IL COLLEGIO DI ROMA
composto dai Signori:
Avv. Bruno De Carolis
Presidente
Prof. Avv. Pietro Sirena
Membro designato dalla Banca d'Italia
[Estensore]
Prof. Avv. Vincenzo Meli
Membro designato dalla Banca d'Italia
Prof. Massimo Caratelli
Membro
designato
Bancario e Finanziario
Prof. Avv. Marco Marinaro
Membro designato dal C.N.C.U.
dal
Conciliatore
nella seduta del 10/05/2013 dopo aver esaminato
x il ricorso e la documentazione allegata;
x le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione;
x la relazione istruttoria della Segreteria tecnica,
FATTO
I ricorrenti hanno affermato che:
- sarebbero cointestatari di un libretto di deposito a risparmio, emesso dalla
banca resistente il 20 agosto 2003; - ai sensi dell’art. 5 delle condizioni
contrattuali, ciascun cointestatario avrebbe la “facoltà di utilizzo disgiunto” di tale
libretto; - un terzo cointestatario a firma disgiunta sarebbe morto il 26 giugno 2012;
- il 6 agosto 2012, i ricorrenti avrebbero formalmente richiesto alla banca
resistente di disporre del saldo del suddetto libretto, il quale sarebbe stato a loro
credito di € 39.952,11; - il 30 luglio e il 6 agosto 2012, ciascuno dei ricorrenti
avrebbe ritirato la somma di € 13.317,27, rispettivamente pari a un terzo del saldo
a loro credito; -la banca resistente si sarebbe rifiutata invece di consegnare loro il
restante terzo di tale saldo, perché ritenuto di spettanza del cointestatario
premorto; - la norma dettata dall’art. 48, 4° comma, del d.lgs. n. 346 del 1990 non
sarebbe applicabile al caso di specie, in quanto i ricorrenti non sarebbero eredi del
cointestatario premorto; - il comportamento della banca si porrebbe in contrasto
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con le precedenti decisioni di questo Arbitro e con le sentenze della Suprema
Corte di Cassazione.
Ciò posto, i ricorrenti hanno chiesto che la banca sia condannata a mettere a
loro disposizione l’intero saldo attivo del libretto di deposito del quale sono
cointestatari a firma disgiunta.
La banca ha resistito al ricorso, affermando che:
- ai sensi dell’art. 48, 4° comma, del d.lgs. n. 346 del 1990, le sarebbe vietato di
rendere disponibile la quota caduta in successione ereditaria, se non a seguito
della presentazione della dichiarazione di successione; - si tratterebbe di una
norma imperativa, per la cui violazione sarebbe comminata dall’art. 53 del d.lgs n.
346 del 1990 una sanzione pecuniaria a carico della banca, di importo compreso
tra il 100% e il 200% dell’imposta dovuta; - non si comprenderebbero i motivi in
base ai quali i ricorrenti negano l’esistenza di un asse ereditario; - l’eredità non
risulterebbe devoluta a un coniuge ovvero a un parente in linea retta del
cointestatario premorto, cosicché non opererebbe l’esonero dalla dichiarazione di
successione che è preveduto dall’art. 28, 7° comma, del d.lgs n. 346 del 1990.
Ciò posto, la banca resistente ha chiesto che il ricorso sia respinto.
DIRITTO
Si deve premettere che, per quanto qui rileva, l’art. 48 (Divieti e obblighi a
carico di terzi) del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 (Approvazione del testo unico
delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni) così
statuisce: «Le aziende e gli istituti di credito, le società e gli enti che emettono
azioni, obbligazioni, cartelle, certificati ed altri titoli di qualsiasi specie, anche
provvisori, non possono provvedere ad alcuna annotazione nelle loro scritture né
ad alcuna operazione concernente i titoli trasferiti per causa di morte, se non è
stata fornita la prova della presentazione, anche dopo il termine di cinque anni di
cui all’art. 27, 4° comma, della dichiarazione di successione o integrativa con
l’indicazione dei suddetti titoli, o dell’intervenuto accertamento in rettifica o
d’ufficio, e non è stato dichiarato per iscritto dall’interessato che non vi era obbligo
di presentare la dichiarazione» (4° comma).
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È pacifico tra le parti del presente giudizio che i ricorrenti non abbiano fornito la
prova di aver presentato alcuna dichiarazione di successione o integrativa con
l’indicazione del libretto di deposito a risparmio di cui si tratta, né che sia
intervenuto un accertamento in rettifica o d’ufficio. Nel ricorso a questo Arbitro essi
hanno tuttavia affermato (a p. 2) di non aver mai dichiarato alla banca resistente di
essere gli eredi del cointestatario premorto, atteso che non esisterebbe alcun asse
ereditario per il quale presentare la dichiarazione di successione; hanno pertanto
sostenuto che l’art. 48, 4° comma, del d.lgs. n. 346 del 1990 non sarebbe loro
applicabile. Nei termini in cui è stata formulata, tale difesa costituisce tuttavia un
evidente equivoco.
È indubbio che la “facoltà di utilizzo disgiunto” del libretto di deposito di cui si
tratta, la quale è prevista dall’art. 5 delle condizioni di contratto (depositato come
all. 1 al ricorso), fa sì che i ricorrenti siano titolari di un’obbligazione solidale nei
confronti della banca resistente e che ciascuno di essi sia pertanto legittimato a
ritirare anche senza il consenso degli altri l’intera somma depositata, ai sensi
dell’art. 1854 c.c. Com’è evidente, ciò non impedisce tuttavia che, premorto un
cointestatario, la sua quota cada in successione ereditaria, sussistendo pertanto a
carico degli eredi l’obbligo di effettuare la relativa dichiarazione fiscale: ne
consegue che è senz’altro applicabile il già menzionato art. 48, 4° comma, del t.u.
sull’imposta di successioni e donazioni.
Tale ovvia considerazione non è tuttavia affatto decisiva ai fini del presente
giudizio, in quanto se è vero che non può essere oggettivamente negata
l’esistenza di un asse ereditario, rispetto al quale gli eredi del cointestatario
premorto sono obbligati alla suddetta dichiarazione fiscale (così come affermato
dalla banca resistente a p. 2 delle controdeduzioni), è altresì vero che i ricorrenti
non hanno preteso iure hereditario il pagamento di tale quota, ossia in quanto
eredi del medesimo cointestatario, ma l’hanno preteso invece iure proprio, ossia in
quanto cointestatari a firma disgiunta del libretto di deposito di cui si tratta (così
come da essi stessi affermato a p. 2 del ricorso).
Al fine di affermare le proprie ragioni, i ricorrenti hanno allora espressamente
richiamato (a p. 2 del ricorso) la sentenza della Corte di Cassazione, I sez. civ., 29
ottobre 2002, n. 15231, la quale ha stabilito il seguente principio di diritto: «Nel
caso in cui il deposito bancario sia intestato a più persone, con facoltà per le
medesime di compiere, sino alla estinzione del rapporto, operazioni, attive e
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passive, anche disgiuntamente, si realizza una solidarietà dal lato attivo
dell'obbligazione, che sopravvive alla morte di uno dei contitolari, sicché il
contitolare ha diritto di chiedere, anche dopo la morte dell'altro, l’adempimento
dell'intero saldo del libretto di deposito a risparmio e l’adempimento così
conseguito libera la banca verso gli eredi dell’altro contitolare». Ai fini del presente
giudizio tale sentenza potrebbe tuttavia non costituire un precedente decisivo in
senso favorevole ai ricorrenti.
Si deve rilevare, infatti, che l’art. 48, 4° comma, del t.u. sull’imposta di
successioni e donazioni era stato nel frattempo abrogato dall’art. 13, 1° comma,
della l. 18 ottobre 2001, n. 383 (Primi interventi per il rilancio dell’economia –
Tremonti bis), per essere poi ripristinato dall’art. 2, 47° comma, del d.l. 3 ottobre
2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito
dalla l. 24 novembre 2006, n. 286.
Ma anche al di là degli eventuali problemi di diritto intertemporale che possono
porsi, si deve rilevare che la suddetta sentenza della Corte di Cassazione non ha
affatto preso in considerazione le norme tributarie, applicabili alla fattispecie di cui
si tratta, e le loro conseguenze sul piano civilistico, probabilmente perché la banca
convenuta non ha fatto valere in quel giudizio il vincolo di indisponibilità che tali
norme giuridiche costituiscono pro quota sulla somma depositata (e com’è noto il
giudice civile decide iuxta alligata et probata partium, ai sensi dell’art. 99 c.p.c.).
Si deve peraltro dare atto ai ricorrenti che in alcuni precedenti questo Arbitro ha
fatto espressamente riferimento alla suddetta sentenza della Corte di Cassazione
al fine di risolvere nel senso da loro prospettato la questione di diritto che
costituisce oggetto del presente giudizio: in tal senso, si sono segnatamente
pronunciate le decisioni del Collegio di Roma, n. 708 del 2010 e del Collegio di
Napoli, n. 1731 del 2012.
In tali precedenti, questo Arbitro ha respinto le difese svolte dalla banche
rispettivamente resistenti, secondo le quali la morte di uno dei cointestatari a firma
disgiunta estinguerebbe la legittimazione degli altri a ritirare disgiuntamente l’intera
somma annotata a loro credito su un libretto di deposito a risparmio. Per quanto
tale principio non possa essere che riaffermato, dando così continuità alle
precedenti decisioni di questo Arbitro, esso non è in realtà risolutivo del presente
giudizio.
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Infatti, la legittimazione di ciascun cointestatario a ritirare disgiuntamente l’intera
somma annotata su un libretto di deposito costituisce sì un presupposto
(soggettivo) indispensabile affinché possa pretenderne il pagamento, ma non vale
evidentemente a escludere che, come si desume a contrario dall’art. 1297 c.c., il
debitore (ossia, la medesima banca) possa opporgli le eccezioni che non siano
personali agli altri creditori solidali (ossia, gli altri cointestatari).
La distinzione tra le eccezioni che ai sensi dell’art. 1297 c.c. sono personali e
quelle che non lo sono costituisce indubbiamente uno dei capitoli più intricati della
teoria delle obbligazioni solidali. Ma anche al di là degli approfondimenti dogmatici
e sistematici che pure sarebbero necessari, si può quanto meno dubitare che
l’eccezione basata sul vincolo di indisponibilità costituito dall’art. 48, 4° comma, del
d.lgs. n. 346 del 1990 possa essere considerata come personale ai sensi dell’art.
1297 c.c.: essa colpisce infatti nella sua oggettività la prestazione debitoria dovuta
dal debitore (ossia, la banca resistente), tanto da poter essere equiparata a una
sua impossibilità giuridica sopravvenuta. Si tratta infatti di un vincolo di
indisponibilità pro quota di tale prestazione, il quale è automaticamente imposto da
una norma imperativa.
D’altro canto, la soluzione secondo cui l’eccezione di cui si tratta sarebbe
(personale ai sensi dell’art. 1297 c.c., e pertanto) opponibile soltanto agli eredi del
cointestatario premorto e non agli altri cointestatari risulterebbe evidentemente
irragionevole, sia in considerazione delle finalità pubblicistiche perseguite dal
legislatore mediante la norma tributaria di cui si tratta, le quali potrebbero essere
agevolmente eluse cointestando ai futuri eredi del de cuius un libretto di deposito
a firma disgiunta; sia anche in base a un raffronto con altri casi di costituzione di
un vincolo di indisponibilità della quota di uno dei creditori in solido, i quali per
quanto qui rileva sono simili a quello considerato e costituiscono pertanto un
tertium comparationis.
Particolarmente significativo è il caso in cui un conto corrente cointestato a più
titolari (con firma disgiunta) sia pignorato dai creditori di uno di essi: è evidente
che, com’è stato chiarito dalla giurisprudenza di legittimità e di merito, tale
pignoramento possa avere a oggetto soltanto la quota del cointestatario che è
debitore, e non invece quella degli altri cointestatari, le cui quote non potranno
essere pertanto considerate come vincolate nell’interesse dei creditori pignoranti
(che non sono appunto i loro). Ma è altresì evidente che gli altri cointestatari non
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potranno pretendere di ritirare anche la quota (presuntivamente eguale) del
debitore esecutato, poiché il relativo vincolo di indisponibilità potrà (e dovrà)
essere loro opposto dalla banca depositaria ai sensi dell’art. 1297 c.c. e dell’art.
546 c.p.c.
Il che è in definitiva ciò che è accaduto nel presente caso, poiché è pacifico tra
le parti che la banca resistente abbia consegnato ai ricorrenti il saldo annotato a
loro credito nel libretto di deposito di cui si tratta, detratta la quota
(presuntivamente eguale) del cointestatario premorto che è vincolata dall’art. 48,
4° comma, del d.lgs. n. 346 del 1990.
Sussistono pertanto gli elementi di fatto e di diritto per respingere il ricorso.
Il contrasto con le precedenti decisioni di questo Arbitro e la dubbia portata
della citata sentenza della Suprema Corte di Cassazione quale precedente nella
materia di cui si tratta pongono tuttavia l’esigenza di un adeguato vaglio critico
della decisione di merito.
P.Q.M.
Il Collegio, rilevata la necessità di approfondire il tema oggetto del ricorso
alla luce delle disposizioni del Testo Unico in materia di successione,
delibera di rimettere la questione al Collegio di Coordinamento.
IL PRESIDENTE
firma 1
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Collegio ABF di Roma, 12 luglio 2013, n. 3771