58 SPETTACOLI SABATO 10 MAGGIO 2014 GIORNALE DI BRESCIA L’emozione dei parenti delle vittime della strage e i complimenti agli autori dal giudice della Consulta IL SOGNO DI UNA COSA Corpi in movimento, voci, parole ■ A sinistra e sopra, nella foto di Reporter Umberto Favretto, due quadri dell’opera contemporanea «Il sogno di una cosa», che ha debuttato con molto successo ieri sera al Teatro Grande di Brescia, dove replicherà in ottobre Il Grande si entusiasma come una piazza Sei minuti di applausi per la composizione di Montalbetti, teatro di narrazione con musica più che opera. Apprezzatissimi il soprano Alda Cajello e Sentieri Selvaggi ■ Teatro Grande esaurito e sei minuti di applausi alla fine hanno decretato il successo della prima assoluta de «Il sogno di una cosa» opera per il quarantennale della strage di piazza della Loggia, libretto di Marco Baliani per la musica di Mauro Montalbetti. L’impattoèforte,comesiconviene allanobile altezza del tema e delle denunce, sia sul piano musicale sia su quello scenico: una breve ouverture dall’attacco reso ancor più violento dalle sonorità amplificate e dall’entrata del coretto di madrigalisti: suoni che si frantumano nel seguire la proiezionedellacaduta,direttamentesulvelario, di fogli e oggetti che volano, ombrelli spezzati.Poiungransilenzio:ilvelarioèfatto a pezzi con crudeltà, appare il soprano vestita di bianco che commenta: su un grande tavolo v’è un cadavere che viene spostatoesbattutosenzariguardoda«marziani» dalle maniche rosse che puliscono ossessivamente come robot impazziti. Così i pompieri hanno pulito la piazza di Brescia, così senza lasciar tracce, a Bologna. Un gruppo di danzatori (i preparati allievi di TeatroDanza di Milano) si contende la corona della Bella Italia ed ecco la prima aria: «In questo giorno piovoso di maggio… ». Lo spettacolo non è un’opera lirica nel senso tradizionale del termine, piuttosto un’azione a sequenze, scandita per episodi che si svolgono sul palco con l’interventodeidanzatori-attoriodelsoprano o dell’attore, oppure per brevi filmati in bianco e nero o a colori. Sfila la marea di gente del corteo funebre, gli occhi atterriti o profondamente pensosi, la Brescia che si rivede e si stringe intorno ai suoi simboli, oppressa dal silenzio. In scena,inunaltropannello,risuonalaparola«Milano»eigestididisperazionedeidanzatori si propagano: mani sulla testa, sugli occhi, si accucciano, piangono. E ancora eccoungruppoeterogeneoincuisiconversa, come in treno: si commentano orari, ci si scusa, qualcuno sta andando al mare… Le tre città colpite dal terrorismo sono rappresentate unite dallo stesso sgomento, dalle stesse domande: Chi? Perché? Ad un pupazzo l’attore fa una sorta di processo: inutile, perché è solo una comparsa, la mano del mandante. Vestita di arancio il sopranochiededinondimenticare,dicontinuare a dire «come stai?» rivolgendosi a chi è caduto innocente, chiede la vita. Potremmoraccontarlotuttoquestospettacolo di 90 minuti, ma crediamovada vissuto, partecipato singolarmente. Il compositore bresciano Mauro Montalbetti ha fatto unlavorosapiente,unendoelementimusicali disparati, ma il suo colpo d’ala sono gli interventidelcorettoelastrumentazione.I seidel Coro «Costanzo Porta» di Cremona per tre volte intervengono con altrettanti madrigali di Luca Marenzio, rivisitati con varianti e con strumenti da Montalbetti con estrema discrezione: sono i momenti in cui lo spettacolo si astrae da tutto e la dimensione diventa assoluta, spirituale e commovente. La strumentazione di Montalbetti poi, affi- Marco Baliani e (sotto) il maestro Carlo Boccadoro dataa9bravissimicomponentidi«Sentieri Selvaggi», ottimamente guidati da Carlo Boccadoro,èriccadipreziosismi,disofisticati impasti sonori e ritmici. Il soprano Alda Cajello, la cui vocalità spazia anche nel registromezzosopranile,èeccellente,sempre espressiva, anche quando deve recitare,uno«sprachgesang»intenso,partecipato. Ci sono momenti nella partitura che assumono significati alti, come la melodia del violoncello, un tombeau. Montalbetti nondimenticagliamatifrancesi,specieRavel, che gli ispira passaggi «magici» come quellicheseguonola«mimica»delvisodellaBellaItalia.Sì,quellastatuache,impietrita, se ne sta in un angolo di piazza Loggia e sembra indifferente. Invece, con diverse angolazioni fotografiche, mostra palpebre socchiuseedassorte,unaboccachevorrebbe parlare… E ci sembra essere l’emblema di questo spettacolo. Che ha una regia video ben ritmata, firmata da Alina Marazzi, mentre l’attore Marco Baliani ha qualche cedimento, come nel lungo monologo col pupazzo,chedovrebbeesserepolivoco.Allafine«Ilsognodiunacosa»sirivelasoprattuttoteatro(piùcheopera),teatrodinarrazione con musica. Cui contribuiscono episodi che non sono dettagli, come le performances del percussionista Roberto Dani o la sfilata di volti fermi dinnanzi alla lapide di piazza della Loggia, tra i quali spiccano gli occhi appassionati di Manlio Milani, fino a quelli di un bambino, increduli e seri, pieni di interrogativi. Fulvia Conter ■ Tutto è incominciato davanti al teatro, con i bresciani che arrivavano alla spicciolata, perquesto «Sogno» e perquesta «cosa» che nessuno sapeva bene cosa fossero, ma che imponevano di esserci. Davanti al portone del Grande l’autore, Mauro Montalbetti, salutava amici e parenti ostentando tranquillità. Ma era teso edemozionato, eraevidentee comprensibile, e prima di raggiungere la sua «squadra» dietro le quinte si è lasciato andare a qualche scongiuro rimandando tutto a dopo lo spettacolo: «Speriamo, ne parliamo dopo», ha mormorato quasi fuggendo. E dopo lo spettacolo l’unico problema era trovare gli aggettivi per descrivere le emozioni e valutare il grande successo che i lunghissimi applausi avevano già certificato. Difficile trovare qualcuno cui l’operanon fosse piaciuta,e altrettantoarduo trovare qualcuno che esprimesse una critica, anche una sola. Glispettatori più coinvolti nonnascondevanol’emozione:«Straordinario -ha mormorato Manlio Milani, presidente dei parenti delle vittime della strage - toccante e commovente perché incentrato sui volti, sullefaccedella gente.Quelvoltodellastatua, di quella statua che rappresenta la libertà che sembrava poter vivere solo per i volti della gente, di quelli che c’erano 40 anni fa e di quelli che ci sono ora». Le è piaciuto tutto dell’opera, quindi... «Sì, la musica è decisiva per dare voce a chi non può parlare. E l’importanza della parola, diquella parola che è mancataper tanti anni. Proprio stamane a Roma - ricorda Milani - nell’incontro col presidente Napolitano mi sono rivolto idealmente agli uomini "in silenzio", perché è la necessità di verità, di parole, che emerge da tutta questa storia e che l’atto artistico di stasera ha perfettamente interpretato». AncheNunzia Pinto,sorella di Luigi, morto a 25 anni il 28 maggio 1974 in piazza Loggia,esprime ungiudizio deltuttopositivo e quasi pieno di gratitudine: «Veramente bello! - dice con decisione - equilibrato, straordinariamente equilibrato. Sì, direiche l’equilibrioèla dotemigliore, poteva essere facile fare un’opera violenta, e invece sono stati molto bravi a rendere tutto il dramma, direi senza aggressività». Prende tempo l’avvocato Giuseppe Frigo,giudice dellaCorte Costituzionale eieri sera a teatro anche in rappresentanza del presidente della Consulta e quindi più alta carica dello Stato presente in sala: «Devo rifletterci - esordisce il giurista che ha vissuto la strage anche come avvocato dipartecivile- alcunipassaggi sicuramente molto belli, altri forse un po’ statici. L’operazione è ottima, c’è stato un grande lavoro di tutti, È una bella cosa per Brescia». Riuscirà l’arte ad aiutare una sorta di catarsi per la città come sembra essere nelle intenzioni degli autori? «Speriamo - risponde il professor Frigo mi auguro che anche questo serva». «Sì qualcosa di simile è augurabile - spiega invece Manlio Milani - ma quelle domande finali rimangono». a. pell. «Un’operazione riuscita e in sala un pubblico partecipe» Dopo la «prima», i commenti di Gabriele Vacis, Sergio Escobar e Angelini Da sin.: Angelini, Gabriele Vacis e Sergio Escobar v4Etrle/1Pj7ZuKd0f4HI4xt9zC8meR75ppAQQb73ns= ■ Tra i velluti rossi del Grande, e nel Ridotto appena liberato dalle impalcature dei restauri, sono molto soddisfatti i commenti dei coproduttori artistici dell’opera «Il sogno di una cosa», realizzata anche con il sostegno di Ubi Banco di Brescia. «È uno spettacolo commovente - dichiara Gabriele Vacis, della Fondazione I Teatri di Reggio Emilia -. Sono molto contento di aver partecipato a questa impresa. C’è bisogno di rinnovare la memoria. Ho sentito un pub- blico eccezionalmente partecipe. E per me la musica è straordinaria». «Tutti questi applausi aggiunge Sergio Escobar, direttore del Piccolo Teatro di Milano - sono il segno che esiste una necessità della verità. Necessità che ha a che fare con il presente». «Sono molto contento del risultato - spiega l’inventore di questa operazione, il sovrintendente della Fondazione Teatro Grande, Umberto Angelini -. C’è voluto del coraggio da parte di un teatro, per commissionare un’opera contemporanea. Oltre alle repliche del 24 e 26 ottobre a Brescia, poi a Milano e Reggio Emilia, abbiamo in corso contatti con vari altri teatri. E anche con tv straniere, interessate alla ripresa che la Rai ha fatto di tutta l’opera (il 15 maggio sarà in onda su Rai 5)». «Gli artisti - prosegue Angelini - hanno affrontato con rispetto la dignità della città, hanno agito con la volontà di capire. Hanno raccontato come ogni forma di terrorismo e violenza, di ogni colore, vada a spez- zare una quotidianità di persone normali. Mi è piaciuto molto il clima in cui questa opera davvero corale ha avuto origine. Non vuole essere didascalica, né manichea: il linguaggio poetico, astratto utilizzato dagli artisti lascia al pubblico spazio per l’emozione e la speranza. Il finale - conclude Angelini - è l’orgoglio di appartenere ad una città che è in grado di guardare avanti, senza rabbia, senza dimenticare, ma con la capacità di volp. car. gersi al futuro».