RAVENNA FESTIVAL 2015 L’amor che move il sole e l’altre stelle Teatro Alighieri 5 giugno, ore 20.30 RAVENNA FESTIVAL Direzione artistica Cristina Mazzavillani Muti Franco Masotti Angelo Nicastro Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana con il patrocinio di Senato della Repubblica Camera dei Deputati Presidenza del Consiglio dei Ministri Ministero per i Beni e le Attività Culturali Ministero degli Affari Esteri con il sostegno di Comune di Ravenna con il contributo di Comune di Cervia Comune di Comacchio Comune di Forlì Koichi Suzuki Hormoz Vasfi Comune di Russi partner sostenitori Divisione media partner in collaborazione con Indice L’amor che move il sole e l’altre stelle La locandina 7 Il libretto 9 Luci del Paradiso 13 di Paolo Petazzi I segni, i suoni, la luce: la poesia del Paradiso 19 di Giuseppe Ledda Cosmica armonia dantesca 27 di Adriano Guarnieri A tentar d’“intender l’inno” 29 di Cristina Mazzavillani Muti Il riflesso degli occhi di Dante 31 di Ezio Antonelli Gli artisti 33 Dante nostro contemporaneo da Firenze a Ravenna 49 di Marco Giorgetti Dante nostro contemporaneo L’amor che move il sole e l’altre stelle video opera di Adriano Guarnieri per tre voci soliste, quintetto vocale, coro, ensemble strumentale, sette trombe e live electronics direttore Pietro Borgonovo regia di Cristina Mazzavillani Muti set e visual design Ezio Antonelli regia del suono e live electronics Tempo Reale (Francesco Canavese, Francesco Giomi, Damiano Meacci) light designer Vincent Longuemare video programmer Davide Broccoli prima dell’opera Gabriele Lavia legge il xxxiii canto del Paradiso solisti Sonia Visentin soprano Claudia Pavone soprano Carlo Vistoli controtenore quintetto vocale Bianca Tognocchi soprano primo Antonella Carpenito soprano secondo Annalisa Ferrarini contralto primo Valentina Vanini contralto secondo Jacopo Facchini controtenore mdi ensemble 7 trombe Fabio Cudiz, Luigi Daniele Cantafio, Alberto Condina, Giuseppe Iacobucci, Cesare Maffioletti, Luca Piazzi, Marco Vita coro soprani primi Federica Livi, Samantha Pagnini soprani secondi Martina Bonanzi, Laura Palma contralti Elisa Bonazzi, Linda Dugheria tenori Alessandro Tronconi, Lorenzo Caltagirone bassi Vanni Augelli, Decio Biavati commissione di Ravenna Festival – prima rappresentazione assoluta coproduzione con Festival dei Due Mondi di Spoleto in collaborazione con Teatro della Toscana 7 Il libretto 9 Sequenza 1 3 soli, coro La gloria di colui che tutto move per l’universo penetra [...] così da’ lumi che lì m’apparinno s’accogliea per la croce una melode che mi rapiva, sanza intender l’inno. (Par. xiv, 118-123) quintetto vocale Nel ciel che più de la sua luce prende fu’ io e vidi cose che ridire né sa né può chi di là sù discende (Par. i, 1-2; 4-6) Sequenza 6 (a seguire subito) primo interludio orchestrale Sequenza 2 3 soli [...] Beatrice in sul sinistro fianco vidi rivolta a riguardar nel sole: [...] fissa con gli occhi stava [...] Sequenza 7 controtenore, quintetto vocale La vista mia, che tanto lei seguio quanto possibil fu, poi che la perse, volsesi al segno di maggior disio, e a Beatrice tutta si converse; (Par. iii, 124-127) quintetto vocale, coro [...] amor che ’l ciel governi tu ’l sai, che col tuo lume mi levasti. (Par. i, 46-47, 65, 74-75) Sequenza 8 coro “S’io ti fiammeggio nel caldo d’amore di là dal modo che ’n terra si vede” Sequenza 3 2 soli (contralto e controtenore) Beatrice tutta ne l’etterne rote fissa con gli occhi stava; e io in lei le luci fissi, di là sù rimote. 3 soli [...] già resplende ne l’intelletto tuo l’etterna luce (Par. v, 1-2, 7-8) quintetto vocale parvemi tanto allor del cielo acceso de la fiamma del sol, che pioggia o fiume lago non fece alcun tanto disteso. (Par. i, 64-66, 79-81) Sequenza 4 coro [La novità del suono] e ’l grande lume di lor cagion m’accesero un disio mai non sentito di cotanto acume. [...] vedendo in quell’albor balenar Cristo. (Par. i, 82-84; xiv, 108) 10 Sequenza 5 quintetto vocale E come giga e arpa, in tempra tesa di molte corde, fa dolce tintinno a tal da cui la nota non è intesa, Sequenza 9 3 soli, quintetto vocale Oh trina luce che ’n unica stella scintillando a lor vista, sì li appaga! (Par. xxxi, 28-29) Sequenza 10 2 soli (soprano, contralto), coro credea veder Beatrice, e vidi un sene vestito con le genti gloriose. come del sole stella mattutina. In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza, in te s’aduna. (Par. xxxi, 59-60; xxxii, 108; xxxiii, 19-20) Sequenza 11 3 soli, quintetto vocale, coro Vergine madre, figlia del tuo figlio, umile ed alta più che creatura, termine fisso d’etterno consiglio, tu se’ colei che l’umana natura nobilitasti sì, che ’l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura. (Par. xxxiii, 1-6) Sequenza 12 3 soli O luce etterna che sola in te sidi, sola t’intendi [...] [...] come lume reflesso (Par. xxxiii, 124-125, 128) Sequenza 13 secondo interludio strumentale Sequenza 14 3 soli, quintetto vocale, coro [ma già volgeva il mio disio e ’l velle] sì come rota ch’igualmente è mossa, l’amor che move il sole e l’altre stelle. (Par. xxxiii, 143-145) Le parole tra parentesi quadre non sono cantate, ma sono state inserite perché indispensabili alla compiuta comprensione del frammento musicato. 11 Luci del Paradiso La “trilogia” di Adriano Guarnieri per Ravenna Festival di Paolo Petazzi “Ex tenebris ad lucem”, si intitolava il Festival di Ravenna 2010; ma non approdava alla luce il percorso di Tenebrae di Guarnieri, che vi fu eseguito per la prima volta. Visioni di indicibile luminosità dischiude ora L’amor che move il sole e l’altre stelle, la cantata scenica che rende omaggio a Dante a 750 anni dalla nascita, il terzo dei lavori composti da Adriano Guarnieri su commissione del Festival di Ravenna, cinque anni dopo Tenebrae e otto dopo Pietra di diaspro, molto diversi nei testi, ma accomunati dal modo di concepire il rapporto con il teatro senza alcuna implicazione narrativa: la dimensione teatrale nasce in Guarnieri, per così dire, dall’interno del gesto musicale e dal suo proiettarsi sulla scena. Le cantate sceniche composte per Ravenna sono tra i punti d’arrivo di un coerente percorso di ricerca, che qui brevemente ricordiamo. Nato presso Mantova il 10 settembre 1947, Adriano Guarnieri (allievo di Giacomo Manzoni a Bologna) ha spesso parlato di “cantabilità materica”, una cantabilità che esclude recuperi melodici o tematici di tipo tradizionale perché nasce sempre “dentro la galassia del suono”, dall’interno della materia sonora. Il suono, determinante per la musica di Guarnieri, prende vita da contrapposizioni di linee e spessori su agglomerati armonici fissi, da aloni, dissolvenze, echi, riverberi, rifrazioni. La sua scrittura giunge in modo personalissimo alla definizione di situazioni sonore visionarie, iridescenti, di cangiante inquietudine, o violente e incandescenti, sempre cariche di intensa forza evocativa: alla centralità dell’invenzione del suono, all’immediatezza del rapporto con la materia sonora si riconducono anche l’interna tensione che sostiene le sue opere mature, e la costruzione formale, che non segue percorsi precostituiti, ma strettamente legati alla natura delle situazioni sonore, alla logica del trapassare dall’una all’altra. Con crescente evidenza, soprattutto a partire dal 1989‑90, si è inoltre definita in Guarnieri una mossa spazialità interna alla pagina, dove la nervosa mobilità dei rapporti contrappuntistici, degli echi e delle 13 14 rifrazioni, delle linee, delle scie o degli aloni sonori fa muovere il suono nello spazio, lo proietta in una sorta di circolarità spaziale, che è già implicita nella natura stessa dei rapporti fra le parti di una visionaria scrittura polifonica, e che l’elettronica dal vivo può sottolineare o contribuire a definire in modo determinante, come è accaduto sempre più spesso dopo il 1994. Nella sua terza esperienza teatrale, Orfeo cantando... tolse... (Montepulciano 1994) per la prima volta Guarnieri usò il live electronics per la spazializzazione del suono, in seguito ne approfondì la conoscenza e ampliò il rilievo. Nelle cantate Quare tristis (1995), Pensieri canuti (1999) e Passione secondo Matteo (2000), e poi nella Medea rappresentata a Venezia nell’ottobre 2002, il live electronics diventa determinante per trasformare il suono, muoverlo nello spazio e creare riverberazioni, per aprire a nuove dimensioni le galassie, i vortici, i grumi, gli spessori di materia sonora cari al compositore. Nella visionaria invenzione del suono si addensano polifonie fatte per lo più non di linee, ma di strati, di spessori, di blocchi sonori. Dovrei dire si addensavano, perché dopo le esperienze di Medea e di Pietra di diaspro si profila nella scrittura di Guarnieri la tendenza a ritrovare e perseguire una maggiore linearità, già evidente nell’opera da camera Nell’alba dell’umano. Processo a Costanza (2007/8, Bologna 2009), senza che venga meno la coerente fedeltà alla sua poetica e al suo mondo sonoro. Costante resta inoltre la lancinante tensione al canto e il fatto che la complessità della scrittura si risolva sempre in intensa evidenza espressiva. Nelle esperienze teatrali da Trionfo della notte a Medea, Guarnieri aveva attinto a Pasolini, Poliziano ed Euripide, in Pietra di diaspro si era rivolto all’Apocalisse e a Paul Celan. Servendosi di fonti letterarie diversissime il compositore, coerentemente con la propria poetica, ha sempre perseguito, invece della narratività, caratteri onirici e interiorizzati che si manifestano, fra l’altro, in una estrema frammentazione dei testi. Già in Trionfo della notte la destinazione teatrale dipendeva essenzialmente da una drammaturgia interna al fatto musicale, come se l’anelito al canto volesse proiettarsi sulla scena, in un poetico teatro immaginario che è, come disse il compositore, “tutto di situazioni interiori”. Il rapporto con Poliziano in Orfeo cantando... tolse... e con Euripide della seconda Medea non muta la drammaturgia onirica e interiorizzata del teatro di Guarnieri (ciò può valere anche per la prima Medea, il cui testo e il cui progetto richiederebbero tuttavia un discorso a parte). Pur nella frammentazione del testo e nell’assenza di narrazione (in Medea lo stesso infanticidio è oggetto soltanto di vaga allusione), i miti di Orfeo e di Medea offrono allo spettatore un punto di riferimento, che non c’era in Trionfo della notte e che non c’è in Pietra di diaspro, né in seguito negli altri lavori per Ravenna. Simboli, in numero di sette (cinque voci femminili e due controtenori) sono chiamati i “personaggi” di Pietra di diaspro. L’intreccio delle voci assume nuove, più dense e violente dimensioni, in rapporto con una drammaturgia ancora più “astratta” di quella di Medea; ma volta a schiudere orizzonti più ampi con estrema tensione: Guarnieri guarda alle cose ultime in una chiave visionaria e non confessionale. Dell’Apocalisse (inteso nel senso di “rivelazione”, il significato originario della parola) rimangono nel testo di Pietra di diaspro soltanto alcune parole e immagini. Nei pochi frammenti scelti è evidente la contrapposizione tra l’immagine del male assoluto e quella utopica della Gerusalemme celeste. Ma in Pietra di diaspro i frammenti dell’Apocalisse non sono posti l’uno accanto all’altro e si intrecciano, come già si è detto, con versi di Paul Celan e di Maritain a formare il testo su cui il compositore ha lavorato. Di quella complessa partitura vorrei ricordare qui solo la catartica conclusione, con la “tarda luce” evocata dal testo di Celan e, soprattutto, da una musica rarefatta ed estremamente rallentata, tesa ad una sorta di visionaria sospensione (cui tende in modi del tutto diversi anche la conclusione di Tenebrae). In Tenebrae i frammenti di Massimo Cacciari erano stati scelti da Cristina Mazzavillani Muti: è uno dei rari casi in cui Guarnieri ha lavorato, senza modificarlo, su un testo già definito (è accaduto anche con due poesie di Raboni, in Quare tristis e Pensieri canuti). Il testo si articola in quattro sezioni: “Disiecta membra”, “L’ultimo sguardo”, “Inquietum cor nostrum”, “Elis‑Trakl”; ma la musica si svolge come di consueto per sequenze senza interruzioni o cesure, e nel suo insieme può essere piuttosto suddivisa in due parti. Credo che il testo vada letto come una raccolta di frammenti scelti per la loro forza evocativa, in modo che fra loro si stabiliscano rapporti che vanno oltre l’originario contesto, stimolando riflessioni o suggestioni che spaziano da Beckett a Trakl al Vangelo di Luca, dalle tenebre come metafora di una condizione esistenziale alla riflessione sulla Passione di Cristo (liturgia delle tenebre è detta quella della settimana santa). L’inserimento di brevi e frammentarie citazioni di canto gregoriano è una novità che appartiene alla sola partitura di Tenebrae e che non comporta alcun mutamento della scrittura di Guarnieri: si tratta solo di frammenti riconoscibili, usati, osserva il compositore, come “elemento di rottura”, che affiorano in un contesto più complesso, all’interno di concertati vocali e strumentali. Queste citazioni stabiliscono talvolta un legame diretto con il testo, come nel caso del Miserere che nelle ultime sequenze è posto in rapporto con l’evocazione della morte di Elis nei frammenti poetici di Trakl. L’incontro con la poesia di Trakl ha un rilievo particolare in Tenebrae, nel cui complesso percorso costituisce quella che possiamo considerare la seconda parte, e che si basa su frammenti citati da Cacciari in Dallo Steinhof. Si assiste ad un lento e non lineare processo di rarefazione: un mortale svuotamento che, potremmo dire, dirada la densità delle tenebre delle prime sequenze. Nel trascolorare della prima parte si osservano colori, densità e sfumature differenti. Nella seconda, si può parlare, a grandi linee, di un processo di dilatazione del tempo, di rallentamento in grandi indugi lirici e di rarefazione. Come ha dichiarato Guarnieri: “La tenebra non è superata; ma è quasi svuotata. Attraverso lo svuotamento della polifonia si evoca la morte come dissolvenza, in una dimensione atemporale e sospesa”. L’amor che move il sole e l’altre stelle Il testo della nuova cantata scenica di Guarnieri inizia con i primi due versi del Paradiso e si conclude con gli ultimi due, comprende soltanto qualche decina di versi (non sempre completi) in buona parte tratti dai canti i e xxxiii. La quantità di testo limitata va posta in rapporto anche con la durata circoscritta del lavoro progettato e, come quasi sempre in Guarnieri, le scelte vanno ricondotte esclusivamente a ragioni di natura musicale, a un incontro del tutto personale, diretto, del compositore con la poesia di Dante, alla immediata intuizione della possibilità di appropriarsi musicalmente delle suggestioni e della forza evocativa di una parola, di un frammento, di una frase o di un verso. Il testo prende forma insieme con la musica ed è compiutamente definito soltanto quando la composizione è stata portata a termine, quando i percorsi musicali delle “sequenze” sono stati realizzati in rapporto a quelle parole, a quei versi. Anche nell’omaggio a Dante la partitura finita ha un testo un poco diverso (a causa di qualche omissione) da quello del progetto su cui il compositore aveva iniziato a lavorare. Non appartiene dunque a Guarnieri l’ambizione di confrontarsi globalmente con la complessità e la ricchezza del Paradiso, ed è ovvia, se si tiene conto della sua poetica, la necessità di escludere del tutto la materia dottrinale che in questa cantica ha un rilievo determinante. Un altro aspetto essenziale del testo dantesco lo aveva attirato, ed è presente nel pur esiguo numero dei versi che hanno suscitato la musica di Guarnieri: la centralità del tema della luce. Cosa ovvia nella cantica in cui Dio si manifesta come luce, in cui l’ascesa verso l’Empireo viene percepita nel risplendere di una luce sempre più intensa, e in cui coloro che Dante incontra salendo di cielo in cielo gli appaiono come luci oltre le quali il suo occhio non può scorgere i lineamenti fisici individuali. Ma non si dovrebbero leggere i pochi versi scelti da Guarnieri senza tener conto della musica: del testo converrà dare notizia seguendo a grandi linee il percorso delle quattordici “sequenze” di questa cantata scenica (il termine “sequenza” è usato da Guarnieri in un senso del tutto indipendente da quello storico, semplicemente per definire il succedersi pagina per pagina di idee e situazioni diverse, in una struttura formale che non segue percorsi precostituiti). Per la sensibilità del compositore è importante anche il suono della parola dantesca. Un modo particolare di valersi musicalmente di quel suono presentano le prime sequenze, nelle quali si sovrappongono e intrecciano testi diversi nelle parti dei tre gruppi vocali impiegati in L’amor che move il sole e l’altre stelle, cioè i tre solisti (soprano, contralto, controtenore), il quintetto vocale (due soprani, due contralti e controtenore) e il coro. All’inizio i tre solisti e il coro, sfasati, intonano i primi due versi, mentre il testo del quintetto vocale è quello della seconda terzina (“Nel ciel che più de la sua luce prende”). Non si tratta, ovviamente, di un ritorno alla politestualità dei mottetti medievali, 15 16 ma di un modo di accentuare l’indipendenza polifonica e la densità della scrittura delle prime pagine, e di una ricerca sul suono di sillabe diverse sovrapposte, che potrebbe idealmente richiamarsi a certi aspetti della scrittura corale del giovane Nono, con una realizzazione peraltro completamente diversa. Anche perché nei rapporti tra i tre gruppi vocali non gioca soltanto l’indipendenza delle linee polifoniche. Nella concezione di Guarnieri, l’intervento dell’elettronica dal vivo dovrebbe servire a superare la situazione di una polifonia fissa, e suggerire l’effetto di un movimento circolare nello spazio. Un movimento diverso per ognuno dei gruppi (un poco più veloce per i tre solisti, meno per il quintetto vocale e ancor meno per il coro) dovrebbe creare una circolarità lentissima, come se un gruppo fungesse anche da eco o alone intorno all’altro, in una lenta rotazione nella quale sono coinvolti anche gli strumenti, quando non assumono un ruolo di fasce di sostegno, come accade costantemente a violini e viole; mentre una presenza a sé è quella dei violoncelli (o talvolta del primo violoncello solo), il cui canto percorre l’intera partitura, come un filo rosso in un registro mediano. Ritorniamo al succedersi delle sequenze. Il testo del quintetto vocale nella terza, e poi, nella quarta, del coro che ne è l’unico protagonista vocale, riprende i versi con cui Dante narra come il dilagare della luce, il “grande lume”, segnali la rapida ascesa, come subito viene spiegato da Beatrice. In corrispondenza a questo crescendo luminoso la quarta sequenza ha, appunto, un solo protagonista vocale, il coro, con un unico testo e maggiore trasparenza. Con questa sequenza (che alla fine include anche un verso del canto xiv e un intervento di due componenti del quintetto vocale) si concludono le citazioni dal primo canto, e la prima parte della cantata, che tuttavia ha uno svolgimento continuo, senza cesure. Nella quinta sequenza, il testo proviene dal canto xiv, che è considerato il canto della luce per eccellenza, anche all’interno della cantica dove la luce ha un ruolo essenziale. I sei versi intonati dal quintetto vocale sono tratti dall’apparizione della croce di luce: lungo il braccio orizzontale e verticale si muovono altre luci, le anime dei beati, e cantano una rapinosa melodia, di cui Dante non riesce a comprendere le parole (se non in piccola parte). Il “dolce tintinno” di questa ineffabile musica è evocato da Guarnieri con campanellini sospesi e Glockenspiele, le lunghe note tenute dei due tromboni fanno da sfondo a una mossa scrittura a cinque voci. La sequenza successiva è un proseguimento della quinta, ha per protagonista l’orchestra, con i due flauti (poi anche i tromboni) in rilievo, mentre il quintetto vocale ha accordi tenuti in pianissimo. Dall’ultima parte del canto iii, dalla conclusione dell’episodio di Piccarda, proviene il testo della settima sequenza: Piccarda ha finito di parlare, e si allontana, Dante la segue con lo sguardo, finché la perde di vista e si volge a Beatrice. Il controtenore solista indugia con una vena di struggimento sulle parole “poi che la perse”. Intorno alla sua parte è organizzata quella del quintetto vocale. Di rilievo la struttura contrappuntistica della parte dei due tromboni. L’ottava sequenza si basa sui primi versi del canto v: Beatrice spiega a Dante le ragioni del fulgore che lo ha abbagliato, e le sue prime parole (“S’io ti fiammeggio nel caldo d’amore”), intonate dal coro, suscitano nelle trombe una sorta di esplosione, uno dei pochi momenti di questa cantata in cui il loro ruolo si avvicina a quello che assumono in altri lavori di Guarnieri, perché in altre pagine di L’amor che move il sole e l’altre stelle i loro interventi sono soprattutto caratterizzati da una grande tensione al canto. A partire dalla nona sequenza i versi scelti da Guarnieri provengono dagli ultimi canti. Alla visione della “candida rosa”, la forma in cui appare a Dante la “milizia santa” dei beati nell’Empireo, segue, nel canto xxxi, l’esclamazione “o trina luce, che in unica stella / scintillando a lor vista, sì li appaga!”: diviene un duetto tra soprano e controtenore, intorno a cui ruotano le voci del quintetto vocale (tra questi il controtenore instaura con il controtenore solista un rapporto contrappuntistico privilegiato, con momenti di imitazione a canone). Verso la fine di questa sequenza si ha una nuova esplosione delle trombe e il contralto si aggiunge agli altri due solisti. Il contralto solista ha un ruolo di protagonista nella sequenza numero dieci, che possiamo considerare conclusione della parte centrale della cantata. Inizialmente, intona un verso isolato dal canto xxxii, “come del sole stella mattutina”, poi accoglie qualche parola del testo del coro, che proviene dal canto xxxi (nel momento in cui Dante, volgendosi a Beatrice, vede al suo posto San Bernardo) e dal xxxiii (si anticipano alcune parole della preghiera alla Vergine). In evidenza qui gli interventi dei due flauti e dell’oboe. Non ci sono cesure, ma l’attacco della undicesima sequenza è reso evidente dal netto predominio delle voci, che intonano le prime due terzine della preghiera di San Bernardo alla Vergine all’inizio del canto xxxiii. Le linee di canto, che coinvolgono i tre gruppi (solisti, quintetto e coro) creano una polifonia più trasparente, indugiano su un lirismo dal respiro ampio e rallentato, sostenute solo dal contrappunto dei due tromboni e dall’immobile la (su tre ottave) dei contrabbassi e dei violoncelli. Le sequenze dodici (tre soli) e tredici (strumentale) possono essere viste come preparazione al finale, il cui testo è limitato agli ultimi due versi del Paradiso. Poi la sequenza quattordici presenta all’inizio una ricchezza polifonica che coinvolge voci e orchestra, per l’ultima volta, e volge a poco a poco verso una crescente trasparenza e rarefazione. Le ultime note sono affidate a soprano, controtenore, tromba, trombone e violoncello. Questo, molto sommariamente, è il percorso che la musica di Guarnieri compie dal primo all’ultimo canto del Paradiso. I lenti movimenti circolari creati dall’elettronica dal vivo costituiscono uno degli aspetti peculiari del suo incontro con la poesia di Dante, un incontro che lo porta ad accentuare la tendenza ad una maggiore trasparenza e linearità che si era già manifestata in opere recenti (anche in Tenebrae); ma che qui va vista in rapporto a colori e situazioni del tutto differenti. Vengono meno i contrasti e certe soluzioni di incandescente drammaticità. Si riduce molto il ruolo delle percussioni, e le trombe rivelano una intensa tensione al canto. Si avvertono evocazioni di vago sapore modale in una scrittura a tratti tendenzialmente diatonica. Non vengono meno i caratteri fondamentali della poetica di Guarnieri; ma tutto sembra tendere a creare un senso di sospensione. La luce smaterializzata cantata da Dante è evocata anche attraverso situazioni sonore alleggerite e a tratti rarefatte: circolarità e luminosa sospensione sembrano essere caratteri determinanti la musica composta da Guarnieri su versi dal Paradiso. 17 I segni, i suoni, la luce: la poesia del Paradiso di Giuseppe Ledda Il Paradiso di Dante è un grande teatro celeste, un’“ombra del beato regno” (Par. i, 23), un insieme di segni del “regno verace” (xxx, 98). Il vero Paradiso, sede di Dio, degli angeli e dei beati è l’Empireo, il cielo di luce puramente intelligibile posto “al di là” dei nove cieli corporei. Quando vi giungeranno, Beatrice lo definirà con queste parole: [...] “Noi siamo usciti fore del maggior corpo al ciel ch’è pura luce: luce intellettüal, piena d’amore; amor di vero ben, pien di letizia; letizia che trascende ogne dolzore. Qui vederai l’una e l’altra milizia di paradiso, e l’una in quelli aspetti che tu vedrai a l’ultima giustizia”. (Par. xxx, 38‑45) Dante, però, è un uomo ancora vivente e come tale non può avere una conoscenza intellettuale di sostanze separate dalla materia, di enti puramente intelligibili come Dio, gli angeli e i beati. La conoscenza umana, insegnava la filosofia aristotelica, avviene solo a partire dai sensi esterni. Solo successivamente le facoltà dei sensi interni rendono disponibile quanto è stato percepito alla conoscenza dell’intelletto. Questo principio filosofico è ricordato da Beatrice fin dal primo cielo, il cielo della Luna: Così parlar conviensi al vostro ingegno, però che solo da sensato apprende ciò che fa poscia d’intelletto degno. (Par. iv, 40‑42) Per questo motivo, spiega Beatrice, le anime dei beati che mancarono ai voti, fra cui Piccarda Donati e Costanza d’Altavilla, 19 sono scese incontro a Dante nel cielo della Luna: non perché questo cielo sia la loro dimora eterna, esse infatti hanno sede come tutti gli altri beati nell’Empireo, ma per rendere conoscibile all’uomo vivente attraverso segni sensibili la loro posizione meno elevata nella gerarchia celeste: Qui si mostraro, non perché sortita sia questa spera lor, ma per far segno de la celestïal c’ha men salita. (Par. iv, 37‑39). Ma, in realtà, tutte le anime dei beati soggiornano nell’Empireo e la differenza nel grado della beatitudine, conseguenza delle differenti condotte terrene, è puramente interiore e spirituale: ma tutti fanno bello il primo giro, e differentemente han dolce vita per sentir più e men l’etterno spiro. (Par. iv, 34‑36). Per venire incontro alle limitate capacità di Dante, le anime dei beati scendono dunque dall’Empireo, ciascuna in quello tra i sette cieli planetari che ha più influenzato la sua vita terrena, secondo un complesso gioco di corrispondenze che rifunzionalizza i caratteri attribuiti ai cieli dall’astrologia medievale. 20 La cantica paradisiaca si apre solennemente indicando Dio come principio e fine di tutto e propone poi, sin dalla seconda terzina, il grande tema dell’ineffabilità, riecheggiando il modello biblico di San Paolo, il quale in Paradiso udì parole che l’uomo non può dire: “arcana verba, quae non licet homini loqui” (2 Cor. 12, 2‑4). L’ineffabilità avvolge anche l’esperienza dantesca dell’Empireo, il cielo che più di ogni altro accoglie la luce divina: La gloria di colui che tutto move per l’universo penetra, e risplende in una parte più e meno altrove. Nel ciel che più de la sua luce prende fu’ io e vidi cose che ridire né sa né può chi di là sù discende. (Par. i, 1‑6) Dopo il grande proemio, il primo canto del Paradiso presenta l’avvio dell’azione narrata, l’ascesa di Dante e Beatrice verso il cielo. I due si trovano sulla vetta della montagna del Paradiso terrestre, quando Beatrice fissa gli occhi nel sole più di qualsiasi aquila, animale esemplare per tale capacità visiva: quando Beatrice in sul sinistro fianco vidi rivolta e riguardar nel sole: aguglia sì non li s’affisse unquanco. (Par. i, 46‑48) Anche Dante ci prova, ma deve ben presto desistere. Egli può allora dirigere il suo sguardo negli occhi di Beatrice che restano a loro volta sempre fissi nel sole, simbolo evidente della luce divina: Beatrice tutta ne l’etterne rote fissa con li occhi stava; e io in lei le luci fissi, di là sù rimote. (Par. i, 64‑66) Si ha così un triangolo degli sguardi: la luce del sole è percepita da Dante in modo indiretto, in quanto essa si riflette negli occhi di Beatrice. Attraverso questa luce mediata si avvia l’ascesa di Dante verso il cielo, egli inizia ad andare oltre le possibilità degli esseri umani. Trova qui compimento il personaggio di Beatrice, che Dante ha costruito fin dalla Vita nova per rappresentare la bellezza umana in cui si riflette la bellezza divina e che è capace di guidare colui che la ama verso la fonte divina della bellezza che in lei si riflette. San Paolo ammetteva di non sapere se la sua esperienza fosse avvenuta nel corpo o fuori del corpo e attribuiva solo a Dio questa conoscenza (“sive in corpore, sive extra corpus nescio, Deus scit”). Dante in una sola terzina ribadisce la propria identità di nuovo Paolo, ammesso da vivo all’esperienza del Paradiso, e attribuisce a Dio, riflesso nello sguardo di Beatrice, l’azione di sollevarlo verso il cielo: S’i’ era sol di me quel che creasti novellamente, amor che ’l ciel governi, tu ’l sai che col tuo lume mi levasti. (Par. i, 73‑75) L’ascesa paradisiaca di Dante si svolge non con un improvviso e diretto rapimento nell’Empireo, ma tramite l’ascesa di cielo in cielo, attraverso i nove cieli corporei del cosmo medievale. Ma prima ancora di giungere nel cielo della Luna, i viaggiatori celesti attraversano la sfera del fuoco: Quando la rota che tu sempiterni desiderato, a sé mi fece atteso, con l’armonia che temperi e discerni, parvemi tanto allor del cielo acceso de la fiamma del sol, che pioggia o fiume lago non fece alcun tanto disteso. (Par. i, 76‑81) Qui, insieme agli spettacoli della luce intensissima si annunciano anche quelli dei suoni: Dante è catturato dalla misteriosa musica prodotta dal ruotare delle sfere celesti. Tali straordinari fenomeni percepiti dal viaggiatore accendono in lui un desiderio acutissimo di conoscerne la causa, cioè Dio stesso: La novità del suono e ’l grande acume di lor cagion m’accesero un disio mai non sentito di cotanto acume. (Par. i, 82‑84) Nel cielo della Luna, Dante incontra le anime dei beati che in vita sono venuti meno ai voti e fanno segno della loro condizione meno elevata mostrandosi a lui in questo cielo, il più basso e il più lento. Ma Piccarda spiega che nella beatitudine la volontà dei beati coincide perfettamente con quella di Dio: “E ’n la sua volontade è nostra pace” (Par. iii, 85). Terminato il discorso di Piccarda, si avvia un’altra grande linea strutturale del Paradiso: le preghiere e gli inni cantati dai beati. In continuità con la preminenza liturgica ed esemplare della Vergine nel Purgatorio, la prima preghiera intonata dai beati è l’Ave Maria cantata da Piccarda. Così parlommi, e poi cominciò ‘Ave, Maria’ cantando, e cantando vanio come per acqua cupa cosa grave. La vista mia, che tanto lei seguio quanto possibil fu, poi che la perse, volsesi al segno del maggior disio. (Par. iii, 121‑126) Piccarda intona la preghiera nel momento in cui si allontana, scomparendo alla vista di Dante. Per ora né Dante personaggio né il lettore hanno alcun indizio per scoprire dove Piccarda sia andata: i beati sono apparsi all’improvviso nel cielo della Luna, senza che si potesse conoscere la loro provenienza, e ora Piccarda sparisce alla vista. Di qui la necessità che Beatrice spieghi a Dante, e al lettore, che i beati stanno sempre nell’Empireo e discendono nei singoli cieli per venire incontro a Dante, per poi ritornare all’Empireo dopo essersi mostrati e aver dialogato con lui. Ancora più tipica del Paradiso è l’altra variante dello scacco della vista, l’abbagliamento causato dall’insostenibile luce divina riflessa nei beati e negli angeli. In particolare Beatrice, risalendo di cielo in cielo e avvicinandosi a Dio, risplende con intensità sempre maggiore, sino a vincere le facoltà visive di Dante. Ciò è ricordato fin dall’arrivo nel secondo cielo e si ripeterà più volte: “S’io ti fiammeggio nel caldo d’amore di là dal modo che ’n terra si vede, sì che del viso tuo vinco il valore, non ti maravigliar, ché ciò procede da perfetto veder, che, come apprende, così nel bene appreso move il piede. Io veggio ben sì come resplende ne l’intelletto tua l’etterna luce, che, vista, sola e sempre amore accende”. (Par. v, 1‑9) Così Dante è innalzato di cielo in cielo dalla luce divina che si riflette negli occhi di Beatrice, e nei singoli cieli gli si manifestano i diversi beati. Nei primi tre cieli giunge ancora il cono d’ombra proiettato dalla Terra. Perciò, Dante vi incontra beati che hanno sì fatto il bene, ma con qualche ombra: dopo coloro che mancarono 21 ai voti, nel cielo di Mercurio si mostrano gli spiriti attivi e nel cielo di Venere gli spiriti amanti. Nei quattro cieli successivi non giunge più l’ombra della Terra e Dante vi incontra i beati che hanno realizzato ai livelli più alti nella vita cristiana le quattro virtù cardinali: i sapienti nel cielo del Sole, i combattenti per la fede nel cielo di Marte, i giusti nel cielo di Giove, i contemplanti nel cielo di Saturno. Il tema musicale, annunciato dall’allusione iniziale all’armonia delle sfere e avviato dal canto dell’Ave Maria da parte di Piccarda, sarà frequentemente ripreso nei singoli cieli. Non sorprende che il punto più intenso di questo percorso si abbia nel cielo di Marte, centrale nel sistema dei nove cieli corporei e tradizionalmente associato alla musica. Qui, dopo le coreografie circolari nel cielo del Sole, la nuova sezione si apre con un nuovo segno sacro: nella luce rosseggiante di Marte le anime si dispongono a formare una croce, la cui descrizione è interrotta da una variazione del topos dell’ineffabilità. La dichiarazione di indicibilità viene però rovesciata da un appello al lettore, e lo scacco del poeta si trasforma in una esortazione alle virtù cristiane e in una promessa di gloria futura per il lettore che prenda la propria croce e segua Cristo: 22 Qui vince la memoria mia lo ’ngegno; ché quella croce lampeggiava Cristo, sì ch’io non so trovare essempro degno; ma chi prende sua croce e segue Cristo, ancor mi scuserà di quel ch’io lasso, vedendo in quell’albor balenar Cristo. (Par. xiv, 103‑08) La profonda risonanza cristologica dell’episodio e dell’esortazione è sottolineata anche dalla triplice rima identica Cristo : Cristo : Cristo, alla seconda occorrenza nel poema. Dalla croce luminosa formata dai beati si innalza un canto incomprensibile al protagonista, il quale è rapito dalla dolcezza della melodia ma non riesce a comprendere le parole: E come giga e arpa, in tempra tesa di molte corde, fa dolce tintinno a tal da cui la nota non è intesa, così da’ lumi che lì m’apparinno s’accogliea per la luce una melode che mi rapiva, sanza intender l’inno. (Par. xiv, 118‑123) Pur non riuscendo a “intender l’inno”, egli coglie però due parole ripetute: “Resurgi” e “Vinci” (vv. 124‑26). Per quanto incomprensibile all’uomo nella sua pienezza, è dunque un canto di lode intorno al mistero supremo della resurrezione di Cristo. Gli strumenti musicali sono qui evocati attraverso una similitudine: così la giga e l’arpa, con la tensione perfettamente armonizzata delle loro corde, producono un concerto dolce anche per chi non è in grado di distinguere le diverse note. Anche il canto successivo si apre con una nuova immagine musicale in cui i beati che formano la croce diventano metaforicamente una “lira” dalle “sante corde” suonata dalla mano di Dio: silenzio puose a quella dolce lira, e fece quïetar le sante corde che la destra del cielo allenta e tira. (Par. xv, 4‑6) È una nuova variazione, questa volta musicale, del grande tema paradisiaco della perfetta aderenza della volontà dei beati alla volontà divina. Giunto nell’Empireo, Dante può vedere i beati che dirigono tutti i loro sguardi verso la fonte divina della luce e vi contemplano i misteri divini. Così la luce della Trinità splende nei loro occhi come una sola stella e appaga tutti i loro desideri di conoscenza: Questo sicuro e gaudïoso regno, frequente in gente antica e in novella, viso e amore avea tutto ad un segno. Oh trina luce che ’n unica stella scintillando a lor vista, sì li appaga! (Par. xxxi, 25‑29) Qui Dante è accompagnato verso la visione finale da una nuova guida, che prende il posto di Beatrice. Dopo aver ammirato l’insieme dei beati nell’Empireo, egli si volge ancora verso la sua donna, ma al posto della beata vede invece “un sene / vestito con le genti glorïose” (Par. xxxi, 59‑60). Questo solenne vegliardo tranquillizza subito Dante, turbato per la scomparsa di Beatrice, e spiega di essere stato mandato proprio da lei per aiutarlo a portare a compimento il viaggio oltremondano: “Acciò che tu assommi / perfettamente [...] il tuo cammino” (vv. 94‑96). Il ruolo del nuovo personaggio è quello di accompagnare Dante nella visione dell’Empireo che prepara alla contemplazione suprema. E, come a garantire Dante delle possibilità di successo, il misterioso “sene” aggiunge la certezza dell’aiuto della regina del cielo, che concederà ogni grazia a Dante e alla sua guida, perché questi non è altri che “il suo fedel Bernardo” (v. 102). Solo a questo punto viene svelata la sua identità. Si tratta di Bernardo di Chiaravalle, una delle figure più significative della Chiesa medievale, famoso come esperto di contemplazione e di teologia mistica, come teologo mariano, come oratore eloquentissimo. Bernardo esorta subito Dante a sollevare lo sguardo per ammirare la rosa dei beati sino al cerchio più alto, fino a vedere “la regina / cui questo regno è suddito e devoto” (vv. 116‑117). Grande enfasi ha il motivo mariano e il santo si orna e risplende della luce di Maria: Così ricorsi ancora alla dottrina di colui ch’abbelliva di Maria, come del sole stella mattutina. (Par. xxxii, 106‑108) Essendosi Dante preparato attraverso la visione di Maria, Bernardo può invitarlo infine a guardare direttamente nella luce divina: e drizzeremo li occhi al primo amore, sì che, guardando verso lui, penètri quant’è possibil per lo suo fulgore. (Par. xxxii, 142‑144) Ma ancora non basta. Non è sufficiente la progressiva educazione dello sguardo: Bernardo deve condurre Dante a riconoscere ancora i limiti dell’uomo, il suo sicuro fallimento se volesse raggiungere la suprema conoscenza e felicità facendo esclusivo affidamento sulle proprie forze umane. Tale meta può solo essergli data da Dio. Così diviene necessario rivolgere una preghiera perché questa grazia sia concessa, e la preghiera va rivolta alla Vergine, “quella che puote aiutarti” (v. 148). Se la Vergine è infine invocata perché Dante possa giungere al compimento del proprio cammino, va ricordato che Maria ha anche messo in moto per prima, con la sua premurosa iniziativa di misericordia, la catena di “donne benedette” che ha portato Virgilio a soccorrere Dante, smarrito fra la selva e il colle, e ormai rovinosamente risospinto nella selva (Inf. ii, 94‑96). Nella preghiera di Bernardo è possibile individuare i tre momenti tipici della preghiera classica nella sua declinazione cristiana: l’invocazione, l’elenco laudatorio delle virtù della divinità, detto eulogia, infine la supplicatio, cioè le richieste a lei indirizzate. La prima terzina, anche se nella forma del vocativo, esprime già la lode di Maria nei modi più alti e vertiginosi. L’eulogia si estende quindi nelle prime sette terzine del canto, la prima delle quali si apre sui misteri inaccessibili dell’Incarnazione, sulle contraddizioni, gli ossimori e i paradossi della maternità della Vergine: “Vergine madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d’etterno consiglio”. (Par. xxxiii, 1‑3) Sono motivi frequenti nella teologia e nell’innologia mariana per mostrare lo scacco della logica, della scienza, della ragione umana al cospetto dei supremi misteri divini. In tal modo l’inizio del canto si collega alla sua conclusione, dove per suggerire l’impossibilità di comprendere la misteriosa compresenza della effige umana nel cerchio divino, si allude a uno dei più celebri impossibilia scientifici: il calcolo della quadratura del cerchio. La natura ossimorica di Maria è richiamata nel secondo verso nelle modalità che hanno già fatto di lei la protagonista degli esempi di virtù nelle cornici del Purgatorio: “umile e alta più che creatura”. Maria è il modello supremo di umiltà e nell’orizzonte etico cristiano l’umiltà è la sola virtù che consenta di salire verso l’alto. Per questo, essendo la più umile fra le creature, è al contempo la più alta. Per questa umiltà suprema e per questa conseguente altezza nella virtù, Maria fu la prescelta dall’eterna decisione divina, “termine fisso d’etterno consiglio”. La prodigiosa concentrazione semantica della prima terzina si scioglie nella seconda e nella terza, che svolgono più distesamente i temi dell’Incarnazione e della Redenzione: “tu se’ colei che l’umana natura nobilitasti sì, che ’l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura. Nel ventre tuo si raccese l’amore, per lo cui caldo ne l’etterna pace così è germinato questo fiore”. (Par. xxxiii, 4‑9) Dopo le prime tre terzine dedicate al ruolo storico di Maria nella Redenzione, Bernardo passa a esaltare la Madonna per le sue prerogative attuali, di regina del cielo e punto di riferimento per gli uomini nella vita terrena: “Qui se’ a noi meridïana face di caritate, e giuso, intra ’ mortali, se’ di speranza fontana vivace. 23 Donna, se’ tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia e a te non ricorre, sua disïanza vuol volar sanz’ali”. (Par. xxxiii, 10‑15) La potenza di Maria è necessaria per l’uomo. Senza la sua intercessione non è possibile ottenere la grazia che aiuta a compiere i desideri più alti e autentici. E la bontà della Vergine verso l’umanità è tale che non solo soccorre coloro che si rivolgono a lei, ma spesso previene con il suo generoso intervento la richiesta dell’uomo, chiuso nel suo orgoglio e incapace di chiedere aiuto: “La tua benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fïate liberamente al dimandar precorre”. (Par. xxxiii, 16‑18) Questo intervento pietoso e gratuito della Vergine è del resto proprio quello che ha salvato Dante dallo smarrimento nella selva. Così la lode alla Vergine può concludersi trionfalmente con una terzina che declina le virtù di Maria, ora nella sua dimensione di eterna soccorritrice del genere umano, nel ritmo solenne dell’anafora di in te: “In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza, in te s’aduna quantunque in creatura è di bontate”. (Par. xxxiii, 19‑21) L’ultima parte della preghiera è costituita dalla supplicatio, in cui Bernardo chiede per Dante un ulteriore accrescimento delle virtù visive e conoscitive umane, così che egli possa vedere Dio, suprema salvezza: 24 “Or questi, che da l’infima lacuna de l’universo infin qui ha vedute le vite spiritali ad una ad una, supplica a te, per grazia, di virtute tanto, che possa con li occhi levarsi più alto verso l’ultima salute”. (Par. xxxiii, 22‑27) Le preghiere rivolte da Bernardo alla Vergine sono prontamente esaudite e il contemplante può “ficcar lo viso per la luce etterna”, con le proprie facoltà visive continuamente accresciute. La visione di Dio è suddivisa in tre fasi: dapprima Dante può scorgere in Dio il principio unitario che dà ordine e senso alla molteplicità dell’universo; poi contempla l’unità e trinità divina, nella forma di tre cerchi di tre colori diversi ma di una stessa dimensione; infine, nel cerchio divino che rappresenta la seconda Persona della Trinità, riesce a scorgere l’immagine dell’uomo, dunque il mistero supremo della divinità e umanità del Figlio. Dapprima il contemplante vede in Dio l’intero universo. Il poeta riprende l’antica metafora del mondo‑libro, ma la svolge in modo nuovo. Il mondo, nella percezione terrena degli uomini, più che un libro appare come un insieme confuso e disordinato di fogli sparsi, in cui è impossibile rimettere ordine per comprendere il significato. Solo in Dio questi fogli sparsi, squadernati nel mondo, trovano l’ordine e la razionalità: Nel suo profondo vidi che s’interna, legato con amore in un volume, ciò che per l’universo si squaderna: sustanze e accidenti e lor costume quasi conflati insieme, per tal modo che ciò ch’i’ dico è un semplice lume. (Par. xxxiii, 85‑90) Per la rappresentazione dell’unità e trinità divina Dante ricorre all’immagine di tre cerchi, perfettamente coincidenti per circonferenza ma diversi per colore. È un’immagine che può essere detta, ma non realmente rappresentata. E per indicare il rapporto di generazione che collega la persona del Padre e quella del Figlio, Dante allude al fenomeno del doppio arcobaleno, che la meteorologia aristotelica spiegava sulla base del principio della riflessione (“come iri da iri”), una similitudine però solo parzialmente appropriata, che non può essere assunta come piena spiegazione di tali rapporti: Ne la profonda e chiara sussistenza de l’alto lume parvermi tre giri di tre colori e d’una contenenza; e l’un da l’altro come iri da iri parea reflesso, e ’l terzo parea foco che quinci e quindi igualmente si spiri. (Par. xxxiii, 115‑120) Infine il momento culminante della visione di Dio e dell’intera esperienza di Dante personaggio è la visione dell’Incarnazione e dell’umanità di Cristo. Tutto il racconto della visione di Dio è intervallato da scacchi e cedimenti delle facoltà linguistiche e cognitive del poeta, la cui memoria è stata incapace di comprendere e trattenere ogni aspetto dell’esperienza del divino e la cui lingua umana è ora incapace di esprimere anche quel poco che la memoria ha potuto trattenere. In conclusione, il fallimento dell’intelletto nel comprendere il come dell’Incarnazione e dell’umanità di Cristo è dichiarato nei termini dello scacco della geometria: O luce etterna che sola in te sidi, sola t’intendi, e da te intelletta e intendente te ami e arridi! Quella circulazion che sì concetta pareva in te come lume reflesso, da li occhi miei alquanto circunspetta, dentro da sé, del suo colore stesso, mi parve pinta de la nostra effige: per che ’l mio viso in lei tutto era messo. Qual è ’l geomètra che tutto s’affige per misurar lo cerchio, e non ritrova, pensando, quel principio ond’elli indige, tal era io a quella vista nova: veder voleva come si convenne l’imago al cerchio e come vi s’indova; ma non eran da ciò le proprie penne. (Par. xxxiii, 124‑139) circolarmente si chiude con “l’amor che move il sole e l’altre stelle”: è l’amore divino che “volge” Dante, “dopo tanto veder”, dalla contemplazione celeste di nuovo sulla terra, dove egli deve compiere la missione che gli è stata assegnata, la scrittura del poema, che ha il fine altissimo di confortare nell’umanità disperata la speranza della “gloria futura”. L’intelletto viene sconfitto nel suo sforzo attivo di vedere il come, ma un fulgore di grazia colpisce e illumina infine la mente del contemplante portandola al soddisfacimento del suo desiderio conoscitivo: ma non eran da ciò le proprie penne: se non che la mia mente fu percossa da un fulgore in che sua voglia venne. A l’alta fantasia qui mancò possa. (Par. xxxiii, 139‑142) Se l’esperienza divina è stata vissuta in una dimensione tutta visiva e intellettiva, si ha infine il passaggio a una dimensione affettiva, sul piano del desiderio e della volontà, entrambi mossi da Dio in armonia con i moti dell’Universo: ma già volgeva il mio disio e ’l velle, sì come rota ch’igualmente è mossa, l’amor che move il sol e l’altre stelle. (Par. xxxiii, 143‑145) La cantica si era aperta nel nome di “colui che tutto move” e ora 25 Cosmica armonia dantesca di Adriano Guarnieri “L’amor che move il sole e l’altre stelle”, mai un singolo verso poetico ha espresso una simile forza totalizzante del concetto motorio, fisico e metafisico, vitalistico, di armonia cosmica di cui il nostro umano vivere è intriso. È per questo che sono partito da qui, dal verso che chiude il Paradiso e dunque l’intera Commedia, per dar vita a questa “video cantata scenica” che sigilla quel trittico che, aperto con l’Apocalisse trasfusa in Pietra di diaspro, mi aveva condotto attraverso le Tenebrae e, appunto, approda ora alla luce abbacinante del Paradiso di Dante. Frammenti di testo accostati vengono a completare idealmente l’arco formale e strutturale della cantica dantesca. E, seppure nessun intento narrativo, in senso verista, mi abbia guidato, vi è un filo rosso che, nel testo e nella musica, collega tra loro i temi preminenti. I temi della luce, dell’infinito, dell’amore terreno, fisico, traslato poi metafisicamente nelle visioni di Beatrice e della Vergine; poi i temi che ci riconducono al moto delle sfere e degli universi. In un intreccio di simbologie, anche teologiche, che si incarnano in linee melodiche, polifoniche, corali, strumentali. Vero personaggio dell’opera è la poesia di Dante. E una musica “meravigliata”, come dense di meraviglia sono le traiettorie sferiche del firmamento. Allora, i tre solisti rappresentano simbolicamente una trinitarietà umana, speculare a quella teologica; attorno ad essi il quintetto vocale funge da “aura polifonica”, necessariamente in una dimensione di spazializzazione del suono; così il coro, ovvero le anime, il vero pulviscolo dell’infinito e molteplice universo. E insieme alle sette trombe – quelle stesse che, minacciose, aprivano in Pietra di diaspro il disvelamento apocalittico, e che qui squillano allelujatiche e tripudianti, di un’armonia creaturale assoluta –, simulano fisicamente e spazialmente quel moto circolare, quell’armonia delle sfere insita nella “divina” struttura della Commedia. 27 A tentar d’“intender l’inno” di Cristina Mazzavillani Muti ma già volgeva il mio disio e ‘l velle Dopo il lungo viaggio nel regno dei morti, Dante giunge alle soglie dell’inaccessibile. Quella Luce che riesce a cogliere solo attraverso gli occhi di Beatrice lo acceca, e capisce che non gli è dato andare oltre. Capisce che è impossibile accedere al Mistero: possiamo soltanto esserne folgorati. Così il Poeta non può che volgersi indietro, tornare sulla terra, farsi sublime cantastorie e raccontare. Il suo non è un ritorno: è una ripartenza verso il mondo dei vivi, per dar conto dell’impotenza dell’uomo e rivelare la grandezza di quella Luce “etterna” per l’uomo che “s’etterna”. Per l’uomo che esiste perché continua a ricercare. s’accogliea per la croce una melode che mi rapiva, sanza intender l’inno Gustave Doré (1832-1883), Visione della Croce, Illustrazioni per la Divina Commedia (Paradiso), incisione su zinco. I versi di Dante, popolari, tradotti in tutte le lingue e in tutti i dialetti, sono quelli di un cantastorie, e il suo “recitar cantando” in endecasillabi è quello di un rapper antelitteram: il mistero della sua musica ci rapisce, intrisa di significati che trascendono la semplice comprensione. E nel Paradiso, Adriano Guarnieri ci disvela il colore della parola, dilatato, sospeso, diafano, rarefatto, continuo. Le figure di Dante e di Beatrice, della Vergine e dell’Altissimo e delle anime tutte, immobili, fisse, appaiono e scompaiono, facendo riaffiorare immagini bizantine, ferme, sospese, senza un vero e proprio appoggio, che sembrano galleggiare nel roteante pulviscolo del “grande lume”. E tutte abbarbicate alla croce fan “dolce tintinno” per tentar di “intender l’inno”... 29 Il riflesso degli occhi di Dante di Ezio Antonelli Il Paradiso dantesco è l’universo della luce, espressione in continuo crescendo del riflesso di Dio che l’umano sguardo, puro e devoto, può solo accogliere come una metafora, un simbolo, una poesia e un canto, appunto, per partecipare infine ad una pienezza inimmaginabile se non attraverso la fede. Una progressione di superiori livelli di luminosità evocata da visioni, mai rappresentate fisicamente e oggettivamente descritte, se non per suggerire attraverso similitudini e riferimenti colti, volutamente e necessariamente. La luce è pura poesia che richiama, annuncia, intuisce. Che fare dunque visivamente? Come creare immagini che non siano che evocazioni di una luce riflessa? E come sostenere questo continuum senza fine? Nell’infinita triangolazione di sguardi, come luce del Sole riflessa negli occhi estatici di Beatrice, cerco la mia visione in quelli chiari e cristallini di Adriano Guarnieri. Nel suo sguardo acceso e luminoso di chi vede la materia musicale e la descrive ispirato, ho colto il riflesso delle migliaia di note che gli vagano intorno come un cielo stellato, un Primo Mobile o una Candida Rosa, un tolemaico universo concentrico con orbite rotanti di sfera armillare. Il suo sguardo penetra uno spazio che lui solo può prevedere e contemporaneamente agire, fino alle trenta parti in contemporanea esecuzione nella dilatazione cosmica del gran finale. Allora ho chiesto in regalo la sua grafia, la sua straordinaria partitura amanuense e ne ho fatto un documento di poesia visiva, immagine riflessa di una mente poetica e musicale, esattamente come lo è la scrittura di Dante. Quella fitta tessitura e quegli incredibili merletti di note sono diventati la mia guida. La guida del mio sguardo, che solo di riflesso può seguirlo, come accade per il sole raggiante. In aiuto a tutto ciò è venuta anche la nostra familiarità creativa. L’aver costruito insieme un percorso che, dopo Pietra di diaspro e Tenebrae, giunge ora a questo Amor per Dante. Quella che era stata una ricerca nella sostanza e nei dettagli 31 della materia naturale, vista come un macro cosmo astratto, transita qui, affondando ancor più nella interpretazione di materie riflettenti. Il vetro, i metalli ed i preziosi, l’acqua e il ghiaccio, e infine i luminosi mosaici, e proprio gli stessi che hanno trasmesso il riflesso degli occhi di Dante e in essi certamente infuso una luce ispiratrice. Come quel cielo profondo blu e brillante d’oro del Mausoleo di Galla Placidia. Proseguendo nel percorso tracciato da Tenebrae, alla fotografia abbiamo aggiunto riprese video, esasperando i bagliori e catturando le circolarità dei movimenti raggianti e delle dinamiche luminose, il tutto sommato ad una tecnica di elaborazione virtuale 3D con combinazioni astratte di cieli, cerchi ed anelli cosmici richiamanti l’universo tolemaico, a cui fa riferimento Dante, e quella “rotatorietà” del suono a cui tende di riflesso Adriano Guarnieri nei suoi movimenti concentrici, plurigeometrici e spazializzati nell’aere della scena e del teatro. 32 Un duplum di taglio medievale, il triplice canto dei soli o il trio di archi, il canto del quintetto vocale, gli squilli di sette trombe, un coro a dieci voci e il tutto che circola e intreccia, scambia le posizioni e i ruoli, le curve e le intensità. Potrei dire che queste sono le mie immagini riflesse, a cui si innestano sequenze di neumi, grafie di parole antiche, icone di cosmogonie e sfere armillari, e il tutto ai cosmi di Guarnieri e Dante; riflessi nei riflessi, in uno scambio dinamico, alla ricerca di armonie esteriori come rappresentazione di altre indescrivibili, irraggiungibili ed altrimenti inenarrabili. Tra tutti gli illustratori possibili di Dante, tralasciando con qualche dispiacere il bravissimo Francesco Scaramuzza, ho scelto di citare Gustave Dorè, intrecciando alla collana qualche sua visione cosmica, tra le più adatte a suggerire ed incrementare lo spazio ampio e dinamico da rappresentare. Grazie a questo coro di suggerimenti, di voci e di sguardi, di poetica parola (Dante), immagine (Dorè) e musica (Guarnieri) non è stato in fondo difficile costruire un impasto visivo che restituisse lo spirito dell’Opera Video. Ma quando Dante, sul finire della Divina, canta la meraviglia e il limite dell’immaginazione umana, e Adriano Guarnieri una dilatazione a perdersi infinita, anche noi ci smarriamo e lasciamo il campo alla sola e vera luce. Percezione o simbolo, sempre e soltanto raggio riflesso, la luce esce dallo spazio della scena e della illusione ispirata, per invadere e disperdersi in un riverbero identico al suono, tra il pubblico, in un ultimo richiamo a Dante ed al divino, ed al tempo stesso alla musica del compositore. Mentre scrivo, l’ultima scena è ancora in fieri, e confido nei cari compagni in questo pulsare di raggi ed emozioni, Cristina Mazzavillani Muti e Vincent Longuemare. Gli artisti Adriano Guarnieri 34 Nasce a Sustinente (Mantova) nel 1947, compie gli studi a Bologna con Giacomo Manzoni e Tito Gotti. Sin da giovane si applica alla composizione e, con il Nuovo Ensemble Maderna da lui fondato, alla diffusione della musica contemporanea degli anni Sessanta e Settanta. Partito da esperienze sperimentali, sin dai primi anni Ottanta intraprende una ricerca poetica di sintesi fra storia ed avanguardia. Su questa strada si segnalano: Musica per un’azione immaginaria (1976) e Recit (da Pasolini, 1978), sino a sfociare, sempre con Pasolini, nel Trionfo della notte (stagione ’85/’86 al Teatro Comunale di Bologna e Premio Abbiati della critica come miglior composizione dell’anno). Nel 1985 inoltre viene eseguito, al Teatro Farnese di Parma, alla Scala di Milano e a Vienna, il suo Concerto per violino ed orchestra n. 2 Romanza alla notte. Dopo aver composto musica da camera per organici vari, nel 1994 scrive per Montepulciano l’opera Orfeo cantando... tolse su testo del Poliziano. Nel 1995 inaugura la Biennale di Venezia, dedicata al sacro (“L’ora di là dal tempo”), con il brano Quare tristis, messa laica realizzata in collaborazione con Giovanni Raboni. Si comincia a delineare una passione vocale che lo spinge ad indagare tematiche anche esistenziali. Nel 1998, per il Festival di Salisburgo (Progetto Pollini) scrive, di nuovo con Raboni, la cantata Pensieri canuti, per soli, coro, due ensemble a doppio coro e live electronics. Nel 2000, il Teatro alla Scala gli commissiona un’altra cantata per soli coro ed orchestra e live electronics, la Passione secondo Matteo, eseguita presso la Basilica di San Marco a Milano in occasione del giubileo. Il 20 ottobre 2002 viene messa in scena, a Venezia, in prima assoluta l’opera-video Medea, per soli, coro e orchestra, insignita nel 2003 del Premio Abbiati della critica musicale italiana nella categoria novità assoluta. Sempre nel 2003, Guarnieri inaugura a Torino il Festival di Musica Contemporanea RAI con La terra del tramonto per l’Orchestra Nazionale della Rai. Nel 2011, al Teatro Rossini di Pesaro e a Bologna viene eseguita l’opera da camera Nell’alba dell’umano-Processo a Costanza e nel 2014 viene rappresentata in forma scenica, in omaggio delle vittime del rogo della Thyssen-Krupp, la cantata Lo stridere luttuoso degli acciai. Per Ravenna Festival intraprende la scrittura di un trittico di opere teatrali su tematiche sacre: i primi due titoli, rappresentati per la regia di Cristina Mazzavillani Muti, sono Pietra di diaspro su testi tratti dall’Apocalisse di Giovanni e liriche di Paul Celan (in collaborazione con il Teatro dell’Opera di Roma, 2007) e Tenebrae (2010) su testi tratti da scritti di Massimo Cacciari, scelti ed elaborati da Cristina Mazzavillani Muti. Pietro Borgonovo Nato a Milano, è frequentemente impegnato in produzioni sinfoniche e operistiche per prestigiosi festival e teatri, quali Salzburger Festpiele alla guida del Klangforum Wien e dell’Arnold Schoenberg Chor, Maggio Musicale Fiorentino con l’Orchestra del Maggio Musicale, Biennale di Venezia, Ravenna Festival con il Teatro dell’Opera di Roma e, più recentemente, con l’Orchestra Cherubini e il Chicago Children’s Choir. Dirige all’Arena di Verona, al Teatro dell’Opera di Roma, alla Fenice, al Lirico di Cagliari, al Verdi di Trieste, al Carlo Felice di Genova e le principali orchestre in Italia, Europa e Stati Uniti. Su incarico della Fondazione Teatro La Fenice di Venezia, ha diretto la prima mondiale dell’opera Medea di Adriano Guarnieri, a cui è stato assegnato il Premio Abbiati 2003 segnalando la “raffinata esecuzione musicale e scenica che ha restituito l’audace ricercatezza della concezione compositiva e multimediale”. Si è formato come oboista, affermandosi come solista. Allievo di Heinz Holliger alla Musikhochschule di Freiburg, si esibisce anche in questa veste nelle principali sale e nei maggiori festival internazionali: Teatro alla Scala, Salzburger Festpiele, Maggio Musicale Fiorentino, Biennale di Venezia, Musikverein di Vienna, Musica Bayreuth, Festival d’Automne di Parigi, Festival di Montreux, Donaueschinger Musiktage, Carnegie Hall di New York, Holland Festival di Amsterdam, Montecarlo, Sala Grande del Conservatorio Čaikovskij di Mosca, Filarmonica di San Pietroburgo, Fondazione Gulbenkian di Lisbona, Madrid, Berlino, Londra, Praga, Bonn, Lussemburgo. Il profondo interesse per la musica contemporanea lo porta a collaborare con molti compositori del nostro tempo: George Benjamin, Luciano Berio, Azio Corghi, Franco Donatoni, Adriano Guarnieri, Salvatore Sciarrino, Fabio Vacchi, Iannis Xenakis, dei quali interpreta opere anche in prima esecuzione, spesso a lui dedicate. Sia come solista di oboe che come direttore d’orchestra vanta una vasta discografia per importanti etichette internazionali quali Denon, Erato, RCA, BMG Ricordi; ed ha ottenuto il Grand Prix du Disque e la segnalazione tra i cinque dischi di musica sinfonica più stimati dalla Critica italiana nel 1998. È Direttore Artistico della Giovine Orchestra Genovese e dal 2003 del Concorso Internazionale di Musica “Gian Battista Viotti” di Vercelli. 35 Cristina Mazzavillani Muti 36 Fondatrice, presidente e co-direttore artistico di Ravenna Festival, Maria Cristina Mazzavillani Muti è nata e vive a Ravenna. Dopo gli studi liceali si diploma nel 1965 in Pianoforte didattico e Canto artistico con il massimo dei voti al Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano. Nel 1966 la sua carriera di cantante inizia all’insegna del successo: vince infatti i concorsi indetti dalla Radio Televisione Italiana e dall’As.Li.Co., oltre a quello di canto liederistico di Bardolino. Ed è proprio al Lied che si dedica con passione, esibendosi nelle principali stagioni concertistiche italiane, accompagnata al pianoforte da Riccardo Muti e Antonino Votto. Nel 1967 debutta nell’opera lirica come protagonista dell’Osteria di Marechiaro di Paisiello al Teatro dell’Arte di Milano, diretta da Riccardo Muti. Abbandona poi la carriera per dedicarsi alla famiglia, ma alla fine degli anni Ottanta la sua Città la convince a mettere a frutto la propria esperienza culturale nell’organizzazione di un evento di respiro internazionale. Nel 1990 nasce così il Ravenna Festival, di cui da allora presiede il comitato artistico. Nell’ambito del Festival si fa promotrice del progetto “Le vie dell’amicizia” che dal 1997 vede la città e il suo Festival ripercorrere idealmente le antiche rotte di Bisanzio, crocevia di popoli e culture, gettando “ponti” di amicizia verso città simbolo della storia, sia antica che contemporanea, come Sarajevo, Beirut, Gerusalemme, Mosca, Erevan, Istanbul, New York “Ground Zero”, Il Cairo, Damasco, El Djem, Meknès, Roma, Mazara del Vallo, Trieste, Nairobi, Mirandola e, nel 2014, il Sacrario Militare di Redipuglia nel centenario della Grande Guerra. Nel 2000, a seguito del concerto di Gerusalemme, le viene conferito il Jerusalem Foundation Award:“per la sua grande dedizione alla ricerca di pace e comprensione fra le differenti nazioni e religioni attraverso l’arte e la cultura con il progetto Le vie dell’Amicizia”. Nel 2005 il Presidente della Repubblica Italiana ha conferito a Cristina Mazzavillani Muti l’onorificenza di Grand’Ufficiale al Merito della Repubblica Italiana per il suo impegno in ambito culturale. Particolarmente significativo ed originale è anche il percorso che l’ha vista farsi promotrice di veri e propri innovativi “laboratori” dedicati ai giovani nell’ambito dell’opera lirica, a partire da quello sull’Orfeo di Monteverdi (Teatro Alighieri 1995), dove cantanti, registi, scenografi e musicisti di talento, da lei stessa selezionati, hanno potuto interagire creativamente, affrontando il linguaggio dell’opera con un approccio fresco ed innovativo. Molti di questi giovani artisti hanno potuto fare il loro ingresso da protagonisti nei palcoscenici nazionali ed internazionali. Nel 2001, nell’ambito di Ravenna Festival, cura la messa in scena dell’opera I Capuleti e i Montecchi di Vincenzo Bellini, avvalendosi di un uso strutturale e intensivo di innovative tecnologie multimediali: dall’immagine virtuale alla spazializzazione sonora. Nel 2003 firma una nuova regia d’opera, Il Trovatore di Giuseppe Verdi, un allestimento ripreso ed aggiornato nel 2010 per una lunga tournée in Italia ed all’estero. La passione per l’immagine e quella per la propria terra trovano un punto d’incontro anche nel progetto cinematografico Che fai tu luna, di cui cura regia e sceneggiatura, presentato al Festival del Cinema di Roma nel 2006. Del 2007 è la regia dell’opera-video Pietra di diaspro composta da Adriano Guarnieri e prodotta del Teatro dell’Opera di Roma. Nel 2008 al Ravenna Festival è la volta di Traviata con una regia imperniata su un poetico gioco di illuminotecnica e su un’ardita spazializzazione digitale del suono. Nel 2010 firma ideazione, regia e visual concept di Tenebrae, cantata video-scenica per voci su nastro magnetico, ensemble di 14 esecutori e live electronics, composta da Adriano Guarnieri. Ad anticipare il bicentenario verdiano, nell’autunno 2012, completa la trilogia “popolare” firmando la regia di un nuovo allestimento di Rigoletto. Riunite in un progetto di sperimentazione di innovativi moduli produttivi, le tre opere, appunto Traviata, Trovatore e Rigoletto, vengono rappresentate consecutivamente, una sera dopo l’altra, sullo stesso palcoscenico del Teatro Alighieri per nove recite consecutive, un evento senza precedenti. Le tre opere vengono poi riprese in una tournée approdata fino a Manama, ad inaugurare il nuovo Teatro dell’Opera della capitale del Bahrein. Una trilogia che confluisce nella suggestione di un nuovo progetto artistico: Echi notturni di incanti verdiani, visione onirica del mondo del grande compositore realizzato, nel luglio 2013, di fronte alla sua casa natale a Roncole Verdi, Busseto. Nel 2013 firma la regia di una nuova trilogia, a conclusione della XXIV edizione di Ravenna Festival, con le opere “shakespeariane” di Verdi: Macbeth, Otello e Falstaff. La seconda trilogia conferma la validità di un progetto che oltre all’ottimizzazione delle risorse punta al connubio cultura-turismo, e si dimostra la chiave per richiamare l’attenzione di un pubblico sempre maggiore. Proprio un’opera della seconda trilogia, Falstaff, dopo il successo ottenuto in una lunga tournée, viene scelta da Riccardo Muti come banco di prova per i giovani musicisti della sua Accademia. Nel 2014 per il Festival Armonie d’Arte firma la regia, sulle musiche originali di Nicola Piovani, de L’ultima notte di Scolacium, dramma storico in parole, danza e immagini virtuali, in scena nel suggestivo scenario del Parco Archeologico di Scolacium a Roccelletta di Borgia in Calabria. 37 Tempo Reale © Roberto Deri Francesco Canavese esperto di informatica musicale, chitarrista e compositore di ambito jazz. Negli ultimi anni si è specializzato a Tempo Reale come esecutore di live electronics, partecipando a progetti esecutivi e installativi di varia natura. Insegna Informatica musicale al Conservatorio di Cuneo. 38 Fondato da Luciano Berio nel 1987, è oggi uno dei principali punti di riferimento per la ricerca, la produzione e la formazione nel campo delle nuove tecnologie musicali. Dalla sua costituzione, il Centro è impegnato nella realizzazione delle opere di Berio, che lo hanno portato a lavorare nei più prestigiosi contesti concertistici di tutto il mondo. Lo sviluppo di criteri di qualità e creatività derivati da queste esperienze si è riverberato nel lavoro condotto continuativamente tanto con compositori e artisti affermati quanto con giovani musicisti emergenti. I temi principali della ricerca riflettono un’idea di poliedricità che da sempre caratterizza le scelte e le iniziative di Tempo Reale: l’ideazione di eventi musicali di grande spessore, lo studio sull’elaborazione del suono dal vivo, le esperienze di interazione tra suono e spazio, la sinergia tra creatività, competenza scientifica, rigore esecutivo e didattico. Nel 2008 viene fondato Tempo Reale Festival, una serie di concerti, performance e spettacoli dedicati alla musica di ricerca. Dal 2013 Tempo Reale è Ente di Rilevanza per lo Spettacolo dal Vivo della Regione Toscana. Francesco Giomi compositore e regista del suono, ha coordinato l’équipe di Tempo Reale per i lavori di Luciano Berio e di altri compositori, registi e coreografi in importanti teatri e festival di tutto il mondo. Ha collaborato con orchestre, ensemble, coreografi e compagnie teatrali italiane e straniere. Insegna Informatica musicale elettronica al Conservatorio di Bologna. Damiano Meacci si occupa di informatica musicale, live electronics e post-produzione musicale. Collabora da molti anni con Tempo Reale come membro dello staff di produzione sia in veste esecutiva che per lo sviluppo di ambienti esecutivi complessi e di sistemi sonori interattivi. Insegna Informatica musicale al Conservatorio di Bologna. Vincent Longuemare Nato a Dieppe, dopo gli studi storici e teatrali a Rouen e a Parigi, nel 1983 viene ammesso alla sezione teatrale dell’Institut National Supérieur des Arts a Bruxelles. Si forma inoltre con registi quali Philippe Sireuil, Michel Dezoteux, Jean-Claude Berutti. Titolare di una borsa di studio del Ministero della Cultura francese nel 1987, collabora a più riprese come assistente alla regia con Robert Altman (The Rake’s Progress di Stravinskij a Lille e i film Beyond Therapy e All’opera) e prosegue la sua formazione tecnica all’Opéra de la Monnaie - De Munt di Bruxelles. Nel 1987 entra a far parte dell’Atelier Théâtral de Louvain La Neuve diretto da Armand Delcampe, dove lavora con Josef Svoboda. Collabora inoltre come disegnatore con giovani registi o autori quali Xavier Lukomsky e Leila Nabulsi, e sceglie risolutamente le vie di un teatro e di una danza contemporanei: collabora con il Théâtre Varia, L’Atelier St. Anne, la Compagnie José Besprosvany; diventa collaboratore regolare del Kunsten Festival des Arts di Bruxelles. Nel 1992 si unisce alla compagnia di Thierry Salmon, dove scopre un teatro che non è solo produzione ma anche sperimentazione, un modo di interpretare la vita. Con Salmon approda nel 1992 in Italia, e vi si trasferisce nel 1996. Continua a interessarsi di teatro e danza contemporanei assieme a compagnie e autori di respiro internazionale come La Sosta Palmizi, Teatro delle Albe, la compagnia italoceca Déjà-Donné, Kismet Opera, Marco Baliani, Giorgio Barberio Corsetti. Si interessa, su richiesta, anche di illuminazione architetturale, per esempio nel Convento barocco di Melpignano; e disegna scenografie partendo dalla luce. Nel campo dell’opera lirica, ha collaborato tra gli altri con Daniele Abbado, Mietta Corli e con Cristina Mazzavillani Muti, per la quale ha curato le luci per La traviata nel 2008, Tenebræ (musica di Adriano Guarnieri) e Il trovatore nel 2010. Per Ravenna Festival 2012, disegna le luci per Sancta Susanna, con la regia di Chiara Muti, per Nobilissima visione, con la coreografia di Micha van Hoecke, entrambe dirette da Riccardo Muti. Nell’ambito di Ravenna Festival firma le luci e per la trilogia “popolare”, Rigoletto, Trovatore e Traviata nel 2012 e la trilogia Verdi & Shakespeare, Macbeth, Otello e Falstaff, di nuovo con la regia di Cristina Mazzavillani Muti. Per la regia di Chiara Muti, nel 2013 firma le luci del Dido and Aeneas di Purcell in scena a Caracalla. Coltiva anche l’insegnamento in workshop per l’Ente Teatrale Italiano o ditte specializzate. Nel 2007 ha vinto il Premio Speciale Ubu per le luci con la seguente motivazione della giuria: “per aver segnato ormai da anni gli spettacoli delle Albe con uno spirito scenografico che integra il lavoro registico”. 39 Davide Broccoli 40 Nato a Cesena nel 1970, inizia a lavorare in campo teatrale nel 2004 come proiezionista all’opera La Gioconda, per la regia di Micha van Hoecke e, negli anni successivi, si occupa del coordinamento tecnico video per I Capuleti e i Montecchi e La pietra di diaspro, entrambi per la regia di Cristina Mazzavillani Muti. Determinante per il suo percorso di sperimentazione tecnologica è, dal 2007, la collaborazione con il visual director Paolo Miccichè. Con lui prende parte, come programmatore artistico delle proiezioni, a spettacoli ascrivibili ad un nuovo genere, l’architectural show: un Macbeth, in cui le proiezioni hanno per sfondo il Castello dei Ronchi di Crevalcore, Invito in Villa a Villa Torlonia a Roma, Romagnificat nel quale vengono “dipinte” con luci e proiezioni le architetture del Foro Traiano a Roma. Poi, tra gli altri, Natività, a Faenza, Roma e New York, e La luce della musica, sulla facciata del Teatro alla Scala. Nel 2009 collabora, per il Teatro Lirico di Cagliari, ad una innovativa edizione di Cavalleria rusticana presentata in diverse piazze della Sardegna che diventano veri e propri set, e a Farinelli, estasi in canto, in cui le proiezioni hanno per sfondo l’Ara Pacis a Roma. Con l’oratorio visivo Il giudizio universale, in cui Paolo Miccichè sposa il Requiem verdiano agli affreschi michelangioleschi della Cappella Sistina, Broccoli firma la sua prima produzione come Assistente visual director (al Palais des festivals di Cannes, poi a Mosca). La stessa veste in cui, poi, per Ravenna Manifestazioni lavora al riallestimento del Trovatore, con la regia di Cristina Mazzavillani Muti. Più recentemente ha collaborato, inoltre, con il Teatro Rendano di Cosenza all’opera virtuale Telesio di Franco Battiato; con il Teatro del Maggio Musicale Fiorentino a L’affare Makropulos di Leoš Janáček per la regia di William Friedkin e le scene di Michael Curry; con il Theater an der Wien all’allestimento de Les contes d’Hoffmann, sempre con Friedkin e Curry; col Wiener Festwochen al riallestimento, per conto del Teatro alla Scala, dell’opera Quartett di Luca Francesconi per la regia di Àlex Ollé (La Fura dels Baus). Per Ravenna Festival 2013 ha firmato il visual design di Macbeth e Falstaff nell'ambito della trilogia “Verdi & Shakespeare”. Ezio Antonelli Conseguita la laurea in Storia dell’arte al DAMS di Bologna, si dedica alla professione di grafico e illustratore, producendo disegni e immagini per film animati e programmi televisivi. Ma da subito cerca di applicare la cultura dell’immagine alla scena, integrandola alla sua fisicità, alla materia ed allo spazio. In questo senso è fondamentale per lui l’incontro con Josef Svoboda, durante un breve ma intenso laboratorio, nel 1992. Dagli anni Novanta prevale così la passione per l’attività teatrale, come scenografo e visual designer. Del resto, già dal 1983 opera stabilmente con la Compagnia Drammatico Vegetale, attiva nel teatro di figura e per ragazzi, e con essa, dal 1991, in Ravenna Teatro. Con la Drammatico Vegetale ha realizzato scenografie per numerosi spettacoli, di molti dei quali è autore o coautore. Con essa, e in collaborazione con il compositore Luciano Titi, ha progettato percorsi interattivi dedicati al teatro, alle arti visive, al suono, alla didattica ed al mondo dei ragazzi come Wunderkammer, con edizioni a Parigi, Zamora, Napoli, Ravenna. Come scenografo e/o costumista, oppure come visual designer, ha partecipato a produzioni di opere liriche, musicali, di prosa e balletto, curando tra l’altro creazioni per la Fondazione Arena di Verona, per il Teatro dell’Opera di Roma e per il Teatro alla Scala. Particolarmente ricca la collaborazione con Ravenna Festival per il quale firma Don Chisciotte (1994), Orfeo e Pulcinella (1995), Renardo la volpe (1997), La foresta incantata (1999), I Capuleti e i Montecchi (2001), Prossimi al cielo (2004), La persa (2008). Inoltre, per il Teatro Alighieri di Ravenna collabora a Ercole amante di Cavalli (1996), La locandiera di Auletta (1997), Il piccolo spazzacamino di Britten (2003); per la Sagra Malatestiana di Rimini a Carmina Burana (2002), Il sogno multimediale dell’abate Liszt (2003). Nel 2006, realizza video proiezioni per la stilista Marella Ferrera e per il musical Attenti al Lupo. E basta!; nel 2008 collabora con Paolo Miccichè per il musical La Divina Commedia. L’Opera, e nel 2009 con il Teatro dell’Asino realizza Abaoaqu. La Fenice. Partitura live per Parola, Attore, Suono, Immagine, Luce. Nello stesso anno inizia a collaborare con il gruppo di professionisti dell’immagine virtuale Unità C1, del quale è direttore artistico, sviluppando una intensa attività nel campo delle videoproiezioni, con scenografie proiettate, interattive, non solo applicate al teatro. Parallelamente prosegue l’attività più strettamente teatrale: scene, proiezioni e interazioni per Hamlet (Teatro L’Orangerie, Roma 2009), scenografie virtuali per Tosca (regia di Ivan Stefanutti, Rimini 2010), per Norma, libere variazioni di Luis Bacalov (Roma 2011). Lavora inoltre ai contenuti virtuali e ai video per Pierluigi Pieralli (Adelaide di Borgogna, Rossini Opera Festival 2011); per Silvia Colasanti (La Metamorfosi, Maggio Musicale Fiorentino 2012); per Aleksander Nevskij di Prokof’ev (Teatro dell’Opera di Roma, Terme di Caracalla 2012). Tra le collaborazioni più recenti, Anima, il respiro del mediterraneo, coreografia di Elisa Barucchieri, coprodotta da Rexestensa e Unità C1, ed Orfeo ed Euridice, prodotta da Opéra Orchestre National Montpellier, con la regia di Chiara Muti. Per Ravenna Festival 2013 ha curato il set design della trilogia “Verdi & Shakespeare”, Macbeth, Otello e Falstaff, per la regia di Cristina Mazzavillani Muti. 41 © Filippo Milani Gabriele Lavia 42 Nato a Milano, si diploma nel 1963 all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica di Roma. Tra i suoi primi spettacoli si ricorda II drago di Schwarz prodotto nella stagione 1966/67 dal Teatro Stabile di Genova. È interprete di numerose produzioni cinematografiche tra le quali: Girolimoni di Damiano Damiani, Profondo rosso, Inferno e Non ho sonno di Dario Argento, Voci di Franco Giraldi, Il quaderno della spesa di Tonino Cervi e nel 2006 SalvatoreQuesta è la vita di Gian Paolo Cugno. Dal 1980 al 1987 è codirettore del Teatro Eliseo di Roma e dal 1997 al 2000 Direttore del Teatro Stabile di Torino. Ha diretto la Compagnia Lavia-Anagni fino al 2010. Dal 2010 al 2013 è Direttore del Teatro di Roma e nel 2014 viene nominato consulente artistico della Fondazione Teatro della Toscana. Tra le sue regie teatrali si segnalano: Sei personaggi di Pirandello (20132014), I pilastri della società di Ibsen (2014), Tutto per bene e La trappola di Pirandello (2012), I masnadieri di Schiller (2011), Il malato immaginario di Molière (2010), Macbeth di Shakespeare (2009), Misura per misura e Molto rumore per nulla di Shakespeare (2007), Memorie dal sottosuolo di Dostoevskij (2006), Chi ha paura di Virginia Woolf? di Albee (2005), L’avaro di Molière (2003), La storia immortale, di Lavia da Blixen (2002), Edipo re di Sofocle (terzo allestimento), Misantropo di Molière e Dopo la prova di Bergman (2000). In ambito operistico ha curato la regia di: I masnadieri a Venezia (2012), Giovanna D’Arco di Verdi (Regio di Parma, 2008), Luisa Miller di Verdi (San Carlo di Napoli, 2001), Cavalleria rusticana di Mascagni (Arena di Verona) e I pagliacci di Leoncavallo (1993), Maria Stuarda di Donizetti (1988), I masnadieri (1986) e I Lombardi alla prima Crociata di Verdi (Teatro alla Scala, 1984), I pellegrini alla Mecca di Gluck (1983). Ha inoltre curato la regia di Salomè, diretta dal Maestro Luisotti, in apertura della stagione lirica del Teatro Comunale di Bologna, la regia di Le nozze di Figaro, Don Giovanni e Così fan tutte, presso la Suntory Hall di Tokyo, progetto mozartiano triennale e, recentemente, di nuovo Salomè al Teatro Verdi di Trieste; hanno fatto seguito Attila alla Scala, Don Giovanni e Attila a San Francisco, I masnadieri al San Carlo di Napoli. Nell’estate 2012 ha preso parte al 24 HoursPlays con Maurizio Scaparro al Tuscan Sun Festival di Firenze, e ha diretto Artaserse al Festival della Valle d’Itria di Martina Franca. Tra i premi ricevuti, nel 2004, il premio “Olimpici del Teatro” per la migliore regia e per il migliore spettacolo di prosa con L’Avaro; nel 2014 l’Arlecchino d’oro. Sonia Visentin Ha debuttato ruoli principali come Lucia in Lucia di Lammermoor di Donizetti, la Regina della notte in Die Zauberflöte di Mozart, Corinna nel Viaggio a Reims di Rossini, Dinorah nell’omonima opera di Meyerbeer, Olympia in Les Contes d’Hoffmann di Offenbach, M.me Herz in Der Schauspieldirektor di Mozart, Lucieta in I quatro rusteghi di Wolf-Ferrari. Ha lavorato con direttori quali Alberto Zedda, Daniel Oren, Piero Bellugi, Marcello Panni, Jeffrey Tate, Patrick Fournillier, Alberto Veronesi, Donato Renzetti, Roberto Rizzi-Brignoli, Vittorio Parisi, Louis Masson, Alan Curtis, Pietro Borgonovo, Stefan Anton Reck, Umberto BenedettiMichelangeli, Evelino Pidò e con registi come Lindsay Kemp, Gigi Proietti, Arnoldo Foà, Luca De Fusco, Ugo Gregoretti, Gianfranco De Bosio, Giorgio Marini, Filippo Crivelli, Giorgio Barberio-Corsetti, Jean Louis Pichon, Mario Landi. È ospite di stagioni d’opera e concertistiche in teatri quali: Regio di Parma, Teatro Rossini di Pesaro, Regio di Torino, Fenice di Venezia, Comunale Bologna, San Carlo Napoli, Teatro Verdi di Trieste, Politeama Palermo, Teatro Verdi di Firenze, Ponchielli di Cremona, Donizetti di Bergamo, Grande di Brescia, Festival Teatro Napoli, S.Etienne di Vichy, Châtelet di Parigi, Teatro di Bastia (Corsica), Liceu di Barcelona, Teatro di Oviedo, Teatro di Avignone, Teatro di Lione, Festival Barocco “le Feste di Apollo”, Festival di musica contemporanea a Reykjavik, Tourcoing, Ludwigsburg, Istanbul, Budapest. Nella musica contemporanea è stata protagonista di numerose prime: Giudizio universale, Big Bang Circus, Canto della Pelle, Killer di parole di Claudio Ambrosini, Re nudo di Luca Lombardi, Il carro e i canti di Alessandro Solbiati, Divorzio all’italiana di Giorgio Battistelli, Medea, Pietra di diaspro, Tenebrae, Processo a Costanza, Lo stridere luttuoso degli acciai di Adriano Guarnieri. 43 Claudia Pavone 44 Si avvicina al mondo della musica dapprima come voce bianca nel coro Pueri Cantores di Vicenza, poi con gli studi nei conservatori “Arrigo Pedrollo” di Vicenza e “Agostino Steffani” di Castelfranco Veneto, dove nel 2012 si diploma con il massimo dei voti e la lode sotto la guida del soprano Elisabetta Tandura. Ha ottenuto riconoscimenti quali “Miglior Voce Leoncavallo” al Concorso lirico internazionale Ruggero Leoncavallo di Montalto Uffugo (2012); terzo premio al I Concorso internazionale Scaligero Maria Callas Verona (2013); terzo premio al Concorso internazionale di canto Giacinto Prandelli di Brescia (2013); terzo premio, premio speciale “Renata Tebaldi” e Borsa di Studio “Giusy Devinu” al Concorso lirico internazionale Città di Bologna (2013); primo premio al Concorso internazionale di canto lirico “Ferruccio Tagliavini” di Graz e Premio della Critica del «Corriere della Sera» (2013); primo premio al Concorso lirico internazionale “Marcella Pobbe” di Vicenza (2014); secondo premio al Concorso lirico internazionale “Anita Cerquetti” di Montecosaro (2015). Nel 2013 debutta come Mimì nella Bohème di Puccini al Teatro Re Grillo di Licata (AG) e l’anno successivo è al Sociale di Rovigo nel ruolo di Gasparina nel Campiello di Ermanno Wolf-Ferrari, successivamente eseguito al Teatro Malibran. Nella stagione 2014/15 canta al Landestheaer Niederbayern per il Silverstergala e nel Faschingskonzert e interpreta Laura in Der Bettelstudent e Micaela in Carmen. Frequenta in parallelo il repertorio sacro esibendosi come solista in prestigiose formazioni. Ha interpretato il Requiem di Mozart, la Petite Messe Solennelle di Rossini e lo Stabat Mater di Pergolesi, eseguito nell’aprile 2014 al Teatro Municipale di Piacenza e nel marzo 2015 alla Basilica di San Riro (San Remo) con l’orchestra Sinfonica di San Remo, nonché lo Stabat Mater di Boccherini per soprano solo al Teatro Salvini di Pitigliano e alla Cattedrale San Lorenzo di Grosseto con l’Orchestra Sinfonica “Città di Grosseto”. © Philippe Delval Carlo Vistoli Nato nel 1987 a Lugo (RA), studia pianoforte e chitarra classica prima di dedicarsi al canto. Dal 2007 prende lezioni dal tenore William Matteuzzi, parallelamente compie studi musicologici presso l’Università di Bologna. Frequenta inoltre, dal 2012 al 2015, il corso di prassi barocca tenuto dal contralto Sonia Prina al Conservatorio “Girolamo Frescobaldi” di Ferrara. Partecipa a masterclass con Monica Bacelli, Romina Basso, Marijana Mijanovič e Sara Mingardo. Finalista al Concorso di Canto Barocco “Pietro Antonio Cesti” 2012 di Innsbruck e al Concorso “Musica Sacra” 2013 di Roma, riceve il primo premio al Concorso “Cleto Tomba” di Castel San Pietro Terme (Bologna); il premio del pubblico e il premio “Farinelli” al Concorso Città di Bologna 2012; il premio “Primo Palcoscenico” del Conservatorio “Bruno Maderna” di Cesena; il secondo premio al Concorso di Canto Barocco “Francesco Provenzale” 2013 di Napoli. Nel settembre 2013, infine, risulta vincitore del primo premio al v Concorso “Renata Tebaldi” (Repertorio antico e barocco) di San Marino. Dal 2010 si esibisce in recital solistici, spesso in duo con i clavicembalisti Marina Scaioli e Marco Farolfi. Collabora con vari ensemble specializzati nel repertorio dei secoli xvii e xviii. Debutta in scena nel 2012, come Sorceress in Dido & Aeneas di Henry Purcell a Cesena e Ravenna. Nel novembre dello stesso anno interpreta il ruolo di Licida nell’Olimpiade di Josef Mysliveček al Comunale di Bologna diretto da Oliver von Dohnányi (una registrazione live è stata pubblicata nel da Bongiovanni), nell’ambito di un progetto formativo della Scuola dell’Opera del Teatro Comunale. Nel 2014 è Ottone nell’Incoronazione di Poppea di Claudio Monteverdi presso la New Belgrade Opera, con la direzione di Predrag Gosta. Nell’autunno 2014 prende parte a una nuova produzione della dramatik opera King Arthur di John Dryden e Henry Purcell, allestita dal gruppo teatrale Motus e diretta da Luca Giardini, con rappresentazioni a Rimini (Sagra Musicale Malatestiana), Pesaro e Roma (Festival Romaeuropa). Canta, nel ruolo di Peritoo, Elena di Francesco Cavalli, produzione del Festival di Aix-en-Provence, ripresa a Nantes e Rennes, con l’ensemble Cappella Mediterranea diretto da Leonardo García Alarcón e Monica Pustilnik, e la regìa di Jean-Yves Ruf. Nello stesso periodo, a Poznań (Polonia) è Tamerlano nell’omonima opera di Georg Friedrich Händel, diretto da Alexis Kossenko, in forma di concerto. Dello stesso autore, in Giulio Cesare in Egitto canta, nel dicembre 2014, la parte di Tolomeo, con la compagnia lirica Opera Fuoco diretta da David Stern, alla Symphony Hall di Shanghai, nell’ambito del 1st Baroque Shanghai Festival. Selezionato per essere uno dei sei solisti del progetto de Le Jardin des Voix de Les Arts Florissants (vii edizione, 2015), condotto da William Christie e Paul Agnew, intraprende un tour internazionale con lo spettacolo Un Jardin à l’italienne, sotto la direzione di William Christie e la regia di Sophie Daneman. 45 mdi ensemble 46 Nasce nel 2002 su iniziativa di sei giovani musicisti uniti dalla passione per la musica contemporanea, grazie all’appoggio dell’associazione Musica d’Insieme di Milano. Nel corso della sua più che decennale attività, l’ensemble lavora al fianco di celebri compositori quali Helmut Lachenmann, Sofia Gubaidulina, Dai Fujikura, Gérard Pesson, Pierluigi Billone, Fabio Vacchi e Mauro Lanza, proponendo contemporaneamente prime esecuzioni di giovani compositori emergenti del panorama internazionale. Diverse le collaborazioni di prestigio con direttori come Beat Furrer, Pierre André Valade, Yoichi Sugiyama e Robert HP Platz. mdi è da tre anni artist in residence presso il Festival Milano Musica, con il sostegno di Fondazione Cariplo; è inoltre ospite delle più importanti istituzioni musicali italiane, tra cui Festival MiTo – Settembre Musica, Biennale Musica di Venezia, Bologna Festival, Lingotto Musica di Torino, Festival Traiettorie di Parma, Amici della musica di Palermo. Presso il Teatro dal Verme di Milano è ensemble in residence per il festival Koiné 2010 e realizza il Pierrot Lunaire di Arnold Schoenberg in una versione di scena per la regia e i costumi di Sylvano Bussotti, in collaborazione con l’Accademia del Teatro alla Scala. Invitato regolarmente all’estero, l’ensemble si esibisce presso Tonhalle di Düsseldorf, Konzerthaus di Dortmund, UDK di Berlino, Istituti di cultura giapponese e italiano di Colonia, SWR di Stoccarda, ORF di Innsbruck, SMC di Losanna, Teatro Forteza di Maiorca. Negli Stati Uniti è al LACMA di Los Angeles nel 2006 ed ensemble in residence al Chelsea Music festival del 2013; nel 2008 il debutto a Tokyo. La prima produzione discografica di mdi ensemble, Antiterra di Stefano Gervasoni (Aeon), è stata premiata dall’Académie Charles Cros con il “Coup de coeur - musique contemporaine” 2009. Sono seguiti cd monografici di Sylvano Bussotti, con estratti dal tour giapponese (Stradivarius), Almost Pure di Marco Momi (Stradivarius), Dulle griet di Giovanni Verrando ed Etheric Bluerprint con musiche di Misato Mochizuki (Neos). Dal 2008 gli archi di mdi fanno parte di RepertorioZero, progetto interamente dedicato alla performance su strumenti elettrici o amplificati, premiato nel 2011 con il Leone d’argento alla Biennale di Venezia, e artist in residence a Milano Musica per il triennio 2012-2014. flauti Sonia Formenti, Elena Gabbrielli oboe Francesca Alleva corno Stefano Fracchia tromboni Alessio Brontesi, Raffaele Marsicano violini Lorenzo Gentili-Tedeschi, Corinna Canzian, Georgia Privitera, Elia Leon Mariani viole Paolo Fumagalli, Francesca Piccioni violoncelli Giorgio Casati, Aline Privitera contrabbasso Nicolaus Feinig pianoforte Luca Ieracitano percussioni Simone Beneventi quintetto vocale Bianca Tognocchi Nata a Como, nel 2010 si diploma al Conservatorio di Milano sotto la guida di Adelina Scarabelli. Si perfeziona con Roberto Coviello, Alfonso Antoniozzi, Veriano Luchetti, Luciana Serra, Mietta Sighele. È finalista e vincitrice di numerosi concorsi internazionali. A partire dal 2010 è impegnata in diverse produzioni As.Li.Co, presso i teatri del Circuito Lirico Lombardo: Le nozze di Figaro di Mozart (Barbarina), Traviata (Annina), Die Zauberflöte (Papagena), La finta semplice (Ninetta). Dal 2012 collabora con il Tiroler Festspiele di Erl, diretto da Gustav Kuhn: è Susanna nelle Nozze di Figaro e Zerlina nel Don Giovanni di Mozart, è solista nella Messa in si minore e nel Weihnachts Oratorium di Bach. Nel 2014 è Waldvögel in Siegfried di Wagner e solista nei Carmina Burana di Orff. Interpreta inoltre Serpina nella Serva Padrona di Pergolesi per A.M.G Classica a Genova, Livietta nell’opera Livietta e Tracollo di Pergolesi presso la palazzina Liberty di Milano, Fanny nella Cambiale di matrimonio di Rossini per Ticino Musica a Lugano, e Giannetta nell’Elisir d’amore di Donizetti presso il Teatro Sociale di Trento. Nel 2014 debutta nel ruolo del titolo nell’opera Lucia di Lammermoor con la direzione di Roberto Tolomelli e la regia di Francesco Bellotto inaugurando la stagione del Festival Donizetti presso l’omonimo teatro di Bergamo. Nell’inverno 2014 è Olympia in Les Contes d’Hoffmann di Offenbach presso i teatri del Circuito Lombardo e di Jesi per la direzione di Christian Capocaccia e la regia di Frédéric Roels, e in seguito Adina nell’Elisir d’Amore di Donizetti, sempre con As.Li.Co, con la direzione di Valter Borin e la regia di Lucas Simon. Nel maggio 2015 è Sandmaennchen e Taumaennchen nell’opera Hänsel und Gretel al Teatro Regio di Torino per la direzione di G. Laguzzi e la regia di V. Borrelli. Antonella Carpenito Nata nel 1985, si diploma al Conservatorio di Avellino e nel 2011 consegue il Diploma in Tecnica e interpretazione vocale al Conservatorio delle Isole Baleari a Palma de Mallorca. Si perfeziona sotto la guida di Carmen Sensaud, Dimitra Theodossiou, Birgit Nickl, Anna Vandi, Cesare Scarton, Renata Scotto (Accademia Santa Cecilia – Opera Studio, Roma), Teresa Berganza (masterclass a Pamplona e presso la Fundacion Eutherpe a Leon in Spagna), Amelia Felle, Alessandro Svab (Accademia Lirica Santa Croce Trieste), Marilena Laurenza, Mariella Devia. È vincitrice di numerosi riconoscimenti in concorsi di canto lirico, ma anche nel repertorio barocco e nei classici napoletani. Si è esibita al Teatro Verdi di Salerno, Palazzo Reale di Caserta (Concerto per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia), a Roma al CampidoglioMusei Capitolini e alla Camera dei Deputati-Montecitorio, Comunale di Firenze, Gran Teatro Giacomo Puccini di Torre del Lago, Teatro Alighieri di Ravenna, Teatro Nazionale del Bahrain a Manama, Comunale di Ferrara e Municipale di Piacenza, Teatro della Grancia (Siena), Auditorium di Columbia-Missouri (USA), Espace Pierre Cardin a Parigi, Auditorium dell’Università di Cheng-du in Cina, Fortezza da Basso (Firenze). Prende parte alla trilogia popolare (Rigoletto, Il trovatore, La traviata) di Ravenna Festival 2012 e alla trilogia “Verdi & Shakespeare” nel 2013, per la regia di Cristina Mazzavillani Muti, sotto la bacchetta di Nicola Paszkowski. Attualmente è il mezzosoprano del progetto Belcanto organizzato da ARSLAB e Fondazione Luciano Pavarotti di Modena. Nel 2014 si è esibita a Pechino presso la Città Proibita in occasione del centenario della Maserati, in un concerto al Teatro della Pergola per festeggiare i 90 anni di Rolando Panerai e in un gala per premiare, con il Pavarotti d’oro, la coppia Daniela Dessì e Fabio Armiliato. Annalisa Ferrarini Nata a Reggio Emilia, si è laureata in Psicologia all’Università di Padova e successivamente in Canto lirico al Conservatorio “Arrigo Boito” di Parma, sotto la guida di Lucetta Bizzi. Ha seguito masterclass tenute da Renato Bruson, Marina Comparato, Lella Cuberli, Fiorenza Cedolins, Bernadette Manca di 47 Nissa, Giorgio Merighi, Marco Berti, Roberto Scandiuzzi e ha ottenuto vari riconoscimenti in concorsi internazionali. Nel 2013 e 2014 ha preso parte alla stagione lirica e concertistica del Teatro Lirico Sperimentale Belli di Spoleto, si è esibita in concerto a Montecitorio, ha collaborato con l’Orchestra Sinfonica di Sanremo ed ha interpretato il dittico Alfred Alfred e Gianni Schicchi e diretta da Marco Angius, con la regia di Paolo Rossi. Nel 2015, come vincitrice del Concorso Voce All’Opera, ha ricoperto il ruolo di Adina in Elisir d’amore al Teatro Filodrammatici di Milano. In qualità di solista ha esplorato sia ruoli d’opera della tradizione che contemporanei, sia il repertorio vocale da camera, cimentandosi in lieder, songs, chansons e canciones. Si è esibita in teatri tra i quali: Regio di Parma, Politeama Greco di Lecce, Comunale di Ferrara e Sociale di Trento, interpretando opere di Mozart (Così fan tutte, Don Giovanni, Le nozze di Figaro, Il flauto magico), Rossini (La cambiale di matrimonio e Il signor Bruschino), Donizetti (Elisir d’amore), Verdi (Falstaff, Rigoletto), Puccini (Gianni Schicchi), Franco Donatoni (Alfred Alfred), Giuseppe Maria Orlandini (Grilletta e Porsugnacco), Marco Anzoletti (La fine di Mozart), Nino Rota (Il Principe porcaro). 48 Valentina Vanini Si diploma con il massimo dei voti al Conservatorio Musicale di Parma sotto la guida di Adriana Cicogna. Si specializza ottenendo la borsa di studio per l’Accademia di Musica Vocale da Camera di Cortona, studia con Guido Salvetti e Stelia Doz. Partecipa a numerose masterclass internazionali condotte da Dalton Baldwin, Stecey Bartsch, Tomas Busch, Folke Graesbeck, Roberto Cavina, Roberto Balconi. Vincitrice di premi internazionali, tra i quali il primo premio assoluto al Concorso Etruria sezione Musica Vocale da Camera. Lavora in duo stabile con il pianista Marco Santià e ha collaborato con numerosi artisti: Giorgio Albiani, Francesco Santucci, Omar Cyrulnik, Mario Totaro, Anna Pasetti, Claudio Ortensi, Solisti del San Carlo di Napoli, Orchestra Nuova Cameristica di Milano. Ha lavorato per il Coro del Teatro Regio di Parma, e si è esibita al Teatro Filarmonico di Verona, Teatro Alighieri di Ravenna, Festival Internazionale di Arezzo, Teatro del Conservatorio Nazionale di Parigi, Teatro Regio di Parma, Auditorium del Gonfalone di Roma, Teatro Valli di Reggio Emilia. Ha da poco inciso un album di musica vocale contemporanea, Lieder esoterici (di Mario Totaro) per mezzosoprano e pianoforte. Jacopo Facchini Dopo il diploma in Pianoforte e la laurea in Direzione e composizione per coro conseguiti presso il Conservatorio di Bologna, si diploma in canto al Conservatorio di Firenze, specializzandosi in canto barocco con Romina Basso al Conservatorio di Cesena. Si perfeziona con Sara Mingardo, Gloria Banditelli, Monica Bacelli, Michael Chance e Gerard Lesne. Collabora regolarmente con gruppi vocali e strumentali specializzati nel repertorio antico. Recentemente si è esibito come Ottone nell’Incoronazione di Poppea di Monteverdi diretta da René Jacobs presso la Fondation Royaumont. Ha preso parte, con l’ensemble Il Canto di Orfeo, all’opera Die Soldaten di Bernd Alois Zimmermann sotto la direzione di Ingo Metzmacher e con la regia di Alvis Hermanis presso il Teatro alla Scala di Milano. Si è esibito presso diversi teatri come Verdi di Firenze, Alighieri di Ravenna, Olimpico di Vicenza, Lauro Rossi di Macerata, Bibiena di Mantova, Bonci di Cesena, Auditorium di Milano e prendendo parte ad importanti festival come Musica e Poesia a San Maurizio, Settembre Musica a Firenze, Ravenna Festival, Musica Insieme a Bologna, Cantar Lontano Festival, The Montisi Festival, Stresa Festival, Mito Settembre Musica, Sferisterio Opera Festival, Festival de La Chaise-Dieu, Festival de Royaumont, Festival de Mùsicas Contemplativas Santiago de Compostela, Laus Polyphoniae – Festival van Vlaanderen Antwerp, Barocktage Stift Melk, Festival Bach de Lausanne. Ha inciso per Arts, Bongiovanni, Christophorus, Dynamic, E Lucevan Le Stelle, Naxos, Stradivarius, Tactus. Dante nostro contemporaneo da Firenze a Ravenna Nell’anno in cui si celebra la ricorrenza della nascita di Dante, è per la Fondazione Teatro della Toscana una precisa missione quella di aprire L’amor che move il sole e le altre stelle, la nuova video opera di Adriano Guarnieri dedicata al Paradiso, partecipando così, proprio nell’occasione di apertura, a quel collegamento ideale che si è creato, grazie al motore propositivo di Ravenna, fra le città dantesche per eccellenza. La voce di Gabriele Lavia sarà il correlativo oggettivo di quanto di vedrà e si ascolterà subito dopo, una sorta di distillato della parola dantesca, una testimonianza umana, come propria dell’opera del Sommo Poeta, prima che teatrale o attoriale. L’azione di far vivere Dante nella contemporaneità è assolutamente parallela all’investimento che il Teatro della Toscana sta facendo sulla lingua italiana in palcoscenico, nel tentativo continuo di renderla presente, viva e vitale, col profondo e costante intendimento di restituire al nostro patrimonio letterario la piena presenza di parola vivente che è stato il primo segno che proprio Gabriele Lavia ha voluto dare al percorso artistico che ha avviato a Firenze un anno fa. E insieme a questo elemento è da notare come primaria la caratteristica di multidisciplinarietà dell’operazione, in linea con l’indirizzo di rinnovamento che sta alla base della recente riforma del settore, che si realizza grazie alla collaborazione di un ente prevalentemente musicale come il Ravenna Festival e di uno teatrale come il Teatro della Toscana, operazione il cui valore è ulteriormente arricchito dalla presenza di un’importante istituzione fiorentina con la quale la Pergola, che è parte del Teatro della Toscana, da sempre collabora, ovvero Tempo Reale. L’amor che move il sole e le altre stelle in sintonia totale con la “visionarietà” del capolavoro dantesco, di cui sottolinea l’assoluta contemporaneità, in grado di attraversare i secoli per giungere fino a noi e di proiettarsi nel futuro, è probabilmente oggi il migliore omaggio che Firenze, attraverso il suo Teatro di riferimento, potesse fare a Dante ed alla sua inesausta energia creativa. Siamo grati a Ravenna Festival per aver saputo costruire questa bellissima opportunità che ci auguriamo sia solo l’inizio di un percorso dantesco e non solo. Marco Giorgetti Direttore Generale del Teatro della Toscana 49 RAVENNA FESTIVAL RINGRAZIA Associazione Amici di Ravenna Festival Apt Servizi Emilia Romagna ARCUS Arte Cultura Spettacolo Autorità Portuale di Ravenna BPER Banca Cassa dei Risparmi di Forlì e della Romagna Cassa di Risparmio di Ravenna Classica HD Cmc Ravenna Cna Ravenna Comune di Cervia Comune di Comacchio Comune di Forlì Comune di Otranto Comune di Ravenna Comune di Russi Confartigianato Ravenna Confindustria Ravenna Coop Adriatica Cooperativa Bagnini Cervia Credito Cooperativo Ravennate e Imolese Eni Federazione Cooperative Provincia di Ravenna Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna Gruppo Hera Gruppo Mediaset Publitalia ’80 Gruppo Nettuno Hormoz Vasfi Itway Koichi Suzuki Legacoop Romagna Micoperi Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo Poderi dal Nespoli PubbliSOLE Publimedia Italia Quotidiano Nazionale Rai Uno Rai Radio Tre Reclam Regione Emilia Romagna Sapir Setteserequi Sigma 4 SVA Plus Concessionaria Volkswagen Unicredit Unipol Banca UnipolSai Assicurazioni Venini Antonio e Gian Luca Bandini, Ravenna Francesca e Silvana Bedei, Ravenna Maurizio e Irene Berti, Bagnacavallo Mario e Giorgia Boccaccini, Ravenna Paolo e Maria Livia Brusi, Ravenna Margherita Cassis Faraone, Udine Glauco e Egle Cavassini, Ravenna Roberto e Augusta Cimatti, Ravenna Ludovica D’Albertis Spalletti, Ravenna Marisa Dalla Valle, Milano Letizia De Rubertis e Giuseppe Scarano, Ravenna Ada Elmi e Marta Bulgarelli, Bologna Rosa Errani e Manuela Mazzavillani, Ravenna Dario e Roberta Fabbri, Ravenna Gioia Falck Marchi, Firenze Gian Giacomo e Liliana Faverio, Milano Paolo e Franca Fignagnani, Bologna Domenico Francesconi e figli, Ravenna Giovanni Frezzotti, Jesi Idina Gardini, Ravenna Stefano e Silvana Golinelli, Bologna Dieter e Ingrid Häussermann, Bietigheim‑Bissingen Lina e Adriano Maestri, Ravenna Silvia Malagola e Paola Montanari, Milano Franca Manetti, Ravenna Gabriella Mariani Ottobelli, Milano Pietro e Gabriella Marini, Ravenna Manfred Mautner von Markhof, Vienna Maura e Alessandra Naponiello, Milano Peppino e Giovanna Naponiello, Milano Giorgio e Riccarda Palazzi Rossi, Ravenna Gianna Pasini, Ravenna Gian Paolo e Graziella Pasini, Ravenna Desideria Antonietta Pasolini Dall’Onda, Ravenna Giuseppe e Paola Poggiali, Ravenna Carlo e Silvana Poverini, Ravenna Paolo e Aldo Rametta, Ravenna Stelio e Grazia Ronchi, Ravenna Stefano e Luisa Rosetti, Milano Giovanni e Graziella Salami, Lavezzola Guido e Francesca Sansoni, Ravenna Francesco e Sonia Saviotti, Milano Roberto e Filippo Scaioli, Ravenna Eraldo e Clelia Scarano, Ravenna Leonardo Spadoni, Ravenna Gabriele e Luisella Spizuoco, Ravenna Paolino e Nadia Spizuoco, Ravenna Thomas e Inge Tretter, Monaco di Baviera Ferdinando e Delia Turicchia, Ravenna Maria Luisa Vaccari, Ferrara Roberto e Piera Valducci, Savignano sul Rubicone Gerardo Veronesi, Bologna Luca e Riccardo Vitiello, Ravenna Presidente Gian Giacomo Faverio Vice Presidenti Leonardo Spadoni Maria Luisa Vaccari Paolo Fignagnani Giuliano Gamberini Maria Cristina Mazzavillani Muti Giuseppe Poggiali Eraldo Scarano Gerardo Veronesi Segretario Pino Ronchi Aziende sostenitrici Alma Petroli, Ravenna CMC, Ravenna Consorzio Cooperative Costruzioni, Bologna Credito Cooperativo Ravennate e Imolese FBS, Milano FINAGRO, Milano Kremslehner Alberghi e Ristoranti, Vienna L.N.T., Ravenna Rosetti Marino, Ravenna SVA Concessionaria Fiat, Ravenna Terme di Punta Marina, Ravenna TRE - Tozzi Renewable Energy, Ravenna RAVENNA FESTIVAL Fondazione Ravenna Manifestazioni Soci Comune di Ravenna Regione Emilia Romagna Provincia di Ravenna Camera di Commercio di Ravenna Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna Confindustria Ravenna Confcommercio Ravenna Confesercenti Ravenna CNA Ravenna Confartigianato Ravenna Archidiocesi di Ravenna-Cervia Fondazione Arturo Toscanini Consiglio di Amministrazione Presidente Fabrizio Matteucci Vicepresidente Mario Salvagiani Consiglieri Ouidad Bakkali Galliano Di Marco Lanfranco Gualtieri Sovrintendente Antonio De Rosa Segretario generale Marcello Natali Responsabile amministrativo Roberto Cimatti Revisori dei conti Giovanni Nonni Mario Bacigalupo Angelo Lo Rizzo Marketing e comunicazione Responsabile Fabio Ricci Editing e ufficio stampa Giovanni Trabalza Sistemi informativi e redazione web Stefano Bondi Impaginazione e grafica Antonella La Rosa Archivio fotografico e redazione social Giorgia Orioli Promozione e redazione social Mariarosaria Valente Segreteria Ivan Merlo* Biglietteria Responsabile Daniela Calderoni Biglietteria e promozione Bruna Berardi, Laura Galeffi*, Fiorella Morelli, Paola Notturni, Maria Giulia Saporetti Ufficio produzione Responsabile Emilio Vita Stefania Catalano, Giuseppe Rosa, Daniela Alderuccio*, Anna Bonazza*, Francesco Di Giorgio*, Christian Esposito* Amministrazione e segreteria Responsabile Lilia Lorenzi* Amministrazione e contabilità Cinzia Benedetti Segreteria artistica Valentina Battelli, Federica Bozzo, Chiara Ravaioli Segreteria amministrativa e progetti europei Franco Belletti* Segreteria di direzione Elisa Vanoli*, Michela Vitali Spazi teatrali Responsabile Romano Brandolini* Servizi di sala Alfonso Cacciari* Segreteria Chiara Schiumarini* Servizi tecnici Responsabile Roberto Mazzavillani Assistenti Francesco Orefice, Uria Comandini Tecnici di palcoscenico Enrico Berini*, Christian Cantagalli, Enrico Finocchiaro*, Matteo Gambi, Massimo Lai, Marco Rabiti, Alessandro Ricci*, Enrico Ricchi, Luca Ruiba, Andrea Scarabelli*, Marco Stabellini Servizi generali e sicurezza Marco De Matteis Portineria Giuseppe Benedetti*, Giusi Padovano, Samantha Sassi* * Collaboratori VALORI E IDEE PER NUTRIRE LA TERRA L’Emilia-Romagna a Expo Milano 2015 Colophon programma di sala a cura di Cristina Ghirardini, Franco Masotti, Susanna Venturi coordinamento editoriale e grafica Ufficio Edizioni Ravenna Festival fotografie di Federica Caraboni stampato su carta naturale priva di cloro elementare e di sbiancanti ottici stampa Edizioni Moderna, Ravenna