L’ITALIA IN OPERA 2013/2014
GIANNI SCHICCHI
Opera in un atto
Musica: Giacomo Puccini
Libretto: Giovacchino Forzano
Prima rappresentazione:
New York, Metropolitan Opera
14 dicembre 1918
IN BIBLIOTECA
SPIGOLATURE
TRAMA
L’ITALIA IN OPERA 2013/2014
GIANNI SCHICCHI
Oltre al libretto vi proponiamo alcune letture di approfondimento che potete trovare presso la Biblioteca del CRAL:
SULL’OPERA:
SUL COMPOSITORE:
- Aldo Nicastro (a cura di), Guida al teatro d’opera, 2011, pagg. 357359
- Eduardo Rescigno, Una voce poco fa. 550 frasi celebri del
melodramma italiano, 2007, pagg. 357-359
- Piero Gelli (a cura di), Dizionario dell’opera, 1996 pagg. 534-538
- Michele Porzio (a cura di), Dizionario dell’opera lirica, 1991, pagg.
543-545
- Silvestro Severgnini, Invito all’ascolto di Puccini, 1984, pagg. 160174
- Enrico Maria Ferrando (a cura di), Gianni Schicchi (“Schede delle
opere”) in Tutti i libretti di Puccini, 1984, pagg. 471-501
- Claudio Casini, Giacomo Puccini, 1978, pagg. 417-424
- Giuseppe Adami (a cura di) – Enzo Siciliano (introduzione di),
Giacomo Puccini, Epistolario, 1982, pagg. 131-139
- Giuseppe Adami (a cura di), Giacomo Puccini, Epistolario, 1928,
pagg. 209- 219
- Alberto Basso (diretto da), Dizionario enciclopedico
universale della musica e dei musicisti, Le biografie,
vol. VI, 1988, pagg.149-156
- Silvestro Severgnini, Invito all’ascolto di Giacomo
Puccini, 1984
- Claudio Casini, Giacomo Puccini, 1978
- René Leibowitz, L’opera di Puccini e i problemi del
teatro lirico contemporaneo e L’arte di Giacomo
Puccini e l’essenza dell’opera in Storia dell’opera,
1966, pagg. 353-397
NARRATIVA E DINTORNI:
- Pietro Panichelli, Il ”pretino” di Giacomo Puccini,
2008
- Helmut Krausser, I demoni di Puccini, 2008
- Pier Marco De Santi (a cura di), Puccini al cinema,
2008
http://bct.comperio.it
http://sbam.erasmo.it
ALL’INIZIO
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Un solo titolo per tre opere: «Trittico»
Trittico è il titolo generale per i tre atti unici Tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi.
“E’ nel corso di […] [una] vivace riunione serale che Puccini, ad un tratto, interrompe gli animati conversari della lieta brigata
per chiedere agli amici Fanelli e Forzano, Marotti e Pagni, se esiste un nome che, come sintesi, riesca a dare un'indicazione
compendiaria dei suoi ultimi tre lavori, tanto dissimili tematicamente tra loro. (Al riguardo, però, Enzo Siciliano rileva che tali
lavori sono «uniti in profondità dal tema della morte»: l'assassinio, nel Tabarro; il suicidio, in Suor Angelica; il trapasso, «giocato
in farsa», nel Gianni Schicchi.)
La ricerca di un nome comune alle tre opere, riassuntivo e significativo, sembra, a tutta prima, un affare da nulla, quasi un gioco
di società. Come tale ha un avvio lepidamente scanzonato. I vocaboli proposti o suggeriti si susseguono, tra botte e risposte.
Sono parole bizzarre, incongruenti, magari strampalate. […]
Eliminati anche, fra lezzi e schiamazzi, treppiede, tripode, trisulco, come parole scandalosamente insensate, la buffa girandola
delle locuzioni continua. […]
Quando tutte le risorse linguistiche sembrano esaurite, si fa avanti il nome che, in mancanza di meglio, verrà prescelto. Lo
presenta, con qualche perplessità, Guido Marotti che così narra la conclusione del «certame grammaticale»: «Pronunciai,
esitante, trittico. […] La discussione si accese vivacissima. Tutti fummo d'accordo sull'improprietà della parola. […] Nondimeno
stabilimmo, in barba alla Crusca e alla ... farina, di battezzare Trittico le tre opere. Con buona pace dei puristi » .” (1)
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(1) Silvestro Severgnini, Invito all’ascolto di Giacomo Puccini, Mursia, 1984
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Il progetto del «Trittico»
“Puccini si dedicò ai tre atti unici con un notevole ritardo rispetto all'epoca nella quale li aveva progettati. Dal 1900 in poi, per
una quindicina d'anni, l'idea gli si era affacciata più volte. Ma finché gli fu possibile comporre melodrammi regolari, il progetto
rimase nel limbo. Attraverso Madama Butterfly e La fanciulla del West il periplo nella forma melodrammatica ereditata dalla
tradizione italiana, e in particolare da Verdi, poteva dirsi compiuto […]. Questa progressiva estinzione di possibilità trovava un
riscontro nelle circostanze. Erano scomparsi i librettisti dell'epoca centrale pucciniana, e con loro cessarono anche le condizioni
commerciali create dalla direzione editoriale di Giulio Ricordi, paternalistica ma intimamente partecipe della creazione. […]
In questa situazione, Puccini pensò di aggiustare la mira intervenendo sulla quantità: il pragmatico limite dell'atto unico gli
parve attuale. Ma, illudendosi di conservare la misura canonica della serata teatrale, pensò a tre atti unici di soggetto
differente.” (1)
Lo smembramento del «Trittico»
“Osserva Chailly [Riccardo Chailly, direttore d’orchestra, ndr]. La ‘maledizione’ del ‘Trittico’ è stata «l'autorizzazione d'autore,
sollecitata e reiterata da Ricordi, all'esecuzione staccata dei titoli, distruggendo l'unitarietà intima del lavoro, la sua natura di
triplice riflessione sul tema della morte. […]» […]
Le ragioni dello smembramento del ‘Trittico’ sono anche di tipo pratico perché l'allestimento dell'opera, quanto a ricchezza
numerica e ruoli del cast differenti titolo per titolo, risulta complessa e costosa. Quanto all'autorizzazione di Puccini a recite
separate del ‘Trittico’, dobbiamo credere alla testimonianza di Luigi Ricci, stretto collaboratore del maestro. Da parte sua,
Ricordi pubblica le edizioni separate di Tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi solo dopo la morte del compositore.” (2)
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(1) Claudio Casini, Giacomo Puccini, UTET, 1978
(2) Alberto Cantù, L’universo di Puccini: da Le Villi a Turandot, Zecchini, 2008
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Le prime del «Trittico»
“Un mese dopo la firma dell'armistizio, che poneva termine alla guerra, le tre opere pucciniane vennero rappresentate al
Metropolitan [di New York], il 14 dicembre 1918. L'11 gennaio 1919, si ebbe la prima italiana, con qualche rimaneggiamento, al
Teatro Costanzi di Roma. Qui Puccini fu presente, mentre non si era potuto recare a New York, date le comunicazioni ancora
difficoltose. […] I recensori americani e italiani furono quasi tutti d'accordo nell'esaltare Gianni Schicchi, nel discutere più o
meno pomposamente sul Tabarro, messi in guardia dall'argomento populista, e nel compatire Suor Angelica.” (1)
Il librettista di «Gianni Schicchi»
“Inverno 1917: sta nascendo, a Viareggio, Gianni Schicchi. Il libretto l'ha congegnato in quattro e quattr'otto, con la sua
funambolica destrezza e sveltezza di giocoliere della scena, Giovacchìno Forzano. […]
Forzano è stato una figura singolare, di primo piano, nell'Italia dello spettacolo durante tutto il periodo fra le due Grandi
Guerre. […] Dopo aver studiato legge e medicina, ha cantato come baritono nei teatri d'opera; ha diretto un giornale
quotidiano, «La Nazione» di Firenze; ha scritto commedie d'argomento borghese e drammi storici […]. È stato regista
cinematografico: ideatore e realizzatore dei Carri di Tespi [teatri ambulanti, ndr] per la lirica e per la prosa; «inventore in Italia
della regia lirica».” (2)
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(1) Claudio Casini, Giacomo Puccini, UTET, 1978
(2) Silvestro Severgnini, Invito all’ascolto di Giacomo Puccini, Mursia, 1984
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Lo spunto per il libretto
“L’azione dell'unica opera buffa - sardonica - del pessimista Puccini ‘si svolge nel 1299 in Firenze’. Lo spunto per la figura del
protagonista è dantesco: nel XXX Canto dell'Inferno, nella decima bolgia, quella dei falsari, due ‘ombre smorte e nude’ si
addentano come maiali appena liberati dal porcile. Dice Griffolino a Dante: ‘Quel folletto è Gianni Schicchi, / e va rabbioso altrui
così conciando ... per guadagnar la donna della torma [la bella mula di Buoso, ndr] / falsificare in sé Buoso Donati / testando e
dando al testamento norma’.” (1)
“Tuttavia Forzano poté sicuramente disporre per la composizione del suo libretto anche di un testo ben più esteso e articolato
rispetto ai pochi versi danteschi: il Commento alla Divina Commedia d'Anonimo fiorentino del secolo XIV, stampato a cura di
Pietro Fanfani nel 1866, che riporta molti particolari […] ampiamente ed efficacemente sfruttati dal nostro librettista. Inoltre il
tema dell'avidità degli eredi, ricorrente in molte farse e commedie di ogni tempo e luogo, richiama alla memoria il Volpone
(1605) di Ben Jonson, drammaturgo del teatro elisabettiano, con il quale la trama del Gianni Schicchi presenta evidenti
analogie.“(2)
“Puccini e Forzano [però] non hanno assolutamente colto il punto di vista di Dante, cioè la condanna morale e giuridica della
falsificazione truffaldina di un testamento; il compositore e il librettista si sono concentrati soltanto sull'avidità perversa di una
grande famiglia benestante. Si tratta di una cinica resa dei conti con l'ambiente nel quale Puccini era cresciuto e nel quale visse
fino alla morte, una resa dei conti con la sua famiglia, amata ed odiata allo stesso tempo e, in un senso più ampio, con la morale
della ‘società’ a lui più vicina, che conosceva così bene.” (3)
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(1) Daniele Martino, Giacomo Puccini, Skira, 2009
(2) Piero Gelli (a cura di), Dizionario dell’opera, Baldini Castoldi Dalai, 2005
(3) Dieter Schickling, Giacomo Puccini: la vita e l’arte, Felici, 2008
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Così nasce «Gianni Schicchi»
“Il Maestro compone lo «Schicchi» secondo i suoi modi di sempre. Il villino, da lui affittato In piazza Principe Amedeo [a
Viareggio], è popolato ogni sera dai suoi «fedeli». […]
Mentre lavora egli vuol sentire gli amici chiacchierare, a voce alta. Guai se tacciono un solo momento: si volta di scatto,
rigirandosi sulla sedia, li guarda con severità al disopra degli occhiali e li redarguisce con un «Ehi! Che dormite, voi?». Devono
riprendere a parlare, senza interruzioni, ma nessuno può né fischiare né canterellare come talvolta accade di fare, anche
inconsciamente, quando si ascolta musica. Se malauguratamente ciò avviene, Puccini monta su tutte le furie, picchia un gran
pugno sulla tastiera, sbatacchia il coperchio del pianoforte, richiudendolo, e se ne va. Per ricomparire dopo qualche istante, già
rabbonito.
Così è nato Gianni Schicchi.” (1)
Sul libretto di «Gianni Schicchi»
“Il libretto di Gianni Schicchi è dotato di pregi indiscutibili, e di difetti molto fastidiosi. Nel complesso, però, si può definirlo
straordinariamente riuscito in virtù del tono popolaresco nella lingua, della rapidità e, soprattutto, della trovata fondamentale:
sortire un effetto comico con personaggi serissimi, alle prese con un fatto quotidiano e realistico, come la divisione dell'eredità.
[…]
Salvo qualche concessione ai soliti diminutivi toscani, come i minuzzolini che Laurettina è incaricata di fornire sul terrazzino
all'uccellino, il babbino caro, e i popolini dati a Gherardino per comprarsi i confortini, Forzano non indulge a preziosità. […]
Difetto fastidioso del libretto è invece il campanilismo, espresso nelle ripetute e vernacole precisazioni dei paesi del contado di
Firenze, nei nomi dei personaggi, soprattutto nel popolaresco appello al padre Dante.” (2)
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(1) Silvestro Severgnini, Invito all’ascolto di Giacomo Puccini, Mursia, 1984
(2) Claudio Casini, Giacomo Puccini, UTET, 1978
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I personaggi dello «Schicchi» come maschere della Commedia dell’Arte
“Il Gianni Schicchi tratta uno dei temi preferiti dall'antica commedia delle maschere. Quanto ai personaggi, la maggior parte di
loro sono tipi di quella commedia sotto altro nome. Gianni Schicchi ricorda subito Arlecchino, il servo astuto e imbroglione. Poi
c'è la giovane coppia di innamorati al cui matrimonio si oppongono i parenti più vecchi - un tema impiegato di frequente nella
vecchia commedia italiana e nell'opera comica; Lauretta riecheggia chiaramente Colombina, la figlia capricciosa di un padre
vecchio. Ci sono i parenti di Buoso, con Simone che ricorda Pantalone, di solito vecchio scapolo incallito, e Betto di Signa, che
ricorda uno Zanni, il valletto maldestro che fungeva anche da buffone; e ci sono, inevitabili, il dottore di Bologna che parla in
dialetto bolognese, e il pomposo notaio. Due altre figure tipiche, il Capitano spagnolo e il suo Moro, sono menzionate nella
scena in cui una campana che suona a morto getta un panico tremendo tra i parenti di Buoso. Possiamo ora capire fino a qual
punto la moderna commedia di Puccini si riallacci strettamente ad una tradizione antica.” (1)
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(1) Mosco Carner, Giacomo Puccini. Biografia critica, Il Saggiatore, 1961
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TRAMA
L'azione si svolge nel 1299 a Firenze.
I parenti di Buoso Donati, spirato da poche ore, sono radunati intorno al letto a baldacchino dove giace il defunto. La notizia
che Buoso avrebbe lasciato tutta la sua cospicua fortuna ai frati di Signa in espiazione delle sue malefatte getta nella
costernazione i parenti che interrompono la veglia funebre e, guidati dal vecchio Simone e da Zita, una cugina del morto,
frugano per tutta la casa alla ricerca del testamento.
Rinuccio, nipote di Zita, scopre infine il documento, ma prima di consegnarlo alla zia le estorce il consenso al suo matrimonio
con Lauretta, figlia di Gianni Schicchi, malvisto dalla famiglia Donati per le sue origini contadine.
La lettura del testamento conferma i timori dei parenti: Buoso ha lasciato erede di tutti i suoi beni un monastero. Rinuccio
convince la famiglia a chiedere l'aiuto di Schicchi, persona nota per la sua astuzia.
Quando questi arriva con la figlia Lauretta, è però accolto così male che, offeso, sta per andarsene. Lauretta, per trattenere il
padre, prima minaccia di gettarsi in Arno qualora non le venga concesso di andare a Porta Rossa a comperarsi l'anello e poi
prega il suo "babbino caro" di aiutare la famiglia del suo Rinuccio.
Schicchi acconsente ed elabora un piano: fingendosi Buoso Donati in punto di morte detterà al notaio un nuovo testamento.
I parenti accolgono con entusiasmo il piano e, nascostamente, cercano di corrompere Schicchi per ottenere la parte migliore
dell'eredità. Schicchi dice di sì a tutti, manda a chiamare il notaio e, vestito con gli abiti di Buoso, detta dal letto del morto un
testamento che lascia a se stesso la maggior parte dei beni. I parenti allibiti non possono però svelare la frode in cui sono
implicati e che comporterebbe per tutti, secondo una vecchia legge fiorentina, la pena del taglio della mano.
Uscito il notaio, Schicchi scaccia i parenti di Buoso dalla casa che ormai è sua, mentre Rinuccio e Lauretta si abbracciano.
«Per questa bizzarria» conclude il protagonista congedandosi dal pubblico «m'han cacciato all'inferno ... e così sia; / ma, con
licenza del gran padre Dante, / se stasera vi siete divertiti ... / concedetemi voi ... l'attenuante!»
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da: Michele Porzio (a cura di), Dizionario dell’opera lirica, Arnoldo Mondadori Editore, 1991
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