El Piò
enVèrs
edizione 2015
Via S. Zeno, 69 - 25100 Brescia
Tel. 030 2457511
Raccolta di poesie in dialetto bresciano per un viaggio
alla riscoperta del proprio territorio
15
15
I
l dialetto bresciano rappresenta una ricchezza da tutelare perché custodisce un
patrimonio linguistico legato alle tradizioni, alle abitudini, agli usi e ai costumi
della gente e del territorio. Purtroppo oggi il vernacolo ha perso parte della grande
varietà di vocaboli che un tempo lo caratterizzava e che, soprattutto in ambito
rurale, consentiva di definire con precisione l’ampia gamma di oggetti e utensili
utilizzati dai contadini. Forse solo gli anziani continuano a utilizzare termini ormai
desueti, che rischiano di cadere nell’oblio.
Proprio in virtù del grande valore linguistico e sociale del dialetto credo sia utile
leggere e diffondere questa raccolta di poesie in vernacolo bresciano tratta dal
concorso “El Piò EnVèrs”. Scorrendo i versi pubblicati risulta evidente il gusto
per la concretezza e l’aderenza alla realtà. In queste poesie ricorrono vocaboli che
richiamano il lavoro dei campi, parole intrise di poesia e suggestioni.
Così, per illustrare la potenza evocativa di queste composizioni, mi permetto di
citare un passo parafrasato in italiano della poesia di Armando Azzini di Rezzato
dal titolo “‘Na lama de vanga”, che ha vinto il primo premio del concorso: “e noi
che siamo prestati / a questa terra che respira e beve la notte / quando batte la falce
della Luna / che sguazza nel secchio del latte / tiriamo l’orecchio per ascoltare / il
chiacchiericcio dei fossi che ci attraversano”.
Queste parole hanno il potere di affastellarsi nella mente del lettore e di comporre
un affresco ricco di colori e immagini che si riferiscono alla vita contadina, alla terra
coltivata e ai suoi prodotti, agli strumenti utilizzati quotidianamente, a una natura
che per i contadini è fonte di vita e sostentamento.
Il dialetto bresciano comprende diverse varianti, parlate nelle varie zone della
nostra provincia, che si estende da Edolo in Val Camonica fino a Pontevico nella
pianura padana. Ovviamente le inflessioni, i gerghi e gli stili risentono degli idiomi
in uso nelle province confinanti. È importante sottolineare che, nonostante questa
grande mescolanza, il dialetto bresciano mantiene la funzione di collettore delle
diverse identità locali, malgrado oggi nell’uso comune il vernacolo sia spesso
mescolato con l’italiano e i nuovi linguaggi.
Auguro ai poeti che hanno partecipato al concorso fortuna e successo nella
consapevolezza che la loro opera contribuisce a tramandare un elemento distintivo
della nostra comunità e della nostra cultura, che suscita in tutti noi emozioni intense
e nostalgia per un’epoca che non esiste più.
El Piò
enVèrs
2015
Emilio Del Bono
Sindaco di Brescia
Si ringrazia
Con il Patrocinio di
Finito di stampare dicembre 2015
Progetto e realizzazione grafica
TREPUNTOZERO s.c. Torino
1
Introduzione
I
l successo dell’agricoltura italiana sta nella sua sostenibilità e nella sua bellezza
che derivano da straordinarie qualità, varietà, distintività e articolazione sul
territorio che non hanno uguali al mondo.
Si tratta di un risultato che è figlio di cura, di equilibrio, di tradizione e di
innovazione, di buon lavoro, di rispetto, i quali rendono il Made in Italy a tavola
esclusivo, quindi prezioso e vendibile su tutti i mercati della terra.
Se siamo ai vertici mondiali per la produzione biologica, se la nostra rete di mercati
in vendita diretta è la più estesa in Europa, se l’agricoltura giovane italiana è la più
numerosa e più innovativa d’Europa, se i nostri formaggi e i nostri vini sono i più
ricercati, è perché in questi anni abbiamo costantemente mantenuto e innovato per
garantire competitività al settore agroalimentare che rappresenta il 15 per cento
del Pil nazionale, con un valore complessivo di 250 miliardi di euro di fatturato
alimentato da 1,6 milioni di aziende agricole.
Se siamo ai vertici mondiali nell’agroalimentare è anche perché il popolo degli
agricoltori si nutre della tradizione e della cultura che caratterizza l’unicità di questa
raccolta di poesie intrise di valori e di amore per la nostra bella terra bresciana.
Ettore Prandini
Presidente Coldiretti Brescia
I
l dialetto: lingua delle nostre radici che a detta di tutti va scomparendo. Ed è vero,
perché scompaiono termini che solo i nostri nonni usavano, l’italiano li sta pian
piano “colonizzando” e annacquando, i giovani ormai vivono con linguaggi nuovi.
Ma il malato … è malato, e dunque molti si stanno impegnando a fornire le migliori
cure. E Palcogiovani è da sempre in prima linea: abbiamo iniziato cantando il vino,
e poi il pane. Due dei prodotti locali che fanno grande la nostra provincia. Ma ecco,
da quest’anno il nostro amore per il dialetto ci ha riportato alle origini, alla terra.
E dunque andiamo, leggiamo insieme e gustiamo queste pagine preziose, dove il
dialetto è stato coccolato dal sapiente lavoro della Giuria e posto tra le calde zolle
accoglienti della bassa; noi e tutti i poeti che hanno partecipato abbiamo deposto
un seme tra i solchi. Ora sta a tutti voi farlo crescere.
PRIMO PREMIO
Armando Azzini (Rezzato)
‘NA LAMA DE VANGA
Quan el tratùr
el dorma sóta ‘l portech
e no postàcc al mür
deentóm scagnèla per i gacc
l’è ‘na lama de vanga che riólta
i pensér spès come gaṡù
menemà che toca ‘l cel el manech
löster dal bofà de mila mà
salta föra ‘n mès a le raìs
j.òs che parla ciar ensèma ai sas
UNA LAMA DI VANGA
Quando il trattore / dorme sotto il
portico / e noi appoggiati al muro /
diventiamo seggiolina per i gatti / è una
lama di vanga che rivolta / i pensieri
spessi come zolle // man mano che tocca
il cielo il manico / lucido dall’ansimare
di mille mani / saltano fuori in mezzo
alle radici / le ossa che parlano chiaro
insieme ai sassi //
e noi che siamo prestati / a questa terra
che respira e beve la notte / quando batte
la falce della Luna / che sguazza nel
secchio del latte / tiriamo l’orecchio per
ascoltare / il chiacchericcio dei fossi che
ci attraversano //
e se l’acqua risciacqua il cuore / nel
portar via malumori e rovi / l’anima
guarda dritto il Sole anche senza
occhiali // luminosa a far semente resta
addosso / una briciola di speranza / che
lucida il ferro dell’aratro / ed è tutto ciò
che occorre a farci fiorire / fino a quando
dissolveremo / nel sussurro del mondo.
e nó che sóm prestacc
a chèsta tèra che respira e bef la nòt
quan ciòca la ranṡa de la Lüna
che ṡbarbacia nel sedèl del lat
tiróm l’orècia per scultà
el ciacolà d’i fòs che na streèrsa
e se l’aiva la reṡenta ‘l cör
nel portà vià magù e roéde
l’anima la mira ‘l Sul a’ sensa öciai
lüminùṡa a fa somésa rèsta adòs
‘na briṡa de speransa
che ṡgüra ‘l fèr del piò
e l’è töt chèl che ocór a fan fiurì
enfina a quan desfantaróm
nel süsür del mond.
L’Associazione Palcogiovani
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SECONDO PREMIO
Anna Maria Marsegaglia (Edolo)
TERZO PREMIO
Velise Bonfante (Rivoltella)
QUETE GRANDESE DE GRÀ
SE SÈNT NE L’ARIA
Trape seche de rùer
becade dal vet,
bioscuse ariete che sfanta
i cricc sgarlacc dele grole;
in om gris ‘ngobit
con occ de calabrusa
‘l sluma la tera parnisa.
Se sènt ne l’aria en laùr zèrp e noèl
desfàt el gias, se desèda el fosadèl
de onda, en frèsa el se pesega a nà
du ghèi de acqua che dis che ria l’istà
isé se dèrf le crènchene sfasade
a töcc le mostra el cör bé distindide,
Che dé ‘ncarognat,
magher ‘mpich
come ì sò bras sdernacc,
üt e ngrügnat
come sté piò de teré
che ‘l gà gnà in’onsa de ert
per dai culur ale ‘nsomie.
con fòje a gucì e fiur a balunsì
en sö se slonga en pé pó i ciocarì,
MITI SPLENDORI DI GRANO
Tralci secchi di rovere / pizzicati dal
vento, / fugaci arpeggi che smorzano
/ gridi aspri di cornacchie; / un’ombra
ingobbita / dagli occhi di brina / scruta
la terra macchiettata. // Che giorno
malinconico, / magro sfinito / come le sue
braccia spossate, / cupo e vuoto /come
questo pezzo di terra /che non ha un filo
di verde / che dia colore ai suoi sogni.
/ Ma di là / di un recinto scheggiato /
un barbaglio di luce /annuncia la bella
stagione, /quando questa terra gelida
/ si aprirà al solletico /di un aratro che
la rivolta: / e sarà come una risata /di
un bambino che si sveglia. /E ripagherà
tutti i sospiri, /l’orgoglio dei vecchi,
/l’amore della gente, le fatiche, /con miti
splendori di grano /e col profumo del
pane nuovo.
Ma de spüs
de ‘na spalanga s-cepada
‘na barbaiada de lüs
la segna la bela stagiù,
quant che sté tera zelada
la‘s derverà al gasolì
de n’arat che ‘l la smöf:
‘l soméerà la grignada
de ‘n pì che se deséda.
E ‘l pagherà tücc i sospir,
la front alta dei vecc
l’amur dela zet, le fadighe,
con quete grandese de grà
e col perfum del pà nöf.
4
per fas véder, ciapa ala la salvia,
e se slarga la gramegna gajarda
e gh’è la malva col ròza a righine
e gh’è ‘l cincèl de ae e bestiuline
e ‘l papaciüch, l’erba eva e la spagna
la mènta, el mentù mat, la piantagna,
ai, trifoi, milafòi, en möcc de fiùr
risulade sbrofade de culùr.
La campagna l’è lé coi sgrìzoi a spetà
ma l’istà l’è za pasada en del rià.
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SI AVVERTE NELL’ARIA
Nell’aria si avverte qualcosa di acerbo
e novello / sciolto il ghiaccio, si ridesta
il ruscello // sollecito e svelto si affretta /
due dita d’acqua ad annunciare l’arrivo
dell’estate // così si aprono le cicorie
sfacciate / ben distese mostrano a tutti
il loro cuore // con foglie a spillo e fiori
a palloncino / si ergono le silene, //
si pavoneggia baldanzosa la salvia /
striscia ovunque la gramigna tenace //
e c’è la malva col rosa a righine / c’è lo
svolazzare continuo di api e insetti // e
l’erba eva, l’acetosella, l’erba medica / la
mentuccia, il mentastro, la piantaggine
// agli, trifogli, millefoglie, un sacco di
fiori / spruzzate arricciate di colori. //
In campagna, è un fondersi di fremiti
d’attesa / ma l’estate è fuggita prima
ancora d’arrivare.
PREMIO SPECIALE intitolato a LEONARDO URBINATI
Dario Tornago (Brescia)
PREMIO SPECIALE intitolato a ANNA TERESA CELESTE
Mary Chiarini Savoldi (Ghedi)
NÓNO E NIÙT
De là del védre
i varda l’éra e i ciós,
e i và ‘n spalèta
coi dé del so laurà.
Vùza mà
che g’hà schisàt manése e piò
che sintìa zamó de pa,
che g’hà sinsigàt bò
e molàt le ranze,
che g’hà ligàt ensèma
cöe e orasiù,
mà che g’ha smunzìt
e g’hà ‘nsonnàt somense e angòse,
che g’hà fat vìa
el südà benedèt del sùl.
NONNO E NIPOTE
Dietro la finestra / guardano l’aia e i
campi, / portandosi addosso / i giorni
del lavoro. // Gridano mani / che hanno
fatto forza su manici e vomeri / che già
odoravano di pane, / che hanno incitato
buoi / e affilato falci, / che hanno legato
tra loro / covoni e preghiere, / mani
che hanno munto / e seminato chicchi
e angosce, / che hanno asciugato / il
sudore benedetto del sole. // Dietro la
finestra / due mani grinzose / poggiano
calli e speranze / su una sapienza nuova,
/ due occhi di specchio / corrono su un
tappeto / dove una vita / si fa balle di
fieno / e grani di Rosario / che chiedono
al Tempo, / signore dei nostri Contadini,
/ che continui / a far giudizio.
De là del védre
dó mà grime
posta cai e speranse
sö de ‘n saì töt nöf,
du öcc de spècc
i cór sö de ‘n tapé
endóe ‘na vita
la sa fà bale de fé
e grà de Curùna
che domanda al Temp,
signùr dei nòs Paezà,
che ‘l sögöte
a fa giödése.
GRÀ SPARPAJÀCC
GRANI SPARPAGLIATI
Rosari di giorni / che raccontano / la
fatica del contadino che ara. / L’odore
/ della terra graffiata / che fuma, / di
mani che spargono semenza /nella zolla
tenera e profumata. // Sfumano i colori,
/ e passeri fra i rami / attendono il buio
/ per beccare / grani sparpagliati nel
campo. // Piano, la nebbia silenziosa
mette il suo velo.
Rozàre de dé
che i cönta
la fadiga del contadì che ara.
L’udur de la tèra zgröbiàda
che föma,
de mà che sparnéga semènsa
ne la tópa mulsìna e pröfumada.
Sföma i culur,
e pasarì fra i ram
i speta ‘l fósch
per becà
i grà sparpajàcc nel ciós.
Abelàze, la ghèba silensiùsa la mèt
‘l sò vél.
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PREMIO SPECIALE intitolato a MEMO BORTOLOZZI
Alberto Rigoni (Desenzano)
PREMIO SPECIALE intitolato a DINO MARINO TOGNALI
Giancarlo Sembinelli (Vione)
NÓM CHE L’È ÙRA
LA FOMNA CUL SARCLO
L’è grèa l’aria stamatina,
l’è zà ciar; nóm che l’è ura!
Tacat el piò, la ponta del gói
l’ha anviat el nà d’i bò;
i va fin là ‘n dó finiss i piò
dré a i termegn del nà.
I ara piò e fadiga
e ‘n del nà zö ‘n del teré
a recalcà ‘l fred le giurnade
n’udùr de bù ‘l vé sö
a engarbiass col fià d’i bò.
El silènsio el fa cumpagnìa
al sò pàs gréf de speranse
söl sentér amò fósc, tra i càmp sgracià
‘ntan che la òlta del ciél
la se ‘ndòra cun penelàde de lüs.
La va cun le sue gnàrgne spèse
cuma le gósse de rüsaza sö i brügnöi ghèrp
e ‘l péso di sò pensiér garabòcc che i se
smòrsa
‘n de ‘l sólc de ‘n terè ganós che
‘l ghe làsa gnanche el fià per campà.
Al santilì del cruzàl la se badènta
cu le mà sulènghe tacàde sö a la feràda
a sfarfuià quàtro Gloria al sò Signor.
I so öcc e se ‘ncrósa colém de cumpasiù.
Lü cun la sua crós sö le spàle gaiàrde
per sumnà la sumènsa de la ìta
‘n de nà tèra sbìndada.
Lé cul sò sarclo che ‘l bàt
sö i òs del la schèna scaèsa
per culmà le sue patate
che de la ìta le ghe darà la sumènsa.
“Te sè mìga de per te fómna”
sembra che la brìsia leséra
la cincischiés tra le föe ularìne de le bedóle.
ANDIAMO CHE È ORA
È greve l’aria stamattina/e già chiaro; andiamo
che è ora./Attaccato l’aratro, la punta de pungolo/
ha avviato l’andare dei buoi;/vanno fin là dove
finiscono i campi/dietro ai paracarri dell’andare.
// Arano campi e fatica, / e nell’andare giù nel
terreno/a ricalcare il freddo delle giornate /un
buon odore viene su/ ad ingarbugliarsi con fiato
dei buoi. // La carrucola dei giorni nel suo girare/
tira su gli oggi dal terreno/verso un domani di
andare/ fino a che la fatica/ arrivi alla fine,/ là
in fondo dei campi delle giornate. // Nel giorno
che va, /verso il silenzio della sera /una campana
suona,/la carrucola gira fin sopra l’arato,/marca
il tempo /che si lega e si slega/nell’arare in mezzo
ai giorni/ che continuano a rincorrersi. // Una
occhiata oramai stanca/cerca uno scalino:/ da
sedersi/ e riposare fino a domani.
La sirèla dei dè ‘n del sò girà
la tirà sö i ancö del teré
envers a ‘n dumà de nà
fin che la fadiga la ries a có
là ‘n fond d’i camp de le giurnade.
‘N del dé che ‘l va
‘n vers el tàser de la sera
na campana la suna,
la sirèla la gira fin sura l’arat,
la marca ‘l temp
che ‘l se liga e ‘l se desliga
‘n del arà en mès a i dé
che i seita a curiss dré.
N’öciada oramai straca
la serca en tapù:
de sentass
e polsà fin dumà.
8
Adès la va slaidìna e la bacìla pö,
‘l sò càmp el sarà la sua cumpagnìa tüt el dé,
tèra petacada col sudör,
pólver ‘n de le frisàde del sól,
fadìghe che diènta urasiù.
Adès ‘l sò sarclo l’è ‘l bastù per la ìta.
9
LA DONNA CON LA ZAPPA
Il silenzio fa compagnia al suo passo
greve di speranze / sul sentiero ancora
buio, tra i campi incolti / intanto che la
volta del cielo / si riveste di pennellate di
luce. / Cammina con le sue inquietudini
spesse / come le gocce di rugiada sui
prugnoli acerbi / e il peso dei suoi
pensieri traballanti che si spengono / nel
solco di un terreno pietroso che / non le
lascia nemmeno il fiato per campare. /
Alla santella sull’incrocio si sofferma /
con le mani assorte posate all’inferriata
/ a balbettare quattro Gloria al suo
Signore. / I loro occhi si incrociano
ricolmi di compassione. / Lui con la sua
croce sulle spalle forti / per seminare il
seme della vita / in una terra lacerata. /
Lei con la sua zappa che batte / sulle ossa
di una schiena a pezzi / per dissodare le
sue patate / che della vita gli daranno il
seme. / “Non sei da sola donna” / sembra
che la brezza leggera / sussurri tra le
foglie ballerine delle betulle. // Adesso
cammina veloce e non vacilla più, / il
suo campo le farà compagnia tutto il
giorno, / terra rammendata col sudore,
/ polvere nelle frustate del sole, / fatiche
che diventano preghiera. / Adesso la sua
zappa è il bastone per la vita.
PREMIO SPECIALE intitolato a SERGIO GIANANI
Adriano Zordan (Brescia)
PREMIO SPECIALE intitolato a VITTORIO SOREGAROLI
Resy Pescatori (Zanano)
SCARFOJÀ
EL MÉ PAÉS
Ger sera ‘ndel sènter l’Ave Maria
che biöscàa zó col fosch dal campanìl,
m’è nit ‘na gnàgna, ‘na malincunia,
entàt che dal pozöl stae lé a idil.
G’hó d’ ìga lasàt en qualc cantù
ma me ricorde mia gna ‘ndoe gna quando,
‘na picola promèsa fada al me paesèl
a le stradine de la mé contrada.
M’è nit en mènt quand nàem a scarfojà.
Forse l’ó lasàda amò quand sére picinì
scundida de drè a qualc anta d’òn armade
sóta ‘l lensöl, forse sóta ‘l me cusì
‘ndoe ghia custodìt le mé speranse, j-ensòme.
Ma l’è sücès tant e tant temp fa
quand spetàe amò de dientà grand
e dré a le strade ghia amò udùr de bu,
sentùr d’erba frèsca de masenc, mögià de ache.
Madóne de contadì che tacàa i bò al car
preghiere de ècie che nàa a Mèsa Prima
udùr de móst che buìa nel tì
bestèmie dei veci quand nàa de sura el vì.
Adès che só ‘nveciat g’hó ‘n gram de nostalgìa
fó finta de gnent e mande zó ‘l bucù
za tanto el mé paés l’è mia piö chel;
però quanto me piasìa, quanto ghia bel
andà per ni’ de April, sèrte matine
perder el fiat a corìga dré a le galine
robàga j-öf a la mé nóna
per nà a comprà ‘na braca de biline!
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IL MIO PAESE
Devo aver lasciato in qualche angolo /
ma non ricordo dove né quando / una
piccola promessa fatta al mio paese /
alle vecchie strade della mia contrada.
// Forse l’ho lasciata ancora quand’ero
piccolino / nascosta dietro a qualche
anta dell’armadio / sotto al lenzuolo,
forse sotto al mio cuscino / dov’erano
custodite le mie speranze i sogni. //
Ma è successo tanto e tanto tempo fa /
quando aspettavo ancora di diventare
grande / e lungo le strade c’era ancora
odore di buono / sentore d’erba fresca
e di maggengo, muggiti di mucche. //
Bestemmie di contadini che attaccavano
i buoi al carro / preghiere di vecchie che
andavano a Messa Prima / odore di
mosto che bolliva nel tino / bestemmia
di vecchie quando traboccava il vino.
// Adesso che sono invecchiato ho un
grammo di nostalgia / faccio finta di
niente e mando giù il boccone / tanto il
mio paese non è più quello! / Però quanto
mi piaceva, quanto era bello // andar per
nidi d’Aprile certe mattine / perdere il
fiato a correr dietro alle galline / rubare
le uova alla nonna / per comprare una
manciata di castagne secche.
Utùer en bèla mostra söl lönàre,
melgàs nei ciós che i paria giupì,
fòje dei ràm che cambiàa culùr
prim de mörer a tèra o dré ai tumbì.
Là, sota ‘l pórtech de me zia Palmira,
gran méde de canù spetàa la séra,
nóter en sércol, sö le scàgne en mira,
döpràem el scarfuì de buna lena.
Prima vergù i tacàa a dì ‘l Rozare,
Pàter e Gloria che nàa a scunfundìs
ai cülmartèi dei gnari ‘ndei scarfòi,
entat che l’otra zia, de nòm Maria,
la sirvia móndoi e biceròc de vì.
Isé pasàa dò ure tra Rozàre e cansù,
ciàcole che mürìa ensèma al fosch,
entat che dor polsàa ‘l furmintù
al ciàr de lüna ciòca co’ l’udùr de most.
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SPANNOCCHIARE
Ieri sera, nell’ascoltare l’Ave Maria / che
all’imbrunire scendeva dal campanile,
/ ho provato un malessere, una
malinconia, / intanto che lo osservavo
dal mio balcone. // Ho ricordato
quando si andava a spannocchiare. //
Ottobre in bella mostra sul calendario,
/ fusti di granoturco nei campi parevano
burattini, / le foglie dei rami che
cambiavano colore / prima di morire
a terra o nei chiusini. // Là, sotto il
porticato di mia zia Palmira, / grandi
cataste di granoturco aspettavano la
sera, / noi, seduti in circolo e / con
l’apposito ferro, toglievamo il cartoccio
dalle pannocchie. // Prima qualcuno
recitava il Rosario, / Pater e Gloria che
andavano a confondersi / ai ruzzoloni
dei ragazzi nei cartocci ammucchiati, /
mentre l’altra zia, zia Maria, / offriva
castagne lesse e bicchieri di vino. // Così
passavano un paio d’ore tra preghiere
e canzoni, / chiacchiere che morivano
insieme al buio, / intanto che dorato
riposava il granoturco / al chiaro di una
luna ubriaca di profumo di mosto.
MENZIONE D’ONORE
Ugo Pasqui (Brescia)
MENZIONE D’ONORE
Loredana Jole Scarpellini (Cazzago s.M.)
I DÙ FILOSOFI
ÙZE ÈN VÈRS PÈR MÌA DESMENTIGÀ
Ài,
àrdèl le chèl piò,
che dür e dret èl ga scaàt le me sguànze,
chèl cànchèr!
Èl sta le pustàt èn d’èn cantù dè l’éra,
ma ‘na ólta a l’an èl tìra fò la làma
e ‘l ve a taià la tùrta,
a ‘ncülam tùrna èn tòch dè tep.
Isé, de per de,
èl piò èl slónga la mè büza;
ga rìe piö a scundìda
èn chèl piò dè ciós
èndù narò pò a me a fa ledàm.
Èn piò dè tèra ènsurnàt,
che nühü ghè piö turnàt ‘ndré
a regóèr.
Alùra lahìm uzà amò ‘na ólta,
che rèstè àlmanch chèsto vers
hufiàt tra le àlbere che fa umbréa
ai nòm scaàcc nèla prèda,
pèr mìa desmentigà!
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GRIDO UN VERSO PER NON
DIMENTICARE
Ai, / guardalo lì quell’aratro, / che duro
e dritto ha scavato le mie guance, /
quel canchero! / Rimane lì poggiato in
un angolo dèl cortile, / ma una volta
all’anno tira fuori la lama / e viene a
tagliare la torta, / a incularmi di nuovo
un pezzo di tempo. / Così, giorno per
giorno, / l’aratro allungata la mia buca;
/ non riesco più a nasconderla / in quel
piò di campo / dove andrò anche io a
fare letame. / Un piò di terra seminato,
/ che nessuno è più tornato indietro /
a mietere. / Allora lasciatemi gridare
ancora una volta, / che resti almeno
questo verso
soffiato tra i pioppi che fanno ombra /
ai nomi scavati nella pietra, / per non
dimenticare!
Sùra i plòc rioltàcc che amò i fömèga
i sta l’òm e la bestia, i bófa mìga;
con le schéne postàde e streacàcc
i par el monumènt de la “Fadìga”.
Apéna ‘l gömer, löster come ‘n spècc,
èl vàrda ‘l ciél celèst, che ‘l sföma ‘n ròza.
Èl pènsa l’òm: “ Pòer caàlì, issé vècc,
ormài el na pöl piö de laurà;
g’ho sügàt con la pàia chèsta pèl
che la té ‘nsèma i òss con i dulùr,
ma che prèst la sarà pèl de tambùr.”
L’animàl, stralünàt, èl se domanda..
“Perchè g’ho de rioltà sèmper ste piò
de ‘na tèra piügiùna, àgra e tignùza
che la dà gnànche ‘l fé per la mé séna ?”
Töcc du i pènsa a la stàla e a la letéra:
caàs el dür crozèt de pignolàt,
leà a la bestia stràca el zoàdel
e, per en quàch minüt, tirà ‘n pó ‘l fiàt.
‘Èl paezà ‘l mèt en bras ensìma al còl
del sò caàl, e ‘l ghe dis dènt ne l’orècia:
“Domà l’è ‘n’àlter dé, ‘ncapèlet mìa,
ciapóm la vita con filosofìa.”
Ma ‘ntàt dai öcc dei vèci cùla lènta
‘na lagrima viscùza e tibiulìna
spèssa come la góma trasparente
sö la pianta malmèsa de süzìna.
13
I DUE FILOSOFI
Sulle zolle voltate, ancora fumanti, /
stanno l’uomo e la bestia, non fiatano;
/ con le schiene accostate e stravaccati /
sembrano il monumento della “ Fatica
“. / Soltanto il vomere, lucido come uno
specchio, / uarda il cielo azzurro, che
sfuma in rosa. / Pensa l’uomo: ”Povero
cavallino, così vecchio, / ormai non ne
può più di lavorare; / gli ho asciugata con
la paglia questa pelle / che tiene insieme
le ossa con i dolori, / ma che presto
sarà pelle da tamburo.” / Il cavallo,
stralunato, si domanda / “Perché si
devono rivoltare sempre queste zolle / di
una terra pidocchiosa, avara, e tignosa /
che non da nemmeno il fieno per la mia
cena ?” /Entrambi pensano alla stalla
e alla lettiera, / togliersi il duro gilèt di
fustagno, / levare alla stanca bestia il
piccolo giogo / e, per qualche minuto,
riprendere fiato. / Il contadino mette un
braccio al collo / del suo cavallo e gli dice
dentro all’orecchio. / “Domani è un altro
giorno, non arrabbiarti, / prendiamo la
vita con filosofia.” / Ma intanto dagli
occhi dei vecchi cola lenta / una lagrima
vischiosa e tiepida. / densa come la
gomma trasparente / sulla gracile pianta
del susino.
MENZIONE D’ONORE
Luigi Legrenzi (Passirano)
MENZIONE D’ONORE
Emanuele Cominelli (Rudiano)
EL PIÒ E LA PÈRTEGA
“Dumà , ‘l ghera dè éser ‘ l dé pö bèl “
La g’hà dis la Pèrtega al Pio’,
Ta mét dit : “ ta regaleró l’anèl
E ‘n gir söl lac, ‘n fino a Salò.”
‘Nvece töt g’hè saltat pel’ aria,
Ta ‘ndét ‘n piasa a protestà;
Farif ‘na marcia solitaria,
E dè risultati nient dè fà.
EL MÉ CIOS
Sentàt zo sö ‘n medol
rimire el me cios:
quater piò de teré
de me pader, me nono
e amò piö ‘ndré.
Trebülà e contentas
i ma semper cöntat
i sa curarà dré
en po’ come stagiù
che ades a belaze
le sa mesia e sconfont.
Ma la tera per me
l’è mia apena regoer
ma l’ensema de polver
de piante e animai
che sa pert en del tep:
la mort che sögheta a da eta.
Entat varde el furmet
che ‘l fa a gara col sul
sö chi sterlüs piö de l’or:
el par prope en bel quader
che ga per curnis
‘na musna con rumelge e rübì
e töt enturen piö nient
apena sfalt e ciment
IL MIO CAMPO
Seduto sopra un masso / rimiro il mio
campo / quattro piò di terreno / di mio
padre, mio nonno / e ancora più indietro.
/ Tribolare e accontentarsi / mi hanno
sempre raccontato / si rincorreranno /
un po’ come stagioni / che adesso pian
piano / si mescolano e confondono. / Ma
la terra per me / non è solo raccolto / ma
l’insieme di polvere / di piante e animali
/ che si perde nel tempo: / la morte che
continua a dar vita. / Intanto guardo
il frumento / che fa a gara col sole / su
chi luccica più dell’oro / sembra proprio
un bel quadro / che ha per cornice /
una pietraia con romiglie e robinie / e
tutto intorno più niente / solo asfalto e
cemento.
I völ tirat bià la tèra sota i pè
E sübit dopo faga ‘na discarica,
Senza dif né come né perchè
E sensa capì, neanche la dinamica.
Ma la T A V , tal sét mia
L’importansa che la g’hà !
Te Piò … ta ölèt fa famìa,
Fam mia ridèr póèr Bressà!
Và pör ‘ n turèn coi cartèi,
Digha a töcc...” me regòe furmintù
Chel giöst per la polenta, cari mièi,
E mia chèl d’importasiù!”
E mé ché spérae dè spuzàt,
Dé e nòt con té a fa l’amùr,
‘L vistit bianch ,l’ere bèla a preparàt
E come ‘l vènt, mé riae söl tratùr.
Lè ‘na éta dè tristèse,
I ta mèt semper ‘n zenöcc,
Ma l’è ach ‘na éta dè speranse.!
Quate góse...... ma é zó dei öcc !
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IL PIÒ E LA PERTICA
“Domani doveva essere il giorno più
bello” / Dice la pertica al piò, / Mi hai
detto: “ ti regalerò l’anello
E un giro sul lago, fino a Salò “.
// Invece tutto è saltato in aria, / Tu
vai in piazza a protestare; / farete
una marcia solitaria, / E di risultati
niente da fare. // Vogliono toglierti la
terra sotto i piedi / E subito dopo
fare una discarica, / Senza dirti ne
come ne perché / E senza capirne
nemmeno la dinamica. // Ma la T A V
, non lo sai / L’importanza che ha! /
E tu Piò.... vorresti far famiglia, / Non
farmi ridere... povero bresciano! // Vai
pure in giro coi cartelli / Dì a tutti....
“Io raccolgo granoturco, / Quello
giusto per la polenta, cari miei, / E
non quello di importazione!” // E Io
che speravo di sposarti, / Giorno e
notte con Te a far l’amore, / Il vestito
bianco l’avevo già preparato. / E come
il vento, Io arrivavo sul trattore. //
È una vita di tristezze, / Ti mettono
sempre in ginocchio, / Ma è anche una
vita di speranze.! / Quante lacrime....
mi scendono dagli occhi !
AGGIUNGIAMO VALORE AL VALORE
Albo d’oro
COLDIRETTI
1ª - 2ª - 3ª edizione premio poesia dialettale bresciana - “El Vì enVèrs”
PRIMO PREMIO ASSOLUTO
2001: Dario Tornago
2003: Clelia M. Inzerillo
Premio “Botticino” 2001: Giacomo Scalvini 2003: Dario Tornago Premio “Capriano del Colle”
2001: Gigi Dainesi 2003: Massimo Pintossi Premio “Cellatica” 2001: Alberto Jottini 2003: Ugo Pasqui Premio “Franciacorta” 2001: Angelo Giovanni Trotti 2003: Giuliana Bernasconi
Premio “Garda Classico” 2001: Fabrizio Galvagni 2003: Claudio Ascolti Premio “Lugana”
2001: Ugo Pasqui 2003: Giancarlo Sembinelli
Premio “San Martino d. B.” 2001: Massimo Pintossi 2003: Antonio Alessi Premio “Valle Camonica” 2001:
- 2003:
-
2005: Angelo Giovanni Trotti
2005: Lino Marconi
2005: Dario Tornago
2005: Daniele Andreis
2005: Mario Santi
2005: Antonio Alessi
2005: Angelo Facchi
4ª-5ª-6ª edizione premio poesia dialettale bresciana - “El pa enVèrs”
PRIMO PREMIO
2015: Armando Azzini 2° Premio 2015: Anna M. Marsegaglia 3° Premio 2015: Velise Bonfante Iscrizioni, variazioni e cancellazioni posizioni
contributive
Finalità e compiti
Accredito contributi figurativi
Assegni e pensioni invalidi civili
Indennità di accompagnamento
Indennità di disoccupazione, sussidio
straordinario disoccupazione
Il Patronato Epaca in questo campo particolare assiste
i lavoratori per il risarcimento e la riabilitazione a
seguito degli infortuni avvenuti in conseguenza
dell’attività lavorativa e domestica, aiutando il
lavoratore ad ottenere le prestazioni previste.
Il Patronato Epaca in questo campo assiste i cittadini
per ottenere le prestazioni previste in campo
assistenziale.
s e m p r e a l t u o f i a nc o
800-667711
Uffi ci d i z ona
Breno
Via Ninfea, 44 - 25049 Iseo
Tel. 030 2457638 - Fax 030 980634
Recapito venerdì mattina
Rovato
Via Macina, 1 - 25038 Rovato
Tel. 030 2457641 - Fax 030 7709063
Orzinuovi
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Pensioni: anzianità, vecchiaia, invalidità,
inabilità, superstiti
La tutela nell’ambito degli infortuni sul lavoro
Iseo
Ricongiunzioni e riscatti posizioni assicurative
Pensioni Enti locali, Pubbliche Amministrazioni
e Casse Private
Via Tassara, 19/a - 25048 Breno
Tel. 030 2457600 - Fax 0364 22417
Prosecuzioni e accredito versamenti volontari
Il Patronato Epaca assiste tutti i lavoratori e pensionati
per ottenere le prestazioni previdenziali previste,
curando tutte le pratiche relative alla posizione
previdenziale.
La tutela nell’ambito dell’assistenza
I nostri servizi principali
EPACA (Ente di Patrocinio e Assistenza per i Cittadini e
l’Agricoltura) è il Patronato costituito dalla Coldiretti,
riconosciuto dallo Stato sin dal 1954. EPACA è persona
giuridica di diritto privato, svolge un servizio di
pubblica utilità senza scopo di lucro.
La tutela nell’ambito della previdenza
2005: Loredana Scarpellini
7ª edizione premio poesia dialettale bresciana - “El piò enVèrs”
Il Patronato EPACA
Consistono nell’assistenza e nella tutela per il
conseguimento di benefici previdenziali, sociali,
assistenziali, in sede amministrativa e di contenzioso,
dei cittadini italiani, della generalità dei lavoratori, dei
pensionati e degli stranieri.
2005: Armando Azzini
PRIMO PREMIO 2008: Armando Azzini 2010: Armando Azzini 2012: Vittorio Soregaroli
2° Premio 2008: Dario Tornago 2010: Vittorio Soregaroli 2012: Giuliana Bernasconi
3° Premio 2008: Angelo Giovanni Trotti 2010: Dino Marino Tognali 2012: Gigi Dainesi
i l p a t r o na t o a l t u o s e rv i z i o
Via Colombo, 11 - 25034 Orzinuovi
Tel. 030 2457706 - Fax 030 941941
Chiari
Vicolo Pace, 5 - 25032 Chiari
Tel. 030 2457674 - Fax 030 7001764
Ricostituzioni pensionistiche e supplementi
Prestazioni sociali, maternità, assegni ai nuclei
familiari
Indennità di malattia
Tutela infortuni sul lavoro
Riconoscimento postumi indennizzabili
Assistenza legale e medico-legale
Tutela dei diritti dei lavoratori extracomunitari
e delle loro famiglie, regolarmente presenti in
Italia, attraverso servizi dedicati
Gardone Val Trompia
Via Matteotti, 311
25063 Gardone Val Trompia
Tel. 030 2457650 - Fax 030 8911810
Salò
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15
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