A cura di Giovanna Gritti
LA BELLE EPOQUE
Un miraggio tra due secoli
Alphonse Mucha-Le quattro stagioni.1902-Parigi
Un’epoca eccezionale
Cercando sulle Enciclopedie, nei libri di Storia o nei vocabolari, non c’è traccia
dell’espressione”Belle Epoque”: ciò vuol dire che il mondo ufficiale della cultura ripudia questa
dicitura che fu coniata dalla “vox populi” e che nacque dopo l’inizio della Prima Guerra Mondiale
per indicare, in contrapposizione agli orrori della guerra e alle difficoltà esistenziali che essa
comportava, la straordinaria stagione di progresso e di prosperità vissuta dagli Europei dal 1870
al 1914.
Se, come sosteneva G.B.Vico, le epoche storiche sono sottoposte a “corsi e ricorsi”, presentano,
cioè, nelle grandi linee degli eventi che in esse si verificano, delle caratteristiche costanti che le
rendono spesso simili, il periodo che prese il nome di “Belle Epoque” fu uno tra quelli
contrassegnati da un’intensa espansione economica, da una fioritura di scoperte e da un
miglioramento della qualità della vita, destinati ad investire la società del tempo ed a produrre
grandi cambiamenti.
Nel corso dell’Ottocento l’Europa era andata stabilizzandosi con la creazione di grandi stati
nazionali.
L’industrializzazione si era diffusa, nuove scoperte scientifiche consentivano di essere applicate
anche alle attività quotidiane rendendo più facile il lavoro e più comoda la vita domesticofamiliare.
Diversi sovrani europei avevano goduto della fortunata circostanza di poter vivere e regnare a
lungo, consentendo ai loro popoli una stabilità ed una prosperità accresciuta dalle conquiste
coloniali, che potenziavano la ricchezza degli stati e incrementavano i commerci, favorendo lo
sviluppo della borghesia che si affermava per le sue capacità di creare nuovi mercati, di
moltiplicare il capitale e di farlo circolare più facilmente con la creazione di moderni istituti
bancari.
Anche se non tutti i paesi in Europa vivevano al meglio questa lunga parentesi di prosperità,
tuttavia la maggior parte degli stati avevano attinto un livello esistenziale
più accettabile anche per gli strati sociali solitamente meno favoriti, che cominciavano a prender
coscienza dei loro diritti e ad inserirsi più attivamente nel mondo del lavoro.
Certamente, guardando quel tempo con gli occhi del nostro, ci si accorge che ancora molto restava
da fare per poter parlare di benessere generalizzato o di giustizia sociale: tuttavia fu questo un
periodo in cui si fecero rapidi passi avanti nel campo della modernizzazione che coinvolsero tutta
la società.
L’esempio più significativo di questa realtà era in Europa l’Inghilterra, che durante il regno della
regina Vittoria, visse un lungo periodo di prosperità.
Ma il paese che interpretò lo spirito autentico della Belle Epoque fu senza dubbio la Francia.
G.Seurat- Una domenica pomeriggio all’Isola della Grande Jatte-Parigi,1883/85
Anche l’Austria di Francesco Giuseppe trascorse alcuni decenni felici e altresì l’Italia, sin che non
scoppiò il conflitto mondiale che tutto travolse.
Modernità e progresso
Negli ultimi decenni dell’Ottocento, l’umanità si cullava in un clima euforico e in uno spensierato
ottimismo che permeava di sé le scienze e le arti ma anche la concezione comune della vita. La
corrente filosofica del Positivismo alimentava non soltanto la cultura, ma anche, per vie traverse,
l’opinione pubblica, influendo indirettamente sul vivere quotidiano.
Si godeva della scoperta del “tempo libero”, del diritto allo svago e al divertimento, della pratica
dello sport ora accessibile a tutte le classi sociali e ciascuno, secondo le proprie possibilità
economiche, migliorava di giorno in giorno la qualità della propria vita.
George Seurat-Un bagno ad Asnières –Parigi-1883/84
Se la nobiltà viaggiava per diletto, la borghesia non era da meno.
Usufruiva di mezzi di trasporto meno lussuosi e di alberghi meno eleganti, ma non si negava il
piacere di assistere a manifestazioni come le Olimpiadi di Atene del 1896 o le prime partite di
calcio, le regate veliche, le gare ciclistiche.
Alphonse Mucha-Poster-image pubblicitario.1885-Parigi-
Il ciclismo era praticato da tutti i ceti: anche i meno abbienti andavano in bicicletta, come del
resto, là dove era possibile, praticavano l’alpinismo.
La comunicazione si avvalse di nuove scoperte: il telefono e la radio,preceduta dal telegrafo senza
fili,mentre i giornali si diffondevano sempre più incrementando la conoscenza di notizie relative
anche ai paesi più lontani del mondo.
Romanzi e racconti a puntate comparivano sui quotidiani e attiravano l’attenzione dei lettori che
si moltiplicavano.
Le distanze si accorciavano comunicando attraverso l’etere ma anche grazie alla velocità di nuovi
mezzi di trasporto, come l’automobile e l’aeroplano.
Fabrice de Villeneuve-Fly the world- Poster-image -1890
Un treno esclusivo, l’Orient Express, collegava Parigi a Costantinopoli, porta dell’Oriente; un
altro andava da Mosca in Cina.
Si praticarono gallerie nelle montagne che consentirono di mettere in comunicazione mediante la
ferrovia paesi vicini, ma divisi da alte catene montuose e che sembravano destinati a non poter
usare il treno: Italia, Svizzera, Francia ed Austria si collegarono attraverso i trafori del Gottardo,
del Sempione, del Fréjus.
Manifesto pubblicitario stampato in occasione dell’inaugurazione della prima strada ferrata
elettrificata tra Milano-Varese-Porto Ceresio -1901/02Nelle città furono create le Metropolitane, ferrovie sotterranee urbane che consentivano di
raggiungere velocemente tutti i quartieri della città, eludendo il traffico che già cominciava a
condizionare gli spostamenti in superficie.
Il cinema e la fotografia
Il desiderio di documentare gli avvenimenti quotidiani e di fissare il ricordo dei momenti più belli
della vita è quello che tributa un grande e duraturo successo all’invenzione della fotografia:dalla
seconda metà dell’Ottocento in poi, essa sarà la testimone più efficace della Belle Epoque e si
rivelerà utile non solo nel privato, ma anche nel settore pubblico, per il quale, aggregandosi al
giornalismo, la fotografia diventa un elemento irrinunciabile di conoscenza.
Era l’epoca delle grandi avventure: l’uomo voleva cimentarsi con i suoi simili ma anche con la
natura.
Nel 1907 dieci equipaggi automobilistici stabilirono di partire da Pechino per arrivare a Parigi:
alla gara partecipavano piloti di varie nazionalità.
Vinsero gli italiani.
A Mucha-Manifesto pubblicitario per una casa automobilistica. Parigi-1903-
Un’altra novità, collegata alla fotografia, si sviluppò rapidamente e prese campo, facendo a lungo
discutere se fosse nata una nuova forma d’arte –la decima Musa ? - o solo una nuova forma di
svago: si trattava del cinema.
Rispetto al teatro, il cinema si presentava più accessibile, più fruibile dalle masse: ma il fatto di
fissare una volta per tutte sulla celluloide le immagini e le emozioni che solo il teatro sino ad allora
aveva saputo dare, da un canto consentiva di rivedere lo spettacolo infinite volte, dall’altro lo
rendeva meno raro e quindi meno degno di essere classificato come un’arte vera e propria.
L’Arte e la Moda
Ma la gente amava divertirsi e andare a cinema presto fu di moda come andare a ballare.
Dall’Austria era arrivato una nuova, coinvolgente danza: il valzer, che conquistò tutta l’Europa
e si diffuse anche oltremare.
I compositori che lo avevano creato erano gli Strauss, che restarono i più straordinari e noti
musicisti austriaci del tempo.
Victor Gilbert-An elegant soiree- Londra-1897
La moda,come sempre nei periodi storici di grandi mutamenti, cambiava anch’essa:la donna,
chiamata a svolgere un ruolo attivo nella società e nel mondo del lavoro, non poteva portare
ancora busti così stretti, tante sottogonne, volants,ruches, drappeggi.
Ancora una volta, Parigi dettò le regole del nuovo modo di vestirsi.
Dapprima fu adottato un abito, il tailleur,con una giacca lunga e piuttosto maschile, su una
gonna dritta davanti e con profonde pieghe centrali dietro per consentire il passo.
Un modello di “tailleur”alla fine dell’Ottocento
Furono abbandonate le sottogonne, la biancheria intima si restrinse e si accorciò:ne diedero
l’esempio le ballerine di can-can, prima occasione di scandalo, poi esempio di stile.
H.Toulouse Lautrec-Le bal au Café Chantant-Parigi-1897
In seguito, dovendo praticare lo sport, la donna eliminò altre sovrastrutture inutili che la
impacciavano e che caddero una ad una come le foglie d’autunno.
Le scarpe divennero più comode, i tacchi meno alti, le punte meno strette.
Tranne che per la sera, per la quale l’eleganza restava legata sempre ai tessuti preziosi, ai merletti
e ai ricami, agli abiti lunghi e ai gioielli, si può affermare che la donna comune che godeva di un
medio reddito cominciò ad acquistare il suo vestiario presso i grandi magazzini e i negozi
specializzati che avevano iniziato la creazione e la vendita di vestiti, biancheria personale,
cappelli e pelletteria fatta in serie dalle macchine.
Les Galeries Lafayette,uno dei primi Grandi Magazzini di Parigi.
Dalla fine dell’Ottocento agli inizi del Novecento, solo le persone abbienti continuarono a vestirsi
nelle grandi sartorie e dai piccoli sarti la gente che guadagnava modestamente.
Si verificava un forte incremento produttivo mentre si accresceva il numero dei consumatori: per
questo motivo alcuni osservatori hanno creduto di poter vedere nella fine dell’Ottocento la nascita
della moderna società dei consumi.
Parigi ,Vienna e la Belle Epoque
Parigi era e restava il “clou” di questa rivoluzione pacifica che aveva rimescolato la società dando
spazio anche alle classi prima meno privilegiate.
P.A.Renoir-Bal au Moulin de la Galette-1877-Musée d’Orsay-ParisLa capitale francese era anche il faro da cui si irradiavano le nuove correnti artistiche,
particolarmente nel campo della pittura, per la quale si affermarono autori che lasciarono un segno
individuale, come Toulouse Lautrec o Van Gogh, ed altri, che appartennero all’Impressionismo, al
Puntinismo, o al Neo-Impressionismo, all’Art Nouveau.
Parigi era sempre stata considerata la capitale dell’Arte, ma durante la Belle Epoque lo fu, se
possibile, ancor di più e a buon diritto.
L’Arte, infatti, fioriva lì sotto tutti gli aspetti, non solo dal punto di vista culturale, ma anche da
quello degli spettacoli.
Il teatro, l’opera, l’operetta, les Folies Bergère, il ballo Excelsior, il cinema dei fratelli Lumière, il
balletto, offrivano continue emozioni e suggestioni al pubblico di qualità sempre più numeroso,
mentre i caffè-concerto, le gare sportive, i grandi magazzini potevano essere frequentati da
visitatori appartenenti a qualunque ceto.
Jules Cheret-Les Folies Bergère-Poster-image-1882-ParigiCapitali come Londra, Vienna, Budapest, Berlino furono altrettanti luoghi da dove si irradiò il
messaggio della Belle Epoque.
La letteratura non si sottrasse al fascino delle nuove tendenze: scrittori come Thomas Mann
(“Morte a Venezia”) e poeti come Gabriele D’Annunzio furono i vati indiscussi di quel tempo
straordinario.
L’Austria, dopo la ristrutturazione degli stati germanici operata dalla Prussia, aveva creato nel
1867 l’Impero austro-ungarico.
Da quel momento, sino alla Prima Guerra Mondiale, Vienna visse anni di splendore che,
coevamente a Parigi, la fecero considerare come una delle maggiori capitali europee.
Essa venne ristrutturata, fu creato il Ring, ovvero la magnifica cinta che racchiude tutta la città,
furono costruiti musei, teatri, ministeri ed entrò in funzione un servizio di tram a cavalli.
La musica degli Strauss allietava la gente che si recava a Grinzing e ad Hietzing per gustare
l’Heuriger, il vino nuovo, o la fresca birra.
Tra il 1890 e il 1892, Vienna raggiunse il milione di abitanti, mentre, tra il 1870 e il 1910, tutta
l’Europa passò da 290 a 435 milioni di cittadini europei, nonostante l’emigrazione in America di
30 milioni di essi nel corso degli anni .
Man mano che il secolo XIX volgeva verso la sua fine e si approssimava il Novecento, l’arte e la
moda mutavano ulteriormente.
Si era affermato un nuovo stile, complesso e articolato, che assunse denominazioni diverse a
seconda dei paesi in cui trovò la possibilità di emergere e trionfare: lo Stile Floreale.
Alcuni lo denominarono in Italia “Liberty”, altri in Germania “Jugendstil”, altri ancora, in
Francia, ”Art Nouveau”.
Lo Stile Floreale
Agli inizi del Novecento, si sviluppò in Europa, prendendo le mosse dall’Inghilterra, una nuova
tendenza artistica che si manifestava nelle arti decorative e nell’architettura.
Alla sua diffusione molto giovò l’inglese Arthur Lasemby Liberty, proprietario di una ditta
commerciale che si occupava di importare ed esportare oggettistica di vario genere, tra l’Europa,
l’India e il Giappone, creatore egli stesso e disegnatore di gioielli, tessuti, parati, paraventi,
mobilia di vario genere decorata con motivi floreali spiraliformi.
La diffusione dei nuovi oggetti, di ottima qualità ma non di altissimo prezzo, destinata ad
intenditori, fu facilitata sui mercati di tutta l’Europa occidentale e, imitata ed ampliata da altri
artisti che aderirono istintivamente ai canoni della nuova moda incrementandola con la loro
fantasia, si estese anche oltreoceano, giungendo in America.
Intanto, in Europa, lo stile “floreale” detto Liberty trovò la sua maggior fortuna nell’architettura
che realizzò opere particolarissime per merito di maestri come Gaudì in Spagna, Wagner in
Austria, Basile in Italia, per citarne solo alcuni.
In Francia si sperimentava in questo periodo anche la grafica e l’illustrazione: la pittura si
metteva a disposizione di una nuova esigenza che nasceva dal commercio, la pubblicità.
Sono di questo periodo manifesti pubblicitari firmati da pittori celebri come Toulouse Lautrec, o
da illustratori del calibro di Leopold Metlicovitz o Alphonse Mucha.
Anche i gioielli offrivano uno spettacolo straordinario e sovvertivano la concezione che aveva
regnato indiscussa sino a quel tempo.
L’oggetto prezioso diventava una scultura, assemblava diversi tipi di metallo o di materiale, di per
sé anche non prezioso come l’oro, per supportare perle, pietre semi-preziose prima sconosciute o non
molto sfruttate.
I gioielli riproducevano fiori, animali, insetti intrecciati ed avvolti da foglie e rami, tra cui si
affacciavano esili forme umane, evanescenti meravigliose creature realizzate con tecniche creative
nuove o rivisitate come lo smalto-cattedrale o come lastre sottilissime di opale,madreperla, cristallo
di rocca.
R.Lalique, Pendente dei due galli. Oro, smalti, diamanti, zaffiri -Parigi,1902-
Tutte opere d’arte vere e proprie, per la creazione delle quali si resero famosi i nomi di Emile Gallé,
René Lalique, Louis Majorelle, Louis Comfort Tiffany.
Quest’ultimo svolse la sua opera soprattutto in America, dove, tra l’altro, decorò alcuni interni
della Casa Bianca a Washington e creò vetrate iridescenti e istoriate servendosi dell’ausilio di
pittori contemporanei come Vuillard.
Singolare fu, per la pittura, l’apporto del pittore tedesco Gustav Klimt che interpretò in modo
personale ed originalissimo lo spirito del suo tempo.
Gustav Klimt-L’albero della vita-1905/09-Parigi-
Uno sguardo critico
Non sarebbe corretto, però, parlare della Belle Epoque solo in termini entusiastici: come abbiamo
sopra accennato, non tutti i paesi godevano della prosperità generale, né tutte le classi sociali
ovunque potevano permettersi un buon tenore di vita.
Le città erano cresciute anche per il fenomeno dell’inurbamento del proletariato operaio, ma le
classi contadine spesso segnavano il passo, come per esempio in Russia.
In Italia, dove l’industrializzazione stentava a decollare per mancanza di capitali e di materie
prime, molti cittadini dovettero scegliere la via dell’emigrazione.
Ma in altri stati europei, dove l’industria aveva esercitato un influsso positivo sull’economia, la
popolazione giovanile aumentò sino a triplicarsi.
Si diffondevano intanto il marxismo e il socialismo che avrebbero provocato la rivoluzione russa e
molti altri cambiamenti nel mondo, mentre, oltreoceano, gli Stati Uniti d’America consolidavano
la loro potenza economica.
Erano tempi di grandi mutamenti, ma qualche battuta d’arresto suonava campanelli d’allarme.
Keith Campbell - The Titanic ship - 1912
I grandi capitalisti erano presi da un delirio di onnipotenza, l’uomo, fiducioso nelle sue capacità
inventive che riteneva illimitate, osava l’inosabile.
Il 31 maggio 1911 usciva dai cantieri navali di Belfast la più grande nave realizzata –un
transatlantico – destinata a varcare l’Oceano per recarsi in America.
Tutto il bel mondo e la gente che contava, i ricchi che potevano permetterselo, avevano prenotato
un posto su quel mitico piroscafo che avrebbe attraversato l’Atlantico, come un albergo
galleggiante di categoria superiore.
Nulla mancava per la felicità e la comodità dei passeggeri.
Il piroscafo poteva ospitarne 3.320.
Per il viaggio d’inaugurazione, però, ne aveva imbarcato solo 2.201.
Il Titanic lasciò l’Inghilterra accompagnato da mille sirene di navi e battelli che gli facevano
corona, mentre migliaia di persone si affollavano sul molo per salutare e vederlo partire.
Sulla nave, un tripudio di eleganza, di belle donne e di gentiluomini, feste da ballo e cene
organizzate da cuochi famosi.
Ma nella notte il Titanic si scontra, nell’oscurità, con un enorme iceberg che ne squarcia la chiglia
e che lascia poco tempo per salvarsi: ci si accorge troppo tardi che quella meraviglia della tecnica
del tempo non ha un numero sufficiente di scialuppe di salvataggio.
Infatti la nave ne possedeva solo 20,sufficienti per 1.178 persone.
Alcuni, ma non tutti, si salvarono.
Sugli altri si chiusero le nere acque dell’Oceano.
Epilogo
Non è esagerato dire che la Belle Epoque cominciò a finire allora.
Dopo alcuni anni, scoppiava la Prima Guerra Mondiale, ma lo spirito di un’epoca felice era già
svanito, duramente colpito dalla constatazione che la felicità è caduca e che la natura umana ha
dei limiti invalicabili.
Quel che restava della nobiltà e l’alta borghesia continuarono a frequentare le località alla moda, a
spendere denaro per creare l’illusione di una felicità basata sul lusso e sulla ricerca del piacere.
George Seurat, Le Chaut -1890- Parigi
Ormai, però, il secolo XX volgeva altrove il suo sguardo e gli anni straordinari della grande
illusione erano finiti.
La belle Epoque era stata come l’infanzia felice ed ignara che gode del bello e del nuovo senza
chiedersi troppi perché: ma la dura realtà della guerra travolse l’innocenza e inasprì gli animi.
L’umanità era diventata suo malgrado adulta e lo spettacolo della realtà era mutato, costringendo
gli uomini a rimpiangere un’epoca felice passata per sempre.
Alphonse Mucha-Poster – image pubblicitario-1895-Parigi-
Bibliografia
-F:Bonazzoli-Storie d’Italia-Dalla Belle Epoque agli Anni Sessanta.T.C.I.-G.Procacci-Storia degli Italiani-Laterza-D.Mack Smith-Storia d’Europa.vol.3^-Laterza.
-A.G.P.Taylor-L’Europa delle grandi Potenze.Vol.2^-Laterza.
-C.Rearick-Pleasures of the Belle Epoque-New Hawen-Yale University Press-1985-R.Raimond-The Belle Epoque-New York-Saturday Review Press-1973-
Alphonse Mucha-Poster-image pubblicitario-Parigi-1897-
Ballo Excelsior è un balletto mimico di Luigi Manzotti, sulla musica di Romualdo Marenco, la
cui prima avvenne al Teatro alla Scala di Milano, l'11 gennaio 1881.
Realizzato secondo la formula del "ballo grande italiano" e denominato "azione coreografica,
storica, allegorica in 6 parti e 11 quadri", lo spettacolo è basato sull'idea, dominante nella società
di fine Ottocento, del trionfo della scienza.
All'allegoria della vittoria di Luce e Civiltà contro Oscurantismo, nemico del Progresso seguono
quadri che esaltano le grandi opere e invenzioni di quel periodo: il battello a vapore inventato da
Dioniso Papin, il piroscafo, la pila di Alessandro Volta, il telegrafo, la lampadina di Thomas
Edison, il canale di Suez, il traforo del Moncenisio (detto così erroneamente poiché il traforo passa
sotto il Monte Frejus. L'errore di denominazione è dovuto al fatto che il traforo sostituiva la via
molto più lunga e impervia, del passaggio sul Colle del Moncenisio). Durante il dispiegarsi dei
grandi successi della Scienza, continua tuttavia la lotta fra Luce e il Genio delle Tenebre, che si
risolve con Civiltà che alfine libera lo Schiavo dalle sue catene e irrinunciabili caroselli finali.
In scena il dispiego di mezzi è imponente: composto da undici quadri, ricco di effetti speciali, si
avvale di un corpo di ballo costituito da quattrocentocinquanta elementi. Il Corriere della Sera
scrive: “È il paradiso, il trionfo dell'umanità incivilita, una festa del pensiero, ricco e splendido.
Lo spettacolo è molto patriottico, tanto che pure la sala è piena di lampadine e bandiere tricolori,
si vuole esaltare l'avvento di un mondo in cui regnano modernità e pace. L'incasso è straordinario
per l'epoca: 6000 £, e lo spettacolo resta in cartellone per 103 serate consecutive”.
Dopo Milano, lo spettacolo delizia le platee di tutto il mondo: nel 1895 è all'Esposizione
Universale di Parigi. Nel 1913 viene trasformato in un film per la regia di Luca Comerio, mentre
una ricostruzione filmata sonora è tuttora visibile nell'episodio omonimo del film “Altri tempi”,
diretto nel 1952 da Alessandro Blasetti. Un'altra ricostruzione del balletto conclude lo
sceneggiato Cuore di Luigi Comencini (1984).
Sulle scene, lo spettacolo permane fino allo scoppio della prima guerra mondiale, ma dal 1967
viene realizzata una nuova versione - ridotta nell'organico e modificata per essere modernizzata nata in origine per il Maggio Fiorentino con la regia di Filippo Crivelli, la coreografia di Ugo
Dall'Ara, le scene e i costumi di Gianni Coltellacci e le musiche di Fiorenzo Carpi.
Sul finire del secolo è stato riproposto a Roma, prima dall'Accademia Nazionale di Danza (estate
1997, con Fethon Miozzi e Fabio Grossi nei ruoli principali) e poi dal Teatro della Tosse (giugno
1999 al Teatro Eliseo).
Nel 2000, alla Scala di Milano, è stato allestito per festeggiare l'arrivo del nuovo millennio con
Roberto Bolle, Massimo Murru e Isabel Seabra e presentato poco dopo in tournée all'Opéra
Garnier di Parigi.
Una versione per marionette, realizzata dalla Compagnia Colla nel 1895, viene tuttora
rappresentato dal Teatro dei Piccoli di Vittorio Podrecca e dei Fratelli Colla di Milano, in cui
viene usata copia delle scene dello spettacolo originale.
Bibliografia
• Testa, Alberto, I Grandi Balletti, Repertorio di Quattro Secoli del Teatro di Danza, Roma,
Gremese, 1991.
• 'Pappacena, Flavia' (a cura di), Excelsior. Documenti e saggi / Chorégraphie, Excelsior.
Documents and Essays, Roma, Di Giacomo, 1998, Scuola Nazionale di Cinema-Cineteca
Nazionale, con VHS.
Il ballo «Excelsior» fu uno dei maggiori successi teatrali italiani della fine del XIX secolo.
Rappresentato per la prima volta al teatro La Scala di Milano l’11 gennaio 1881, lo
spettacolo riscosse un grande consenso di pubblico: nel corso di quell’anno, infatti,
venne replicato per ben 103 volte. Il ballo venne successivamente riproposto, sempre
alla Scala, nel cartellone del 1883, del 1888, del 1894. Ripreso nuovamente nel 1909
e nel 1910, andò in scena per l’ultima volta al teatro milanese nel 1916.
Fino ad allora, aveva riscosso pure un grande successo internazionale: aveva infatti inaugurato il
teatro Eden di Parigi; nel 1885 era stato allestito presso lo Her Majesty’s Theatre di Londra;,
era stato rappresentato in diversi teatri americani e aveva conosciuto anche una
trasposizione cinematografica, sia pure di non grandissimo successo, nel 1913.
Alla realizzazione del balletto collaborarono Luigi Manzotti, autore del libretto e della
coreografia, e Romualdo Marenco, autore delle musiche. I due allestirono uno spettacolo
«colossale», caratterizzato da una scenografia imponente, con 450 ballerini che
comparivano sulla scena nel corso degli undici quadri di cui si componeva lo spettacolo.
Lo straordinario successo del ballo non risiedeva tanto nella sua imponenza,
quanto piuttosto nella sua capacità di rappresentare il clima culturale dell’epoca, in
particolare le tendenze predominanti negli strati più influenti della società. Il balletto
infatti condensava in una rappresentazione artistica un sistema di valori largamente diffuso.
Nello spettacolo si narravano con grande enfasi i prodigi della modernità ottocentesca,
venivano cioè riproposte quelle grandi scoperte scientifiche che avevano accompagnato la vita
dell’uomo a partire dalla rivoluzione industriale, contribuendo, in maniera decisiva a creare la
società industriale di massa, così come oggi la conosciamo.
Attraverso il ballo si celebravano, l’una dietro l’altra, in un continuo crescendo,
quelle invenzioni che erano progressivamente divenute caratteristiche della vita
moderna. La luce elettrica, il piroscafo, il telegrafo, il Canale di Suez, il tunnel del
Moncenisio, venivano rappresentanti per esaltare la costante tensione del uomo verso
il progresso scientifico e tecnologico, considerato la chiave per risolvere gli atavici problemi
della specie umana. Significativamente il culmine dell’opera era costituito dal
trionfo finale della «Luce» che liberava il povero «Schiavo» dalle tenebre del malvagio
«Oscurantismo». Il balletto era quindi figlio del clima culturale positivista, che
esaltava la scienza e il progresso come i fattori capaci di garantire la felicità dell’uomo.
La nascita delle industrie, la creazione dei grandi sistemi di comunicazioni, l’elettricità,
apparivano i benefici effetti di una umanità ottimista nei confronti del metodo scientifico,
convinta di riuscire per quella via a risolvere le sue millenarie contraddizioni. In tal
senso è emblematico che lo spettacolo sia nato a Milano ed abbia avuto proprio in quella
città il suo primo grande successo. Milano era infatti la capitale industriale dell’Italia,
la città dove più significativo era stato il ruolo della borghesia come costruttrice di ricchezza
e promotrice di una apertura verso i valori della modernità, della scienza, del progresso
in ogni campo. Nello spettacolo dell’«Excelsior» i borghesi, che all’epoca costituivano
in massima parte il pubblico che frequentava i teatri, riconoscevano quei valori
e quegli orientamenti culturali di cui si sentivano pienamente partecipi. Il balletto era
insomma un’autocelebrazione di quella borghesia laica del mondo occidentale che, assertrice
convinta dello sviluppo tecnologico, immaginava di aver gettato i presupposti per una vita
migliore, respingendo l’«Oscurantismo» e tutti i valori da esso incarnati (l’arretratezza,
l’ignoranza, la superstizione), responsabili in passato di aver rallentato il progresso scientifico. Lo
scoppio del primo conflitto mondiale e l’immane carneficina che ne conseguì gettarono molte ombre
sulla positività del progresso tecnologico, costringendo a riconsiderare l’ottimistica fiducia nella
scienza celebrata dal balletto, avendo la guerra ampiamente mostrato il lato oscuro dell’’impiego a
scopi bellici delle scoperte scientifiche.
La musica di Romualdo Marenco
Nato da famiglia repubblicana, trasferita da Genova a Novi Ligure in seguito alla soppressione
della Repubblica di Genova, Romualdo Marenco fu avviato alla musica dodicenne, dal
mazziniano Pietro Isola, traduttore di Byron.
Nel 1854, dopo un solo anno di studi esordisce come violinista nell’orchestra del Carlo Alberto di
Novi Ligure. La stagione successiva, è secondo fagotto al Teatro Doria di Genova e quindi
secondo violino al Teatro Carlo Felice di Genova, a sedici anni.
Attivista della Società Nazionale Italiana, vicino ad Anton Giulio Barrili e Pier Alessandro
Paravia, Marenco è portato al debutto da compositore da Cesare Cecchetti, padre dell’Enrico
Cecchetti poi primo ballerino, coreografo e insegnante della scuola della Scuola Imperiale di San
Pietroburgo e Mâitre de ballet dei Ballets Russes di Diaghilev.
Nel settembre 1860, a diciannove anni, Marenco presenta infatti al Nazionale di Firenze,
"Niccolò de Lapi, ovvero Firenze ai tempi dell'assedio", subito seguito da "Lo sbarco dei
Garibaldini in Sicilia", col quale, probabilmente per primo, porta in scena la storia in diretta, e che
l’anno dopo va in scena al Teatro Doria di Genova come "Lo Sbarco dei Garibaldini a Marsala e la
presa di Palermo".
Nel 1862 Marenco presenta a Roma "Edelina", subito replicato a Genova e Milano, e cui a Genova
segue "Il Balilla" (1864): un lavoro patriottico risorgimentale dedicato alla città e alla
cittadinanza che aveva patito l’aggressione e le atrocità dei bersaglieri di Lamarmora (cfr. Sacco
di Genova).
Trasferitosi a Milano nel 1865, Marenco viene presentato alla contessa Maffei, cui dedica
"Rimembranze dei colli di Lecco" su testo di M. Marcello, allora direttore del foglio di critica
musicale Il Trovatore.
In questo primo soggiorno milanese, Marenco compone "Il Corsaro, ovvero la terribile vendetta di
un pirata" (1867), che diverrà il cavallo di battaglia di Enrico Cecchetti, il talento di strumentista
lo avvicina alla Società del Quartetto, a Faccio, a Boito e soprattutto a Bottesini, col quale è a
Parigi e Bruxelles, anche attraversando gli ambienti della prima Scapigliatura, finché le sempre
più frequenti trasferte a Parigi, gli procurano l'ingaggio come Primo violino del Teatro Naum di
Costantinopoli, città che al tempo è meta ambitissima e in cui Giuseppe Donizetti “Pascià” è
ancora direttore musicale del Sultano.
Prima di partire per Costantinopoli Marenco affida "Armida" al coreografo Ferdinando Pratesi
(inizialmente rappresentata come "Cleofe") e firma "Nephte" insieme a Paolo Giorza, Giovanni
Bolelli e Albert Franz Doppler. Andranno entrambe in scena in Italia durante il soggiorno di
Marenco a Costantinopoli. Un periodo di diciotto mesi in cui Marenco, oltre a rielaborare
"Esmeralda" di Cesare Pugni, matura le conoscenze musicali che in seguito gli varranno gli elogi
del pioniere degli studi etnomusicologici Amintore Galli.
Tornato in Italia nel 1869, Marenco dirige al Teatro Riccardi di Bergamo "I Lombardi alla prima
Crociata" di Verdi e "La Favorita" di Donizetti nella quale, nel ruolo di Inez canta sua sorella
Luigia, soprano al Regio di Torino e di Parma, moglie del tenore Achille Corsi e madre di Emilia
Corsi. Tiene quindi un concerto al Teatro dei Filodrammatici di Milano con il fratello Tomaso,
anch’egli primo violoncello con Faccio e Bottesini e successivamente Presidente Onorario del
Conservatorio di Buenos Aires, e dopo aver presentato una "Sinfonia", accetta l'ingaggio come
Direttore dei Balli al Teatro Fossati, mentre La Scala si prepara a portare in scena "Amore e Arte",
firmato con Stringelli, che debutta nel febbraio 1870, mentre Marenco a Roma è impegnato
nell’allestimento di "Emma Florans alla corte del Portogallo".
Il primo grande successo di Marenco è però "Bianca di Nevers", che debutta a Firenze nel 1870 e
dopo due anni di repliche in tutta Italia, viene scelta dal Teatro alla Scala per lo spettacolo di
inaugurazione dell'Esposizione di Belle Arti 1872, alla presenza del re Vittorio Emanuele II,
accanto alle composizioni lirico-sinfoniche di Héerold, Meyerbeer, Verdi, Gounod e Petrella.
Nel 1872 Marenco è chiamato da Franco Faccio a ricoprire il ruolo di Primo violino e Direttore
dei Balli del Teatro alla Scala, in cui suo fratello Tomaso è già Primo violoncello. Nel frattempo,
partecipa ad "Alfa e Omega" con Tofano, Dall'Argine, Baur, Bottesini e Giaquinto, e mentre porta
in scena alla Scala "I sette peccati capitali"; "Nephte o Il figliuol Prodigo" (1873) e "La Tentazione"
(1874), poi ripreso come "Ermanzia", si avvicina sempre di più a Ponchielli del quale dirige fra gli
altri "Le due Gemelle", "Clarina" e "La Danza delle Ore", coreografata da Manzotti.
Nel 1874, reduce da quattro anni di successi Marenco debutta con l’Opera. In scena al Teatro
Piontelli di Lodi, "Lorenzino de’Medici", guadagna il salto verso Milano, ma nel dicembre 1875 è
messo in scena in modo tanto affrettato e raffazzonato al Teatro Dal Verme che i critici
sospendono ogni giudizio.
Marenco inizia quindi a dedicarsi al "Federico Struensee", opera lirica della quale è anche autore
del libretto, a "Il Bacio dell'Arte", libretto per un ballo ispirato alle conquiste della civiltà nel
mondo e quindi al "Inno delle Nazioni", che presenta in concerto ai Giardini Pubblici di Milano
nella primavera del 1878 e tre anni dopo diventerà il tema di "Excelsior".
Nel 1878 inizia anche la collaborazione con il coreografo Luigi Manzotti, su "Sieba", che sebbene
nato sotto i peggiori auspici, si rivela invece un successo pieno, addirittura superiore a Bianca di
Nevers, che consacra Marenco compositore a tempo pieno, in modo che grazie ai successivi "Day
Sin" e "L'astro degli Afghan" (1879) realizzati con Ferdinando Pratesi, la sua popolarità inizia a
varcare i confini nazionali, mentre compone "Delial" (1880) e "I Moncada", un'opera che scrive in
fretta e furia su libretto dell’amico Fulvio Fulgonio, mentre è già al lavoro su Excelsior, il lavoro
che lo imporrà definitivamente alla ribalta internazionale.
Presentato l’11 gennaio del 1881 e abbinato all’Esposizione Nazionale di Milano, "Excelsior" ha
subito un successo travolgente, tanto che in estate Re Umberto I nomina Manzotti e Marenco
Cavalieri.
Nel giro di pochi mesi "Excelsior" va in cartellone a New York e Berlino dove infila centinaia di
repliche consecutive prima di trionfare anche a Parigi, Londra, Vienna, Madrid e Buenos Aires.
Arriverà ovunque da San Pietroburgo a San Francisco tanto da essere fino alla Prima Guerra
Mondiale dei lavori più rappresentati al mondo.
Ma di fronte a tanto successo, pochi mesi dopo la nascita della Società Italiana degli Autori
(1882), il coreografo Luigi Manzotti deposita una versione di "Excelsior", stampata dalla
Copisteria Musicale Teatrale di G.C. Chiti di via Broletto, 15, Milano, intitolata “Excelsior. Ballo
di L. Manzotti con Passo delle Scintille, Musica del Maestro Angelo Venanzi”, in virtù della
quale innesca la celebre querelle per estromettere il compositore. Si tratta infatti di una “ristampa
con aggiunte”, il metodo di contraffazione più diffuso a quel tempo, del quale hanno
abbondantemente trattato sia Carlo Tenca sia Antonio Fortunato Stella. E oltre a "Excelsior"
Manzotti e Venanzi realizzano anche una versione di "Sieba" per una querelle che culminata in
uno scontro fisico in Galleria, si risolverà grazie all’intervento della Pretura e della neonata
Società Italiana degli Autori (poi SIAE), ma soprattutto per le sollecitazioni che provengono dal
quotidiano parigino Le Figaro, apertamente schierato dalla parte del compositore.
A Parigi infatti il successo di "Excelsior" ha schiuso a Marenco le porte del Teatro Eden, gestito
dai fratelli Gouzien, già proprietari della Revue des Lettres e des Arts, dove Marenco porterà in
scena anche Sieba e Day Sin, ma anche quelle dei Bouffes-Parisien, che hanno appena perduto
Jacques Offenbach. Qui ai Bouffes Marenco nel 1884 presenta infatti "Le Diable au corps",
operetta su libretto di E. Blum e P. Toché, che riscuote un buon successo, mentre in Italia si
diffonde la notizia sia un fiasco.
In Italia infatti, dopo la querelle con Manzotti, il nome di Marenco è ormai indissolubilmente
legato alla battaglia per il riconoscimento della proprietà intellettuale, di cui il compositore non fa
mistero di essere alfiere e cui si dedica con ancor più impegno dopo il successo di "Amor", un ballo
in 2 atti e 16 scene, caratterizzato dalla presenza di 614 esecutori di cui 72 ballerine, 32 ballerini,
64 mimi, 48 corifee, 48 allieve, 350 comparse, 3100 costumi, 8000 oggetti, 12 cavalli, 2 buoi e un
elefante, che debutta alla Scala nel febbraio 1886, poche settimane dopo la morte di Ponchielli.
Sempre attento alle nuove opportunità aperte dalla modernità, nel 1887, mentre Excelsior
continua ad essere replicato in tutto il mondo, Marenco realizza insieme all'amico Chène de Vère,
fondatore di IGP, la prima agenzia di pubblicità in Italia, il valzer "Roma Bitter" e "I cuscini
volanti", un galop racchiuso in un elegantissimo album, dato in omaggio a tutti i viaggiatori di
lunga percorrenza che affittano cuscini nelle stazioni di partenza.
Nel settembre 1887, riesce finalmente a ottenere dalla Società degli autori una nuova
regolamentazione per i petit-droits, i diritti legati alle esecuzioni della musica nei locali, che fino
ad allora, venivano totalmente incamerati dagli editori, anche nel caso di musica di autori che
privi di contratti editoriali, si erano pubblicati da se.
Così, mentre presenta "Annibale" (1888) e "Teodora" (1889), redige il pamphlet "Per l'avvenire della
Musica in Italia, conseguenze e danni derivanti dagli oligopoli in musica" che darà alle stampe nel
1889, prima di abbandonare nuovamente l'Italia.
Nel 1890, l'ormai quarantanovenne Marenco torna infatti in Francia, dove poco tempo dopo si
trasferirà anche Edel, lo scenografo di "Excelsior" e "Amor", col quale Marenco da vita a un
sodalizio che passando anche per "Sport" (1897), "Bacco e Gambrinus" (1904) e "Luce" durerà fino
al 1905. A Parigi Marenco porta in scena al Casino "La Capitaine Charlotte", prima di dedicarsi a
una stagione in cui oltre a curare le sue edizioni, scrive soprattutto per i suoi nipoti.
Ma nel 1896 Marenco è di nuovo in Italia insieme a Edel e Manzotti, riuniti per realizzare
"Sport" il cui obiettivo è ridare fiato alle casse ormai esauste del Teatro alla Scala. Al lavoro su
"Sport", Marenco porta in scena all'Eden Stabilini di Milano "Strategie d’Amore" e quindi "La
figlia di Bobi".
Secondo la dettagliatissima relazione del critico Nappi, "Sport" è un nuovo pieno successo che
porta incassi ben superiori alle più rosee aspettative, ma non sufficienti a impedire la chiusura
della Scala nell'intera stagione 1898/1899.
A maggio 1898 il generale Bava Beccaris soffoca a colpi di cannone le proteste per l’ennesimo
rincaro dei prezzi. È la Rivolta del Pane. La città è dichiarata in stato d’assedio e vi rimane fino
a settembre. In aperto contrasto con la politica governativa, Marenco, che cinquanta anni prima
era stato indiretto testimone del Sacco di Genova, sceglie di auto-esiliarsi a Lugano. Comunica la
sua decisione poche ore dopo la revoca dello stato d'assedio e parte a ottobre, dopo il concerto di
commiato organizzato dalla città.
A Lugano, Marenco compone sui testi di Ferdinando Fontana "Inno al Ticino" e "Noi vogliam che
ricchi e poveri", canzone repubblicana per eccellenza fino alla prima guerra mondiale. Poi, per i
versi di Giovanni Bertacchi, "Il Canto dei Cooperatori", inno della Lega Nazionale delle
Cooperative, e quindi "Inno Massonico", sui versi di Premoli, mentre lavora a "Eureka, Gran Ballo
Reclame" da mettere in scena attraverso i finanziamenti raccolti dalle inserzioni pubblicitarie.
Della raccolta pubblicitaria di "Eureka" si occupa la ditta Gondrand di Milano, ma quando è
ultimata e si tratta di andare in scena (1901), il prefetto di Milano Alfazio si oppone alla
rappresentazione. Finanziandosi attraverso la pubblicità, Eureka è un lavoro atipico, che elude i
canonici meccanismi Teatral-comunali dell’epoca.
Nel 1902 Marenco compone l' "Inno per l'Esposizione di Torino", prima di tornare alla Scala con
"Bacco e Gambrinus" (1904) e "Luce" (1905), scritti per le coreografie del nipote Giovanni Pratesi,
con le scene e i costumi di Edel.
Nel 1906 è quindi la volta dell' "Inno al Sempione" e della "Marcia dei Ginnasti" eseguita in
occasione dell'Esposizione Universale di Milano, poche settimane prima che il compositore sia
colpito dall'ictus che l'anno successivo lo porterà alla morte, il 9 ottobre 1907.
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