Ombre cinesi
di Simone Pieranni
Alla Cina non basta affermarsi come grande potenza economica, attraverso una crescita prorompente. Vuole essere compresa dal resto del mondo. Così il Partito progetta riforme che assicurino in futuro un’efficace penetrazione culturale in Occidente.
Finanzia istituti che promuovono l’insegnamento
del mandarino nel mondo e raccomanda ai propri
funzionari di dialogare con i mezzi di informazione
esteri.
“
I
cinesi li temiamo perché ci appaiono una comunità
misteriosa e impenetrabile, dedita a loschi e fumosi affari”. Lo scrittore italiano Tommaso Pincio usò questa
espressione per spiegare come concepì Cinacittà (Einaudi, 2008), un romanzo nella quale Roma è in mano ai cinesi, una civiltà in dissoluzione assediata dagli elementi – considerati peggiori – di un’altra, di cui si conosce poco e di cui si acquisiscono informazioni, adulterate peraltro da assurde leggende metropolitane. Anche Philip
K. Dick si era servito dell’espediente del pericolo cinese
– in Paradiso maoista del 1994 (ma originariamente scritto tra il 1948 e il 1950, edizione italiana, Fanucci 2007) –
a conferma di quanto “l’ansia gialla” fosse una sottile
paura che abita l’inconscio collettivo da molto tempo.
E se – a partire sostanzialmente dalla fine del secondo
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mento in cui fiuti la necessità del cambiamento che non
può attendere.
ediamo, ad esempio, quanto è recentemente accaduto nell’ambito dell’industria cinematografica. La Cina nel 2010 ha prodotto oltre 520 film, a fronte dei 100 all’anno prima del 2003. I film proiettati in Cina nel 2011
hanno rastrellato 10 miliardi di yuan (1,57 miliardi di
dollari) al box office, dieci volte di più rispetto alle vendite al botteghino di dieci anni prima. Una spinta confermata anche dalle autorità, che hanno chiesto al compar-
V
to di aumentare la produzione – in vista magari di uno
sbarco massiccio sugli schermi occidentali – ma senza
per questo snaturarne le tradizionali caratteristiche. I film
cinesi infatti – secondo quanto riportato da una nota ufficiale del governo – “non devono danneggiare l’onore e
l’interesse nazionale, incitare all’odio etnico, sviluppare
culti malvagi o superstizione, diffondere oscenità, gioco
d’azzardo, droga, violenza o terrore”. Vincoli che secondo molti rischiano di imbavagliare la creatività, mentre
secondo il professor Zhou Xing, della Beijing Normal
University, Pechino starebbe invece dimostrando «la sua
Keystone-France / Gamma-Keystone via Getty Images
La Rivoluzione
culturale,
atto secondo
conflitto mondiale – con il prevalere della cultura made
in Usa nell’immaginario e nelle abitudini dell’Occidente, si affermarono un certo modello di vita, oggetti di uso
quotidiano, abiti e cibi di provenienza o di stampo tipicamente americano, è lecito chiedersi se oggi, con la Cina
seconda potenza economica globale, è davvero possibile
immaginare un futuro prossimo in cui il mondo venga invaso dai prodotti e dalle tradizioni del Paese del Drago.
Cominceremo a mangiare spaghetti di soia a colazione,
a girare con magliette a strisce bianche e blu e occhiali
senza lenti, a sputacchiare qua e là, o a urlare anche durante normali conversazioni, integrando uno dei tanti
luoghi comuni con i quali spesso semplifichiamo la nostra immagine dei cinesi?
Come abbiamo imparato a masticare chewing gum e a
indossare i jeans, chissà che un domani i qipao – gli abiti mandarini – o magari le caramelle di carne di maiale, o
di pesce secco, non possano diventare elementi comuni
della nostra vita di ogni giorno.
Nel Novecento il soft power americano è riuscito a veicolare, dunque, una serie di elementi culturali che hanno informato di sé l’intera civiltà occidentale. Per quanto riguarda la Cina – seppure con esiti di ben altra portata e in un arco temporale meno ampio – non si può negare l’impatto, ad esempio, della Rivoluzione culturale – e
il fascino di talune istanze ideologiche che ne promanarono – su, un’intera generazione di intellettuali. Basti
pensare ai tanti gruppi maoisti sorti negli anni Settanta o
a quante espressioni sono entrate nel nostro gergo storico: “Colpirne uno per educarne cento”, “Ribellarsi è giusto”, o “La non è un pranzo di gala”.
Oggi, però, il soft power – per come lo intendono i cinesi – agisce forse in maniera diversa: la Cina è un animale proteiforme, in grado – storicamente – di mimetizzarsi, di fare suoi anche modelli non necessariamente affini
alle proprie radici confuciane (comunismo, ad esempio,
o capitalismo), ma soprattutto straordinariamente capace di mutare le proprie sembianze mantenendo sempre
un’identità riconoscibile. La Cina profila la programmazione economica ancora attraverso piani quinquennali,
ma allo stesso tempo sa operare svolte repentine nel mo-
DOSSIER
Soldati e civili con il Libretto rosso di Mao
a un convengno nell’aprile del 1967.
east . rivista europea di geopolitica
numero 41 . aprile 2012
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Ombre cinesi
determinazione a promuovere l’industria cinematografica come un pilastro per lo sviluppo dell’industria culturale, rivelando l’intenzione dei policymakers di usare valori sociali nei film».
Hu Shuli, reporter indipendente, liberale, sul South
China Morning Post 1 ha scritto che “la riforma culturale
è stato il tema principale della sesta sessione plenaria del
XVII Comitato centrale del Partito comunista, dove si è
deciso l’approfondimento delle riforme del sistema culturale al fine di promuovere lo sviluppo e la prosperità
della cultura socialista. È la prima volta che la riforma
culturale viene posta sullo stesso piano delle riforme economiche, politiche e sociali. Questo contribuisce a chiarire il ruolo della cultura nelle politiche cinesi. Ci si aspetta che nei prossimi anni la riforma culturale acceleri e inneschi un’ondata di nuovi cambiamenti”.
TIBET, LA REPRESSIONE CONTINUA
l Losar, il capodanno tibetano, è arrivato anche quest’anno. Una celebrazione in tono minore, segnata dai tragici
avvenimenti del 23 febbraio scorso. Da mesi, nelle regioni
abitate da tibetani del Sichuan e Qinghai, sono in corso
scontri e proteste contro la polizia cinese, mentre il numero delle persone (monaci e suore) che si sono autoimmolate è salito a ventidue. Di questi, ventuno solo dal marzo dello scorso anno. Gli autori di questi gesti estremi sono quasi sempre giovani: solo sei dei monaci avevano più di trent’anni e, a parte tre donne, si è trattato sempre di uomini.
Quindici di loro sono certamente morti, mentre gli altri sarebbero stati presi in consegna dalle autorità cinesi. L’ultima autoimmolazione risale allo scorso 17 febbraio, quando
un monaco di quarant’anni si è dato fuoco a Themchen, nella regione del Qinghai.
Il passaggio al nuovo anno non ha attutito le tensioni, anche perché questo periodo è da tempo considerato “sensibile” nelle aree tibetane: il 10 marzo cade l’anniversario della fuga in India del Dalai Lama, avvenuta nel 1959; il 14 è la
data simbolo dalla repressione di Lhasa, che nel 2008 aveva segnato col sangue l’anno dei Giochi olimpici pechinesi;
infine, il 28 è la data della festa imposta dal governo cinese
per celebrare l’annessione del Paese al resto della Cina.
a Cina è rinata, riformata, riverniciata con un rosso
più acceso ancora di quello maoista, confermando la
centralità del Partito e l’importanza di fare girare denaro,
e di generarne di nuovo, per aumentare il livello di vita
della società. Portare oltre 300 milioni di persone al di
fuori della soglia di povertà era il primo obiettivo. Quindi, all’accresciuto potere economico è corrisposto il mag-
1. South China Morning Post del 27 ottobre 2011.
TIBET
2.500.000 km2
POPOLAZIONE
6 milioni di tibetani (circa)
CINA
CINA
e 7,5 milioni di coloni cinesi
ETÀ MEDIA
64,3% tra i 15 ed i 64 anni
RELIGIONE
Buddisti tibetani 99%, altre 1%
FORMA DI GOVERNO
Comunista (dopo occupazione cinese 1959,
Territori
amministrati
dalla Cina
QUINGHAI
Monte
Kailash
sotto il controllo della Repubblica Popolare
TIBET
Cinese). Il “Governo tibetano in esilio”
Lago
Namco
Lhasa
Shigatse
Gyantse
Everest
Sakia
TSANG-U
(sede Dharamsala/India) la considera
NEPAL
“occupazione militare illegittima”
CAPO DI STATO
Hu Jintao (marzo 2003)
CAPO DI GOVERNO
Wen Jiabao (marzo 2003)
KHAM
Bowo
BHUTAN
G a
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CAPO DI STATO/GOVERNO
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B rahmap u tra
INDIA
INDIA
“GOVERNO TIBETANO IN ESILIO”
Tenzin Gyatso, 14° Dalai Lama
76
500 km
0
BANGLADESH
BIRMANIA
250
east . rivista europea di geopolitica
Afp / Getty Images / M. Vatsyayana
I
L
AREA
DOSSIER
Attivisti tibetani durante una protesta di fronte
STABILITÀ POLITICA Il Tibet è governato col pugno di ferro dal Partito comunista cinese, con il sostegno attivo dell’esercito. Il Tibet è “autonomo” solo a parole; in realtà la Regione autonoma tibetana (Tar) ha meno autonomia delle province cinesi. La massima carica della Tar, il segretario di partito, non è mai stata ricoperta da un tibetano. Il governo tibetano in esilio considera il dominio
cinese come un’occupazione militare illegittima. Ha il suo quartier
generale a Dharamsala, ed è guidato da Tenzin Gyatso, il 14° Dalai
Lama, che lo descrive come l’unico e legittimo governo del Tibet.
LEGENDA
EFFICACIA
GOVERNATIVA Malgrado il Partito comunista
minimo
massimo
rischio
rischio
continui a controllare il Tibet, il suo controllo comincia a svigorirsi.
Corruzione e inefficienza hanno indebolito alcune operazioni di governo, al punto da renderle quasi inefficaci e da causare un ingente spreco di fondi governativi.
all’ufficio delle Nazioni Unite a Nuova Delhi il 6 marzo 2012.
ei giorni che hanno preceduto le celebrazioni per il capodanno tibetano la Cina ha messo a punto un sistema
di sicurezza che ha di fatto bloccato le comunicazioni telefoniche e via internet della regione, invitando inoltre i funzionari a compiere adeguatamente il proprio dovere, onde
evitare che eventi esterni potessero turbare l’armonia del
Paese. Ad inizio febbraio 2012 la commissione regionale del
Partito comunista per l’ispezione disciplinare in Tibet ha
pubblicato un avviso dai toni molti duri, in cui richiedeva a
tutti i funzionari di salvaguardare la stabilità nella remota
regione himalayana, in particolare mediante l’attuazione di
misure preventive e “tenendo d’occhio le persone che possono causare problemi”, come riferito dal Tibet Daily.
“Tutti i quadri – diceva la nota – a prescindere da chi siano o quale sia la loro posizione, verranno rimossi immediatamente, prima di essere soggetti a punizioni disciplinari,
se non adempiranno al loro lavoro in modo corretto”.
Le preoccupazioni per un’escalation militare nelle regioni tibetane è stata stigmatizzata anche da Lobsan Sangay,
il primo ministro del governo tibetano in esilio: “Lo schieramento di militari – ha detto al Financial Times – sta aumentando rapidamente. Abbiamo visto le immagini di centinaia di convogli pieni di forze paramilitari con mitragliatrici automatiche che si spostano verso diverse zone tibetane. Siamo davvero preoccupati – ha aggiunto – e temiamo che il
governo cinese si stia preparando per qualcosa di molto
drastico, imprevedibile e tragico”.
N
numero 41 . aprile 2012
SICUREZZA La Cina mantiene in Tibet un contingente militare
di
occupazione
di almeno 250mila uomini. L’esercito riveste
LEGENDA
un ruolo
più importante
nell’amministrazione del Tibet che in qualmassimo
minimo
rischio
rischio
siasi provincia cinese, e nessun tibetano è mai stato nominato tra
i quadri del distretto militare che governa il Tibet.
DIRITTI UMANI Il governo cinese limita fortemente i diritti LEGENDA
dei tibetani all’esercizio dei diritti umani previsti dalla Costituzione minimo
cinese, tra cui massimo
libertà di parola, di stampa, di associazione e di
rischio
rischio
religione.
MALCONTENTO SOCIALE Nel 2010 nella Regione autonoma tibetana e nelle adiacenti aree di Qinghai, Sichuan, Gansu e
Yunnan è perdurata una situazione di tensione. Il governo cinese
non ha dato alcun segno di voler andare incontro alle aspirazioni
del
popolo tibetano a una maggiore autonomia, neppure entro il
LEGENDA
piùminimo
ristretto ambito
della legge di autonomia del Paese sulle aree
massimo
rischio
rischio
LEGENDA
a minoranza
etnica.
Non si sono verificati arresti di massa come in
minimo
massimo
rischio
rischio
seguito alle proteste della primavera 2008, ma il governo mantiene un pesante contingente di sicurezza sull’intero altopiano tibetano e continua a limitare gran parte degli accessi esterni alle aree
tibetane.
TASSO DI ALFABETISMO Il tasso di alfabetismo è aumentato fino a
un 98,8% (dati di fine 2011) e la durata media del percorso scolastico della popolazione al di sopra dei 15 anni ha raggiunto i 7,3 anni.
UTENTI INTERNET Nel 2010 nella Regione autonoma tibetana il numero di utenti internet ha raggiunto 1,2 milioni (dati 2011).
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Ombre cinesi
DOSSIER
Il nuovo quartier generale
della China Central Television
Afp / Getty Images / L. Jin
a Pechino.
gior peso a livello internazionale, la possibilità di sedersi al tavolo dei grandi dettando, al momento opportuno,
la propria agenda. Non restava, allora, che ricordare al
mondo quanto la Cina possa essere una potenza anche
dal punto di vista culturale, quanto abbia da offrire e sviluppare pure sotto questo profilo.
Nell’ottobre scorso il Comitato centrale del Partito comunista cinese ha diramato le linee guida di una riforma
culturale che deve attendere, principalmente, a due compiti: da un lato operare una forma di controllo nei confronti della cultura “interna” al Paese, indirizzandola dove ha stabilito l’establishment del partito, che peraltro
quest’anno si prepara ad affrontare il delicato, rituale,
passaggio congressuale e dunque un momento che segna
un parziale, ma sempre significativo, ricambio politico.
Sul fronte interno le dinamiche sono sempre le stesse, e
il partito sa bene come agire e le strategie da adottare, quasi fosse un giocatore di go che deve muovere con paziente abilità le proprie pedine. Un esempio: la televisione.
Via le fiction e i programmi frivoli, fuori dai palinsesti la
maggior parte delle serie straniere, spinta su contenuti
tradizionali e tipicamente cinesi.
Ben più interessante appare il “fronte esterno”, dove la
Cina ravvisa la necessità doversi spiegare e far meglio
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Il regista americano Joel Coen,
il produttore della serie televisiva americana Frontline,
David Fanning, i registi cinesi Lu Chuan e He Ping
insieme al critico Jia Leilei
e al moderatore Damian Woetzel
durante il Forum Usa-Cina sulle arti e la cultura.
comprendere al resto del mondo, partendo dalla consapevolezza di non aver fatto, finora, un sapiente lavoro di
public relations. Lo ha affermato il Comitato centrale nella “Riforma culturale della Nuova Cina”. E hanno provato anche a comprarsi Newsweek, ma ben presto hanno capito che i soldi non significano necessariamente cultura
e che era dunque necessario utilizzare un’altra tattica.
All’esterno, infatti, le pedine del go immaginario spesso danno l’impressione di poter creare una sorta di accerchiamento (che poi è lo scopo del gioco) che provoca un
certo allarme nelle menti dei leader politici cinesi. Ecco
allora che la mossa, quella successiva, è la chiave per
uscirne. Mai stare fermi: anche il più piccolo e impercettibile movimento della pedina lontana dal centro del gioco può diventare un elemento scardinante, perché costringe tutto il resto a cambiare. E si procede a tentativi.
east . rivista europea di geopolitica
Come prima mossa si è deciso di offrire un’altra immagine del Paese all’Occidente: basta con stereotipi ed allusioni che descrivono la Cina come misteriosa, quando
non addirittura pericolosa per il benessere del mondo occidentale. Ora, secondo i cinesi, è giunto il momento di
intervenire direttamente nei dibattiti stranieri: con voci
– anche di politici di primo piano – in grado di cambiare
la percezione degli stranieri nei confronti del colosso
asiatico.
Non è un caso, infatti, che i funzionari cinesi sono ora
più disponibili a pubblicare articoli su riviste o quotidiani stranieri. Gli analisti ritengono che questa manovra
mostri la volontà da parte di Pechino di rendere le proprie politiche comprensibili al resto del mondo. «Il governo cinese ormai vuole mandare i suoi messaggi in modo diretto», ha detto James McGregor, un consulente della società di pubbliche relazioni Apco Worldwide, aggiungendo che i sospetti nei confronti della Cina da parte dei media occidentali sono il risultato dell’ascesa del
Paese, che ha finito per spingere i funzionari ad essere più
reattivi.
Uno degli ultimi esempi è arrivato dal consigliere di
Stato Dai Bingguo, che ha scritto sul Daily Telegraph un
articolo sulla crescita pacifica della Cina. Dai Bingguo ha
numero 41 . aprile 2012
spiegato in modo molto netto
che “i cinesi hanno sofferto
l’aggressione straniera e non
sono intenzionati ad infliggere tali sofferenze ad altri popoli”.
Il 23 giugno scorso anche il
premier Wen Jiabao ha scritto
un articolo sul Financial Times durante la sua visita in
Ungheria, Regno Unito e Germania, spiegando di essere sicuro in merito alle possibilità
cinesi di contenere l’inflazione interna. Lai Hongyi, professore di Storia contemporanea cinese presso l’università di Nottingham, ha confermato come la Cina sia ormai
concentrata seriamente in “una campagna internazionale di pubbliche relazioni”, che si esplica attraverso la
maggiore propensione che viene richiesta ai suoi funzionari all’estero nell’essere più interattivi con i media internazionali.
Inoltre non bisogna dimenticare gli investimenti per la
cultura, primi fra tutti gli Istituti Confucio , vera e proprio
pietra angolare del soft power cinese all’estero. I primi
aprirono nel 2005 (in Francia, Gran Bretagna, Germania
e Italia), fino ad arrivare alla invidiabile quota di ben 315
in 94 Paesi solo cinque anni dopo.
Vi operano oltre 5mila insegnanti e l’obiettivo è di arrivare ad aprire 1000 istituti entro il 2015. Non solo, perché oltre alla lingua la Cina è ormai pronta ad esportare
anche altri prodotti culturali – come cinema e televisione (da qualche mese in Italia, su un canale Sky, va in onda la prima fiction cinese in italiano) – e le tecnologie. Nel
2010 la cultura ha fruttato 1,1 miliardi di yuan, ovvero
173 miliardi di dollari (il 2,8% del Pil nazionale): entro il
2016 dovrà fruttare il doppio. E dovrà sapere conquistare anche il mondo occidentale.
.
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