Gabriele Ranica
Il suono aperto
Scritti sull’oggi della musica
HomePress Editions
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Euterpe
Collana musicale
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V. C. Colombo, 9 - 20022
Castano Primo (MI)
Tel. 0331880247
©2012 by Gabriele Ranica
Grafica di copertina: Gabran
Gabriele Ranica
Il suono aperto
scritti sull’oggi della musica
HomePressEdizioni
Euterpe
Arte, Teatro, Cinema, Musica
a Renzo Cresti
e Chiara Calabrese
Introduzione
È necessario, estremamente necessario, oggi, in questi
tempi di confusione etica ed estetica, in questi tempi fatti
di parole buttate al vento - se non si vuole buttare al vento altre parole - riflettere sul vasto mondo dei suoni e sull’arte della loro composizione.
Da secoli, ed è un’antica cultura, si compongono colori,
fiori e, tra le tante altre cose, anche i suoni.
Suono è qualunque cosa colpisca il nostro apparato uditivo. Suono, per quanto riguarda l’ambito musicale, è
qualsiasi fenomeno acustico utilizzato al fine di raggiungere uno scopo artistico più o meno pre-definito.
È vitale parlare di musica e soprattutto di musica contemporanea classica o, per essere più precisi, colta.
L’aggettivo "colta" è una caratterizzazione storica, un
modo per dire che certa musica è l’evoluzione di ciò che
definiamo, eurocentricamente, musica classica.
Ma, in un mondo globalizzato, dove la globalizzazione
è vera e non imposta, di musiche colte ce ne sono quante
sono le culture dei popoli del mondo, tutte le quali hanno
pari dignità e che, con pari dignità, possono contribuire
alla nascita ed alla crescita - anche se quest’ultima scelta
non ci pare strettamente necessaria, perché così facendo
si perderebbero unicità storiche e culturali con tutte le
loro individualità millenarie - di una musica universale,
tentativo, a nostro modesto avviso, di omogeneizzazione
colonialistica di culture altre, che niente hanno a che fare
con quella occidentale che, con la sua tecnologia massmediatica, le sopraffarrebbe sicuramente con i suoi rituali
più commerciali e più beceri.
In questo libretto, però, non affrontiamo il problema di
una musica colta universale, d'altronde non strettamente
necessaria, come accennato più sopra; nelle parole, che
seguono, spesso le categorie utilizzate sono ancora eurocentriche, ma lasciano uno spazio all’altro quando si parla di ricerca ed esplorazione, d'improvvisazione e di jazz.
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La raccolta di saggi e recensioni contenute in questo libretto vuole spezzare una lancia a favore della cosiddetta
musica contemporanea eurocolta intesa come prosecuzione dell’arte dei suoni storicamente divenuta negli ultimi quattro secoli ed aperta, nel suo continuare ad essere
se stessa, ai suoni ed alle “contaminazioni” del mondo, di
tutto il mondo. Perché parlare ancora di musica e soprattutto di musica contemporanea?
Perché parlare di arte contemporanea?
Semplicemente perché l’arte è forse l’unica modalità di
essere nel mondo della comprensione oltre ed al di là di
un esser-ci quotidiano costruito unicamente sul profitto
dei pochi e sulla povertà, anche intellettuale, dei molti.
Questo libretto è diviso in tre parti.
La prima contiene alcune mie riflessioni sull’arte e sull’arte della composizione dei suoni in particolare.
La seconda parte è costituita da recensioni e mie personali riflessioni sull’esperienza artistica di alcuni compositori contemporanei che hanno coinvolto la mia attenzione
e che mi sono sembrati rispecchiare meglio le impressioni contenute nella prima parte. Non ho voluto essere
esaustivo compilando un elenco di compositori “da ascoltare”. I compositori e le composizioni analizzate sono
soltanto esempi di una poetica della ricerca che, a mio
parere, è ancora oggi l’unica strada capace di poter dire
qualcosa nella e sulla musica del nuovo millennio.
Segue, infine, un’appendice, un breve diario, che ha
accompagnato la revisione finale delle prime due parti e
che contiene pensieri e riflessioni varie, le quali cercano
di completare il testo che le precede in modo più colloquiale ed esplicativo.
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Parte prima
Per cominciare
Questo libretto, che avete tra le mani, è un pot-pourri di
scritti sulla musica, un piccolo zibaldone, un diario quasi
quotidiano redatto su impressioni, sensazioni, letture,
ascolti ripetuti di musica del nostro tempo e ricordi giovanili che riaffiorano ancora con chiarezza alla mente.
La musica è continua ricerca, mai un vivacchiare su
posizioni da tempo acquisite e dichiarate scontate.
Chi compone, oggi, come faceva Beethoven, ma anche
come facevano Schönberg o Webern o Boulez, ecc., non
è un “vero” compositore, ma semplicemente un “conservatore” dedito al mercato del più o meno facile e all’establishment globalizzante. La vera globalizzazione in
musica è ancora quella che si fonda sul concetto di ricerca, quella ricerca che va oltre ciò che è diventato accademia, la sola che può consegnarci i ritrovamenti di un
mondo ancora sconosciuto, e, checché se ne pensi, che
riuscirà sempre a meravigliarci, un mondo che può dare
ai nostri giorni, alla nostra storia, una luce capace di farci
strada nelle tenebre di noi stessi. Molto spesso i filosofi
hanno riflettuto sul concetto di estetica (aisthëtikós), ovvero su tutto ciò che si riferisce alla sensazione e che ha a
che fare con l’arte e la sua percezione e altrettanto spesso
molti di questi filosofi hanno trovato limiti invalicabili
nella definizione della musica, limiti che, se mi è permesso, sono i limiti del loro stesso mondo interiore e culturale. I filosofi non sono, in genere, dei compositori e, di
solito, le loro speculazioni si fermano all’analisi di
un’estetica che ha come fondamento la Poesia vista come
una sorta di arte primigenia e creatrice del concetto generale di poetica, concetto estensibile, di per se stesso, a
tutte le arti. Ma, a parte l’arte della composizione delle
parole (prosa o poesia), le altre arti, pur possedendo “poetiche” interpretabili linguisticamente, non possono avere
come fondamento la parola poetica. La musica, in particolare, non ha a che fare con il linguaggio più o meno
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