PAGINA AUTOGESTITA A CURA DEL PARTITO PIRATA
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Il ritorno del futurismo
di Alessandro Bottoni
I fucili lombardi
di Athos Gualazzi
Quando Bossi parlava di fucili padani probabilmente aveva presente
l’accordo Regione LombardiaGelmini-La Russa “Allenati per la
vita”, corso teorico-pratico, valido
come credito formativo scolastico,
rivolto agli studenti delle scuole superiori. Comincia così la strada per
imbracciare realmente i fucili e procedere sulla strada della secessione?
Tagli orizzontali e drastici alla scuola,
ricerca e innovazione ma per armare
i ragazzi che vivono in Lombardia i
fondi si trovano.
Studenti, professori, sindacati della
scuola e organizzazioni pacifiste hanno
protestato tanto vivacemente che ci
sono stati dei contusi.
L’iniziativa si affianca alla “mini naja”
anche se un caro amico m’ha fatto osservare che:”non confondiamo i russi
(anzi La Russa) con i padani: qui si
tratta di moschetti patriottici e lì di
marmaglia secessionista. Concettualmente il risultato è lo stesso, ma vuoi
mettere i giovani petti a difesa della
patria?” Puro stile fascio anni trenta.
Decisamente è un governo da mandare
a casa, troppi i danni che provoca
pur nelle poche cose che fa. Siamo
veramente al ridicolo, il presidente del
Consiglio che ipotizza “associazione a
delinquere” riferendosi ai Magistrati
che lo indagano e al tempo stesso pretende di considerare “private” le sue
elucubrazioni senili.
Dossieraggi sui “nemici” politici.
Ministri che sputano nel piatto dove
stanno abbondantemente e spudoratamente razzolando.
Giornalisti che subiscono attentati
che suscitano qualche perplessità: un
uomo solo per attentare alla vita di un
giornalista che ha una scorta di due
persone armate da almeno otto anni
o è molto coraggioso o molto fesso
oppure un deficiente visto che si è
presentato a viso scoperto ed ha
aspettato la vittima sul pianerottolo. Un attentatore che si fa beccare
dopo che la sua presunta vittima è
già rientrata in casa è per forza un
po’ lento di riflessi. Il camuffamento poi: un misto di GdF e palestra
di quartiere... nuove frontiere
del fashion? Un idiota che spara
al primo che passa, forse con una
pistola giocattolo o che s’inceppa,
quando potrebbe facilmente salutare ed andarsene senza nessun
problema. Insomma, se queste sono
le nuove-BR, che iddio le protegga
da sé stesse, rischiano di spararsi
nei piedi mentre puliscono la scacciacani. Fanno il paio con le barzellette del presidente..... davvero c’è da
vergognarsi di essere cittadini di una
Nazione che vuole annoverarsi fra le
più socialmente avanzate.
Noi Pirati siamo per la condivisione,
questo è vero, ma non certo quella della violenza psicologica, della ipocrisia,
della turpitudine politica cui stiamo
assistendo.Ci chiediamo quando
usciremo da questa bufera e potremo
ritornare a navigare in acque pulite,
se non tranquille. Stiamo disperando
perché non c’è pericolo di annegare –
siamo pur sempre pirati – ma stiamo
soffocando per il fetore.
S
ono sicuro che ci avete
fatto caso anche voi:
quasi tutte le formazioni nate negli ultimi
vent’anni hanno la parola “futuro” nel nome. Soprattutto
quelle di destra. Basti pensare
a “Fare Futuro” di Gianfranco
Fini ed a “Italia Futura” di Luca
Cordero di Montezemolo. Addirittura, sembra che la destra
sia riuscita ad appropriarsi del
titolo di “forza progressista” in
questo paese lasciando la sinistra al palo. Ma, al di là di questi italianissimi paradossi, che
cosa dovrebbe voler dire “fare
futuro” al giorno d’oggi?
Innanzitutto, “fare futuro” significa competere con gli altri
paesi sul piano dell’innovazione tecnologica, cioè della creazione di nuovi prodotti (iPod,
iPhone, iPad, etc.) e di nuovi
mercati (eBook, MP3, etc.) e
non sulla riduzione dei prezzi.
In una competizione basata
sulla riduzione dei prezzi, infatti, vince chi riesce a sfruttare al
massimo una forza lavoro dequalificata e ridotta in schiavitù. Si tratta, a tutti gli effetti, di
una degenerazione del sistema
produttivo. In secondo luogo,
“fare futuro” significa rifornire
il proprio sistema produttivo di
persone competenti in grado di
operare come dipendenti qualificati ma, soprattutto, come
nuovi imprenditori. Significa
avere una scuola ed una università ben radicate nel XXI
secolo ed orgogliose di esserlo.
Una scuola ed una università
attente allo sviluppo delle co-
noscenze scientifiche e tecnologiche ed in grado di fornire
l’humus adatto al sistema produttivo.
E qui casca l’asino. A dispetto dei buoni propositi, questa
destra “futurista” negli ultimi
vent’anni ha affossato proprio la scuola e l’università. In
particolare, ha cancellato dal
panorama educativo italiano
proprio gli istituti tecnici e le
facoltà scientifiche (fisica, chimica, matematica, ingegneria,
etc.). La conseguenza più tragica di questo olocausto culturale non è la carenza di persone
qualificate per la nostra industria. In Italia, in realtà, non
esiste più un’industria in grado
di assorbire i nostri diplomati
e laureati. No, la conseguenza più grave è la scomparsa di
un’intera generazione di tecnici e scienziati, cioè di quella
classe sociale che in altri paesi
dà vita a nuovi business, nuove
aziende e nuova occupazione.
Che fare? Prima di tutto, bisogna re-impossessarsi di quella
tradizione progressista che un
tempo ci apparteneva. Siamo
noi, la “sinistra”, ad aver sempre spinto per l’evoluzione sociale, tecnologica e scientifica,
non loro. Ricordiamocelo! In
secondo luogo, bisogna avere
il coraggio di combattere quel
tradizionalismo,
apparentemente innocuo, che ci spinge
a riconoscere come “degno di
rispetto” o come “importante”
ogni cosa che si ispiri, a torto od
a ragione, alle nostre tradizioni
nazionali, cioè la cosiddetta e
preziosissima “Cultura” italiana. Questa mia affermazione
può sembrare blasfema ma
vi invito a riflettere su questo
tema. La cultura (letteratura,
pittura, teatro, etc.) è un processo produttivo vivo e vitale,
fatto di continue nuove produzioni che, inevitabilmente, si
alimentano degli sviluppi sociali, tecnologici e scientifici del
mondo contemporaneo. Non
è e non può essere un museo.
Non può essere pura conservazione dell’esistente. “Fare cultura” non può voler dire avere
decine di migliaia di laureati in
materie umanistiche che non
possono sperare in nessun altro sbocco professionale oltre
all’insegnamento.
Se si vuole “fare futuro” si
deve restituire ai nostri ragazzi la possibilità (e l’orgoglio) di
avere una formazione tecnica
e scientifica di prim’ordine in
scuole superiori che non siano
ridotte a carceri minorili ed
una formazione accademica in
grado di competere con quelle straniere. Si deve “rubare”
l’idea delle “tre i” a chi ce l’ha
rubata vent’anni fa e metterla in pratica. Ci servono più
informatica, più inglese e più
impresa (ed industria). E, mi
dispiace doverlo dire, ci servono molto meno greco, molto meno latino, molto meno
Manzoni e molto meno Pascoli. Dobbiamo accettare questa
banale verità se vogliamo tornare a vivere nel presente ed a
competere con successo per il
pane quotidiano.
Il cartello delle Major
di Angelo Greco
R
iprendiamo un vecchio discorso. Forse
vi sarete chiesti perché i brani acquistati su internet costano ben 0,79 centesimi: che, moltiplicato per tante canzoni
presenti in un album, significa pagare complessivamente lo stesso prezzo di un cd in un negozio
di musica. Perché allora sborsare la stessa somma
per un prodotto (quello digitale) che, al contrario
di quello materiale, non risente di costi di produzione come l’impacchettamento (il cosiddetto
packaging), la stampa del libretto e del cd fisico,
la distribuzione e la vendita al dettaglio?
Semplice: perché c’era un cartello!
Se ne sono accorti i consumatori, che hanno notato la stranezza del comportamento di certe major (la EMI Group, Emi Music North america,
Universal, BM, Vivendi Universal Music Group,
Warner Music Group Corp., Sony Corp., Sony
BMG e Bertelsmann) che si erano rifiutate di
vendere attraverso eMusic, un rivenditore che
praticava prezzi molto piů contenuti.
Così sono state riunite presso la Corte Federale di
New York ben 28 cause già intentate sul territorio
degli U.S.A. tra la fine del 2005 e il luglio 2006,
tutte contro le grandi sorelle del disco.
In prima istanza, il tribunale di New York aveva
rigettato la domanda, ritenendo non sufficienti
gli elementi di prova contro le industrie discografiche. La Corte d’Appello, invece, non condividendo il parere del giudice di primo grado, ha
formulato un giudizio di ammissibilità dell’azione. Che ora entrerà nel vivo dell’istruttoria vera
e propria.
Il comportamento contestato alle major sta
nell’aver stretto un accordo volto ad impedire il
ribasso dei prezzi, gonfiando le cifre richieste ai
consumatori, e nell’aver mantenuto licenze particolarmente restrittive, optando per canali online
piů profittevoli come iTunes.
In altre parole, le case discografiche stavano cercando di far entrare dalla finestra ciò che, legittimamente, era uscito dalla porta.
Il mercato del supporto materiale non tira più?
Bene, i loro forzieri dovevano rimanere intatti
e lucrare sul più moderno mercato on line. Le
industrie, vecchi dinosauri del business, proprio
non ne volevano sapere di rinnovarsi. Ma questo
sempre a discapito dei consumatori.
La domenica
di un hacker
di Paolo Redstar
Cocuroccia
I
l Fusolab sta riaprendo
i battenti. Il luogo
naturale dove pirati,
artisti, cinefili, mediattivisti,
teatranti, musicisti e hackers
si incontrano e vivono come
un valore aggiunto la loro
diversità.
La programmazione si
sviluppa in un intreccio di
scelte di qualità e produzioni
indipendenti. Verranno
confermate le serate di
“cinestesia”: il cineforum dove
vista, udito e gusto si fondono
in un quid di registi d’essai
e giovani emergenti, con la
collaborazione di TaxiDrivers;
anche quest’anno infatti
viene confermata la presenza
della rivista di settore più
interessante del momento.
Saranno proposte novità
nelle esposizioni: si conferma
la massima libertà di
espressione e nessuna censura
per la pittura, i fumetti e le
illustrazioni.
La serata hacker verrà spostata
a domenica, dalle 17 alle 24:
quest’anno insieme a noi
Ninux, che si batte per
realizzare reti wireless libere in
Italia, verranno confermate le
presenze dei ragazzi dell’Italian
Lockpickers Club, che ci
introdurranno nel mondo delle
serrature e dei lucchetti, e del
linux user group romano. Ci
verranno a trovare i ragazzi di
Open Street Map, che avendo
creato una mappa liberamente
modificabile, ci permettono
di visualizzare, modificare ed
utilizzare dati geografici!
E ancora, spazio al teatro,
alla musica d’autore, ai
documentari, ai reading
letterari e al book-crossing:
lasci un libro e ne prendi
un altro, nel solito spirito
di condividisione che
contraddistingue il Fusolab.
Ovviamente i ragazzi e
le ragazze di Fusoradio
ci seguiranno con i loro
approfondimenti e le loro
dirette sulle iniziative e le
serate nel corso dell’anno.
Il filo conduttore tra tutte
queste realtà rimane quello
di “sviluppare e diffondere
una visione critica,
alternativa e antagonista, del
modello sociale culturale ed
economico vigente attraverso
la condivisione di spazi
conoscenze e strumenti che si
maturi e concretizzi tramite
l’analisi la ricerca e l’azione
diretta”. I pirati a Roma hanno
di nuovo il loro “galeone”.
Issiamo il Jolly Roger insieme
agli altri e ripartiamo!
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08 ottobre 2010 - Piratpartiet Diritti digitali