GIGI BONISOLI Copyright © 2010 - 2013 Luigi Giulio Bonisoli www.gigibonisoli.info All rights reserved. ISBN: 1480161160 ISBN-13: 978-1480161160 Ogni riferimento a persone, cose e fatti è puramente casuale. ii A Itala, ancora. GIGI BONISOLI iv LIONARDO Tutto ciò che è ideale è reale, tutto ciò che è reale è ideale. Hegel v LIONARDO 7 GIGI BONISOLI Io... Io avevo un modo strano di dire le cose: lo facevo piangendo! Stavo zitto per giorni, somatizzavo tutto quello che accadeva e accumulavo. Poi quando non ce la facevo più scoppiavo a piangere e dicevo tutto quello che volevo dire. Lo dicevo con calma, senza urlare. Parlavo e dagli occhi uscivano litri di acqua; fiumi di parole. 8 LIONARDO All’inizio mamma e papà si preoccuparono di cercare le cause tra di loro, litigando di tanto in tanto. Superarono quella fase confidando nel tempo e in una guarigione divina. Nacquero però dei problemi all’asilo: durante il momento del silenzio, quello del riposino, ero tra i più bravi ma se dovevo chiedere di andare a fare pipì lo facevo piangendo, e succedeva un putiferio. Tutta la classe di bimbi piangeva, chi per solidarietà e chi perché svegliato, e le suore dopo un po’ ne ebbero abbastanza e convinsero i miei genitori a tenermi a casa fino alla scuola dell’obbligo. Arrivato il momento di iscrivermi alle scuole elementari non poterono nascondere alla preside il mio problema, o come diceva papà il difetto. Il sistema sanitario Italiano mi affidò ad un bravo dottore logopedista. Piangevo anche con lui per parlare ma quando tornavo a casa era diverso in un certo senso perché la mamma mi chiedeva: «Hai pianto con il dottore?»; io rispondevo di sì e lei tutta soddisfatta mi diceva «Bravo!» e mi prendeva un gelato dal congelatore. 9 GIGI BONISOLI In qualche modo si era messa a posto la coscienza. Io andavo dal dottore, piangevo, mangiavo il gelato e mettevo su qualche chilo nel tempo. Non ci furono miglioramenti sul lato medico ma tutto andava bene sia a casa che a scuola. Ricordo che qualche volta io e papà partivamo per il weekend e veniva con noi il dottore, mentre mamma restava a casa. La volta che mi divertì di più fu in crociera, su una nave grandissima. Le stanze per dormire erano chiamate cabine ed erano disposte tutte in un corridoio lunghissimo. Finito il corridoio c’erano delle scale che salivano e scendevano. Dopo i gradini il corridoio riprendeva e c’erano altre cabine in fila. Io mi divertivo a correre su e giù tra i corridoi. Sembrava un posto senza fine. Un pomeriggio corsi così tanto che ebbi necessità di riposarmi un po’ e tornai alla cabina. Dalla stanchezza entrai per sbaglio in quella del dottore, che era di fianco alla nostra, e trovai lui e papà vestiti con abiti di mamma che ballavano senza musica. Lo stupore sui loro volti fu visibile anche per me 10 LIONARDO bambino. Il dottore cadde su una sedia e si afflosciò come il sacco di roba sporca. Papà invece mi venne incontro più rilassato. «Vuoi darci una mano Leonardo? Stiamo provando dei vestiti da regalare alla mamma. E’ divertente!» Io avevo sempre visto mia madre comprarsi le cose da sola; diceva che papà non era capace a scegliere nemmeno una sciarpa a natale. Il dottore evidentemente aveva più gusto e gli stava dando una mano. Dovevano aver comprato una quantità immensa di abiti perché si alternarono per circa un’ora in vere e proprie sfilate di moda con tanto di passerella. Alla mamma, quando tornammo, papà non diede nessun abito indossato quel pomeriggio. Mi chiese di non raccontare nulla perché aveva deciso di regalarle una collana e che saremmo andati tutti a cena fuori. Sei mesi dopo, appena compiuti dieci anni, ricordo di aver pianto addirittura tre volte... Cominciai a casa, prima di andare a scuola, perché la notte avevo fatto la pipì nel letto. Ero imbarazzato e 11 GIGI BONISOLI mentre mamma cambiava le coperte scoppiai a piangere per scusarmi. La seconda dal dottore, come ogni volta che andavo da lui per la seduta settimanale. La terza quando papà se ne andò... col dottore. Mi venne a prendere come tutte le volte, però non mi fece aspettare in macchina come al solito. Mi disse di aspettare nella guardiola del portiere del palazzo perché lui e il dottore dovevano parlare un po’ più del solito e in macchina non ci potevo entrare perché non c’era spazio. Io non sapevo cosa potesse aver riempito tutto lo spazio della macchina ma aspettai fiducioso, per ore ed ore. Alla fine arrivò mamma a prendermi e mi riportò a casa a piedi. Quella terza volta piansi ma non riuscii a dire niente. Ero troppo confuso. Papà mi aveva abbandonato? Perché lui e il dottore non mi avevano portato con loro? Dallo shock smisi di parlare del tutto. Smisi anche di piangere così la mamma decise che non avevo più bisogno di un logopedista. Cominciai allora a scrivere, quando dovevo dire qualcosa. 12 LIONARDO Mamma dopo un po’ di mesi si rasserenò perché, anche se non parlavo, trovava i miei biglietti pieni di pensieri o richieste per casa. Disse che era meglio così: «l’amore cresciuto nel silenzio è più puro». Contemporaneamente si convinse che papà non sarebbe tornato. Io lo capii perché tutte le sere, prima di cena, metteva sul giradischi “Dream a little dream of me” di un gruppo chiamato The Mama’s and Papa’s. Di colpo non si sentì più musica. La risentii qualche anno più tardi, di notte, dopo che mamma parlò al telefono con qualcuno. Forse era papà. Lei non me ne parlò; né il giorno dopo né mai. Fino ai quindici anni, quando uscivamo per la passeggiata, avevo potuto portare con me un block notes ed una penna. Così, se c’era una cosa urgente da comunicare, tipo correre in bagno, la potevo scrivere. Un pomeriggio incontrammo al parco una signora con la figlia, che più o meno aveva la mia stessa età. Si chiamava Daniela. Le nostre madri parlavano ed io in silenzio guardavo e studiavo quella coetanea. Ad un certo punto le 13 GIGI BONISOLI scrissi un biglietto perché c’era un dubbio che mi tormentava e glielo diedi. Lei si mise molto a ridere e poi con un certo cinismo da maggiorata viziata lo passò alla madre da leggere. La donna diventò rossa in volto; diede stizzita il foglio a mia madre e se ne andò via strattonando la figlia per il braccio. Mamma lesse il biglietto. Mi guardò e fece vibrare in aria il braccio dandomi l’impressione di volermi colpire... Con che motivo? Per il biglietto? Avevo solo scritto: «Daniela perché hai il petto gonfio e con due punte? E’ una cosa che si cura? Posso toccare? Vorrei sentire com’è?» Insomma, io volevo solo capire mica rubare niente. Sapevo che c’erano differenze tra maschi e femmine ma le persone che conoscevo erano tutte più piccole di me e non potevo chiedere di quella cosa specifica. Con una coetanea era più facile capire le differenze, pensai. Finì, ingiustamente, che mamma mi riportò subito a casa e da quel giorno non potei più portare fuori il 14 LIONARDO block notes. D’inverno non si usciva quasi mai. Dopo la scuola restavo a fare i compiti e nel weekend di solito veniva qualcuno a trovarci. Una domenica venne una signora con la figlia. Mia madre mi fece promettere di non uscirmene con qualcuno dei miei biglietti imbarazzanti. Io non capivo dove stava l’imbarazzo ma promisi di non scrivere nulla. La ragazza stava seduta molto vicino alla madre e non sembrava molto interessata ad interagire con me. La madre continuava a ripetere che era un po’ più grassa delle sue compagne di scuola, che lo si vedeva bene dal petto largo e dai fianchi. Ogni volta che lo diceva la figlia si mortificava abbassando la testa. Mi sembrarono delle cose cattive da dire ad una figlia. La mamma mi chiese di andare a prendere un po’ d’acqua per tutti. Arrivai al lavandino in cucina e iniziai a riempire i bicchieri quando per caso notai la scritta su un flacone: “Azione sciogli grasso. Sgrassa bene e in fretta”. Immaginai subito la ragazza più magra, felice 15 GIGI BONISOLI e che giocava con me. Così portai un bicchiere d’acqua a tutti, solo che nel suo c’era lo sciogli grasso. Lo bevve in un lampo. Io aspettai con ansia che la magia si compisse davanti ai miei occhi ed invece lei iniziò a tossire e rigettare acqua. Nessun effetto sciogli grasso. Lei finì il pomeriggio in bagno; io in camera in castigo. Non venne più nessuno che avesse figli a trovarci. L’unica cosa che capii in quel periodo fu che tra uomini e donne ci sono delle differenze, ma che per farle notare ci vuole molto tatto, ed io sembrava non ne avessi proprio. Tra uomini e uomini, ripensando a papà e al dottore, questi problemi non c’erano evidentemente. Una volta mamma accennò qualcosa sulla rivoluzione sessuale ma non ne capii il senso. Passarono alcuni anni e scoprii altre differenze tra uomo e donna... Ero al parco. Mamma era da una parte con altre signore amiche sue ed io giravo solo per il prato. Ad un certo punto dietro ad una panchina vidi un 16 LIONARDO giornale arrotolato in terra. Lo raccolsi e lo aprii. C’erano tante persone ma erano tutte senza vestiti e stavano attaccatissimi, corpo contro corpo. Cosa che non avevo mai visto fare neanche a mamma e papà. Sfogliandolo ebbi come una scossa, un fremito. Qualcosa stava stuzzicando la mia mente e il mio... Decisi di portarlo a casa di nascosto per studiarlo meglio in cameretta. Non scrissi niente a mia madre di ciò. Me lo tenni nascosto in tasca e aspettai il buio. La notte, con la luce del comodino accesa, tirai fuori il giornalino e lo studiai meglio. Intanto aveva un titolo in prima pagina: LE ORE. Un titolo buffo e incompleto mi sembrò. Quali ore? A che ora? Un errore di stampa? Lasciato da parte questo dubbio cominciai la lettura. Le pagine erano piene di persone che, nude, si toccavano con tutte le parti del corpo. Alcune cose non le potevo nemmeno immaginare. Mi sorprendeva soprattutto che una donna riuscisse a toccarsi anche con tre uomini contemporaneamente. Mentre gli uomini tra di loro quasi si tenevano lontani 17 GIGI BONISOLI o al massimo si sorridevano. La notte mi addormentai con qualche dubbio: quante persone nude si possono toccare tra di loro contemporaneamente? Le smorfie di quegli uomini erano fondamentali per toccare una donna? La mattina mi misi allo specchio e provai a rifare quel tipo di smorfie. Le provai anche a scuola con le compagne ma si misero solo a ridere. Non era quello che li teneva vicini. La seconda sera provai a concentrarmi sulle donne; sulla differenza tra me e loro. Non fu facile studiare il corpo femminile con tutti quegli uomini attorno, ma qualcosa nella testa scattò perché ogni volta che guardavo una donna sentivo un pizzicore dappertutto. Mi addormentai a fatica. La terza sera cercai di capire perché quelle persone stavano così vicine e nude. Ci doveva essere un motivo serio perché gli uomini facevano sparire il loro cosetto un po’ ovunque mentre le donne fotografate, quando non davano retta all’uomo, glielo tenevano in mano. A volte sorridevano e a volte facevano smorfie strane. Doveva essere un mistero 18 LIONARDO oppure una finzione scenica. Ci pensai un po’. Provai a mettermi una mano sopra al mio cosetto ma dopo poco, stanco di aspettare un qualche cosa, mi addormentai come un sasso. La quarta sera mi concentrai sul cosetto. Anche io ce l’avevo, non così grande, ma ero come loro, in proporzione. Riguardai le foto e mi accorsi di alcuni particolari, un po’ come in alcuni giochi della settimana enigmistica di mamma: le donne non tenevano la mano sempre nelle stesso punto. Quindi non si toccavano e basta, si muovevano! Provai perciò a prendermi il cosetto in punti diversi fino a scoprire che non era necessario togliere la mano a scatti ma bastava muoverla... Quella notte tirai un urlo da non so dove. Mia madre spalancò la porta. Vide quello che c’era da vedere e mi tirò un ceffone. Ogni tanto ripensai allo schiaffo ricevuto e a quello mancato per il biglietto dato alla ragazza con il petto. Cosa fu meglio? Schiaffo ricevuto per aver... o non ricevuto per non aver...?! 19 GIGI BONISOLI Comunque il giornale “LE ORE” non mi servì più; ero autonomo. Dovevo solo nascondere a mia madre che ripassavo mentalmente quelle immagini di donne ed evitare di urlare. Dieci minuti in più in bagno ad occhi chiusi ed il segreto era mantenuto. Crescendo capii che io le donne potevo al massimo idealizzarle ma non toccarle. Mamma mi teneva lontano da tutto e da tutti. La notte al massimo potevo convincermi che la mia mano era controllata da un pensiero femminile. Ma nulla di più. Gli anni passavano e mamma invecchiava. Questo comportava nessuna intrusione a sorpresa nella mia camera ma anche meno uscite all’aria aperta. Poi incredibilmente la grande sorpresa: per il mio ventesimo compleanno, convinta da un negoziante del quartiere, mia madre mi comprò un computer che poteva collegarsi ad internet. Io non sapevo cosa fosse un computer ma dopo pochi mesi diventai pratico. C’erano programmi per disegnare, per 20 LIONARDO scrivere, per ascoltare la musica. E poi c’era internet; tutto quello che non sta sul proprio computer sta su internet. Qualunque domanda avessi per la testa bastava inserirla nel motore di ricerca - o motore di risposte come lo chiamavo io - ed era trovata. Provai a cercare le foto della luna e le trovai. Cercai la canzone dei Mama’s and Papa’s e la trovai. Tentai anche di cercare papà ma uscirono solo collegamenti a programmi di chatroom: posti dove entri e ti scrivi con persone che abitano molto più lontano. Un messaggio diceva: “Entra in contatto con amici e parenti”. Ci portai sopra il mouse e cliccai. Si aprì una finestra divisa in tre parti. A destra c’era l’elenco delle persone collegate, con cui potevi scriverti. In basso la zona per scrivere e al centro scorrevano tutti i messaggi di quelli che stavano lì dentro. La prima cosa che chiedevano per dare la possibilità di scrivere anche con gli altri era inserire il proprio nome. Stavo per inserire il mio nome quando mi venne in mente che avrei potuto mentire, nessuno mi controllava. Però se inserivo un nome diverso 21 GIGI BONISOLI probabilmente lo avrebbero capito tutti perché tutti facevano così. Quindi inserii il mio nome vero sicuro che tutti lo avrebbero preso per un nome falso e la mia identità sarebbe rimasta al segreto. Diedi una rapida lettura ai nomi di destra ma quello di mio padre non c’era. Forse era sotto falso nome. O dovevo aspettare? A che ora sarebbe arrivato? Qualcuno si accorse di me in chatroom perché lessi un messaggio per me di un certo SessoVero. “Ciao Leonardo. Da dove scrivi?” “Da camera mia” risposi. “ :-P e dove si trova la tua camera?” Quelle prime lettere :-P non le compresi quindi risposi solo alla seconda domanda. “La mia camera sta in fondo al corridoio, a destra, di fronte al bagno.” Nessuna risposta. Presi coraggio, e iniziai a scrivere anche io: “La tua camera dov’è?” Non rispose. Nel frattempo altri messaggi di altri utenti fecero scorrere fuori dalla pagina il mio. Lo scrissi per alcune volte finche un tale scrisse: 22 LIONARDO “Leonardo se non specifichi a chi fai la domanda puoi andare avanti così tutto il giorno e agli altri rompi le scatole :-P” Ancora quei caratteri sconosciuti :-P Scrissi così anche io “:-P” e chiusi la pagina. Dopo giorni di prove capii come si doveva fare per mettersi in contatto con qualcuno in modalità privata, senza doversi leggere i messaggi di tutti. SessoVero mi diede il link di un sito dicendomi che poteva interessarmi. LunaNera mi scrisse di non fidarmi ma Jocker70 invece mi assicurò che mi avrebbe aiutato. Così lo provai. Ogni volta che provavo ad entrarci un programma del mio computer diceva che era pericoloso e di non proseguire. Studiai la cosa per qualche ora e trovai come togliere quel fastidioso programma chiamato antivirus. Finalmente entrai in quel sito: era pieno di donne nude disposte a farsi toccare. Il giorno dopo scoprii come fare per mettersi in contatto con una di loro. Dovevo scrivergli dal computer. Ci fu uno scambio di email, un sistema di messaggi 23 GIGI BONISOLI simili al mio block notes ma gestiti da un programma. Dovevi scrivere l’indirizzo di posta elettronica della persona da contattare e come con un piccione viaggiatore il messaggio era recapitato. Dall’altra parte del mondo una ragazza mi rispose dicendomi che per vederci, e toccarci, ci volevano i soldi! Io non ce li avevo i soldi e mamma stava ancora dormendo e non era uscita dalla camera. Però i soldi andavano trovati altrimenti sarei rimasto sempre con grossi dubbi... Una volta sentii il marito della vicina dire che la gente si dimenticava nei vestiti di tutto, persino i soldi. Mamma dormiva ed io in silenzio cercai negli armadi. Trovai duecento euro. Cercando negli armadi trovai anche delle foto di papà e del dottore che si baciavano ma per non far insospettire mamma le lasciai dovere erano. Mi venne un dubbio però: gli uomini si toccano? Come era possibile? Sul giornale quella cosa non era prevista. La sera scrissi alla ragazza del sito dandogli l’indirizzo di casa e assicurandogli che avevo i soldi. Si era molto 24 LIONARDO preoccupata di quest’ultimo punto. Per sicurezza, in una email chiesi alla ragazza se era come quelle che c’erano sul giornale LE ORE, con il petto giusto, senza peli sulle gambe e senza cosetto. Lei all’inizio della mail mi scrisse di stare tranquillo che era donna al 100%. Non capivo cosa intendesse; le percentuali a scuola da piccolo le avevo fatte ma non riuscivo ad immaginarmi una donna con una percentuale di un’altra cosa. Tipo un 30% di rami o il 15% di gatto. Era buffo immaginare cose così. Poi in salotto vidi una foto di zia Assuntina che aveva un po’ di baffi e le sopracciglia folte. Riflettendoci la zia era 80% donna e 20% nonno Mario. Questo ragionamento non glielo riportati nella mail di risposta. Le confermai l’indirizzo, l’orario in cui l’aspettavo e le spiegai che non parlavo per uno shock infantile ma che avrei preparato dei bigliettini. Lei scrisse che una cosa così non l’aveva mai sentita ma che non vedeva l’ora di conoscermi. A fine mail mi mandò un bacio. Che cosa buffa, pensai. Su internet ci si poteva 25 GIGI BONISOLI mandare i baci. Addirittura una volta su una pagina chiamata forum lessi di due che si abbracciavano da città diverse! Io comunque aspettai circa un’ora davanti al monitor ma non successe niente. Scrissi alla ragazza che il bacio non era arrivato e se me lo poteva rimandare. Forse spense il computer oppure il bacio aveva perso l’indirizzo di casa mia. Pazienza, glielo avrei scritto di persona quando sarebbe arrivata da me per toccarmi. Il giorno dopo a quello scambio di email suonarono alla porta e mamma non andò a rispondere. Dormiva ancora. Ci andai io. Guardai dallo spioncino e aprii; era la vicina di casa che chiedeva come mai non stavamo uscendo da due giorni. Utilizzando la lavagnetta che avevamo messo all’ingresso le scrissi che mamma era molto stanca e stava dormendo. Mi disse di mandargliela appena si sarebbe svegliata. Le scrissi di sì. Chiese di me. Le scrissi che stavo bene ma non dissi altro. 26 LIONARDO Non mi andava di raccontare della mia amica di internet che sarebbe arrivata il giorno dopo. La vicina se ne andò ed io tornai in camera mia al computer. La sera mi accorsi che in casa non c’era più niente da mangiare di pronto. La mamma continuava a dormire e nessuno aveva fatto la spesa. C’erano delle scatole di cose come fagioli, piselli, carote ma mi era stato vietato di usare l’apriscatole fin da piccolo. Contravvenendo a qualsiasi ordine indossai il giaccone, presi i soldi e scesi al supermercato sotto casa. Gianni il cassiere ebbe quasi un sussulto quando mi vide entrare da solo. «Mamma dov’è?» mi chiese. Non avendo il block notes dovetti fargli il gesto di dormire con le mani. Lui rise, e pensai di averla fatta franca. A distanza mi seguì e iniziò a farmi altre domande; non gli bastò che io mimassi “dormire! - silenzio! - ciao!”. Scappai tra gli scaffali impaurito e comprai cose a caso per cenare. 27 GIGI BONISOLI Vidi anche una zona con dei mazzi di fiori. Ne presi uno per Veruska, la ragazza che sarebbe arrivata da me... Uno dei commessi si immaginò che fossero per mamma: «Che bravo figliolo.» Preferii non mimare nulla e rientrai a casa. Mi sentivo strano. Avevo disobbedito ad una regola di mamma ma non era successo niente di grave. Si poteva fare. Pensai a quante cose potevo fare che mi erano invece normalmente negate. Il tutto stava nel farle mentre mia madre dormiva? Mangiai da solo e in silenzio per non disturbare mamma. Non lavai nemmeno i piatti. La notte rimasi sveglio guardando la TV. Dopo mezzanotte su molti canali vidi donne nude che invitavano a telefonargli mentre si accarezzavano. Di giorno quei programmi non c’erano, perché? La mattina mi alzai. Mi lavai e feci colazione da solo; mamma dormiva ancora. Ero tentato di bussare alla porta per svegliarla. Poi 28 LIONARDO pensai a Veruska e al fatto che probabilmente mia mamma, dopo aver dormito per due giorni di fila, non sarebbe più andata a dormire per altri tre giorni e avrebbe girato per casa in continuazione, entrando magari in camera mia mentre io e Veruska ci toccavamo. Sinceramente temevo che la ragazza se ne sarebbe andata imbarazzata perché poteva essere che da altre donne non si faceva vedere nuda. No, avrei svegliato la mamma la sera con calma. Un leggero senso di agitazione però cominciò a presentarsi verso mezzogiorno, a poche ore dall’arrivo di Veruska. Mi chiusi in bagno e lessi tutto il pomeriggio il libretto delle istruzioni della lavatrice. Finalmente suonarono alla porta e corsi fuori dal bagno, in punti di piedi. Prima di aprire scrissi sulla lavagnetta “Ciao Veruska, entra!”. Tremando aprii ma davanti a me non incontrai la ragazza che avevo visto in foto su internet e soprattutto non era da sola; c’erano due ragazzi con lei. 29 GIGI BONISOLI Tre sconosciuti, insomma, alla mia porta mentre aspettavo una certa Veruska da internet e con mia mamma di là in camera che non aveva sentito neanche questa volta il campanello. Presi la lavagnetta con l’intenzione di scrivere qualcosa di drastico. Un misto tra “andatevene che non vi conosco” e “qui non c’è nessuno che conosciate, vi siete sbagliati”. Riuscii a scrivere “Scusate mamma sta dormendo, tornate domani mattina. Grazie”. Al cospetto del messaggio i due ragazzi confabularono qualcosa in una lingua che non conoscevo. La ragazza rimase serena e disse: «Ciao, io sono Veruska.» Con la testa feci di no; non era lei, non poteva esserla. «Lionardo, sono io davvero!» continuò con un accento strano. Ribadii con la testa e la mano spinse sulla porta per chiuderla. «Ok, ti devo delle scuse» interruppe lei. «La foto era diversa ma c’è la privacy. E’ vietato per legge 30 LIONARDO dichiarare le proprie generalità online senza creare problema alla ditta. Ero io che rispondevo alle tue mail. E’ con me che ti sei scritto. Lasciami entrare e ti dimostrerò che è vero.» Volevo mandarla via perché mi sentivo preso in giro e anche un po’ confuso. Stavo per cacciare via tutti quando uscì sul pianerottolo la vicina di casa. Istintivamente presi la lavagnetta e girai la scritta più verso la vicina che agli altri tre. “Ciao Veruska, entra!” Loro capirono che ero in emergenza e senza bisogno di trascinarli di forza entrarono. La vicina guardò un po’ troppo incuriosita. «Tutto bene Leo?» “Si signora” scrissi nervosamente sulla lavagna.“Sono venuti degli amici conosciuti su internet a trovarmi”. «Ah, me lo ha detto il portiere che lo ha saputo dal giornalaio che glielo ha detto il parroco che tua mamma ti ha regalato questa cosa per voi giovani... Internette. Divertitevi allora.» Annuii con la testa e la salutai. Internet mi aveva salvato da un lato. Dall’altro mi stava creando qualche problema. 31 GIGI BONISOLI Chiusi la porta. Dovevo affrontare uno scambio di identità e due intrusi. Appena mi voltai la nuova Veruska con occhi luccicanti iniziò a parlare prendendomi le mani tra le sue: «Grazie. Grazie per avermi dato una possibilità. La foto deve essere diversa sul sito, è la regola. E questo è il mio primo appuntamento. I due ragazzi con me sono nipoti dello zio Raul, il mio capo. Considerali cugini. Mi seguono perché tutto sia a posto. Non mandarmi via; se lo zio si arrabbia sarà un guaio ed io ho bisogno di lavorare, in qualche modo. Ti capisco, tu ti aspetti questa trentenne matura vista sul computer, formosa, con le labbra rifatte...» Finì che mi convinse e non li mandai via. I due cugini si piazzarono in salotto davanti alla televisione mentre io e lei andammo in camera mia e ci chiudemmo dentro. Mi sedetti sul letto. Ero un po’ nervoso. Presi subito in mano il block notes per scrivere qualcosa. Solo che non ci riuscivo. Mi tremavano le 32 LIONARDO mani. Lei si mise di fianco a me e lentamente si avvicinò alla mia faccia fino a che le sue labbra sfiorarono le mie. «Questo bacio te lo dovevo dall’altro giorno» disse. Non me lo aspettavo. Fu una sensazione nuova. Il calore di un’altra persona così non lo conoscevo. Come arrivammo a restare nudi ancora adesso lo reputo un mistero troppo grande per me. Ricordo vagamente come successe ma davvero è una cosa da non credere... Io sapevo come spogliarmi, ma non sapevo come spogliare un’altra persona. “Potrei farle male?”, mi chiedevo. Presi la penna e scrissi semplicemente: “comincio io a spogliarmi che mi conosco”. Dopo di che mi tolsi il maglione. Lei lesse e si mise a ridere; cominciò che si tolse il golfino. Continuammo indumento per indumento in silenzio fino a che rimanemmo entrambi solo con l’intimo. Lì la paura fu tanta; non sapevo come andare avanti. Da lì in poi cosetto e... cosetta si sarebbero visti! 33 GIGI BONISOLI Avevo iniziato a sudare freddo dal nervoso. Lei a quel punto disse: «Sdraiati» e a me si gelò tutto il sangue mentre mi stendevo rispondendo ad un riflesso incondizionato. Poi si avvicinò a me ed il sangue di colpo si scaldò come se fosse stato percorso dal fuoco... Ricordo che a dodici anni, prima di entrare a scuola con un compagno di classe, facemmo scoppiare dei cilindri di carta chiamati petardi. Faceva freddo quella mattina e avevo le dita ghiacciate. Il mio compagno mi passò questo oggetto misterioso e con l’accendino gli diede fuoco come si fa con una candela. Mi gridò: «Vai, Leonardo, vai». Io non sapevo dove andare con quel cilindro in mano; non c’erano le istruzioni scritte sopra. «Veloce Leonardo» insisteva lui. Non sapendo cosa fare pensai di ripassarglielo ma prima di riuscirci il petardo mi scoppiò in mano e le mie dita passarono dal freddo ad uno stato di caldo intenso in un istante. Non fu una bella sensazione e piansi. Dopo tanti anni da quell’episodio il contatto con il 34 LIONARDO corpo di Veruska aveva fatto lo stesso effetto al mio sangue; di colpo, senza pensare, senza un segnale. Zam! Fuoco! Un repentino passaggio da uno stato A ad uno stato B. E come allora piansi. Mentre Veruska in silenzio mi levava le lacrime dal viso ripensai a mia madre nel giorno in cui mio padre prese e se ne andò con il dottore. Pianse anche lei... A rifletterci credo fu quello che la fece piangere: il passaggio da moglie ad abbandonata. Ed io, in un angolo della sala in silenzio, che credetti, viste tutte quelle lacrime, che volesse dire qualcosa... solo che non lo fece. E pensai che io ero speciale perché per piangere non dovevo sempre provare dolore ma bastava la voglia di dire qualcosa di grandissimo, di lontano, che avevo tenuto via per giorni in silenzio, che avevo conservato... Mi trovavo lì sotto, con il cosetto scaldato dal corpo di lei ed era diventato così duro che nemmeno se lo avessi toccato più volte da solo avrebbe potuto... La testa era in cielo. Leggermente senza bussola. Non sapevo cosa fare ma una specie di istinto formicolava 35 GIGI BONISOLI qui e là e mi diceva di andare libero, di usare le mani, di accarezzarla. Poi lei disse una cosa difficile da capire: «Mi stai trattando come una persona, senza saltarmi addosso. Le altre ragazze mi avevano raccontato certe cose... Tu non mi consideri un oggetto, sei quasi romantico...» Io non sapevo che scrivere; non avevo capito bene la relazione tra oggetto e romantico. Provavo solo una sensazione di smarrimento e felicità. Con il braccio cercai il block notes per scrivere ciò che stavo provando. Lei mi fermò mentre stavo torcendo il corpo. «No, non dire nulla. Mi sa che non ti rendi neanche conto a chi hai scritto. Probabilmente quello che cerchi e vuoi tu è molto lontano da quello che gli altri uomini... Tu devi fare quello che ti senti dentro ma non ti serve scriverlo. Non importa se resteremo così tutto il giorno; prenditi il tuo tempo per capire.» Mi sentii più tranquillo; non era una gara di abilità o di velocità. Potevo quindi respirare e cominciare con quello che avevo in mente da anni. 36 LIONARDO Per paura chiusi gli occhi; poi con le mani mi avvicinai al suo petto che morbido incontrai. Ritrassi velocemente le mani. Che cosa strana... Dovevo elaborare la sensazione: morbido e caldo; vivo. Con gli occhi ancora ben chiusi sentii Veruska ridere, e la sua risata arrivò nella sua pancia che scivolò nella mia e risalì fino alla mia bocca che restituì altrettanta risata. Era una risata ombelicale e durò per parecchio. «Dai riprova» disse lei. Mi sentivo più sicuro e tornai a cercare il suo petto. Restai a toccare le sue forme un po’ di più; per conoscerne la consistenza, la dimensione, il profumo. Tolsi le mani è riaprii gli occhi. Ripensai ovviamente alla figlia dell’amica di mia madre... Aveva un petto più piccolo. Forse per questo rifiutò il mio invito: non aveva molto da farmi sentire e in realtà si vergognava. A quel punto, nella mia stanza, che potevo fare ancora? 37 GIGI BONISOLI Il tempo passava lento ed io dimenticai curiosità o desideri, ma uno dovette essere naturale e spontaneo a Veruska perché mi disse che ero diventato rosso e aveva capito! Io non so davvero cosa capì ma si limitò a dire: «Bene, ora parliamo con i baci.» Successe così che le sue labbra volarono - sì, ho questo ricordo di una libellula - sul mio viso, il mio petto, i miei fianchi e un po’ più giù; sempre in silenzio, con calore, senza fretta. Come se ci fosse un fiore da scoprire. Non sembrò più per niente simile a quello che c’era nel giornalino. Non era toccare: era comunicare. Arrivò il mio momento di “parlare” e dentro sentivo che avevo tanto da dire... Veruska si sdraiò leggera sul mio letto ed io cercando di imitare la libellula, che era stata lei prima, volai. Con tutto me stesso. Con emozione, attenzione e un po’ di vertigini. Dopo tanto parlare ci fu la caduta, inaspettata, che nessun giornalino o manuale contemplò... 38 LIONARDO Poi però... Poi però ci fu un primo squillo di campanello che ci destò dalla bolla, abbracciati come eravamo silenziosamente. Seguirono dei colpi alla porta che mi spaventarono. Avrebbero svegliato la mamma che avrebbe trovato i due ragazzi in salotto i quali si sarebbero giustificati dicendo, in qualche lingua sconosciuta, di aver accompagnato Veruska che stava nuda in camera mia ed era arrivata a me perché avevo contattato una tizia con la faccia diversa dalla sua su internet per poterle toccare quel petto femminile che a quindici anni mi fu rifiutato di “toccare”... Mia madre non avrebbe retto a tutte quelle notizie e sarebbe come minimo morta sul colpo. Avrebbe potuto anche arrabbiarsi tanto, vietandomi internet e poi dopo aver fatto il proprio lavoro di mamma sarebbe morta. In entrambi i casi la situazione non era a mio favore. Mi alzai e mi vestii solo della maglietta perché le mutande erano sparite. Mi ricordai di aver visto delle 39 GIGI BONISOLI mutante stese sul balconcino della cucina. Feci un gesto nell’aria, anzi molti gesti a Veruska per spiegargli di non muoversi. Uscii dalla stanza e attraversai il corridoio scalzo. Mamma non era uscita dalla sua stanza. Buttai un occhio in salotto ma i due ragazzi non c’erano più. Oh cavolo! Li trovai sul balconcino della cucina che infilavano il nostro bucato in un borsone che non avevo mai visto. Appena mi videro cambiarono colore in faccia e a bassa voce mi accorsi che si dissero qualcosa nella loro lingua che non conoscevo. A me servivano le mutande e loro se le stavano, chissà perché, portando via. Una cosa da matti. Il campanello suonò di nuovo. Gli presi la borsa che stranamente trovai pesante; forse il bucato era ancora bagnato. Recuperai un paio di mutante e me le infilai guardandoli male. Per sicurezza li chiusi fuori in balcone. Meglio così; non avrei saputo spiegarlo a mia madre. Arrivai alla porta d’entrata. Prima di aprire guardai nello spioncino chi fosse. 40 LIONARDO C’era la vicina! Suo marito e due carabinieri. Forse era una cosa seria, vista anche l’insistenza. Magari c’erano dei ladri in giro o chissà che. O peggio volevano parlare con la mamma. Paura! Mi diedi qualche pizzicotto per far finta di essermi appena svegliato ed aprii. Non scrissi niente sulla lavagna in attesa di una domanda precisa. Questo mi lasciò più tempo per pensare e difendermi. Ero troppo agitato per improvvisare. «Buongiorno ragazzo» disse il carabiniere più alto. «C’è la mamma?» Feci gesto con la mano di aspettare e socchiusi. Dovevo pensare a come far sparire un po’ di persone perché svegliare mamma in quel momento mi avrebbe portato solo guai e una serie di spiegazioni imbarazzanti. Ci voleva fortuna, ma rispettando un ordine ragionato, pensai, ce l’avrei potuta fare. Prima di tutto andavano mandati via i carabinieri e la vicina; poi i due ragazzi e a seguire purtroppo Veruska. Infine avrei svegliato la mamma e l’avrei mandata finalmente dalla vicina impicciona. 41 GIGI BONISOLI Per un attimo mi sentii un generale della marina: ognuno era al suo posto prima delle grandi manovre. Fase uno: i carabinieri. Presi un bel respiro. Preparai sulla lavagnetta la solita frase: “Mi spiace, mamma sta dormendo. Potete ripassare fra qualche ora?” Caricato, motivato e capitano coraggioso aprii la porta a misi subito in bella mostra il messaggio scritto con il pennarello. Volevo chiudere subito ma il carabiniere non si arrese e mi anticipò: «Vedi, i tuoi vicini sono preoccupati. Sembra che in giro ci siano due ladri, qui nel vostro quartiere. Due ragazzi come te, facilmente confondibili per amici. Bisogna stare attenti. Mi capisci vero?» Capii benissimo. La vicina non si era fatta gli affari suoi e aveva chiamato i carabinieri. Ricordai che una volta la mamma me lo disse: “Non sa più a chi raccontare i fatti del palazzo. Se potesse andrebbe in televisione!” Nella mia testa provai a prendere tempo per dare una risposta ma non bastò ai signori in divisa. 42 LIONARDO “La capisco bene signore.” scrissi. “Prima ho incontrato dei ragazzi ma come vede non ci sono ora.” Dissi solo una parte della verità. Il carabiniere aveva posto troppo presto la domanda a cui avevo già la risposta giusta. Solo che per essere vera al 100% dovevo sgombrare casa. Nessuno è mai stato arrestato per aver anticipato i tempi. O no? «D’accordo» disse il carabiniere più basso. «Ripasseremo più tardi quando la mamma sarà sveglia per informarla di queste segnalazioni. Non è necessario disturbarla adesso.» Risposi velocemente di sì con la testa e chiusi. La fase uno sembrò terminata. La fase due riguardava i ragazzi sul balcone. Dovevo mandarli via senza farli vedere ai carabinieri o dalla vicina che l’avrebbe detto a tutto il palazzo. Preparai un foglio con scritto chiaramente: “Ve ne dovete andare da qui perché sennò finisco nei guai. Non fate domande e non fatevi vedere da nessuno.” Mi sembrò un concetto semplice e assoluto da comprendere. 43 GIGI BONISOLI Tornai in cucina con loro che stavano seduti per terra. Appoggiai il foglio contro il vetro e glielo feci leggere. Si guardarono un poco e poi risero tra di loro, non dandomi importanza. Veramente maleducati. Non mi persi d’animo e scrissi altre righe sul retro del foglio: “Ci stanno fuori la vicina pettegola e due carabinieri. Se vi vedono sono spacciato!” In fin dei conti la sincerità paga sempre, pensai. Lessero il biglietto e smisero di ridere. Addirittura divennero seri e pallidi. Chiesero di Veruska. Gesticolai che ci avrei pensato io dopo. Non sembrarono contenti ma dopo un breve consulto incomprensibile dissero che era ok. Gli aprii la finestra e li feci tornare in cucina; non prima di avergli fatto ristendere il bucato che si erano messi in borsa. Dallo spioncino controllai la situazione. Sul pianerottolo non c’era nessuno. Li feci uscire e mi sentii sollevato; non erano più un problema mio. Mi diressi quindi verso la camera. Anche la fase due si 44 LIONARDO era conclusa egregiamente. Mio padre da piccolo mi diceva spesso: «Chi ben comincia è a metà dell’opera.» Io essendo a metà dell’opera avrei ben concluso? Mi dissi di sì. Trovai Veruska sotto le lenzuola. Non si era mossa come le avevo detto; era solo appisolata. Volevo svegliarla come facevano nei film: con un bacio. Dato che quel giorno avevo imparato qualcosa ed ero un po’ più esperto lo feci senza pensarci troppo... e bacio libellula di nuovo fu. Lei aprì gli occhi e mi sorrise. Era davvero felice. Ci furono ancora attimi vicini tra noi; un pomeriggio di piccole cose che messe insieme per me erano diventate un universo affascinante che avrei rivisto e rivissuto in eterno. Dopo un po’ guardò verso l’orologio e il suo volto si accartocciò in una smorfia. «E’ tardi. Non posso rimanere quanto mi pare. Mi aspettano...» Quella frase mi gettò nel vuoto. Sapevo che non 45 GIGI BONISOLI poteva restare; volevo solo un po’ di abbracci, cosa rara in casa mia. Ritrovai il block notes per terra e le scrissi che avevo mandato via i suoi cugini perché era venuta la vicina a curiosare. Veruska restò un po’ a pensare. «Sicuramente saranno andati da... nostro zio diciamo così. E ora mi starà aspettando coi soldi...» Si interruppe e fissò il planisfero appeso sopra il monitor del computer. «A nessuno dei due capiterà un pomeriggio così... così ingenuo. Ma sì dai. Restiamo ancora mezz’ora insieme a fantasticare di avere due vite completamente diverse, liberi da costrizioni e senza nessuno che ti impedisca di crescere e ti tratti come un bonsai!» Era un discorsone, non c’erano dubbi. Avevo solo capito che non se ne sarebbe andata e avremmo avuto altri trenta minuti per noi. Mi bastò quello. Io pensavo alle cose più disparate, imitando i grandi e sbracciandomi come se mi lamentassi di ogni cosa nella stanza. 46 LIONARDO Lei diceva cose tipo “Oh si certo caro, ti capisco; poi con il tuo lavoro di manager alla Banca d’Italia questo è inconcepibile ma se ti dovessi dire la mia la finestra la farei verso nord. E poi non trovi che il verde pallido si abbini meglio ai mobili della cucina?” Passammo quella mezz’ora extra ridendo e giocando ad essere altre persone, quelle che forse avremmo potuto essere... L’idillio finì quando suonò nuovamente il campanello. Fossi stata una persona volgare avrei aperto mostrando la lavagnetta con scritto: “Che noia! Ma non avete niente di meglio da fare oggi?” Veruska iniziò a raccogliere tutte le sue cose. La bolla scoppiò e dovemmo tornare alla realtà. «Non mi cercare più su quel sito, chiaro?» mi disse lei bruscamente. Non la presi bene. Perché mi voleva abbandonare? Non eravamo stati bene noi? «Devo sistemare un po’ di cose con lo zio. Mi farò viva io da un altro indirizzo mail o ti verrò a cercare qui, ma non tornare più sul quel sito. Dammi un po’ di tempo e tornerò. Sembrerò banale ma mi hai fatto 47 GIGI BONISOLI cambiare idea sulla strada che stavo per prendere.» Se dice che torna è ok, pensai. Era solo questione di tempo. Il campanello suonò di nuovo. «Vai a vedere chi è Lionardo. Io vado in bagno nel frattempo.» Mi infilai i pantaloni della tuta e attraversai il corridoio mentre sentivo aprirsi l’acqua della doccia. Dall’altra parte della porta ancora i carabinieri. Aprii subito per non far suonare ancora il campanello. «Tutto bene ragazzo? La mamma si è svegliata?» A quel punto avrei potuto insistere sul fatto che stava ancora dormendo, non era una bugia, ma quello basso dei due intervenne: «Ah, si è svegliata!» Ebbi un brivido, che corse velocemente lungo la schiena. Mi girai di scatto ma non trovai nessuno. «Sento l’acqua della doccia» proseguì il bassotto. «Allora torniamo dopo. Il tempo di un caffè giù al bar ok?» Io ero così spaventato che loro intesero i miei scatti di panico con la testa come un sì. Se ne andarono. Non avevo dovuto nemmeno 48 LIONARDO cercare scuse; avevano fatto tutto loro. A quel punto però dovevo far uscire Veruska rapidamente, svegliare la mamma e farle fare una doccia a tutti i costi. La fase tre si stava complicando ma con un po’ di fortuna mi convinsi di potercela fare. Non mi ero ancora spostato dall’entrata che suonò per l’ennesima volta il campanello. Impossibile che fossero già tornati i carabinieri. Controllai dallo spioncino: c’era un tipo abbronzatissimo, con grossi baffi, che indossava una camicia a fiori aperta che metteva in luce una collana d’oro e una ricca vegetazione pettorale. Mi ricordò quell’investigatore privato delle Hawaii che andava in giro con la Ferrari rossa... Non conoscendolo feci finta di non esserci e me ne tornai in silenzio in camera, augurandomi di non sentire il campanello. Veruska riapparve. Era bellissima e profumata e se ne stava per andare. Ci avviamo per mano verso la porta d’ingresso. Un ultimo bacio e poi 49 di nuovo le sue GIGI BONISOLI raccomandazioni: «Non mi cercare subito. Sistemo un po’ di cose e poi torno a trovarti.» A me scesero dei lacrimoni come erano anni che non succedeva. Stavo quasi per aprire bocca quando lei invece aprì la porta. Con grande sorpresa il pianerottolo non era vuoto: c’era il tizio peloso che evidentemente non se ne era andato. «Ciao Veruska!» disse lui. «Ciao Raul... zio Raul. Che sorpresa...» balbettò Veruska. «Sai, ero in pensiero» disse lui con un ghigno poco sincero. «Posso entrare?» A quel punto fu mio dovere intervenire. Mi misi tra i due facendo con la testa di no. Lo zio Raul non rimase minimamente intimorito dal mio gesto protettivo e mi spostò afferrandomi per le spalle. In pratica si auto invitò ad entrare a casa mia. Tentai di mandare via Veruska ma senza successo. «Ma tu sei matto a restare solo con lui. Non sai nemmeno chi è e di cosa sia capace. Proviamo a mandarlo via insieme» disse lei. 50 LIONARDO Insieme! Come mi incantò quella parola. Lo zio nel frattempo stava girando per il salotto studiando l’arredamento e gli oggetti presenti. Chiusi la porta e lo raggiunsi. «Che ragazzi incompetenti, lo sapevo. Guarda qua cosa hanno lasciato: un porta capsule in oro. Dilettanti. Credono che più un oggetto pesi e più abbia valore e gli verrà pagato. Dovrebbero fare i robivecchi, non i topi d’appartamento.» Detto ciò si mise l’oggetto, che apparteneva a mamma, in tasca. La cosa non mi piacque molto e mi avvicinai nero in viso intenzionato di riprendere il porta capsule. Lui mettendomi un braccio sulla spalla mi fermò. «Hey ragazzo, mica sto rubando! Sei stato con Veruska quasi un ora di più? E questo è il prezzo da pagare. Non credo di essere così ingiusto. Direi che ti sto trattando bene per il disagio che mi hai arrecato.» L’idea di mercificazione del mio pomeriggio con Veruska mi faceva vomitare ma in un certo senso lo zio Raul disse il vero. Sul sito c’era il prezzo per un’ora di compagnia ed io me ne ero presi quasi due 51 GIGI BONISOLI ore. Però si era preso una cosa di mamma e non era un bene per me. La fase quattro si complicò e risultò divenire difficilissima da gestire; avrei dovuto dire delle bugie colossali per spiegare la mancanza dell’oggetto. Avevo bisogno di tempo per pensare, quindi iniziai a camminare avanti e indietro finche risuonò il campanello. Raul non rimase contento di ciò; la cosa lo irritò non poco. «Non aprire!» disse perentorio. «Aspettiamo un po’ e poi ce ne andiamo via e la chiudiamo qui». Restammo immobili e in silenzio per un minuto eterno. Il campanello suonò altre tre volte di fila. Fui sicuro che la mamma si sarebbe svegliata; tanto valeva arrendersi e confessare tutto ai carabinieri, quelli che insistevano alla porta. Avevo sentito dire in televisione che se uno confessava poteva avere uno sconto, tipo ai saldi. Non immaginavo che punizione mi avrebbe dato mia mamma ma con lo sconto sicuramente era meno spaventosa da affrontare e 52 LIONARDO ricevere. Rimaneva il fatto che lo zio Raul di aprire la porta proprio non ne voleva sapere. Guardando l’orologio in sala mi venne in mente che era quasi ora di cena e che una scusa plausibile forse ce l’avevo... Feci cenno di voler scrivere. «Che vuoi?» disse Raul. «Vuole scrivere qualcosa. Lui... non parla, ecco» mi venne in aiuto Veruska. «Va bene scrittore. Prendi carta e penna.» Così scrissi la vera bugia della giornata: “E’ il ragazzo delle pizze. Avevo ordinato prima che arrivassi. Sono già pagate. Ritiro e se ne va.” Si tranquillizzò a quella notizia, tanto che andò lui ad aprire. La sorpresa fu moltissima da entrambe le parti! Da un lato c’era lui che si aspettava un ragazzo con due pizze. Sul pianerottolo due carabinieri che si aspettavano un giovane munito di lavagna per comunicare. I primi a riuscire a dire qualcosa furono quelli fuori di 53 GIGI BONISOLI casa, che stranamente avevano in mano il borsone dei cugini di Veruska. «Che sorpresa! Raul Vitafresca. Che ci fai tu qui?» «Ehm, buongiorno maresciallo. Io ero venuto a trovare un amico in questo palazzo, o almeno credevo abitasse qui, ma mi sono perso e stavo chiedendo a questo ragazzo... non è reato no? Se permettete ora me ne stavo per andare!» «Aspetta aspetta. Quanta fretta! Giù da basso abbiamo pizzicato due dei tuoi, diciamo, nipoti. E nella borsa tenevano cose che penso provengano da questo appartamento, che oggi è stato un po’ troppo movimentato.» «Nipoti? Miei? Ma sono figlio unico, come potrei?» «Ma come? Tutti questi ragazzi ti chiamano zio Raul; un legame ci sarà, o no?» «Mi state accusando di qualcosa?» «Magari Raul. Però ti trovi sul luogo del reato, commesso da due tuoi affiliati. Scommettiamo? Ne parliamo con calma in questura, và». Durante tutto quel discorso Veruska si avvicinò a me e mi prese per mano, stringendola. 54 LIONARDO Quello alto dei due carabinieri entrò in sala con il borsone. Lo aprì e tirò fuori una cornice in argento identica alla nostra. Dentro una foto mia e di mamma. «Ma tu non hai sentito niente?» mi chiese. Non risposi; e non solo per il fatto che non potevo parlare ma, rispetto alla decisione iniziale di costituirmi, gli ultimi eventi avevano complicato troppo le idee nella mia testa. «E la tua amica? Nemmeno tu hai sentito nulla?» «Oh beh, eravamo in camera... in camera a studiare con la radio accesa, ecco, quindi...» «Immagino che siate entrambi un po’ spaventati; magari dopo in caserma riuscirete a rispondere con più calma a qualche domanda.» «Caserma? Perché?!» disse Veruska allarmata. Il carabiniere basso nel frattempo aveva preso per un braccio lo zio Raul e lo stava per portare via. A quel punto mi sbrigai e andai a riprendere il porta capsule che aveva in tasca. Lo rimisi nella posizione esatta in cui si trovava. Ci misi un po’ perché cercai di riposizionarlo esattamente dove era rimasto il segno 55 GIGI BONISOLI della polvere. Definii nella mia testa quella fase tre e mezzo. Ormai potevano svegliare mamma, peggio di così... il salvabile era stato salvato. «Bravo Raul. Vedo che ti sei dato da fare qui» disse quello alto. «Mettiamo a verbale. Ora sei accusato di qualcosa. Contento?» Da una tasca l’uomo in divisa fece uscire delle manette, le mise ai polsi dello zio e lo fece sedere sul divano. Veruska era attenta ad ogni parola detta. Sperava non uscisse nulla che la potesse legare a Raul e ai due cugini furfanti. «Come vi chiamate ragazzi?» chiese uno di loro. «Lui Lionardo ed io Veruska.» «Veruska! Ce l’ho!» disse il basso. «Che vuoi dire con Ce l’ho?» fece l’altro. «Nell’agendina che Raul aveva in tasca. Aspetta che riguardo...» e sfogliò una piccola agenda rossa. «Ore 16:30 - Veruska - Via degli Ippoliti 34, interno 3. E’ questo appartamento. E’ una escort!» Una che? Ma la escort non era una macchina? Ne 56 LIONARDO aveva una lo zio Davide. Era così vecchia che quando scendeva dall’auto non la chiudeva mai; era sicuro non gliela avrebbe rubata mai nessuno. Veruska invece era giovane e bella, e mai l’avrei lasciata in strada senza essere sicuro che nessuno l’avrebbe portata via. «Giovanotto, ma in che guaio ti sei cacciato?» mi fece quello alto avvicinandosi minaccioso. Che cosa potevo rispondergli, anche potendo? “Agente, ma lei a che età ha toccato il seno di una ragazza? Era consenziente? O ha dovuto pagare? Ha mai avuto rapporti difficili con le altre persone? Ha scelto lei di fare il carabiniere o qualcuno ha fatto in modo che diventasse l’unica strada da seguire? Ha realizzato qualche sogno nella vita? E’ soddisfatto di se stesso? Sente mai il bisogno di risposte? Dorme solo la notte o in compagnia? Sceglie lei i vestiti o la segue ancora la mamma? Si sente libero o come in un vaso? Ce l’ha una casa tutta sua? Quanti amici ha di preciso? Li vede spesso? Fa la spesa da solo?” Io non mi sentivo finito in nessun guaio. Mi ero finalmente tolto un dubbio enorme, una spina, e in 57 GIGI BONISOLI quei giorni, senza mia mamma a controllarmi, mi ero sentito bene e più simile ai miei coetanei, addirittura alle persone in generale. E Veruska, qualunque modello di auto fosse, fu fondamentale in questo... «Chiaro?!» «Come? Puoi ripetere?» mi disse lui. Io gesticolai un “cosa dice?” ma Veruska con gli occhi sgranati mi fissò: «Hai parlato Lionardo, hai parlato!» Poi mi abbracciò ed io sentii scendere ancora lacrime sul viso. Scendevano mentre lei mi stringeva e ripeteva che avevo parlato. Non passò più di un minuto che suonarono di nuovo alla porta. Basta! Chi doveva essere ancora?! Ma chi se ne frega, mi dissi a quel punto. «Me ne occupo io» disse il basso, e andò ad aprire. Entrarono in casa altri carabinieri: più alti di quello alto, più bassi di quello basso, più larghi, più magri, più uguali. Troppi comunque per mia mamma che già mi vedevo sulla porta della camera con in mano il battipanni a mo’ di spada laser. Il carabiniere basso disse di averli chiamati lui per i 58 LIONARDO rilevamenti di impronte ed altre cose. Iniziarono a girare per casa facendo strani rumori con i tacchi delle scarpe ed ero convinto che avrebbe svegliato mamma. La resa, insomma, era vicina. Restammo in salotto finche uno di questi andò a parlottare con il bassotto. Turbato in viso parlò a bassa voce con quello alto: «Porta tutti in caserma e manda qui un’ambulanza, anche se temo potrà fare poco. In camera fai chiamare il comandante...» Il suo sguardo mi colpì ma la voce si fermò. Ci fecero scendere e salire in una delle loro auto blu con le luci blu accese. Eravamo stati disposti in ordine di altezza: io in mezzo, Veruska a destra e lo zio Raul a sinistra. Intorno poca gente guardava silenziosa. All’ora di cena non c’erano molte persone che avevano tempo da perdere. Osservavano, ci indicavano dietro i finestrini ma se ne andavano dopo un minuto diretti a casa. Passarono dieci minuti poi arrivò un’ambulanza e noi partimmo lentamente facendoci spazio tra la gente 59 GIGI BONISOLI intorno. Erano passati un po’ di anni ma fui certo di aver rivisto la figlia dell’amica di mia madre incontrata al parco. Era un po’ più alta e con il petto più sviluppato. Gli sventolai la mano da dietro il finestrino ma non rispose al mio saluto. Ci portarono in un posto chiamato caserma, dove si trovano tutti i carabinieri. C’era anche l’insegna: Caserma dei Carabinieri. Probabilmente esisteva anche la Caserma dei Ladri, la Caserma dei Pizzaioli, la Caserma dei Dentisti, la Caserma dei Cantanti... L’insegna serviva per non fargli sbagliare caserma. Aspettammo seduti in una stanza piena di sedie che correvano lungo le pareti. Era simile alla sala d’attesa del dottore da bambino. Smise di essere una sala d’attesa quando un carabiniere mi chiamò per andare in un’altra stanza. Il primo sguardo alzandomi andò a Veruska, e fu come un amorevole abbraccio: intenso e innocente. Il secondo andò allo zio Raul e fu di schifo e basta. Nella seconda stanza c’era una radio accesa a basso volume poggiata su un mobile con cassetti di metallo grigio, una scrivania così tanto coperta di fogli da non 60 LIONARDO poterne vedere il colore, un carabiniere in divisa blu che stava scrivendo qualcosa e molti scaffali, dello stesso colore del mobile basso, pieni di raccoglitori e quaderni e fogli impilati e altre cose che non avevo mai visto prima. Sui muri calendari con immagini di carabinieri. I raccoglitori avevano tutti un’etichetta adesiva che riportava un numero o un’iniziale. Sembravano tante guide del telefono. Dettagliatissime perché io al massimo ne avevo viste due: A-L e M-Z. Probabilmente in ogni caserma i carabinieri dovevano tenere le pagine bianche di tutta Italia. Forse era il loro sistema per trovare un ladro o un delinquente. Ti chiamano a casa o da un amico e se rispondi sanno che sei lì e ti vengo a prendere. Mi fecero sedere davanti al carabiniere che scriveva ma io sentivo il desiderio di alzarmi e cercare alla lettera “R”. Erre come l’iniziale del cognome del dottore che se ne era andato con papà. Oltre al numero ci sarà anche l’indirizzo, pensavo. Potevo copiarmelo su un pezzo di carta e sarei andato a trovarli. Erano tanti anni che non veniva a trovarmi 61 GIGI BONISOLI papà... Chissà come era cresciuto anche lui in quegli anni. Dovevo solo aspettare che il carabiniere se ne fosse andato. Lui era lì a guardia degli elenchi telefonici di tutta Italia ed io avrei colto quel momento per agire. Mentre aspettavo in silenzio bussarono alla porta ma non si aprì quella della sala d’aspetto. Da dietro agli scaffali apparve un altro ragazzo in divisa. Evidentemente c’era una terza stanza. «Fabbrì! Vieni di qua un momento.» Il carabiniere si alzò; restò in piedi senza entrarvi per potermi controllare, sfortunatamente. «Dai che sta per arrivare Ralli, che vuoi?» «In televisione... ci sta il regionale e parlano del ragazzo.» Non potevo vedere nulla dalla mia sedia, solo ascoltare impassibile. «...qui in via degli Ippoliti 34, al primo piano i carabinieri avvertiti da una inquilina del palazzo sono entrati in casa facendo la triste scoperta...» Addirittura era arrivata la televisione per l’arresto dello zio Raul. 62 LIONARDO «...in salotto il figlio ventenne, da solo, sotto shock. Ma vediamo ora le interviste rilasciate dagli abitanti del quartiere...» Da solo? Sotto shock? Chi aveva dato quelle informazioni sbagliate? Eravamo almeno in tre, e uno era addirittura un ladro! «Erano giorni che non la vedevo. Il figlio mi diceva, o meglio... povero ragazzo, mi scriveva che la madre dormiva. A me sembrava un po’ strano che dormisse così tanto. Poi oggi ho visto movimenti di persone sospette e ho chiamato i carabinieri...» La conoscevo quella voce: la vicina! Quella pettegola aveva raccontato quelle bugie per andare in televisione, come mi avvertii la mamma. «Non voglio dir niente su... lui è sempre stato buono... non posso credere che... » Mi irritai molto. Stava facendo illazioni; del tipo che ero d’accordo con Raul, o che avevo protetto i due cugini. Poi pensai a mia mamma. Perché non era stata intervistata? Dove era finita? La mia paura fu che avesse creduto a quelle bugie e si trovasse da qualche 63 GIGI BONISOLI parte, in lacrime, e che non volesse più vedermi, convinta ormai dalla vicina di avere un figlio ladro! La situazione non si presentò delle migliori a quel punto; non sapevo se mi avrebbero chiuso in cella con lo zio Raul o con i due cugini di Veruska, ma in entrambe le ipotesi lo trovai ingiusto. Mi sarei salvato solo confessando, ne ero sicuro. Ero perso completamente nei miei pensieri quando sentii la voce brusca del carabiniere: «Oh!» Si era riseduto alla scrivania e mi fissava. Dal tono compresi che anche lui era stato convinto da quelle bugie e mezze verità dette dalla televisione. Continuò a compilare le sue carte ma ogni tanto alzò la testa per controllarmi. Avrei voluto scomparire come Dorothy nel mago di Oz. Avessi avuto un paio di scarpe con il tacco come lei me ne sarei andato davvero. Avrei detto l’indirizzo di casa, battuto i tacchi tre volte e puff... volato via. Ricordo che dopo aver visto il film chiesi a mia madre di comprarmene un paio simile. Lei rise e si rifiutò. Provai a spiegargli che le avrei usate solo a scuola per tornare prima a casa ma non ci fu niente da fare. Ero 64 LIONARDO così affascinato da quelle scarpette speciali che di nascosto un pomeriggio mi infilai nel ripostiglio e presi le scarpe di mia madre che più somigliavano a quel modello. Le misi, feci tutto come Dorothy ma non successe niente. Crescendo e ragionandoci sopra capii che le scarpe di mamma funzionavano però partenza e destinazione erano identiche... Mi trovavo in quella stanza da quindi minuti quando entrò un tipo brizzolato con un camice bianco sopra la divisa. Il carabiniere a guardia degli scaffali si alzò; lo salutò con la mano tesa sulla fronte e lo chiamò “Comandante Ralli”. Il comandante in camice ricambiò il saluto al ragazzo. Gli chiese di andargli a prendere un caffè e si sedette vicino a me. «Come andiamo ragazzo?» Ciondolai con la testa ad indicare un generico “non c’è malaccio”. In verità ero nel panico ma volevo evitare di peggiorare la situazione con domande stupide quindi preferii la strategia del silenzio per vedere come evolveva il tutto. 65 GIGI BONISOLI «Ci sono un po’ di cose di cui dobbiamo parlare. O meglio... ci sono delle cose che devi ascoltare» mi fece tutto serio. «Io non so se l’hai capito ma tua mamma è andata a trovare tuo padre...» Che notizia inaspettata mi diede l’uomo in camice bianco! La mamma era andata dal papà. Quindi non era disperata per me. Mi avevano detto che papà era andato lontanissimo perciò era ragionevole credere che la mamma avesse dormito tutti quei giorni per poter affrontare un viaggio lunghissimo. Cercai di non esternare troppo la mia gioia, anche se volevo piangere di nuovo. Mi trattenni; dopo tutto avevo deciso di confessare le mie ultime gesta e far cambiare il giudizio mostruoso della televisione. «Però non sei rimasto solo» proseguì. «Ci stiamo muovendo per trovarti una sistemazione idonea.» Quelle parole risuonarono nella mia testa poco chiare. Istintivamente rubai carta e penna dalla scrivania e scrissi “casa mia?” «Purtroppo no. Non puoi tornare a casa tua. Dopo te lo spiegherò meglio. Adesso vorrei chiederti se ti 66 LIONARDO ricordi tutto quello che è successo con lo zio Raul?» Feci cenno di sì con la testa. Era il momento della confessione. «Proprio tutto? E’ importante questo per me.» Basta bugie, mi dissi. Ribadii fortemente di sì. «Ok...» commentò pensieroso. «Ti spiego sinceramente come stanno le cose. Sei un ragazzo più sveglio di quello che il servizio in televisione voleva far credere. Come te... anche altre persone sono uscite con ragazze, nipotine diciamo, dello zio Raul. Per non creare imbarazzo ad alcune persone che conosco, sarebbe bello che Raul non venisse messo sotto i riflettori, ma se né possa andare, dopo un bel richiamo ovviamente, via per la sua strada. E’ chiaro?» Ciondolai poco convinto, sforzandomi di esprimere un sì ma non era chiaro il perché. Aveva rubato, non era una persona così onesta che gli sarebbe bastato un bel richiamo. Perché voleva lasciarlo andare via? Chi erano queste persone? «Vedi, se lo zio dovesse raccontare ad alcune persone del tribunale quello che sa o del perché fosse a casa tua, c’è il rischio che parlando di oggi metta in una 67 GIGI BONISOLI brutta situazione la tua amichetta Veruska. Credo che se ci dimenticassimo dello zio Raul tu e lei avreste ottime possibilità di rivedervi altre volte senza problemi... garantisco io per voi. Ora è più chiaro il discorso Leonardo?» Provai a ragionare sulla situazione. Mi venne in mente un film dove al poliziotto protagonista avevano fatto cadere addosso le accuse di un delitto, rapito la moglie e il delinquente dall’altra parte del telefono gli faceva un discorso simile e lo chiamava ricatto! “Se vuoi rivedere Veruska viva mi devi consegnare la valigia con il plutonio. Hai quattro minuti da ora per decidere.” Solo che io ero da solo, non avevo un arsenale di armi, non avevo un fuoristrada con il carburante inesauribile in cui barricarmi e pensare ad un piano. Quante sfide dovevo affrontare quel giorno? Ero solo contro lo zio Raul e un comandante in camice bianco... Veruska però era la cosa a cui, in quel momento, tenessi di più. Perciò dimenticarmi di alcune cose di 68 LIONARDO quella giornata mi avrebbe messo nella condizione di non dover più confessare ciò che era successo e di andarmene con Veruska. Chiarito a me stesso che non ero un super poliziotto “difendi onore e famiglia” ma solo famiglia, accettai di sorvolare sull’incontro con lo zio Raul. «Bravo Leonardo!» fece il comandante soddisfatto. «Vedrai che è la scelta migliore e te ne accorgerai presto. Ora quando tornerà il ragazzo in divisa ti farà un po’ di domande a cui dovrai rispondere. Rispondi, o meglio scrivi, solo a quelle dove non si parla di Raul e sarà dimenticata questa storia. Terminata questa formalità burocratica verranno altre persone col camice e ti porteranno nella tua nuova casa, che io personalmente seguo. Di fronte ad essa ci sarà un altro edificio e farò mandare lì Veruska così potrete vedervi tutti i giorni nel parco comunicante. Credo vi troverete bene. Intesi allora?» Accennai di sì. «Sono contento. Ora vado a parlare anche con Veruska e gli dirò che tu sei già d’accordo» e se ne andò. 69 GIGI BONISOLI Il carabiniere dall’altra parte della scrivania rientrò nella stanza, mi fece una serie di domande su me e su quella lunga giornata. Sembrava sapesse molti più particolari di me. Evidentemente prima della televisione la vicina di casa era stata intervistata dai carabinieri altrimenti certe cose non le potevano sapere. Io mi limitai a scrivere sì o no. Quando terminò di compilare il foglio il ragazzo me lo fece firmare e disse di aspettare; dopo cinque minuti mi sarebbero venuti a prendere. Detto ciò se ne andò anche lui, finalmente! La fortuna mi aveva raggiunto. In quei cinque minuti da solo avrei potuto cercare nelle guide telefoniche riservate ai carabinieri il numero del dottore con cui era scappato papà. Mi lanciai nella ricerca e trovai il raccoglitore con la lettera “R”. Trovai un’intera pagina di persone che si chiamavano Rinaldi come il logopedista. Però non ricordavo il suo nome di battesimo. Così, preso dalla paura di farmi scoprire a trascrivere tutti i numeri e non portare a termine la mia missione, strappai tutta 70 LIONARDO la pagina e me la nascosi piegata in un calzino. Appena mi sedetti entrarono due tizi in camice bianco ma senza divisa dei carabinieri sotto. Alle loro spalle vidi il comandante sorridente e soddisfatto che rideva ma nella sala d’aspetto Veruska non c’era più. Mi fecero uscire dalla caserma e salire su una macchina. Mentre stavamo uscendo dal piazzale mi girai indietro e nel buio intravidi lo zio Raul che stringeva la mano al comandante. Forse aveva più cose da nascondere quello col camice che quello con le ragazze su internet. A me non interessò più molto tutta quella storia. Mi stavano portando fuori città, verso un posto ignoto ma dove mi avevano promesso avrei rivisto Veruska, e mi andava bene così. Durante il tragitto ripensai alla sensazione che ebbi al momento di dovermi separare da lei a casa. E sentii per la prima volta quella che chiamano solitudine. Prima non ero mai stato con nessuno; ero solo e basta quindi solitudine era un concetto che esisteva 71 GIGI BONISOLI per gli altri ma non per me perché non aveva precedenti. Nel momento, però, che mi stavano per dividere da Veruska provai il vuoto, una voragine nel petto e nello stomaco, e la brutta sensazione anzi la brutta scoperta di essere solo. Ed io non lo volevo più esserlo... Dopo mezz’ora di automobile arrivammo presso una villa grandissima con un parco enorme e di fronte un altro edificio come aveva promesso il comandante. Entrammo da un grande cancello in ferro battuto e percorremmo un viale in ghiaia; le ruote facevano un buffo rumore. Chissà quanti sassi si incastrano tra i solchi nel battistrada, mi dissi. Doveva esserci una persona destinata a toglierli dalle gomme, altrimenti dopo un po’ le macchine che ci passavano si sarebbero portate via tutti i sassolini. Ci fermammo e mi fecero scendere. Da una parte c’era una piccola scalinata con due scivoli laterali che permettevano di entrare nella villa; dall’altra parte l’accesso al parco. Guardai per vari secondi in mezzo al verde. Era buio 72 LIONARDO in cielo ma c’erano dei riflettori tipo quelli da stadio che illuminavano benissimo. Nel prato comunicante tra i due edifici c’erano siepi, piante, fiori e panchine. Era più grande e pulito del parco dove mi portava la mamma di solito. A scorgere bene vidi anche delle persone: un gruppo di ragazze. Sentii dentro di me qualcosa che mi spingeva ad andare da loro. Mi girai a guardarmi dietro ma i due tizi in camice non c’erano più. Mi feci forza e camminai verso quel gruppetto. Avvicinandomi vidi Veruska. Lei vide me e fu una scossa. Si alzò dalla panchina dove si trovava e accelerando il passo in pochi secondi ci trovammo di nuovo abbracciati. Non riuscimmo a dire nulla. Eravamo ancora insieme ma catapultati in un nonluogo e non sapevo se fosse l’inizio o la fine. Dentro di me percepii il cuore battere forte ed urlare: “Veruska ti amo, Veruska ti amo tutta, Veruska non 73 GIGI BONISOLI mi lasciare, Veruska noi staremo sempre insieme. Vedremo nascere il sole e poi tramontare. Vivremo di tutto quello che vorremo. Veruska io ti amo e questo ti basterà oggi e per sempre. Veruska chiedimi tutto e lo avrai, cambierò per te...” «Veruska io...» Parlai, per la seconda volta in un giorno. Me ne accorsi distintamente anche io. Dopo più di dieci anni che non lo facevo. Stava cambiando qualcosa in me? L’emozione fu fortissima. Prima di svenire lei mi sorrise e mi diede un bacio. Poi scivolai indietro nel buio e la sua voce ovattata in lontananza chiamava: Lionardo, Lionardo... «Leonardo!» Aprii gli occhi di colpo ma senza muovermi. Era uno dei due tizi in camice che cercava di destarmi dal torpore. «Leonardo, ci siamo. Sono tutti a cena. E’ il momento di fare la telefonata!» Io sollevai lentamente il busto guardando il ragazzo davanti a me che parlava e non capivo cosa stesse intendendo. Un momento prima ero tra le braccia di 74 LIONARDO Veruska e un attimo dopo ero in un letto, tipo quelli di ospedale, con uno che mi svegliava per fare una telefonata. Perché tutto mi sembrava così difficile da capire? «Leonardo alzati. Devi cercare tuo padre. Prendi la pagina con la lista di nomi e proviamo a chiamare!» A quel punto ricordai gli ultimi eventi: avevo conosciuto Veruska, suo zio - un poco di buono, ero stato dai carabinieri, mi avevano ricattato e corrotto, gli avevo sottratto informazioni riservate - pareggiando il conto - e mi avevano trasferito fuori città, lontano da casa mia. La mia missione era rintracciare mio padre, ed eventualmente mia madre; del logopedista non me ne importava nulla. Trovare anche mia madre dall’altra parte del telefono non era certo. Tutto stava a quanto distavano le due case e con che mezzo mia madre, finalmente svegliatasi, ci andò. Questo andava tenuto presente perché nel caso avessi ritrovato mio padre, avrei potuto chiedergli di passarmi mamma oppure fargli una sorpresa accennando del suo arrivo imminente. Mi alzai e mi chinai per rovistare nel calzino. Trovai il 75 GIGI BONISOLI foglio preso nel raccoglitore dei carabinieri. Non ebbi il tempo di chiedermi: “E ora?” Il tizio col camice mi prese per un braccio alzandomi dal letto e si fermò sull’uscio della stanza. Mise la testa fuori dalla porta e guardò prima a sinistra e poi a destra. «Via libera.» “Per dove?”, mi domandavo. Uscì dalla stanza ed entrò in un locale con dei finestroni di vetro molto simili ad una portineria. Nell’angolo basso un cartello: Portineria. Dentro vidi il tizio che teneva in mano una cornetta del telefono e mi esortava a muovermi. Iniziai a sudare freddo. Respirai e corsi dentro il locale portineria con la paura che, mentre avrei attraversato il corridoio, dei Vietcong sarebbero usciti fuori da ogni parte sparandomi! In fin dei conti io avevo dato al comandante in camice bianco la valigetta col plutonio; lui mi aveva ridato viva Veruska ma non accennò mai al fatto che avremmo potuto farla franca in quanto testimoni... non avevo abbastanza esperienza come super eroe. 76 LIONARDO Mi feci coraggio e attraversai il corridoio di corsa. Sopravvissi a sorpresa. Tremante stesi il foglio sul tavolo e cercai di focalizzare numeri e nomi: Rinaldi Antonio - Milano; Rinaldi Carlo - Genova; Rinaldi Rinaldo - Torino; Rinaldi... e via leggendo. Quale chiamare? Inutile starci a riflettere. Ne conoscevo solo uno, nascosto in quell’elenco. Notai che alcuni avevano una piccola croce a fianco. Scelsi il primo della lista senza croce. Le dita tremavano. Stavo per cominciare a digitare il numero quando il tizio mi fermò: «Aspetta, inseriamo il vivavoce!» Acconsentii. Leggermente stordito dall’adrenalina venne premuto il tasto del vivavoce che non sapevo cosa significasse ma per uno che parlava raramente suonò come magico! Il tizio guardò dalla porta in corridoio incitandomi a telefonare. 77 GIGI BONISOLI Digitai il numero di Rinaldi Giampietro e restai in attesa qualche secondo. «Pronto?» ... «Pronto?!» ... Il tizio alla porta corse verso l’apparecchio in mio aiuto. «Pronto, c’è il papà di Leonardo?» «Ancora! Ma quando la smetterete con questa storia. Non c’è nessun papà di Leonardo!» «E’ sicuro? Perché qui c’è Leonardo.» «Lo so, è da settimane che mi tormentate. Leonardo fattene una ragione. Qui non c’è tuo padre. State esagerando!» Dall’altra parte del mondo misero giù. Il tizio in camice mi guardò con sguardo sconsolato. «Non ti preoccupare. Domani proviamo con quello successivo, ora è meglio andarsene.» In quel momento passò davanti al vetro un gruppetto di persone che irruppe nella stanza. «No... ancora!» 78 LIONARDO «Direttore, le posso spiegare» fece una donna che poteva avere l’età di mia mamma, anche se non le somigliava per niente. «Infermiera, basta scuse! Sono mesi che questi pazienti si prendono gioco di voi. E poi mi dica lei come fanno a recuperare sempre la lista?» «Veramente la rifanno ogni volta... la sanno a memoria. E anche noi, converrà, la parte la conosciamo bene.» «Cosa sta farneticando?» «Direttore questi pazienti si sentono vivi solo ricostruendo ogni giorno la storia che racconta Leonardo. E nessuno ormai sa più se sia del tutto inventata o parzialmente vera o follemente genuina... A loro piace così, e anche a noi... ogni tanto serve così. E’ l’unica cosa che dà un po’ di speranza e fa dimenticare cos’è questo posto.» «Ma noi non dobbiamo dimenticare chi siamo, quello che dovremmo rappresentare.» «Per chi?! Per noi stessi? Per la società? Per lo stato? Per i parenti di quelli relegati qui? Non basta pagare per cambiare le cose ma è un’abitudine di molti 79 GIGI BONISOLI pagare per dimenticare di avere...» «Un matto in famiglia?» ... ... «Sa quale è la parte più bella della storia di Leonardo? Che sta realmente cercando di mettersi in contatto con il mondo esterno. Sta tentando davvero di telefonare alla sua famiglia; la stessa che l’ha portato qua solo perché diverso da come la società vorrebbe una persona, o perché solo impreparati.» «E una volta che ci riuscirà cosa succederà? Si sentirà meglio o peggio?» «Nascosta nella sua storia c’è un'altra verità. Una cosa che Leonardo non vuole ammettere. Anche volendo non può succedere... e cioè che non li troverà, direttore.» «E allora che senso ha?» «Se fossi pazza e non me ne rendessi conto il mio problema non sarebbe con me stessa ma lo diventerebbe il mio rapporto con gli altri. Finirei a farmi domande continuamente, a chiedermi perché sono qui, perché sono sola, dei perché su troppe cose. 80 LIONARDO Quindi uno si costruisce un sogno, una speranza per il futuro, seppur vissuto come lontano, che può essere domani.» «In un futuro impossibile, infermiera. Se non c’è nessuno dall’altra parte del cavo che futuro è?» «Un futuro sbagliato, è vero. Quelli che rispondono al telefono non sono le persone che Leonardo cerca ma sono reali. Quelle sbagliate ma reali. E perciò c’è la possibilità di un altro numero da comporre tenendosi aggrappati ancora ad una speranza. Quanti fanno la scelta sbagliata perché non avevano un’altra possibilità? C’è chi si sposa per uscire di casa. C’è chi fa figli per mantenere in piedi una storia. In guerra devi uccidere per non morire. I ragazzini fumano e bevono già a dodici anni per sentirsi accettati dalla loro compagnia di amicizie o presunta tale. Lei vorrebbe togliere a Leonardo la speranza di sbagliare numero di telefono e credere che la sua famiglia sia ancora la fuori che lo aspetta?» «Io non so cosa credere ormai. Da quando sono qui niente è come doveva essere.» «Lei è troppo ragioniere e razionale. Chi l’ha messa 81 GIGI BONISOLI qui lo sapeva e ha confidato in queste sue doti per trasformare tutto in numeri e rientrare dai costi. L’astrazione dei numeri per vincere sull’irrazionalità della mente umana!» «Siamo un istituto medico di categoria tre!» «No, siamo il rifugio per amori non corrisposti, non compresi, troppo forti!» «Ora non li difenda gratuitamente!» «Vede, anche lei li sta colpevolizzando di essere troppo amore; di essere senza filtri, di non attenersi alle regole.» «Lei però li sta giustificando e trasformando in eroi.» «Voglio riportarli alla normalità. Farli vivere nella loro dimensione». «Ma è pericoloso. Se non hanno più filtri alcuni eventi potrebbero essere traumatici o riflettersi contro gli altri.» «Guardi che se un essere umano viene abbandonato dalla persona amata non è meno instabile. Quando una madre perde un figlio la rabbia che la pervade non è superiore a quella di chiunque altro e perciò pericolosa?» 82 LIONARDO «Basta con questa retorica! Ne ho abbastanza. Qui applichiamo un metodo scientifico al problema.» «Ha ragione... è inutile discuterne ancora. Lei lo chiama problema, io le chiamo persone. Buona notte direttore. Porto i pazienti a letto e mi ritiro!» Se ne andarono tutti. Sul tavolo rimase un block notes. C’era anche una penna, accanto. Io... Io avevo un modo strano di dire le cose: lo facevo scrivendo! 83 84 Ringraziamenti Grazie a chi ha dato spazio nella propria vita a questa storia, a tratti vera a tratti immaginata. Un pensiero a chi aspettava di leggere qualcosa di mio da un po’ e mi ha visto cadere e poi rialzarmi nel frattempo. Un ringraziamento particolare a Valentina Stangherlin e Mayde Trinchera che mi hanno letto, corretto, consigliato, criticato, incitato e insegnato. Mi scuso con tutti per gli errori di battitura rimasti. Infine grazie a chi mi ha fatto smettere di piangere. Tra sorrisi (passato) e saluti (presente) ci abbracceremo (futuro) 85 SE IL LIBRO TI È PIACIUTO SAPPI CHE L'EDIZIONE CARTACEA DI QUESTO EBOOK È ACQUISTABILE SU AMAZON.IT 86 LIONARDO 87