GIGI BONISOLI
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ISBN: 1480161160
ISBN-13: 978-1480161160
Ogni riferimento a persone, cose e fatti è puramente casuale.
ii
A Itala, ancora.
GIGI BONISOLI
iv
LIONARDO
Tutto ciò che è ideale è reale,
tutto ciò che è reale è ideale.
Hegel
v
LIONARDO
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Io...
Io avevo un modo strano di dire le cose: lo facevo
piangendo!
Stavo zitto per giorni, somatizzavo tutto quello che
accadeva e accumulavo.
Poi quando non ce la facevo più scoppiavo a piangere
e dicevo tutto quello che volevo dire. Lo dicevo con
calma, senza urlare. Parlavo e dagli occhi uscivano
litri di acqua; fiumi di parole.
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LIONARDO
All’inizio mamma e papà si preoccuparono di cercare
le cause tra di loro, litigando di tanto in tanto.
Superarono quella fase confidando nel tempo e in una
guarigione divina.
Nacquero però dei problemi all’asilo: durante il
momento del silenzio, quello del riposino, ero tra i
più bravi ma se dovevo chiedere di andare a fare pipì
lo facevo piangendo, e succedeva un putiferio. Tutta
la classe di bimbi piangeva, chi per solidarietà e chi
perché svegliato, e le suore dopo un po’ ne ebbero
abbastanza e convinsero i miei genitori a tenermi a
casa fino alla scuola dell’obbligo.
Arrivato il momento di iscrivermi alle scuole
elementari non poterono nascondere alla preside il
mio problema, o come diceva papà il difetto.
Il sistema sanitario Italiano mi affidò ad un bravo
dottore logopedista.
Piangevo anche con lui per parlare ma quando
tornavo a casa era diverso in un certo senso perché la
mamma mi chiedeva: «Hai pianto con il dottore?»; io
rispondevo di sì e lei tutta soddisfatta mi diceva
«Bravo!» e mi prendeva un gelato dal congelatore.
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GIGI BONISOLI
In qualche modo si era messa a posto la coscienza.
Io andavo dal dottore, piangevo, mangiavo il gelato e
mettevo su qualche chilo nel tempo. Non ci furono
miglioramenti sul lato medico ma tutto andava bene
sia a casa che a scuola.
Ricordo che qualche volta io e papà partivamo per il
weekend e veniva con noi il dottore, mentre mamma
restava a casa.
La volta che mi divertì di più fu in crociera, su una
nave grandissima. Le stanze per dormire erano
chiamate cabine ed erano disposte tutte in un
corridoio lunghissimo. Finito il corridoio c’erano
delle scale che salivano e scendevano. Dopo i gradini
il corridoio riprendeva e c’erano altre cabine in fila.
Io mi divertivo a correre su e giù tra i corridoi.
Sembrava un posto senza fine.
Un pomeriggio corsi così tanto che ebbi necessità di
riposarmi un po’ e tornai alla cabina. Dalla stanchezza
entrai per sbaglio in quella del dottore, che era di
fianco alla nostra, e trovai lui e papà vestiti con abiti
di mamma che ballavano senza musica.
Lo stupore sui loro volti fu visibile anche per me
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LIONARDO
bambino.
Il dottore cadde su una sedia e si afflosciò come il
sacco di roba sporca.
Papà invece mi venne incontro più rilassato.
«Vuoi darci una mano Leonardo? Stiamo provando
dei vestiti da regalare alla mamma. E’ divertente!»
Io avevo sempre visto mia madre comprarsi le cose
da sola; diceva che papà non era capace a scegliere
nemmeno
una
sciarpa
a
natale.
Il
dottore
evidentemente aveva più gusto e gli stava dando una
mano.
Dovevano aver comprato una quantità immensa di
abiti perché si alternarono per circa un’ora in vere e
proprie sfilate di moda con tanto di passerella.
Alla mamma, quando tornammo, papà non diede
nessun abito indossato quel pomeriggio. Mi chiese di
non raccontare nulla perché aveva deciso di regalarle
una collana e che saremmo andati tutti a cena fuori.
Sei mesi dopo, appena compiuti dieci anni, ricordo di
aver pianto addirittura tre volte...
Cominciai a casa, prima di andare a scuola, perché la
notte avevo fatto la pipì nel letto. Ero imbarazzato e
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GIGI BONISOLI
mentre mamma cambiava le coperte scoppiai a
piangere per scusarmi.
La seconda dal dottore, come ogni volta che andavo
da lui per la seduta settimanale.
La terza quando papà se ne andò... col dottore.
Mi venne a prendere come tutte le volte, però non mi
fece aspettare in macchina come al solito. Mi disse di
aspettare nella guardiola del portiere del palazzo
perché lui e il dottore dovevano parlare un po’ più del
solito e in macchina non ci potevo entrare perché
non c’era spazio. Io non sapevo cosa potesse aver
riempito tutto lo spazio della macchina ma aspettai
fiducioso, per ore ed ore. Alla fine arrivò mamma a
prendermi e mi riportò a casa a piedi.
Quella terza volta piansi ma non riuscii a dire niente.
Ero troppo confuso. Papà mi aveva abbandonato?
Perché lui e il dottore non mi avevano portato con
loro? Dallo shock smisi di parlare del tutto.
Smisi anche di piangere così la mamma decise che
non avevo più bisogno di un logopedista.
Cominciai allora a scrivere, quando dovevo dire
qualcosa.
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LIONARDO
Mamma dopo un po’ di mesi si rasserenò perché,
anche se non parlavo, trovava i miei biglietti pieni di
pensieri o richieste per casa. Disse che era meglio
così: «l’amore cresciuto nel silenzio è più puro».
Contemporaneamente si convinse che papà non
sarebbe tornato. Io lo capii perché tutte le sere, prima
di cena, metteva sul giradischi “Dream a little dream
of me” di un gruppo chiamato The Mama’s and
Papa’s. Di colpo non si sentì più musica.
La risentii qualche anno più tardi, di notte, dopo che
mamma parlò al telefono con qualcuno. Forse era
papà. Lei non me ne parlò; né il giorno dopo né mai.
Fino ai quindici anni, quando uscivamo per la
passeggiata, avevo potuto portare con me un block
notes ed una penna. Così, se c’era una cosa urgente
da comunicare, tipo correre in bagno, la potevo
scrivere.
Un pomeriggio incontrammo al parco una signora
con la figlia, che più o meno aveva la mia stessa età. Si
chiamava Daniela.
Le nostre madri parlavano ed io in silenzio guardavo
e studiavo quella coetanea. Ad un certo punto le
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GIGI BONISOLI
scrissi un biglietto perché c’era un dubbio che mi
tormentava e glielo diedi.
Lei si mise molto a ridere e poi con un certo cinismo
da maggiorata viziata lo passò alla madre da leggere.
La donna diventò rossa in volto; diede stizzita il
foglio a mia madre e se ne andò via strattonando la
figlia per il braccio.
Mamma lesse il biglietto.
Mi guardò e fece vibrare in aria il braccio dandomi
l’impressione di volermi colpire...
Con che motivo? Per il biglietto?
Avevo solo scritto: «Daniela perché hai il petto gonfio
e con due punte? E’ una cosa che si cura? Posso
toccare? Vorrei sentire com’è?»
Insomma, io volevo solo capire mica rubare niente.
Sapevo che c’erano differenze tra maschi e femmine
ma le persone che conoscevo erano tutte più piccole
di me e non potevo chiedere di quella cosa specifica.
Con una coetanea era più facile capire le differenze,
pensai.
Finì, ingiustamente, che mamma mi riportò subito a
casa e da quel giorno non potei più portare fuori il
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LIONARDO
block notes.
D’inverno non si usciva quasi mai. Dopo la scuola
restavo a fare i compiti e nel weekend di solito veniva
qualcuno a trovarci.
Una domenica venne una signora con la figlia. Mia
madre mi fece promettere di non uscirmene con
qualcuno dei miei biglietti imbarazzanti. Io non
capivo dove stava l’imbarazzo ma promisi di non
scrivere nulla.
La ragazza stava seduta molto vicino alla madre e non
sembrava molto interessata ad interagire con me.
La madre continuava a ripetere che era un po’ più
grassa delle sue compagne di scuola, che lo si vedeva
bene dal petto largo e dai fianchi. Ogni volta che lo
diceva la figlia si mortificava abbassando la testa. Mi
sembrarono delle cose cattive da dire ad una figlia.
La mamma mi chiese di andare a prendere un po’
d’acqua per tutti.
Arrivai al lavandino in cucina e iniziai a riempire i
bicchieri quando per caso notai la scritta su un
flacone: “Azione sciogli grasso. Sgrassa bene e in
fretta”. Immaginai subito la ragazza più magra, felice
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e che giocava con me. Così portai un bicchiere
d’acqua a tutti, solo che nel suo c’era lo sciogli grasso.
Lo bevve in un lampo. Io aspettai con ansia che la
magia si compisse davanti ai miei occhi ed invece lei
iniziò a tossire e rigettare acqua. Nessun effetto
sciogli grasso. Lei finì il pomeriggio in bagno; io in
camera in castigo. Non venne più nessuno che avesse
figli a trovarci.
L’unica cosa che capii in quel periodo fu che tra
uomini e donne ci sono delle differenze, ma che per
farle notare ci vuole molto tatto, ed io sembrava non
ne avessi proprio.
Tra uomini e uomini, ripensando a papà e al dottore,
questi problemi non c’erano evidentemente. Una
volta mamma accennò qualcosa sulla rivoluzione
sessuale ma non ne capii il senso.
Passarono alcuni anni e scoprii altre differenze tra
uomo e donna...
Ero al parco. Mamma era da una parte con altre
signore amiche sue ed io giravo solo per il prato.
Ad un certo punto dietro ad una panchina vidi un
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LIONARDO
giornale arrotolato in terra.
Lo raccolsi e lo aprii.
C’erano tante persone ma erano tutte senza vestiti e
stavano attaccatissimi, corpo contro corpo. Cosa che
non avevo mai visto fare neanche a mamma e papà.
Sfogliandolo ebbi come una scossa, un fremito.
Qualcosa stava stuzzicando la mia mente e il mio...
Decisi di portarlo a casa di nascosto per studiarlo
meglio in cameretta. Non scrissi niente a mia madre
di ciò. Me lo tenni nascosto in tasca e aspettai il buio.
La notte, con la luce del comodino accesa, tirai fuori
il giornalino e lo studiai meglio.
Intanto aveva un titolo in prima pagina: LE ORE.
Un titolo buffo e incompleto mi sembrò.
Quali ore? A che ora? Un errore di stampa?
Lasciato da parte questo dubbio cominciai la lettura.
Le pagine erano piene di persone che, nude, si
toccavano con tutte le parti del corpo. Alcune cose
non le potevo nemmeno immaginare.
Mi sorprendeva soprattutto che una donna riuscisse a
toccarsi anche con tre uomini contemporaneamente.
Mentre gli uomini tra di loro quasi si tenevano lontani
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GIGI BONISOLI
o al massimo si sorridevano.
La notte mi addormentai con qualche dubbio: quante
persone nude si possono toccare tra di loro
contemporaneamente? Le smorfie di quegli uomini
erano fondamentali per toccare una donna?
La mattina mi misi allo specchio e provai a rifare quel
tipo di smorfie. Le provai anche a scuola con le
compagne ma si misero solo a ridere. Non era quello
che li teneva vicini.
La seconda sera provai a concentrarmi sulle donne;
sulla differenza tra me e loro.
Non fu facile studiare il corpo femminile con tutti
quegli uomini attorno, ma qualcosa nella testa scattò
perché ogni volta che guardavo una donna sentivo un
pizzicore dappertutto. Mi addormentai a fatica.
La terza sera cercai di capire perché quelle persone
stavano così vicine e nude. Ci doveva essere un
motivo serio perché gli uomini facevano sparire il
loro cosetto un po’ ovunque mentre le donne
fotografate, quando non davano retta all’uomo, glielo
tenevano in mano. A volte sorridevano e a volte
facevano smorfie strane. Doveva essere un mistero
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LIONARDO
oppure una finzione scenica.
Ci pensai un po’. Provai a mettermi una mano sopra
al mio cosetto ma dopo poco, stanco di aspettare un
qualche cosa, mi addormentai come un sasso.
La quarta sera mi concentrai sul cosetto. Anche io ce
l’avevo, non così grande, ma ero come loro, in
proporzione.
Riguardai le foto e mi accorsi di alcuni particolari, un
po’ come in alcuni giochi della settimana enigmistica
di mamma: le donne non tenevano la mano sempre
nelle stesso punto. Quindi non si toccavano e basta, si
muovevano!
Provai perciò a prendermi il cosetto in punti diversi
fino a scoprire che non era necessario togliere la
mano a scatti ma bastava muoverla...
Quella notte tirai un urlo da non so dove. Mia madre
spalancò la porta. Vide quello che c’era da vedere e
mi tirò un ceffone.
Ogni tanto ripensai allo schiaffo ricevuto e a quello
mancato per il biglietto dato alla ragazza con il petto.
Cosa fu meglio? Schiaffo ricevuto per aver... o non
ricevuto per non aver...?!
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Comunque il giornale “LE ORE” non mi servì più;
ero autonomo. Dovevo solo nascondere a mia madre
che ripassavo mentalmente quelle immagini di donne
ed evitare di urlare.
Dieci minuti in più in bagno ad occhi chiusi ed il
segreto era mantenuto.
Crescendo capii che io le donne potevo al massimo
idealizzarle ma non toccarle. Mamma mi teneva
lontano da tutto e da tutti.
La notte al massimo potevo convincermi che la mia
mano era controllata da un pensiero femminile. Ma
nulla di più.
Gli anni passavano e mamma invecchiava.
Questo comportava nessuna intrusione a sorpresa
nella mia camera ma anche meno uscite all’aria aperta.
Poi incredibilmente la grande sorpresa: per il mio
ventesimo compleanno, convinta da un negoziante
del quartiere, mia madre mi comprò un computer che
poteva collegarsi ad internet. Io non sapevo cosa
fosse un computer ma dopo pochi mesi diventai
pratico. C’erano programmi per disegnare, per
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LIONARDO
scrivere, per ascoltare la musica. E poi c’era internet;
tutto quello che non sta sul proprio computer sta su
internet. Qualunque domanda avessi per la testa
bastava inserirla nel motore di ricerca - o motore di
risposte come lo chiamavo io - ed era trovata.
Provai a cercare le foto della luna e le trovai. Cercai la
canzone dei Mama’s and Papa’s e la trovai. Tentai
anche di cercare papà ma uscirono solo collegamenti
a programmi di chatroom: posti dove entri e ti scrivi
con persone che abitano molto più lontano. Un
messaggio diceva: “Entra in contatto con amici e
parenti”. Ci portai sopra il mouse e cliccai.
Si aprì una finestra divisa in tre parti. A destra c’era
l’elenco delle persone collegate, con cui potevi
scriverti. In basso la zona per scrivere e al centro
scorrevano tutti i messaggi di quelli che stavano lì
dentro.
La prima cosa che chiedevano per dare la possibilità
di scrivere anche con gli altri era inserire il proprio
nome. Stavo per inserire il mio nome quando mi
venne in mente che avrei potuto mentire, nessuno mi
controllava. Però se inserivo un nome diverso
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GIGI BONISOLI
probabilmente lo avrebbero capito tutti perché tutti
facevano così. Quindi inserii il mio nome vero sicuro
che tutti lo avrebbero preso per un nome falso e la
mia identità sarebbe rimasta al segreto.
Diedi una rapida lettura ai nomi di destra ma quello di
mio padre non c’era. Forse era sotto falso nome.
O dovevo aspettare? A che ora sarebbe arrivato?
Qualcuno si accorse di me in chatroom perché lessi
un messaggio per me di un certo SessoVero.
“Ciao Leonardo. Da dove scrivi?”
“Da camera mia” risposi.
“ :-P e dove si trova la tua camera?”
Quelle prime lettere :-P non le compresi quindi
risposi solo alla seconda domanda.
“La mia camera sta in fondo al corridoio, a destra, di
fronte al bagno.”
Nessuna risposta.
Presi coraggio, e iniziai a scrivere anche io: “La tua
camera dov’è?”
Non rispose. Nel frattempo altri messaggi di altri
utenti fecero scorrere fuori dalla pagina il mio.
Lo scrissi per alcune volte finche un tale scrisse:
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LIONARDO
“Leonardo se non specifichi a chi fai la domanda
puoi andare avanti così tutto il giorno e agli altri
rompi le scatole :-P”
Ancora quei caratteri sconosciuti :-P
Scrissi così anche io “:-P” e chiusi la pagina.
Dopo giorni di prove capii come si doveva fare per
mettersi in contatto con qualcuno in modalità privata,
senza doversi leggere i messaggi di tutti.
SessoVero mi diede il link di un sito dicendomi che
poteva interessarmi. LunaNera mi scrisse di non
fidarmi ma Jocker70 invece mi assicurò che mi
avrebbe aiutato. Così lo provai.
Ogni volta che provavo ad entrarci un programma del
mio computer diceva che era pericoloso e di non
proseguire. Studiai la cosa per qualche ora e trovai
come togliere quel fastidioso programma chiamato
antivirus. Finalmente entrai in quel sito: era pieno di
donne nude disposte a farsi toccare.
Il giorno dopo scoprii come fare per mettersi in
contatto con una di loro. Dovevo scrivergli dal
computer.
Ci fu uno scambio di email, un sistema di messaggi
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GIGI BONISOLI
simili al mio block notes ma gestiti da un programma.
Dovevi scrivere l’indirizzo di posta elettronica della
persona da contattare e come con un piccione
viaggiatore il messaggio era recapitato.
Dall’altra parte del mondo una ragazza mi rispose
dicendomi che per vederci, e toccarci, ci volevano i
soldi!
Io non ce li avevo i soldi e mamma stava ancora
dormendo e non era uscita dalla camera. Però i soldi
andavano trovati altrimenti sarei rimasto sempre con
grossi dubbi...
Una volta sentii il marito della vicina dire che la gente
si dimenticava nei vestiti di tutto, persino i soldi.
Mamma dormiva ed io in silenzio cercai negli armadi.
Trovai duecento euro.
Cercando negli armadi trovai anche delle foto di papà
e del dottore che si baciavano ma per non far
insospettire mamma le lasciai dovere erano. Mi venne
un dubbio però: gli uomini si toccano? Come era
possibile? Sul giornale quella cosa non era prevista.
La sera scrissi alla ragazza del sito dandogli l’indirizzo
di casa e assicurandogli che avevo i soldi. Si era molto
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LIONARDO
preoccupata di quest’ultimo punto.
Per sicurezza, in una email chiesi alla ragazza se era
come quelle che c’erano sul giornale LE ORE, con il
petto giusto, senza peli sulle gambe e senza cosetto.
Lei all’inizio della mail mi scrisse di stare tranquillo
che era donna al 100%.
Non capivo cosa intendesse; le percentuali a scuola da
piccolo le avevo fatte ma non riuscivo ad
immaginarmi una donna con una percentuale di
un’altra cosa. Tipo un 30% di rami o il 15% di gatto.
Era buffo immaginare cose così. Poi in salotto vidi
una foto di zia Assuntina che aveva un po’ di baffi e
le sopracciglia folte. Riflettendoci la zia era 80%
donna e 20% nonno Mario.
Questo ragionamento non glielo riportati nella mail di
risposta. Le confermai l’indirizzo, l’orario in cui
l’aspettavo e le spiegai che non parlavo per uno shock
infantile ma che avrei preparato dei bigliettini.
Lei scrisse che una cosa così non l’aveva mai sentita
ma che non vedeva l’ora di conoscermi. A fine mail
mi mandò un bacio.
Che cosa buffa, pensai. Su internet ci si poteva
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GIGI BONISOLI
mandare i baci. Addirittura una volta su una pagina
chiamata forum lessi di due che si abbracciavano da
città diverse!
Io comunque aspettai circa un’ora davanti al monitor
ma non successe niente. Scrissi alla ragazza che il
bacio non era arrivato e se me lo poteva rimandare.
Forse spense il computer oppure il bacio aveva perso
l’indirizzo di casa mia. Pazienza, glielo avrei scritto di
persona quando sarebbe arrivata da me per toccarmi.
Il giorno dopo a quello scambio di email suonarono
alla porta e mamma non andò a rispondere. Dormiva
ancora. Ci andai io.
Guardai dallo spioncino e aprii; era la vicina di casa
che chiedeva come mai non stavamo uscendo da due
giorni.
Utilizzando la lavagnetta che avevamo messo
all’ingresso le scrissi che mamma era molto stanca e
stava dormendo. Mi disse di mandargliela appena si
sarebbe svegliata.
Le scrissi di sì.
Chiese di me.
Le scrissi che stavo bene ma non dissi altro.
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LIONARDO
Non mi andava di raccontare della mia amica di
internet che sarebbe arrivata il giorno dopo.
La vicina se ne andò ed io tornai in camera mia al
computer.
La sera mi accorsi che in casa non c’era più niente da
mangiare di pronto. La mamma continuava a dormire
e nessuno aveva fatto la spesa. C’erano delle scatole
di cose come fagioli, piselli, carote ma mi era stato
vietato di usare l’apriscatole fin da piccolo.
Contravvenendo a qualsiasi ordine indossai il
giaccone, presi i soldi e scesi al supermercato sotto
casa.
Gianni il cassiere ebbe quasi un sussulto quando mi
vide entrare da solo.
«Mamma dov’è?» mi chiese.
Non avendo il block notes dovetti fargli il gesto di
dormire con le mani.
Lui rise, e pensai di averla fatta franca. A distanza mi
seguì e iniziò a farmi altre domande; non gli bastò che
io mimassi “dormire! - silenzio! - ciao!”.
Scappai tra gli scaffali impaurito e comprai cose a
caso per cenare.
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GIGI BONISOLI
Vidi anche una zona con dei mazzi di fiori. Ne presi
uno per Veruska, la ragazza che sarebbe arrivata da
me...
Uno dei commessi si immaginò che fossero per
mamma:
«Che bravo figliolo.»
Preferii non mimare nulla e rientrai a casa.
Mi sentivo strano. Avevo disobbedito ad una regola
di mamma ma non era successo niente di grave. Si
poteva fare.
Pensai a quante cose potevo fare che mi erano invece
normalmente negate.
Il tutto stava nel farle mentre mia madre dormiva?
Mangiai da solo e in silenzio per non disturbare
mamma. Non lavai nemmeno i piatti.
La notte rimasi sveglio guardando la TV. Dopo
mezzanotte su molti canali vidi donne nude che
invitavano a telefonargli mentre si accarezzavano.
Di giorno quei programmi non c’erano, perché?
La mattina mi alzai. Mi lavai e feci colazione da solo;
mamma dormiva ancora.
Ero tentato di bussare alla porta per svegliarla. Poi
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LIONARDO
pensai a Veruska e al fatto che probabilmente mia
mamma, dopo aver dormito per due giorni di fila,
non sarebbe più andata a dormire per altri tre giorni e
avrebbe girato per casa in continuazione, entrando
magari in camera mia mentre io e Veruska ci
toccavamo. Sinceramente temevo che la ragazza se ne
sarebbe andata imbarazzata perché poteva essere che
da altre donne non si faceva vedere nuda.
No, avrei svegliato la mamma la sera con calma.
Un leggero senso di agitazione però cominciò a
presentarsi
verso
mezzogiorno,
a
poche
ore
dall’arrivo di Veruska.
Mi chiusi in bagno e lessi tutto il pomeriggio il
libretto delle istruzioni della lavatrice.
Finalmente suonarono alla porta e corsi fuori dal
bagno, in punti di piedi.
Prima di aprire scrissi sulla lavagnetta “Ciao Veruska,
entra!”.
Tremando aprii ma davanti a me non incontrai la
ragazza che avevo visto in foto su internet e
soprattutto non era da sola; c’erano due ragazzi con
lei.
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GIGI BONISOLI
Tre sconosciuti, insomma, alla mia porta mentre
aspettavo una certa Veruska da internet e con mia
mamma di là in camera che non aveva sentito
neanche questa volta il campanello.
Presi la lavagnetta con l’intenzione di scrivere
qualcosa di drastico. Un misto tra “andatevene che
non vi conosco” e “qui non c’è nessuno che
conosciate, vi siete sbagliati”.
Riuscii a scrivere “Scusate mamma sta dormendo,
tornate domani mattina. Grazie”.
Al
cospetto
del
messaggio
i
due
ragazzi
confabularono qualcosa in una lingua che non
conoscevo.
La ragazza rimase serena e disse: «Ciao, io sono
Veruska.»
Con la testa feci di no; non era lei, non poteva esserla.
«Lionardo, sono io davvero!» continuò con un
accento strano.
Ribadii con la testa e la mano spinse sulla porta per
chiuderla.
«Ok, ti devo delle scuse» interruppe lei. «La foto era
diversa ma c’è la privacy. E’ vietato per legge
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LIONARDO
dichiarare le proprie generalità online senza creare
problema alla ditta. Ero io che rispondevo alle tue
mail. E’ con me che ti sei scritto. Lasciami entrare e ti
dimostrerò che è vero.»
Volevo mandarla via perché mi sentivo preso in giro
e anche un po’ confuso. Stavo per cacciare via tutti
quando uscì sul pianerottolo la vicina di casa.
Istintivamente presi la lavagnetta e girai la scritta più
verso la vicina che agli altri tre. “Ciao Veruska, entra!”
Loro capirono che ero in emergenza e senza bisogno
di trascinarli di forza entrarono.
La vicina guardò un po’ troppo incuriosita.
«Tutto bene Leo?»
“Si signora” scrissi nervosamente sulla lavagna.“Sono
venuti degli amici conosciuti su internet a trovarmi”.
«Ah, me lo ha detto il portiere che lo ha saputo dal
giornalaio che glielo ha detto il parroco che tua
mamma ti ha regalato questa cosa per voi giovani...
Internette. Divertitevi allora.»
Annuii con la testa e la salutai. Internet mi aveva
salvato da un lato. Dall’altro mi stava creando qualche
problema.
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GIGI BONISOLI
Chiusi la porta.
Dovevo affrontare uno scambio di identità e due
intrusi.
Appena mi voltai la nuova Veruska con occhi
luccicanti iniziò a parlare prendendomi le mani tra le
sue:
«Grazie. Grazie per avermi dato una possibilità. La
foto deve essere diversa sul sito, è la regola. E questo
è il mio primo appuntamento. I due ragazzi con me
sono nipoti dello zio Raul, il mio capo. Considerali
cugini. Mi seguono perché tutto sia a posto. Non
mandarmi via; se lo zio si arrabbia sarà un guaio ed io
ho bisogno di lavorare, in qualche modo. Ti capisco,
tu ti aspetti questa trentenne matura vista sul
computer, formosa, con le labbra rifatte...»
Finì che mi convinse e non li mandai via.
I due cugini si piazzarono in salotto davanti alla
televisione mentre io e lei andammo in camera mia e
ci chiudemmo dentro.
Mi sedetti sul letto. Ero un po’ nervoso.
Presi subito in mano il block notes per scrivere
qualcosa. Solo che non ci riuscivo. Mi tremavano le
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LIONARDO
mani.
Lei si mise di fianco a me e lentamente si avvicinò alla
mia faccia fino a che le sue labbra sfiorarono le mie.
«Questo bacio te lo dovevo dall’altro giorno» disse.
Non me lo aspettavo. Fu una sensazione nuova. Il
calore di un’altra persona così non lo conoscevo.
Come arrivammo a restare nudi ancora adesso lo
reputo un mistero troppo grande per me. Ricordo
vagamente come successe ma davvero è una cosa da
non credere...
Io sapevo come spogliarmi, ma non sapevo come
spogliare un’altra persona.
“Potrei farle male?”, mi chiedevo.
Presi la penna e scrissi semplicemente: “comincio io a
spogliarmi che mi conosco”. Dopo di che mi tolsi il
maglione.
Lei lesse e si mise a ridere; cominciò che si tolse il
golfino.
Continuammo indumento per indumento in silenzio
fino a che rimanemmo entrambi solo con l’intimo.
Lì la paura fu tanta; non sapevo come andare avanti.
Da lì in poi cosetto e... cosetta si sarebbero visti!
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GIGI BONISOLI
Avevo iniziato a sudare freddo dal nervoso.
Lei a quel punto disse: «Sdraiati» e a me si gelò tutto il
sangue mentre mi stendevo rispondendo ad un
riflesso incondizionato.
Poi si avvicinò a me ed il sangue di colpo si scaldò
come se fosse stato percorso dal fuoco...
Ricordo che a dodici anni, prima di entrare a scuola
con un compagno di classe, facemmo scoppiare dei
cilindri di carta chiamati petardi. Faceva freddo quella
mattina e avevo le dita ghiacciate. Il mio compagno
mi passò questo oggetto misterioso e con l’accendino
gli diede fuoco come si fa con una candela.
Mi gridò: «Vai, Leonardo, vai».
Io non sapevo dove andare con quel cilindro in
mano; non c’erano le istruzioni scritte sopra.
«Veloce Leonardo» insisteva lui.
Non sapendo cosa fare pensai di ripassarglielo ma
prima di riuscirci il petardo mi scoppiò in mano e le
mie dita passarono dal freddo ad uno stato di caldo
intenso in un istante. Non fu una bella sensazione e
piansi.
Dopo tanti anni da quell’episodio il contatto con il
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LIONARDO
corpo di Veruska aveva fatto lo stesso effetto al mio
sangue; di colpo, senza pensare, senza un segnale.
Zam! Fuoco! Un repentino passaggio da uno stato A
ad uno stato B.
E come allora piansi.
Mentre Veruska in silenzio mi levava le lacrime dal
viso ripensai a mia madre nel giorno in cui mio padre
prese e se ne andò con il dottore. Pianse anche lei... A
rifletterci credo fu quello che la fece piangere: il
passaggio da moglie ad abbandonata. Ed io, in un
angolo della sala in silenzio, che credetti, viste tutte
quelle lacrime, che volesse dire qualcosa... solo che
non lo fece. E pensai che io ero speciale perché per
piangere non dovevo sempre provare dolore ma
bastava la voglia di dire qualcosa di grandissimo, di
lontano, che avevo tenuto via per giorni in silenzio,
che avevo conservato...
Mi trovavo lì sotto, con il cosetto scaldato dal corpo
di lei ed era diventato così duro che nemmeno se lo
avessi toccato più volte da solo avrebbe potuto...
La testa era in cielo. Leggermente senza bussola. Non
sapevo cosa fare ma una specie di istinto formicolava
35
GIGI BONISOLI
qui e là e mi diceva di andare libero, di usare le mani,
di accarezzarla.
Poi lei disse una cosa difficile da capire:
«Mi stai trattando come una persona, senza saltarmi
addosso. Le altre ragazze mi avevano raccontato certe
cose... Tu non mi consideri un oggetto, sei quasi
romantico...»
Io non sapevo che scrivere; non avevo capito bene la
relazione tra oggetto e romantico. Provavo solo una
sensazione di smarrimento e felicità.
Con il braccio cercai il block notes per scrivere ciò
che stavo provando. Lei mi fermò mentre stavo
torcendo il corpo.
«No, non dire nulla. Mi sa che non ti rendi neanche
conto a chi hai scritto. Probabilmente quello che
cerchi e vuoi tu è molto lontano da quello che gli altri
uomini... Tu devi fare quello che ti senti dentro ma
non ti serve scriverlo. Non importa se resteremo così
tutto il giorno; prenditi il tuo tempo per capire.»
Mi sentii più tranquillo; non era una gara di abilità o
di velocità. Potevo quindi respirare e cominciare con
quello che avevo in mente da anni.
36
LIONARDO
Per paura chiusi gli occhi; poi con le mani mi
avvicinai al suo petto che morbido incontrai.
Ritrassi velocemente le mani.
Che cosa strana...
Dovevo elaborare la sensazione: morbido e caldo;
vivo.
Con gli occhi ancora ben chiusi sentii Veruska ridere,
e la sua risata arrivò nella sua pancia che scivolò nella
mia e risalì fino alla mia bocca che restituì altrettanta
risata.
Era una risata ombelicale e durò per parecchio.
«Dai riprova» disse lei.
Mi sentivo più sicuro e tornai a cercare il suo petto.
Restai a toccare le sue forme un po’ di più; per
conoscerne la consistenza, la dimensione, il profumo.
Tolsi le mani è riaprii gli occhi.
Ripensai ovviamente alla figlia dell’amica di mia
madre... Aveva un petto più piccolo. Forse per questo
rifiutò il mio invito: non aveva molto da farmi sentire
e in realtà si vergognava.
A quel punto, nella mia stanza, che potevo fare
ancora?
37
GIGI BONISOLI
Il tempo passava lento ed io dimenticai curiosità o
desideri, ma uno dovette essere naturale e spontaneo
a Veruska perché mi disse che ero diventato rosso e
aveva capito!
Io non so davvero cosa capì ma si limitò a dire:
«Bene, ora parliamo con i baci.»
Successe così che le sue labbra volarono - sì, ho
questo ricordo di una libellula - sul mio viso, il mio
petto, i miei fianchi e un po’ più giù; sempre in
silenzio, con calore, senza fretta. Come se ci fosse un
fiore da scoprire.
Non sembrò più per niente simile a quello che c’era
nel giornalino.
Non era toccare: era comunicare.
Arrivò il mio momento di “parlare” e dentro sentivo
che avevo tanto da dire...
Veruska si sdraiò leggera sul mio letto ed io cercando
di imitare la libellula, che era stata lei prima, volai.
Con tutto me stesso. Con emozione, attenzione e un
po’ di vertigini.
Dopo tanto parlare ci fu la caduta, inaspettata, che
nessun giornalino o manuale contemplò...
38
LIONARDO
Poi però...
Poi però ci fu un primo squillo di campanello che ci
destò
dalla
bolla,
abbracciati
come
eravamo
silenziosamente.
Seguirono dei colpi alla porta che mi spaventarono.
Avrebbero svegliato la mamma che avrebbe trovato i
due ragazzi in salotto i quali si sarebbero giustificati
dicendo, in qualche lingua sconosciuta, di aver
accompagnato Veruska che stava nuda in camera mia
ed era arrivata a me perché avevo contattato una tizia
con la faccia diversa dalla sua su internet per poterle
toccare quel petto femminile che a quindici anni mi fu
rifiutato di “toccare”...
Mia madre non avrebbe retto a tutte quelle notizie e
sarebbe come minimo morta sul colpo.
Avrebbe potuto anche arrabbiarsi tanto, vietandomi
internet e poi dopo aver fatto il proprio lavoro di
mamma sarebbe morta.
In entrambi i casi la situazione non era a mio favore.
Mi alzai e mi vestii solo della maglietta perché le
mutande erano sparite. Mi ricordai di aver visto delle
39
GIGI BONISOLI
mutante stese sul balconcino della cucina.
Feci un gesto nell’aria, anzi molti gesti a Veruska per
spiegargli di non muoversi. Uscii dalla stanza e
attraversai il corridoio scalzo.
Mamma non era uscita dalla sua stanza.
Buttai un occhio in salotto ma i due ragazzi non
c’erano più. Oh cavolo! Li trovai sul balconcino della
cucina che infilavano il nostro bucato in un borsone
che non avevo mai visto.
Appena mi videro cambiarono colore in faccia e a
bassa voce mi accorsi che si dissero qualcosa nella
loro lingua che non conoscevo.
A me servivano le mutande e loro se le stavano,
chissà perché, portando via. Una cosa da matti.
Il campanello suonò di nuovo.
Gli presi la borsa che stranamente trovai pesante;
forse il bucato era ancora bagnato. Recuperai un paio
di mutante e me le infilai guardandoli male.
Per sicurezza li chiusi fuori in balcone. Meglio così;
non avrei saputo spiegarlo a mia madre.
Arrivai alla porta d’entrata. Prima di aprire guardai
nello spioncino chi fosse.
40
LIONARDO
C’era la vicina! Suo marito e due carabinieri. Forse era
una cosa seria, vista anche l’insistenza. Magari c’erano
dei ladri in giro o chissà che.
O peggio volevano parlare con la mamma. Paura!
Mi diedi qualche pizzicotto per far finta di essermi
appena svegliato ed aprii.
Non scrissi niente sulla lavagna in attesa di una
domanda precisa. Questo mi lasciò più tempo per
pensare e difendermi. Ero troppo agitato per
improvvisare.
«Buongiorno ragazzo» disse il carabiniere più alto.
«C’è la mamma?»
Feci gesto con la mano di aspettare e socchiusi.
Dovevo pensare a come far sparire un po’ di persone
perché svegliare mamma in quel momento mi
avrebbe portato solo guai e una serie di spiegazioni
imbarazzanti. Ci voleva fortuna, ma rispettando un
ordine ragionato, pensai, ce l’avrei potuta fare.
Prima di tutto andavano mandati via i carabinieri e la
vicina; poi i due ragazzi e a seguire purtroppo
Veruska. Infine avrei svegliato la mamma e l’avrei
mandata finalmente dalla vicina impicciona.
41
GIGI BONISOLI
Per un attimo mi sentii un generale della marina:
ognuno era al suo posto prima delle grandi manovre.
Fase uno: i carabinieri.
Presi un bel respiro. Preparai sulla lavagnetta la solita
frase: “Mi spiace, mamma sta dormendo. Potete
ripassare fra qualche ora?”
Caricato, motivato e capitano coraggioso aprii la
porta a misi subito in bella mostra il messaggio scritto
con il pennarello.
Volevo chiudere subito ma il carabiniere non si arrese
e mi anticipò: «Vedi, i tuoi vicini sono preoccupati.
Sembra che in giro ci siano due ladri, qui nel vostro
quartiere.
Due
ragazzi
come
te,
facilmente
confondibili per amici. Bisogna stare attenti. Mi
capisci vero?»
Capii benissimo. La vicina non si era fatta gli affari
suoi e aveva chiamato i carabinieri. Ricordai che una
volta la mamma me lo disse: “Non sa più a chi
raccontare i fatti del palazzo. Se potesse andrebbe in
televisione!”
Nella mia testa provai a prendere tempo per dare una
risposta ma non bastò ai signori in divisa.
42
LIONARDO
“La capisco bene signore.” scrissi. “Prima ho
incontrato dei ragazzi ma come vede non ci sono
ora.”
Dissi solo una parte della verità.
Il carabiniere aveva posto troppo presto la domanda a
cui avevo già la risposta giusta. Solo che per essere
vera al 100% dovevo sgombrare casa. Nessuno è mai
stato arrestato per aver anticipato i tempi. O no?
«D’accordo»
disse
il
carabiniere
più
basso.
«Ripasseremo più tardi quando la mamma sarà sveglia
per informarla di queste segnalazioni. Non è
necessario disturbarla adesso.»
Risposi velocemente di sì con la testa e chiusi.
La fase uno sembrò terminata.
La fase due riguardava i ragazzi sul balcone. Dovevo
mandarli via senza farli vedere ai carabinieri o dalla
vicina che l’avrebbe detto a tutto il palazzo.
Preparai un foglio con scritto chiaramente: “Ve ne
dovete andare da qui perché sennò finisco nei guai.
Non fate domande e non fatevi vedere da nessuno.”
Mi sembrò un concetto semplice e assoluto da
comprendere.
43
GIGI BONISOLI
Tornai in cucina con loro che stavano seduti per
terra. Appoggiai il foglio contro il vetro e glielo feci
leggere. Si guardarono un poco e poi risero tra di
loro,
non
dandomi
importanza.
Veramente
maleducati.
Non mi persi d’animo e scrissi altre righe sul retro del
foglio: “Ci stanno fuori la vicina pettegola e due
carabinieri. Se vi vedono sono spacciato!”
In fin dei conti la sincerità paga sempre, pensai.
Lessero il biglietto e smisero di ridere. Addirittura
divennero seri e pallidi.
Chiesero di Veruska.
Gesticolai che ci avrei pensato io dopo.
Non sembrarono contenti ma dopo un breve
consulto incomprensibile dissero che era ok.
Gli aprii la finestra e li feci tornare in cucina; non
prima di avergli fatto ristendere il bucato che si erano
messi in borsa.
Dallo spioncino controllai la situazione.
Sul pianerottolo non c’era nessuno. Li feci uscire e mi
sentii sollevato; non erano più un problema mio.
Mi diressi quindi verso la camera. Anche la fase due si
44
LIONARDO
era conclusa egregiamente.
Mio padre da piccolo mi diceva spesso: «Chi ben
comincia è a metà dell’opera.»
Io essendo a metà dell’opera avrei ben concluso? Mi
dissi di sì.
Trovai Veruska sotto le lenzuola. Non si era mossa
come le avevo detto; era solo appisolata.
Volevo svegliarla come facevano nei film: con un
bacio.
Dato che quel giorno avevo imparato qualcosa ed ero
un po’ più esperto lo feci senza pensarci troppo... e
bacio libellula di nuovo fu.
Lei aprì gli occhi e mi sorrise. Era davvero felice.
Ci furono ancora attimi vicini tra noi; un pomeriggio
di piccole cose che messe insieme per me erano
diventate un universo affascinante che avrei rivisto e
rivissuto in eterno.
Dopo un po’ guardò verso l’orologio e il suo volto si
accartocciò in una smorfia.
«E’ tardi. Non posso rimanere quanto mi pare. Mi
aspettano...»
Quella frase mi gettò nel vuoto. Sapevo che non
45
GIGI BONISOLI
poteva restare; volevo solo un po’ di abbracci, cosa
rara in casa mia.
Ritrovai il block notes per terra e le scrissi che avevo
mandato via i suoi cugini perché era venuta la vicina a
curiosare.
Veruska restò un po’ a pensare.
«Sicuramente saranno andati da... nostro zio diciamo
così. E ora mi starà aspettando coi soldi...»
Si interruppe e fissò il planisfero appeso sopra il
monitor del computer.
«A nessuno dei due capiterà un pomeriggio così... così
ingenuo. Ma sì dai. Restiamo ancora mezz’ora
insieme
a
fantasticare
di
avere
due
vite
completamente diverse, liberi da costrizioni e senza
nessuno che ti impedisca di crescere e ti tratti come
un bonsai!»
Era un discorsone, non c’erano dubbi. Avevo solo
capito che non se ne sarebbe andata e avremmo
avuto altri trenta minuti per noi. Mi bastò quello.
Io pensavo alle cose più disparate, imitando i grandi e
sbracciandomi come se mi lamentassi di ogni cosa
nella stanza.
46
LIONARDO
Lei diceva cose tipo “Oh si certo caro, ti capisco; poi
con il tuo lavoro di manager alla Banca d’Italia questo
è inconcepibile ma se ti dovessi dire la mia la finestra
la farei verso nord. E poi non trovi che il verde
pallido si abbini meglio ai mobili della cucina?”
Passammo quella mezz’ora extra ridendo e giocando
ad essere altre persone, quelle che forse avremmo
potuto essere...
L’idillio finì quando suonò nuovamente il campanello.
Fossi stata una persona volgare avrei aperto
mostrando la lavagnetta con scritto: “Che noia! Ma
non avete niente di meglio da fare oggi?”
Veruska iniziò a raccogliere tutte le sue cose. La bolla
scoppiò e dovemmo tornare alla realtà.
«Non mi cercare più su quel sito, chiaro?» mi disse lei
bruscamente.
Non la presi bene. Perché mi voleva abbandonare?
Non eravamo stati bene noi?
«Devo sistemare un po’ di cose con lo zio. Mi farò
viva io da un altro indirizzo mail o ti verrò a cercare
qui, ma non tornare più sul quel sito. Dammi un po’
di tempo e tornerò. Sembrerò banale ma mi hai fatto
47
GIGI BONISOLI
cambiare idea sulla strada che stavo per prendere.»
Se dice che torna è ok, pensai. Era solo questione di
tempo.
Il campanello suonò di nuovo.
«Vai a vedere chi è Lionardo. Io vado in bagno nel
frattempo.»
Mi infilai i pantaloni della tuta e attraversai il
corridoio mentre sentivo aprirsi l’acqua della doccia.
Dall’altra parte della porta ancora i carabinieri. Aprii
subito per non far suonare ancora il campanello.
«Tutto bene ragazzo? La mamma si è svegliata?»
A quel punto avrei potuto insistere sul fatto che stava
ancora dormendo, non era una bugia, ma quello
basso dei due intervenne: «Ah, si è svegliata!»
Ebbi un brivido, che corse velocemente lungo la
schiena. Mi girai di scatto ma non trovai nessuno.
«Sento l’acqua della doccia» proseguì il bassotto.
«Allora torniamo dopo. Il tempo di un caffè giù al bar
ok?»
Io ero così spaventato che loro intesero i miei scatti
di panico con la testa come un sì.
Se ne andarono. Non avevo dovuto nemmeno
48
LIONARDO
cercare scuse; avevano fatto tutto loro.
A quel punto però dovevo far uscire Veruska
rapidamente, svegliare la mamma e farle fare una
doccia a tutti i costi.
La fase tre si stava complicando ma con un po’ di
fortuna mi convinsi di potercela fare.
Non mi ero ancora spostato dall’entrata che suonò
per l’ennesima volta il campanello. Impossibile che
fossero già tornati i carabinieri.
Controllai
dallo
spioncino:
c’era
un
tipo
abbronzatissimo, con grossi baffi, che indossava una
camicia a fiori aperta che metteva in luce una collana
d’oro e una ricca vegetazione pettorale. Mi ricordò
quell’investigatore privato delle Hawaii che andava in
giro con la Ferrari rossa...
Non conoscendolo feci finta di non esserci e me ne
tornai in silenzio in camera, augurandomi di non
sentire il campanello.
Veruska riapparve.
Era bellissima e profumata e se ne stava per andare.
Ci avviamo per mano verso la porta d’ingresso.
Un
ultimo
bacio
e
poi
49
di
nuovo
le
sue
GIGI BONISOLI
raccomandazioni: «Non mi cercare subito. Sistemo un
po’ di cose e poi torno a trovarti.»
A me scesero dei lacrimoni come erano anni che non
succedeva. Stavo quasi per aprire bocca quando lei
invece aprì la porta.
Con grande sorpresa il pianerottolo non era vuoto:
c’era il tizio peloso che evidentemente non se ne era
andato.
«Ciao Veruska!» disse lui.
«Ciao Raul... zio Raul. Che sorpresa...» balbettò
Veruska.
«Sai, ero in pensiero» disse lui con un ghigno poco
sincero. «Posso entrare?»
A quel punto fu mio dovere intervenire. Mi misi tra i
due facendo con la testa di no.
Lo zio Raul non rimase minimamente intimorito dal
mio gesto protettivo e mi spostò afferrandomi per le
spalle. In pratica si auto invitò ad entrare a casa mia.
Tentai di mandare via Veruska ma senza successo.
«Ma tu sei matto a restare solo con lui. Non sai
nemmeno chi è e di cosa sia capace. Proviamo a
mandarlo via insieme» disse lei.
50
LIONARDO
Insieme! Come mi incantò quella parola.
Lo zio nel frattempo stava girando per il salotto
studiando l’arredamento e gli oggetti presenti. Chiusi
la porta e lo raggiunsi.
«Che ragazzi incompetenti, lo sapevo. Guarda qua
cosa hanno lasciato: un porta capsule in oro.
Dilettanti. Credono che più un oggetto pesi e più
abbia valore e gli verrà pagato. Dovrebbero fare i
robivecchi, non i topi d’appartamento.»
Detto ciò si mise l’oggetto, che apparteneva a
mamma, in tasca.
La cosa non mi piacque molto e mi avvicinai nero in
viso intenzionato di riprendere il porta capsule.
Lui mettendomi un braccio sulla spalla mi fermò.
«Hey ragazzo, mica sto rubando! Sei stato con
Veruska quasi un ora di più? E questo è il prezzo da
pagare. Non credo di essere così ingiusto. Direi che ti
sto trattando bene per il disagio che mi hai arrecato.»
L’idea di mercificazione del mio pomeriggio con
Veruska mi faceva vomitare ma in un certo senso lo
zio Raul disse il vero. Sul sito c’era il prezzo per
un’ora di compagnia ed io me ne ero presi quasi due
51
GIGI BONISOLI
ore. Però si era preso una cosa di mamma e non era
un bene per me.
La fase quattro si complicò e risultò divenire
difficilissima da gestire; avrei dovuto dire delle bugie
colossali per spiegare la mancanza dell’oggetto. Avevo
bisogno di tempo per pensare, quindi iniziai a
camminare avanti e indietro finche risuonò il
campanello.
Raul non rimase contento di ciò; la cosa lo irritò non
poco.
«Non aprire!» disse perentorio. «Aspettiamo un po’ e
poi ce ne andiamo via e la chiudiamo qui».
Restammo immobili e in silenzio per un minuto
eterno.
Il campanello suonò altre tre volte di fila.
Fui sicuro che la mamma si sarebbe svegliata; tanto
valeva arrendersi e confessare tutto ai carabinieri,
quelli che insistevano alla porta. Avevo sentito dire in
televisione che se uno confessava poteva avere uno
sconto, tipo ai saldi. Non immaginavo che punizione
mi avrebbe dato mia mamma ma con lo sconto
sicuramente era meno spaventosa da affrontare e
52
LIONARDO
ricevere.
Rimaneva il fatto che lo zio Raul di aprire la porta
proprio non ne voleva sapere.
Guardando l’orologio in sala mi venne in mente che
era quasi ora di cena e che una scusa plausibile forse
ce l’avevo...
Feci cenno di voler scrivere.
«Che vuoi?» disse Raul.
«Vuole scrivere qualcosa. Lui... non parla, ecco» mi
venne in aiuto Veruska.
«Va bene scrittore. Prendi carta e penna.»
Così scrissi la vera bugia della giornata: “E’ il ragazzo
delle pizze. Avevo ordinato prima che arrivassi. Sono
già pagate. Ritiro e se ne va.”
Si tranquillizzò a quella notizia, tanto che andò lui ad
aprire.
La sorpresa fu moltissima da entrambe le parti!
Da un lato c’era lui che si aspettava un ragazzo con
due pizze. Sul pianerottolo due carabinieri che si
aspettavano un giovane munito di lavagna per
comunicare.
I primi a riuscire a dire qualcosa furono quelli fuori di
53
GIGI BONISOLI
casa, che stranamente avevano in mano il borsone dei
cugini di Veruska.
«Che sorpresa! Raul Vitafresca. Che ci fai tu qui?»
«Ehm, buongiorno maresciallo. Io ero venuto a
trovare un amico in questo palazzo, o almeno
credevo abitasse qui, ma mi sono perso e stavo
chiedendo a questo ragazzo... non è reato no? Se
permettete ora me ne stavo per andare!»
«Aspetta aspetta. Quanta fretta! Giù da basso
abbiamo pizzicato due dei tuoi, diciamo, nipoti. E
nella borsa tenevano cose che penso provengano da
questo appartamento, che oggi è stato un po’ troppo
movimentato.»
«Nipoti? Miei? Ma sono figlio unico, come potrei?»
«Ma come? Tutti questi ragazzi ti chiamano zio Raul;
un legame ci sarà, o no?»
«Mi state accusando di qualcosa?»
«Magari Raul. Però ti trovi sul luogo del reato,
commesso da due tuoi affiliati. Scommettiamo? Ne
parliamo con calma in questura, và».
Durante tutto quel discorso Veruska si avvicinò a me
e mi prese per mano, stringendola.
54
LIONARDO
Quello alto dei due carabinieri entrò in sala con il
borsone. Lo aprì e tirò fuori una cornice in argento
identica alla nostra. Dentro una foto mia e di
mamma.
«Ma tu non hai sentito niente?» mi chiese.
Non risposi; e non solo per il fatto che non potevo
parlare ma, rispetto alla decisione iniziale di
costituirmi, gli ultimi eventi avevano complicato
troppo le idee nella mia testa.
«E la tua amica? Nemmeno tu hai sentito nulla?»
«Oh beh, eravamo in camera... in camera a studiare
con la radio accesa, ecco, quindi...»
«Immagino che siate entrambi un po’ spaventati;
magari dopo in caserma riuscirete a rispondere con
più calma a qualche domanda.»
«Caserma? Perché?!» disse Veruska allarmata.
Il carabiniere basso nel frattempo aveva preso per un
braccio lo zio Raul e lo stava per portare via. A quel
punto mi sbrigai e andai a riprendere il porta capsule
che aveva in tasca. Lo rimisi nella posizione esatta in
cui si trovava. Ci misi un po’ perché cercai di
riposizionarlo esattamente dove era rimasto il segno
55
GIGI BONISOLI
della polvere.
Definii nella mia testa quella fase tre e mezzo. Ormai
potevano svegliare mamma, peggio di così... il
salvabile era stato salvato.
«Bravo Raul. Vedo che ti sei dato da fare qui» disse
quello alto. «Mettiamo a verbale. Ora sei accusato di
qualcosa. Contento?»
Da una tasca l’uomo in divisa fece uscire delle
manette, le mise ai polsi dello zio e lo fece sedere sul
divano.
Veruska era attenta ad ogni parola detta. Sperava non
uscisse nulla che la potesse legare a Raul e ai due
cugini furfanti.
«Come vi chiamate ragazzi?» chiese uno di loro.
«Lui Lionardo ed io Veruska.»
«Veruska! Ce l’ho!» disse il basso.
«Che vuoi dire con Ce l’ho?» fece l’altro.
«Nell’agendina che Raul aveva in tasca. Aspetta che
riguardo...» e sfogliò una piccola agenda rossa.
«Ore 16:30 - Veruska - Via degli Ippoliti 34, interno
3. E’ questo appartamento. E’ una escort!»
Una che? Ma la escort non era una macchina? Ne
56
LIONARDO
aveva una lo zio Davide. Era così vecchia che quando
scendeva dall’auto non la chiudeva mai; era sicuro
non gliela avrebbe rubata mai nessuno.
Veruska invece era giovane e bella, e mai l’avrei
lasciata in strada senza essere sicuro che nessuno
l’avrebbe portata via.
«Giovanotto, ma in che guaio ti sei cacciato?» mi fece
quello alto avvicinandosi minaccioso.
Che cosa potevo rispondergli, anche potendo?
“Agente, ma lei a che età ha toccato il seno di una
ragazza? Era consenziente? O ha dovuto pagare? Ha
mai avuto rapporti difficili con le altre persone? Ha
scelto lei di fare il carabiniere o qualcuno ha fatto in
modo che diventasse l’unica strada da seguire? Ha
realizzato qualche sogno nella vita? E’ soddisfatto di
se stesso? Sente mai il bisogno di risposte? Dorme
solo la notte o in compagnia? Sceglie lei i vestiti o la
segue ancora la mamma? Si sente libero o come in un
vaso? Ce l’ha una casa tutta sua? Quanti amici ha di
preciso? Li vede spesso? Fa la spesa da solo?”
Io non mi sentivo finito in nessun guaio. Mi ero
finalmente tolto un dubbio enorme, una spina, e in
57
GIGI BONISOLI
quei giorni, senza mia mamma a controllarmi, mi ero
sentito bene e più simile ai miei coetanei, addirittura
alle persone in generale. E Veruska, qualunque
modello di auto fosse, fu fondamentale in questo...
«Chiaro?!»
«Come? Puoi ripetere?» mi disse lui.
Io gesticolai un “cosa dice?” ma Veruska con gli
occhi sgranati mi fissò: «Hai parlato Lionardo, hai
parlato!»
Poi mi abbracciò ed io sentii scendere ancora lacrime
sul viso. Scendevano mentre lei mi stringeva e
ripeteva che avevo parlato.
Non passò più di un minuto che suonarono di nuovo
alla porta. Basta! Chi doveva essere ancora?!
Ma chi se ne frega, mi dissi a quel punto.
«Me ne occupo io» disse il basso, e andò ad aprire.
Entrarono in casa altri carabinieri: più alti di quello
alto, più bassi di quello basso, più larghi, più magri,
più uguali. Troppi comunque per mia mamma che già
mi vedevo sulla porta della camera con in mano il
battipanni a mo’ di spada laser.
Il carabiniere basso disse di averli chiamati lui per i
58
LIONARDO
rilevamenti di impronte ed altre cose. Iniziarono a
girare per casa facendo strani rumori con i tacchi delle
scarpe ed ero convinto che avrebbe svegliato
mamma. La resa, insomma, era vicina.
Restammo in salotto finche uno di questi andò a
parlottare con il bassotto. Turbato in viso parlò a
bassa voce con quello alto:
«Porta tutti in caserma e manda qui un’ambulanza,
anche se temo potrà fare poco. In camera fai
chiamare il comandante...»
Il suo sguardo mi colpì ma la voce si fermò.
Ci fecero scendere e salire in una delle loro auto blu
con le luci blu accese. Eravamo stati disposti in
ordine di altezza: io in mezzo, Veruska a destra e lo
zio Raul a sinistra.
Intorno poca gente guardava silenziosa. All’ora di
cena non c’erano molte persone che avevano tempo
da perdere. Osservavano, ci indicavano dietro i
finestrini ma se ne andavano dopo un minuto diretti a
casa.
Passarono dieci minuti poi arrivò un’ambulanza e noi
partimmo lentamente facendoci spazio tra la gente
59
GIGI BONISOLI
intorno. Erano passati un po’ di anni ma fui certo di
aver rivisto la figlia dell’amica di mia madre incontrata
al parco. Era un po’ più alta e con il petto più
sviluppato. Gli sventolai la mano da dietro il
finestrino ma non rispose al mio saluto.
Ci portarono in un posto chiamato caserma, dove si
trovano tutti i carabinieri. C’era anche l’insegna:
Caserma dei Carabinieri. Probabilmente esisteva
anche la Caserma dei Ladri, la Caserma dei Pizzaioli,
la Caserma dei Dentisti, la Caserma dei Cantanti...
L’insegna serviva per non fargli sbagliare caserma.
Aspettammo seduti in una stanza piena di sedie che
correvano lungo le pareti. Era simile alla sala d’attesa
del dottore da bambino. Smise di essere una sala
d’attesa quando un carabiniere mi chiamò per andare
in un’altra stanza.
Il primo sguardo alzandomi andò a Veruska, e fu
come un amorevole abbraccio: intenso e innocente. Il
secondo andò allo zio Raul e fu di schifo e basta.
Nella seconda stanza c’era una radio accesa a basso
volume poggiata su un mobile con cassetti di metallo
grigio, una scrivania così tanto coperta di fogli da non
60
LIONARDO
poterne vedere il colore, un carabiniere in divisa blu
che stava scrivendo qualcosa e molti scaffali, dello
stesso colore del mobile basso, pieni di raccoglitori e
quaderni e fogli impilati e altre cose che non avevo
mai visto prima. Sui muri calendari con immagini di
carabinieri.
I raccoglitori avevano tutti un’etichetta adesiva che
riportava un numero o un’iniziale. Sembravano tante
guide del telefono. Dettagliatissime perché io al
massimo ne avevo viste due: A-L e M-Z.
Probabilmente in ogni caserma i carabinieri dovevano
tenere le pagine bianche di tutta Italia. Forse era il
loro sistema per trovare un ladro o un delinquente.
Ti chiamano a casa o da un amico e se rispondi sanno
che sei lì e ti vengo a prendere.
Mi fecero sedere davanti al carabiniere che scriveva
ma io sentivo il desiderio di alzarmi e cercare alla
lettera “R”. Erre come l’iniziale del cognome del
dottore che se ne era andato con papà. Oltre al
numero ci sarà anche l’indirizzo, pensavo.
Potevo copiarmelo su un pezzo di carta e sarei andato
a trovarli. Erano tanti anni che non veniva a trovarmi
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GIGI BONISOLI
papà... Chissà come era cresciuto anche lui in quegli
anni.
Dovevo solo aspettare che il carabiniere se ne fosse
andato. Lui era lì a guardia degli elenchi telefonici di
tutta Italia ed io avrei colto quel momento per agire.
Mentre aspettavo in silenzio bussarono alla porta ma
non si aprì quella della sala d’aspetto. Da dietro agli
scaffali
apparve
un
altro
ragazzo
in
divisa.
Evidentemente c’era una terza stanza.
«Fabbrì! Vieni di qua un momento.»
Il carabiniere si alzò; restò in piedi senza entrarvi per
potermi controllare, sfortunatamente.
«Dai che sta per arrivare Ralli, che vuoi?»
«In televisione... ci sta il regionale e parlano del
ragazzo.»
Non potevo vedere nulla dalla mia sedia, solo
ascoltare impassibile.
«...qui in via degli Ippoliti 34, al primo piano i
carabinieri avvertiti da una inquilina del palazzo sono
entrati in casa facendo la triste scoperta...»
Addirittura era arrivata la televisione per l’arresto
dello zio Raul.
62
LIONARDO
«...in salotto il figlio ventenne, da solo, sotto shock.
Ma vediamo ora le interviste rilasciate dagli abitanti
del quartiere...»
Da solo? Sotto shock? Chi aveva dato quelle
informazioni sbagliate? Eravamo almeno in tre, e uno
era addirittura un ladro!
«Erano giorni che non la vedevo. Il figlio mi diceva, o
meglio... povero ragazzo, mi scriveva che la madre
dormiva. A me sembrava un po’ strano che dormisse
così tanto. Poi oggi ho visto movimenti di persone
sospette e ho chiamato i carabinieri...»
La conoscevo quella voce: la vicina! Quella pettegola
aveva raccontato quelle bugie per andare in
televisione, come mi avvertii la mamma.
«Non voglio dir niente su... lui è sempre stato
buono... non posso credere che... »
Mi irritai molto. Stava facendo illazioni; del tipo che
ero d’accordo con Raul, o che avevo protetto i due
cugini.
Poi pensai a mia mamma. Perché non era stata
intervistata? Dove era finita? La mia paura fu che
avesse creduto a quelle bugie e si trovasse da qualche
63
GIGI BONISOLI
parte, in lacrime, e che non volesse più vedermi,
convinta ormai dalla vicina di avere un figlio ladro!
La situazione non si presentò delle migliori a quel
punto; non sapevo se mi avrebbero chiuso in cella
con lo zio Raul o con i due cugini di Veruska, ma in
entrambe le ipotesi lo trovai ingiusto. Mi sarei salvato
solo confessando, ne ero sicuro.
Ero perso completamente nei miei pensieri quando
sentii la voce brusca del carabiniere: «Oh!»
Si era riseduto alla scrivania e mi fissava. Dal tono
compresi che anche lui era stato convinto da quelle
bugie e mezze verità dette dalla televisione. Continuò
a compilare le sue carte ma ogni tanto alzò la testa per
controllarmi.
Avrei voluto scomparire come Dorothy nel mago di
Oz. Avessi avuto un paio di scarpe con il tacco come
lei me ne sarei andato davvero. Avrei detto l’indirizzo
di casa, battuto i tacchi tre volte e puff... volato via.
Ricordo che dopo aver visto il film chiesi a mia madre
di comprarmene un paio simile. Lei rise e si rifiutò.
Provai a spiegargli che le avrei usate solo a scuola per
tornare prima a casa ma non ci fu niente da fare. Ero
64
LIONARDO
così affascinato da quelle scarpette speciali che di
nascosto un pomeriggio mi infilai nel ripostiglio e
presi le scarpe di mia madre che più somigliavano a
quel modello. Le misi, feci tutto come Dorothy ma
non successe niente. Crescendo e ragionandoci sopra
capii che le scarpe di mamma funzionavano però
partenza e destinazione erano identiche...
Mi trovavo in quella stanza da quindi minuti quando
entrò un tipo brizzolato con un camice bianco sopra
la divisa. Il carabiniere a guardia degli scaffali si alzò;
lo salutò con la mano tesa sulla fronte e lo chiamò
“Comandante Ralli”.
Il comandante in camice ricambiò il saluto al ragazzo.
Gli chiese di andargli a prendere un caffè e si sedette
vicino a me.
«Come andiamo ragazzo?»
Ciondolai con la testa ad indicare un generico “non
c’è malaccio”. In verità ero nel panico ma volevo
evitare di peggiorare la situazione con domande
stupide quindi preferii la strategia del silenzio per
vedere come evolveva il tutto.
65
GIGI BONISOLI
«Ci sono un po’ di cose di cui dobbiamo parlare. O
meglio... ci sono delle cose che devi ascoltare» mi fece
tutto serio. «Io non so se l’hai capito ma tua mamma
è andata a trovare tuo padre...»
Che notizia inaspettata mi diede l’uomo in camice
bianco! La mamma era andata dal papà. Quindi non
era disperata per me.
Mi avevano detto che papà era andato lontanissimo
perciò era ragionevole credere che la mamma avesse
dormito tutti quei giorni per poter affrontare un
viaggio lunghissimo.
Cercai di non esternare troppo la mia gioia, anche se
volevo piangere di nuovo. Mi trattenni; dopo tutto
avevo deciso di confessare le mie ultime gesta e far
cambiare il giudizio mostruoso della televisione.
«Però non sei rimasto solo» proseguì. «Ci stiamo
muovendo per trovarti una sistemazione idonea.»
Quelle parole risuonarono nella mia testa poco chiare.
Istintivamente rubai carta e penna dalla scrivania e
scrissi “casa mia?”
«Purtroppo no. Non puoi tornare a casa tua. Dopo te
lo spiegherò meglio. Adesso vorrei chiederti se ti
66
LIONARDO
ricordi tutto quello che è successo con lo zio Raul?»
Feci cenno di sì con la testa. Era il momento della
confessione.
«Proprio tutto? E’ importante questo per me.»
Basta bugie, mi dissi. Ribadii fortemente di sì.
«Ok...»
commentò
pensieroso.
«Ti
spiego
sinceramente come stanno le cose. Sei un ragazzo più
sveglio di quello che il servizio in televisione voleva
far credere. Come te... anche altre persone sono
uscite con ragazze, nipotine diciamo, dello zio Raul.
Per non creare imbarazzo ad alcune persone che
conosco, sarebbe bello che Raul non venisse messo
sotto i riflettori, ma se né possa andare, dopo un bel
richiamo ovviamente, via per la sua strada. E’ chiaro?»
Ciondolai poco convinto, sforzandomi di esprimere
un sì ma non era chiaro il perché. Aveva rubato, non
era una persona così onesta che gli sarebbe bastato un
bel richiamo. Perché voleva lasciarlo andare via? Chi
erano queste persone?
«Vedi, se lo zio dovesse raccontare ad alcune persone
del tribunale quello che sa o del perché fosse a casa
tua, c’è il rischio che parlando di oggi metta in una
67
GIGI BONISOLI
brutta situazione la tua amichetta Veruska. Credo che
se ci dimenticassimo dello zio Raul tu e lei avreste
ottime possibilità di rivedervi altre volte senza
problemi... garantisco io per voi. Ora è più chiaro il
discorso Leonardo?»
Provai a ragionare sulla situazione.
Mi venne in mente un film dove al poliziotto
protagonista avevano fatto cadere addosso le accuse
di un delitto, rapito la moglie e il delinquente dall’altra
parte del telefono gli faceva un discorso simile e lo
chiamava ricatto!
“Se vuoi rivedere Veruska viva mi devi consegnare la
valigia con il plutonio. Hai quattro minuti da ora per
decidere.”
Solo che io ero da solo, non avevo un arsenale di
armi, non avevo un fuoristrada con il carburante
inesauribile in cui barricarmi e pensare ad un piano.
Quante sfide dovevo affrontare quel giorno? Ero solo
contro lo zio Raul e un comandante in camice
bianco...
Veruska però era la cosa a cui, in quel momento,
tenessi di più. Perciò dimenticarmi di alcune cose di
68
LIONARDO
quella giornata mi avrebbe messo nella condizione di
non dover più confessare ciò che era successo e di
andarmene con Veruska.
Chiarito a me stesso che non ero un super poliziotto
“difendi onore e famiglia” ma solo famiglia, accettai
di sorvolare sull’incontro con lo zio Raul.
«Bravo Leonardo!» fece il comandante soddisfatto.
«Vedrai che è la scelta migliore e te ne accorgerai
presto. Ora quando tornerà il ragazzo in divisa ti farà
un po’ di domande a cui dovrai rispondere. Rispondi,
o meglio scrivi, solo a quelle dove non si parla di Raul
e sarà dimenticata questa storia. Terminata questa
formalità burocratica verranno altre persone col
camice e ti porteranno nella tua nuova casa, che io
personalmente seguo. Di fronte ad essa ci sarà un
altro edificio e farò mandare lì Veruska così potrete
vedervi tutti i giorni nel parco comunicante. Credo vi
troverete bene. Intesi allora?»
Accennai di sì.
«Sono contento. Ora vado a parlare anche con
Veruska e gli dirò che tu sei già d’accordo» e se ne
andò.
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GIGI BONISOLI
Il carabiniere dall’altra parte della scrivania rientrò
nella stanza, mi fece una serie di domande su me e su
quella lunga giornata. Sembrava sapesse molti più
particolari di me. Evidentemente prima della
televisione la vicina di casa era stata intervistata dai
carabinieri altrimenti certe cose non le potevano
sapere.
Io mi limitai a scrivere sì o no.
Quando terminò di compilare il foglio il ragazzo me
lo fece firmare e disse di aspettare; dopo cinque
minuti mi sarebbero venuti a prendere. Detto ciò se
ne andò anche lui, finalmente!
La fortuna mi aveva raggiunto.
In quei cinque minuti da solo avrei potuto cercare
nelle guide telefoniche riservate ai carabinieri il
numero del dottore con cui era scappato papà.
Mi lanciai nella ricerca e trovai il raccoglitore con la
lettera “R”. Trovai un’intera pagina di persone che si
chiamavano Rinaldi come il logopedista. Però non
ricordavo il suo nome di battesimo. Così, preso dalla
paura di farmi scoprire a trascrivere tutti i numeri e
non portare a termine la mia missione, strappai tutta
70
LIONARDO
la pagina e me la nascosi piegata in un calzino.
Appena mi sedetti entrarono due tizi in camice
bianco ma senza divisa dei carabinieri sotto. Alle loro
spalle vidi il comandante sorridente e soddisfatto che
rideva ma nella sala d’aspetto Veruska non c’era più.
Mi fecero uscire dalla caserma e salire su una
macchina.
Mentre stavamo uscendo dal piazzale mi girai indietro
e nel buio intravidi lo zio Raul che stringeva la mano
al comandante. Forse aveva più cose da nascondere
quello col camice che quello con le ragazze su
internet.
A me non interessò più molto tutta quella storia. Mi
stavano portando fuori città, verso un posto ignoto
ma dove mi avevano promesso avrei rivisto Veruska,
e mi andava bene così.
Durante il tragitto ripensai alla sensazione che ebbi al
momento di dovermi separare da lei a casa.
E sentii per la prima volta quella che chiamano
solitudine.
Prima non ero mai stato con nessuno; ero solo e
basta quindi solitudine era un concetto che esisteva
71
GIGI BONISOLI
per gli altri ma non per me perché non aveva
precedenti. Nel momento, però, che mi stavano per
dividere da Veruska provai il vuoto, una voragine nel
petto e nello stomaco, e la brutta sensazione anzi la
brutta scoperta di essere solo. Ed io non lo volevo
più esserlo...
Dopo mezz’ora di automobile arrivammo presso una
villa grandissima con un parco enorme e di fronte un
altro edificio come aveva promesso il comandante.
Entrammo da un grande cancello in ferro battuto e
percorremmo un viale in ghiaia; le ruote facevano un
buffo rumore.
Chissà quanti sassi si incastrano tra i solchi nel
battistrada, mi dissi. Doveva esserci una persona
destinata a toglierli dalle gomme, altrimenti dopo un
po’ le macchine che ci passavano si sarebbero portate
via tutti i sassolini.
Ci fermammo e mi fecero scendere.
Da una parte c’era una piccola scalinata con due
scivoli laterali che permettevano di entrare nella villa;
dall’altra parte l’accesso al parco.
Guardai per vari secondi in mezzo al verde. Era buio
72
LIONARDO
in cielo ma c’erano dei riflettori tipo quelli da stadio
che illuminavano benissimo. Nel prato comunicante
tra i due edifici c’erano siepi, piante, fiori e panchine.
Era più grande e pulito del parco dove mi portava la
mamma di solito.
A scorgere bene vidi anche delle persone: un gruppo
di ragazze.
Sentii dentro di me qualcosa che mi spingeva ad
andare da loro.
Mi girai a guardarmi dietro ma i due tizi in camice
non c’erano più. Mi feci forza e camminai verso quel
gruppetto.
Avvicinandomi vidi Veruska. Lei vide me e fu una
scossa.
Si alzò dalla panchina dove si trovava e accelerando il
passo in pochi secondi ci trovammo di nuovo
abbracciati.
Non riuscimmo a dire nulla. Eravamo ancora insieme
ma catapultati in un nonluogo e non sapevo se fosse
l’inizio o la fine.
Dentro di me percepii il cuore battere forte ed urlare:
“Veruska ti amo, Veruska ti amo tutta, Veruska non
73
GIGI BONISOLI
mi lasciare, Veruska noi staremo sempre insieme.
Vedremo nascere il sole e poi tramontare. Vivremo di
tutto quello che vorremo. Veruska io ti amo e questo
ti basterà oggi e per sempre. Veruska chiedimi tutto e
lo avrai, cambierò per te...”
«Veruska io...»
Parlai, per la seconda volta in un giorno. Me ne
accorsi distintamente anche io. Dopo più di dieci anni
che non lo facevo. Stava cambiando qualcosa in me?
L’emozione fu fortissima.
Prima di svenire lei mi sorrise e mi diede un bacio.
Poi scivolai indietro nel buio e la sua voce ovattata in
lontananza chiamava: Lionardo, Lionardo...
«Leonardo!»
Aprii gli occhi di colpo ma senza muovermi.
Era uno dei due tizi in camice che cercava di destarmi
dal torpore.
«Leonardo, ci siamo. Sono tutti a cena. E’ il momento
di fare la telefonata!»
Io sollevai lentamente il busto guardando il ragazzo
davanti a me che parlava e non capivo cosa stesse
intendendo. Un momento prima ero tra le braccia di
74
LIONARDO
Veruska e un attimo dopo ero in un letto, tipo quelli
di ospedale, con uno che mi svegliava per fare una
telefonata.
Perché tutto mi sembrava così difficile da capire?
«Leonardo alzati. Devi cercare tuo padre. Prendi la
pagina con la lista di nomi e proviamo a chiamare!»
A quel punto ricordai gli ultimi eventi: avevo
conosciuto Veruska, suo zio - un poco di buono, ero
stato dai carabinieri, mi avevano ricattato e corrotto,
gli
avevo
sottratto
informazioni
riservate
-
pareggiando il conto - e mi avevano trasferito fuori
città, lontano da casa mia. La mia missione era
rintracciare mio padre, ed eventualmente mia madre;
del logopedista non me ne importava nulla. Trovare
anche mia madre dall’altra parte del telefono non era
certo. Tutto stava a quanto distavano le due case e
con che mezzo mia madre, finalmente svegliatasi, ci
andò. Questo andava tenuto presente perché nel caso
avessi ritrovato mio padre, avrei potuto chiedergli di
passarmi mamma
oppure
fargli
una
sorpresa
accennando del suo arrivo imminente.
Mi alzai e mi chinai per rovistare nel calzino. Trovai il
75
GIGI BONISOLI
foglio preso nel raccoglitore dei carabinieri.
Non ebbi il tempo di chiedermi: “E ora?”
Il tizio col camice mi prese per un braccio alzandomi
dal letto e si fermò sull’uscio della stanza. Mise la
testa fuori dalla porta e guardò prima a sinistra e poi a
destra.
«Via libera.»
“Per dove?”, mi domandavo.
Uscì dalla stanza ed entrò in un locale con dei
finestroni di vetro molto simili ad una portineria.
Nell’angolo basso un cartello: Portineria.
Dentro vidi il tizio che teneva in mano una cornetta
del telefono e mi esortava a muovermi.
Iniziai a sudare freddo. Respirai e corsi dentro il
locale portineria con la paura che, mentre avrei
attraversato il corridoio, dei Vietcong sarebbero usciti
fuori da ogni parte sparandomi! In fin dei conti io
avevo dato al comandante in camice bianco la
valigetta col plutonio; lui mi aveva ridato viva
Veruska ma non accennò mai al fatto che avremmo
potuto farla franca in quanto testimoni... non avevo
abbastanza esperienza come super eroe.
76
LIONARDO
Mi feci coraggio e attraversai il corridoio di corsa.
Sopravvissi a sorpresa.
Tremante stesi il foglio sul tavolo e cercai di
focalizzare numeri e nomi: Rinaldi Antonio - Milano;
Rinaldi Carlo - Genova; Rinaldi Rinaldo - Torino;
Rinaldi... e via leggendo.
Quale chiamare?
Inutile starci a riflettere. Ne conoscevo solo uno,
nascosto in quell’elenco. Notai che alcuni avevano
una piccola croce a fianco. Scelsi il primo della lista
senza croce.
Le dita tremavano.
Stavo per cominciare a digitare il numero quando il
tizio mi fermò:
«Aspetta, inseriamo il vivavoce!»
Acconsentii.
Leggermente stordito dall’adrenalina venne premuto
il tasto del vivavoce che non sapevo cosa significasse
ma per uno che parlava raramente suonò come
magico!
Il tizio guardò dalla porta in corridoio incitandomi a
telefonare.
77
GIGI BONISOLI
Digitai il numero di Rinaldi Giampietro e restai in
attesa qualche secondo.
«Pronto?»
...
«Pronto?!»
...
Il tizio alla porta corse verso l’apparecchio in mio
aiuto.
«Pronto, c’è il papà di Leonardo?»
«Ancora! Ma quando la smetterete con questa storia.
Non c’è nessun papà di Leonardo!»
«E’ sicuro? Perché qui c’è Leonardo.»
«Lo so, è da settimane che mi tormentate. Leonardo
fattene una ragione. Qui non c’è tuo padre. State
esagerando!»
Dall’altra parte del mondo misero giù.
Il tizio in camice mi guardò con sguardo sconsolato.
«Non ti preoccupare. Domani proviamo con quello
successivo, ora è meglio andarsene.»
In quel momento passò davanti al vetro un gruppetto
di persone che irruppe nella stanza.
«No... ancora!»
78
LIONARDO
«Direttore, le posso spiegare» fece una donna che
poteva avere l’età di mia mamma, anche se non le
somigliava per niente.
«Infermiera, basta scuse! Sono mesi che questi
pazienti si prendono gioco di voi. E poi mi dica lei
come fanno a recuperare sempre la lista?»
«Veramente la rifanno ogni volta... la sanno a
memoria. E anche noi, converrà, la parte la
conosciamo bene.»
«Cosa sta farneticando?»
«Direttore questi pazienti si sentono vivi solo
ricostruendo ogni giorno la storia che racconta
Leonardo. E nessuno ormai sa più se sia del tutto
inventata o parzialmente vera o follemente genuina...
A loro piace così, e anche a noi... ogni tanto serve
così. E’ l’unica cosa che dà un po’ di speranza e fa
dimenticare cos’è questo posto.»
«Ma noi non dobbiamo dimenticare chi siamo, quello
che dovremmo rappresentare.»
«Per chi?! Per noi stessi? Per la società? Per lo stato?
Per i parenti di quelli relegati qui? Non basta pagare
per cambiare le cose ma è un’abitudine di molti
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GIGI BONISOLI
pagare per dimenticare di avere...»
«Un matto in famiglia?»
...
...
«Sa quale è la parte più bella della storia di Leonardo?
Che sta realmente cercando di mettersi in contatto
con il mondo esterno. Sta tentando davvero di
telefonare alla sua famiglia; la stessa che l’ha portato
qua solo perché diverso da come la società vorrebbe
una persona, o perché solo impreparati.»
«E una volta che ci riuscirà cosa succederà? Si sentirà
meglio o peggio?»
«Nascosta nella sua storia c’è un'altra verità. Una cosa
che Leonardo non vuole ammettere. Anche volendo
non può succedere... e cioè che non li troverà,
direttore.»
«E allora che senso ha?»
«Se fossi pazza e non me ne rendessi conto il mio
problema non sarebbe con me stessa ma lo
diventerebbe il mio rapporto con gli altri. Finirei a
farmi domande continuamente, a chiedermi perché
sono qui, perché sono sola, dei perché su troppe cose.
80
LIONARDO
Quindi uno si costruisce un sogno, una speranza per
il futuro, seppur vissuto come lontano, che può
essere domani.»
«In un futuro impossibile, infermiera. Se non c’è
nessuno dall’altra parte del cavo che futuro è?»
«Un futuro sbagliato, è vero. Quelli che rispondono al
telefono non sono le persone che Leonardo cerca ma
sono reali. Quelle sbagliate ma reali. E perciò c’è la
possibilità di un altro numero da comporre tenendosi
aggrappati ancora ad una speranza. Quanti fanno la
scelta
sbagliata
perché
non
avevano
un’altra
possibilità? C’è chi si sposa per uscire di casa. C’è chi
fa figli per mantenere in piedi una storia. In guerra
devi uccidere per non morire. I ragazzini fumano e
bevono già a dodici anni per sentirsi accettati dalla
loro compagnia di amicizie o presunta tale. Lei
vorrebbe togliere a Leonardo la speranza di sbagliare
numero di telefono e credere che la sua famiglia sia
ancora la fuori che lo aspetta?»
«Io non so cosa credere ormai. Da quando sono qui
niente è come doveva essere.»
«Lei è troppo ragioniere e razionale. Chi l’ha messa
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GIGI BONISOLI
qui lo sapeva e ha confidato in queste sue doti per
trasformare tutto in numeri e rientrare dai costi.
L’astrazione dei numeri per vincere sull’irrazionalità
della mente umana!»
«Siamo un istituto medico di categoria tre!»
«No, siamo il rifugio per amori non corrisposti, non
compresi, troppo forti!»
«Ora non li difenda gratuitamente!»
«Vede, anche lei li sta colpevolizzando di essere
troppo amore; di essere senza filtri, di non attenersi
alle regole.»
«Lei però li sta giustificando e trasformando in eroi.»
«Voglio riportarli alla normalità. Farli vivere nella loro
dimensione».
«Ma è pericoloso. Se non hanno più filtri alcuni eventi
potrebbero essere traumatici o riflettersi contro gli
altri.»
«Guardi che se un essere umano viene abbandonato
dalla persona amata non è meno instabile. Quando
una madre perde un figlio la rabbia che la pervade
non è superiore a quella di chiunque altro e perciò
pericolosa?»
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LIONARDO
«Basta con questa retorica! Ne ho abbastanza. Qui
applichiamo un metodo scientifico al problema.»
«Ha ragione... è inutile discuterne ancora. Lei lo
chiama problema, io le chiamo persone. Buona notte
direttore. Porto i pazienti a letto e mi ritiro!»
Se ne andarono tutti.
Sul tavolo rimase un block notes.
C’era anche una penna, accanto.
Io...
Io avevo un modo strano di dire le cose: lo facevo
scrivendo!
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Ringraziamenti
Grazie a chi ha dato spazio nella propria vita a questa
storia, a tratti vera a tratti immaginata.
Un pensiero a chi aspettava di leggere qualcosa di mio
da un po’ e mi ha visto cadere e poi rialzarmi nel
frattempo.
Un ringraziamento particolare a Valentina Stangherlin
e Mayde Trinchera che mi hanno letto, corretto,
consigliato, criticato, incitato e insegnato.
Mi scuso con tutti per gli errori di battitura rimasti.
Infine grazie a chi mi ha fatto smettere di piangere.
Tra sorrisi (passato)
e saluti (presente)
ci abbracceremo (futuro)
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SE IL LIBRO TI È PIACIUTO SAPPI CHE L'EDIZIONE
CARTACEA DI QUESTO EBOOK È ACQUISTABILE SU
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