Comunità Pastorale Regina degli Apostoli Parrocchie di Bernareggio, Villanova, Aicurzio, Sulbiate Anno della fede: scuola della Parola "La guarigione del paralitico" Pagine del Vangelo di Marco nell'Anno della Fede Secondo incontro: Venerdì 16 novembre 2012 - Chiesa parrocchiale di Aicurzio Il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati (Mc 2, 1 - 13) 1 Entrò di nuovo a Cafarnao, dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa 2 e si radunarono tante persone che non vi era più posto neanche davanti alla porta; ed egli annunciava loro la Parola. 3 Si recarono da lui portando un paralitico, sonetto da quattro persone. 4 Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un'apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico. 5 Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Figlio, ti sono perdonati i peccati». 6 Erano seduti là alcuni scribi e pensavano in cuor loro: 7 «Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?». 8 E subito Gesù, conoscendo nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate queste cose nel vostro cuore? 9 Che cosa è più facile: dire al paralitico "Ti sono perdonati i peccati", oppure dire "Alzati, prendi la tua barella e cammina"? 10 Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, 11 dico a te - disse al paralitico - alzati, prendi la tua barella e va' a casa tua». 12 Quello si alzò e subito presa la sua barella, sotto gli occhi di tutti se ne andò, e tutti si meravigliarono e lodavano Dio, dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!». 13 Usci di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed egli insegnava loro. una volta al mese non ci capita mai di fare) ci permetterà di fermarci su una domanda o su qualcosa da cui si è stati toccati e, mettendo il tuo sguardo sulla presenza reale di Gesù, ci si interroga. Innanzitutto devo dirvi, e vi ringrazio ancora come l’ho già fatto la volta scorsa, che avere un puntello come questo momento mi costringe a spendere delle ore e questo vuol dire che voi costringete il parroco a fermarsi a pregare, e questa è una cosa bella, anche e soprattutto ora, con le visite delle benedizioni natalizie nelle case. Preti, suore e dei laici splendidi stanno vivendo questo servizio alla comunione nella nostra Chiesa RIFLESSIONE DI DON LUCA La Scuola della Parola Prima di introdurci in questo secondo incontro, riprendo brevemente l’introduzione dell’altra volta che, con le prime parole di Gesù nel Vangelo di Marco, mi ha permesso di spiegarvi il metodo della Scuola della Parola: il primo momento, la Lectio, cioè la lettura e qualcuno che ci spiega la Parola e quello che significa; il secondo momento, la meditatio, cioè una meditazione che ci viene suggerita dopo la lectio. La lettura e la meditazione sono, per forza di cose, delle sottolineature fatte dal predicatore: io stasera faccio alcune scelte diverse dal bellissimo commento che don Matteo Crimella, biblista, ha lasciato sul libretto che avete e che vi invito a rileggere nel mese tra un incontro e l’altro. Poi, l’intento di queste serate è che quando mi sposterò dall’ambone, finita la riflessione, faremo un canto e in ginocchio accoglieremo l’Eucarestia che verrà esposta qui sull’altare. Un congruo spazio di silenzio (come magari Il miracolo è segno di qualcos’altro Faccio ancora una premessa, poi andiamo al brano che è fantastico: rispetto a quello dell’altra volta c’è un’azione, ci sono dei personaggi, c’è un movimento… pensate che nella basilica di Sant’Apollinare a Ravenna, gli antichi mosaici rappresentano in una scena proprio questo calare del paralitico dentro la casa dove c’è Gesù. Stasera, come magari 1 non usiamo mai la fantasia, invece, questa introduzione ci aiuta a fare proprio la composizione di luogo, cioè a immaginarci la scena e, scusateci, ma sono più avvantaggiati quelli tra di noi che sono stati in Terra Santa perché parlando di Cafarnao viene in mente un lago e alcune case… capisco, ma cercheremo di aiutare anche chi non c’è stato perché non è figlio di un dio minore: mia nonna non ci è andata, ma aveva più fede di me. Quindi non è questo il presupposto per avere fede, ma serve più fantasia. I versetti dal 3 all’11 raccontano il miracolo sul quale poi ci soffermiamo nella meditatio e, infine, l’ultimo versetto, il 12, ci parla della reazione della folla: su questa parte farò soltanto una battuta, ma che mi sembra molto bella. Andiamo dunque a leggere, a fare la lettura, poi vi darò tre spunti di meditazione e ognuno pregherà su quello che preferisce. vedremo anche altre volte, parliamo di un miracolo, e sapete che parlare di miracoli è sempre pericoloso. Quale è il senso del miracolo? Il Vangelo di Giovanni quando parla del miracolo, o dei miracoli, li chiama segni e “segni” è proprio la parola giusta perché il segno o i simboli sono fatti per rimandare a qualcos’altro. Cioè, se ci si ferma soltanto al miracolo, Gesù resta un grande taumaturgo, ma poi la nostra vita va avanti così come è sempre andata; se invece ci interroghiamo, che è quello che faremo stasera, allora qualcosa cambia nella nostra vita e si scopre che il miracolo più grande che Gesù vuole suscitare è la fede prima di qualsiasi guarigione: che sia di un lebbroso, che sia di un cieco, che sia di un paralitico, che sia addirittura la rianimazione di un cadavere come nel caso del figlio della vedova di Nain o della fanciulla di Cafarnao o di Lazzaro, suo amico. Prima ancora di questi eventi clamorosi, quello che a Gesù interessa è il miracolo della fede e, infatti, o è premessa: “Va’ in pace, la tua fede ti ha salvato.” Oppure è la causa: “Signore non son degno - dice il centurione a Gesù - che tu entri in casa mia, ma tu dì soltanto una parola e io sarò salvato.” E Gesù dice: “Non ho mai trovato una fede così grande.” E il centurione va a casa e trova il servo guarito. Quindi il miracolo vero è la fede che o presuppone o è la causa finale del miracolo stesso. E il miracolo che vedremo questa sera è secondo me sintomatico perché dice che la salvezza fisica, quindi la salute, sta insieme alla salute dell’anima che è quindi la vera salvezza. La composizione di luogo Innanzitutto, nell’introduzione si dice “Gesù entrò di nuovo a Cafarnao.” Prima dov’era? Chi di voi ha letto il capitolo 1 si ricorda che Gesù non entrava più da qualche giorno in una città o in un villaggio perché il lebbroso guarito, pur essendo stato istruito: “vai a presentarti ai sacerdoti, io ti ho guarito, ma vai, fai il tuo rito e non dire niente a nessuno”, con il cuore talmente pieno di gioia gli fa una pubblicità incredibile a tal punto che Gesù non entra più in nessuna città o villaggio. Egli sente un po’ il fastidio di questa cosa, un fastidio, penso, un po’ psicologico di essere identificato soltanto come il guaritore del corpo e, allora, si ritira in luoghi deserti. Gesù, però, dopo alcuni giorni rientra in città. Stava in luoghi solitari ma la gente comunque va a cercarlo: immaginate il travaglio psicologico e interiore di Gesù che, alla fine, cede, cede alla passione per la gente. Nel Vangelo si dirà poi, alla vigilia di alcuni miracoli come la moltiplicazione dei pani, che Gesù prova compassione perché vede la gente come pecore senza un pastore, come un gregge disperso. Quindi Gesù si lascia commuovere, torna in città e a un certo punto, dice il Vangelo nell’introduzione: “Si seppe che era in casa”. Ma Gesù era originario di Nazareth, non è sua questa casa, è la casa di chi? Sempre al Le sezioni del brano Innanzitutto mi piace, come metodo, dare una struttura ai brani di Vangelo su cui riflettere: i primi due versetti, l’1 e il 2, ci portano un’introduzione che ci aiuta a fare la “composizione di luogo”. La composizione di luogo è un termine di Sant’Ignazio di Loyola che porta nella preghiera una componente che nella preghiera non usiamo mai. Noi spesso usiamo il cuore, l’emozione e i sentimenti; usiamo a volte la testa per ragionare sulle cose che ci sono successe, per fare discernimento, per scrutare in profondità gli avvenimenti o per chiedere al Signore che ci aiuti. Purtroppo 2 filologia deriva da logos per cui interesse, studio della parola, dei libri; oppure cardiologia, discorso sul cardio, cioè sul cuore; tutte le parole che finiscono in “logia” derivano da “loghia” e da “logos” che vuol dire discorso su qualcosa. “Logos” vuole anche dire il permesso di parlare, l’orazione in pubblico, l’eloquenza, la proposizione esposta, l’affermazione massima, addirittura vuol dire anche l’insegnamento, il precetto, la relazione, il racconto di un fatto, la ragione. Indica qualcosa per cui si rende conto, l’apprezzamento la stima, la ragione, la conseguenza logica di un ragionamento, insomma: tutto. Dire che “Gesù annunciava loro la Parola” vuol dire che dava loro il senso della vita, la vita stessa. Addirittura, la parola logos in qualche autore minore veniva usata per indicare la lista della spesa. Tra la Parola e la lista della spesa c’è dentro tutta la vita. Gesù non sta facendo un discorso astratto, ma sta parlando di Dio che c’entra con la loro vita. capitolo 1 si parla della casa di Pietro: probabilmente è quella la casa che è il punto di riferimento. Infatti, uno dei primi miracoli di Gesù, dopo la liberazione dell’indemoniato, è la guarigione della suocera di Pietro che, guardate la delicatezza umana di Gesù, guarisce la donna perché poi si alzi e possa cucinare per loro: la guarisce perché ha fame, e con molta semplicità, ance se Pietro non gli perdonerà mai di avergli guarito la suocera, ma questa è un’altra storia. Pietro, in seguito, preferirà seguire Gesù, come se dicesse: “Stai qui te con questa arpia”. Quindi possiamo supporre che quella sia la casa di Pietro, ma perché parliamo di questa casa, come è fatta? Ci aiuterà in seguito, per la fantasia. Le case non erano come le nostre, assomigliavano di più alle case di ringhiera di una volta, cioè c’era il posto dove si andava a dormire, però era solo una stanza, perché tutto il resto della giornata si svolgeva fuori dove c’era una tettoia fatta di frasche mischiate a fango, dove si cucinava e ci si incontrava. La casa poteva avere più stanze che si affacciavano su questo luogo comune, ma ciascuna apparteneva ad altre persone. Il fatto che Gesù stesse sulla soglia a parlare, non dentro la casa di Pietro, permetteva di avere davanti un cortile dove tanta gente si affacciava e tanta gente poteva arrivare dall’ingresso principale a quell’aia, come l’avremmo chiamata noi conoscendo le nostre cascine. Sul quest’aia, dove c’è la piazza comune, dove ci sono queste stanzette, queste case fatte di pietra con su questi tetti di frasche e fango mischiati si svolge la vicenda. La paralisi e il peccato Arriviamo al secondo passo, Gesù sta parlando del senso di tutto e avviene questa scena: c’è una cosa bellissima, la generosità di queste quattro persone, con una barella e il paralitico. Il paralitico è in contrapposizione con l’uomo della Bibbia che, pensate all’esodo, è libero perché si mette in cammino; un uomo fermo è un uomo morto, non è un uomo. La malattia costringe questo paralitico a non vivere più la pienezza della sua umanità. In secondo luogo, c’è anche una considerazione culturale perché in Israele esisteva la teologia della retribuzione, espressa benissimo dal Salmo 61 che dice: “Tu Dio, secondo le sue opere ripaghi ogni uomo”. Quindi egli è così, è paralitico, perché paga le sue opere e, quindi, è un peccatore. La sterile è peccatrice perchè è vuota, secca. Quando il cieco nato và da Gesù, la domanda è “chi ha peccato perché lui nascesse cieco, lui o i suoi genitori?” Perché se è nato così, magari hanno sbagliato i suoi genitori. È il tentativo di trovare una risposta al male nella responsabilità di qualcuno, anche se il male esiste perché è un mistero che non ha risposta,. Quindi il paralitico è guardato come non-uomo e per di più peccatore perché se è La Parola Gesù, dice il testo a un certo punto: “annunciava loro la Parola”. Per vezzo mio sono andato a vedere qual’è il significato di questo, che “parola” annuncia Gesù? Il termine greco indicato lì e “logon”, “logos”. Sono andato a riaprire il mio vecchio vocabolario di greco, il Ghemon (vetusto neanche vecchio) e “logos” è la parola che in tutto il vocabolario greco ha più significati. Indica il parlare, il comunicare, quindi la parola; nel Vangelo di Giovanni viene detto “il Verbo”, la Parola per eccellenza, ma vuol dire anche il discorso. Provate a pensare a tutte le parole che derivano da questo “logos”: 3 sono scontenti e delusi. Li ha scontentati tutti con una frase. La guarigione interiore e la barella E qui c’è la frase che è il cuore del brano: dopo che Gesù ha detto: “Cosa è più facile dire: alzati prendi il tuo lettuccio e va a casa tua o ti sono rimessi i peccati?” Al versetto 10 Gesù continua: “Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo - che è un modo altisonante che ha Gesù per definirsi, preso dal profeta Daniele - perché sappiate che io ho il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te, dice al paralitico, alzati prendi la tua barella e va’ a casa tua”. La guarigione fisica è il segno di una guarigione più profonda che sta a cuore a Gesù. Lui era la da solo nel deserto, non voleva che la gente lo prendesse come l’Harry Potter o il maghetto della situazione, il genio della lampada di Aladino o la maga di Segrate: in una frase riesce a dire quello che lui vuole essere. Sappiate che qui c’è qualcuno che ha un potere che è ancora più grande di guarire, che è quello di perdonare i peccati, Ora, perché sappiate che c’è questo, alzati e fa il miracolo. Ecco il segno, ma per spiegare che c’è sulla terra il potere di perdonare i peccati. E ci sono due curiosità: la prima è che quando si usa il verbo “alzati” al versetto 9 e poi direttamente al paralitico al versetto 10: “Alzati, prendi la tua barella” si usa il verbo greco “egheirei” che significa “risorgi”. Quando le donne andranno al sepolcro al capitolo 16 di Marco, vedranno questi esseri, gli angeli, che dicono: “perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto!” con lo stesso verbo. E Gesù dice a quest’uomo guarito nell’anima e nel corpo “Tu sei risorto!” Questo è il miracolo più grande, che l’uomo risorga. Quindi questo miracolo è segno della resurrezione, ancora più importante di quel rialzarsi da un letto. Un’altra curiosità, che riprenderemo dopo, è che al versetto 4 si dice: “calarono la barella”, al versetto 9 si dice ancora: “cosa è più facile dire alzati prendi la tua barella”, e si parla ancora di questa barella per la seconda volta. Al versetto 11: “dico a te, disse al paralitico, alzati prendi la tua barella e va’ a casa tua”. Al versetto 12: “Quegli si alzò e prese la sua barella”. Se quattro volte torna questa “barella” vuol dire che essa ha la sua cosi, qualcosa ha fatto per meritarselo da Dio. Su questa teologia della retribuzione Gesù lotterà aspramente, e sarà proprio liberante l’insegnamento di Gesù su questa cosa. La delusione Continuiamo ad immaginare la scena: la cosa bella è che questi qua arrivano, l’aia, le frasche, gente, non si riesce ad entrare. Chi ha già occupato le altre case che sono in cerchio, beati loro che riescono anche a sedersi da qualche parte. Gli altri sono schiacciati nel cortile davanti a Gesù con alle spalle Pietro, la suocera e tutti gli altri. I portatori non riescono ad entrare dentro questa ansa dove c’è Gesù. Cosa fanno? C’erano dei pali che tenevano su la copertura. Camminando su questi pali con un paralitico sulla barella, questi quattro fanno un buco: si blocca tutto! E non so, non erano molto alti questi tetti, forse con delle corde lo calano giù davanti a Gesù. Si ferma l’insegnamento, la Parola di Gesù, c’è un fatto, un’evidenza. Al versetto 5 si dice che Gesù: “vedendo la loro fede”, rimane cioè colpito Gesù dalla loro fede e pronuncia queste parole: “Figlio, ti sono perdonati i peccati.” Ora immaginate l’attesa che hanno questi portatori: sono riusciti a superare la folla, hanno fatto gli equilibristi in quattro con una barella su delle bacchette, che non so se erano di bambù o di qualcos’altro, riescono a calare il paralitico e si aspettano che Gesù guarisca il loro amico ma invece Gesù dice “solo” quella frase. In un momento solo riesce a scontentare due categorie di persona: prima questi quattro, sudati, feriti, coi vestiti strappati e scontenti perché loro volevano un guarito. Gesù gli dice “soltanto” ti sono perdonati i peccati e lo chiama Figlio, ma loro non colgono questa cosa. Loro lo vogliono guarito e questo qua cosa fa? Fa il confessore? Scontenta loro e scontenta anche gli scribi, i teologi del tempo che pensano subito ad una bestemmia perché solo Dio può perdonare i peccati e se lui perdona vuol dire che sta dicendo che lui è Dio. Quindi, in quel momento, Gesù ha deluso tutti. Solo la folla che non capisce cosa sta accadendo e sta lì a guardare, ma certamente le persone interessate a prenderlo in castagna, gli scribi, e questi portatori che erano interessati a far guarire il loro amico, 4 conciarsi così”. Era il modo di parlare della gente, ma a loro non importa nulla: fanno una fatica d’inferno e lo portano davanti a Gesù. È un’immagine bellissima di Chiesa: non si arriva a Gesù da soli. Nell’anno della fede, questa riflessione è importantissima: io e il mi Gesù, come la coperta di Linus, quel personaggio dei fumetti che si tiene in scena la copertina. No, Gesù non è la copertina di Linus, ma è la forza di un popolo. Non si arriva a Gesù da soli: la fede, ce lo dice questo brano, è una forte esperienza ecclesiale. La paralisi è la solitudine. Questi vanno a prenderlo, lo tolgono dalla solitudine e la comunione di questi portatori permette al paralitico la comunione con Cristo. Penso che questa sia la funzione più bella della Chiesa: la comunione gioiosa di gente che dice a un altro: “Caro amico, ti voglio portare da Gesù, devi conoscerlo anche te, poi non so cosa deciderai, ma devi conoscerlo”. Anche loro hanno fatto l’esperienza della delusione. Non sempre la Chiesa, anche nella storia, ha capito Gesù. Qualche volta i peccati di cui ha chiesto perdono Papa Giovanni Paolo II per la Chiesa sono stati il fatto che la Chiesa ha pensato di avere altri poteri al di fuori di quello di rimettere i peccati, che invece è il potere più grande che Gesù ha esercitato. Egli da risorto ha detto agli apostoli: “ricevete lo Spirito Santo, a chi rimetterete i peccati saranno rimessi”. Il potere sulla terra più grande che la Chiesa può esercitare è ripetere il potere più grande di Gesù che non è guarire la gente o fare i miracoli, ma perdonare i peccati. Quindi questi, cha hanno anche sperimentato la delusione ed il fallimento di non aver capito Gesù, hanno però capito che bisogna portare il fratello da Gesù. E che la Chiesa vive questo perdonare i peccati imitando proprio Gesù. E allora la domanda che vi faccio io è: “quale esperienza di Chiesa ho fatto io e sto facendo?” Noi pensiamo sempre che la Chiesa siano il Papa, i vescovi, siamo malati di questa cosa, ma se la Chiesa sono io: “A me chi mi ha portato da Gesù?” È bello che magari stasera ringraziamo il Signore per i portatori che abbiamo incontrato, quelli che hanno preso la barella della nostra vita e ci hanno portato da Gesù. E ancora: “io chi sono chiamato a portare adesso?” Perché la chiesa sono anch’io, importanza! Questo lettuccio, barella o giaciglio, qualcosa che quei quattro hanno messo in piedi (senza moschettoni o corde perché non c’erano), pur essendo molto rude, viene presa e portata via dal paralitico, una volta che è guarito e và via. Ma vedremo dopo. La folla Ultima cosa per la lectio, poi vorrei passare alla meditatio, è la conclusione: in barba a tutti i discorsi degli scribi, i teologi del tempo, nell’ultimo versetto la folla “loda Dio”. Ora, non ci torno su adesso nella riflessione e nelle tre domande che vi lascio per pregare, ma la cosa che mi colpisce è che la gente “se ne fa un baffo” della discussione: ma chi è costui, che potere ha per perdonare i peccati…. A volte la gente che è fuori dai nostri ambienti ha pretese molto più semplici delle nostre, ma è capace di andare al cuore delle cose. Faccio un esempio: noi siamo stati lì anni (22, non so quanto, forse 26) a dire che Giovanni Paolo II è progressista, o è chiuso, che su questa cosa è troppo qui o troppo là… Quando è morto, milioni di persone sono accorse per un ultimo saluto. Forse bastava farsi meno menate e dire: “la folla vide”. Il Cardinale Schuster diceva: “Quando passa un santo, tutti si accorgono e la gente corre”. È bello questo atteggiamento della folla perché forse dice a noi addetti del mestiere di piantarla lì con tante menate e discussioni e di essere più semplici, un po’ più semplici. La meditatio Sulla meditatio si potrebbero dire tante cose su un brano così ricco: ne prendo solo tre. La prima riflessione si può titolare “la chiesa”, poi vi lascio subito una domanda punto per punto e ognuno prende quella che vuole e stiamo un quarto d’ora in silenzio a pregare. La Chiesa I quattro portatori portano da Gesù questo uomo / non-uomo, peccatore per la gente. Se ne sbattono che lui sia peccatore, oppure che gli altri pensino: “Ma quelli lì sono i suoi amici” oppure: “Ah guarda, se la intendono con quello lì che chissà cosa ha combinato per 5 voglio ricevere l’unzione degli infermi – perché mi hanno spiegato che non è l’estrema unzione – finché parlo e sto bene, non quando sarò lì che i miei nipoti non la chiamano perché hanno paura”. E invece la paura non ha mai salvato nessuna, la fede invece sì: facciamo bene a chiamare il prete quando serve. Allora stamattina vado e celebriamo, io e lei: segno della croce, leggiamo la Parola di Dio, la commento e, a un certo punto, mi stende le mani e dice: “Adesso mi unge don Luca?”. Pronti! Le mani stese, la salvezza dell’anima. La seconda domanda è questa: “Che ne ho fatto io della salvezza della mia anima?” altrimenti perché celebriamo i 50 anni del Concilio Vaticano II? Tu che sei qui stasera sei Chiesa: “Chi devi portare da Gesù?” Infine, quando gli altri ci incontrano: “Che potere della Chiesa esprimiamo noi verso gli altri?” Il potere di misericordia o un potere di giudizio, di condanna, di quelli che hanno la puzza sotto il naso, di quelli che se la tirano perché vanno in chiesa? La salvezza Seconda parola è salvezza. La salvezza dell’anima e la salvezza del corpo. La salute del corpo e la salvezza dell’anima. Gesù non introduce nessun dualismo: lui era vero uomo e vero Dio. E la guarigione del corpo diventa segno di una guarigione che è ancora più importante, non dimentichiamolo. La nostra interiorità è eterna, il nostro corpo sappiamo che non lo è. Noi viviamo nella società del “più sani e più belli”, ma per il cristiano non è il massimo. Noi ci chiediamo sempre: “Come stai?” E spesso falsamente rispondiamo: “Bene!” Gli anziani dicono: “eh, finché sem ché. Finchè sa vedum…” Ma è proprio questa la salvezza del cristiano? È solo essere qui fisicamente? La domanda è questa, secca, unica: “Sono preoccupato della salvezza della mia anima?” Vi racconto due episodi: ieri sono andato a un funerale a Desio per il mio ex sindaco che, purtroppo, è morto per una leucemia. Là sono andato a pregare, e sono commosso ancora, sulla tomba della mia teologa preferita: una bambina di 9 anni che ho accompagnato alla morte. Si chiama Federica ed è morta nel 2004, ho la sua foto grande in camera. E Federica, la mia teologa preferita, diceva questa cosa: “Sai don, ho pensato che se Gesù è morto in croce per me, non può avermi dato lui la pallina!” La pallina era il tumore al cervello. “Scusa, è mica scemo Gesù. Muore in croce per me e poi mi dà la pallina che muoio io. Gesù non è scemo!”. E: “Ho scoperto questa cosa – 9 anni – il male esiste, purtroppo, e a qualcuno prende l’anima. A me ha preso il corpo: meno male, mi è andata bene!” La seconda testimonianza stamattina: i nostri visitatori laici sono andati a trovare una signora anziana che ha detto loro: “Io non voglio aspettare di essere qui rimbambita, io La barella Terzo e ultima parola, e poi ci mettiamo a pregare, scusate ma il Vangelo questa sera era ricchissimo: barella. Quattro volte ritorna questa parola: perché questa insistenza? Ho letto, da prete giovane, il commento di una donna, psicologa francese, che alcune cose le azzardava un po’, ma questa mi è piaciuta e la conservo nel cuore perché mi ha aiutato molto per la mia barella, per le mie barelle. Quando noi abbiamo un problema, un male, e questo finisce, non dobbiamo pensare che basta dimenticarlo, dobbiamo portarlo con noi, come questo paralitico porta la sua barella con sé. Hai avuto un lutto (e gli psicologi lo sanno e lo dicono che il lutto è una delle cose più difficili da elaborare), se vuoi dimenticare e non ci pensi, non arrivi da nessuna parte. Tiralo fuori, prendi la tua barella, portala con te, piangi, pregaci su, stacci male, ma guardaci dentro a quel problema. Hai un problema matrimoniale? Non dire “ormai non c’è più nulla da fare, fa niente.” Prendi la tua barella e portala con te. Hai avuto un trauma da adolescente, da bambino, da bambina, hai avuto una fatica da adulto? Prendi la tua barella. “Eh, ma io adesso non ce l’ho più quel problema…” Ehi, sii onesto! Prendi la tua barella e portala con te. E quindi la domanda, molto semplice ma che non può essere che questa: “Quali sono le barelle della mia vita che ho lasciato là?” Stasera il Signore ti dice di andare a prenderle e di portarle con te! 6