Codice cliente: 8727381 50 Sabato 14 Febbraio 2015 Corriere della Sera Cultura Spettacoli L’invenzione delle «Garzantine» Riolfo Marengo: «Il sogno di codificare il nuovo sapere dopo la rivoluzione del ‘68» di Ida Bozzi Il progetto cui l’editore teneva di più erano le enciclopedie, così ricorda il critico Silvio Riolfo Marengo (foto, 1940) rievocando il suo lavoro con Livio Garzanti. «Lo conobbi nel 1973 — spiega — quando io ligure venni a Milano per occuparmi della scolastica Garzanti, una delle grandi invenzioni di Livio, davvero l’ultimo grande editore del Novecento». Dal 1976 Riolfo Marengo infatti diresse le redazioni delle Grandi Opere e delle Garzantine, lasciando l’editore negli anni Ottanta ma tornando in cda dal ’92 al ‘96. «Lui che è noto come scopritore di Gadda, Pasolini, Parise — continua — però teneva di più a opere come le enciclopedie e i libri scolastici. La sua grande idea fu fare libri redazionali per le diverse aree del sapere, voleva fare L’ADDIO 1921-2015 Geniale padre-padrone dei libri Livio Garzanti, l’ultimo capitano Biografia Livio Garzanti, figlio dell’editore Aldo, era nato a Milano il 1° luglio 1921. Dopo aver diretto «L’illustrazione italiana», nel 1952 si mette alla guida della Garzanti; nel 1961, scomparso il padre, ne diventa presidente. È stato autore di narrativa e saggistica (L’amore freddo, 1980, e Amare Platone, 2006) e collaborò con alcuni articoli al «Corriere». È stato sposato con Orietta Sala, poi con Gina Lagorio, infine con Louise Michail. Ha istituito la Fondazione Ravasi intitolata alla madre per malati di Alzheimer. Dal 2005 si era ritirato a vita privata. Aveva 93 anni di Paolo Di Stefano E ra l’ultimo padre-padrone dell’editoria italiana. La sua generazione ha sfornato grandi patriarchi del libro, tutti (o quasi) pieni di genio. Giulio Einaudi era del 1912, Alberto Mondadori del 1914, Giangiacomo Feltrinelli e Vito Laterza erano del 1926. Livio Garzanti era del 1921, come Paolo Boringhieri. In poco più di un decennio sono venuti al mondo i pilastri della cultura del dopoguerra: all’estero quei signori erano invidiati e ammirati. Garzanti è stato l’ultimo e uno dei maggiori, ma sempre un po’ in disparte, per civetteria amava dirsi «anomalo», con il suo carattere impossibile, poca mondanità, nessun giro politico e molto lavoro dietro le quinte. Non ha fondato la casa editrice, ma è come se l’avesse fatto. Nel 1936, suo padre Aldo, professore forlivese di lettere, aveva acquisito la Treves, trasferendosi a Milano. Il giovane Livio, laureato con una tesi su Kant, avrebbe voluto insegnare filosofia, e invece prima si occupa dell’«Illustrazione italiana» poi, nel 1952, si ritrova tra le mani il giocattolo intero, perché suo padre molla tutto per ritornare a Forlì. Nel giro di qualche anno, la Garzanti diventa una delle maggiori casa editrici italiane: «Sono arrivato in editoria — raccontava il vecchio Livio — da figlio di papà, ero un agnellino, non un enfant prodige, sono stato favorito dalla sorte…». Nel 1955, su consiglio del grand gourmand della letteratura italiana, Attilio Bertolucci, suo mentore e consulente principe, Garzanti pubblica Ragazzi di vita di Pasolini. In realtà, quando gli capitano sotto gli occhi le bozze del romanzo, l’editore si rende conto dei rischi che correrebbe pubblicandolo tale e quale, dunque impone all’autore una pesante «autocensura»: gli consiglia di sfoltire le parolacce e di attenuare gli episodi più spinti. Pasolini gli obbedisce, accusando in privato l’editore «vergognosamente ingeneroso», in un mese perde 5 chili e invia a Garzanti il dattiloscritto «ripulito». Il che però non eviterà a entrambi un processo, contro il «carattere pornografico» dell’opera, promosso niente meno che dal governo di Antonio Segni. Era l’anti-Einaudi, Livio Garzanti. Detestava sia l’eccessiva collegialità sia la militanza politica. Non amava i rapporti amichevoli sul lavoro, mai dare del tu a un autore, era troppo timido e troppo arrogante, un seduttore e un tiranno, capriccioso e pronto a scaricarti alla prima occasione, a sbeffeggiarti, a mandarti al diavolo senza ragione. Non per niente Goffredo Parise, che ne subì a lungo le nevrosi, gli fece un ritratto al Il carattere Ira, cuore. E ironia con Agnelli di Claudio Magris U n grande, grande protagonista di quell’editoria italiana ed europea che per decenni ha contribuito a creare una vera cultura, a ricostruire una civiltà sfasciata da guerre mondiali e immani distruzioni di uomini e dell’umano; una civiltà oggi nuovamente sconvolta, in un processo da cui può nascere tutto, nel bene e nel male. Livio Garzanti, l’editore di Gadda e di Pasolini e di tanti altri non meno grandi. L’editore di enciclopedie e di collane anche divulgative di alta qualità, ben consapevole — a differenza di altri — che la cultura di un Paese, di una società non è affidata solo a capolavori d’eccezione, ma anche e forse ancora di più a una buona qualità media, che contribuisce alla formazione di persone informate, consapevoli, responsabili, aliene da stupide pose aristocratiche e pronte all’autocritica. La sua Garzanti ha saputo unire la cultura alta a quella media. Editore di capolavori e capitano pronto a ogni rischio. Assolutamente geniale e dubbioso del proprio genio, anche se caparbio nelle sue scelte, mai timoroso di ciò che esse potevano comportare. Il grande editore di un tempo, un uomo e non una società; autoritario nelle sue decisioni e pronto a gettarsi nell’avventura ma anche sensibile a suggerimenti e proposte indipendentemente da chi le facesse. Nevrotico, lunatico talora insopportabile nei suoi sfoghi e nelle sue sfuriate, ma incredibilmente capace di ritroso e timido affetto, di slanci umani. Potrei ricordare tanti momenti in cui mi è stato vicino con una comprensiva e discreta tenerezza che ho trovato assai raramente nel mondo del mio lavoro. Spesso ingiusto nelle sue ire e nei suoi scatti, ma — a differenza di molti potenti della terra e anche del libro, pronti a fare i gradassi e gli eccentrici con i deboli e accortamente diplomatici con i forti — egualmente affettuoso o aggressivamente iracondo con tutti, disposto a mandare a quel paese anche chi poteva nuocergli. Mi hanno raccontato che una volta, quando Gianni Agnelli visitando la casa editrice disse che gli piaceva e che forse magari l’avrebbe comprata, rispose che più facilmente avrebbe comprato lui la Fiat. Ha sbraitato anche con chi in quel momento non se lo meritava, peraltro rapido a ricredersi, ma non si è piegato né inchinato a nessuno. Rispettoso delle scelte dei suoi collaboratori anche quando non le condivideva; l’ho visto pubblicare lealmente libri di cui prevedeva l’insuccesso economico ma senza preoccuparsene. L’ho visto battersi per libri che sapeva non avrebbero avuto fortuna ma gli sembravano meritevoli. Incline a rischiare e mai a subire, neanche quando un suo grande autore se ne è andato perché contrario alla pubblicazione di un libro di un collega. A Milano la Garzanti in via Senato era un centro di creatività, intelligenza, onestà, professionalità, dalle scelte editoriali alla mensa. Per quelle stanze è passata una grande cultura italiana ed europea, senza alcuna spocchia intellettualistica. È stato uno dei pochi a saper usare bene la fortuna economica della quale godeva, mentre altri ne sono stati travolti. C’era in lui un desiderio represso di affetto che talora, anche per colpa sua ma ingiustamente, non è stato ricambiato. Non credo sia stato felice, non credo abbia conosciuto quella felicità estiva di cui aveva scritto in un bellissimo libretto su Platone. Un grande. Si dice, in questi casi, che un pezzo di storia, un’epoca muore con lui. Non è vero, non credo che la morte — di persone, istituzioni, gusti, valori — abbia poi tanto potere. © RIPRODUZIONE RISERVATA vetriolo nel romanzo Il padrone, una sorta di favola kafkiana il cui protagonista è un despota che considera i dipendenti «suoi oggetti personali». Garzanti soffrì in silenzio: «Parise — ricordò — veniva spesso a pranzo da me per poi scrivere male di me…». Pasolini lo confortava, dicendo che Il padrone in realtà era una dichiarazione d’amore. Pierpaolo era amico di Garzanti, ma un amico «senza confidenze», anche con lui Livio non arrivò mai a darsi del tu. «Lei mi dà una merce e io la pago», gli diceva l’editore. Ruppero ogni rapporto perché Pasolini non approvò la pubblicazione di Alberto Bevilacqua, considerandolo uno scrittore di serie B. Cominciò così la corte a Pasolini da parte dell’Einaudi, e Garzanti avrebbe poi rifiutato fieramente di pubblicare l’«impubblicabile» postumo Petrolio. Caratteraccio: parola che Garzanti considerava troppo gentile e per questo pensava di non meritarsela. Fatto sta che per tollerare le sue bizze bisognava avere l’equilibrio dei diplomatici, la pazienza di certi santi e una forte dose di ironia sdrammatizzante. Certamente ne sapeva qualcosa la scrittrice (e allora anche politica) Gina Lagorio, che Livio sposò nel 1973, dopo un primo matrimonio con Orietta Sala. Non c’è dunque da meravigliarsi se in Garzanti i direttori di più lungo corso sono stati Piero Gelli e Gianandrea Piccioli. Il primo arrivò nell’inverno del ‘69 per studiare le carte di Gadda e fu assunto dall’editore nel giro di pochi giorni con il triplo dello stipendio che Gelli guadagnava come insegnante. Il secondo, Piccioli, sarebbe stato chiamato nel 1972 da Giovanni Raboni per scrivere le voci teatrali della Garzantina letteraria e poi entrare alla redazione di quell’impresa monumentale che fu l’Enciclopedia. Perché non bisogna mai dimenticare che la più geniale innovazione di Livio Garzanti fu, dai primi anni Sessanta, il cantiere delle grandi opere: le Garzantine monotematiche, i dizionari, l’Enciclopedia Europea, che richiesero una formidabile struttura redazionale interna. Dal ’73 la collana di tascabili Grandi libri comincerà a competere sul mercato con Oscar e Bur. Nei corridoi di via Senato in quegli anni circolavano — oltre a Bertolucci e Raboni — Del Buono, Manganelli, Arbasino, Soldati, Garboli, Tadini, Magris, Fofi, Bellocchio, Cherchi, Camon, il giovanissimo Cordelli. E i poeti. Alla poesia Garzanti aveva aperto il suo catalogo con generosità. Mettendo su, complice Bertolucci ma anche Gina Lagorio, una doppia collana ambitissima, con i maggiori, da Mario Luzi a Giorgio Caproni, dallo stesso Pasolini a Vittorio Sereni, da Sandro Penna a Camillo Sbarbaro, da Giudici a Amelia Rosselli. Il meglio. Pasolini Nel 1955 Livio Garzanti pubblicò su suggerimento di Attilio Bertolucci Ragazzi di vita di Pier Paolo Pasolini (19221975); per il romanzo autore ed editore finirono sotto processo Calvino Nel 1984 Livio Garzanti fece il «colpaccio» soffiando Italo Calvino (19231985) alla casa editrice rivale Einaudi. Per Garzanti uscirono, postume, le Lezioni americane (1988)