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Padovese martire
E quella sua critica alle «virtù eroiche»
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IO NON
MI VERGOGNO
DEL VANGELO
“
N
el preparare
questa puntata ho avuto una gioia: ho scoperto di avere in
casa e di aver letto un volumetto del
cappuccino Luigi Padovese (19472010) intitolato Piccoli dialoghi tra
santi di marmo (Piemme 1999) dimenticando poi chi ne fosse l’autore
e non collegandolo mai al vescovo e
martire Luigi Padovese di cui mi
sono occupato in occasione del martirio, che avevo intervistato per il
Corriere della Sera e che avevo incontrato durante la visita di papa
Benedetto in Turchia nel novembre
del 2006.
La gioia è doppia: di aver potuto
collegare le pagine di quel volumetto alla figura del martire che le
avvalora, perché riguardano la santità eroica che infine gli è stata donata e quella ordinaria per il cui
riconoscimento aveva scritto il libretto; di aver trovato tra le pagine
del libro la lettera con la quale egli
me l’aveva mandato nel dicembre
del 1999. Ho dunque tra le mie
carte un messaggio autografo di un
santo che vengo pregando nei giorni
e non si tratta di un saluto di circostanza, ma contiene parole impegnative.
UCCISO A COLTELLATE
DALL’AUTISTA TURCO
Padovese – che sarà ucciso un
decennio più tardi a coltellate dal
suo autista, Murat Altun, essendo
vicario apostolico dell’Anatolia e
presidente della Conferenza episcopale turca – insegnava allora Patristica all’Ateneo Antonianum del
quale era preside. Era anche consultore delle Cause dei santi e dunque un cultore delle procedure per
il riconoscimento della santità.
Questa la parte centrale della
lettera: «Su indicazione dell’amico
don Domenico Farias, le invio il
presente lavoro sulle 140 statue del
Colonnato di San Pietro. Si tratta di
un dialogo fittizio tra questi santi in
colloquio sulle loro esperienze e
sulla realtà di oggi. I testi su cui ho
lavorato provengono dagli scritti dei
santi stessi e si riferiscono a loro
esperienze di vita desunte dalle biografie. Ho inteso offrire una lettura
aggiornata e critica della “Santità
cristiana” trattando, nel contempo,
temi di attualità».
Una lettura «aggiornata e critica»
della santità: ecco il punto che mi interessa. Avevo dimenticato di aver
letto quel libro ma ricordavo – senza
collegarlo al Padovese della Turchia
– il garbato biasimo da esso rivolto
all’esclusiva ricerca delle virtù eroiche nella segnalazione della santità.
L’avevo cercato alla cieca quel volumetto – e non l’avevo trovato – mentre andavo scrivendo la rubrica del
mese di febbraio apparsa qui con il
titolo «Secolo che vai santo che trovi.
Le canonizzazioni oggi tornano all’antica varietà». Avendolo trovato
poi per caso, torno sull’argomento
felice di avere con me un santo martire che aveva parlato con passione a
favore del riconoscimento delle virtù
ordinarie accanto a quelle eroiche.
Nel libretto c’è un paragrafo intitolato «Le “debolezze” dei santi»
dove ho trovato le parole più vive.
Esse sono precedute da uno sfogo di
Elisabetta regina del Portogallo che
piange narrando i tradimenti del
marito e le tribolazioni con i figli e
dà il via a una riflessione collettiva
sui limiti umani di ogni esperienza di
santità. «Sarebbe bene – dice Francesco Saverio – che gli uomini vedessero come noi pure abbiamo
ricevuto amore, misericordia, perdono dagli altri. Se ci fanno “eroi
battezzati” mettendoci su un piedistallo e guardandoci dal basso all’alto, ci derubano della nostra
umanità. Da quando nel 1234 qui in
Occidente si decise che soltanto
Roma era l’istanza in grado di riconoscere la nostra santità, si insinuarono criteri che sarebbe bene
rivedere. L’accento posto sulla eroicità del nostro comportamento,
l’averci misurato a partire dall’esercizio delle virtù, l’importanza data ai
nostri “miracoli”, non ha messo in
ombra il fatto che siamo stati uomini
e donne di carne, con limiti e debolezze? Perché invece non si mette più
in luce la nostra povertà? Non risulterebbe così che la nostra santità
prima di essere compito, sforzo,
ascesi, è stata dono?! Quando parliamo di “grazia” non indichiamo
che è gratis quel che Dio opera in
noi?! E se è gratis non ci sono “stati”
di persone privilegiate, perché Dio
non si lascia mai legare le mani».
MARIA MADDALENA DE’ PAZZI
TENTATA DI UCCIDERSI
«Eppure – continua lo pseudo
Francesco Saverio – guadatevi intorno: la più parte di noi presenti su
questo Colonnato è costituita da
papi, vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, membri di qualche Terz’Ordine. Eppure nel popolo di Dio
siamo sempre stati una minoranza. Il
fatto di mettere in evidenza che noi
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pure, vescovi, preti, religiosi abbiamo
conosciuto debolezze, depressioni,
servirebbe almeno a far capire che i
cosiddetti “cammini preferenziali”
non ci hanno risparmiato dalla fragilità e dalla pesantezza del vivere».
Lo stesso Francesco Saverio narra
della vita che gli viene «a tedio» nell’attesa di entrare in Cina. Maria
Maddalena de’ Pazzi ragiona della
tentazione del suicidio che la coglie
un giorno che si trova tra le mani
«un affilato coltello da cucina». Ignazio di Loyola riferisce lo scoramento
che lo prende quando diventa papa il
card. Carafa con il nome di Paolo IV,
che egli aveva criticato anni prima
per il «comportamento duro e intransigente» e a cui ora deve obbedire «con quel quarto voto che proprio io ho introdotto nella Compagnia». Attualizzazione selvaggia: se
qualcuno ebbe a prendere male l’elezione di papa Ratzinger non si scoraggi. Gregorio di Nazianzo descrive
la propria vecchiaia sconsolata nella
quale arriva a considerare la morte
come «sola liberazione da ogni affanno». Gerolamo confessa i suoi
peccati «di parola e di penna»: «Se
si fosse giudicata la mia santità con i
criteri validi oggi, non sarei qui. Eppure, proprio il fatto di esserci serve
a ricordare che la santità è anzitutto
un dono di Dio».
I SANTI DESTABILIZZANO
L’IDEA DI DIO
Bernardo di Chiaravalle riconosce di essere stato «aggressivo, impulsivo, totalitario». Maria Egiziaca
e Pelagia di Gerusalemme narrano
della loro traversia di prostitute che
si fanno sante. Fabiola dice il suo
passato di «donna frivola e sensuale». Tutti i 140 concordano che
«agli uomini della piazza avrebbe
fatto più piacere e sarebbe stato più
utile vedere il santo debole che non il
santo eroe».
«La più parte di voi sono stati riconosciuti santi dopo la morte, ma in
vita quante prove per fare accettare
la propria diversità», dice l’evangelista Marco: «Sì, perché voi destabilizzate anche l’idea che gli uomini si
fanno di Dio, o meglio, la liberate,
proprio come ha fatto Gesù, dalle
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maglie umane che tentano d’ingabbiarla».
Pietro Nolasco parla delle «scelte
confessionali» del suo tempo che lo
misero in crisi: «Non mi è ancora
passata l’irritazione per quanto andava predicando Simone di Montfort, messo a capo della Crociata
contro gli Albigesi: “Ammazzateli
tutti – diceva –. A riconoscere i suoi
ci penserà il Signore”. Ma più ancora mi ha rattristato che siano stati
dei vescovi riuniti nel concilio Lateranense IV a giustificare tale violenza. Come hanno potuto invitare
i cattolici a prendere la croce e ad
armarsi per sterminare gli eretici?»
Padovese propone la sua arguta
parabola negli anni in cui papa
Wojtyla va predicando il «mea culpa
giubilare». Ed ecco Antonio da Padova che parla di «tolleranza verso
gli eretici», mentre Caterina da
Siena e Domenico ragionano con
rincrescimento sulle Crociate, che
lei aveva sollecitato per lo sterminio
dei «malvagi cani infedeli» che occupavano la Terra santa.
«C’È TROPPA SERIETÀ NELLA
CHIESA» FA DIRE A FILIPPO NERI
Altre facce del pianeta santità
sono trattati dall’apocrifa conferenza
notturna dei santi di marmo messa
in scena da Padovese. Viene lodata
da Celestino V e da Giovanni Crisostomo la disponibilità degli uomini di
Chiesa – papi compresi – a «ritirarsi
dal governo». Filippo Neri afferma
che «c’è troppa serietà nella Chiesa».
Tecla d’Iconio segnala come tra i
140 del Colonnato solo 38 sono
donne e come tale proporzione «non
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rispetta la verità della storia cristiana». Giuseppe padre di Gesù osserva che su 100 canonizzati solo
quattro sono i «laici» e che tra i proclamati dagli ultimi papi i non consacrati superano di poco il 20%,
come se fosse e sia da ritenere che
non ci si possa salvare «in forza del
matrimonio» ma solo eccezionalmente «nonostante esso». Francesco
d’Assisi afferma che «penitenza e
gioia sono sorelle gemelle».
Nel libretto di Padovese c’è questa frase: «Chi entra nella vita di un
altro, ci entra per sempre: fa parte
della sua storia» e prendo spunto da
essa per la conclusione di questa divagazione. Luigi Padovese un poco
era entrato nella mia vita e ci era restato senza che io quasi lo sapessi, e
ve l’aveva introdotto Domenico Farias, come dice nella lettera che ho
citato. Il recupero del libretto ha rinverdito anche quel ricordo. Il libro di
Padovese non mi era arrivato per
posta ma me l’aveva portato don Domenico che non arrivava mai a mani
vuote quando veniva a casa mia.
«Leggilo, è utile a un giornalista».
MAMMA MIA
QUANTI SANTI HO CONOSCIUTO
Sia Padovese sia Farias sono entrati nella mia galleria di testimoni
della fede, Padovese nel secondo e
Farias nel terzo volumetto della serie
Cerco fatti di Vangelo. Farias che mi
era notissimo e Padovese che per un
tratto mi restò sconosciuto. Il ritrovamento di un Padovese già incontrato senza percepirne la caratura
cristiana mi ha richiamato ad altri
casi di mia cecità verso testimoni incontrati in vita e compresi solo dopo
la morte: Giuliano Agresti, Vittorio
Bachelet, Giovanni Benelli, Eugenio
Corecco, Filippo Franceschi, Emilio
Gandolfo, Luigi Maverna, Cesare
Mazzolari, Aldo Moro, Andrea Santoro, Walter Tobagi…
Mamma mia quanti santi ho conosciuto: con questa esclamazione invito i lettori all’esercizio di numerare
e riscoprire i veri cristiani che ognuno
ha avuto la fortuna di incontrare.
Luigi Accattoli
www.luigiaccattoli.it
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