Comunità Pastorale Regina degli Apostoli
Parrocchie di Bernareggio, Villanova, Aicurzio, Sulbiate
Anno della fede: scuola della Parola
"La guarigione del paralitico"
Pagine del Vangelo di Marco nell'Anno della Fede
Secondo incontro: Venerdì 16 novembre 2012 - Chiesa parrocchiale di Aicurzio
Il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati (Mc 2, 1 - 13)
1
Entrò di nuovo a Cafarnao, dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa 2 e si radunarono
tante persone che non vi era più posto neanche davanti alla porta; ed egli annunciava loro la
Parola. 3 Si recarono da lui portando un paralitico, sonetto da quattro persone. 4 Non potendo
però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si
trovava e, fatta un'apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico. 5 Gesù,
vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Figlio, ti sono perdonati i peccati». 6 Erano seduti là
alcuni scribi e pensavano in cuor loro: 7 «Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può
perdonare i peccati, se non Dio solo?». 8 E subito Gesù, conoscendo nel suo spirito che così
pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate queste cose nel vostro cuore? 9 Che cosa è più
facile: dire al paralitico "Ti sono perdonati i peccati", oppure dire "Alzati, prendi la tua
barella e cammina"? 10 Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere di perdonare i
peccati sulla terra, 11 dico a te - disse al paralitico - alzati, prendi la tua barella e va' a casa
tua». 12 Quello si alzò e subito presa la sua barella, sotto gli occhi di tutti se ne andò, e tutti si
meravigliarono e lodavano Dio, dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!». 13 Usci di
nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed egli insegnava loro.
una volta al mese non ci capita mai di fare) ci
permetterà di fermarci su una domanda o su
qualcosa da cui si è stati toccati e, mettendo il
tuo sguardo sulla presenza reale di Gesù, ci si
interroga.
Innanzitutto devo dirvi, e vi ringrazio ancora
come l’ho già fatto la volta scorsa, che avere
un puntello come questo momento mi
costringe a spendere delle ore e questo vuol
dire che voi costringete il parroco a fermarsi a
pregare, e questa è una cosa bella, anche e
soprattutto ora, con le visite delle benedizioni
natalizie nelle case. Preti, suore e dei laici
splendidi stanno vivendo questo servizio alla
comunione nella nostra Chiesa
RIFLESSIONE DI DON LUCA
La Scuola della Parola
Prima di introdurci in questo secondo
incontro, riprendo brevemente l’introduzione
dell’altra volta che, con le prime parole di
Gesù nel Vangelo di Marco, mi ha permesso
di spiegarvi il metodo della Scuola della
Parola: il primo momento, la Lectio, cioè la
lettura e qualcuno che ci spiega la Parola e
quello che significa; il secondo momento, la
meditatio, cioè una meditazione che ci viene
suggerita dopo la lectio. La lettura e la
meditazione sono, per forza di cose, delle
sottolineature fatte dal predicatore: io stasera
faccio alcune scelte diverse dal bellissimo
commento che don Matteo Crimella, biblista,
ha lasciato sul libretto che avete e che vi
invito a rileggere nel mese tra un incontro e
l’altro.
Poi, l’intento di queste serate è che quando mi
sposterò dall’ambone, finita la riflessione,
faremo un canto e in ginocchio accoglieremo
l’Eucarestia che verrà esposta qui sull’altare.
Un congruo spazio di silenzio (come magari
Il miracolo è segno di qualcos’altro
Faccio ancora una premessa, poi andiamo al
brano che è fantastico: rispetto a quello
dell’altra volta c’è un’azione, ci sono dei
personaggi, c’è un movimento… pensate che
nella basilica di Sant’Apollinare a Ravenna,
gli antichi mosaici rappresentano in una scena
proprio questo calare del paralitico dentro la
casa dove c’è Gesù. Stasera, come magari
1
non usiamo mai la fantasia, invece, questa
introduzione ci aiuta a fare proprio la
composizione di luogo, cioè a immaginarci la
scena e, scusateci, ma sono più avvantaggiati
quelli tra di noi che sono stati in Terra Santa
perché parlando di Cafarnao viene in mente
un lago e alcune case… capisco, ma
cercheremo di aiutare anche chi non c’è stato
perché non è figlio di un dio minore: mia
nonna non ci è andata, ma aveva più fede di
me. Quindi non è questo il presupposto per
avere fede, ma serve più fantasia.
I versetti dal 3 all’11 raccontano il miracolo
sul quale poi ci soffermiamo nella meditatio
e, infine, l’ultimo versetto, il 12, ci parla della
reazione della folla: su questa parte farò
soltanto una battuta, ma che mi sembra molto
bella. Andiamo dunque a leggere, a fare la
lettura, poi vi darò tre spunti di meditazione e
ognuno pregherà su quello che preferisce.
vedremo anche altre volte, parliamo di un
miracolo, e sapete che parlare di miracoli è
sempre pericoloso. Quale è il senso del
miracolo? Il Vangelo di Giovanni quando
parla del miracolo, o dei miracoli, li chiama
segni e “segni” è proprio la parola giusta
perché il segno o i simboli sono fatti per
rimandare a qualcos’altro. Cioè, se ci si ferma
soltanto al miracolo, Gesù resta un grande
taumaturgo, ma poi la nostra vita va avanti
così come è sempre andata; se invece ci
interroghiamo, che è quello che faremo
stasera, allora qualcosa cambia nella nostra
vita e si scopre che il miracolo più grande che
Gesù vuole suscitare è la fede prima di
qualsiasi guarigione: che sia di un lebbroso,
che sia di un cieco, che sia di un paralitico,
che sia addirittura la rianimazione di un
cadavere come nel caso del figlio della
vedova di Nain o della fanciulla di Cafarnao o
di Lazzaro, suo amico.
Prima ancora di questi eventi clamorosi,
quello che a Gesù interessa è il miracolo della
fede e, infatti, o è premessa: “Va’ in pace, la
tua fede ti ha salvato.” Oppure è la causa:
“Signore non son degno - dice il centurione a
Gesù - che tu entri in casa mia, ma tu dì
soltanto una parola e io sarò salvato.” E Gesù
dice: “Non ho mai trovato una fede così
grande.” E il centurione va a casa e trova il
servo guarito. Quindi il miracolo vero è la
fede che o presuppone o è la causa finale del
miracolo stesso. E il miracolo che vedremo
questa sera è secondo me sintomatico perché
dice che la salvezza fisica, quindi la salute, sta
insieme alla salute dell’anima che è quindi la
vera salvezza.
La composizione di luogo
Innanzitutto, nell’introduzione si dice “Gesù
entrò di nuovo a Cafarnao.” Prima dov’era?
Chi di voi ha letto il capitolo 1 si ricorda che
Gesù non entrava più da qualche giorno in
una città o in un villaggio perché il lebbroso
guarito, pur essendo stato istruito: “vai a
presentarti ai sacerdoti, io ti ho guarito, ma
vai, fai il tuo rito e non dire niente a nessuno”,
con il cuore talmente pieno di gioia gli fa una
pubblicità incredibile a tal punto che Gesù
non entra più in nessuna città o villaggio. Egli
sente un po’ il fastidio di questa cosa, un
fastidio, penso, un po’ psicologico di essere
identificato soltanto come il guaritore del
corpo e, allora, si ritira in luoghi deserti.
Gesù, però, dopo alcuni giorni rientra in città.
Stava in luoghi solitari ma la gente comunque
va a cercarlo: immaginate il travaglio
psicologico e interiore di Gesù che, alla fine,
cede, cede alla passione per la gente. Nel
Vangelo si dirà poi, alla vigilia di alcuni
miracoli come la moltiplicazione dei pani, che
Gesù prova compassione perché vede la gente
come pecore senza un pastore, come un
gregge disperso.
Quindi Gesù si lascia commuovere, torna in
città e a un certo punto, dice il Vangelo
nell’introduzione: “Si seppe che era in casa”.
Ma Gesù era originario di Nazareth, non è sua
questa casa, è la casa di chi? Sempre al
Le sezioni del brano
Innanzitutto mi piace, come metodo, dare una
struttura ai brani di Vangelo su cui riflettere: i
primi due versetti, l’1 e il 2, ci portano
un’introduzione che ci aiuta a fare la
“composizione di luogo”. La composizione di
luogo è un termine di Sant’Ignazio di Loyola
che porta nella preghiera una componente che
nella preghiera non usiamo mai. Noi spesso
usiamo il cuore, l’emozione e i sentimenti;
usiamo a volte la testa per ragionare sulle cose
che ci sono successe, per fare discernimento,
per scrutare in profondità gli avvenimenti o
per chiedere al Signore che ci aiuti. Purtroppo
2
filologia deriva da logos per cui interesse,
studio della parola, dei libri; oppure
cardiologia, discorso sul cardio, cioè sul
cuore; tutte le parole che finiscono in “logia”
derivano da “loghia” e da “logos” che vuol
dire discorso su qualcosa. “Logos” vuole
anche dire il permesso di parlare, l’orazione in
pubblico, l’eloquenza, la proposizione
esposta, l’affermazione massima, addirittura
vuol dire anche l’insegnamento, il precetto, la
relazione, il racconto di un fatto, la ragione.
Indica qualcosa per cui si rende conto,
l’apprezzamento la stima, la ragione, la
conseguenza logica di un ragionamento,
insomma: tutto. Dire che “Gesù annunciava
loro la Parola” vuol dire che dava loro il senso
della vita, la vita stessa. Addirittura, la parola
logos in qualche autore minore veniva usata
per indicare la lista della spesa. Tra la Parola e
la lista della spesa c’è dentro tutta la vita.
Gesù non sta facendo un discorso astratto, ma
sta parlando di Dio che c’entra con la loro
vita.
capitolo 1 si parla della casa di Pietro:
probabilmente è quella la casa che è il punto
di riferimento. Infatti, uno dei primi miracoli
di Gesù, dopo la liberazione dell’indemoniato,
è la guarigione della suocera di Pietro che,
guardate la delicatezza umana di Gesù,
guarisce la donna perché poi si alzi e possa
cucinare per loro: la guarisce perché ha fame,
e con molta semplicità, ance se Pietro non gli
perdonerà mai di avergli guarito la suocera,
ma questa è un’altra storia. Pietro, in seguito,
preferirà seguire Gesù, come se dicesse: “Stai
qui te con questa arpia”. Quindi possiamo
supporre che quella sia la casa di Pietro, ma
perché parliamo di questa casa, come è fatta?
Ci aiuterà in seguito, per la fantasia.
Le case non erano come le nostre,
assomigliavano di più alle case di ringhiera di
una volta, cioè c’era il posto dove si andava a
dormire, però era solo una stanza, perché tutto
il resto della giornata si svolgeva fuori dove
c’era una tettoia fatta di frasche mischiate a
fango, dove si cucinava e ci si incontrava. La
casa poteva avere più stanze che si
affacciavano su questo luogo comune, ma
ciascuna apparteneva ad altre persone. Il fatto
che Gesù stesse sulla soglia a parlare, non
dentro la casa di Pietro, permetteva di avere
davanti un cortile dove tanta gente si
affacciava e tanta gente poteva arrivare
dall’ingresso principale a quell’aia, come
l’avremmo chiamata noi conoscendo le nostre
cascine. Sul quest’aia, dove c’è la piazza
comune, dove ci sono queste stanzette, queste
case fatte di pietra con su questi tetti di
frasche e fango mischiati si svolge la vicenda.
La paralisi e il peccato
Arriviamo al secondo passo, Gesù sta
parlando del senso di tutto e avviene questa
scena: c’è una cosa bellissima, la generosità di
queste quattro persone, con una barella e il
paralitico. Il paralitico è in contrapposizione
con l’uomo della Bibbia che, pensate
all’esodo, è libero perché si mette in
cammino; un uomo fermo è un uomo morto,
non è un uomo. La malattia costringe questo
paralitico a non vivere più la pienezza della
sua umanità. In secondo luogo, c’è anche una
considerazione culturale perché in Israele
esisteva la teologia della retribuzione,
espressa benissimo dal Salmo 61 che dice:
“Tu Dio, secondo le sue opere ripaghi ogni
uomo”. Quindi egli è così, è paralitico, perché
paga le sue opere e, quindi, è un peccatore. La
sterile è peccatrice perchè è vuota, secca.
Quando il cieco nato và da Gesù, la domanda
è “chi ha peccato perché lui nascesse cieco,
lui o i suoi genitori?” Perché se è nato così,
magari hanno sbagliato i suoi genitori. È il
tentativo di trovare una risposta al male nella
responsabilità di qualcuno, anche se il male
esiste perché è un mistero che non ha
risposta,. Quindi il paralitico è guardato come
non-uomo e per di più peccatore perché se è
La Parola
Gesù, dice il testo a un certo punto:
“annunciava loro la Parola”. Per vezzo mio
sono andato a vedere qual’è il significato di
questo, che “parola” annuncia Gesù? Il
termine greco indicato lì e “logon”, “logos”.
Sono andato a riaprire il mio vecchio
vocabolario di greco, il Ghemon (vetusto
neanche vecchio) e “logos” è la parola che in
tutto il vocabolario greco ha più significati.
Indica il parlare, il comunicare, quindi la
parola; nel Vangelo di Giovanni viene detto
“il Verbo”, la Parola per eccellenza, ma vuol
dire anche il discorso. Provate a pensare a
tutte le parole che derivano da questo “logos”:
3
sono scontenti e delusi. Li ha scontentati tutti
con una frase.
La guarigione interiore e la barella
E qui c’è la frase che è il cuore del brano:
dopo che Gesù ha detto: “Cosa è più facile
dire: alzati prendi il tuo lettuccio e va a casa
tua o ti sono rimessi i peccati?” Al versetto 10
Gesù continua: “Ora, perché sappiate che il
Figlio dell’uomo - che è un modo altisonante
che ha Gesù per definirsi, preso dal profeta
Daniele - perché sappiate che io ho il potere
di perdonare i peccati sulla terra, dico a te,
dice al paralitico, alzati prendi la tua barella e
va’ a casa tua”. La guarigione fisica è il segno
di una guarigione più profonda che sta a cuore
a Gesù. Lui era la da solo nel deserto, non
voleva che la gente lo prendesse come l’Harry
Potter o il maghetto della situazione, il genio
della lampada di Aladino o la maga di
Segrate: in una frase riesce a dire quello che
lui vuole essere. Sappiate che qui c’è
qualcuno che ha un potere che è ancora più
grande di guarire, che è quello di perdonare i
peccati, Ora, perché sappiate che c’è questo,
alzati e fa il miracolo. Ecco il segno, ma per
spiegare che c’è sulla terra il potere di
perdonare i peccati.
E ci sono due curiosità: la prima è che quando
si usa il verbo “alzati” al versetto 9 e poi
direttamente al paralitico al versetto 10:
“Alzati, prendi la tua barella” si usa il verbo
greco “egheirei” che significa “risorgi”.
Quando le donne andranno al sepolcro al
capitolo 16 di Marco, vedranno questi esseri,
gli angeli, che dicono: “perché cercate tra i
morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto!”
con lo stesso verbo. E Gesù dice a
quest’uomo guarito nell’anima e nel corpo
“Tu sei risorto!” Questo è il miracolo più
grande, che l’uomo risorga. Quindi questo
miracolo è segno della resurrezione, ancora
più importante di quel rialzarsi da un letto.
Un’altra curiosità, che riprenderemo dopo, è
che al versetto 4 si dice: “calarono la barella”,
al versetto 9 si dice ancora: “cosa è più facile
dire alzati prendi la tua barella”, e si parla
ancora di questa barella per la seconda volta.
Al versetto 11: “dico a te, disse al paralitico,
alzati prendi la tua barella e va’ a casa tua”.
Al versetto 12: “Quegli si alzò e prese la sua
barella”. Se quattro volte torna questa
“barella” vuol dire che essa ha la sua
cosi, qualcosa ha fatto per meritarselo da Dio.
Su questa teologia della retribuzione Gesù
lotterà aspramente, e sarà proprio liberante
l’insegnamento di Gesù su questa cosa.
La delusione
Continuiamo ad immaginare la scena: la cosa
bella è che questi qua arrivano, l’aia, le
frasche, gente, non si riesce ad entrare. Chi ha
già occupato le altre case che sono in cerchio,
beati loro che riescono anche a sedersi da
qualche parte. Gli altri sono schiacciati nel
cortile davanti a Gesù con alle spalle Pietro, la
suocera e tutti gli altri. I portatori non
riescono ad entrare dentro questa ansa dove
c’è Gesù. Cosa fanno? C’erano dei pali che
tenevano su la copertura. Camminando su
questi pali con un paralitico sulla barella,
questi quattro fanno un buco: si blocca tutto!
E non so, non erano molto alti questi tetti,
forse con delle corde lo calano giù davanti a
Gesù. Si ferma l’insegnamento, la Parola di
Gesù, c’è un fatto, un’evidenza. Al versetto 5
si dice che Gesù: “vedendo la loro fede”,
rimane cioè colpito Gesù dalla loro fede e
pronuncia queste parole: “Figlio, ti sono
perdonati i peccati.”
Ora immaginate l’attesa che hanno questi
portatori: sono riusciti a superare la folla,
hanno fatto gli equilibristi in quattro con una
barella su delle bacchette, che non so se erano
di bambù o di qualcos’altro, riescono a calare
il paralitico e si aspettano che Gesù guarisca il
loro amico ma invece Gesù dice “solo” quella
frase. In un momento solo riesce a scontentare
due categorie di persona: prima questi quattro,
sudati, feriti, coi vestiti strappati e scontenti
perché loro volevano un guarito. Gesù gli dice
“soltanto” ti sono perdonati i peccati e lo
chiama Figlio, ma loro non colgono questa
cosa. Loro lo vogliono guarito e questo qua
cosa fa? Fa il confessore? Scontenta loro e
scontenta anche gli scribi, i teologi del tempo
che pensano subito ad una bestemmia perché
solo Dio può perdonare i peccati e se lui
perdona vuol dire che sta dicendo che lui è
Dio. Quindi, in quel momento, Gesù ha
deluso tutti. Solo la folla che non capisce cosa
sta accadendo e sta lì a guardare, ma
certamente le persone interessate a prenderlo
in castagna, gli scribi, e questi portatori che
erano interessati a far guarire il loro amico,
4
conciarsi così”. Era il modo di parlare della
gente, ma a loro non importa nulla: fanno una
fatica d’inferno e lo portano davanti a Gesù.
È un’immagine bellissima di Chiesa: non si
arriva a Gesù da soli. Nell’anno della fede,
questa riflessione è importantissima: io e il mi
Gesù, come la coperta di Linus, quel
personaggio dei fumetti che si tiene in scena
la copertina. No, Gesù non è la copertina di
Linus, ma è la forza di un popolo. Non si
arriva a Gesù da soli: la fede, ce lo dice
questo brano, è una forte esperienza
ecclesiale. La paralisi è la solitudine. Questi
vanno a prenderlo, lo tolgono dalla solitudine
e la comunione di questi portatori permette al
paralitico la comunione con Cristo. Penso che
questa sia la funzione più bella della Chiesa:
la comunione gioiosa di gente che dice a un
altro: “Caro amico, ti voglio portare da Gesù,
devi conoscerlo anche te, poi non so cosa
deciderai, ma devi conoscerlo”. Anche loro
hanno fatto l’esperienza della delusione. Non
sempre la Chiesa, anche nella storia, ha capito
Gesù. Qualche volta i peccati di cui ha chiesto
perdono Papa Giovanni Paolo II per la Chiesa
sono stati il fatto che la Chiesa ha pensato di
avere altri poteri al di fuori di quello di
rimettere i peccati, che invece è il potere più
grande che Gesù ha esercitato. Egli da risorto
ha detto agli apostoli: “ricevete lo Spirito
Santo, a chi rimetterete i peccati saranno
rimessi”. Il potere sulla terra più grande che la
Chiesa può esercitare è ripetere il potere più
grande di Gesù che non è guarire la gente o
fare i miracoli, ma perdonare i peccati.
Quindi questi, cha hanno anche sperimentato
la delusione ed il fallimento di non aver
capito Gesù, hanno però capito che bisogna
portare il fratello da Gesù. E che la Chiesa
vive questo perdonare i peccati imitando
proprio Gesù. E allora la domanda che vi
faccio io è: “quale esperienza di Chiesa ho
fatto io e sto facendo?” Noi pensiamo
sempre che la Chiesa siano il Papa, i vescovi,
siamo malati di questa cosa, ma se la Chiesa
sono io: “A me chi mi ha portato da Gesù?”
È bello che magari stasera ringraziamo il
Signore per i portatori che abbiamo
incontrato, quelli che hanno preso la barella
della nostra vita e ci hanno portato da Gesù.
E ancora: “io chi sono chiamato a portare
adesso?” Perché la chiesa sono anch’io,
importanza! Questo lettuccio, barella o
giaciglio, qualcosa che quei quattro hanno
messo in piedi (senza moschettoni o corde
perché non c’erano), pur essendo molto rude,
viene presa e portata via dal paralitico, una
volta che è guarito e và via. Ma vedremo
dopo.
La folla
Ultima cosa per la lectio, poi vorrei passare
alla meditatio, è la conclusione: in barba a
tutti i discorsi degli scribi, i teologi del tempo,
nell’ultimo versetto la folla “loda Dio”. Ora,
non ci torno su adesso nella riflessione e nelle
tre domande che vi lascio per pregare, ma la
cosa che mi colpisce è che la gente “se ne fa
un baffo” della discussione: ma chi è costui,
che potere ha per perdonare i peccati…. A
volte la gente che è fuori dai nostri ambienti
ha pretese molto più semplici delle nostre, ma
è capace di andare al cuore delle cose. Faccio
un esempio: noi siamo stati lì anni (22, non so
quanto, forse 26) a dire che Giovanni Paolo II
è progressista, o è chiuso, che su questa cosa è
troppo qui o troppo là… Quando è morto,
milioni di persone sono accorse per un ultimo
saluto.
Forse bastava farsi meno menate e dire: “la
folla vide”. Il Cardinale Schuster diceva:
“Quando passa un santo, tutti si accorgono e
la gente corre”. È bello questo atteggiamento
della folla perché forse dice a noi addetti del
mestiere di piantarla lì con tante menate e
discussioni e di essere più semplici, un po’
più semplici.
La meditatio
Sulla meditatio si potrebbero dire tante cose
su un brano così ricco: ne prendo solo tre.
La prima riflessione si può titolare “la
chiesa”, poi vi lascio subito una domanda
punto per punto e ognuno prende quella che
vuole e stiamo un quarto d’ora in silenzio a
pregare.
La Chiesa
I quattro portatori portano da Gesù questo
uomo / non-uomo, peccatore per la gente. Se
ne sbattono che lui sia peccatore, oppure che
gli altri pensino: “Ma quelli lì sono i suoi
amici” oppure: “Ah guarda, se la intendono
con quello lì che chissà cosa ha combinato per
5
voglio ricevere l’unzione degli infermi –
perché mi hanno spiegato che non è l’estrema
unzione – finché parlo e sto bene, non quando
sarò lì che i miei nipoti non la chiamano
perché hanno paura”. E invece la paura non
ha mai salvato nessuna, la fede invece sì:
facciamo bene a chiamare il prete quando
serve. Allora stamattina vado e celebriamo, io
e lei: segno della croce, leggiamo la Parola di
Dio, la commento e, a un certo punto, mi
stende le mani e dice: “Adesso mi unge don
Luca?”. Pronti! Le mani stese, la salvezza
dell’anima.
La seconda domanda è questa: “Che ne ho
fatto io della salvezza della mia anima?”
altrimenti perché celebriamo i 50 anni del
Concilio Vaticano II? Tu che sei qui stasera
sei Chiesa: “Chi devi portare da Gesù?”
Infine, quando gli altri ci incontrano: “Che
potere della Chiesa esprimiamo noi verso
gli altri?” Il potere di misericordia o un
potere di giudizio, di condanna, di quelli che
hanno la puzza sotto il naso, di quelli che se la
tirano perché vanno in chiesa?
La salvezza
Seconda parola è salvezza. La salvezza
dell’anima e la salvezza del corpo. La salute
del corpo e la salvezza dell’anima. Gesù non
introduce nessun dualismo: lui era vero uomo
e vero Dio. E la guarigione del corpo diventa
segno di una guarigione che è ancora più
importante, non dimentichiamolo. La nostra
interiorità è eterna, il nostro corpo sappiamo
che non lo è. Noi viviamo nella società del
“più sani e più belli”, ma per il cristiano non è
il massimo. Noi ci chiediamo sempre: “Come
stai?” E spesso falsamente rispondiamo:
“Bene!” Gli anziani dicono: “eh, finché sem
ché. Finchè sa vedum…” Ma è proprio questa
la salvezza del cristiano? È solo essere qui
fisicamente? La domanda è questa, secca,
unica: “Sono preoccupato della salvezza
della mia anima?”
Vi racconto due episodi: ieri sono andato a un
funerale a Desio per il mio ex sindaco che,
purtroppo, è morto per una leucemia. Là sono
andato a pregare, e sono commosso ancora,
sulla tomba della mia teologa preferita: una
bambina di 9 anni che ho accompagnato alla
morte. Si chiama Federica ed è morta nel
2004, ho la sua foto grande in camera. E
Federica, la mia teologa preferita, diceva
questa cosa: “Sai don, ho pensato che se Gesù
è morto in croce per me, non può avermi dato
lui la pallina!” La pallina era il tumore al
cervello. “Scusa, è mica scemo Gesù. Muore
in croce per me e poi mi dà la pallina che
muoio io. Gesù non è scemo!”. E: “Ho
scoperto questa cosa – 9 anni – il male esiste,
purtroppo, e a qualcuno prende l’anima. A me
ha preso il corpo: meno male, mi è andata
bene!”
La seconda testimonianza stamattina: i nostri
visitatori laici sono andati a trovare una
signora anziana che ha detto loro: “Io non
voglio aspettare di essere qui rimbambita, io
La barella
Terzo e ultima parola, e poi ci mettiamo a
pregare, scusate ma il Vangelo questa sera era
ricchissimo: barella. Quattro volte ritorna
questa parola: perché questa insistenza? Ho
letto, da prete giovane, il commento di una
donna, psicologa francese, che alcune cose le
azzardava un po’, ma questa mi è piaciuta e la
conservo nel cuore perché mi ha aiutato molto
per la mia barella, per le mie barelle.
Quando noi abbiamo un problema, un male, e
questo finisce, non dobbiamo pensare che
basta dimenticarlo, dobbiamo portarlo con
noi, come questo paralitico porta la sua
barella con sé. Hai avuto un lutto (e gli
psicologi lo sanno e lo dicono che il lutto è
una delle cose più difficili da elaborare), se
vuoi dimenticare e non ci pensi, non arrivi da
nessuna parte. Tiralo fuori, prendi la tua
barella, portala con te, piangi, pregaci su,
stacci male, ma guardaci dentro a quel
problema.
Hai un problema matrimoniale? Non dire
“ormai non c’è più nulla da fare, fa niente.”
Prendi la tua barella e portala con te. Hai
avuto un trauma da adolescente, da bambino,
da bambina, hai avuto una fatica da adulto?
Prendi la tua barella. “Eh, ma io adesso non
ce l’ho più quel problema…” Ehi, sii onesto!
Prendi la tua barella e portala con te.
E quindi la domanda, molto semplice ma che
non può essere che questa: “Quali sono le
barelle della mia vita che ho lasciato là?”
Stasera il Signore ti dice di andare a prenderle
e di portarle con te!
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