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Ritratti
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Welcomee
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Prefazione
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R
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itratti di primavera è la rappresentazione delle
ragazze nel momento del cambiamento. Temporali
primaverili, che hanno come caratteristica l'oscurarsi
immediato del cielo, la rumorosità del loro esplodere, la
violenza e l’intensità dei fulmini, i venti freddi e taglienti, la
loro breve durata fa si che poi i colori divengano limpidi ed
appaiano arcobaleni cristallini.
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Affrontare un argomento così complesso e
trasversale come il fenomeno della prostituzione, o meglio
ancora della tratta a scopo di sfruttamento sessuale, oggi
appare quanto mai difficile. Fino a qualche anno fa la
presenza di “merce umana” sulle strade risultava
preponderante rispetto ad altre formule di “servizio”: si
assiste, ormai, ad uno spostamento verso l'interno, verso i
luoghi chiusi (night, case d'appuntamento ecc.) che rendono
ancora più complesso l'analisi effettiva della situazione.
L’esperienza che segue è il frutto di un progetto
nato un anno fa grazie all'intervento del Comitato di
Gestione del Fondo Speciale Regionale per il Volontariato
che ha creduto possibile intervenire positivamente per lo
sviluppo di una azione a favore di donne vittime di
sfruttamento. Il progetto prevedeva, e prevede tuttora,
l'attivazione di alcuni programmi sociali: dalla fuoriuscita
dalla condizione di asservimento all'ingresso in una
comunità di accoglienza fino alla completa autonomia.
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Non riteniamo di poter essere esaurienti, né
tantomeno riuscire a dare una linea di pensiero rispetto
all'ordine delle cose o alle modalità operative ideali, anche
perché reputiamo non esistano, ma solo di portare un angolo
di luce su un'esperienza. Esperienza che rischierebbe di
restare relegata al fare quotidiano di chi lavora per aiutare
senza mai quasi avere il tempo di soffermarsi a guardare
quanta strada è stata fatta e quanta è ancora da percorrere.
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Sommario
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Profilo dell’Associazione
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Il fenomeno
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Dati sull’accoglienza
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Partner di progetto
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Modalità di intervento
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Modello operativo
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Ritratti di primavera
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L’Associazione Welcome
L'Associazione Welcome nasce dall'incontro di persone che
da anni lavorano nello specifico della tratta a scopo di
sfruttamento sessuale. Nasce dalla consapevolezza che
bisogna ragionare in un'ottica di progettualità per essere in
grado di dare una risposta coerente e funzionale alle
richieste di chi decide di uscire da una condizione di
sfruttamento. Nasce dalla coscienza che non sono sufficienti
sensibilità e buona volontà, ma occorrono professionalità e
metodo. Per tali motivi, l'Associazione Welcome è composta
principalmente da persone che, oltre a possedere un
profondo senso del rispetto della dignità umana, hanno una
storia ed un background personale che ne fanno dei
profondi conoscitori del fenomeno. Per questa ragione
l'Associazione Welcome ha costruito una rete di relazioni
con enti ed organizzazioni per portare avanti progetti
multiassociativi per rispondere con forza ed in sinergia su
una pluralità di problematiche.
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Finalità dell’Associazione
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Lo scopo principale dell'Associazione è fornire gli strumenti
indispensabili per favorire i percorsi di fuoriuscita dalle
condizioni di asservimento delle donne straniere vittime
della tratta a scopo di sfruttamento sessuale. Così come
previsto dall'Art. 18 del T.U. sull'immigrazione. A tale fine è
stata prevista la possibilità di attuare accoglienze a livello
familiare su diverse strutture medio - grandi per favorire
l'acquisizione di una completa autonomia gestionale.
Vengono attuati percorsi individualizzati secondo le
necessità di ogni ragazza: apprendimento lingua, sicurezza
personale, scolarizzazione, assistenza per figli a carico,
assistenza psicologica, specialistica, sanitaria. Il percorso
procede in tre fasi: casa di fuga (10-15 giorni), prima
accoglienza (5-6 mesi), seconda accoglienza (5-6 mesi).
Sono state realizzate collaborazioni con diversi enti ed
associazioni per favorire l'ingresso nel mondo del lavoro ed
una piena integrazione a livello sociale, scolastico e
formativo. La collaborazione con questure ed organi delle
forze dell'ordine è quanto mai stretta proprio per permettere
da un lato la protezione delle ragazze e dall'altro, tramite la
denunce da parte delle vittime, fornire uno strumento alle
istituzioni per arginare il fenomeno.
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Il fenomeno della riduzione in schiavitù
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I
l fenomeno della tratta ha raggiunto dimensioni
spaventose. I dati dell'Anti-Slavery International parlano
di 200 milioni di schiavi, tra donne e bambini, quasi 18
volte più dell’intera tratta di schiavi dall'Africa nei secoli
scorsi. Nonostante oggi non sia più legittimata alcuna forma
di schiavitù, in molte aree del mondo si manifestano ancora
fenomeni di brutale sfruttamento nei confronti di quote
sempre più consistenti di persone, per lo più collocate nella
fascia sociale di povertà assoluta.
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A riattualizzare il discorso intorno alla riduzione in schiavitù
e servitù, che insieme costituiscono una grave violazione dei
diritti fondamentali delle persone, hanno contribuito una
serie di fattori che interagendo tra di loro hanno determinato
il passaggio dalla forma di sfruttamento di tipo tradizionale
a quella delineatasi in tempi recenti, in particolare la tratta di
donne e minori a scopo di sfruttamento sessuale.
Sicuramente lo scenario economico attuale, caratterizzato
dalla mondializzazione del sistema capitalistico e dalla
globalizzazione del mercato del lavoro, ha offerto il terreno
ideale per l'instaurarsi della fiorente industria dello
sfruttamento schiavistico, la cui attività è quasi sempre
legata a potenti organizzazioni criminali.
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A ciò si aggiunge l'esplosione demografica che ha interessato
il dopoguerra e che ha fatto notevolmente aumentare l'offerta
di potenziali schiavi e, nel contempo, ne ha abbassato il
prezzo. Con l'accrescere dei differenziali di sviluppo
economico e politico tra diversi paesi, è anche
inevitabilmente aumentata la necessità per milioni di persone
di concretizzare un progetto di vita che le porta a ricercare
migliori condizioni di vita la di là dei confini del proprio
paese. Infatti la diffusione dei movimenti migratori in aree
del mondo prima mai interessate da questo fenomeno è
sicuramente uno fra gli scenari più importanti per la
questione della tratta di esseri umani. Uno dei processi che
si configurano è quello dello spostamento del soggetto
“trafficato” da un paese all'altro e il suo ingresso illegale nel
paese di destinazione.
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A gestire questo processo sono le organizzazioni criminali
alle quali gli stessi potenziali migranti si rivolgono per
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chiedere aiuto, instaurando così il meccanismo del debito
contrattuale che li conduce allo sfruttamento e asservimento.
Il meccanismo del debito contrattuale è oggi uno degli
strumenti più utilizzati, soprattutto nel traffico di donne da
destinare alla prostituzione.
75
Il persistere non solo di forti disuguaglianze politiche ed
economiche, ma anche di modelli culturali e relazioni sociali
in cui è contenuta una sorta di legittimazione condivisa allo
sfruttamento di donne e minori nel mercato del sesso,
rappresenta la causa di maggiore esposizione delle persone
al rischio di divenire vittime di trafficanti, e richiede quindi
un intervento anche nelle aree di partenza che porterà ad una
presa di coscienza sui diritti umani. Secondo stime recenti
gli immigrati clandestini che vivono all'interno dell'Unione
Europea sarebbero tra i 3 e gli 8 milioni e l'industria del
sesso, che nel mondo contemporaneo ha raggiunto
dimensioni superiori a quelle del traffico di droga, seconda
solo a quello delle armi, vedrebbe coinvolte un numero di
ragazze che potrebbero raggiungere le 500.000 unità.
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È da tenere in considerazione anche il fatto imprescindibile
che l'esistenza di una “offerta diffusa” è determinato in
prima istanza da una “domanda alta” da parte dei paesi
occidentalizzati. I dati concordano che solo in Italia, tra
frequentatori abituali e saltuari, ci sono circa 9 milioni di
clienti, praticamente 1 uomo adulto su 5.
E tale domanda investe trasversalmente tutte le fasce sociali
ed economiche, senza distinzione. Interrogarsi circa
l'esistenza di questo “bisogno” è uno dei fattori da tenere in
considerazione per affrontare questo fenomeno.
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Non è possibile, tuttavia, ridurre l'analisi alle problematiche
psicologiche, sociali e relazionali, ma è altresì vero che
occorre procedere a una rivisitazione degli aspetti culturali
della nostra cosiddetta “società civile” che permette, e anzi
sviluppa, il permanere di una situazione di sfruttamento o
asservimento dell'altro.
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Dati sull’accoglienza Apr 00 - Nov 02
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Situazione
Accoglienza
(Apr 00 - Nov 02)
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Interventi operativi
(Apr 00 - Nov 02)
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Obiettivi raggiunti
(Apr 00 - Nov 02)
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Partnership, Convenzioni e Collaborazioni
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Comune di Fontanelle (TV):
attuazione di borse lavoro; inserimento lavorativo in
accordo col Ministero del Lavoro e l'Associazione
Piccoli Industriali; accompagnamento in autonomia in
accordo con l'art. 16 della Legge quadro 40 (Testo
Unico sull'immigrazione);
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Centro Veneto Progetto Donna:
consulenza e sostegno psicologico;
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Convenzione con i Comuni di Padova, Abano terme (PD),
Limena (PD);
Associazione LULE di Abbiategrasso (MI):
percorsi di uscita dalla strada;
Progetto regionale Veneto, legge del 11 agosto 1991 n° 266
art. 6, avente fine di far fronte ad emergenze sociali, nonché
di favorire l'applicazione di metodologie di intervento
particolarmente avanzate;
Gruppo Network Service (affiliato CONFINDUSTRIA):
consulenza, formazione e inserimento lavorativo;
Associazione ON THE ROAD di Teramo:
progetti di intervento sul fenomeno della tratta;
Convenzione di tirocinio e formazione e orientamento con
Università degli Studi di Padova;
Questura di Padova:
Cooperazione su emergenza sociale e attivazione di
programmi di inserimento sociale;
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Collaborazione con ASL di Pavia.
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Modalità di intervento
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L
a politica dell'Associazione Welcome parte dalla
considerazione che la tratta di donne e minori a scopo
di sfruttamento sessuale va concepito come un
fenomeno e non come un problema: un fenomeno che tocca
una molteplicità di aspetti, che spaziano dall'immigrazione
all'emarginazione e alla criminalità. Ma si può parlare di
fenomeno anche sulla base dei numeri, che parlano di nove
milioni di clienti all'anno e che testimoniano la bilateralità
del problema tra domanda (cliente) e offerta (prostituita). A
dare risposta a tale fenomeno non devono più essere quindi
solo gli Enti Locali all'interno del cui territorio si svolge il
mercato della prostituzione, ma anche tutti gli Enti Locali
apparentemente non interessati, in quanto “la domanda”
proviene indistintamente da tutto il territorio. Occorre dare
una risposta non più in termini di micro-collaborazione e di
solidarietà, ma di impegno politico e reperimento di una
pluralità di linee d'azione sinergiche ed integrate con cui
intervenire sia sulla domanda che sull'offerta. Grazie a
questo modello d'intervento, auspichiamo, da un lato, di
iniziare a scalfire un modello culturale, sotterraneo ma
diffuso, che ci appare come un ammortizzatore sociale,
secondo cui tutto (incluse le relazioni e l'affettività) è
mercificabile e, dall'altro, tali strategie hanno trasformato
spesso quella che era una situazione di asservimento in una
risorsa produttiva integrata per il nostro Paese.
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Il significato dell’accoglienza
Accostarsi l'uno all'altro, come due individui
diversi che si realizzano consapevolmente
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E' l'esperienza che genera AUTONOMIA che ogni persona
può costruire da sé attraverso un PERCORSO A TAPPE,
che si sviluppa nella SODDISFAZIONE disinteressata,
seria, amicale, come in un grande GIOCO dove l'importante
è partecipare. È il gioco stesso della VITA che si realizza nel
suo manifestarsi, attuando la propria potenzialità.
Questo gioco, che è l'accoglienza, è un'esperienza che
concilia le nostre contraddizioni perché coscientemente sa
gestire una REALTÀ AMBIVALENTE, conciliando:
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! SEPARATEZZA e COMUNITÀ
! UGUAGLIANZA e DIVERSITÀ
! SERVIZIO e BISOGNO
! DENTRO e FUORI
L'Io individuale realizza il TUTTO, cioè l'UMANITÀ
Il percorso d'accoglienza
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Il Percorso di accoglienza di una donna fuoriuscita dal racket
segue molteplici tappe:
! Casa di fuga: una volta che la situazione individuale
della persona da accogliere è stata segnalata (dalla stessa
interessata, dalle forze dell'ordine, dai servizi sociali o da
associazioni partner), è prevista una prima fase in una
casa di fuga (5 - 7 giorni), in cui è possibile verificare
l'effettiva volontà di cambiare vita.
! Prima accoglienza: dopo la valutazione positiva della
richiesta di accoglienza, avviene l'inserimento in una
Casa di Prima Accoglienza. La Casa è strutturata secondo
un modello di sistema familiare e prevede 6 posti letto
più 1 posto letto di emergenza.
L'inserimento della nuova accolta nel sistema familiare
avviene secondo le seguenti fasi:
1 Ambientamento alla casa e alle sue regole di
convivenza. (tempo: 15 giorni).
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2 Elaborazione del progetto individuale.
Punti salienti di questa fase sono:
- creazione di rapporti di fiducia con gli operatori, che
consentano una rielaborazione della propria
esperienza personale e del lutto affettivo.
Acquisizione da parte degli operatori di conoscenze
della storia individuale della ragazza, al fine di
stimolare il confronto interpersonale e di individuare
eventuali forme di sostegno psicologico esterno,
anche rispetto alle difficoltà legate alla denuncia e al
procedimento giudiziario che la ragazza dovrà
affrontare;
- attribuzione di senso di responsabilità nella gestione
della Casa;
- definizione concordata del proprio progetto personale
verso l'autonomia, con contestuale definizione di
percorsi di scolarizzazione o di formazione lavorativa
ed eventuale successivo primo inserimento nel mondo
del lavoro.
! Seconda accoglienza: la permanenza in un nucleo di
seconda accoglienza è finalizzata alla prosecuzione e
conclusione del processo verso l'autonomia, con
continuità relazionale con gli operatori della prima
accoglienza.
Accedono alla seconda accoglienza, secondo una
valutazione effettuata dai Responsabili della prima
accoglienza, le persone che si trovino in una condizione di
semi-autonomia, cioè che:
1 abbiano acquisito, secondo una valutazione concordata
con gli operatori, gli strumenti linguistici e di
autoconsapevolezza necessari per il perseguimento
degli obiettivi personali prefissati.
2 Siano in uno stato avanzato nel processo di
regolarizzazione (in possesso del permesso di soggiorno
o in imminente attesa di ottenerlo).
3 Siano in una condizione lavorativa che consenta una
partecipazione al proprio sostentamento.
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Modello operativo e di conduzione
della comunità di accoglienza
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!
rincipio basilare da cui prende costruzione il modello
è quello sistemico familiare. Tale modello permette
il raggiungimento di diversi obiettivi:
generale: favorire l'acquisizione di un'autonomia
economica, di un riconoscimento giuridico e l'inserimento
sociale delle donne vittime di tratta a scopo di
sfruttamento sessuale.
strategici: favorire percorsi di crescita e di sviluppo
personale attraverso l'inserimento in un sistema familiare
di convivenza quotidiana, la rielaborazione del vissuto,
l'analisi delle problematiche attinenti alla
regolarizzazione, la gestione del tempo e del denaro;
favorire l'inserimento sociale nel territorio; promuovere
percorsi di scolarizzazione e di formazione professionale;
promuovere l'inserimento nel mondo del lavoro.
indotto: collaborare all'individuazione delle
organizzazioni criminali addette allo sfruttamento,
attraverso la denuncia alle Forze dell'Ordine degli
sfruttatori, da parte delle ragazze.
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Tutto questo risulta possibile proprio in virtù del fatto che la
conduzione a carattere familiare non prevede un
regolamento fisso e determinato, ma si adatta a seconda
delle esigenze temporali, operative e personali dell'utenza
che usufruisce della struttura in quel momento.
Esistono alcune determinanti che si ripetono e riguardano,
proprio per la peculiarità del fenomeno in oggetto, la
sicurezza: protezione della struttura e della persona.
Norme generali inerenti la sicurezza (Regolamento)
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! Non utilizzo del telefono della casa per chiamate private da
parte dell'utenza.
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! Utilizzo di scheda telefonica da adoperare presso telefoni
pubblici o con evidenza pubblica.
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! Qualsiasi incontro con relazioni private deve avvenire
lontano dalla struttura ed è fatto divieto di comunicare
l'indirizzo della stessa.
! L'utenza comunica ogni uscita dalla casa indicando luogo
di destinazione e persone incontrate e orario di rientro,
precedentemente concordato.
! Per qualsiasi documento, per la posta ricevuta e altre forme
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di comunicazione (in accordo con la Questura di Padova)
viene dato come domicilio quello della sede legale
dell'Associazione e non quello di casa.
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Norme generali inerenti la convivenza (Regolamento)
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! Gli orari di uscita e rientro sono concordati in precedenza
secondo le attività personali da svolgere, come lavoro e
scuola, e gli impegni familiari nella gestione della casa:
pulizie, ordine ecc.
! Viene responsabilizzata l'utenza per quanto concerne
preparazione pasti, pulizie e gestione pratica della casa.
A seconda degli impegni lavorativi e scolastici, ogni
ragazza deve dare il suo contributo favorendo chi ha
minore disponibilità.
! Fatto salvo esigenze specifiche ed eccezionali, ogni
ragazza è tenuta a partecipare alla riunione collettiva del
mercoledì sera, alla presenza degli operatori e del
supervisore, durante la quale vengono affrontate le
eventuali divergenze o problematiche inerenti la vita
quotidiana. Tale riunione viene sempre verbalizzata.
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Programma di una giornata tipo
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Non esiste un programma specifico della giornata. Ogni
ragazza svolge diverse attività che possono rientrare negli
obiettivi da raggiungere come precedentemente evidenziati.
Le ragazze generalmente:
! seguono corsi territoriali di alfabetizzazione ed educazione
civica.
! Ottengono eventuali diplomi di Scuola Media Inferiore.
! Frequentano eventuali corsi di informatica di base.
! Seguono corsi di formazione lavoro.
! Svolgono attività lavorativa.
! Studiano.
! Incontrano settimanalmente la psicologa per la
rielaborazione del vissuto.
! Incontrano settimanalmente i mediatori culturali.
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In tal modo l'utenza si costruisce una rete di relazioni che
favorisce l'inserimento sociale verso l'esterno.
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Modalità di accompagnamento a servizi esterni
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Per quanto concerne alcuni servizi esterni, come quelli
sanitari, legali e burocratici (permessi di soggiorno, incontro
con il legale per la costituzione parte civile, iscrizioni, uffici
pubblici, ecc.), è previsto un accompagnamento da parte di
operatori, volontari e tirocinanti, per favorire lo sviluppo
della conoscenza dei vari servizi territoriali e le modalità di
fruizione degli stessi, fino al raggiungimento dell'autonomia
gestionale della ragazza accolta.
Ogni ragazza ha una propria scheda che si compone di:
! presa in carico da parte delle varie istituzioni e/o
associazioni.
! Scheda personale riguardante: primo contatto, profilo
personale, scheda giuridica e sanitaria, cronografia
professionale di volta in volta aggiornata.
! Tutta la documentazione burocratica (permesso di
soggiorno, iscrizioni scolastiche, contratti di lavoro, ecc.).
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Linee guida di una attività di accoglienza
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Inserimento in prima accoglienza
1 Contattare l'eventuale Comune di competenza per le prese
in carico.
2 Verifica della presenza/assenza degli strumenti
indispensabili per svolgere l'iter del percorso sociale in
base ai progetti dell'Associazione Welcome ed agli
obiettivi da essi stabiliti:
- verifica dell'iter processuale sostenuto dalla ragazza:
nel caso procedere ad accordi per presentare la
denuncia e programmare l'iter stesso e l'attivazione per
l'ottenimento del permesso di soggiorno;
- tessera sanitaria;
- controlli sanitari di base e, se necessari, specifici;
- livello di conoscenza della lingua italiana e
conseguente inserimento scolastico in corsi di italiano;
- eventuali corsi di studi sostenuti;
- verifica delle potenzialità scolastiche (necessità di
Licenza Elementare o Media Inferiore);
- eventuale Formazione lavorativa;
- far fare il passaporto a chi non lo ha: contattare le
ambasciate, i consolati e, nel caso, accompagnare le
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ragazze a espletare le varie pratiche;
Programmare gli interventi sopra descritti, preparare
una griglia, e portarli a buon fine entro un mese
dall'arrivo della ragazza.
Preparare una scheda personale della ragazza, su
percorsi ed obiettivi condivisi preventivamente con lei:
da verificare (in linea di massima ogni 2 mesi od ogni
qualvolta si renda necessario) ed eventualmente
ritararli ( sempre ferma restando la temporalità
progettuale di 5 - 6 mesi).
3 Favorire l'inserimento nel nucleo di convivenza: l'uso
degli spazi nel rispetto di tutti i componenti del nucleo e
delle regole che sottendono la convivenza (ad es. avvisare
quando si esce e dove si va, rispettare gli orari di pranzo e
cena, di rientro dopo uscite serali oppure concordare
preventivamente altre esigenze d'uscita).
4 Verificare che le ragazze rispettino norme minime atte ad
assicurare la sicurezza personale e la protezione della
casa:
- appuntamenti con amici e fidanzati, non devono mai
avvenire nei pressi della casa, ma in un luogo che non
possa ricondurre alla stessa.
- non possono essere usati e tenuti cellulari personali che
prima si possedevano;
- il telefono di casa non può essere usato, se non in rari
casi di eccezionalità preventivamente autorizzati
dall'operatore, e non ne deve essere divulgato il numero
a nessuno.
8 Verificare lo stato di autonomia e di conoscenza della
città: favorire il più possibile la capacità di gestire le
proprie necessità (ad es. fare da sole le tessere sanitarie,
l'iscrizione a scuola e contatti con la questura, sempre
dove possibile, favorendoli con una telefonata preventiva
da parte dell'operatore ).
Rielaborazione del vissuto
Individuare spazi e tempi che favoriscano questo passaggio,
e verificare la presenza di almeno 2 operatori all’interno
della Casa affinché uno dei due possa intervenire in modo
individuale senza doversi preoccupare di nullaltro che
riguarda l'accoglienza.
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Elaborazione della realtà e dei modelli socio economici e
culturale di provenienza
1 Richiamo continuo e quotidiano sugli sprechi (ad es.
luci, gas, acqua e valore del cibo, sottolineando come
non serve riempire il piatto per poi lasciarlo a metà).
2 Favorire l'acquisizione della capacità di andare a fare
spese con l'attenzione necessaria ai costi ed al bisogno
(a turno andare assieme all'operatore far la spesa,
considerandola un’educazione operativa).
3 Rispetto del valore strumentale e simbolico delle cose:
far evitare comportamenti che possano recare danno alle
cose di casa (ad es. scarpe sui mobili, usare acetone e
appoggiare cose calde sui mobili e rovinarli ecc.) e
sottolineare l'importanza delle stesse e degli oggetti presi
a prestito.
4 Rispetto sociale di convivenza: far evitare
comportamenti che possano arrecare fastidio sia agli
utenti della casa sia al vicinato e, più in generale,
sviluppare la capacità di riconoscere i bisogni altrui (ad
es. evitare rumori molesti o comunque in orari non
consoni).
5 Usare la quotidianità per favorire i processi di
apprendimento della cultura e della realtà socio economica italiana anche con mediatori culturali.
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Analisi delle problematiche attinenti la regolarizzazione
della ragazza
Verifica di quanto compreso delle problematiche inerenti la
regolarizzazione che, già in parte o compiutamente, sono a
sua conoscenza.
Collaborazione alla gestione della casa d'accoglienza
Entro il primo mese favorire il più possibile la gestione delle
cose dei compiti principali della sua conduzione quotidiana
(ad es. lavare, tenere pulito ed in ordine, far da mangiare,
ecc., soprattutto favorire l'adempimento di quei compiti,
magari seguendola, di cui non ha buona conoscenza).
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Gestione del tempo
1 Tenendo conto della progettualità temporale di 6 mesi,
strutturata secondo i “bisogni manifesti”, i tempi liberi
risultano essere pochi. Per questo si ritiene che debba
essere la stessa ragazza a gestire i suoi tempi liberi
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rispettando e favorendo la sua autonomia.
Nel caso in cui emergessero bisogni o necessità da parte
della ragazza andremo a strutturare insieme a lei
un'organizzazione del tempo.
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La gestione del denaro
1 Le ragazze che lavorano hanno a loro carico le spese di
sigarette e i piccoli fabbisogni personali
2 Come già avviene, per le ragazze che lavorano è prevista
l'apertura di un libretto bancario di risparmio intestato a
loro come fonte di risorsa per la fase iniziale
dell'autonomia, (es. anticipo contratto di affitto, apertura
contatori vari).
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Sicurezza
Un punto importante da trattare a parte è quello inerente la
sicurezza della ragazza e della casa.
1
Occorre verificare, con le ragazze che si trovano in una
situazione di non sicurezza personale, quale sia la
modalità migliore di intervenire. Sarà necessario
verificare se i percorsi per andare a scuola, in centro o
all'eventuale posto di lavoro siano per lei “a rischio”ed
agire perché siano sicuri o nel caso occorra un
accompagnamento.
2
Sottolineare sempre l'importanza dell'anonimato della
casa per proteggere anche le altre ragazze che si
trovano a vivere con loro e garantire la sicurezza delle
successive accoglienze.
3
Nel caso si evidenzi la necessità di garantire in maniera
continuata la sicurezza, occorrerà organizzare una
modalità di gestione della stessa.
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Ritratti di
primavera
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Quelle che seguono sono le storie di alcune delle ragazze
che hanno vissuto con noi. Riteniamo che, per comprendere
appieno le condizioni e le situazioni di vita in un contesto di
asservimento , sia più facile dar voce a chi queste condizioni
le ha vissute direttamente. I nomi sono di fantasia e abbiamo
corretto, dove si riteneva necessario, per la comprensione,
solo alcune frasi, cercando di mantenere il più possibile gli
interventi delle ragazze, scritti a mano dalle stesse, per non
incidere con il nostro punto di vista sugli elaborati.
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Maria
Non potrò mai dimenticare quel giorno, è stato tristissimo ed
ha cambiato la mia vita. Piango ogni volta che mi viene in
mente. Mi sono innamorata come tutti di un ragazzo; i primi
mesi eravamo felici quasi da fare invidia, i giorni passavano
veloci, decidemmo di andare ad abitare assieme. Un giorno
lui mi propose di venire a lavorare in Italia per avere un
futuro più bello, con una famiglia; io ero pronta ad andare
ovunque, pur di essere con lui. Mi disse che in Italia ci
aspettava una sua amica che mi avrebbe trovato un lavoro in
una fabbrica. Dopo aver fatto tutti i documenti per la
partenza, le frontiere del nostro paese erano chiuse; l'unica
possibilità era passare clandestinamente.
Il giorno della partenza, dalla Romania, pioveva ed era
molto freddo ma siamo partiti lo stesso con l'autobus diretto
a Cecho per poi andare in Austria, da li' saremmo arrivati in
Italia. Non sapevo che stavo facendo l'errore più grande
della mia vita. Arrivati al confine ed entrati in Austria a
piedi, siamo stati fermati dalla Polizia; con le manette ai
polsi credevo di impazzire. In quei due giorni trascorsi in
carcere non toccai cibo; in quei momenti desideravo soltanto
tornare dall'unica persona che ho al mondo, mia mamma, ma
non potevo, ero obbligata a seguire il “mio grande amore”.
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Dopo due giorni di cammino siamo arrivati in Italia, dove ci
ospitò la sua amica. La stessa sera, dopo minacce, pugni e
calci sono stata obbligata a “lavorare” in strada: tutte le notti
ero in strada sotto le mani di chiunque, bastava che
pagassero. I sodi non erano mai abbastanza, lavoravo anche
se ammalata ed al mio rientro a casa venivo rimproverata
perché avevo “lavorato poco”; dopo tutto questo dovevo
anche andare a letto con lui. Quel periodo è stato molto
brutto, mi sentivo sola e abbandonata; l'unico momento di
consolazione era la telefonata con mia mamma, una volta
alla settimana. Tante volte ho pensato di scappare... ma
avevo poche possibilità, spesso perdevo i sensi da quanto
forte lui mi picchiava. Non dimenticherò mai come cambiò il
suo comportamento, il suo sguardo: ho capito che è una
persona senza animo. Ho passato otto mesi a “lavorare” in
strada senza soldi. Un giorno ho deciso di cambiare la mia
vita: ho trovato la forza e ho chiamato l'associazione
Welcome, di cui ero a conoscenza da parte di un amico
italiano. L'associazione mi ha aiutato ad andare alla Questura
a raccontare il mio incubo e a denunciare il mio sfruttatore.
Grazie a tutti coloro che mi hanno aiutata.
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E.
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Due grandi occhi castani, attenti e profondi, i capelli corti e
crespi, la bocca pronta a scoprire un allegro, bianco sorriso e
tutta la vitalità e la spensieratezza dell'adolescenza che,
finalmente libera dalle inibizioni, prorompe in lei.
Ecco il ritratto di E. alle dimissioni: una storia umana,
riabilitativa e sociale a lieto fine. Così possono dire il
personale ed i volontari di un ospedale dell'hinterland
milanese che l'hanno accolta in ben altre condizioni e che
sono stati coartefici e testimoni del suo recupero.
Già, perché E. aveva subito un grave politrauma ed era stata
in coma a causa di un incidente stradale: era stata travolta da
un'auto pirata mentre attraversava di corsa una strada.
Soccorsa in un ospedale milanese, operata per ridurre le
fratture e ricoverata in rianimazione, ha dovuto sopportare
un collare, gessi ad arti inferiori e superiori e tanta paura e
smarrimento.
Ma perché una ragazza doveva scappare di notte per una
strada di periferia?
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Perché la storia di E. è una triste storia, che inizia nel cuore
più povero dell'Africa, terra di grandi ricchezze ed immense
povertà, dove per mantenere i figli che non trovano lavoro,
si vendono le figlie alla ricchezza corrotta dei trafficanti.
Ed è cosi che E. ha dovuto affrontare un viaggio nel tempo e
nello spazio, per finire sulle strade dell'Occidente
"progredito", con un gran peso nel cuore. Doveva, infatti, sia
pagare un forte debito al racket, pena la rovina della sua
famiglia, sia riuscire anche a mandare al più presto soldi a
casa. I volontari di un'Unità di Strada l'hanno conosciuta
così: senza rudimenti di lingua e cultura italiana, con una
scarsa conoscenza dell'inglese e tanta diffidenza, che ha
mantenuto per molti mesi, dopo il lento risveglio dal coma.
I Volontari l'hanno seguita anche in ospedale ed hanno fatto
da tramite con il personale della Neuromotoria, dove E. è
stata in seguito trasferita.
Dopo mesi di fisioterapia, di impegno e di pazienza, ha
potuto rimettersi in piedi e camminare con l'ausilio di
deambulatore e, in seguito, di un bastone tripode. Allo stesso
modo ha ripreso ad usare le mani, anche per le attività più
fini. Ma, soprattutto, E. ha potuto riappropriarsi di se stessa,
scoprirsi e conoscersi nella nuova condizione: di disabilità
da un lato, ma forse, di libertà dall'altro.
Parallelamente, infatti, sono iniziati un lavoro psicomotorio
ed un percorso di recupero sociale. Il primo ha curato gli
aspetti dei suoi schemi corporei e della sua immagine,
dell'orientamento ed organizzazione spaziale e temporale,
dell'attenzione, della memoria e dell'espressione; ciò anche
attraverso la comunicazione nella relazione, sia con segno
grafico che scrittura. Il progetto sociale, invece, ha posto
maggiore attenzione alla sua volontà di cambiamento, agli
aspetti legali e burocratici ed alle nuove prospettive di
inserimento sociale. Con l'aiuto di una Mediatrice Culturale
l'équipe ha cercato di ricostruire la storia di E., di dare
risposta alle sue domande circa il futuro e di tranquillizzarla
rispetto al recente passato.
Certo non è stato un lavoro facile né lo si può considerare
concluso: si possono dimenticare nomi, volti e paesaggi, ma
la paura infusa da chi minaccia il male non si dimentica e
blocca ogni slancio verso I' apertura. Questa situazione è
proseguita finché E. non ha imparato a conoscere chi si
prendeva cura di lei ed ha iniziato ad accettare discorsi su di
sé e sul proprio futuro. Ancora oggi non ricorda - e
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probabilmente non ricorderà mai - molte cose, tra cui i nomi
di chi l'ha venduta. Per lungo tempo ancora necessiterà di
cure fisioterapiche e psicologiche, per ristabilirsi.
Oggi però ha una casa ed una comunità - famiglia che si
prende cura di lei, la segue nel recupero e nell'inserimento
sociale e scolastico.
Una storia riabilitativa a lieto fine, dunque; una speranza per
una vita dignitosa e migliore, che tutti le auguriamo di cuore.
Se non possiamo illuderci, oggi, che situazioni simili non si
verifichino più, possiamo comunque sperare di riuscire ad
aiutare altri giovani a ritrovare il sorriso e la loro strada: solo
così potranno costruire un mondo migliore di quello che era
stato preparato per loro.
(Contributo del personale dell’Ospedale)
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N.S.
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Mi chiamo N.S., ho 24 anni e vengo dalla Romania.
Lavoravo in ospedale come infermiera e i soldi che
guadagnavo non erano abbastanza per mantenere la mia
famiglia numerosa. Soprattutto non bastavano per poter
crescere da sola mia figlia, visto che il padre non ne voleva
sapere. In quelle condizioni, un’offerta di guadagno migliore
non l'avrei rifiutata. Come tutte le persone, anch'io avevo un
amico o almeno, lo consideravo tale, ci conoscevamo da
tanti anni: non avrei mai pensato potesse farmi del male. Lui
e un amico mi offrirono un lavoro e uno stipendio “onesti” in
Italia. Fidandomi di loro e contenta di poter avere un futuro
migliore io con mia figlia, decisi di partire non pensando ad
altro. Ovviamente il mio “amico” aveva pensato ai soldi per
il viaggio e anche alla sistemazione in Italia. Sono arrivata in
Italia clandestinamente a bordo di un camion partendo dalla
Romania fino alla Slovenia-Croazia, arrivando cosi' in Italia.
Ho viaggiato per tre giorni senza mai uscire dal camion,
sembrava un viaggio senza fine: un incubo! Non sapevo che
il mio accompagnatore sarebbe diventato il mio protettore.
Arrivata in una casa in Italia ho trovato una ragazza
minorenne la quale mi ha spiegato quale fosse il “lavoro”
che mi aspettava; sono rimasta scioccata, ho protestato ma,
per il momento, non avevo via di uscita. Ho dovuto accettare
il lavoro in strada, visto e considerato che non avevo soldi e
vestiti; inoltre non conoscevo niente e nessuno di questo
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paese. Ho lavorato in strada per quasi 3 mesi, piangevo tutte
le sere e nel mese di Dicembre era molto freddo. Non potevo
rientrare a casa prima delle 4 del mattino, i soldi che
guadagnavo erano, a parere di lui, sempre pochi, quindi le
notti che rientravo con 500/600 mila lire litigavamo sempre.
Mi diceva che non lavoravo e che stavo in strada come una
statua, così nessuno si fermava. Non sapevo cosa fare, avevo
paura anche della Polizia. Non potevo scappare, avevo
sempre un altro uomo che mi controllava mentre lavoravo.
Tornare a casa era impensabile visto, che avevo perso il
lavoro ed un altro era quasi impossibile trovarlo, quindi
sopportai. Una sera arrivò nel “mio” posto di lavoro la
Polizia in borghese e mi fecero molte domande; io mi
spaventai e lo dissi a lui, il quale mi rispose che la Polizia mi
avrebbe mandato al mio paese anche se lo denunciavo.
“Nessuno potrà aiutarti oltre a me”, diceva. L'uomo che mi
controllava in strada pensava che i poliziotti in borghese
fossero dei “clienti” che volevano derubarmi, così venne
subito a discutere con loro e lo portarono in Questura
assieme a me. Ho chiesto ai poliziotti di aiutarmi ad uscire
da questo incubo che durava mesi; ho denunciato i due
uomini e la Polizia mi ha aiutata.
Attualmente vivo in una casa-famiglia dell'Associazione
Welcome assieme ad altre ragazze della mia stessa
situazione; sono contenta e felice, ho un lavoro onesto ed il
permesso di soggiorno.
Spero in futuro di avere una casa con mia figlia, vivere una
vita serena e tranquilla come una famiglia normale.
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Dalia
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Mi chiamo Dalia, ho ventidue anni e vengo dalla Romania.
Nella mia città lavoravo come cuoca in un ristorante, ma poi
ho cambiato lavoro. Avevo molti problemi con la mia
famiglia perché mi ero sposata e poi avevo divorziato e
ormai, da tre anni, era una continua guerra in casa. Avevo
diversi hobby e uno di questi era quello di andare in Internet
per guardare dappertutto e chattare con tante persone
diverse. È così che ho conosciuto un ragazzo albanese e,
parlando con lui, gli ho raccontato dei miei problemi. Lui
allora mi ha suggerito di venire in Italia, che così mi avrebbe
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aiutato a trovare lavoro e a dimenticare la vita che facevo in
Romania. Poi questo ragazzo ha cominciato a telefonare al
mio cellulare, diceva che non vedeva l'ora di vedermi, mi
mandava tanti messaggi d'amore, ma io non l'avevo mai
visto e non potevo sapere che tipo di persona fosse. Poiché i
problemi che avevo erano ormai diventati insopportabili, mi
ero decisa a partire e avevo cominciato a preparare tutte le
mie cose. Avevo un'amica che conosceva un ragazzo italiano
di Milano che mi poteva accompagnare con la sua macchina
fino in Italia e, siccome questo stava in un albergo lontano
cinque ore dalla mia città, ho preso il treno e l'ho raggiunto.
Lui mi aveva subito sconsigliato di venire in Italia, perché
anche qui ci sono molti problemi, ma ormai avevo preso la
mia decisione e non volevo tornare indietro.
Siamo partiti per l'Italia un sabato mattina, abbiamo
attraversato l'Ungheria e l'Austria, dove ho telefonato al
ragazzo conosciuto in Internet per avvertirlo che stavo
arrivando, e siamo arrivati a Padova in zona industriale verso
le dieci di sera. Qui gli ho telefonato nuovamente per dirgli
di venirmi a prendere, ma ho cominciato ad avere tanta paura
e a pregare Dio che non mi succedesse qualcosa di male. Il
ragazzo di Milano allora, vedendomi preoccupata, mi ha
chiesto se stavo bene e io gli ho risposto di sì, ringraziandolo
e dicendogli che poteva andare via e che magari ci saremmo
rivisti un'altra volta in Romania. Dopo un po' è arrivata una
macchina rossa con due ragazzi molto giovani dentro e uno
di questi era il ragazzo conosciuto in Internet; dopo esserci
presentati di persona, sono salita in macchina e siamo andati
a casa di un suo amico. Ero molto stanca (tra l'altro avevamo
avuto un incidente in Austria) e avevo anche molta fame,
così, fatta una doccia, siamo andati a mangiare qualcosa in
un locale; e lui ha cominciato a dirmi che è difficile trovare
lavoro e che conosce degli amici albanesi che hanno delle
ragazze che lavorano in strada. Tornati a casa, io volevo
dormire, però lui continuava a parlarmi di queste ragazze per
farmi capire che fra poco il mio lavoro sarebbe stato questo.
Lunedì mattina mi ha svegliato e, insieme con un italiano
che lui conosceva e che era venuto a prenderci con la sua
macchina, siamo andati in un'altra casa dove c'erano una
rumena e due bulgare; qui ho mangiato e dormito poco, visto
che lui fino all'una di notte ha continuato a parlarmi per
convincermi a fare quello che voleva lui. Mi sentivo morire:
mi diceva che lui era clandestino e che io non potevo uscire
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da quella casa se non con il suo permesso.
Martedì sono uscita solo per comprare una cosa al
tabacchino. Lui gentilmente mi ha disegnato su un foglio
una piccola mappa del posto, poiché non avevo nessun punto
di riferimento, a parte una chiesa, per orientarmi e capire un
po' meglio in che parte della città ero stata portata.
Mercoledì sera il ragazzo albanese mi ha ordinato di andare
con le altre ragazze in strada per imparare il lavoro, ma io
avevo tanta paura ed ero distrutta sia fisicamente sia
mentalmente. Però ci sono dovuta andare anche se, per
fortuna, quella sera è arrivata la Polizia che ci ha portato
tutte in Questura. Mi hanno preso le impronte e mi hanno
fotografato e qui ho passato tutta la notte. Ho anche cercato
di chiedere aiuto ad un poliziotto , ma ero controllata dalle
altre ragazze portate lì e non sono riuscita a spiegargli la mia
situazione. Giovedì mattina, tornata a casa, ho scatenato una
guerra, gridando che poteva pure uccidermi, ma che non
sarei mai più tornata in strada. Lui si è arrabbiato molto ed
io temevo che mi avrebbe veramente ammazzato, ma non
volevo dargli la soddisfazione di vedermi piangere e così,
tirando fuori tutto il mio coraggio, gli ho riso in faccia.
Durante la notte mi ha tenuto ancora sveglia, cercando di
convincermi che l'unico lavoro che potevo fare era quello di
prostituirmi o, in alternativa, vendere la droga, se ne ero
capace. Venerdì sera mi ha picchiato tanto e mi ha anche
puntato il coltello alla gola, minacciandomi di tagliarmi a
pezzettini e poi di buttarmi nella vasca da bagno piena
d'acqua fredda. Aveva anche una pistola in casa nascosta da
qualche parte e diceva che avrebbe usato anche quella per
convincermi. Poi sono stata portata nella casa dove c'erano
le altre ragazze e una delle rumene ha cominciato a
raccontarmi che questo lavoro è bello e che si possono
guadagnare tanti soldi; l'ho odiata tanto , anche se veniva
dalla Romania come me. Sabato sera mi sono preparata per
uscire in strada, avevo molto trucco in faccia ma, per il resto,
ero vestita normalmente. Lui mi ha spiegato cosa dovevo
fare, ossia fare uno squillo al telefono ogni volta che andavo
con un cliente , e che non dovevo avere paura perché loro
erano sempre lì in giro a controllare. Arrivata in strada, mi
sono messa vicino ad un semaforo ad aspettare e alle undici
circa mi ha telefonato il ragazzo albanese e mi ha chiesto
con voce minacciosa se ero andata con qualche cliente. Io ho
detto di sì, che ero già stata con due clienti, anche se non era
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vero, perché avevo paura. Ma poi mi sono resa conto che,
una volta tornata a casa, avrei dovuto presentargli i soldi che
mi avevano dato questi due ipotetici clienti e io, invece, non
avevo neanche un soldo. Mi sono messa a piangere disperata
e in quel momento mi si è avvicinato un ragazzo italiano, per
chiedermi se stavo bene. Io ero molto diffidente, anche
perché mi sembrava di nazionalità marocchina, ma poi,
chiarito l'equivoco, si è offerto di aiutarmi e mi ha portato a
casa sua. All'inizio avevo paura che mi sarebbe potuto
succedere qualcosa di peggio, ma poi, grazie a Dio, ho avuto
la prova che era veramente una brava persona. Sono stata a
casa sua per tre settimane e, per i primi giorni, non ho fatto
che dormire. Poi mi ha fatto conoscere i suoi amici e uno di
questi mi ha messo in contatto con gli operatori
dell'associazione Welcome; dietro loro consiglio sono andata
in Questura per denunciare quanto mi era successo e adesso
vivo in questa casa ormai da due mesi. Mi trovo bene e
soprattutto mi sento protetta e al sicuro; sto studiando
l'italiano e presto cercherò un lavoro. Inoltre sono insieme al
ragazzo italiano che mi ha aiutato e ci vogliamo molto bene.
Sono felice e spero di dimenticare presto tutte le brutte cose
che mi sono successe.
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Ehi
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Mi chiamo Ehi, sono nata in Edo, una Città nigeriana. La
mia storia inizia quando a ventiquattro anni sono partita
dalla casa dei miei genitori dopo aver finito la scuola e aver
conseguito il diploma in polythecnical. Sono andata a Lagos,
la più grande Città del mio paese, per trovare mia zia, che
aveva trovato un lavoro per me.
A Lagos ho incontrato Moses che, vedendo il mio
curriculum, mi ha proposto di andare in Italia, dove avrei
trovato un lavoro in fabbrica. Moses mi ha raccomandato di
non dire nulla ai miei genitori ed io così ho fatto. Il 14
Luglio 1998 sono arrivata in Austria con Moses e Betty, una
ragazza destinata come me alla strada;dopo tre mesi io e
Betty siamo arrivate in Italia e Moses è ritornato in Africa.
Ci siamo incontrate con una ragazza nigeriana che
precedentemente aveva parlato telefonicamente con Moses.
Dopo due giorni questa ragazza mi ha fatto vedere il mio
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lavoro, ossia la strada; a questo punto ho chiamato Moses
per chiedere spiegazioni, lui mi ha risposto che avrei dovuto
fare questo per dargli settanta milioni di lire.
In quei momenti mi sono sentita molto sola e triste; avrei
voluto tornare a casa dalla mia famiglia ma non potevo
perché Moses mi ricattava, dicendomi che, se lo avessi fatto,
avrebbe ucciso i miei genitori. Un giorno, mentre ero a casa,
si sono presentati due uomini italiani con la mia foto,
chiedendomi se conoscevo Moses; io ho cominciato ad avere
paura, pensando che fosse la Polizia. Invece mi dissero di
essere amici di Moses; da questo momento io ho capito che
controllavano se io lavoravo. Per questo motivo ero costretta
a rimanere in strada. Dopo aver dato tutti i soldi a Moses,
per poter essere libera me ne sono andata dalla Lombardia,
raggiungendo l’Emilia Romagna. Qui ho incontrato un
italiano che mi ha portato nuovamente in strada e mi ha detto
che dovevo pagare il posto in cui lavoravo. L'ho pagato per
sei mesi , ma lui voleva sempre di più, così ho deciso di
andarmene, chiedendo aiuto ad una comunità che si è
dimostrata subito disponibile. Da qui mi hanno portato in
un'Associazione che si chiama “WELCOME”. Adesso sono
ancora in questa Associazione, frequento la scuola, sto
imparando l'italiano e ad usare il computer e ho preso il
permesso di soggiorno, così ora potrò fare un lavoro
“normale”.
Tuttavia, la cosa più importante per me è aver ritrovato la
tranquillità, la serenità e una vita normale.
In conclusione, spero che la mia esperienza possa essere
utile ad altre ragazze che vivono o hanno vissuto questo
terribile momento, il “male” è passato ed ora sono felice.
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Carolina
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Mi chiamo Carolina, sono una ragazza russa. Racconto la
mia storia molto simile a quella di tante ragazze straniere
che sono state e sono ancora in strada.
Ho 22 anni, sono cresciuta assieme ai miei fratelli in
orfanotrofio, i miei genitori mi hanno abbandonata quando
avevo 2 anni. Sono stata in orfanotrofio fino all'età di 18
anni e a quest'età ho cominciato a cercare un lavoro e una
casa per poter vivere, ma senza risultati.
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Un'amica mi ha ospitato a casa sua per un po' di tempo ma la
povertà, in Russia, non permetteva di vivere. In quel periodo
un giornale annunciava lavoro per ragazze in Turchia; dopo
aver ottenuto il visto sono partita subito. Arrivata ad Istanbul
ho capito chi il lavoro era “vendersi”. Dopo otto mesi di
sofferenze sono ritornata in Russia, senza un soldo in tasca lì
mi aspettavano i miei fratelli con una casa in affitto, ma non
c'erano i soldi sufficienti per vivere.
Ho conosciuto una ragazza che era già stata in Italia la quale
mi propose di andarci per “lavorare”; mi disse che potevo
guadagnare più di mille dollari al mese: potevo finalmente
mantenere anche la mia famiglia. Sono partita, anche se
sapevo che “lavoro” mi aspettava. Dalla Russia sono andata
in Ungheria: era tutto organizzato, mi avevano portato in una
casa dove c'erano altre ragazze che, come me, aspettavano
qualcuno che le portassero in diverse destinazioni: Francia,
Spagna, Belgio o Italia. Assieme ad altre ragazze sono
arrivata in Italia passando per l'Austria, attraversando il
confine a piedi per paura della Polizia; qui mi aspettava un
altro ragazzo che mi portò a casa sua. Cominciai subito a
“lavorare”. Ogni volta che vedevo le macchine fermarsi da
me avevo molta paura; spesso dicevo di no e di conseguenza
portavo a lui pochi soldi, cosi' dovevo subire ogni volta la
sua rabbia. Non ne potevo più, volevo scappare ma non
sapevo come: ero in Italia da poco più di un mese e non
conoscevo niente e nessuno. Con me lavorava e viveva
un'altra ragazza la quale, dopo essere scappata, ha
denunciato il suo protettore, che era anche il mio. Dopo una
settimana arrivò a casa la Polizia; ero contenta di andare via
con loro, ho chiesto subito cosa avrei potuto fare, così ho
denunciato il mio protettore. Attualmente vivo in una casa
famiglia dell'Associazione Welcome in attesa di essere
regolarizzata; ho trovato lavoro e fra non molto avrò il
permesso di soggiorno. Ora sono felice, la mia vita è
totalmente cambiata e spero migliori sempre più.
Una cosa voglio dire a tutte le ragazze sfortunate come me:
“cercate di avere fiducia nella Polizia, non abbiate paura:
esiste veramente chi vi vuole bene, chi vi aiuta ad avere una
vita tranquilla, con un lavoro onesto anche se con poco
guadagno, ma con soldi vostri. Vi voglio bene e spero che
chi leggerà la mia storia capisca.
Grazie di cuore a tutti coloro che mi hanno aiutato e che
continueranno ad aiutarmi.
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Il mio nome è Alina, ho sedici anni e sono arrivata in Italia
circa due anni fa.
La storia del mio arrivo in questo paese è simile a quella di
tante altre ragazze dell'Est. In Romania lavoravo come
cameriera e avevo tutto ciò di cui avevo bisogno per
condurre una vita serena con i miei genitori e con mia figlia.
Ancora oggi mi domando che cosa mi ha spinto a lasciare la
mia casa per venire in un paese dove ricostruire una vita è
tanto difficile mentre invece essere vittima della malavita è
molto facile, soprattutto per una ragazza straniera e sola
come me. Ma, come tutti i ragazzi, avevo il desiderio di
vedere altri paesi e, quando una mia amica mi ha proposto di
venire in Italia per una visita di pochi giorni, ho accettato
subito. Lei mi aveva anche informato che qui in Italia aveva
degli amici che ci potevano ospitare e aiutare a trovare un
lavoro, se mai avessimo deciso di fermarci più a lungo. Ho
parlato con mia madre dei miei progetti, ma lei non era
assolutamente d'accordo e abbiamo anche litigato. La stessa
settimana sono andata a ballare con la mia amica e lì
abbiamo incontrato un suo amico che ci ha detto che
partivamo quella sera stessa. Non ero d'accordo, perché
volevo ancora discuterne con mia madre, ma non c'è stato
nulla da fare: mi hanno fatto salire in macchina e mi hanno
portato in una casa dove abbiamo passato la notte. Qui, oltre
a me, c'erano altre tre ragazze. Il giorno dopo siamo partiti
tutti quanti per l'Italia ma, con mia grande sorpresa, su un
treno che trasportava carbone. Poi siamo arrivati a Trieste e
da qui siamo state portate a Padova, dove per dieci giorni
siamo rimaste rinchiuse in un casolare abbandonato, senza
avere la minima idea di quello che ci sarebbe accaduto. Ma
ben presto abbiamo capito quale sarebbe stato il nostro
destino: ci hanno caricato in macchina e ci hanno portato in
strada a lavorare.
Stupita del loro comportamento e ormai consapevole di
quello che mi volevano far fare, non avevo il diritto né di
protestare né di ribellarmi, poiché, se rifiutavo, mi
avrebbero preso il passaporto e pestata a morte con pugni e
calci, vendendomi ad altri albanesi.
Il tempo passava e durante questo interminabile periodo ho
conosciuto un ragazzo italiano che mi ha fatto credere di
volermi bene, promettendomi di proteggermi. Nella realtà,
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poi, ho solo cambiato “protettore” e casa e, purtroppo, in
peggio: anche lui mi costringeva a prostituirmi ed era ancora
più violento ed aggressivo del primo. Mi sentivo delusa e
tanto sola, ma non sapevo a chi chiedere aiuto. Dopo quattro
mesi di continue percosse, minacce e violenze, un giorno,
dopo l'ennesimo episodio di maltrattamento con pugni e
calci, ho trovato la forza di dire BASTA e di chiedere aiuto a
chi veramente poteva darmelo. Ho telefonato alla polizia che
è subito venuta a prendermi, offrendomi la sua totale
protezione. Adesso la mia vita è cambiata radicalmente: vivo
in una casa-famiglia dell'associazione Welcome insieme ad
altre ragazze che, come me, hanno sofferto per le stesse
ragioni. Ora sono contenta: la mia situazione è legalizzata,
ho già fatto diversi colloqui di lavoro e sono in attesa di
cominciarne uno per poter vivere serenamente con la mia
bambina, come la maggior parte delle famiglie di questo
mondo. Ringrazio profondamente tutti quelli che mi hanno
aiutato e che continuano a farlo. Grazie di cuore.
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Sandra
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Mi chiamo Sandra, vengo dalla Nigeria e sono qui in Italia
ormai da sette anni. Come la maggior parte delle ragazze che
hanno vissuto la mia stessa esperienza, ciò che mi ha spinto
a venire in questo paese è stata la speranza di trovare un
lavoro per poter mantenere me e la mia bambina. Così
quando un mio connazionale, conosciuto tramite un'amica
comune, mi ha proposto di portarmi in Italia per lavorare
come colf, ho creduto che il mio sogno si potesse finalmente
realizzare. Ma la realtà è stata ben diversa e raccontare
ancora adesso tutto quello che mi è successo è, per me,
molto difficile e doloroso. Siamo partiti con l'aereo e, dopo
una breve permanenza a Torino, siamo giunti a Rimini. Qui
ho scoperto l'amara verità, ossia che avrei dovuto
forzatamente prostituirmi per pagare il debito con chi mi
aveva portato qui. Quindi, dopo essere stata istruita su come
comportarmi con i clienti e su che tariffa chiedere, ho
cominciato a “lavorare”. Non c'era nessuno che mi
controllava quando ero in strada, ma non avevo né la forza
né il coraggio di scappare: mi trovavo in un posto
completamente sconosciuto, così lontano da casa, senza
sapere una parola d'italiano e senza conoscere nessuno a cui
poter chiedere aiuto. Inoltre ero stata sottoposta ad un rito
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voo-doo e avevo molta paura che mi sarebbe successo
qualcosa di terribile se non avessi rispettato le regole.
L'anno successivo, dopo aver saldato finalmente il mio
debito, mi sono trasferita a Padova dove, grazie ad un amico,
sono riuscita a trovare un alloggio. Ma dovevo, comunque,
continuare a mantenere me e la mia famiglia in Nigeria, e
non possedendo un permesso di soggiorno e avendo ancora
una scarsissima conoscenza della lingua, l'unica scelta che
mi si presentava in quel momento, anche se dolorosa, era
quella di continuare a lavorare in strada.
Nello stesso anno, stanca di tutto questo, ho intrapreso
quello che mi sembrava un lavoro onesto, ossia far da
mangiare a pagamento agli operai miei connazionali
residenti nei condomini vicini. In seguito, però, i vigili mi
hanno scoperto, mi hanno sequestrato tutto e accompagnato
in Questura, dove mi è stata data l'espulsione dal territorio
nazionale. Quindi sono stata accompagnata fino all'aeroporto
e imbarcata per la Nigeria.
Ma non potevo rimanere nel mio paese: c'è tanta povertà e
quando hai una famiglia che per mangiare dipende da te, sei
disposta a tutto pur di dargli una vita almeno dignitosa.
Così sono ritornata nuovamente in Italia e, per un periodo,
ho ricominciato a prostituirmi, ma ormai era sempre più
forte in me la volontà di uscirne; ero infatti tanto stanca di
quella vita e non ne potevo più di andare avanti così.
Fortunatamente ho incontrato delle persone che mi hanno
voluto aiutare e che mi hanno messo in contatto con gli
operatori dell'associazione Welcome; questi mi hanno
accompagnato in Questura per denunciare quanto mi era
accaduto e poi mi hanno accolto nella loro casa.
Finalmente la mia vita sta cambiando: sto andando a scuola
per imparare l'italiano e spero di trovare presto un lavoro. So
che questo è solo un inizio e che devo ancora percorrere
molta strada, ma almeno ora posso veramente sperare in un
futuro migliore per me e la mia famiglia.
Un grazie di cuore a tutti coloro che mi hanno aiutato e che
continuano a credere in me.
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Introduzione
Diega Carraretto
Andrea Donati
Revisione Testi
Andrea Donati
Progetto Grafico
Elisabetta Bonfanti
Realizzazione grafica
Marketing Service Srl
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Tutti i diritti riservati.
Non è consentito alcun utilizzo senza previa
autorizzazione scritta dell'Associazione Welcome.
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2003 Associazione Welcome
2003 Regione Veneto
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ASSOCIAZIONE WELCOME
Via Guizza 205, c/o Circolo “Il Ponte”
35125 Padova - Tel 348 - 89.41.661
Cod. Fisc. 90007220289
Iscr. Reg. Veneto Ass. Vo. N° Pd0533
E-mail [email protected]
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