel sereno Donna o Donzella per rapir non vegno. E quando pur de vostri rai nel petto Languisce immortalmente il cor ferito, Non fora disturbar Plutone ardito Di cotanta Regina il lieto aspetto. Donna al cui nobil crin non bassi fregi Sol pon del Cielo ordir gli eterni lumi, Di cui l'alma virtù, gli aurei costumi Farsi speglio dovrian Monarchi e Regi. Scese pur dianzi Amor nel Regno oscuro. Preghi mi fè ch'io vi scorgessi avanti Queste infelici, ch'in perpetui pianti Dolgonsi invan che non ben sagge furo. Antro è la giù, di luce e d'aer privo, Ove torbido fumo ogni hor s'aggira: Ivi del folle ardir tardi sospira Alma ch'ingrata hebbe ogni amante a schivo. Indi le traggo e ve l'addito e mostro, Pallido il volto e lagrimoso il ciglio, Per che cangiando homai voglie e consiglio Non piangete ancor voi nel negro chiostro. Vaglia timor di sempiterni affanni, Se forza in voi non han sospiri e prieghi! Ma qual cieca ragion vol che si nieghi Qual che malgrado alfin vi tolgon gli anni? Frutto non è di riserbarsi al fino. Trovi fede al mio dir mortal beltate. Poi rivolto al Anime Ingrate, così dice: Ma qui star non più lice, Anime Ingrate. Tornate al lagrimar nel Regno Inferno! Qui ripigliano le Anime Ingrate la seconda parte del Ballo al suono come prima, la qual finita Plutone così gli parla: Tornate al negro chiostro, Anime sventurate, Tornate ove vi sforza il fallir vostro! Qui tornano al Inferno al suono della prima entrata, nel modo con gesti e passi come prima, restandone una in scena, nella fine facendo il lamento come segue; e poi entra nell'Inferno: UNA DELLE INGRATE Ahi troppo Ahi troppo è duro! Crudel sentenza, e vie più crude pene! Tornar a lagrimar nell'antro oscuro! Aer sereno e puro, Addio per sempre! Addio per sempre, O cielo, o sole! Addio lucide stelle! Apprendete pietà, Donne e Donzelle! QUATTRO INGRATE insieme Apprendete pietà, Donne e Donzelle! Segue UNA DELLE INGRATE Al fumo, a gridi, a pianti, A sempiterno affanno! Ahi! Dove son le pompe, ove gli amanti! Dove, dove sen vanno Donne che si pregiate al mondo furo? Aer sereno e puro, Addio per sempre! Addio per sempre, O cielo, o sole! Addio lucide stelle! Apprendete pietà, Donne e Donzelle!