Herman Wouk Marjorie Morningstar Sotto una coperta di stelle Traduzione di Luciana Agnoli Zucchini Titolo originale: Marjorie Morningstar Copyright © Herman Wouk 1955 Renewal copyright © Herman Wouk 1983 Pubblicato in accordo con l’autore, tramite BSW Literary Agency, Inc., 303 Crestview Drive, Palm Springs, California 922632, USA L’Editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare. http://narrativa.giunti.it © 2013 Giunti Editore S.p.A. Via Bolognese 165 – 50139 Firenze – Italia Via Borgogna 5 – 20122 Milano – Italia Prima edizione: ottobre 2013 Ristampa 6 5 4 3 2 1 0 Anno 2017 2016 2015 2014 2013 NOTA DELL’ AUTORE L’ autore avverte di aver rielaborato con la propria fantasia tutto ciò che si riferisce a località, nomi, avvenimenti, fenomeni naturali, mezzi di trasporto, date, eccetera. In qualche caso, là dove l’invenzione avrebbe assunto un tono forzato, il romanziere ha usato nomi reali di alberghi, edifici, ristoranti, navi, aziende, eccetera. Tuttavia i personaggi che si muovono in tali ambienti e gli avvenimenti che vi si svolgono sono fittizi, così come i loro nomi e le loro caratteristiche fisiche. L’ eventuale corrispondenza con nomi di istituzioni o di persone realmente esistite, come pure l’eventuale somiglianza con persone o avvenimenti reali, è puramente casuale. Parte prima MARJORIE 1 Marjorie I primi approcci fra ragazze e ragazzi differiscono profondamente a seconda dei tempi e dei luoghi, ma i metodi più comuni sono anche quelli che ci sembrano più naturali. Mentre, in quella tarda mattinata domenicale, osservava Marjorie addormentata, la madre fu colta da un senso di perplesso turbamento. Disapprovava tutto in lei, da cima a fondo: il costoso abito da sera di seta nera gettato su una sedia, la vaporosa biancheria intima, le calze sul pavimento, simili a serpentelli senza vita, le gardenie dai petali ormai scuriti posate sulla scrivania. E, soprattutto, disapprovava la bellissima diciassettenne che dormiva serenamente nel grande, sfarzoso letto illuminato dai raggi dorati del sole. Una massa di scarmigliati ricci castani, le labbra dal rossetto screpolato, il naso grazioso e il respiro tranquillo. Un meritato riposo, dopo le fatiche del ballo universitario. Nel sonno aveva un’aria innocente, eppure la madre, ricordando le risate da ubriachi provenienti dall’ingresso alle tre del mattino, i soffocati gridolini femminili, il rumore cauto di passi davanti alla propria porta, temeva che quell’apparenza fosse ingannevole. Dormiva male ogni volta che Marjorie andava a un ballo. Non aveva, tuttavia, mai cercato di ostacolarla. I balli universitari erano ormai una consuetudine diffusa fra i giovani. Cercava di adeguarsi ai tempi, anche se durante la sua adolescenza la vita mondana seguiva regole ben diverse. Raccolse con un sospiro i fiori appassiti, nella speranza di rianimarli mettendoli nell’acqua, poi uscì chiudendosi piano la porta alle spalle. Il lieve rumore svegliò Marjorie. Spalancò i grandi occhi grigio-azzurri, girò la testa per dare un’occhiata verso la finestra, e si alzò a sedere 9 di scatto. La giornata era stupenda, il cielo limpido. Coperta soltanto da una camicia da notte bianca e trasparente, saltò giù dal letto e corse a guardare fuori. La vista su Central Park faceva parte del fascino del grattacielo “El Dorado”. Lassù, al diciassettesimo piano, nessun occhio indiscreto poteva vederla nuda, se non gli uccelli. Più ancora della spaziosa distesa verdeggiante del parco, era questo pensiero a darle un senso di soddisfazione, ogni mattina al risveglio. Godeva di questa intima solitudine da meno di un anno. Dell’El Dorado le piaceva tutto, perfino il nome, così adatto a quel lussuoso edificio. Un nome dal suono esotico e musicale. Per lei tutto ciò che rientrava nella definizione di «straniero» si divideva in due categorie: quella elegante di cui facevano parte i ristoranti francesi, gli abiti da equitazione di stile inglese, il nome El Dorado; e quella volgare, di cui facevano parte i suoi genitori. A suo giudizio, trasferendosi all’El Dorado, questi avevano almeno in parte cancellato l’onta della loro origine di immigrati. E lei ne era grata e orgogliosa. Giornata stupenda per cavalcare. Anche lassù, diciassette piani al di sopra del traffico rombante, la tiepida brezza era profumata di erba appena tagliata. Il cielo era terso e azzurro, punteggiato da nuvolette bianche. Anche nel parco spiccavano, qua e là, le chiazze candide dei ciliegi in fiore. Ricordando gli eventi della sera precedente provò un senso di piacere che la spinse ad accarezzarsi le belle spalle nude, quasi nel gesto di un abbraccio. I sogni di quando era solo una goffa quattordicenne si erano avverati oltre ogni speranza. Soltanto tre anni prima correva e strillava con le altre bambinette sudicie per i cortili delle scuole pubbliche, nel misero quartiere del Bronx. Ora, per la precisione la sera precedente, aveva passeggiato, fra una danza e l’altra, nel parco della Columbia University illuminato dai raggi lunari. Aveva sentito provenire dai dormitori in lontananza l’eco delle risate e degli schiamazzi degli studenti più giovani. Calde voci maschili. Aveva ballato in una sala dalle pareti rivestite di pannelli di legno, decorata di lanterne colorate e grandi bandiere azzurre. Si era persino trovata a pochi passi dal sorridente direttore d’orchestra, 10 un personaggio di grande fama. Aveva ballato con dozzine di ragazzi e, durante le pause dell’orchestra, aveva continuato a danzare alle note stridule di un grammofono. Uno dei suoi ballerini, figlio del proprietario di una grossa catena di negozi, quella mattina l’avrebbe accompagnata a cavalcare nel parco. Raccolto il vestito nero dalla sedia, lo accarezzò con riconoscenza. Aveva svolto egregiamente il suo compito. Altre ragazze si erano presentate impacciate da modesti vestiti a balze, di tulle o di taffettà, simili a quelli che la madre aveva tentato per due settimane di comprare a lei. Marjorie aveva lottato per ottenerne uno aderente di crêpe nero, abbastanza accollato da sembrare pudico. E alla fine aveva vinto lei, riuscendo perfino ad affascinare il figlio di un milionario. Ma che cosa poteva capire sua madre? Bussarono alla porta. «Ti sei alzata?» «Vado a fare la doccia, mamma.» Marjorie si precipitò nella stanza da bagno e aprì il getto dell’acqua calda. A volte sua madre entrava e rimaneva dietro la tendina tempestandola di domande, ma quel giorno non lo fece. Tornata in camera Marjorie attese, gli occhi fissi sulla maniglia. Si avvicinò allo specchio dell’armadio e si drappeggiò l’abito nero sul seno, soddisfatta per il risalto che dava alle spalle nude, ai capelli sciolti. In quel momento, che si sarebbe rivelato così importante, sentì un’ondata di calore, un formicolio in tutto il corpo. La sua mente fu illuminata da un’improvvisa intuizione, come un raggio di sole che si insinua tra le tende. Sarebbe diventata attrice. La graziosa ragazzina riflessa nello specchio era destinata a diventare attrice. Appena iscritta alla Hunter University, nel febbraio dell’anno precedente, aveva iniziato a seguire il corso di Biologia, eppure già da mesi aveva la sensazione di sprecare il proprio tempo: gesso e lavagna non erano adatti a lei. Né era mai riuscita ad accettare l’idea della monotonia di un matrimonio qualsiasi, una volta compiuti ventuno anni. Dai tredici in poi aveva sentito pulsare nel sangue il proprio destino che, in attesa di materializzarsi, la turbava dandole sensazioni premonitrici. Ma quello che stava provando in quel mattino di maggio non era un presentimento, 11 quanto piuttosto una verità rivelata: sarebbe diventata attrice. Dunque i suoi sogni di bambina non erano stati semplici castelli in aria. Improvvisamente la sua vita sembrava segnata da un destino ben preciso. Non lo aveva deciso lei, le era semplicemente apparsa la visione di una realtà prestabilita. Tutto era chiaro, ogni incertezza era scomparsa. Ecco perché la sera prima aveva ottenuto quel trionfo, ecco perché nel Bronx si era sempre sentita un pesce fuor d’acqua. Ecco perché, senza compiere il minimo sforzo, era sempre stata la primadonna in tutte le recite, in collegio e ai campeggi estivi. Fin da piccola possedeva un’intelligenza acuta, il dono della mimica, una memoria eccellente, fascino e sicurezza di sé. Aveva imparato per istinto a imitare gli insegnanti e, molto prima che i genitori si trasferissero nell’elegante quartiere di Manhattan, aveva riscosso ammirazione mista a sarcasmo fra gli spregiudicati ragazzini del Bronx, dove era nota col nomignolo di «signorina Nasodritto». E ora, in un tempo così breve, si era trasformata in una seducente creatura dei quartieri alti, la reginetta del ballo universitario. Lei stessa, a volte, si stupiva della propria rapida ascesa, della prontezza con cui aveva imparato il gergo studentesco, della grazia con cui si muoveva nella danza, dei propri modi raffinati e, soprattutto, della sua brillante conversazione che la rendeva così piacevole da ascoltare anche quando non aveva niente da dire. Sapeva in cuor suo di essere ancora la «signorina Nasodritto», solo intenta a recitare una parte imparata in fretta. Eppure la sua recitazione era migliorata di settimana in settimana, per culminare, la sera precedente, in un clamoroso trionfo. Ogni meraviglia svaniva di fronte alla certezza di essere un’attrice in procinto di scoprire le proprie capacità. Sedette davanti alla scrivania lasciando cadere il vestito sui quaderni, aperti sui compiti lasciati a metà. La stanza era piena del vapore proveniente dal bagno, attraversato dai raggi dorati del sole. Si fissò nello specchio. Erano mai esistite attrici ebree? Certamente… Sarah Bernhardt, Rachel… ora che ci pensava, correva voce che molte fra le più famose stelle di Hollywood fossero di origini ebraiche. 12 Ma il suo nome non le piaceva. Decisamente no. Quale musicalità meravigliosa in quello di Sarah Bernhardt; quale sobria eleganza in quello di Rachel… Marjorie Morgenstern, invece… Dal niente l’illuminazione, l’improvviso squarcio di luce. Una lievissima modifica, neppure una modifica vera e propria, una semplice traduzione in inglese della parola composta tedesca («stella del mattino»), e quel nome insulso sarebbe diventato incantevole, degno di spiccare sulle scintillanti insegne di Broadway. Spostato il vestito dalla scrivania, si sedette, afferrò una matita e scrisse a stampatello, su una pagina bianca del quaderno di Biologia: Fissò il nome scarabocchiato in blu sulla riga celeste, quindi con una penna lo ricopiò nella minuta calligrafia che stava cercando di imparare. Sedette a lungo, gli occhi fissi sulla pagina, prima di aggiungere sotto il nome: Dopo aver strappato il foglio dal quaderno, lo piegò e lo richiuse nella cassetta di palissandro in cui teneva le lettere d’amore di George. Scomparve quindi, canticchiando, nella stanza da bagno invasa dal vapore. Rose Morgenstern aveva fatto colazione molte ore prima per tenere compagnia al marito, incapace di continuare a dormire dopo il sorgere dell’alba, fosse o non fosse domenica. Calcolato il tempo che la figlia 13 avrebbe impiegato per fare la doccia e per vestirsi, riprese posto a tavola pochi secondi prima che Marjorie uscisse dalla sua stanza. Con la tazza di caffè fumante in mano, chi avrebbe sospettato che fosse in agguato per sottoporre la figlia a un serrato terzo grado? Aveva pur diritto a una seconda tazza di caffè, la domenica mattina! «Buongiorno, mammina.» Marjorie gettò la giacca sullo schienale della sedia. «Dio mio!» Rose posò la tazza del caffè. «Perché “Dio mio”?» chiese la ragazza, lasciandosi cadere sulla sedia con aria annoiata. «Il tuo golf…» «Cos’ha? Non ti piace il colore?» Marjorie sapeva benissimo che cosa la infastidiva, e infatti si era soffermata alcuni minuti davanti allo specchio, preoccupata, prima di scendere. Il golf si intonava perfettamente agli stivali di marca inglese, ai calzoni, alla giacca di tweed, alla fascia rossiccia attorno al cappellino impertinente, tutti indumenti che indossava per la prima volta. Nel negozio quel morbido golfino di cachemire rosso le era sembrato delizioso, di misura perfetta. Ma era innegabile che rivelava molto le forme, e Marjorie sapeva che una bella ragazza in golfino attillato suscita sempre un certo scalpore. Reazione irritante e sciocca: fossero state ai Caraibi, non se ne sarebbe curato nessuno. Aveva comunque deciso di affrontare la situazione, perché, anche se la madre avesse disapprovato, probabilmente Sandy Goldstone sarebbe stato di parere diverso. «Non so proprio cosa penserà la gente, Marjorie.» «Non sono più una bambina, mamma.» «È appunto questo che mi preoccupa, mia cara.» «Tanto perché tu lo sappia, per cavalcare le ragazze non indossano giacchette rosa trapuntate che le fanno sembrare barili, ma golfini come questo.» La piccola e grassoccia signora Morgenstern indossava appunto una giacchetta rosa trapuntata, ma erano così tante le volte che se lo era sentito dire, che ormai non si offendeva più. «Papà non ti farà uscire di 14 casa» osservò. «Non mangi altro? Caffè nero soltanto? A ventun anni sarai un fascio di nervi, mangia almeno una focaccia. Chi c’era al ballo?» «Gli studenti appena entrati alla Columbia, mamma. Circa duecentocinquanta persone.» «Qualcuno che conosciamo?» «No.» «Perché dici così? Non c’era Rosalind Green?» «Naturalmente.» «Dunque, la conosciamo.» Di fronte al silenzio della figlia, Rose aggiunse: «Come mai vai a cavalcare? Credevo che equitazione fosse il martedì». «Ho deciso di andare anche oggi.» «Con chi?» «Con Billy Ehrmann.» «E perché hai messo l’abito nuovo?» «Perché no? È primavera.» «Non hai bisogno di far colpo su Billy.» «Dovrò pur cominciare a metterlo, prima o poi.» «Quando avrai imparato a cavalcare. Non è sprecato per una lezione al maneggio?» La madre stava cercando solo di essere pratica. Per le lezioni al maneggio Marjorie indossava sempre un vecchio vestito preso in prestito da una vicina, Rosalind Green. Rose le aveva comprato una tenuta nuova da indossare solo se fosse stata promossa ai vialetti del parco. Sebbene Marjorie sapesse mentire a cuor leggero, senza troppi rimorsi di coscienza, le sembrò fatica sprecata aggiungere un’altra menzogna alle tante. Rispose infatti: «Non andrò al maneggio, mamma. Cavalcheremo nel parco». «Come? Hai preso soltanto tre lezioni! Cadrai e ti romperai il collo…» «Una piacevole prospettiva.» Posata la tazza che tintinnò sul piattino, Marjorie si versò altro caffè. «Non ti permetterò di cavalcare nel parco con quel grasso e goffo Billy. Probabilmente non sa montare meglio di te.» 15 «Mamma, ti prego! Ci accompagneranno altre due coppie, e in più il ragazzo della scuderia. Correremo meno rischi che al maneggio.» «Chi saranno gli altri?» «Rosalind e Phil.» «E poi?» «Oh, un loro compagno di classe.» Marjorie era decisa a non far trapelare nulla riguardo Sandy Goldstone. «Chi è?» «Un tale di cui non conosco il nome. Ma so che monta molto bene.» «Come lo sai, se non conosci neppure il suo nome?» «Santo cielo, me l’hanno detto Billy e Phil.» «Era al ballo? L’ hai conosciuto là?» «Può darsi. Ho conosciuto centinaia di ragazzi.» «Balla bene?» «Non lo so.» «Dove abita?» «Sono in ritardo, mamma. E ti ho già detto che non lo conosco.» Allo squillo del telefono, Marjorie corse con gran sollievo nell’ingresso. «Pronto?» «Salve, musetto.» Il nomignolo affettuoso e la strana voce nasale suscitarono in lei il consueto piacere, a cui, questa volta, si mescolava un vago senso di colpa: «Salve, George; come va?». «Che c’è? Ti ho forse svegliata?» «No, anzi, stavo uscendo, per cui scusami se…» «Uscendo?» «Vado a cavalcare al parco.» «Guarda, guarda! Vai a cavalcare al parco… Stai diventando un’esponente del bel mondo.» «Non fare lo spiritoso.» «Be’, com’era il ballo?» «Noiosissimo, grazie.» Accortasi che la madre, apparsa sulla soglia, stava ascoltando la conversazione, Marjorie assunse di proposito un tono 16 più affettuoso. «Non mi ero mai resa conto che le matricole avessero un aspetto e dei modi così infantili.» «E cosa ti aspettavi?» fece George, che sembrava sollevato. «Hanno diciannove anni, anche meno. Ti avevo detto che ti saresti annoiata a morte.» George Drobes aveva ventidue anni ed era considerato un anziano, all’università cittadina. «Dunque, musetto, quando potrò vederti?» «Non lo so.» «Oggi?» «Ho una valanga di compiti, caro.» «Ma se hai detto che stai andando a cavalcare!» «Per un’oretta. Dopo starò tutto il giorno alla scrivania. Davvero, George!» «Prenditi un’altra ora di libertà.» «Lo vorrei tanto, ma il tragitto è così lungo dal Bronx a qui! Per un’ora soltanto…» «Io non ho niente da fare, è domenica. Sono quasi due settimane che non ci vediamo. Ascolta, avevo quasi deciso di andare al Museo d’Arte. Ho la macchina, potrei passare da te. Se ne avrai voglia potremo fare una gita in campagna, altrimenti proseguirò per il museo.» «Be’…» «Verso l’una. D’accordo, musetto?» «Va bene, mi farà piacere vederti.» Marjorie riagganciò. «Che cos’è successo, fra te e George?» chiese la madre in tono compiaciuto. «Assolutamente nulla. Mamma, lo sai che non è una buona abitudine ascoltare le conversazioni telefoniche?» «Non lo è per gli estranei, ma io sono tua madre. Non avrai nulla da nascondermi, suppongo.» «Esiste comunque il diritto a una certa discrezione.» «Spero che il grande amore non stia cominciando a raffreddarsi.» «Neanche per sogno.» «Non lo vedo da tanto tempo. Ha ancora il naso rosso?» 17 «Non ha affatto il naso rosso.» «Il Bronx è molto lontano da Central Park» osservò la madre con un grande sospiro, mentre Marjorie si avviava verso la porta. «Ascolta,» riprese «non fare la sciocca. Cavalcando nel parco per la prima volta potrebbe succederti un incidente. Non indossare la tenuta nuova.» Afferrata la maniglia Marjorie ribatté: «I vestiti non servono a nulla, se si lasciano appesi nell’armadio». Aprì la porta e concluse: «Ciao, mamma, non torno per pranzo». «E dove andrai?» «Alla Taverna del parco.» «Senti,» insistette la madre «l’amico di Billy, quel cavaliere tanto bravo, ti ammirerà anche con l’altro vestito.» Marjorie ebbe un tuffo al cuore. «Non capisco di che cosa tu stia parlando. Ciao!» La sua uscita di scena, accompagnata da un noncurante cenno della mano, perse di credibilità appena la ragazza chiuse la porta. Non aveva un soldo in tasca, e le scuderie si trovavano nella Sessantaseiesima Strada. Essendo già in ritardo, fu costretta a tornare dalla madre per chiederle il denaro per il taxi. «Mi fa piacere di poterti ancora essere utile» fece Rose; «anche se si tratta soltanto di soldi. Che fine ha fatto il tuo denaro per le piccole spese, questa settimana?» «Sai che deve bastarmi soltanto fino al sabato. Tanto vale, anzi, che tu mi dia anche il resto, così non ti seccherò più.» «Non mi disturbi affatto, te l’assicuro.» Così dicendo la madre tirò fuori un altro dollaro e mezzo dalla borsetta. Alla figlia sembrava sempre le volesse far pesare il fatto di essere mantenuta. Spesso Marjorie pensava che avrebbe preferito patire la fame o andare in giro scalza pur di non chiederle soldi. Certe volte aveva progettato di rendersi indipendente scrivendo racconti, dando lezioni, oppure trovando un impiego come commessa. Progetti che nascevano, in generale, quando si avvicinava il momento di battere cassa, e subito svanivano appena ottenuta la somma. «Grazie, mamma» accettò il denaro sdegnata. 18 In quel momento apparve il padre, che stringeva sotto il braccio una copia spiegazzata del Sunday Times. Sembrava a disagio nella giacca da casa di seta rossa. Marjorie l’abbracciò. «Buongiorno, papà. Scusami ma devo scappare.» «Non potresti trovarti un passatempo meno pericoloso, Margie? A volte la gente muore, montando a cavallo.» «Stai tranquillo, tornerò sana e salva. Ciao.» Il padre di Marjorie era arrivato in America orfano a quindici anni, un puntino nell’immensa ondata migratoria arrivata dall’Europa orientale. In quella prima settimana infernale, trascorsa in un tetro scantinato di un quartiere popolare, aveva fatto amicizia con un ragazzo che lavorava per un commerciante di piume. Era stato assunto anche lui come selezionatore di piume, un mestiere infimo ma che gli fruttava due dollari la settimana. Ora, trascorsi trentatré anni, il commerciante era morto, il ragazzo che aveva avviato Morgenstern a quel lavoro era suo socio e la società di importazione Arnold, assai nota nel commercio di piume, penne, paglie e altro materiale per cappelli, riforniva tutte le modisterie di New York. Il padre di Marjorie era faticosamente passato da due dollari alla settimana a circa quindicimila l’anno. Dal giorno in cui si era sposato aveva sempre speso tutti i propri guadagni per migliorare il tenore di vita della famiglia. Non possedeva nulla all’infuori della compartecipazione nella piccola azienda e dello stipendio che percepiva, eppure abitava in un quartiere di lusso. «Credi che andrà tutto bene?» chiese, fissando la porta da cui era scomparsa la figlia. «Perché no? Tutti i ragazzi di buona famiglia montano a cavallo. Vuoi ancora un po’ di caffè, prima che sparecchi?» «Sì, grazie.» Nel piatto davanti al posto lasciato vuoto da Marjorie c’erano i resti della focaccia che la ragazza aveva sbocconcellato. «Come mai questo improvviso interesse per l’equitazione?» chiese Morgenstern. «Questa settimana ha già preso una lezione.» 19 «Tu che ne pensi?» La moglie versò il caffè dal bricco d’argento che usava sempre la domenica mattina. «Non sarà quel grassone di Billy?» «Li accompagna un altro ragazzo.» «Chi è?» «Non lo so. Un amico di università di Billy, quindi tanto male non potrà essere.» Sorseggiando il caffè, il padre scorse la pagina commerciale del Times. Dopo alcuni minuti di silenzio riprese: «E George?». «Secondo me è un capitolo chiuso; Marjorie, però, non lo sa ancora.» «Tu sì, suppongo.» «Certamente. Il Bronx è troppo lontano da qui.» «Forse non avremmo dovuto traslocare.» «Perché dici così?» La madre diede un’occhiata fuori dalla finestra. La vista del parco riusciva ancora a commuoverla. «Personalmente non ho nulla contro George. È un ragazzo serio» commentò Morgenstern. «Non mi dispiacerebbe averlo nella mia azienda.» «È una persona insulsa.» «A me i ragazzi di questo quartiere non piacciono. Sono troppo presuntuosi, freddi. Chiacchiero con loro e, d’un tratto, ricordo di avere l’accento straniero. Me ne accorgo. Dopo trent’anni riescono ancora a farmi sentire un contadino.» Il suo accento si sentiva pochissimo, mentre la moglie non ne aveva affatto, eppure si capiva che nessuno dei due era nato negli Stati Uniti. Loro stessi ne erano consapevoli. «Non mi fido di loro. Mi sembrano disposti a prendere in giro una ragazza, se pensano di non rischiare niente.» «Marjorie sa badare a se stessa.» «Lo credi davvero?» La moglie era stata di parere opposto non più tardi di quella stessa notte, quando aspettava il ritorno della figlia in preda al panico. Entrambi i genitori sostenevano con facilità sia l’una che l’altra tesi. Tutto 20 dipendeva da chi dei due avesse dato l’avvio alle critiche nei confronti della figlia. Il padre teneva gli occhi fissi sul giornale, la madre guardava fuori dalla finestra. Dopo un attimo di silenzio Rose scrollò le spalle. «Ha diritto al meglio, non ti pare? Le buone famiglie vivono nei quartieri alti, qui ha più possibilità di conoscere persone importanti. Ne abbiamo già discusso, del resto.» «Ieri pomeriggio mi ha parlato di sesso» osservò il padre. «Dice che sono cose che ha studiato al corso di Igiene. Sa tutto, come un medico; ne sa molto più di me. Parlava di cromosomi, di fecondazione, di maschi, di femmine e così via. Ti confesso che ero imbarazzato e mi faceva anche compassione, che strano…» «Non è colpa sua se insegnano queste cose all’università. Credi che sia meglio non sapere, come ai nostri tempi?» «Forse sa troppo. Ti ha parlato dei cinque argomenti che provano l’esistenza di Dio e delle cinque risposte che la negano? Ha imparato tutto seguendo un corso. Mai che vada in sinagoga, invece. Ha dimenticato il poco ebraico che conosceva e, anche se non mangia prosciutto, sono pronto a scommettere cento dollari che non rifiuta un piatto di gamberetti.» «Siamo in America.» «L’ abbiamo viziata. Mi preoccupa, Rose. Il suo modo di pensare… non sa che cosa sia il denaro; un pellerossa non potrebbe essere più ignorante di lei, al riguardo. Basta che io metta la firma su un assegno e lei ottiene tutto quello che vuole, un vestito, un cappotto, un abito per andare a cavallo.» «Ti ho visto controllare il libretto degli assegni, ieri sera. È per questo che fai tante storie? Per il vestito da equitazione? A una ragazza servono abiti.» «Sto parlando in generale. Da un punto di vista economico il trasferimento qui a Manhattan è stato una follia. Stiamo dando fondo a tutti i nostri risparmi.» «Ti ho già ripetuto venti volte che ti devi dare un aumento di stipendio.» 21 Il padre si alzò in piedi e si mise a camminare per la stanza. Era un ometto pingue, dal viso tondo, con i capelli ricci brizzolati e le folte sopracciglia nere. «È strano, sai, quello che succede nel commercio» osservò. «Si spende più di quanto si guadagna e, a un certo momento, si fallisce.» Nei periodi più floridi come in quelli di magra, Rose aveva sentito dal marito soltanto lamentele, per cui non dava peso al suo pessimismo. Nei primi anni di matrimonio non credeva che il commercio delle piume potesse fruttare così tanto, ma ormai si era abituata. «Sono questi gli anni importanti per Marjorie. Il ragazzo con cui è andata a cavalcare, chiunque sia, frequenta la Columbia, il che vuol dire che appartiene a una buona famiglia. Credi che l’avrebbe conosciuto, se fossimo rimasti nel Bronx?» «È una matricola. Può darsi che non pensi minimamente al matrimonio.» «Non finiremo sul lastrico per questo.» «Poi ci sarà Seth.» «Ci preoccuperemo per Seth quando sarà il momento.» «Comunque, se oggi si romperà il collo cavalcando, non avremo più problemi.» «Non si romperà il collo.» «Ti ho sentita discutere con lei: ha preso soltanto tre lezioni.» «Non è poi così difficile andare a cavallo.» Il padre si avvicinò alla finestra. «È una bellissima giornata. Ecco dei cavalli. Non può ancora essere lei… Guarda com’è verde il parco! Sembra ieri che era tutto coperto di neve. Hai notato che nel parco la neve sembra rossastra? Ci sarà una spiegazione scientifica.» Toccandosi la fronte aggiunse: «Mi preoccupo di cappelli primaverili in novembre e di cappelli autunnali in febbraio. Mi pare che un anno passi come una settimana». «Ti dico che non le accadrà niente.» La moglie gli si avvicinò. Alta come il marito, gli somigliava nella rotondità del viso e nell’espressione, anche se attorno alla bocca di lui si notavano solchi profondi che gli 22 conferivano maggior severità. Avrebbero potuto essere fratello e sorella; Morgenstern, tuttavia, sembrava di una decina d’anni più anziano, nonostante fossero in realtà quasi coetanei. Le disse: «A te non sembra strano? A me sì… Quanti anni sono trascorsi da quando camminava gattoni con il pannolino? Che ne è stato del tempo?». «Stiamo invecchiando, Arnold.» «Al giorno d’oggi tutti criticano il sistema di combinare i matrimoni» osservò il padre. «Eppure in questo modo Marjorie conoscerebbe soltanto giovani adatti a lei, e non ci sarebbero incognite.» «Seguendo quel sistema non sarebbe neppure venuta al mondo» ribatté la madre in tono secco. Morgenstern sorrise con aria scaltra. Trascorsi vent’anni, la moglie non aveva ancora digerito il fatto che il marito stesse per sposare la figlia di un rabbino. «Volevo soltanto dire che anche quello in uso è uno strano sistema. Ci costerà molto permettere a Marjorie di frequentare le buone famiglie a cui ti riferisci. E poi chi le impedirà, una sera, a un ballo, di innamorarsi di un povero disgraziato? Sarà la fine di tutto. Ricordi il primo, al campeggio, quando aveva tredici anni? Quel Bertram?» «Adesso è più matura» ribatté la madre con una smorfia. «Ha più educazione, il che è diverso. Non è più matura, anzi, forse lo è di meno. Quanto alla religione, visto come vanno le cose al giorno d’oggi…» Morgenstern si interruppe guardando fuori dalla finestra. «Tutto questo solo perché è andata a cavalcare?» La moglie sembrava a disagio. «Non dimenticare che sposerà l’uomo che amerà. Ottiene sempre ciò che vuole, non ciò che scegliamo noi. E così deve essere.» «Otterrà quello che vorrà? A questo mondo? No, neppure in America. Otterrà quello che meriterà.» Seguì un lungo silenzio. Dopo aver bevuto il caffè, Morgenstern prese il giornale e si avviò verso il salotto. 23