Mens Concordet Voci
Anno II, n. 3 - Foglio informativo della Commissione Diocesana per la Liturgia - Crema, marzo 2009
Gli attori della liturgia cantata: il celebrante-presidente
[...] Il senso e le stessa ragione teologica del ruolo del celebrante (sia esso vescovo o presbitero) è dato dal suo carattere sacerdotale scaturito dall’ordinazione: in virtù di tale
carattere rappresenta e riassume in sé tutta l’assemblea e ne
interpreta i sentimenti.
Diviene il segno che la comunità non si riunisce in modo
qualunque o per un semplice accordo spontaneo, ma è convocata dal Signore per ricevere la sua parola e i suoi doni.
Veramente determinante il suo ruolo: egli qualifica l’assemblea dei fedeli come popolo di Dio, riunito da Cristo.
Ne consegue sul piano pratico che l’azione del celebrante
deve essere preminente e coordinante; in particolare nessuna
voce deve sovrapporsi alla sua, tantomeno il suono di uno
strumento, neppure a scopo di accompagnamento; quando egli parla o canta tutti
devono tacere e ascoltare. Inoltre il suo
canto non può essere sostituito da quello
della comunità. Presiedere un’assemblea
liturgica, dirigerne efficacemente la preghiera, oltre che un ministero segnicosacramentale è pure un compito delicato,
un’arte, che nei secoli ha avuto attuazioni
diverse.
Nell’antichità, come traspare dai sermoni di S. Agostino e in alcuni “ordines”
romani fino al secolo VII, il celebrante di
persona arrivava a stabilire le varie funzioni, a scegliere i testi da proclamare o
cantare, a dare il segnale per iniziare o terminare i canti.
Ciò che avviene ancora oggi nelle piccole comunità dove il
sacerdote-parroco si trova a gestire da solo l’attività liturgica
senza il contributo dei ministri.
Man mano che decadde la coscienza di una liturgia partecipata le celebrazioni divennero riti sempre più “ecclesiastici”, incomprensibili al popolo; venne meno anche l’urgenza
di una animazione da parte del celebrante o dei suoi ministri. Il celebrante, nelle epoche o nei luoghi di decadenza
liturgica si ridusse a funzionario spersonalizzato, od ingaggio di un meccanismo rituale che ben poco era in grado di
comunicare ai fedeli “spettatori”. Il compito primo e più
impegnativo del celebrante, nel passato come nelle liturgia
odierna, è quello di “mantenere vivo il senso dell’assemblea
che egli presiede, di cui deve farsi guida, interprete, animatore, regista e speaker”. Il suo impegno di fede e la sua partecipazione personale sono fuori discussione, ma egli non
prega mai per se stesso o a nome proprio, bensì in nome di
tutta la comunità. La invita alla preghiera: “Preghiamo”; la
chiama al ringraziamento:”Rendiamo grazie al Signore no-
stro Dio”, sempre al plurale. Ed anche quando canta non
esegue il “suo pezzo” come un qualunque solista. Non si
tratta dunque di una presidenza puramente onoraria, quasi
distaccata o separata da vivo della celebrazione; al contrario
la capacità di presenza e il grado di vivezza dei gesti del celebrante sono determinanti nel stabilire lo stile, il clima e il
calore della celebrazione stessa. Se i suoi saluti sono pieni di
vita, le risposte dell’assemblea saranno più animate; se egli
ha lo spirito del canto, il canto del popolo ne sarà incoraggiato; autentico o falso, spontaneo o forzato, accurato o trascurato, il suo stile non mancherà di influenzare l’assemblea,
in bene o in male. Ognuno comprende quanto necessaria
sia una adeguata preparazione del celebrante all’arte del presiedere, che in definitiva è arte e carisma
di coricare, di trasmettere, di coinvolgere
e trascinare. In particolare non gli dovrà
far difetto la buona tecnica del dire e del
cantare.
A noi interessano gli aspetti musicali
del ministero presidenziale; quando canta
e come deve cantare il celebrante? Sembra
ovvio anzitutto che lo stile del suo canto
debba essere sobrio, ieratico e solenne;
schivo comunque di ornamenti melodici superflui, e aderente alla natura della
lingua che adopera. Soprattutto sobrio,
eventualmente appena arricchito da modesti movimenti melodici. Secoli di pratica liturgica hanno consentito la codificazione di ben note
formule di recitativo, che ci sono state tramandate attraverso
i libri liturgici. Si sono venuti distinguendo due, anche tre
toni nel canto del celebrante e dei ministri in genere: simplex (o ferialis), solemnis (o festivus) e solemnior. Con essi
il celebrante cantava l’orazione, il prefazio, il Pater noster e
altri interventi minori (saluti, Per ipsum, Pax Domini).
Un modo di cantare che passa sotto il nome di “recitativo
liturgico” e che oggi si tende a designare piuttosto con la parola “cantillazione”; un neologismo, quest’ultimo, coniato
soprattutto in riferimento al canto nelle lingue moderne.
Il recitativo come la cantillazione sono la recitazione cantata di un testo di prosa o di poesia in cui l’elemento verbale
è in primo piano rispetto a quello musicale. Impiegano brevi formule il cui funzionamento è regolato dalla dizione e
dal fraseggio del testo. Non possono essere considerati “musica”, almeno non primariamente: l’elemento primordiale è
la parola.
L’esecuzione del recitativo liturgico o della cantillazione,
in quanto arte di porgere la parola delle letture e delle pre-
ghiere, è essenzialmente affidata ad un solista. Il celebrante è
un solista. La riforma liturgica seguita al Concilio vaticano II,
permettendo l’introduzione delle lingue moderne, ha riproposto il problema dell’eventuale riutilizzo dei vecchi moduli e
della creazione di aggiornati e più consoni formulari di cantillazione. Sono state sperimentate tutte e due le soluzioni, con
risultati alterni. La questione si può considerare tuttora aperta. In Italia furono varate “ad experimentum” alcune melodie
del celebrante e dei sacri ministri per la santa messa in canto
celebrata con l’uso della lingua italiana approvata ad interim
dal Comitato Episcopale per la liturgia il 7 ottobre 1965.
Con la seconda edizione del Messale Romano (1983) furono pubblicate insieme alcune “Melodie per il rito della Messa
e altri riti”. In realtà si tratta di due tipi di melodie:
• prima melodia di nuova composizione
• seconda melodia desunta da formule melodiche antiche
“simplices”.
Riassumendo e schematizzando, nella liturgia attuale
(sia in latino che in volgare) il Celebrante può cantare:
• la colletta, il prefazio, le preghiere sulle offerte e dopo la
comunione
• il segno di croce iniziale, i saluti di apertura e di congedo, la benedizione conclusiva della Messa
• alcuni elementi della preghiera eucaristica: racconto
dell’istituzione, acclamazione “Mistero della fede”, dossologia finale
• l’embolismo del Pater noster
• la preghiera per la pace e il saluto di pace
Il problema è che i celebranti oggi non cantano più, non
sono più in grado di farlo e non lo ritengono importante.
(continua)
Da: Valentino Donella, Musica e Liturgia, pp. 108-110,
Bergamo 1991. (continua)
Pregare anche con il corpo
Mens Concordet Voci
D
a alcuni liturgisti di correnti più avanzate e progressiste quali l’Universa
Laus sono state avanzate proposte di rivalorizzare il corporeità nella liturgia
con l’introduzione anche della danza; un esperimento del genere è stato fatto
anche in casa nostra, suscitando reazioni contrastanti. Sono tentativi certamente
lodevoli, che tra l’altro hanno fondamenti sia biblici che liturgici.
Tuttavia prima di arrivare a questi esperimenti di “avanguardia liturgica”, ai
quali per altro le nostre assemblee non sono preparate, c’è ancora un lungo lavoro da fare per recuperare la normale gestualità nella liturgia, la stessa che è
stata suggerita dalla riforma liturgica, ma mai pienamente attuata. Mi riferisco a
tutta quella serie di atteggiamenti del corpo che ogni partecipante dell’assemblea
liturgica deve assumere nei vari momenti della celebrazione, non escluso il celebrante che presiede. A cominciare da quest’ultimo è fuori dubbio che i suoi gesti
e i suoi atteggiamenti influiscono sul clima di sintonia e di partecipazione. Il celebrante deve far vedere che prega anche con il corpo e che dirige l’assemblea anche
con i gesti e gli atteggiamenti: braccia stese, mani aperte, sguardo verso l’alto,
ecc. L’espressione del corpo può essere un vero discorso. Forse i partecipanti, per
esempio i fanciulli, non comprendono qualche sua frase, ma comprendono molto bene un atteggiamento: sanno istintivamente,
dal viso del celebrante, se sta parlando a Qualcuno vivo e presente o se ripete formule prescritte.
Quanto ai fedeli non so quanti hanno la consapevolezza che anche il corpo prega. Non sono pochi coloro che a Messa assumono una posizione intimista, non lasciandosi pienamente coinvolgere nell’azione liturgica. Sono gli stessi che regolarmente
si mettono in fondo alla chiesa, vicino alla porta d’entrata, restando in piedi per tutta la celebrazione e rinunciando a tutti gli
altri atteggiamenti simbolici del corpo. La collocazione stessa di coloro che occupano un posto nel banco non confortante per
il celebrante: si tende ad occupare gli ultimi banchi e i primi banchi in genere rimangono vuoti a discapito del legame anche
visivo che dovrebbe crearsi tra assemblea, altare e celebrante. In alcune parrocchie poi perdura l’abitudine inculcata dai parroci
nei primi decenni del ’900 di mettersi gli uomini da una parte e le donne dall’altra, e i bambini nei primi banchi. Questo
puritanesimo continua a impedire che i nuclei familiari stiamo insieme nel partecipare alle liturgie, come sarebbe invece
molto aupiscabile! Già il modo di entrare in chiesa non è molto rispettoso del luogo sacro: si fa un rapido segno di croce e si
va direttamente a sedersi senza aver fatto una debita genuflessione a Cristo presente nell’Eucarestia custodita tabernacolo. La
genuflessione è pressoché scomparsa presso i nostri fedeli! Quanto agli altri gesti praticamente si sono ridotti a due: in piedi e
seduti; si è perso le bella abitudine, per altro prescritta dalle norme, di mettersi in ginocchio al momento della consacrazione; il
mettersi in ginocchio esprime molto bene l’atteggiamento di attenzione, di adorazione e di ammirazione del mistero. È rimasto
anche il gesto di battersi il petto al momento del Confesso (solo le persone anziane) e quello dello scambio della pace, anche se
un po’ logorati dall’abitudine; scomparso invece il gesto di inchinarsi: quando il celebrante invita l’assemblea a chinare il capo
per la benedizione solenne, al termine della messa, molte volte il suo invito cade nel vuoto……….
Come si vede rimane ancora molto lavoro da fare per arrivare a una partecipazione attiva anche con il corpo (prima di arrivare a… danzare), nella consapevolezza che la posizione del corpo esprime da una parte l’atteggiamento di fede della persona e
dall’altra alimenta e favorisce la stessa fede.
G. Carniti
Consacrare le ostie a ogni messa per la comunione ai fedeli?
È
prassi diffusa per molti sacerdoti celebranti attingere dalle particole conservate nel tabernacolo per la comunione dei fedeli.
La custodia eucaristica, oltre che per il viatico e per la comunione agli ammalati, costituisce anche una “riserva” per i casi
di emergenza che possono anche capitare in qualche messa dove l’afflusso è maggiore del previsto. Ma ricorrere abitualmente
alla riserva eucaristica non è prassi rispettosa del rito della comunione. Nessuno mette in dubbio che il pane custodito nel
tabernacolo e quello consacrato nella celebrazione in atto siano il segno sacramentale dello stesso Cristo risorto. Non è questo
il problema. Non stiamo discutendo sulla presenza del Signore nell’eucarestia, ma sulla verità e la significatività dei segni che
costituiscono il linguaggio proprio della liturgia. Se giustamente ci si preoccupa della traduzione fedele della Bibbia e anche
dei testi ecologici del Messale, la stessa preoccupazione si dovrebbe avere nel “tradurre” con segni corretti il deposito della fede
custodita in quella liturgica che la tradizione della Chiesa, dai primi secoli fino ai nostri giorni, non cessa di presentare come
“luogo educativo e rivelativo “ della fede (CVMC 49).
È una formulazione moderna dell’antico adagio di Prospero d’Aquitania (V secolo): “Lex orandi statuat legem credendi”.
Silvano Sirboni, Vita pastorale, n. 11 dicembre 2008.
Uso corretto del Messale
U
n fraterno invito ai confratelli a non lasciarsi vincere dalla pigrizia nella scelta
dei formulari della Messa: mi riferisco in particolare all’uso delle preghiere
eucaristiche. In una sacrestia di una chiesa di Venezia ho trovato scritto questo
avviso: “Si pregano i Sigg. Sacerdoti di non usare sempre la preghiera eucaristica n.
2”. In effetti è la preghiera più “gettonata”, forse perché è breve… dopo un’omelia
un po’ troppo lunga si corre ai ripari!! Molte volte i sacerdoti si lamentano del fatto
che le donne “concelebrano” con il sacerdote e lo fanno soprattutto con la preghiera
eucaristica n. 2, perché ormai è conosciuta a memoria. Ora (anche per dribblare
le vecchiette) perché non usare più spesso, anche di domenica, le altre preghiere
eucaristiche? Siamo in attesa del nuovo messale che sarà ulteriormente arricchito di
preghiere e formulari, ma chiediamoci se abbiamo sfruttato nel migliore dei modi
l’edizione attuale che è pure molto ricca e dobbiamo farlo per l’edificazione dei fedeli! Basti pensare a tutte le altre preghiere eucaristiche, specialmente quelle nuove: Va (Dio guida la sua Chiesa); Vb (Gesù nostra via); Vc (Gesù modello di amore); Vd (La Chiesa
in cammino verso l’unità; Preghiera eucaristica della Riconciliazione N 1 (La riconciliazione come ritorno al Padre); N 2 (La
riconciliazione con Dio fondamento di umana concordia).
Oltre alle preghiere eucaristiche ci sono in fondo al messale nuove “collette”, alternative a quelle normali della domenica: sono preghiere attualizzate nel senso che sono costruite sul Vangelo della domenica corrispondente, di cui colgono molto bene il messaggio.
Come si vede prima di avventurarsi nella creatività o in varianti sui testi ufficiali (che possono creare sconcerto nei fedeli e qualche
problema teologico!) usiamo bene il messale attingendo a piene mani a tutta la ricchezza di preghiere che contiene.
G. Carniti
Musica e Liturgia. Quale ruolo per gli strumenti musicali?
L’
eterno, in quanto sempre vitale, dibattito sull’animazione musicale nella
Liturgia rischia talvolta di inaridirsi sui sentieri del formalismo o su botte
e risposte a colpi di citazioni magisteriali. A ben vedere, i dilemmi organo/nonorgano oppure canti tradizionali vs canti giovanili non sono che questioni di
“superficie”. Occorrerebbe invece interrogarsi più in profondità sul senso della
musica all’interno delle nostre celebrazioni. Ne consegue che la questione di
fondo non riguarda tanto quale strumento sia più o meno “sacro” – nessuno
strumento e nessuna musica sono “sacri” in se stessi –, quanto piuttosto su che
cosa si fondi il rapporto musica-Liturgia, se sia caratterizzato da necessità e autenticità, e forse, in negativo, come sarebbe una messa senza musica, senza canti, e quindi senza strumenti musicali. Forse ne uscirebbero delle belle sorprese.
Certamente nella risposta entrerebbero in gioco molti elementi, dalla sensibilità personale, alla tradizione, ai mutamenti culturali
in atto. Gli stessi Documenti ufficiali della Chiesa, in proposito, hanno sfumature diverse a seconda del contesto culturale in cui sono
stati redatti, aspetti che non si dovrebbero sottovalutare.
Mens Concordet Voci
Senza entrare nel consueto elenco di moniti e prescrizioni di rito, mi sentirei di proporre, forse in maniera un po’ sbrigativa, queste
semplici riflessioni:
– la musica è presente nel rito in quanto è espressione efficace e autentica, talvolta più potente delle stesse parole, nonché un mezzo
formidabile per costruire un clima di partecipazione e di condivisione
– Gli strumenti musicali, i più diversi a seconda delle culture e delle epoche alle quali ci si riferisce, sono presenti in alcune tradizioni
– come la nostra – in funzione di sostegno del canto e in quanto capaci di una musicalità loro propria, spesso evocatrice di una
dimensione metafisica (si pensi alla gravità di certi registri di pedale dell’organo)
– È pur vero che non tutti gli strumenti musicali, a questo proposito, sono uguali ma, attenzione, non perché ce ne siano di più e meno
degni, quanto piuttosto perché alcuni di essi sono più adatti a sostenere un piccolo gruppo o un solista che non un’assemblea.
– A questo aspetto va pure aggiunto che una tradizione ormai millenaria privilegia, all’interno della Liturgia, l’utilizzo dell’organo a
canne come strumento “principe”, il cui suono è ormai storicamente connotato in senso liturgico, almeno nella cultura occidentale.
Ci troviamo inoltre un patrimonio inestimabile di organi a canne nonché un repertorio che sarebbe come minimo da superficiali
buttare al macero, anche perché trattasi di un linguaggio ancora parlante alla sensibilità delle nostre assemblee. Detto questo, possono
certo essere previste situazioni particolari che prevedano scelte diverse in ordine al repertorio e agli strumenti (purché vengano sottoposte all’Ordinario della Diocesi e sentita la Commissione di Liturgia, dicono esplicitamente le precisazioni della CEI). Il criterio
discriminante resta comunque: quale tipo di evento celebrativo mi appresto ad animare?
– Ciò non significa che la storia della musicalità liturgica si possa considerare conclusa. È possibile, anche se non certo facile, e anzi
direi doveroso che la creatività contemporanea venga coltivata e promossa, ma purché sia di autentico spessore, coraggio e qualità
(e ciò può essere valutato solo da persone competenti). I nostri padri ci hanno testimoniato quasi sempre un investimento enorme
di tempo, impegno e denaro a favore della bellezza e della bellezza da contemplare insieme, come comunità. Occorre allora ripartire da quest’atteggiamento esigente se si vuole riqualificare la nostra liturgia. Che cosa fa, ad esempio, la Chiesa per la musica e
l’arte contemporanea (ma anche viceversa)?
– Qualità significa, banalmente: se sto a casa mia posso canticchiare tutto quello che mi viene in mente, ad esempio sotto la doccia,
ma se propongo, come direttore di coro, celebrante o organista, un canto o un commento musicale, dovrei assicurarmi che davvero questo porti “bellezza” a tutti i presenti. Spesso invece mi preoccupo di arredare con gusto il soggiorno di casa mia, ma poi
improvviso nel peggiore dei modi nella “casa del Padre” (!).
– Ecco, allora, il punto centrale sul quale, non per niente, molti papi e teologi hanno riflettuto: la Bellezza, e non solo nella Liturgia,
non è un “di più”. Ciò che è Sacro è Bello e ciò che è davvero Bello è sempre Sacro, perché profondamente umano. La Messa, ad
esempio, non è semplicemente una pratica da sbrigare, qualcosa da ”fare”, il “come” non importa. Lo stile del nostro stesso porci
agli altri da cristiani è sempre anche sostanza, mai contorno: banalmente, ma non troppo, chi fa del bene senza metterci amore non
è un cristiano. Diceva bene Francesco di Sales: “È molto meglio tacere una verità che profferirla con mal garbo (…). Un giudizio
silenzioso è sempre meglio di una non caritatevole verità”. Traducendo: meglio il silenzio di un brano musicale, anche organistico,
eseguito per pura abitudine, senza preparazione, senza relazione con quanto sta avvenendo nella celebrazione.
– Ho detto preparazione. Non in senso meramente tecnico, bensì nel senso che se davvero mi aspetto coinvolgimento profondo dalla
musica, questo lo otterrò se, come minimo, gli animatori musicali hanno una buona preparazione, cioè se conoscono e “abitano”
la musica in profondità.
– Per finire non dimentichiamo l’aspetto più importante: a contemplare la bellezza ci si forma, sia come musicisti che come assemblea. Non è vero che una cosa quando è bella parla da sola: l’orecchio/cuore è sempre pronto a inaridirsi (perché non rileggiamo
i Salmi?). La Bellezza va quindi coltivata, abitata e frequentata, avvicinata con pudore, ma poi accostata con gradi successivi di
confidenza. Solo allora parlerà, anche ai bambini.
Per concludere davvero, ecco alcune brevi domande per farsi un esamino di coscienza:
1) quanto tempo dedico a preparare la celebrazione, secondo il mio ministero?
2) Sono sicuro che quel compito che mi sono assunto tocchi proprio a me? Sono sicuro di esserne già/ancora degno? Non è che altri
possano farlo meglio di me? Ho la preparazione adeguata per farlo?
3) Ogni tanto valuto quello che sto facendo come animatore liturgico? E se sì, con chi? Accetto eventuali critiche? Sono disposto a
fare delle correzioni agli altri, parroco compreso?
4) Ho avuto cura di valutare la dignità dei brani musicali che ho proposto o accettato di eseguire/cantare? E se sì, posso davvero dire
che questi hanno dato un tono “diverso” alla celebrazione?
5) Se ho accantonato qualcosa del repertorio tradizionale, posso dire davvero di averlo fatto a ragion veduta, cioè per introdurre
qualcosa di altrettanto degno?
6) Se ho pensato di sciogliere un coro o di lasciare regolarmente muto un organo, magari per poi utilizzare una tastiera elettronica
o altro, sono proprio sicuro che ne valesse la pena? E, comunque, ho sentito il parere dell’Ordinario?
7) Ho avuto cura di consentire una varietà di interventi all’interno dell’animazione musicale, al fine di non appiattire la partecipazione sul solo ascolto o sul canto continuo? (chi non ha sperimentato Comunioni accompagnate da dieci strofe di un canto, con
magari ripetizione delle prime per chi non le avesse ancora intese bene!)
8) Con che diritto impongo – e magari compongo – canti o brani che non sono propriamente delle “perle” artistiche?
9) Ho “osato” con coraggio interrompere col suono un silenzio che non è “mio” soltanto bensì di tutti i miei fratelli, magari ho
avuto anche ampio di spazio per “esprimermi”, ma... mi sono chiesto se fosse proprio necessario? E se sì, posso dire di essere
davvero riuscito a sottolineare con la mia musica un clima di comunione e di preghiera?
Simone Della Torre
Quaresima e musica strumentale
[...] La tradizione delle rubriche in materia, ancora ribadita da Caer. Episc. nn. 41 e 252, prescrive che, durante la Quaresima, (eccettuate solennità, feste e la quarta domenica Laetare), il suono dell’organo e degli strumenti musicali non si faccia
udire autonomamente, ma si limiti a sostenere e accompagnare il canto. È vero, come scrive giustamente Felice Rainoldi, che
“vi è un digiuno” degli orecchi, reale e simbolico insieme, che è educativo e salutare”. È altrettanto vero, d’altra parte, che la
formulazione rigida e senza gradazioni del divieto è stata concepita e perpetuata in e per contesti liturgici sensibilmente diversi
dagli attuali… [...] Se è dunque logico, nelle domeniche di Quaresima, evitare ogni slancio strumentale eccessivamente festivo,
non altrettanto congruente pare rinunciare a priori al alcune possibilità [...] per mero ossequio all’alternativa secca “strumenti
sì/strumenti no”. Come sempre avviene, la norma rubricale va tradotta in comportamenti di (buon) senso. Per citare ancora
Rainoldi: “Ubbidendo alla norma, bisogna [...] coglierne la saggezza. [...] Si adotti, almeno in certi tempi, un suono discreto,
essenziale”; ossia ci si chieda quale obiettivo quell’intervento musicale ha in quel momento, quale atteggiamento vuole suscitare
in quel contesto, e si agisca di conseguenza.
D. Sabaino, Animazione e regia musicale delle celebrazioni, CLV, 2008, pp. 56, 57.
Piccole sofferenze... per un musicista
D
opo la riforma liturgica si è fatto un gran parlare della partecipazione attiva dei fedeli attraverso il canto, ma ci si è dimenticati di educare la gente a cantare e a cantare usando in maniera corretta il proprio timbro vocale; mi riferisco alle nostre
brave donne che in chiesa cantano sì, ma in maniera molto “cacofonica”, nel senso che, non riuscendo a salire più di tanto,
cantano sempre all’ottava sotto, emettendo un suono molto sgradevole. La stessa cosa fanno i nostri ragazzi: invece che cantare
(quando cantano!) nella giusta intonazione del canto con la loro bella voce argentina, ripiegano all’ottava sotto portandosi alla
pari della voce degli adulti. In questo modo si perde la percezione della polifonia naturale, quella di due voci (quella maschile
e quella femminile e dei ragazzi) che cantano a distanza di una ottava.
G. Carniti
Organi restaurati
(Schede a cura del Mo Alberto Dossena)
Chiesa di S. Chiara (Crema)
O
rgano positivo di scuola toscana. Il suo probabile costruttore potrebbe identificarsi
in Umberto Barbieri che lo realizzò nel 1896, come da scritta a matita presente
all’interno della segreta del somiere sull’anta di chiusura e da cartiglio presente al centro
della cassa e recentemente rinvenuto.
Questo strumento non venne costruito per la chiesa di S. Chiara, purtroppo non si
conosce la provenienza d’origine. Esso venne donato dalla fabbrica d’organi Tamburini,
residente in Parrocchia, intorno agli anni ’80 del novecento in occasione del primo restauro
della chiesa.
Esso si presenta con una facciata composta da 15 canne in stagno appartenenti al Principale a partire dal Fa2, disposte in un’unica campata formanti una cuspide con ali, con bocche non allineate con andamento contrario rispetto alle canne e labbro superiore a mitria.
Cassa lignea di semplice fattura. Cimasa costituita da due elementi lignei a forma di
voluta e da una parte centrale costituita da un fregio ligneo sormontato da semplice cornice. È presente una tenda scorrevole avvolgibile su rullo, dipinta di colore grigio, con
iscrizione color oro “P.A.P. 1917”.
Il basamento non è originale ed alloggia i due mantici originali disposti non uno a fianco dell’altro come normalmente si
trova, ma contrapposti.
Tastiera con diatonici placcati in bosso e cromatici in noce tintato di 47 tasti (Do1-Re5 con prima ottava corta), frontalini
in bosso privi di decorazione.
Pedaliera a leggio di 9 pedali (Do1-Do2 scavezza) costantemente unita alla tastiera tramite fettucce.
Registri azionati da pomoli in legno estraibili ricostruiti nell’ultimo restauro poichè andati perduti gli originali, disposti su
unica colonna a destra della consolle.
Manticeria composta da due mantici a cuneo, alimentati solo tramite elettroventilatore.
Somiere a tiro con crivello in legno. Le canne parlano tutte al di sotto.
Trasmissione integralmente meccanica.
Lo strumento, quando fu donato dalla ditta Tamburini alla Parrocchia di S. Pietro, venne sottoposto ad un primo intervento di restauro. Negli anni 2000/02 venne iniziato un lavoro di studio preliminare che avrebbe poi comportato un lavoro
di restauro in senso più filologico da parte del Corso di Organaria istituito presso il C.F.P. di Crema. A causa del mancato
proseguimento del corso, il lavoro iniziato venne abbandonato in corso d’opera e, dopo alcuni anni, l’organo venne ripreso e
concluso dalla ditta “Comm. Giovanni Tamburini” di Saverio Anselmi Tamburini nel 2008.
Disposizione fonica: Principale - Ottava - Decimaquinta - Decimanona - Vigesimaseconda
Pressione: 48 mm in colonna d’acqua.
Corista: La3 del Principale 430 Hz.
Temperamento: Tartini-Vallotti
Note ai registri. Il Principale è reale dal Do1 mentre tutti gli altri sono reali dal La1. Questi ultimi nelle prime cinque note ripetono
le corrispondenti dell’ottava superiore tramite un sistema di doppi ventilabri che vanno ad alimentare i canali delle note corrispondenti. Il Principale è costantemente inserito da Do1 a Sol1, ha canne in legno dal Do1 al Mi2 di cui le prime dieci tappate (dal Do1
al Do#2), dopodiché prosegue in facciata fino al Sol3. L’Ottava ha la prima canna (La1) in legno.
Il resto del materiale fonico è in lega stagno-piombo di fattura omogenea.
Ritornelli del Ripieno: Decimanona: Fa3 - Vigesimaseconda: Do3
Scritte rilevate all’interno dello strumento:
– all’interno della segreta, da sinistra a destra: “Barbieri Umberto 1896”, “…1882”;
– sull’asse di chiusura della parte centrale della cassa:
“Barbieri Pietro / morto il 27 giugno / 1906
“Pio Mugnai detto Bastagi / alzatore 1909”
“Rolando Mencucci / Alzatore 1906”
“Barbieri Umberto / suonò per la prima volta il 5 maggio 1896”
Chiesa di S. Maria Stella (Crema)
Mens Concordet Voci
O
rgano di autore anonimo lombardo risalente ai primi anni del secolo XIX
proveniente dalla ex chiesa di S. Marino e qui trasferito insieme ad altri arredi
sacri quando nel 1883 la chiesa venne ceduta come sussidiaria alla parrocchia di S.
Benedetto.
Collocato in cantoria lignea posta in presbiterio, in cornu Evangelii, si presenta
con una facciata composta da 21 canne in stagno disposte in un’unica campata formanti una cuspide con ali appartenenti al Principale a partire dal Fa2, con bocche
allineate e labbro superiore a scudo.
Cassa lignea di semplice fattura, dipinta a tempera.
Tastiera con diatonici placcati in ebano e cromatici in osso di 50 tasti (Do1-Fa5
con prima ottava corta) reale dal Do2 tranne che per il Principale reale dal Do1.
I tasti della prima ottava richiamano meccanicamente i corrispondenti dell’ottava
superiore.
Pedaliera a leggio di 18 pedali (Do1-Sol#2, più pedale non collegato) costantemente unita alla tastiera.
Registri azionati da manette spostabili orizzontalmente, con incastro, poste su
unica colonna a destra della consolle. Divisione tra Bassi e Soprani ai tasti Do#3/
Re3. Cartellini antichi.
Somiere a vento. Trasmissione meccanica.
Restauro effettuato dalla ditta “Inzoli Cav. Pacifico di Bonizzi F.lli” di Ombriano di Crema nel 2008.
Disposizione fonica:
Principale in otto bassi [e soprani] - Ottava bassi soprani - Quinta decima - Due di ripieno (XIX-XXII) - Flauto in ottava
nei bassi e soprani - Violetta nei bassi - Voce umana prima
Accessori:
Pedalone per Tiratutti (inserisce tutti i registri tranne la Voce Umana).
Chiesa parrocchiale di S. Biagio (Pieranica)
C
ostruito dal Cav. Pacifico Inzoli di Crema, opera n. 14 del 1876, riutilizzando materiale fonico del precedente organo Serassi del sec. XVIII, restaurato dallo stesso
nel 1903, da Giuseppe Franceschini di Crema nel 1927 dalla ditta Inzoli nei mesi di
luglio e agosto 1946 e da Bassano Longhi nel 1961. Collocato in cantoria lignea con
parapetto dal profilo convesso nella parte centrale, in cornu Evangelii, si presenta con
una facciata composta da 21 canne in stagno appartenenti al Principale 8’ Bassi a partire dal Re1 senza il Re#1, disposte in tre campante formanti una cuspide ciascuna, con
bocche allineate e labbro superiore a mitria. Cassa lignea lievemente aggettante, dipinta
e dorata, risalente al sec. XVIII.
Tastiera originale con diatonici placcati in osso e cromatici in ebano di 58 tasti (Do1La5). Pedaliera originale a leggio di 20 pedali (Do1-Mi2, 12 note reali, gli ultimi tre
pedali comandano: Campanelli, Terza mano, Timballone e Rollante) costantemente
unita alla tastiera.
Registri azionati da manette spostabili orizzontalmente, ad incastro, poste su due
colonne a destra della consolle. Divisione tra Bassi e Soprani ai tasti Si2/Do3. Somiere
a vento, trasmissione meccanica.
Restauro effettuato dalla ditta “Comm. Giovanni Tamburini” di Saverio Anselmi
Tamburini di Crema nel 2008.
Disposizione fonica:
Campanelli: Terza Mano
Voce Umana: Principale Bassi nell’ordine di 16 Piedi
Viola Bassi: Principale Soprani di 16 Piedi
Flauto Traverso Soprani: Principale Bassi di 8 Piedi
Trombe Soprani: Principale Soprani di 8 Piedi
Fagotto Bassi: Ottava Bassi
Clarinetto Soprani (16’): Ottava Soprani
Clarone Bassi (4’): Duodecima Soprani
Violoncello Soprani (16’): Decimaquinta
Dulciana Bassi (4’): Decimanona
Flauto in Selva Soprani (8’):
Vigesimaseconda e sesta
Ottavino Soprani: Vigesimanona e nona
Cornetto a tre voci (XII-XV-XVII):
Trigesimaterza e sesta
Timpani: Bassi Armonici
… (feritoia vuota): Contrabbassi
… (feritoia vuota): (feritoia vuota)
Accessori: Due pedaloni per Combinazione libera alla lombarda, Tiratutti per il Ripieno con riporto per i registri di concerto,
Pedale della Banda.
Pedaleve: Fagotto, Corno Inglese, Violoncello, Trombe, Viola e Flauto Traverso, Ottavino.
Nel corso del restauro sono stati ricostruiti tutti i registri ad ancia, tranne il Sol2 del Fagotto, unica canna superstite, i Campanelli
e la Banda.
Sono presenti canne Serassi nelle file di Ripieno a partire dalla Decimanona e nel Cornetto nelle file in XV e XVII.
Liturgia di commiato del Mo Francesco Manenti
sabato 20 dicembre 2008
Oggi il Signore risorto accoglie nella sua casa di luce e di gioia “per la ricompensa delle
opere compiute” l’anima fedele del nostro carissimo maestro Manenti, che per quarant’anni
animò la cappella musicale della nostra cattedrale.
Noi, Chiesa pellegrinante sulla terra, “che camminiamo nella fede e non ancora in visione” (2a lettura) accompagniamo nella preghiera questo nostro fratello con la sofferenza
del distacco, ma anche con l’animo colmo di gratitudine.
Il maestro Manenti fu un vero servo fedele, quale quello che il Vangelo ora proclamato
caratterizza per la sua laboriosità e sollecitudine.
Si tratta di un vero amico del Signore che, senza ostentazione e senza smanie di protagonismo, ha amato profondamente la sua e nostra Chiesa, mettendo a disposizione l’
altissima competenza artistica-musicale che aveva acquisito, così da donare a ogni nostra assemblea orante una dignitosa solennità, raccolta e insieme gioiosa.
Prima di essere un musicista, il maestro Manenti fu innanzitutto un profondo credente, una persona cioè imbevuta del senso del mistero, che ha permesso all’espressione
musicale di servire in maniera appropriata al suo fine ultimo che è “la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli” (come si esprime
la Sacrosantum Concilium, n. 112).
I cristiani di Crema, infatti, nel corso di lunghi anni, hanno potuto alimentare la loro fede attraverso le melodie sbocciate
dal cuore credente del nostro maestro, melodie divenute parte integrante della liturgia e aiuto validissimo al suo decoroso
svolgimento.
La nostra Chiesa, attraverso le sue composizioni, ha potuto così godere di un vasto repertorio, culturalmente ricco, di alto
valore artistico, che non può andare disperso, ma soprattutto di uno strumento teso a tradurre la verità del mistero che si celebra nella liturgia.
La musica, infatti, nella celebrazione liturgica, è elemento portante per una partecipazione profonda, interiore ed esteriore,
dei fedeli al mistero della nostra salvezza, alla vita di Cristo e dei santi, ai misteri di vita e di morte celebrati dalla liturgia cristiana.
Lodiamo quindi il Signore che ha dotato di genio artistico e musicale il nostro maestro Manenti e nello stesso tempo lo
ringraziamo perché egli, come uomo pieno di saggezza, ha saputo valorizzare i doni ricevuti vivendo la musica con uno scopo
altamente sociale ed educativo. Ha sostenuto mediante la sua musica la vocazione profonda della Chiesa, chiamata a vivere il
servizio quotidiano del rendimento di grazie attraverso una continua lode trinitaria.
Con la bella musica ha permesso di collegarsi al mistero di salvezza anche a coloro che non sono credenti, eppure sensibili
alla bellezza, perché “la bellezza è cifra del mistero e richiamo al trascendente” (lettera agli artisti, 12).
Possa questo nostro amico essere annoverato tra gli uomini saggi che rispendono come lo splendore del firmamento (cfr. 1a
lettura) nel grande coro del Paradiso.
Avendo, attraverso la musica e il canto, sperimentato Dio, già qui in terra, come esuberanza di gioia e di amore, possa Egli
ora riconoscerlo come il Salvatore che lo accoglie nella Vita.
+ Il vescovo Oscar Cantoni
(omelia pronunciata nel rito funebre)
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Iniziative liturgiche
• Gli incontri formativi per i lettori, previsti nel mese di marzo, sono rimandati a dopo Pasqua, in data da stabilirsi.
• La rassegna dei cori è programmata per sabato 23 maggio alle ore 21,00 in S. Bernardino.
• Domenica 5 aprile, alle ore 15,30 presso il S. Luigi: formazione dei ministri straordinari della comunione eucaristica
(Mons. A. Lameri).
• Il libro nazionale dei canti, con la nostra appendice, sarà pubblicato entro l’estate.
• Il libretto dei fedeli (quello nazionale e la nostra appendice) comprenderà sia il rigo musicale della melodia, sia i testi completi dei canti. Più avanti sarà pronto il libro dell’organista che comprenderà la partitura completa dei canti.
Sarà disponibile anche su CD la registrazione in formato MP3 di tutti i canti del repertorio nazionale. Saranno inseriti anche
i testi e la melodia.
Naturalmente ci sarà da acquistare un minimo di copie per un costo ragionevole della personalizzazione (appendice diocesana).
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