Il taccuino. Volo ROMA – ATENE 6 Gennaio 2013 Era da tempo che non prendevo un volo con una pioggia così intensa. Durante il decollo le goccioline sul vetro si erano trasformate in un unico rivolo che sembrava correre affannosamente nel tentativo di mettersi in salvo, non so neppure io da cosa. Come era prevedibile, non appena librati in aria, si sono verificate delle turbolenze. Per la prima volta osservavo le ali metalliche con un'altra prospettiva. Mi sembravano fragili, e mi stupivo della forza che avessero nel rimanere attaccate alla fusoliera nonostante tanta tensione. Non un piegamento, solo un leggero tremolio che tradiva lo sforzo per mantenere la tensione. Cercando il solito giornale di bordo nella tasca del sedile davanti, mi era sembrato di toccare qualcosa di insolito, o meglio di inusuale rispetto al libretto con le istruzioni di emergenza ed il suddetto giornale. Allungando il collo scorsi un piccolo taccuino nero, simile al mio Moleskine. La copertina era usurata e nella parte dietro addirittura, ne mancava un pezzo da cui si scorgevano dei fogli rigati di blu. Qualcuno doveva averlo lasciato per sbaglio durante il volo precedente. L'aereo arrivava da Dubai. Un po' in imbarazzo per aver trovato qualcosa di così personale, mi decisi ad aprire la prima pagina per vedere se c'era un nome od un recapito da chiamare per riconsegnarlo al legittimo proprietario. Non fu così, e quello che segue è il contenuto che vi trovai. Probabilmente non mi ama. Ho scritto probabilmente per darmi l’illusione che non sia così, per farmi credere ancora una volta che sono io che vedo tutto nero. E ancora, la prima reazione che ho è di rabbia... Ma lo so, è tutta frustrazione per non essere stata i grado di far funzionare questo cazzo di rapporto. O meglio, frustrazione perché io ci sto male e lui invece se ne sbatte. E dopo tutto il mio impegno, tutti i miei sacrifici sarebbe bello se almeno potessi pensare, beh è finita, che pianga pure tutte le sue lacrime tanto ormai mi ha persa. E invece, quello che va verso una vita migliore, nonostante tutto, è lui. E una sigaretta dopo l’altra, mi viene solo da piangere, da disperarmi e se potessi, beh se potessi mi metterei ad urlare. Ma siamo in un bar dentro ad un centro commerciale, nel nostro primo giorno di vacanza. Lui dorme. Io non esisto. Dubai mi fa schifo. Non l’ho neppure vista se non dal taxi, ma oggi è la vita a farmi schifo forse. O forse sono io. Forse sono sempre io, e con questo pensiero tutti i mali che vengono dagli altri sembrano attenuarsi. Ma mi sono anche un po' rotta di prendermi una responsabilità che non è la mia, al posto di chi non ha le palle per farlo. Sull’aereo c’era un bel ragazzo. L’ho notato subito a Istanbul al gate. Era alto, moro, con la camicia azzurra e dei pantaloni blu. Belle scarpe. Mi ha colpito il suo aspetto serio, i suoi occhi penetranti. Ho voglia di serietà, di un uomo che faccia l’uomo. Poi però ha starnutito. Una serie di starnuti trattenuti per intenderci. Il suo volto si è modificato e non ho potuto fare a meno di pensare che prima o poi mi sarei stancata anche di lui. Però continuavo a cercare il suo sguardo mentre, sull’aereo stavamo aspettando che aprissero i portelloni per scendere. Io ero in piedi e lui, impassibile, seduto nella fila dietro, opposta alla mia. Ho deciso che fosse cittadino degli Emirati Arabi, per dargli un'aria più affascinante, e me lo sono immaginato figlio di qualche sceicco, mandato a studiare in Europa, di ritorno a casa per la pausa universitaria. Si perché magari nonostante l’aspetto serio non credo avesse più di venticinque o ventisei anni. Non mi vergogno a dirlo, in quel breve lasso di tempo in cui l’ho guardato, ho immaginato di baciarlo, di guardarlo in quegli occhi neri leggermente orientali da vicino. Piccole evasioni di una donna parecchio frustrata, ecco quello che penserei se qualcuno mi raccontasse una cosa del genere. Avrei dovuto sorridergli. Provare a divertirmi un po'. Mancanza di rispetto nei confronti del mio ragazzo? Beh lui mi manca di rispetto ogni giorno, come si veste, i commenti infelici che fa, i sorrisetti alla hostess pensando di non essere visto. Si perché tra le altre cose, si crede pure furbo. Poverino. Forse se non avessi questa mania del possesso, del fatto che è mio e di nessun altra, sarei riuscita a mandarlo a cagare a cuor leggero molto tempo fa. Magari anni fa. E invece sono ancora qui, che meritatamente, mi guardo e fantastico sul mio emiro. Secondo giorno. Ci svegliamo tardi perché naturalmente lui è stanco. Una volta svegli decidiamo di andare in piscina. Decide lui, ma a me va bene perché non ho voglia di essere accusata di voler sempre fare le vacanze a modo mio, cioè di visitare i posti in cui andiamo. Del resto siamo a Dubai, ma per lui se fossimo andati a Mirandola non sarebbe cambiato molto. Più lui dorme più a me passa il sonno. Più lo sento respirare profondamente più il mio di respiro diventa affannoso. Dicono che ad un certo punto, quando non ne puoi davvero più, il cervello umano stacchi la spina dall’amore malato al fine di far riavere al corpo e alla psiche il suo equilibrio. Ma per me ancora non deve essere arrivato quel momento perché mi volto a guardarlo e penso che è bellissimo, se solo si impegnasse un po', se fosse un po' meno egoista ed egocentrico. Ma poi torno a guardare il soffitto e cerco di tranquillizzarmi, ripetendomi che arriverà, quel momento in cui il cervello si stacca e riprende la vita, arriverà. Terzo giorno. Non abbiamo ancora fatto l’amore. Ho almeno cinque completini diversi in valigia, ma non mi va di indossarli, non mi va di impegnarmi per lui. Tanto non mi vuole più, non gli piaccio. Lo fa con me solo perché sa che se no io comincio a farne un caso ogni volta che salta fuori una qualsiasi occasione. Ma stavolta no. Vado in bagno, apro l’acqua della doccia ed entro. Fa freddo, l’acqua sulla pelle quasi mi blocca il respiro. Penso al mio emiro. Nudo. Accanto a me. L’acqua diventa tiepida, mi scivola addosso, la sento ovunque, come se percepissi ogni singola goccia sul mio corpo. Non so più se è l acqua o se sono le sue mani, la sua bocca. L’acqua diventa calda. Un brivido dietro l’altro mi sfiorò, mi sfiora. Lo sento. E dal nulla mi devo mordere la mano per non farmi scoprire dal mio compagno, che gioca con il suo iPad nella stanza accanto. Mi godo il momento, il mio momento. Penso che forse provare passione è ancora possibile, se ce l’ho addirittura fatta da sola con la sola forza del pensiero. Quarto giorno. Il dialogo tra noi non esiste. A casa pensavo fosse normale, mi raccontavo che eravamo entrambi stanchi a causa del lavoro, della burocrazia quotidiana e così via. Ma qui non ci sono scuse. Allora cosa ti va di fare? Non lo so, decidi tu, a me va bene tutto. Questo è quello che ci diciamo. Va bene tutto perché non ce ne frega niente. Ho imparato che meno parlo meglio è perché non riesco a togliermi la faccia da cazzo e alla fine, senza creare una vera e propria litigata perché nessuno dei due ha voglia di sprecarsi, la tensione diventa così pesante da far venir voglia di aprire le finestre. Quinto giorno. È Natale. Non vedo l ora che apra i miei regali. Ci ho pensato per mesi, volevo trovare qualcosa di unico, personalizzato, volevo farlo rimanere a bocca aperta. Li scarta, gli piacciono e io sono così felice che neanche mi importa che lui invece a me non abbia fatto nulla. Neanche un pensiero. Non ha soldi, spende tutto per la casa. Non ci ha pensato. Ha lavorato molto. Io invece no. O forse si. Tardi nel pomeriggio andiamo in un centro commerciale. Si compra due tute di cui una firmata da aggiungere alla sua collezione. Vietato rimanerci male, sennò sbuffa, si esaurisce il poverino. Buon Natale a me. Sesto giorno. È Santo Stefano. Abbiamo prenotato una gita nel deserto, un jeep Safari. Sono emozionatissima, cavalchiamo le dune con le ruote come se fossero onde, ci fiondiamo giù per pendii ripidissimi. Il cuore mi batte ancora a mille quando ci fermiamo in un'oasi artificiale. Ormai e sera, il cielo è stellato e io guardo il mio uomo. Gli sorrido contenta perché abbiamo condiviso un'esperienza meravigliosa. Sono felice in quel momento insieme a lui. Ancora una volta non capisco che è la situazione a rendermi euforica, non lui. Se non ci fosse stato, sarei contenta allo stesso modo. Quella disperazione silenziosa che logora dentro e che non si riesce a spiegare, nessuno dovrebbe mai farla provare alla persona che ci sta accanto. Settimo giorno. Oggi è l'ultimo giorno e sono un po' triste. Penso come al solito che avrei dovuto amarlo di più durante questa vacanza e che forse sono un po' responsabile anche io in questa catastrofe che è il nostro amore. In ogni caso ormai è fatta, inutile serbare rancore o conservare un peso nel cuore. Magari una volta a casa potrò fare qualcosa, cucinargli il suo piatto preferito o fare finalmente quel quadretto con le nostre foto fatte nei diversi viaggi, oppure torno in palestra e nel giro di un mese avrò un fisico a cui lui non potrà rinunciare. Facciamo la valigia e lui sembra non battere ciglio, come se non provasse mai niente. Perché in realtà è così, a lui interessa di ben poco nella vita, ed è troppo pigro per guardarsi attorno e vedere tutto quello che si sta perdendo. E io pensavo di trascinarlo con me, in un mondo fatto di piccole avventure, nuove scoperte, luoghi e volti nuovi. Ma quando ad ogni mia espressione emozionata o meravigliata corrispondeva una sua faccia annoiata, beh allora era difficile mantenere un equilibrio. Ora ho capito il perché di quegli occhi inespressivi, il suo costante sguardo perso nel vuoto o la sua ricerca ossessiva per trovare il wi-fi, ovunque andassimo, anche nella tenda beduina in mezzo al deserto il giorno della gita. Perché non ce la può fare. Ecco perché. E se all'inizio, dare una risposta alle sue domande più idiote, più ignoranti, mi dava una certa soddisfazione, ora penso che ho paura. Non voglio diventare come lui, voglio vivere. Ottavo giorno. È successo. Sapevo che doveva succedere prima o poi. La sveglia del suo telefono è suonata alle tre e trequarti di notte. L'ho spenta io e poi ho cercato di svegliarlo con calma. Avevo dormito serena, senza affanno come non succedeva da tempo. Ha aperto gli occhi, ci siamo guardati. Ho visto il vuoto, ma ho fatto finta di nulla. Sono andata in bagno a farmi carina, nonostante l'ora, perché so che lui ci tiene. Rimmel, fondotinta, fard sulle guance e matita nera pesante sugli occhi. Mi sono guardata allo specchio e ho pensato che non ero più io. Uscita dal bagno mi vesto, non tralascio nulla, a parte l'essere comoda per il lungo viaggio, perché se mettessi una tuta starebbe tutto il tempo a guardare ogni qualsiasi donna. I miei jeans attillati sono il mio metodo per evitare che ciò accada. Mi siedo sul letto con la valigia chiusa accanto e aspetto che lui si prepari. “Possiamo andare” mi dice. “Non vengo.” “Cosa? Dai muoviti.” “Non hai capito. Io non vengo” Oggi. Sono rimasta a Dubai per altri tre giorni, era il minimo per vedere tutto quello che mi ero persa. Ho pianto un po', ma ho riso molto, e mi sono riconosciuta in quello specchio finalmente, senza lenti a contatto e con le lentiggini scoperte. E mi sono piaciuta così tanto che ogni volta che guardavo il mio riflesso, mi sorridevo. Stare in mia compagnia è stato piacevole, e mi dispiace che l'ebete si sia perso tutto questo. Ma quello che mi dispiace di più, è che stavo per perdermelo anche io. Sono sull'aereo su cui lui tre giorni fa è salito da solo e mi sembra quasi di vederlo, sperduto che scuote la testa perché l'ho lasciato solo per un viaggio che comprende addirittura uno scalo, lui che a malapena è in grado di allacciarsi le scarpe da solo. Alla fine ce l’ho fatta. L'ho capito. Io valgo molto di più di quello che lui mi faceva credere e la sensazione di sentirsi sole quando si è in compagnia non la voglio mai più provare. Ps. Questo taccuino non è stato perso, l'ho lasciato apposta sull'aereo. I motivi sono due. Il primo è che il destino poteva farlo trovare a qualcuno a cui servisse sentire questa storia. Qualcuno che non sa come uscire da una brutta situazione o perché no, qualcuno che sta perdendo la persona amata a causa di un comportamento egoista. Beh, se lo volete, potete fare qualsiasi voglia e queste righe ne vogliono essere una testimonianza. La seconda è che da oggi io comincio una nuova vita, e questo taccuino appartiene alla vecchia, che ormai non mi serve più.” Ben fatto, è tutto quello che riesco a pensare dopo aver letto questi appunti tutto d'un fiato.