Città Virtuosa 2012 COMUNE di PESCHIERA DEL GARDA “SAPERE AUDE” Conferenze a cura di Don Gianfranco Salamandra Martedì ore 18.15 SALA CIVICA “Dobbiamo laicamente leggere dei testi ed esaminare dei comportamenti. Il politicamente corretto, il laicismo, lo scientismo hanno trasformato, in questa ultima ondata della secolarizzazione, i principi di laicità e di criticità del pensiero in una sorta di falsa coscienza collettiva, in una cultura che obbliga, dico obbliga, a pensare per esperimenti, in base ai criteri della fattibilità. Non a pensare secondo le GRANDI regole che abbiamo ricevuto dalla GRANDE tradizione culturale dell'Occidente. Quindi con una misura che per i credenti è Dio, per i filosofi metafisici è l'Essere e per noi cittadini comuni é una misura del bene e del male, un'etica. Ma non un'etica privata, non una ragion pratica che vede la morale dentro l'io. No, un'etica pubblica e pubblicamente dispiegata”. (Giuliano Ferrara) Per provare a comprendere, per continuare ad ascoltare e farsene una ragione, per discutere, per poter rispondere all'interrogativo posto da Dio “Dove sei?” (Gen. 3,9), non perché l'uomo gli faccia conoscere qualcosa che ignora ma per poter uscire dal nascondimento dell'indifferenza, l'Assessorato alla Cultura organizza questo 2° ciclo di conferenze tenute da don Gianfranco Salamandra, parroco della Parrocchia di San Gaetano in Sega di Cavaion, aperte a tutti i cittadini, credenti e non. Municipio, ottobre 2012 Umberto Chincarini, Sindaco 1° incontro (martedì 6 novembre) Le varie culture ai tempi della Bibbia Il termine cultura si riferisce a idee, usi e costumi, professioni, arte, ecc. di un particolare gruppo etnico in un particolare contesto storico. La cultura della società in cui viviamo viene instillata in noi fin dall'infanzia, in primo luogo dalla famiglia in cui siamo nati o che ci ha adottati. Questo processo di acculturazione continua quindi man mano che veniamo a contatto con il nostro ambiente, con la scuola, con l'educazione religiosa, con gli amici o con quelli che sono più anziani di noi; e questo vale anche se generalmente non ce ne rendiamo conto. Nella nostra cultura occidentale siamo abituati a mangiare tre pasti al giorno, a vivere in piccoli nuclei familiari, ad ascoltare musica negli uffici, nei negozi, in casa e anche in macchina. Certe parole e azioni le consideriamo sgarbate o offensive, mentre altre le riteniamo gentili e amichevoli. Una persona che appartiene ad un'altra cultura, tuttavia, può non conoscere questi e altri aspetti della nostra cultura che noi troviamo talmente consueti da non pensarci neppure, o solo raramente. La gente che viveva ai tempi della Bibbia era influenzata dalla cultura di allora tanto quanto lo siamo noi dalla nostra, e ciascun autore biblico ha scritto rispecchiando la propria prospettiva culturale. Ciò significa che alcuni termini e concetti della Bibbia possono essere inconsueti per molti di noi a causa delle lunghe distanze e dei molti secoli che ci separano dai luoghi e dai tempi della Bibbia. Tuttavia, possiamo in qualche modo colmare la lacuna e capire più a fondo l'intento degli autori biblici studiando il modo in cui vivevano e la visione che avevano del mondo. Ad esempio, lo studio degli usi e costumi dei patriarchi ci rivela che per la gente dei tempi della Bibbia era preferibile nascere maschio che nascere femmina. I ragazzi avevano più privilegi e libertà delle ragazze, uno stato sociale più alto che continuava anche quando diventavano adulti. Tenendo presente gli usi e costumi del tempo, dobbiamo quindi concludere che il modo in -1- cui Gesù trattava le donne era rivoluzionario. Cominciamo allora a capire perché i suoi discepoli si meravigliarono tanto di vederlo “parlare con una donna” che non era una parente (Gv 4,27), e ancor più che trattasse con lei importanti questioni spirituali. Saremo in grado di capire anche quale colpo deve essere stato, in una cultura che non ammetteva la testimonianza delle donne in tribunale, il fatto che Dio abbia scelto alcune donne come primi testimoni della resurrezione di Gesù (Lc 24,1-12; cf At 2,17-18). Quanto segue è solo un breve riassunto dell'abbondante materiale disponibile sulla cultura dei tempi della Bibbia. Infanzia Ai tempi dell'Antico Testamento l'infanzia era breve. I bambini, sovente in numero di sette, generalmente crescevano in una famiglia che li amava teneramente. I più piccoli erano coccolati in grembo alla madre (cf Is 66,12-13) e si divertivano con diversi giocattoli, alcuni dei quali sono venuti alla luce negli scavi archeologici. Anche se non esistevano squadre sportive, i bambini inventavano i loro giochi e i ragazzi facevano la lotta libera. A un'età molto precoce veniva assegnato a ogni bambino un compito speciale, come raccogliere legna (Ger 7,18), attingere acqua al pozzo, badare al gregge (Gn 29,6) e al bestiame. Il padre provvedeva al sostentamento della famiglia lavorando nei campi o in qualche altra professione o occupazione. Uno dei suoi doveri era quello d'avviare i figli a un lavoro o professione. I ragazzi andavano con il padre nei campi o nella bottega e imparavano il mestiere osservandolo. Man mano che il ragazzo cresceva, aiutava sempre più il padre, fino a imparare perfettamente il suo lavoro o professione. Analogamente le ragazze imparavano dalla madre a svolgere i lavori domestici. L'adolescenza come periodo di passaggio dall'infanzia all'età adulta era sconosciuta ai tempi della Bibbia. Il bambino diventava presto un giovane adulto e veniva incoraggiato a partecipare il più possibile alla vita familiare. In occasione delle feste religiose, i bambini spesso accompagnavano i genitori al tempio, come fece Gesù quando aveva 12 anni (Lc 2,42). Le ragazze non portavano il velo e non vivevano isolate: quando -2- avevano finito i compiti loro assegnati, potevano liberamente incontrarsi con le loro amiche e vicine di casa. Nel periodo patriarcale antico, il figlio o la figlia potevano essere condannati a morte per disobbedienza al padre, ma con l'avvento della legislazione mosaica, al padre fu imposto l'obbligo di presentare istanza al consiglio degli anziani (Dt 21,18-21). I figli condannati per disobbedienza, ghiottoneria o ubriachezza potevano essere lapidati a morte. L'autorità del padre si applicava anche a un figlio sposato che viveva in famiglia. Istruzione L'istruzione ha sempre avuto un rilievo privilegiato presso il popolo ebraico. Al bambino veniva insegnato a capire ilo rapporto speciale del suo popolo con Dio e l'importanza di servire il Signore ( Es 12,26-27; Dt 4,9). Un'importanza speciale era attribuita alla storia del popolo ebraico; la sua conoscenza contribuiva a sostenere l'ideale patriottico in periodi di servitù e di esilio. Come i primi rudimenti venivano impartiti ai bambini in seno alla famiglia, così la loro fede veniva approfondita nelle pratiche religiose compiute in famiglia, e particolarmente nei pasti associati alle feste religiose come la Pasqua. Man mano che i ragazzi crescevano, il padre aveva cura di rafforzare sempre di più il loro attaccamento all'eredità religiosa e alle tradizioni. Educazione Solo a cominciare dal periodo del Nuovo Testamento in Palestina l'educazione venne praticata anche fuori dall'ambito familiare. I ragazzi frequentavano la sinagoga locale per essere istruiti da un rabbì nelle tradizioni religiose giudaiche, mentre l'educazione delle ragazze continuava ad essere svolta in casa. Sappiamo molto poco del modo in cui si svolgeva l'educazione nell'antico Israele, maleducazione morale e religiosa dei figli era -3- vista come una delle principali responsabilità dei genitori, particolarmente della madre. Il padre doveva per prima cosa trasmettere le proprie capacità pratiche ai figli maschi della famiglia, sia che si trattasse di mestieri, agricoltura o arti marziali! La famiglia era al centro della trasmissione della fede e delle pratiche religiose da una generazione all'altra- l'aspetto più importante dell'educazione. Il rituale al centro della festa di Pasqua, ad esempio, era tenuto vivo principalmente in seno alla famiglia; questa festività rimane a tutt'oggi una celebrazione essenzialmente familiare. Matrimonio Il matrimonio, un rapporto che con il cristianesimo è diventato un sacramento, originariamente era uno scambio di promesse vincolanti tra lo sposo e la sposa, derivanti da precedenti accordi tra i rispettivi genitori. La maggior parte degli uomini israeliti aveva una sola moglie ; alcuni ai tempi dell'Antico Testamento avevano due mogli (Dt 21,15) oppure una o più concubine. Davide aveva diverse mogli; Salomone ne aveva 700 (2 Sam 5,13;1 Re 11,3; Ct 6,8-9). Erode il Grande aveva nove mogli. I matrimoni venivano spesso combinati tra parenti stretti o con membri dello stesso clan o tribù. Dato che la sposa doveva diventare un membro della famiglia del marito, per i genitori dello sposo era importante sapere se essa era adatta e se si sarebbe integrata con il resto della famiglia. Per il matrimonio, il consenso dello sposo e della sposa a volte era richiesto, ma non necessario. Anche se era previsto che il matrimonio durasse tutta la vita, l'uomo poteva divorziare dalla donna con una semplice comunicazione; la donna invece non poteva divorziare dall'uomo. In seguito la legge ebraica impose l'obbligo di un documento scritto per il divorzio; ma in ogni caso il divorzio ai tempi dell'antico testamento avveniva raramente. La promessa di matrimonio, che si faceva circa un anno prima del matrimonio stesso, era un accordo formale vincolante (Mt 1,18; Lc 1,27; 2,5). Di conseguenza, la promessa sposa -4- apparteneva al suo futuro marito, e il promesso sposo era considerato come genero dai genitori della sposa. Affinché si potessero stabilire solidi rapporti familiari, per il primo anno dopo la cerimonia ufficiale del matrimonio l'uomo era esentato dal servizio militare (Dt 24,5). Il prezzo da pagare per la sposa è uno dei motivi che spiegano la prevalenza della monogamia. Pochi uomini infatti potevano permettersi il lusso di sborsare diverse volte la somma richiesta dal padre della sposa per compensarlo della perdita del lavoro della figlia in casa o nei campi. Alle volte il prezzo era pagato sotto forma di prestazioni di lavoro, come nel caso di Giacobbe che lavorò 14 anni per Labano per poter avere Lia e Rachele (Gn 29,15-28). Parte della dote veniva spesso data alla sposa, sovente sotto forma di gioielli che essa indossava in occasione delle nozze. Lo sposo si presentava alle nozze riccamente abbigliato con vestiti lussuosi e profumati e con una ghirlanda di fiori sul capo. I preparativi per la sposa comprendevano i massaggi per rendere la pelle lucida, e l'intrecciatura dei capelli, possibilmente con fili d'oro e perle. Il vestito della sposa era del tessuto più fino possibile, completo di velo. Adornata in tal modo, la sposa e le sue damigelle aspettavano nella casa dei genitori l'arrivo della processione dello sposo. Mentre questa si snodava per le vie del villaggio o della città, la luce delle torce che accompagnavano la processione dello sposo e dei suoi amici faceva da cornice alla musica (Ger 7,34) e ai divertimenti. La processione quindi ritornava con la sposa e il suo seguito alla casa dello sposo, dove la festa delle nozze spesso si protraeva per sette giorni, e a volte anche fino a 14 giorni. Una camera nuziale appositamente preparata accoglieva la giovane coppia. La sposa sperava di poter avere subito dei figli. Intanto doveva assumersi la responsabilità della cucina, della pulizia, della filatura e della tessitura per tutta la casa, e occasionalmente di dare una mano nei campi o nella vigna. Aveva inoltre il dovere di impartire i primi rudimenti di istruzione ai suoi figli (Prv 1,8; 6,20; 31,10-31). Tutte le decisioni venivano prese dall'uomo quale capo famiglia. Anche solo una promessa fatta dalla moglie senza il consenso del marito era non valida (Nm 30). Tuttavia lo stato sociale della -5- moglie era migliore di quello di molte donne arabe che, assieme ai loro figli, erano considerate come strumento di lavoro. La moglie e il figlio non potevano essere venduti come schiavi, mentre ciò era consentito se si trattava di una figlia. Ma fino ai tempi del nuovo testamento un'intera famiglia poteva essere venduta per debiti contratti da uno dei suoi componenti (Mt 18,25). Alla moglie non era consentito di abbandonare il marito; poteva invece essere costretta a occupare un ruolo subalterno rispetto a una nuova moglie o a una concubina, e poteva perdere il diritto all'eredità. Tuttavia, anche in tali circostanze non veniva segregata, ma poteva partecipare alle feste e alle attività della famiglia. La moglie godeva dell'affetto e del rispetto dei suoi figli, specialmente dei maschi. Tuttavia l'elenco dei beni di un uomo comprendeva sempre la moglie, i servi, gli schiavi e gli animale (Es 20,17; Dt 5,21). Il ruolo subordinato della moglie è evidenziato dal fatto che essa stessa chiama il marito suo signore o padrone (Gn 18,12). All'interno della famiglia la donna era sempre, almeno in teoria, sotto la tutela di un maschio: da bambina doveva sottostare al padre, da sposa al marito, da vedova al parente maschio più prossimo del marito. Ai tempi della Bibbia, dalla moglie ideale ci si aspettava che fosse discreta, calma, sensibile e graziosa (Prv 9,13; 11,16.22; 21,9). Doveva inoltre possedere capacità organizzative e decisionali per la gestione della casa e delle finanze familiari (Prv 31, 10-31). Le donne forti e dominatrici che svolgevano un ruolo pubblico, come Debora, Giaele e Giuditta, erano rare. Ai tempi della dominazione romana tuttavia le donne erano molto rispettate e spesso aiutavano il marito negli affari. Nell'era cristiana l'atteggiamento di Gesù nei confronti delle donne contribuì grandemente al miglioramento del loro stato sociale. Ai tempi del nuovo testamento ci si aspettava che le donne fossero amorevoli, caste, rispettose (Tt 2,4;1 Pt 3,2-6). Edifici Molti paesi e città erano cinti da spesse mura di difesa. Alcune città avevano tre ordini di mura concentriche con porte solidamente fortificate, spesso costruite con sei grandi pilastri. Dal punto di vista architettonico i fabbricati erano semplici e -6- pratici, ma spesso denotavano una ricerca di precisione e una discreta tecnica costruttiva. Le abitazioni della gente comune erano ben diverse. Molte erano costruite in pietra, altre in cannicci e intonaco. L'abitazione generalmente era costituita da un'unica stanza principale, anche se alcune erano costruite attorno ad un cortile centrale. Le case avevano tutte il tetto a terrazza, che poteva essere coperto con una tenda in modo da costruire luoghi di riposo e di quiete (At 10,9). La terrazza era fatta con travi di legno che reggevano uno strato di ramaglie impastate con terra e creta, e spesso lasciava filtrare l'acqua piovana. Sulla terrazza poteva anche crescere l'erba e dopo un temporale doveva essere ripassata e spianata. Le stanze, con il pavimento in terra battuta, servivano da soggiorno e da camera da letto per la famiglia e per gli animali che essa possedevano. Alcuni vani aperti nelle pareti servivano da finestre, che di notte potevano essere chiuse con graticci. Le finestre tuttavia erano poche e piccole, per non lasciar penetrare il sole e mantenere la casa fresca e confortevole durante il giorno. Dopo il tramonto le opache pareti di creta erano illuminate dalla fiammella tremolante della lampada a olio. Politica La cultura di un popolo- comportamenti sociali, usi e costumi, vita familiare, tempo libero - è influenzata sia dal contesto politico che dall'interazione commerciale con le civiltà confinanti. La politica, cioè le cose che riguardano la città-stato (dal greco polis, città), necessariamente influenza la vita e le attività dei cittadini. Le prime città-stato sorsero nella Mesopotamia meridionale. La loro politica consisteva nel gestire gli affari della città e nell'evitare di essere conquistati da potenti stati confinati. La città-stato era normalmente governata da un re o una regina e comprendeva la città vera e propria e le terre attorno alle sue mura. Il regnante sceglieva i suoi consiglieri tra i sacerdoti e i funzionari di corte, e occasionalmente intratteneva rapporti, mediante ambasciatori, con altre città-stato. -7- In Egitto il sovrano spesso proclamava spesso il suo programma di politica estera in occasione della sua ascesa al trono. Un faraone poteva decidere, ad esempio, di invadere la Nubia o conquistare la Palestina o la Siria per stabilirvi il suo dominio. I re tuttavia non sempre godevano del favore dei sudditi e spesso il sovrano veniva assassinato da una congiura tra i suoi funzionari o tra le donne di corte. In qualche rara occasione, due nazioni in guerra tra loro rischiano di essere attaccate da una terza potenza. Ciò accade, ad esempio, nel 853 a.C. Quando Siria e Israele erano in guerra tra loro e improvvisamente l'Assiria minacciò di distruggere entrambi gli eserciti. Israele e Siria allora unirono le loro forze per sconfiggere l'Assiria. Più spesso le nazioni coesistevano pacificamente, legate da trattati reciproci di tipo politico e commerciale. Un popolo conquistatore saccheggiava sempre il paese conquistato e lo assoggettava al pagamento di un tributo, che poteva essere pesante e protrarsi per molti anni. In questi casi veniva nominato un governatore, residente sul posto, per assicurarsi che i funzionari della città conquistata e i loro aiutanti raccogliessero il tributo richiesto. Eventuali tentativi di evasione del tributo in genere venivano severamente puniti. La nazione ebraica pagò un pesante tributo prima agli Assiri, poi ai Romani; ed è superfluo dire che gli esattori erano persone odiate da tutti. La vita politica degli ebrei al tempo di Cristo era resa difficile dalla presenza del governatore romano, che esercitava uno stretto controllo sulla loro libertà d'azione e sul pagamento delle tasse. Commercio Anche se era un paese sostanzialmente povero Israele occupava una posizione strategica all'incrocio delle principali vie commerciali, particolarmente la via nord sud. L'Egitto esportava grano e manufatti, come pure Ebla. La Fenicia dava impulso alle attività manifatturiere e al commercio marittimo. Israele, paese prevalentemente agricolo, vendeva olio, vino, lana grezza, -8- tessuti di lino e articoli di metallo. Il grano era la merce principale che transitava per la via est ovest che attraversava la Galilea. L'attività commerciale raggiunse il suo apice sotto i regni di Davide e Salomone. Quest'ultimo accumulò grandi ricchezze tassando le carovane commerciali che attraversavano il suo territorio. Salomone inoltre fece costruire una flotta mercantile che gli consentì di estendere i suoi interessi commerciali alla zona del Mar Rosso. In generale, tuttavia, Israele intratteneva normali rapporti commerciali con la Fenicia e con l'Egitto e solo occasionalmente esportava merci in Siria. Nel periodo della dominazione romana era maggiormente diffuso il commercio a lunga distanza, a vantaggio del popolo ebraico. Arti e tempo libero La letteratura era una forma d'arte molto sviluppata come attestato delle scritture ebraiche e greche. La mente veniva esercitata e coltivata anche componendo proverbi e imparandoli a memoria. Anche se il tempo libero era scarso era molto diffusa la musica suonata con la lira e con il flauto. La musica, sia strumentale che vocale, come pure la danza per uomini e per donne in gruppi separati era parte integrante della vita sociale e del culto religioso degli Israeliti (Es 15,20; 1 Sam 18,6; 2 Sam 6,14, ecc). Cibi Non risulta che nelle famiglie del tempo della Bibbia esistesse l'abitudine di fare un pasto corrispondente alla nostra colazione. Se il padre lavorava nei campi, probabilmente consumava un pranzo leggero come pure i ragazzi che pascolavano il gregge o gli armamenti. Questo pasto era costituito da focacce o pani, olive, fichi, ricotta o formaggio ricavato dal latte di capra. I ragazzi più piccoli aiutavano la madre a preparare la cena, che era il pasto -9- principale della giornata. L'ora della cena era un'occasione di raduno familiare e probabilmente cominciava per tempo in modo da approfittare della luce del giorno. La conversazione si protraeva poi nella serata a lume di piccole lampade a olio. Il pasto serale consisteva in pane o focacce fatte con frumento o orzo, ricotta o formaggio di latte di capra, verdure quali lenticchie, fagioli, piselli e porri. Le verdure non erano sempre disponibili, ma quando c'erano contribuivano a variare la dieta. Per dare sapore ai pasti si usava sale, aglio e probabilmente anche aceto. Il vino, spesso abbondantemente innacquato, veniva bevuto ai pasti. Il cibo veniva cucinato in olio di oliva, e come dolcificante si usava il miele. Eccettuate le famiglie benestanti, questi pasti erano estremamente monotoni, nonostante le capacità culinarie della cuoca. Tuttavia, i componenti della famiglia, stanchi e affamati, probabilmente non si interessavano tanto della varietà, purché ci fosse cibo sulla tavola. La carne si mangiava raramente, eccetto che in occasione di un sacrificio; normalmente gli animali erano troppo preziosi per i poveri perché si pensasse si macellarli per mangiare. I ricchi stavano meglio e mangiavano carne di agnello o cacciagione (Gn 27,3-33; 2 Sam 12,2-3; Lc 15,29) o un vitello ingrassato per qualche festa speciale (1 Sam 28,24; Mt 22,4). Si mangiavano anche i fagiani, tortore, quaglie, piccioni e pernici (Es 16,13; Dt 14, 4-19) ed erano disponibili diverse specie di pesci. Vestiario I mercanti, con il loro carico di sete e di tessuti finemente lavorati, viaggiavano in carovane, coprendo grandi distanze e arrivando fino all'India. Il lino più fine era importato dall'Egitto. In Palestina il vestiario era spesso fatto di lino di produzione locale. I vestiti di tutti i giorni erano di lino di scarsa qualità; i sacerdoti invece indossavano vesti di lino di qualità superiore (Es 39,27). La lana poteva facilmente essere lavorata e tessuta da popoli seminomadi, mentre la pianta del lino poteva essere coltivata solo da una comunità sedentaria. - 10 - I poveri spesso indossavano vestiario grossolano, fatto di lana di capra o di pelo di cammello, ruvido e poco confortevole. Questo tessuto, detto anche sacco, veniva spesso indossato in segno di penitenza. Serviva inoltre da coperta per ripararsi dal freddo della notte. Il cotone era conosciuto in Egitto e anche altrove, e al tempo della dominazione romana in Palestina si conosceva anche una specie di seta grezza locale. Sottili fili d'oro conferivano un tono lussuoso al tessuto, mentre vari colori erano ricavati da piante e animali: il rosso da un insetto, il giallo da un fiore, lo zafferano dallo stame del crocco e il porpora dai murici. La porpora di Tiro (Ez 27,16), rinomata per il suo colore, divenne un simbolo di regalità e ricchezza. Capelli e cosmetici Nell'Antico Testamento la capigliatura lunga di un uomo era segno di virilità, ma nell'epoca greca romana venne di moda il taglio dei capelli all'altezza delle spalle o anche più corti. Le donne erano orgogliose di portare i capelli lunghi, che spesso venivano intrecciati; ma nella Chiesa primitiva venivano ammonite di non spendere troppo tempo per le nuove acconciature elaborate, con masse di riccioli ottenuti usando ferri per arricciare e unguenti. I capelli grigi attiravano rispetto dovuto all'età e alla saggezza, ma alcune donne preferivano tingersi i capelli di rosso e di nero. Sembra che Erode Il Grande avesse i capelli tinti di alcanna. Gli uomini ebrei generalmente tenevano la barba lunga, però al tempo dei Romani potevano tagliarla con il rasoio di acciaio temperato, scoperto da poco tempo e molto costoso. Tra i cosmetici più comunemente usati c'era il trucco per gli occhi (2 Re 9,30), un preparato di antimonio, malachite verde o stibio mescolato con gomma arabica. Queste sostanze erano usate sia come cosmetici che come medicinali per la loro azione antisettica contro le infezioni degli occhi (frequenti in paesi dove abbondano le mosche). Attorno agli occhi spesso si tracciava un contorno nero per farli risaltare meglio, e le sopracciglia venivano scurite con una pasta nera. Alcuni passi della Bibbia - 11 - associano gli occhi truccati alle prostitute e alle donne di facili costumi (metaforicamente in Ger 4,30 e Ez 23,40). Il rossetto per le labbra era molto diffuso nell'epoca greca e romana, e si faceva uso anche di cipria per la faccia, di rossetto e di lacca per le unghie delle mani e dei piedi. Profumi, oli aromatici e unguenti erano usati come doni (Sap. 2,7), per uso personale (Ct. 1,13) e specialmente per le celebrazioni rituali, ai matrimoni e alle feste. Come si è formata la Bibbia? Inizialmente molti libri venivano raccontati a viva voce (tradizione orale). Poi numerosi scrittori, detti scribi, misero per iscritto gli avvenimenti affinché fossero ricordati in modo corretto senza fare confusione con le altre culture religiose pagane particolarmente diffuse in quei tempi. La sapienza della Bibbia risale quindi ad antiche tradizioni orali progressivamente messe per iscritto. Abbiamo osservato che la Bibbia è una raccolta di libri, diversi fra loro per autore, per la loro data di composizione, e per il loro genere letterario. La critica moderna ha avanzato l'ipotesi di uno sviluppo progressivo in circa 3 antiche edizioni risalenti a periodi diversi. La prima risale al periodo della monarchia dei re Davide e Salomone (dal 1000-900 a. C.) nel quale si formarono dei circoli religiosi che avrebbero fissato per iscritto alcune delle tradizioni orali più antiche del tempo. In quel periodo il nome ebraico per indicare Dio era Jahwèh. I primi scritti biblici si riferiscono molto probabilmente alle antiche norme di legge e potrebbero essere stati alcuni passi del Deuteronomio (7;18-19) assieme al testo dell'alleanza tra Dio e il popolo ebraico (Esodo 24; 34). Al genere letterario di tipo storico si accompagnò quello “sapienziale”, che raccoglieva le meditazioni degli antichi saggi sui temi della morte, della sofferenza, del lavoro e del peccato (Proverbi 10-22). Probabilmente era già stato scritto il codice yahwistico, un codice legislativo, cultuale e civile (esodo 34,10-26; cfr. Levitico 23). - 12 - Una seconda edizione, che amplia e approfondisce la prima, potrebbe essere stata quella dei rabbini di Israele (insegnanti della legge Mosaica) i quali raccolsero le loro tradizioni nel presunto documento detto elohistico (che deriva da Elohim, un altro nome ebraico per indicare l'unico Dio Jahweh), parallelo e concorde con quello Jahwistico. La pericolosa influenza politeistica provocò la nascita del profetismo che mise per iscritto gli oracoli di Jahweh e la predicazione. Doveva essere affidata ai posteri poiché il messaggio profetico fu dai contemporanei spesso disprezzato e deriso. La stesura di questi scritti è opera, in massima parte, dei loro seguaci. Sorsero così le cosiddette scuole dei profeti, attive dal secolo ottavo al terzo a.C. Nel 722 a.C gli Assiri conquistarono il Regno del Nord, tutto quanto si poté salvare del patrimonio religioso venne portato nel Regno del Sud, dando origine a una nuova edizione. Questo lavoro si protasse dal secolo ottavo fino al sesto a.C. ed il risultato fu una terza edizione della Bibbia (dopo quelle Jahwistica ed elohistica). Fu messa a punto la legislazione culturale (Esodo 25-31; 35-40; tutto il Levitico e una parte dei Numeri), fu elaborato l'inizio della Genesi: il famoso primo capitolo che canta la creazione in sei tempi (“giorni”) e uno di riposo. Dopo l'esilio babilonese, scribi diedero la forma definitiva ai libri dei profeti. L'Antico Testamento, così come lo conosciamo oggi, è la raccolta riveduta, ampliata ed approfondita di almeno tre edizioni di epoche diverse, la sistemazione finale risale a circa il quinto secolo a.C. Dalla giungla a Cristo Un primo esempio di lento progresso sociale e religioso dell'uomo è il passaggio delle tre leggi: da quella primitiva della giungla a quella di Mosè fino a quella di Gesù spesso incomprensibile secondo la logica dell'orgoglio umano. - 13 - La legge della giungla è quella del più forte. La ragione è sempre del più forte ed egli può permettersi ogni diritto sui più deboli. Ancora oggi vige questa legge primitiva, soprattutto durante le guerre, ma anche nei rapporti sociali e internazionali e, se analizziamo bene, anche nelle compagnie di presunti amici, in modo particolare nei bambini, ma anche nei più grandi in modo più raffinato e diplomatico (es. il più potente economicamente o intellettualmente). Con Mosè si ha un passo in avanti, s'inizia a pensare “occhio per occhio, dente per dente”: è la dura legge del “taglione” . Chi commette il male deve riceverlo allo stesso modo, così come l'ha compiuto. Sembrerebbe una dura legge, in realtà è un grande passo in avanti. Non più sottomissione al più forte: ognuno ha il diritto di essere rispettato poiché, se non siamo uguali nella forza e nel potere, lo siamo nell'importanza di vivere. Siamo tutti importanti soprattutto quando non arrechiamo danni a qualcuno. Per la prima volta viene introdotta la persona del giudice affinché vengano rispettati i diritti del debole. A dire il vero, leggi molto simili erano già conosciute 500 anni prima della Bibbia nelle culture popolari vicine, lo testimonia il codice di Hamurabi, ma quelle introdotte da Mosè hanno l'originalità di essere legate alla giustizia di Dio. Infine abbiamo il terzo passaggio che è la legge di Gesù totalmente incomprensibile secondo i criteri normali della vita umana. E' la legge che urta il muro della riluttanza. E' quella di porgere l'altra guancia quando uno ti schiaffeggia. Avete compreso? Si tratta di porgere l'altra guancia a chi ti schiaffeggia, di regalare un mantello quando uno ti chiede solo la tunica, di pregare per i nostri “cari” nemici ed amarli, soprattutto se ci maltrattano e ci odiano. Tale messaggio è scritto nei Vangeli e poiché disturba la nostra immaturità umana di saper amare, merita di essere letto attentamente. - 14 - 2° incontro ( martedì 13 novembre) Il diluvio universale Note di curiosità Narra la Bibbia che la malvagità degli uomini continuò a crescere. Il Signore Dio di stancò così tanto che si pentì di aver plasmato l'uomo dalla terra al punto di arrivare a dire: “Sterminerò dalla terra l'uomo che ho creato: con l' uomo anche il bestiame…''. Fra tutti i figli pro-creati dall'uomo vi era un certo Noè, figlio di Lamech, il quale trovò grazia agli occhi del Signore, viene infatti descritto come un uomo giusto. Inizia da questo momento la famosa storia del diluvio universale che unisce in realtà due antichi racconti: uno appartenente alla tradizione yahwista (sigla J) e l' altro quello sacerdotale (sigla P). Molto probabilmente piuttosto che dei diluvi furono in realtà delle grandi alluvioni che sommersero la Mesopotamia e che furono particolarmente frequenti in epoche preistoriche. Alcune di queste alluvioni devono essere state molto catastrofiche se si conservò il ricordo per secoli al punto da distinguere la storia in due epoche: prima e dopo il diluvio. Anche l'antica epopea babilonese di Gilgamesh, sulla tavoletta numero 2, fa riferimento ad un diluvio. Tale mito è particolarmente interessante perché presenta numerose similitudini con la figura di Noè e racconta di un serpente che ruba l' “albero della vita''. Elementi conosciuti anche nella Bibbia. Gilgamesh e il Diluvio biblico Il mito di Gilgamesh è giunto a noi in frammenti di varia epoca: i testi più antichi sono del III millennio a.C. Nell' epopea, Gilgamesh è il re di Uruk, amico di Enkidu, un altro potente eroe. I due lottano per l'immortalità del loro eroismo. Poi - 15 - Enkidu muore e Gilgamesh, affranto dal dolore, vuole riportarlo in vita. Si pone in questo modo il problema dell' immortalità in senso concreto, ossia della lotta contro la morte stessa. Gilgamesh si mette alla ricerca dell'unico uomo che abbia potuto sfuggire alla morte: Utnapishtim. Tale personaggio è per noi particolarmente interessante perché è l' unico scampato ad un grande diluvio (secondo la versione babilonese). Anche qui si parla di un'arca di legno e di una colomba. Il rametto di ulivo in bocca alla colomba è un'originalità biblica. Il confronto va quindi con la figura biblica di Noè. Nel mito di Gilgamesh tale personaggio fu trovato dopo avventure di ogni genere e ottiene da lui solo un surrogato dell'immortalità, una pianta che ha il potere far ringiovanire. Si potrebbe dire una specie di “albero della vita” conosciuto anche nella Bibbia. La vera immortalità è soltanto quella degli dei. La pianta magica sarà rapita a Gilgamesh da un serpente, un altro elemento presente nella Bibbia. L'eroe resterà sconfitto dall'inevitabile morte. Due alluvioni in un solo racconto Le diverse forme letterarie sono molto divergenti da far dubitare che in realtà furono due i diluvi e non uno come spesso si pensa. Per soddisfare qualche curiosità ricordiamo le differenze dei due racconti “diluviani'' intrecciati tra di loro in un unico racconto biblico. · I versetti del racconto J presentano il diluvio universale in 40 giorni (cifra tonda per indicare “molti”) e affermano che la Terra ritorna asciutta dopo 40 più 3x7 giorni. Secondo i versetti del racconto P le acque salgono per 150 giorni e ne servono altrettanti per defluire. · I versetti J fanno apparire il diluvio come un potente acquazzone; in P addirittura il grande disco terrestre diventa così permeabile da far rifluire i due oceani - 16 - primordiali uno nell' altro. In pratica il grande abisso d'acqua sotterraneo fa salire l' acqua sulla terra facendo “scoppiare'' le sue fonti sorgive, mentre dal cielo si aprono le cateratte. Tale fenomeno sembra ricordare il ritorno del Caos acquatico prima della creazione. · Nei versetti J, Noè accoglie nell' arca sette copie per ogni specie di animali puri; in P solo una coppia di ogni specie di animali. · J suppone che gli uomini abbiano mangiato carne da sempre e quindi anche Noè con i suoi figli. In P cibarsi delle carni non è ancora permesso. (si ricorda che il culto sacrificale degli animali puri e la loro alimentazione viene istituito sul monte Sinai.) · P presenta Noè che riceve nell'arca un messaggio da Dio per indicargli quando potrà apparire la porta per uscire definitivamente. In J Noè viene a saperlo attraverso il suo buon senso, liberando fuori la colomba fino a quando è ritornata con un rametto di ulivo. Il diluvio nelle altre religioni Nella religione greca il mito del diluvio ha per protagonisti Deucalione e Pirra, coppia superstite di un diluvio mandato da Zeus per distruggere gli uomini dell' Età del Bronzo. Anche Deucalione, come Noè, si salva usando un' “arca” galleggiante sulle acque. In India ricordiamo Manu il mitico progenitore dell' umanità scampato al diluvio su un imbarcazione da lui costruita. Le leggi di Manu risalenti ai sec. II a.C. – II d. C., hanno come fondamento religioso elementi cosmogonici cioè sull'origine del cosmo. Brahma (la divinità postvedica che significa il creatore) appare il promotore dell'evoluzione cosmica con il titolo di Narayana, più tardi attribuito anche a Visnu. Gli compare l'idea dei cicli cosmici della durata di 4.320.000 anni. Ogni ciclo è messo in relazione a un Manu (“uomo primordiale” o - 17 - “prototipico”) particolare. Matsya (pesce) è la prima incarnazione (avatara) di Visnu, che sottoforma di pesce salvò Manu dal diluvio universale. Frequente nel buddismo è l'artistica raffigurazione dell'episodio in cui il “Re-serpente” dei Naga (mitiche creature acquatiche venerate in India come divinità secondarie) salva il Buddah dal diluvio scatenato da Mara, re dei demoni, ripiegando il proprio corpo in trono la figura del grande maestro. In Cina, Yù era il mitico sovrano cinese della leggendaria dinastia Hsia i cui 17 sovrani avrebbero regnato dal 2.205 al 1.766 a.C. Yù era un eroe culturale che avrebbe fatto defluire le acque di un diluvio. Cacciati i mostri che popolavano le paludi, sarebbe stato il promotore di una società agricola. Fra i Maya (America) nel mito del diluvio compare il dio Ek Chuah come distruttore dell'umanità. Il culto di tale dio era venerato, oltre che dai mercanti, dai piantatori di cacao che nel mese di Muan tenevano una cerimonia in suo onore. L'incisione che simboleggia il suo nome è il famoso occhio cerchiato di nero. Il primo arcobaleno Dopo la tempesta furibonda e il grande Diluvio Universale, la Bibbia presenta il primo arcobaleno. È sorto a squarciare le nuvole, quelle del buio più fitto dei peccati dell'umanità. Il cielo si è aperto, le ultime gocce hanno smesso di scendere. Il vento impetuoso si disperde lentamente fra i fiori dei campi. È rinata la vita! Speriamo migliore. Finalmente è arrivato un nuovo mattino, il primo sole, il primo abbraccio di felicità, il primo arcobaleno. Un raggio di sole ha riempito i cuori di un'umile famiglia. È la famiglia di Noè che sta ora passeggiando assorta nel giardino rifiorito del creato. È di nuovo iniziata la festa. Quell'arca era servita per tenersi aggrappati alle speranze di una futura vita migliore. Ora vediamo quell'arca allontanarsi lentamente fra i ricordi del nostro passato. Da dimenticare o da ricordare? Su quell' arca eravamo soli, isolati e a sperare, ma Dio non - 18 - dimentica le sue promesse di Salvezza, quelle che liberano l'uomo affinché sia più felice di amare. L'impegno umano di continuare a fare festa con il Creato e il suo Creatore è di nuovo ricominciato. Ce la farà l'uomo a mantenere questo impegno? Dopo che il diluvio ha “lavato'' le cattiverie umane, che nascono dall'orgoglio, è tempo di rendere lode a Dio, è tempo di ringraziamenti. Noè costruisce un altare e offre sacrifici a Dio con un ringraziamento per la sua misericordia. Dio promette che mai più alcun diluvio distruggerà l'umanità intera sulla terra. Il primo arcobaleno è segno e simbolo di questa nuova alleanza promessa da Dio. Un arco ponte che unisce il Cielo con la Terra: Dio e i nuovi esseri viventi; l'immenso con l'uomo fragile, caduco, effimero, polvere pesante. Se nel primo capitolo della Genesi la creazione inizia dopo il caos acquatico ora, dopo il diluvio cosmico, inizia una nuova umanità purificata con il caos del diluvio. Sem, Cam e Jafet sono i figli di Noè dai quali si svilupperà la nuova discendenza umana “purificata”. È interessante osservare che il nome ebraico dell'arca tebah si ritroverà nella Bibbia solo nel libro dell'Esodo per indicare la cesta con la quale Mosè fu salvato dalle acque del Nilo. Mosè è il famoso personaggio biblico ricordato per aver liberato il popolo di Israele dalla schiavitù d'Egitto. Tale liberazione viene descritta come se avesse attraversato il Mar Rosso: Un altro “caos” di acque che lava, purifica e libera dalla schiavitù del peccato. Molto probabilmente il popolo di Israele attraversò la zona paludosa chiamata il Mare dei Giunchi vicino ai laghi Amari. Anche il passaggio del simbolico Mar Rosso è in stretta all'analogia con i simboli del Diluvio Universale che “lava” e libera l'umanità. La torre di Babele I primi undici capitoli del libro Genesi sono ricchi di simboli e per comprenderne il messaggio occorre imparare a decifrarli. - 19 - Tuttavia per la prima volta nella Bibbia possiamo indicare con precisione una località nominata nel testo: la città di Babele. Ognuno di noi potrebbe visitarne i resti archeologici. Ciò che rimane dell'antica città è un campo di rovine situato a circa 100 km a sud di Baghdad in Iraq. Tra i resti di Babele ritroviamo perfino un luogo ove sorgeva una gigantesca torre su una bassa collina di macerie in mezzo ad un terreno paludoso. È stato tuttavia possibile ricostruirne l' aspetto originale: la torre sorgeva a mo' di piramide a sette gradini costruiti con mattoni d' argilla, esattamente come ci informa il racconto biblico. I mattoni furono utilizzati, fino ai giorni nostri, per costruire case e questa è una delle cause per cui la torre è stata completamente distrutta. Essa era alta esattamente quando l' ampiezza della sua base, visibile ancora oggi che misura 91,50 metri; altrettanto sarebbe stata alta la torre. Essa comunque non era la più alta del suo tempo. La torre appena descritta fu portata a termine dal re Nabucodonosor per il 580 a.C., il racconto biblico sembra risalire a circa 400 anni prima. È accertato che una torre più antica sorgeva nello stesso luogo e aveva una forma simile. Le torri venivano costruite per dar maggior gloria a Dio. Cosa racconta la Bibbia? Gli abitanti di Sennaar dissero:”Venite ,costruiamoci una città e una torre la cui cima tocchi il cielo …”.Avevano iniziato a costruire una torre altissima affinché fosse il simbolo dell'unità del loro regno. Eppure vi è qualcosa che agli occhi di Dio è malvagio ciò che si sono prefissi sarà loro possibile. Cosa? Il Dio biblico Jahweh,leggendo il loro cuore la presunzione e la superbia, li disperse confondendo le loro lingue. Il racconto della torre di Babele presenterebbe in tal modo la superbia sociale degli uomini contro Dio e il castigo della diversità delle lingue. - 20 - 3° incontro ( martedì 20 novembre ) Abramo e Sara Proposta indecente All'inizio della Bibbia si narra un episodio sconcertante, piuttosto scandaloso e pruriginoso della vita di Abramo. Si racconta che una volta, in un viaggio che il patriarca fece in Egitto con la sua sposa Sara, mentì al faraone dicendogli che ella era sua sorella, e che gli avrebbe permesso di sposarla. Queste sono le parole del racconto biblico: “Venne una grande carestia del paese (nella terra promessa, dove Abramo viveva) e Abramo scese in Egitto per soggiornarvi perché la carestia gravava sul paese. Ma, quando fu sul punto di entrare in Egitto, disse alla moglie: <<vedi, io so che tu sei donna di aspetto avvenente. Quando gli egiziani ti vedranno, penseranno: costei è sua moglie e mi uccideranno, mentre lasceranno te viva. Dì dunque che sei mia sorella, perché io sia trattato bene per causa tua ed io viva per riguardo a te.>>” (Gn 12,10-13). Effettivamente, quando Abramo entrò in Egitto, gli egiziani si accorsero che sua moglie Sara era molto bella, cosicché i funzionari del Regno si recarono dal faraone per rendergli conto della bellezza della donna. Fu così che essi la condussero al palazzo reale; grazie a Sara, il faraone trattò con riguardo Abramo, regalandogli pecore, mucche, asini, schiavi e schiave e cammelli. Iahvé si irritò per quello che il faraone e la sua famiglia fecero a Sara e castigò il Paese infliggendogli grandi piaghe. Allora il faraone mandò a chiamare Abramo e gli disse: <<”Che mi hai fatto? Perché non mi hai dichiarato che era tua moglie? Perché hai detto: E' mia sorella, così che io me la sono presa in moglie? E ora eccoti tua moglie: prendila e vattene”. Poi il faraone lo affidò ad alcuni uomini che lo accompagnarono fuori dalla frontiera insieme con la moglie e tutti i suoi averi>>. (Gn 12, 18-20). - 21 - Osceno come suo padre Il lettore che s'imbatte in questo episodio rimane piuttosto sorpreso e perplesso. È lecito domandare: com'è possibile che il patriarca Abramo, il nostro padre nella fede e uno dei più grandi esempi di vita che la Bibbia ci propone alla riflessione, abbia commesso un'azione di siffatta immoralità? Come possiamo prestare ammirazione nei confronti di un simile impostore? Se non ci scoraggiamo di fronte a tanto scandalo e continuiamo a leggere la storia di Abramo, il nostro stupore passerà ogni misura. Infatti, più oltre l'episodio che abbiamo letto, la Bibbia racconta come, in occasione di un altro viaggio che il patriarca fece, questa volta la città di Gerar, egli sia tornato a mentire riguardo al rapporto parentale con sua moglie, e l'abbia impudentemente messa tra le mani del re Abimelech (Gn 20,1 – 18). I tanti cattivi esempi prestati da quest'uomo a chi gli stava attorno, prima o poi avrebbero finito per influenzare la condotta morale del figlio. Tant'è che non ci stupisce affatto scoprire che, poco tempo dopo, Isacco commise lo stesso orrendo peccato del padre Abramo: ci riferiamo a quell'occasione nella quale il giovane presentò sua moglie Rebecca al re di Gerar come se fosse sua sorella consegnandogliela in sposa senza mezzi termini (Gn 26,1 -11). Valori che prima vigevano Perché la Bibbia tollera che il patriarca Abramo, modello di tutti i credenti, esimio esempio di virtù religiosa e il più celebre antenato del popolo di Israele, abbia mentito in un modo così svergognato e che Dio nemmeno lo punisca, quanto meno lo rimproveri? E come è possibile che Libri sacri come quelli che la Bibbia ci propone alla lettura conservino tradizioni così indecenti e poco edificanti, che, più che istruire, scandalizzano anche il più inveterato peccatore? - 22 - Per rispondere a queste due domande dobbiamo innanzitutto tener conto che, molte cose che a noi oggi risultano sgradevoli o scabrose, non sortivano lo stesso effetto al tempo in cui risalgono i fatti narrati nella Bibbia. D'altro canto, ben sappiamo che ogni nazione vanta un profondo orgoglio verso i propri antenati e che non nasconde la cura e la devozione nei confronti delle tradizioni che fanno riferimento ai padri. Se il popolo di Israele ha confermato nei secoli la sua venerazione nei confronti di Abramo e di Isacco e ha conservato gelosamente e con cura meticolosa la memoria orale e scritta di questi episodi, è perché di certo essi non hanno mai ferito la sensibilità del popolo. La pesante croce della condizione femminile Oltre all'usanza della “sposa-sorella” dobbiamo tenere conto di un secondo elemento della cultura di quei tempi: la donna non godeva della stessa dignità e della stima che oggi la società le riconosce senza dubbio in ogni ordine e grado. In quel tempo, la donna era quanto meno una proprietà del marito, un “oggetto”, o un bene, come tanti e fra tanti che gli appartenevano, e del quale egli poteva disporre nella più ampia libertà. Un esempio di questo principio di regolazione di rapporti tra marito e moglie si riscontra con una certa facilità nell'elenco dei dieci comandamenti, tra i quali leggiamo: “Non desiderare la casa del tuo prossimo. Non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo” (Es 20,17). Come a dire che, tra i beni di appartenenza di un uomo, la moglie era considerata alla stessa stregua degli animali e degli oggetti di costui. Senza che vi fosse alcunché di riprovevole, un uomo poteva perciò avere diverse spose, dal momento che queste servivano per ingrandire il suo podere e il suo patrimonio nella stessa misura con la quale un gregge poteva assicurare il cibo ed il mantenimento del clan. Ci accorgiamo senza ombra di dubbio che il rapporto matrimoniale di quei tempi è piuttosto lontano dall'espressione - 23 - romantica e delicata che oggi riscontriamo ancora nelle coppie di fidanzati e di sposi. La Bibbia offre diversi esempi della scarsa stima che allora si aveva per la donna, soprattutto se ella veniva posta di fronte ad altri valori, considerati molto più importanti. Dio capisce le paure Il risultato di questa revisione fu che gli agiografi scrissero una nuova versione del racconto, secondo la quale, quando Abramo si reca in Egitto e presenta sua moglie Sara come sua sorella, non lo fa per vantarsi del suo elevato rango sociale ma per timore che lo uccidano per rubargliela. L'atteggiamento di Abramo, dunque, viene così giustificato dal difficile momento che gli toccava vivere in un Paese straniero ed ostile, verso cui era stato costretto a recarsi a motivo della fame e della precaria condizione in cui il suo clan versava in quel momento della sua storia. In questo modo, l'antico racconto del patriarca Abramo, che inizialmente cercava di spiegare l'importanza della sua posizione nella scala sociale, acquisì una lettura diversa nel nuovo racconto rispetto alla precedente: adesso si proponeva di insegnare che anche quando l'uomo con le sue paure, negligenze e abbandoni, sembra mettere in pericolo il piano che Dio ha per l'umanità, Dio veglierà sempre affinché il progetto trovi compimento e giunga a buon fine. Perché non dobbiamo avere paura A causa di una grave siccità, Abramo dovette abbandonare la sua patria e viaggiare attraverso l'Egitto alla ricerca di una condizione di vita migliore. Non appena egli giunse nel Paese del Nilo, il timore invase il suo cuore; si rese conto di essere debole, piccolo e indifeso, di essere appena il capo di un insignificante gruppo di pastori, lontano dalla sua terra e dai suoi amici, di essere solo e indifeso in mezzo a un mondo ostile e troppo - 24 - diverso dalla sua cultura. Allora ebbe anche paura di morire, perciò, spinto dalle circostanze, ideò uno stratagemma che ritenne il più adeguato (anche se assurdo secondo il nostro modo di pensare): quello di barattare la sua sposa per trovare una soluzione alla sua drammatica esperienza di abbandono. Che cosa fece Dio di fronte a questo espediente che noi riteniamo meschino e riprovevole? Non fece alcun rimprovero al povero Abramo: perché Dio ebbe comprensione di quel gesto, e si mosse a pietà. Sapeva bene che Abramo era spaventato e pieno di angoscia e per questo non gli rimproverò nulla si scagliò invece contro il faraone e contro la sua famiglia, contro quel re potente che aveva ridotto in una situazione così difficile e mendace il pover'uomo, fino al punto da obbligarlo a consegnare la moglie oltre ogni ragionevole impedimento morale. Dio mostrò in tal modo ad Abramo che era accanto a lui come protettore ed amico nei suoi difficili momenti. Nessun uomo forte poteva avere la meglio sul suo protetto finché egli fosse stato al suo fianco, per tutelarne l'integrità allo scopo di garantirgli una posterità senza precedenti. Tutti abbiamo le nostre paure quelle che ci minacciano, quelle che ci angosciano e quelle che talvolta ci mettono persino in situazioni tanto imbarazzanti, fino al punto da sentirci obbligati ad agire in modo sconveniente e poco lecito. Il racconto di Abramo, in verità, è una denuncia contro i responsabili di queste paure, contro i potenti di questo mondo che, per mezzo del timore e dell'intimidazione, cercano di approfittare di quelli che hanno fame in ogni modo, per spogliarli dei loro beni più intimi e cari. Dio è però sempre presente in difesa dei deboli, ed avverte i potenti, che usano la vessazione come arma di ricatto, che egli prende posizione in favore dei poveri e degli umili, e che i suoi piani non conoscono ostacoli al compimento e al capovolgimento della storia oltre ogni aspettativa umana. - 25 - 4° incontro ( martedì 27 novembre ) Il Pentateuco (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio) 1. Cenni alle tradizioni sacerdotali jahviste ed elohiste Chi ha scritto il Pentateuco? La domanda più impegnativa riguardo al Pentateuco è sempre stata quella sull' autore e sull' epoca in cui questi cinque libri sono stati scritti. Gli antichi maestri ebrei, attribuivano la sistemazione del materiale, che adesso troviamo raccolto nella Torah, a un sacerdote vissuto alla fine del V sec. a.C. di nome Esdra dal quale prende il nome anche un libro della Bibbia. Gli studiosi moderni ritengono che il Pentateuco ricevette la sua sistemazione attuale per opera di sacerdoti che lavorarono dopo l' esilio in territorio babilonese, mettendo in ordine testi più antichi e aggiungendo del materiale loro. L' opera di questi sacerdoti, che forse iniziò già durante l' esilio babilonese nel VI sec a.C., viene abitualmente indicata come tradizione sacerdotale. Che i materiali raccolti siano diversi si vede, per esempio, dal fatto che abbiamo i primi due capitoli della Genesi due racconti della creazione: 1,1-2,4a e 2, 4b-25. Il cap. 1 appartiene alla tradizione sacerdotale (indicata con la sigla “P” da “priest, sacerdote”), il secondo capitolo alla tradizione jahvista (indicata con la sigla “J” dal nome di Dio, Jhwh). Anche nel racconto del diluvio troviamo presenti due tradizioni, quella sacerdotale (P) e quella jahvista (J). Quando nelle storie dei patriarchi troviamo genealogie o itinerari sintetici delle tappe di un viaggio, dati sull'età di un personaggio, oppure testi di tenore giuridico, come il contratto per l' acquisto della tomba per Sara in Gen 23, possiamo essere certi di leggere brani della tradizione sacerdotale o (P). Naturalmente i sacerdoti erano ancor più interessato alle leggi, a quelle sul culto in - 26 - particolare, per cui possiamo dire che quasi tutto il Levitico e gran parte di Numeri sono testi della tradizione sacerdotale, nei quali troviamo un gran numero di norme che sono state via via aggiornate. Quasi tutti i racconti esistevano già e, in genere, gli autori della tradizione sacerdotale si sono limitati a trascriverli, con qualche ritocco. Anzi, probabilmente esisteva già da secoli – qualcuno dice addirittura dai tempi di Salomone, altri da quelli di Ezechia – una storia organica, cioè una vera e propria opera letteraria che raccontava le vicende dei patriarchi, di Mosè con l' epopea dell' esodo dall' Egitto e del deserto fino alle soglie dell'insediamento nella terra promessa o, secondo alcuni, anche oltre, fino agli inizi della monarchia. Si tratta della tradizione jahvista che i redattori della tradizione sacerdotale si sarebbero limitati a riprodurre interrompendola o modificandola, quando è necessario, per inserire armonicamente il loro materiale. Gli autori della tradizione jahvista unificarono le antichissime memorie su Abramo e Giacobbe inserendo con chiarezza nei momenti più significativi il richiamo alla promessa divina sia di una numerosa discendenza sia del futuro dono della terra. La tradizione jahvista ha una visione molto positiva del cammino della storia. Conosce la debolezza umana ma è convinta che la benedizione divina darà sicurezza di vita al popolo e, proprio grazie a questa sicurezza, la fede si rafforzerà. È necessaria però una fede incontrollabile nella promessa e non si deve cercare di anticipare i tempi di Dio, come invece Abramo quando volle un figlio da Agar. La tradizione jahvista è anche particolarmente attenta alla psicologia femminile ma il suo interesse per le nozze e la maternità è soprattutto motivato dalla convinzione che in questa fase iniziale della storia la benedizione si concretizza soprattutto nel dono di una discendenza numerosa, forte, decisamente attaccata alla vita e alle tradizione dei padri. Probabilmente alla fine del sec. VIII confluisce nel racconto Jahvista nato nel sud una serie di brani che vengono attribuiti alla tradizione detta elohvista perché non usa il nome divino Jhwh prima che esso sia rivelato a Mosè nel roveto (ES 3,14) ma quello più generico di Elohim, “Dio”. Questo filone sottolinea di più il dovere della fedeltà interiore al comandamento di Dio. Un brano significativo è forse quello dove si racconta la prova di Abramo, chiamato ad offrire a Dio il suo unico figlio Isacco. La - 27 - fede e l'obbedienza sono i grandi valori che le due tradizioni, quella jahvista e quella elohista continuano a insegnare anche a noi. Un discorso a parte merita il libro del Deuteronomio, dove le tracce della tradizione jahvista, elohista e sacerdotale sono molto limitate (se non del tutto assenti. Si veda in merito l'introduzione al libro del Deuteronomio). 2. Il Deuteronomio Infelicemente intitolato Deuteronomio, “seconda legge”, dall'antica tradizione greca detta dei Settanta, il quinto libro della Bibbia – che sigilla il Pentateuco o Torah o legge - sarebbe meglio definito con il titolo ebraico, Debarim, “parole, discorsi”. Nonostante la sua connessione con la trama narrativa del Pentateuco, il Deuteronomio si presenta come un'opera autonoma, in sé compiuta, costruita su tre grandi discorsi di Mosè (cap. 1-4; 5-28; 29-30), conclusi da una serie di testi riguardanti questa celebre guida dell'esodo e la sua morte. Il libro rivela, infatti, un suo linguaggio particolare, segnato da una calorosa partecipazione: “Ascolta, Israele… Il Signore tuo\nostro\vostro Dio (più di 300 volte)… Amare il Signore… Con tutto il cuore e con tutta l'anima… La Terra in cui entrate per prenderne possesso… Camminare nelle vie del Signore… Temere il Signore”. Ma in filigrana si riesce anche a intravedere un altro schema su cui il Deuteronomio viene ordinato. È quello dei cosiddetti tratti di alleanza. Si comincia evocando gli atti di liberazione e di salvezza compiuti dal Signore per il suo popolo (cap. 1-11); si prosegue con la carta dei doveri di Israele (cap. 1226); si conclude con le benedizioni si e maledizioni in caso di fedeltà o di ribellione alla legge del Signore (cap. 27-30). Il vocabolario predilige i termini dell'elezione, dell'amore, dell'insegnamento divino (in ebraico Torah), del paese donato, dell'identificazione di Israele come “popolo del Signore” e della presentazione del Signore come “Dio di Israele”. Un'opera che tocca il cuore, che celebra la libera scelta della volontà di Dio, che esalta un Dio vicino a Israele, “il più piccolo di tutti i popoli della Terra”, ma eletto dal Signore per amore. - 28 - Il Deuteronomio si proponeva un profondo rinnovamento del popolo all'insegna di un ritorno all'autenticità degli ideali delle origini. Quest'obiettivo portò gli autori ad assumere e reinterpretare le antiche tradizioni che apparivano caratteristiche della storia e della fede di Israele. Il libro fu probabilmente composto in Giuda, a Gerusalemme. Progettato forse al tempo del re Ezechia, esso poté essere prolungato solo durante il regno di Giosia (640-609 a.C.) come espressione dell'unità di tutto il popolo del Signore nel vincolo dell'alleanza. Premessa: il Deuteronomio è uno dei cinque libri del Pentateuco; è una sintesi dell'intera LEGGE che si trova sparsa in tutta la TORAH. A. Contenuto Il Deuteronomio è il quinto e ultimo libro del Pentateuco. Rappresenta una specie di ponte tra i primi avvenimenti dell'esistenza di Israele (e del mondo) e ciò che avviene dopo la sua entrata nella Terra Promessa di Canaan. In quanto tale, il libro guarda in due direzioni: ricorda gli eventi passati che hanno portato Israele fino alla fine delle regione che avrebbe reclamato come sua eredità, e guarda in avanti alla vita che Israele dovrà condurre una volta in possesso della regione. Narra inoltre come Mosè, il grande condottiere, terminò i suoi giorni di guida del popolo e scomparve dalla scena lasciando le redini a Giosuè. Il Deuteronomio è una reiterazione delle leggi e normative che il popolo aveva già ricevuto nel deserto; la maggior parte del suo contenuto si trova già negli altri libri del Pentateuco. Le differenze nella nuova formulazione delle leggi non sono sostanziali, si limitano a porre un nuovo accento sul genere di vita che il popolo è chiamato a condurre. b. Spunti teologici Dal punto di vista teologico, nel Deuteronomio spiccano tre - 29 - elementi. Primo, viene sottolineata l'importanza del ricordo del passato. Dobbiamo guardare indietro per ricordarci di dove siamo venuti e capire meglio dove siamo diretti. Se abbiamo commesso errori, non dobbiamo ripeterli; se ci siamo comportati bene, dobbiamo continuare sulla stessa strada. Secondo, viene posta nuova enfasi sull'importanza della legge di Dio. Queste norme ci sono state date non perché fossero un peso, ma per aiutarci. Dio è essenzialmente ordinato e ha predisposto le cose in modo che anche la nostra vita sia ordinata. Obbedire a Dio è la cosa migliore: egli sa cos'è meglio per noi e ci ha mostrato come vivere. Terzo, viene nuovamente sottolineata l'importanza di conoscere Dio e di rendergli il culto dovuto. C'è un solo Dio padrone del cielo e della terra, e deve essere adorato. Il fatto meraviglioso è che Dio non solo acconsente di essere adorato, ma lo desidera. L'atto più grande che una persona possa compiere è quello di prostrarsi in adorazione a Dio. Diretta conseguenza è il servizio nei confronti del prossimo. 3. Postilla riguardante il Nuovo Testamento Sette e partiti nella Palestina del Nuovo Testamento: Religiosi · •Farisei: Era la setta ebraica detentrice del potere religioso in Palestina ai tempi del ministero di Gesù. Questi <<separati>> sostenevano che la minuta precisazione della legge dettata da loro aveva la stessa autorità della legge mosaica e che la loro stretta osservanza di queste tradizioni, li rendeva l'unica categoria di giusti al mondo. •Sadducei: Setta ebraica costituita principalmente da sacerdoti. Questi <<giusti>> sostenevano che la legge mosaica era l'autorità suprema e che - 30 - •Esseni: nessuna legge orale o tradizioni poteva reggere il confronto con le Scritture. In polemica con i Farisei, essi negavano la risurrezione e l'esistenza degli angeli e degli spiriti (At 23,8). Setta ebraica i cui appartenenti conducevano una vita analoga alla vita monastica del Medioevo. Nelle loro comunità isolate questi <<devoti>> o <<santi>> cercavano la purezza ideale e la comunione divina praticando la mortificazione, la temperanza, il lavoro manuale (agricoltura) e la contemplazione. Politici •Erodiani: Setta composta da Ebrei che accettavano la sottomissione al governo di Roma e alla politica imperiale. Questi Ebrei erano convinti che Erode fosse l'ultima speranza per Israele di mantenere una sembianza di indipendenza e di governo nazionale. •Zeloti: Setta radicalmente nazionalista il cui grido di battaglia era: <<nessun Signore all'infuori di Yahvè, nessuna tassa all'infuori di quella del Tempio, nessun amico all'infuori degli Zeloti>>. I suoi membri accompagnavano la pratica religiosa dei Farisei con un odio profondo per ogni tipo di governo non ebraico. •Galilei: Setta i cui membri sostenevano che il controllo straniero su Israele era contro le Scritture e perciò si rifiutavano di riconoscere e di ossequiare governanti stranieri. Data la loro affinità politica con gli Zeloti, i Galilei finirono per fondersi con questa setta. Sociali •Scribi: Categoria di uomini incaricati di copiare, insegnare e spiegare la legge. Essi sostenevano - 31 - l'autorità della tradizione orale al pari dei Farisei. Come maestri della legge, ricoprivano un ruolo importante nella società ebraica e inoltre svolgevano la funzione di giudice e di avvocato, basando i loro verdetti sulla legge di cui erano maestri. •Nazirei: Ebrei che facevano voto di segregazione, per un periodo limitato o per tutta la vita. Riconoscibili perché facevano voto di non tagliarsi mai i capelli, i Nazirei si segregavano dal resto della popolazione per poter essere più vicini a Dio e per denunciare la condizione peccaminosa della nazione. •Proseliti: Non-Ebrei convertiti al giudaismo. Essendo stati circoncisi, i Proseliti erano considerati innestati nella famiglia di Abramo e come tali erano tenuti all'osservanza della legge. •Pubblicani: Ebrei al servizio del governo romano in qualità di esattori delle tasse. La loro disponibilità a lavorare per il governo straniero era considerata una mancanza di lealtà verso Israele e una propensione alla promiscuità con i Gentili. - 32 - 5° incontro ( martedì 4 dicembre ) I Patriarchi I patriarchi furono i principali antenati degli israeliti. La nazione d'Israele è nata dai figli di queste “figure paterne”. Le testimonianze archeologiche di cui disponiamo collocano i patriarchi di Israele – Abramo, Isacco e Giacobbe – nell'ambiente culturale della Mesopotamia, all'incirca tra il 2000 e il 1200 a.C. .Le storie dei patriarchi che si trovano nel libro della Genesi spesso sono chiamate i racconti patriarcali, perché quei personaggi hanno costruito il fondamento della storia successiva della nazione. Abramo Gli ebrei considerano Abramo il principale destinatario delle promesse che Dio ha fatto al suo popolo e questo fa di lui l'incontrastato “padre della nazione ebraica”. Abramo o Abram, come si chiamava originariamente, è vissuto nei primi secoli del secondo millennio a.C. nell'età media del bronzo. Quando Dio lo chiamò, gli promise una terra con molti discendenti e un grande nome, e predisse che sarebbe diventato una benedizione per molta gente. Abramo e sua moglie Sara erano molto vecchi quando vennero fatte queste promesse e avevano passato di gran lunga il normale periodo di fertilità. Ciò nonostante, Sara rimase incinta e diede alla luce il loro figlio Isacco. Essi hanno attribuito questo fatto incredibile alla benevolenza e al potere di Dio, ma la prova suprema della fede di Abramo si ebbe quando Dio gli ordinò di offrirgli come sacrificio umano suo figlio Isacco. La fiducia e la convinzione di Abramo che Dio avrebbe provveduto a presentargli qualcosa di alternativo da sacrificare e avrebbe - 33 - risparmiato Isacco ha fatto di lui il più alto esempio di fede e fiducia in Dio che c'è nella Bibbia. Isacco Isacco era il figlio della promessa fatta da Dio ad Abramo ed a Sara. Il nome significa “egli ride” e si riferisce al fatto che i suoi genitori si sono messi a ridere quando hanno sentito che avrebbero avuto un figlio alla loro età. Isacco nell'Antico Testamento è una figura alquanto in ombra, posta tra Abramo e Giacobbe. Il rispetto maggiore se l'è guadagnato nei suoi momenti più passivi: quando stava per essere sacrificato e quando i suoi genitori gli hanno procurato una moglie. Giacobbe Con i suoi dodici figli Giacobbe è diventato il capo stipite delle 12 tribù di Israele, che sono state il fondamento della nazione. Gran parte della sua vita è stata travagliata da problemi famigliari: ha ingannato suo fratello Esaù privandolo del diritto di primogenitura e ha mostrato favoritismi per i suoi due figli più giovani, Giuseppe e Beniamino. Giacobbe morì in Egitto, ma fu sepolto nella terra promessa di Canaan a riconoscimento finale della sua fede in Dio. La promessa fatta da Dio ad Abramo che egli sarebbe stato il padre di una grande nazione cominciò a trovare compimento per mezzo di Giacobbe. Ed ora veniamo alla lettura e alla riflessione di due passi della s.scrittura concernenti il libro del Deuteronomio. Faremo alcune applicazioni culturali ne trarremo insegnamenti (Deut 6,2-6) Mosè parlò al popolo dicendo: “Temi il Signore tuo Dio osservando per tutti i giorni della tua vita, tu, il tuo figlio e il figlio del tuo figlio, tutte le sue leggi e i suoi comandi che io ti do e così sia lunga la tua vita. Ascolta, o Israele, e bada di metterla in pratica; perché tu sia felice - 34 - e cresciate molto da numero nel paese dove scorre il latte e il miele, come il Signore, Dio dei tuoi padri, ti ha detto. Ascolta, il grande Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore”. (1 Re 17, 10-16) Elia si alzò e andò a Zarepta. Entrato nella porta della città, ecco una vedova raccoglieva la legna. La chiamò e le disse: “Prendimi un po' d'acqua in un vaso perché io possa bere.'' Mentre quella andava a prenderla, le gridò: “Prendimi anche un pezzo di pane”. Quella rispose: “Per la vita del Signore tuo Dio, non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un po' di olio nell'orcio; ora raccolgo due pezzi di legno, dopo andrò a cuocerla per me e per mio figlio, la mangeremo e poi moriremo”. Elia le disse: “Non temere; su, fa come hai detto, ma prepara prima una piccola focaccia per me e portamela; quindi ne preparerai per te e per tuo figlio, poiché dice il Signore: La farina della giara non si esaurirà e l'orcio dell'olio non si svuoterà finche il Signore non farà piovere sulla Terra”. Quella andò e fece come aveva detto Elia. Mangiarono essa, lui e il figlio di lei per diversi giorni. La farina della giara non venne meno e l'orcio dell'olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunziata per meglio di Elia. - 35 - 6° incontro ( martedì 11 dicembre ) I Profeti Come abbiamo fatto in precedenza, scegliamo qualche passo degli scitti dei profeti, cercando di ricavare insegnamenti ed applicazioni per noi Isaia (Is 40, 1-5.9-11) “Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridate che è finita la sua schiavitù, è stata scontata la sua iniquità, perché ha ricevuto dalla mano del Signore doppio castigo per tutti i suoi peccati”. Una voce grida: “Nel deserto preparate la via al Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia colmata, ogni monte e colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in pianura. Allora si rivelerà la gloria del Signore e ogni uomo la vedrà, poiché la bocca del Signore ha parlato”. Sali su un alto monte, tu che rechi liete notizie in Sion; alza la voce con forza, tu che rechi liete notizie in Gerusalemme. Alza la voce, non temere; annunzia alle città di Giuda: “Ecco il vostro Dio! Ecco, il Signore Dio viene con potenza, con il braccio egli detiene il dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e i suoi trofei lo precedono. Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul seno e conduce pian piano le pecore madri”. Geremia (Ger 31,31-34) - 36 - “Ecco verranno giorni ? dice il Signore ? nei quali con la casa di Israele con la casa di Giuda io concluderò un'alleanza nuova. Non come l'alleanza che ho conclusa con i loro padri, quando li presi per mano per fargli uscire dal paese d'Egitto, una alleanza che essi hanno violato, benché io fossi loro Signore. Parola del Signore. Questa sarà l'alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo. Non dovranno più istruirsi gli uni e gli altri, dicendo: riconoscete il Signore perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore; poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato”. E fra i libri sacri: gli SCRITTI (Ketûbim) meditiamo anche Daniele (Dn 7,13 - 14) Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco apparire, sulle nubi del cielo, uno, simile a un figlio di uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui, che gli diede potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano; il suo potere è un potere eterno, che non tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto. (Dn 12,1 - 3) Or in quel tempo sorgerà Michele, il grande principe, che vigila sui figli del tuo popolo. Vi sarà un tempo di angoscia, come non c'era mai stato dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro. Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si - 37 - risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l'infamia eterna. I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre. - 38 - 7° incontro ( martedì 15 gennaio ) I dieci comandamenti Premessa: Qualcuno si chiederà perché ho voluto sviluppare una sintetica riflessione sui dieci comandamenti non partendo dall'Esodo in cui si narra che Mosè, disceso dal Monte Sinai, ordinò, nel nome di Jaweh, i dieci comandamenti. La risposta è molto semplice: leggete quel capitolo (ES 20,1-17) e vi accorgerete che le dieci “formulette” spesso imparate a memoria nel catechismo, in realtà sono ricavate da un lungo discorso con ulteriori dettagli spesso sconosciuti. In realtà, nell'Antico Testamento i dieci comandamenti appaiono in due versioni: quella dell'Esodo e quella del Deuteronomio (Cap. 5, 6 – 21). Le due versioni presentano lievi, ma importanti varianti; ad esempio il Deuteronomio afferma che il discorso ha avuto luogo nei pressi del Monte Horeb (Sinai?), e antepone la donna agli animali e alla casa, mentre l'Esodo la classifica fra questi. Tralasciamo le lunghe ipotesi esegetiche di tale particolarità biblica e riflettiamo, invece, su quello che Gesù insegna riguardo i dieci comandamenti. L'evangelista Matteo narra che un giovane pose a Gesù una di quelle domande che potrebbero disturbare: “Come ottenere la vita eterna?” Nell'Antico Testamento la vita eterna non è intesa come quella che si ottiene dopo la morte, ma la vita vera, quella che “dura sempre” ed è degna di essere vissuta perché rende l'uomo contento di vivere. Non si parla, quindi, del paradiso “celeste”, ma di come si può essere felici di vivere soprattutto sulla terra, e per sempre! Secondo voi come si può raggiungere la massima felicità terrena? Gesù rispose che se vogliamo essere uomini veri, abbiamo già a disposizione dei comandamenti e proprio su quelli, Gesù, il Figlio di Dio, ignora i primi, quelli religiosi, quelli che ordinano di - 39 - santificare Dio. Il carpentiere Gesù di Nazareth non finisce di stupire! La Religione è un'insieme di atti religiosi da fare? È un elenco di azioni da non fare? Dio ha bisogno di essere solo santificato? Secondo Gesù, no. La religione non è semplicemente Pater, Ave.. e Gloria, ma un “vieni e seguimi”. Secondo l'antica legge di Mosè i dieci comandamenti seguivano il seguente ordine: 1. amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore…, non avrai altri dei di fronte a me, non ti farai alcuna immagine… ; 2. il nome del Signore è Santo (non bestemmiare); 3. santifica il Sabato fatto per l'uomo. Il quarto e i successivi sarebbero stati nel seguente ordine tradizionale: 4. onora tuo padre e tua madre; 5. non uccidere; 6. non commettere adulterio; 7. non rubare; 8. non pronunciare falsa testimonianza; 9. non desiderare la donna d'altri; 10. non desiderare tutto quello che appartiene al tuo prossimo. I comandamenti di Gesù sono in realtà cinque e il sesto, completamente nuovo, è quello di amare il prossimo come se stessi. 1. Non uccidere! Un giorno incontrai un “vecchio” amico, Dott. Winfried Schibalski noto psichiatra che ha studiato attentamente per circa 25 anni i casi più drammatici di criminalità giudiziaria in alcuni paesi d'Europa: omicidi feroci contro i propri figli, atroci violenze sessuali con torture…; criminali che la società istintivamente vorrebbe consegnare subito alla pena di morte e senza ripensamento. - 40 - Dopo avergli consegnato da leggere in anteprima di stampa questo libro, mi invitò più volte nella sua villa. Un giorno lo andai a salutare, la conversazione con lui si fece lunga e molto interessante, quello che mi colpì maggiormente fu una frase che vi voglio consegnare per suscitare dibattiti. “Ho analizzato attentamente migliaia di casi umani orribili e atroci, ma non ho mai conosciuto dei mostri, solo persone orribilmente segnate nella loro infanzia o giovinezza (sottolineando a più riprese solo persone!). Nessun uomo nasce feroce, cattivo, violento, criminale, lo diventa a causa delle orribili esperienze nel suo più intimo gruppo di appartenenza. Nessuno impara ad amare se non si è mai sentito veramente amato e benevolmente accanto nell'intimo gruppo in cui appartiene! “ Di chi è la vera colpa di tante atrocità umane? Il problema principale sembra essere quello di riuscire ad imparare ad amare anche se non sempre ci si sente amati nell'intimo gruppo di appartenenza. Forse per imparare ad essere innamorati della vita potrebbe essere necessario valorizzare tutto quello che è essenziale, imparare a dare un nome ai nostri sentimenti, imparare a donarli. Ciò che è importante non è la bella immagine esteriore ma quelle risorse sentimentali che potrebbero essere presenti nel cuore di ogni uomo “velato” dall'orgoglio. L'origine di tutti i mali è l'orgoglio. Secondo questo brano evangelico il primo comandamento in assoluto, elencato da Gesù è, quindi, non uccidere. Che cosa può significare? Non uccidere è come affermare: “ama la vita!”. Se vogliamo essere uomini veri dovremmo amare tutto ciò che vive (piante, animali, uomini.. ), dovremmo essere innamorati della vita, soprattutto della vita degli uomini, non solo di quelli belli, simpatici, intelligenti, di buona famiglia, religiosi. E gli altri? Secondo Gesù occorre amare la vita di ogni uomo al di là di ogni ulteriore distinzione, anche di coloro che consideriamo moralmente cattivi. - 41 - 1 bis. La pena di morte Le affermazioni riportate nel paragrafo precedente dello psichiatra Schibalski ci conducono subito a riflettere sulla pena di morte. In certe situazioni di atroci criminalità chi sono i veri responsabili? L'uomo comune preferisce istintivamente colpire l'omicida mediante la pena di morte, in altre parole predilige uccidere la persona fisica senza minimamente preoccuparsi di come eliminare o “curare” le cause che hanno condotto quella persona a compiere gravi delitti. Davanti a certi insopportabili desideri di vendetta la ragione umana non è più controllabile, sembra non esistere. Nella Bibbia Caino, davanti alla sua insopportabile gelosia, preferì uccidere suo fratello Abele; davanti al giudizio di Dio rispose che non sapeva quello che aveva fatto! L'uomo è sempre libero di scegliere? Di chi è la vera colpa? La Bibbia risponde che Dio chiede ad ogni uomo: “Dov'è tuo fratello?” Ogni uomo, quindi, secondo la Bibbia, ha la responsabilità di essere custode di qualsiasi uomo. Ci si potrebbe chiedere se nel desiderio di vendetta messo in atto con la pena di morte vi sia nascosto anche il desiderio di cercare il “capro” espiatorio della società: colui che deve subire e pagare per tutti le colpe della società (le nostre indifferenze, i nostri silenzi e non “curanze”). Se in un palazzo condominiale vi è un appartamento con un genitore che maltratta orribilmente un figlio, quanti sono gli abitanti degli appartamenti vicini che si rivolgono al telefono azzurro o altro? Se quel bambino un giorno da adulto compirà un atto criminale, quanti saranno i veri colpevoli? Quanti gli augureranno la pena di morte? Forse i primi saranno coloro che abitavano vicino al suo appartamento. La pena di morte si trova in quasi tutti i codici dell'antichità e del - 42 - Medioevo, era applicata in una lunga serie di casi ed era spesso eseguita in modo crudele ed atroce: rogo, crocifissione, strangolamento, squarciamento, lapidazione, impiccagione, ghigliottina, etc. Purtroppo anche alcuni uomini della Chiesa terrena si sono macchiati, in quel periodo storico, di tale responsabilità. Nel ventesimo secolo la pena di morte viene eseguita mediante la sedia elettrica, la fucilazione, l'iniezione letale o la camera a gas (ricordiamo l'olocausto degli ebrei per l'intolleranza razziale). La pena di morte era ritenuta giusta e necessaria per dare sicurezza alla società, si riteneva che servisse come esempio capace di distogliere dall'intenzione di commettere gravi delitti. È proprio così? 2. Non commettere adulterio Nel nostro organismo abbiamo una preziosa energia che Freud ha chiamato libidine: le pulsioni sessuali. Essa è positiva perché è dono di Dio. Originariamente buono ma tale “energia” si può usarla per fare del male. Quando? Il dibattito è aperto. Esistono persone che si limitano a vedere solo una parte dell'uomo, non la sua storia, il suo volto, i suoi sentimenti. Sembra che alcuni vivono come se esistesse solo il modo primitivo di vita sessuale: l'orgasmo. Voi che ne pensate? È proprio vero? Quale significato ha assunto la parola amore nel linguaggio corrente della pubblicità? Perché? 3. Non rubare Tale comandamento è l'affermazione del diritto alla proprietà privata. Gesù insegna che dovremmo usare tutti i doni ricevuti, l'intelligenza, la forza, etc… per trasformare il creato. Come Dio ha creato il mondo anche l'umanità (sua immagine e somiglianza) dovrebbe continuare a creare e a trasformare il - 43 - mondo. Il carpentiere Gesù, prima di annunciare chi era e perché è “venuto” nel mondo, lavorava per guadagnarsi da vivere. Gesù era il figlio del “Principale” (Dio) eppure non è vissuto di rendita come i figli della borghesia. Non rubare significa che bisogna lavorare e meritarsi con le proprie fatiche il piacere della proprietà privata. 4. Non pronunciare falsa testimonianza Tale comandamento significa “ama la verità”. Per essere uomini liberi sembra necessario cercare la verità a tutti i costi; ciò che la nasconde è spesso nostro orgoglio, la paura di andare contro corrente e, per tale motivo, di essere rifiutati dalla società. Di solito si nasconde qualcosa che riteniamo brutto, vogliamo nascondere i nostri punti deboli. Possono esistere problemi che vogliamo assolutamente ignorare perché ci disturbano. Si preferisce stare con i propri simili, con lo specchio della nostra immagine, non con coloro che hanno già vissuto certe esperienze e possono porci delle domande incalzanti che ci mettono in discussione, ci inquietano. Non sopportiamo che qualcuno ci indichi le realtà per noi scomode; vogliamo dimenticare quella persona al più presto possibile, vogliamo liberarcene. Forse l'esempio che ora riporto non è elegante, ma dovrebbe dare bene l'idea. Ci comportiamo come gatti che “la fanno…, la annusano e poi la coprono per non vedere”. Questo comandamento considera molto importante essere se stessi. 5. Onora il padre e la madre Questo comandamento è quello più fastidioso per i giovani che desiderano, senza sacrifici, la totale indipendenza, la libertà, o altro. - 44 - Per alcuni giovani la famiglia può diventare un parcheggio, un albergo, un luogo per mangiare e dormire, per ottenere cose terrene: la “mancia”, i quattrini per andare a divertirsi, per acquistare la moto o l'automobile, o altro. Onorare i genitori significa fare del proprio meglio per stabilire un dialogo amichevole e sincero con loro. Nessuno ha scelto i propri genitori; da essi abbiamo ricevuto il dono di esistere, anche questo senza averlo scelto. Quando un genitore ha un carattere molto difficile, superbo, possessivo, orgoglioso, avaro, che fare? Per un insegnante non è difficile constatare che purtroppo esistono genitori che vivono come se non avessero figli e coniuge, oppure come se i figli fossero una loro proprietà assoluta. Esistono “padri” che si sentono tali solo perché non fanno mancare nulla di materiale alla famiglia, ignorando che la gioia dei familiari potrebbe essere maggiore donando loro beni “spirituali”: sentimenti e dialoghi amichevoli, non autoritari… A tale proposito ricordiamo: “i figli si comportano da figli solo quando i genitori si comportano da genitori e da marito e moglie”. Voi che cosa ne pensate? Quando i genitori si comportano realmente da genitori? Se un figlio nasce da genitori criminali, privi di sentimenti umani verso i figli, che cosa può significare per lui onorare i genitori? La parola ebraica onorare è vicina al significato di “curare”, prendersi cura, fare attenzione; perché i genitori, nonostante i loro eventuali numerosi difetti, ci hanno dato la possibilità di esistere e di realizzare un progetto d'amore. 6. Ama il prossimo tuo come te stesso “Vieni e seguimi” Infine Gesù usa due verbi imperativi: vieni e seguimi. Se vuoi essere uomo vero, compiuto e soddisfatto, devi metterti a servizio di un valore. Non è sufficiente essere felici, ma occorre avere un motivo per esserlo, non importa quale, politico, culturale, sociale, artistico, ecologico…, occorre un motivo, poi ti insegno come. - 45 - Come? Gesù rispose che “se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo.” Avete compreso cosa disse quel rivoluzionario carpentiere di Nazareth? Vendi il tuo motorino, la tua bella macchina, il vestito di marca e avrai un tesoro nei cieli. Udito questo, il giovane se ne andò triste, poiché aveva molte ricchezze. E noi? Come avremo reagito? Cosa penserebbero i figli della borghesia, quelli che vivono solo di rendita, di questo messaggio? E quelli che non sono figli della borghesia, ma che vivono come sognando di esserlo? Sono realmente i figli della borghesia? Voi che ne pensate? Il dibattito è aperto. (Quest'ultimo argomento sarà affrontato nel prossimo corso) - 46 - 8° incontro ( martedì 22 gennaio ) Difficoltà psicologiche della religiosità al giorno d'oggi Introduzione Può capitare che certi comportamenti apparentemente molto religiosi in realtà non siano il frutto di una scelta libera, ma siano legati a esigenze psicologiche anch'esse importanti nella vita. Può capitare che una parte della psiche (es. l'affetto), per cause storico-ambientali e soprattutto familiari, possa essere disturbata nel suo cammino di crescita e “fissarsi” ad un livello immaturo. A volte potrebbe capitare che il cambiamento da una religione a un'altra sia il bisogno di opporsi alla religione dei genitori. Alcuni possono trovare nella religione qualche inconsapevole soluzione ai loro problemi psichici. In un individuo infantilmente “fissato” su qualcosa vi potrebbe essere il segno di un arresto nello sviluppo psicoaffettivo. Anche il comportamento religioso potrebbe dipendere da tali difficili esperienze affettive. L'immaturità psicologica potrebbe ostacolare la serena crescita affettiva verso la maturità religiosa: la gioia di amare Dio anche nelle persone difficili. Il Dio del depresso Un certo grado di malinconia può essere un normale turbamento dell'umore, che scade nella depressione quando non è più possibile ripristinare l'equilibrio affettivo di cui ogni persona ha bisogno per vivere. - 47 - Accanto alla tristezza, alla poca stima di sé, al disinteresse e alla scarsa capacità di iniziativa, sono spesso presenti nel depresso sentimenti di insicurezza, senso di indegnità, irrequietezza, ansia; quasi costanti l'insonnia (risvegli precoci), la diminuzione del desiderio sessuale, l'affaticabilità; frequenti i disturbi come il mal di testa, le vertigini, il vomito o altre turbe funzionali, comprese quelle cardiovascolari. Spesso, specie nelle forme più gravi, si presentano fantasie autolesive che possono sfociare in tentativi di suicidio. Insomma il depresso è decisamente una persona che sta molto male moralmente e fisicamente. Non si può rimanere indifferenti davanti al suo malessere! I depressi hanno spesso uno schema molto rigido nel vedere la realtà. La psicologia dl comportamento religioso consiglia di stare attenti a non cadere nella trappola della commiserazione spirituale . Il Dio del depresso è spesso quello della croce, un Dio che dona per poi togliere e che sembra privilegiare sempre e solo gli altri. L'educatore spirituale dovrebbe avere la capacità di favorire preghiere di respiro ampio e universale, che non consistano nella contemplazione delle proprie miserie. Il Dio delle personalità passive. I passivi sono quegli individui che aspettano che gli avvenimenti accadano da se. Sembra che non abbiano una volontà, si identificano spesso con il gruppo di appartenenza e spesso si affidano alla volontà altrui. Se si chiede loro che cosa vogliano dalla vita, restano sorpresi e confusi, oppure danno risposte da cui si comprende che alla fine sono gli altri a dover agire per loro. In realtà la felicità dipende dagli altri, ma anche da se stessi. Nelle persone “passive” Dio è spesso apprezzato come misericordioso e paterno. L'amore per Dio e per il prossimo rimane solo un buon sentimento, senza la voglia di impegnarsi. Di solito agli educatori spirituali è consigliato, in questi casi, di far riferimento a un Dio-fuoco, un Dio amore che impegna, un - 48 - Dio molto esigente. Negli individui passivi possono esservi atteggiamenti di tipo narcisistico e autodifensivo. Il Dio dei “dipendenti” Lo psichiatra Dacquino, professore di “Antropologia Sessuale” all'Università Pontificia Salesiana di Torino, riflette, se pur a volte in forma discutibile, sulla religiosità dipendente, considerandola molto diffusa nelle comunità parrocchiali. È la religiosità di chi ha difficoltà ad assumersi responsabilità o nuove iniziative non si muove foglia che il parroco non voglia. Tutto deve dipendere da lui, e ogni responsabilità è fatta ricadere su di lui. La religiosità “dipendente” potrebbe essere quella di certi fedeli che hanno un forte bisogno di riferirsi passivamente al parroco, fino a confonderlo quasi con “Dio”. È una religiosità simile alle aspettative infantili di un bambino verso la madre; potrebbe nascondere l' esigenza di sentirsi protetti dalla “Mamma” Chiesa, mentre molti forti (onnipotenti), soprattutto per ottenere protezione e aiuto. Tali fedeli, definiti “immaturi” da Dacquino, sono particolarmente attratti dalla Chiesa “materna” che decide tutto senza mai sbagliare: per un bambino la mamma è infallibile! I fedeli “dipendenti” potrebbero nascondere il bisogno di compensare le proprie insicurezze, appoggiandosi all' istruzione, al parroco o all' educatore. Il loro profondo rispetto verso l'autorità religiosa potrebbe essere non una rinuncia al proprio egoismo, ma la continuazione della dipendenza infantile e poiché hanno molta paura della propria libertà delle rispettive responsabilità che essa comporta, si mantengono bambini dipendenti nei confronti dell'autorità religiosa e nei confronti di Dio. Dio, o l'autorità religiosa, diventa la medicina che compensa le proprie insicurezze. Scrive lo psichiatra Dacquino che una religione autentica dovrebbe diffidare di tali presunti fedeli. - 49 - Coloro che trovano sicurezza solo nella sottomissione al parroco, li affidano molto volentieri tutte le iniziative e tutte le responsabilità. Immaginate la simpatia e la stima che un parroco può nutrire per loro. Non di rado i Parroci approfittano di tali credenti insicuri, ma in tale modo possono solo aggravare le loro inconsapevoli insicurezze, non aiutarli. Non è impossibile che tali devoti fedeli, sempre obbedienti al parroco trascurino le loro famiglie con tutte le difficili conseguenze di dialogo, non solo fra i coniugi, ma anche con i figli. Tali genitori non dovrebbero stupirsi se i loro figli presentassero odio o rigetto psicologico verso tutto quello che riguardala religione. Una fede fanatica che non tollera il dubbio, il confronto e il dialogo è segno di molta insicurezza, ma anche di molta ignoranza in campo religioso. Il fanatismo potrebbe rappresentare solo una gratificazione personale con tendenze narcisistiche. Non di rado tali fedeli, delusi da qualche parroco che ha messo in dubbio il loro comportamento non sempre autentico verso la fede, abbracciano qualche movimento o si inseriscono in altre associazioni religiose cattoliche o addirittura si rivolgono ai testimoni di Geova o a qualsiasi altro movimento integralista. Il Dio del paranoide Il paranoide percepisce il rifiuto o il dileggio (“la presa in giro”) anche là dove non esiste; si aspetta di essere tradito da un momento all' altro. Per capire chi è il paranoide cerchiamo di rappresentarlo mediante un esempio. Un girono un gentiluomo salutò un amico con un semplice ciao. L' amico incominciò a riflettere se avesse detto ciao, oppure miao! Continuando nella riflessione disse tra sé che se avesse detto miao, quello era il verso del gatto, il quale beve il latte. Ma il latte lo produce una vacca. Dentro di sé continuo a dubitare se quel miao volesse dire che lui era il figlio di una vacca. Insomma, si comportava da paranoide a causa di un gesto gentile di saluto, e continuò a star male per lungo tempo. - 50 - Alcuni credenti che hanno tendenze simili a quelle del paranoide si contraddistinguono per la scarsa stima di sé. La paranoia trova spesso origine nella mancanza di fiducia in sé stessi, favorita da un ambiente familiare, particolarmente autoritario e talvolta anche molto crudele. Il figlio è stato costretto a dover lottare contro i suoi sentimenti di rifiuto, di svalutazione, contro le sue paure e ansie. Da qui, forse, la difficoltà a credere nella presenza di un Dio buono, misericordioso e fedele. Tuttavia i credenti che hanno tendenze paranoiche sono spesso ricchi di intuizioni e hanno grande sensibilità. Le loro riflessioni sulla parola di Dio sono spesso molto interessanti e profonde. In questo ambito la guida dovrebbe favorire gli atteggiamenti fondamentali della fiducia e dell'abbandono. Sembra che l' amore sia la migliore terapia per tali persone: hanno bisogno di essere bene accolti, amate, valorizzate, favorite e apprezzate (l'opposto dell' esperienza vissuta con i genitori). Tale terapia dovrebbe essere l'impegno di ogni cristiano nei confronti di tutti e non solo dei paranoici. Il Dio del narcisista Il narcisista è colui che sente un eccessivo compiacimento per le proprie qualità, per le proprie belle azioni: continua a nutrire la stima di sé cercando l' approvazione degli altri. I suoi legami con le altre persone sono tipicamente utilitaristici, il suo stile di vita è un “usa e getta”. Non è capace di mostrare sentimenti di tristezza, non riesce a dire qualcuno “ti voglio bene”. In realtà nel profondo di sé stesso, spesso in modo consapevole, vive rabbia, gelosia, invidia, competitività, disprezza ciò che gli altri hanno e lui non ha. Più di tutti cerca di sfuggire alla realtà ed è totalmente impreparato ad affrontare le vicende dolorose della vita. Per tale motivo è il più fragile. Tutta la sua vita è organizzata per evitare di rendersi conto che esistono anche la morte e i suoi limiti. Paradossalmente il Dio dei fedeli narcisisti è l' essere Onnipotente (che può compiere tutto). In Lui possono trovare lo scopo della vita soprattutto nello soddisfare i proprio desideri, e - 51 - nel proteggersi dai pericoli. È un Dio al proprio servizio. Per i narcisisti la fede, intesa come esperienza di attesa, di pazienza, di ascolto, è insopportabile. L' impazienza potrebbe essere vista come la risposta aggressiva di fronte ad un attacco alla loro presunta onnipotenza. L'impazienza è la dimostrazione che non sono poi così onnipotenti. La guida spirituale è forse per loro l'unica occasione per sentirsi rivelare la loro limitata realtà. Il Dio del disorganizzato Mentre il narcisista è incapace di dipendere da una persona e dunque sfugge dall'esperienza dell'innamoramento, il disorganizzato tende a cercare nelle persone la piena dipendenza in modo insaziabile. Per tale motivo non è disposto nella sua esperienza di fede ad accettare quei possibili vuoti incolmabili che nessuna creatura può soddisfare. Non può sopportare Dio come unico sovrano della solitudine. Il Dio del disorganizzato è un Dio inattendibile, che potrebbe lasciarci soli proprio quando si ha più bisogno di Lui. Di fronte alla paura della solitudine il disorganizzato disposto a correre dietro a qualsiasi persona, spesso percepita in modo distorto. Egli è disposto a tutto pur di colmare un vuoto. In realtà non vi sono amici, ne coniugi che possano saziare interamente i nostri bisogni. Egli tende a correre dietro falsi amori rassicuranti. Più è grande la disorganizzazione maggiore è la paura di rimanere soli. E gli atei? Come esiste una religiosità immatura e una religiosità autentica e equilibrata sul piano psicologico, così esiste un ateismo immaturo o nevrotico e un ateismo equilibrato. Gli atei che possono nascondere inconsapevolmente qualche disturbo psicologico sono altrettanto numerosi dei credenti immaturi. L'ateo nevrotico è caratterizzato dal fatto che il suo ateismo è - 52 - irragionevole. Anche negli atei vi può essere la più totale intolleranza, fino a diventare aggressivi verso qualsiasi argomento religioso. Spesso si accontentano di idee molto superficiali sulla religione e evitano di verificare le vere origini del loro ateismo, anzi ne hanno paura. Anche nell'ateismo si può nascondere la ribellione verso le autorità sociali; altro non è che l'inconsapevole proiezione dei sentimenti di ribellione verso i genitori. Rinnegare Dio può, in diversi casi, equivalere al rinnegamento del padre terreno. La stessa bestemmia potrebbe corrispondere ad uno sfogo inconsapevole di aggressività non superata verso un familiare. Musatti riuscì a dimostrare che psicologicamente i più violenti negatori di Dio sono coloro in cui è più vivo il senso della divinità. Se fossero davvero convinti che Dio non esiste, perché tanto furore sentimentale? L'ateismo nevrotico è spesso una reazione di difesa simile a quella prodotta da una religiosità immatura. Per concludere questo argomento va sottolineato che le stesse nevrosi in alcuni credenti possono essere presenti anche negli atei all'interno del loro movimento circolo o associazione patristica. Dal punto di vista sociologico si può osservare che anche l'ateismo, quando è trasformato in una istituzione, presenta le stesse caratteristiche di comportamento sociale di una religione. Osserviamo questo confronto tra gli elementi caratteristici di una religione e quelli una istituzione che promulga l'ateismo. - 53 - 9° incontro ( martedì 29 gennaio ) Cattolici e protestanti Lutero e S. Francesco Nel 1517, il 31 ottobre, avvenne qualcosa di strano sul portone della chiesa di Wittemberg. I fedeli non videro i soliti avvisi religiosi, ma un manifesto che conteneva 95 tesi preparato da un monaco agostiniano professore di teologia all'università di quella città. Quel monaco era Martin Lutero, nato in Germania ad Eisleben nel 1483 Nel 1511 avevo intrapreso un viaggio a Roma per incarico del suo convento, e dopo aver osservato l'eccessivo fasto della corte pontificia e la vita lussuosa di molti nobili ecclesiastici ne ritornò indignato e scandalizzato. Con le 95 tesi pubblicate nel manifesto, il monaco si proponeva essenzialmente 2 scopi: accusare i nobili ecclesiastici che non adempivano il loro dovere internamente alla Chiesa, rendere pubblico il suo nuovo pensiero in materia di dottrina religiosa. La sua intenzione primaria era quella di riportare i fedeli allo spirito delle prime comunità cristiane. Ma egli esagerò con quelle tesi completamente contrarie a ciò che la Chiesa Cattolica insegnava da secoli. San Francesco d'Assisi con il suo stile di vita povera, condannò fortemente il lusso della corte pontificia e dei nobili ecclesiastici, ma non propose una nuova dottrina religiosa in contrasto con l'insegnamento della tradizione apostolica (forse non era in grado di farlo?). S. Francesco volle rimanere nella Chiesa e le sue idee di vita semplice e povera furono testimoniate dalla sua stessa vita vissuta nella fede e nella povertà più estrema. Non fu così per il monaco Lutero il quale, rinunciando la vita monacale, non visse di certo nella povertà più estrema, e neppure accettò l'insegnamento dottrinale della tradizione apostolica cristiana. Papa Leone X fu costretto ad esigere dal monaco ribelle un - 54 - ripensamento sulle sue posizioni chiaramente eretiche e lo invitò a recarsi a Roma entro 60 giorni. Martin Lutero fece sapere che non avrebbe mai rinunciato alle sue idee dottrinali che conquistavano sempre più i fedeli di quella città. Leone X fu costretto a lanciare contro Lutero la scomunica, vale a dire che non è possibile considerarlo parte della comunione con la Chiesa Cattolica distinguibile dai sacramenti. Ben presto il popolo, anche se non era in grado di comprendere le sue meditazioni dottrinali contro quelle cattoliche, lo considerò un monaco coraggioso per essersi ribellato contro gli abusi dei ricchi ecclesiastici nei confronti dei poveri e, in quel modo, divenne protettore dei poveri. Neppure l'imperatore Carlo V riuscì nel 1529 a costringere Lutero ad abbandonare la sua nuova dottrina religiosa. Papa Palo III convocò a Trento un Concilio e come per rispondere ai gravi interrogativi dottrinali posti da Lutero, ma Lutero non vi partecipò e continuò a predicare la sua dottrina fino al momento dalla sua morta avvenuta nel 1546. Molto spesso Lutero è noto solo per la sua protesta contro la gerarchia della Chiesa Cattolica (Vescovi e Cardinali che investivano i titoli nobiliari di Marchesi, Duchi, ecc.) desiderosa di potere politico ed economico che spesso abusava della semplicità e dell'ignoranza dei fedeli. Fino a questo punto non è detto che Lutero abbia avuto tutti i torti. Ci provò anche S. Francesco, istituendo un ordine religioso il quale, come ben si sa, oggi non è certo fra i più economicamente miserabili nella Chiesa (indipendentemente che i monaci continuano a vivere in modo semplice). Quello che invece i cristiani sanno poco è la differenza tra il pensiero dottrinale di Lutero con quello cattolico. La nuova dottrina Protestante Sostanzialmente la si può riassumere in due grossi principi: 1. Non occorrono la Chiesa e i sacerdoti per interpretare le verità contenute nelle Sacre Scritture. Ogni credente può interpretarle come gli "piace" liberamente. 2. Non è necessario compiere opere buone e ricevere i - 55 - sacramenti per salvare la propria anima, perché è sufficiente la solita fede in Dio nelle sole Sacre Scritture. L'uomo non è in grado di compiere opere buone perché è totalmente corrotto dal peccato originale. La salvezza avrebbe pensato solo a Gesù Cristo che, come un "mantello", copre davanti a Dio le vergogne umane di coloro che hanno fede. Tutti gli uomini sono resi orribilmente sporchi dall'egoismo, e non possono avere meriti davanti a Dio perché non sono in grado di amare sinceramente e perfettamente. Questi due principi fondamentali della nuova dottrina Protestante comportano come conseguenza la perdita di ogni autorità per la Chiesa; i Sacramenti divenivano solo cerimonie senza significato. Oggi i protestanti, che sono circa 200 milioni sparsi in tutto il mondo, a differenza dei cattolici non accettano altra guida all'infuori della Bibbia. Per tale motivo hanno avuto maggiore difficoltà nel dialogare con le religioni non cristiane, mentre è stato per loro molto più facile aprirsi per primi a un dialogo fra le diverse dottrine cristiane (Protestante, Ortodossa e Cattolica), con le quali hanno in comune la fede in Cristo Risorto. E' ovvio che non è stato così facile per i cattolici dialogare con loro, in quanto i cattolici sottoliano i meriti e l'impegno umano dell'amore vissuto nella fede. I protestanti non riconoscono nel Papa l'autorità di successore di Pietro e di vicario di Cristo. Inoltre non riconoscono il culto dei Santi, delle reliquie, di Maria. I protestanti non credono nel purgatorio e nelle indulgenze. La confessione avviene rivolgendosi direttamente a Dio in privato. Gli unici "sacramenti" riconosciuti sono il battesimo e l'Eucarestia, ma con presupposti dottrinali molto diversi. I pastori protestanti hanno la possibilità di sposarsi. Alcune caratteristiche generali della dottrina Protestante 1. La salvezza Si ritiene che l'uomo sia totalmente corrotto dal peccato originale e per tanto totalmente incapace di salvarsi: la salvezza - 56 - avverrebbe solo per meriti del sacrificio di Cristo, non per quelli degli uomini. Per esprimere meglio il pensiero usiamo un esempio figurato: Cristo, come un "mantello" coprirebbe davanti agli occhi di Dio Padre tutte le vergogne umane (salvezza esteriore o estrinseca). I "coperti"(salvati) dai vergognosi peccati sarebbero solo coloro che hanno fede in Cristo e nelle Sacre Scritture. La salvezza dell'uomo, quindi, avviene solo mediante la fede in Cristo nelle sole Sacre Scritture (Bibbia ebraica e Nuovo Testamento), ma non attraverso le opere. 2. Il pane e il vino L'ultima cena di Cristo è per i protestanti il fatto storico avvenuto solo una volta e per sempre; è da ricordare, inoltre la presenza di Cristo è accanto al pane e al vino. La liturgia dell'ultima cena che celebrano, quindi, è solo il solenne ricordo, non un sacramento. L'eucarestia è una consustanziazione: la presenza reale di Cristo è con il pane e con il vino (accanto, vicino esteriormente, non interiormente come nella dottrina Cattolica). 3. Il sacerdozio Lutero approfondì la dottrina del Sacerdozio Universale legata a quella della libera interpretazione delle Scritture. Un caposaldo della sua dottrina era l'infallibilità della Bibbia, considerata come solo fonte di verità. Lutero arrivò a concludere che non è necessario una cassa sacerdotale, essendo ciascun cristiano un sacerdote rispetto la comunità in cui vive. Ogni uomo può predicare la Parola di Dio e la distinzione fra "clero" e "fedeli laici" viene così eliminata, anche se non vengono eliminati i Pastori nella comunità, indispensabili, secondo lui, in una società ben organizzata. Ma su tali considerazioni, i fatti presero presto una piega decisamente diversa. Lutero divenne a poco a poco sempre più dogmatico e intransigente, pretendendo in un certo senso, di essere dotato di quella "infallibilità" che aveva tanto contestato al Papa (fu chiamato "il Papa di Wittemberg"). Lutero consegnò ad alcuni Sovrani di Stato la sua nuova dottrina della Chiesa Riformata e così nacque la "Chiesa di Stato" che è l'opposto di quella a cui la Riforma Protestante avrebbe dovuto condurre. - 57 - Alcune caratteristiche della dottrina Cattolica 1. Libro arbitrio Si ritiene che l'uomo sia libero di scegliere il bene e il male (libero arbitrio); per tanto può meritarsi il Paradiso, non solo con i meriti del sacrificio di Cristo. La salvezza non avverrebbe solo mediante la fede nelle Sacre Scritture, ma anche mediante le piccole e fragili opere umane d'amore: "i meriti". La salvezza non è intesa come una "copertura" esterna di Cristo (es. Mantello), ma come una trasformazione interiore del cristiano (salvezza intrinseca o interna). L'uomo non sarebbe solo "coperto", ma purificato interiormente. Dio non solo "scende" verso l'uomo mediante Cristo. L'uomo "sale" per mezzo di Cristo, ed è aiutato anche dai sacramenti voluti da Cristo stesso. L'uomo quindi, può consegnare a Dio i suoi piccoli meriti umani. 2. L'ultima cena Ogni volta che si celebra l'ultima cena di Cristo si ripete si realizza un nuovo sacrificio pasquale: il pane e il vino non sono solo dei segni per ricordare, ma vi è dentro la misteriosa presenza reale, non visibile, nel corpo e nel sangue di Cristo. Si verifica una transustanziazione: la sostanza del pane e del vino, si trasforma in quella del corpo e del sangue di Cristo, pur rimanendo immutato l'aspetto esteriore (la forma). Nell'eucarestia Cristo è colui che consegna all'uomo i doni di Dio, ma è anche colui che dona a Dio i piccoli meriti dell'uomo. In altre parole, i piccoli e deboli meriti umani sono sommati, aggiunti, uniti in tutt'uno con quelli di Cristo. Per il Cattolico i sacramenti sono importanti strumenti che lo aiutano a crescere nell'intima comunione con Dio e quindi nell'esperienza dell'amore che salva e libera l'uomo. Tutto questo dipende anche dalla libera volontà di crescita dei cristiani. 3. Il Sacerdozio Universale Il Concilio Ecumenico Vaticano II nel primo documento costitutivo ed dogmatico Lumen Gentium (abbreviato LG) - 58 - approfondisce e chiarisce la dottrina del Sacerdozio Universale di Salvezza in tal modo: · Tutto il popolo di Dio (solo la Chiesa cattolica?) partecipa dell'ufficio sacerdotale profetico e regale di Cristo è "Universale Sacerdozio di Salvezza". Riportiamo testualmente la seguente interessante affermazione: "il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati una all'altro, poiché l'uno e l'altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano dell'unico sacerdozio di Cristo. Il sacerdote ministeriale (i preti, i vescovi...), con la potestà sacra di cui è investito, forma e regge il popolo sacerdotale, compie il sacrificio eucaristico nel ruolo di Cristo e lo offre a Dio a nome di tutto il popolo; I fedeli, in virtù del loro regale sacerdozio, concorrono all'offerta dell'eucarestia, ed esercitano il loro sacerdozio col ricevere i sacramenti, con la preghiera e il ringraziamento, con la testimonianza di una vita santa, con l'abnegazione e la carità operosa". (LG 10 b). Secondo la dottrina cattolica si potrebbe affermare che: o Il sacerdozio comune di ogni battezzato è di partecipazione, o mentre quello dei preti e dei vescovi è anche di servizio ministeriale (dal lat. ministerium, da minister, servo, ufficio o in carico moralmente elevato, assunto per vocazione e prestato al servizio della comunità). o Secondo il Concilio la Chiesa è anche "Universale Sacramento di Salvezza". Comunità principali di protestanti 1. Chiesa Luterana. È la comunità più numerosa e segue la dottrina originale di Lutero. Conta oltre 85 milioni di fedeli, prevalentemente in Germania. - 59 - 2. Chiesa Calvinista. Nasce dal riformatore protestante francese Giovanni Calvino, che si trasferì in Svizzera a Ginevra per predicare i suoi sermoni (“prediche”). La teologia di Calvino: Dio si configura come potenza e sovranità assoluta, che si “autoglorifica” nel mondo. Calvino è noto per la dottrina degli eletti predestinati da Dio. Va ricordata la dottrina della “doppia predestinazione”. L'uomo, una volta eletto da Dio, non può ricadere (contrariamente all'opinione luterana) nella perdizione; essere eletto da Dio non coincide con la perfezione terrena, e l' eletto non è dunque “santo”, bensì sempre in via sul cammino della propria santificazione. Infine va ricordata la concezione Calvinista della Santa Cena, che ammette la presenza reale di Cristo, si differenzia da quella zwingliana che vede nell' eucarestia una presenza semplicemente simbolica del Cristo, ma anche da quella luterana, che vi vede una presenza spirituale e non corporea del Cristo. La Cena veniva celebrata a Ginevra quattro volte all'anno, mentre le componenti del culto erano la predicazione, le preghiere e il canto dei Salmi. 3. Chiesa Zuinglianista. Nasce da Ulrico Zuinglio (14841531), il quale volle liberare il cristianesimo da una struttura dottrinale eccessivamente pesante e piena di dogmi, per riportarlo a un più preciso impegno morale: elimina quindi tutto ciò che non aveva conferma chiara ed evidente nella matrimonio dei preti, abolì il culto alla Vergine e ai santi; proibì il commercio delle immagini; contestò l' autorità del papa e dei concili: negò alla Messa il significato del Sacrificio. Zuingli ammetteva la possibilità di una conoscenza ragionevolmente percepibile di Dio, mentre Lutero la riferiva solo alla fede; il peccato originale per Zuingli si riduceva a “un vizio ereditario”, che non sminuiva la capacità di una buona condotta morale dell'uomo, mentre in Lutero comportava l'incapacità dell'uomo a compiere buone azioni. Secondo Zuingli la salvezza si doveva estendere anche ai pagani - 60 - osservanti la legge naturale; Lutero gli escludeva da ogni salvezza. Nel 1521 Zuingli s'incontrò con a Marburgo con Lutero per un colloquio “di religione”: tema specifico fu l'Eucarestia. Lutero ammetteva la presenza reale del Cristo vicino ed esternamente al pane e al vino, mentre Zuingli la limitava a una semplice assistenza spirituale. L'accordo non fu possibile. 4. Chiesa Anglicana. Fondata nel 1531 dal re d'Inghilterra Enrico VIII. Da allora il sovrano è anche il capo della Chiesa e ha la facoltà di nominare i vescovi. La Messa è ridotta al solo rito della Comunione. La Chiesa è fondata su 42 articoli della Bibbia e segue quasi tutti i principi di Calvino. Ci si preoccupa di rifarsi alla più antica Chiesa cristiana, così che <<la linea Protestante viene inglobata all'interno di un sistema “Cattolico”>> (G. Bouchard). Le dogmatizzazioni cattoliche, però, sull'infallibilità papale proclamata nel Concilio Vaticano I e sull'assunzione corporea di Maria in cielo (1950) non sono state accolte. La Chiesa anglicana ha avuto la sua origine dallo scisma provocato dalla richiesta che il re d'Inghilterra Enrico VIII (1491-1547) aveva fatto al papa perché fosse annullato il suo matrimonio con Caterina d'Aragona. Non avendo avuto la concessione, Enrico decise di fare pronunciare l'annullamento da un'autorità inglese. Gli ortodossi La Chiesa ortodossa rivendica l'eredità del patriarcato di Costantinopoli, della grecità cristiana e, in essa, della “retta dottrina” (ortodossia) formulata nei primi sette concili ecumenici del cristianesimo. La prima rottura ufficiale con Roma si ebbe sotto il patriarca Fozio (863-867), seguita da quella definitiva del 1054, sotto la guida del patriarca Michele Cerulario. Nel contempo si rendevano indipendenti da Roma chiese (dette autocefale) create - 61 - tra gli Slavi delle missioni bizantine dei Santi Cirillo e Metodio nei regni di Serbia e Bulgaria. L'occupazione ottomana causò il distacco del patriarcato di Mosca, mentre il patriarca d'Istanbul otteneva dal nuovo regime il riconoscimento di capo religioso di tutte le Chiese greco-ortodosse dei suoi domini. Caratteristica fondamentale della Chiesa ortodossa è l'accettazione, come fonte della fede, accanto alla Sacra Scrittura, della Tradizione, riconoscendo però vincolanti solo i primi sette concili ecumenici. In che cosa credono gli ortodossi. Nel Credo non è accettato il filioque della SS. Trinità: si crede nella processione (“derivazione”) dello Spirito Santo solo attraverso il Figlio e non anche attraverso il Padre. Maria è venerata come la Madre di Dio (theotokos) e corredentrice. Nella dottrina, come nella liturgia, si dà molta importanza allo Spirito Santo, alla “divinizzazione” che esso opera nei fedeli. La dottrina (teologia) si è fermata al pensiero degli antichi Padri della Chiesa sotto l'influsso filosofico del platonismo. I sacerdoti, ma non i vescovi, posso essere sposati. L'arte religiosa è dominata dal culto delle immagini (icone). Escludendo i nestoriani e i monofisiti, la Chiesa ortodossa oggi comprende: il patriarcato di Costantinopoli, la Chiesa sinodale greca di Atena e quella di Cipro; la melchita (in territorio arabo) coi patriarcati di Alessandria, Antiochia, Gerusalemme e del Sinai; le Chiese slave del patriarcato di Mosca, dell'autocefalia di Polonia, ex - Iugoslavia, Bulgaria con larga dispersione in varie parti; le Chiese ortodosse di Romania e della Georgia. - 62 - 10° incontro ( martedì 5 febbraio ) Perché San Giuseppe volle, inizialmente, divorziare da Maria Un crudele dubbio Quando racconta l'infanzia di Gesù, l'evangelista Matteo ci ricorda come San Giuseppe fu sul punto di divorziare dalla sua sposa Maria, perché seppe che ella era incinta e che il figlio che attendeva non era suo. Leggiamo il testo biblico:”Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. Mentre stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse:”Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dalla Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (…) Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa” (Mt 1,18-24). I Cristiani hanno sempre provato un certo disagio a riflettere sul drammatico momento che la Sacra Famiglia dovette vivere in quell'evolversi concitato dei fatti; perciò, ci è lecito domandarci: Giuseppe dubitò realmente dell'onesta della sua sposa? Pensò veramente che gli fosse stata infedele con un altro uomo? Quanto tempo visse torturandosi in silenzio, senza sapere che il bambino che ella portava in grembo era stato concepito dalla Spirito Santo, finché un angelo gli raccontò la verità? E perché Maria non glielo riferì prontamente, dal momento che nessuno le aveva proibito di farlo, e dal momento che la sua gravidanza aveva conseguenze sul suo rapporto sponsale con Giuseppe? Perché Dio annunciò soltanto a lei la gravidanza verginale e non a Giuseppe? Lo fece soltanto per non modificare il suo amor - 63 - proprio, la sua dignità? E perché Giuseppe volle abbandonare Maria in segreto? Matrimonio in due tempi Possiamo tentare di rispondere a questi interrogativi che abbiamo testé esposto e che emergono dalla lettura del racconto del evangelista Matteo. Per fare ciò dobbiamo tenere conto delle consuetudini di quell'epoca attinenti al matrimonio. Gli ebrei si sposavano generalmente piuttosto presto, verso i 18 anni gli uomini e verso i 13 le ragazze. Gli stessi rabbini assicuravano che “Dio maledice il giovane che a 20 anni non si è ancora sposato “ e, trattandosi di un'età cosi prematura, rispetto ad un età avanzata, ritenuta più “saggia” e “posata”, la scelta del partner di ciascuno dei futuri coniugi era effettuata dai genitori. Per giustificare questa consuetudine, le cui radici storiche si perdono nella notte dei tempi, gli Israeliti sostenevano il principio che era Dio stesso, in cielo, che concretizzava le unioni matrimoniale 40 giorni prima della nascita di ogni bambini, e che poi comunicava il fatto ai genitori; vi è tuttavia da ricordare che non erano affatto isolati i casi in cui erano i giovani, senza l'intervento dei genitori, a scegliere le loro future spose. Concretizzata la scelta del partner, veniva realizzata la prima fase del matrimonio “qidushin” (che significa “consacrazione”). Era una specie d'impegno formale, con cui la ragazza rimaneva consacrata per sempre al suo futuro sposo; in realtà, gli sposi non potevano ancora vivere insieme a causa della giovane età della ragazza, non ultimo il fatto che entrambi quasi non si conoscevano. Il periodo del cosiddetto qidushin durava generalmente un anno, e i giovani erano considerati già veri e propri sposi al punto che, se in questo periodo la ragazza si univa carnalmente a un altro uomo era considerata a tutti gli effetti un'adultera, e se fosse morta, il ragazzo veniva considerato vedovo. Trascorso l'anno del qidushin veniva dato corso alla realizzazione della seconda parte del matrimonio chiamata il - 64 - nissuin, nella quale, dopo una grande festa, che poteva durare anche diversi giorni, la giovane era condotta in processione alla casa del suo sposo perché entrambi potessero iniziare la vita di comunione tra loro. La notte buia di Giuseppe Da quanto abbiamo appena riferito, dovette essere stato tra il qudishin e il nissuin cioè tra la prima e la seconda fase del matrimonio, il momento in cui Maria rimase incinta per opera dello Spirito Santo. Matteo ce lo conferma con queste parole: “Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo” (Mt 1,18-19). Che cosa accadde allora tra questi santi sposi? Non lo sappiamo e Matteo non lo dice, perciò non ci aiuta affatto. Possiamo soltanto immaginare il dramma esistenziale che visse Giuseppe, tormentato dai sospetti d'infedeltà della sua sposa, la cui angoscia Dio non ebbe la bontà di risparmiare, e non ultimo, la pena di Maria che vedeva soffrire ingiustamente il suo sposo, ma rimaneva in silenzio per il timore di non essere compresa adeguatamente e appieno se gli avesse spiegato un fatto di così straordinaria attuazione. Questo periodo della vita di Giuseppe e Maria impressionò tanto l'animo e l'immaginazione dei cristiani, che alcuni cercarono di ampliare quei drammatici momenti mediante nuovi racconti, mediante nuove situazioni che sono entrate a far parte dell'immaginario della prima comunità ecclesiale di quel tempo. Il dialogo angoscioso Uno di questi racconti si trova nel vangelo apocrifo detto “Protovangelo di Giacomo”. In esso, troviamo il racconto di come Maria, trovandosi in visita in casa dalla parente Elisabetta, sentisse il suo ventre crescere giorno dopo giorno. Afflitta per - 65 - questo fatto che l'avrebbe socialmente compromessa, e che avrebbe compromesso il legame sponsale con Giuseppe, ella intraprese il viaggio di ritorno verso la sua città, e là si nascose. Trascorsi circa 7 mesi di gravidanza, Giuseppe ritornò da un lungo viaggio di lavoro e trovò Maria in stato interessante. Proviamo dunque ad immaginarci l'evolversi della situazione. Piangendo con amarezza, Giuseppe dovette sicuramente rimproverarla: “Perché hai fatto questo? Perché hai macchiato così la tua anima, tu che sei stata allevata nel tempio di Dio e hai ricevuto il tuo alimento dalle mani di un angelo?”. Maria, tra le lacrime, deve avergli risposto, ma senza essere creduta più di tanto: “Io sono pura, non ho avuto rapporti con alcun uomo”. E Giuseppe rimbrottandola: “Da dove proviene allora quello che c'è nel tuo ventre?”. E Maria per fare appello ad un'estrema difesa: “Ti giuro sulla vita del Signore mio Dio, che non so da dove provenga questo”. Le cose, però, si complicarono ancor più per il povero Giuseppe, perché il giorno seguente un amico dei due venuto a conoscenza dello stato interessante di Maria, denunciò il falegname al Sommo Sacerdote riferendogli che “Giuseppe ha violentato la vergine che doveva custodire e in segreto ha consumato il matrimonio”. Le “acque amare” Il Sommo Sacerdote ordinò che entrambi gli sposi fossero condotti al tempio ed ivi, con parole dure, li accusò di non aver mantenuto la loro parola, ma, visto che piangevano e giuravano su Dio di essere innocenti, decise di sottoporre Maria alla prova delle cosiddette “acque amare”. Che cose erano mai le acque amare? Il libro dei Numeri (5,11-31) ordinava che se un uomo avesse sospettato della fedeltà della sua sposa, e non ci fosse stato altro modo per accertare la verità, costui doveva condurre la moglie al tempio per sottoporla a una prova che consentisse di accertare la verità senza confutazione. In quel luogo, in presenza di testimoni, le venivano sciolti i capelli (che ogni donna morigerata - 66 - di Israele portava raccolti) come primo gesto per svergognarla in pubblico. Il Sommo Sacerdote prendeva poi un bicchiere d'acqua e mescolava il liquido con polvere raccolta dal suolo, scriveva su un rotolo di pergamena una serie di maledizioni e giuramenti, scioglieva poi il rotolo e vi faceva scorrere l'acqua in modo che il liquido si sporcasse dell'inchiostro usato per la scrittura e infine raccogliendo un'altra volta il liquido del bicchiere lo porgeva alla donna perché lo bevesse, dicendo nel contempo: “Se sei stata infedele a tuo marito, se hai avuto rapporti con un altro uomo e sei diventata impura, Dio faccia di te un oggetto di maledizione in mezzo al tuo popolo, facendoti avvizzire i fianchi e gonfiare il ventre”. Non vi è dubbio alcuno che la descrizione di questo cerimoniale, piuttosto barbaro nella sequenza dei fatti, ma soprattutto per la violenza arrecata alla donna accusata, appartenesse ad una legislazione e a un contesto culturale di marcata connotazione maschilista: una messa in scena che, ovviamente, finiva sempre per dare ragione al marito visto che una simile porcheria di bevanda, qualunque donna avrebbe finito per intossicarsi, e di lì a poco trovarsi con il ventre gonfio; ma l'autore apocrifo si guarda bene di accomunare il destino di Maria a quello di qualunque adultera perciò riferisce che quando Maria bevve dal bicchiere, un improvviso splendore avvolse il suo volto e il suo viso si trasfigurò in modo tale che i testimoni astanti e tutti colore che l'avevano portata in giudizio, non poteva guardarla. Cosicché tutti seppero che Maria era innocente. Le ragioni del giusto Giuseppe Questo lungo racconto apocrifo ci mostra fino a che punto l'immaginazione dei primi Cristiani venne stimolata dal paradossale episodio che descriveva come Giuseppe avesse dubitato della sua verginale sposa. E' però necessario che ci dedichiamo ad una riflessione su punto più oscuro e misterioso di tutto il racconto. Perché mai Giuseppe decise di allontanare Maria, lasciandola sola ed esposta al pubblico ludibrio, proprio nel peggiore e più delicato momento della sua vita? Matteo spiega che questa circostanza è dovuta al fatto che - 67 - Giuseppe era un cosiddetto “uomo giusto”; ma dobbiamo in verità domandarci che rapporto esiste tra la giustizia di cui egli si vantava e l'intenzione di abbandonare quella ragazza che, in fin dei conti, era a tutti gli effetti la sua sposa. Sono state proposte due teorie per spiegare la giustizia di Giuseppe: La prima ci informa che Giuseppe credette che Maria avesse compiuto un adulterio. La legge di Mosè ordinava che la donna adultera dovesse essere ripudiata dal marito (Dt 22, 20-21) e siccome Giuseppe era “giusto” cioè osservava la legge, decise perciò di ripudiarla (abbandonarla, in buona sostanza), perché in tal maniera egli osservava completamente la legge. Secondo questa teoria, essere giusto significava osservare la legge, senza per altro fare appello a qualunque sentimento di pietà, benevolenza e di ragione al di là dell'apparato puramente recitativo della norma legale. Questa ipotesi si scontra con un inconveniente non trascurabile. La legge ordinava al marito di ripudiare “pubblicamente la moglie infedele”. Giuseppe decise, invece, di ripudiarla in segreto: ne consegue che l'uomo giusto così facendo, non stava affatto osservando la legge di Mosè, anzi, stava facendo proprio il contrario. Come si può dunque dire che Giuseppe fosse un uomo che sapeva osservare la legge dei padri di Israele? Nella seconda teoria emerge ancora il fatto che Giuseppe credette che Maria avesse commesso adulterio ma egli sapeva bene che la legge ordinava la lapidazione delle adultere, finché esse non avessero trovato la morte sotto quell'inumano supplizio. Essendo “giusto” e buono, e non volendo che Maria soffrisse, Giuseppe decise di abbandonarla ma lo avrebbe voluto fare in segreto, perché quest'atteggiamento gli le avrebbe consentito di salvare la vita. Secondo questa teoria il termine “giusto” è sinonimo di “buono” e “misericordioso”. Anche questa ipotesi presenta notevoli difficoltà. E cioè: se Giuseppe volle abbandonare in segreto Maria perché era buono, non lo si sarebbe dovuto chiamare giusto ma soltanto buono. Perché dunque Matteo riferisce che Matteo era giusto? La terza teoria Nessuna delle due teorie spiega dunque soddisfacentemente - 68 - perché Giuseppe abbia voluto abbandonare Maria; per questo motivo i biblisti hanno proposto una terza teoria che, oltre che armonizzarsi meglio con il contesto del racconto, ha il merito di far calare una nuova luce su Giuseppe. Secondo tale teoria, Giuseppe conosceva da sempre il mistero di Maria. Sin dall'inizio sapeva che il bambino che la sua sposa portava in grembo era figlio dello Spirito Santo e perciò non pensò mai che la sua sposa lo avesse ingannato, né tanto meno tradito. Deduciamo questa riflessione dal modo con cui Matteo inizia il suo racconto: “Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo”. Possiamo pertanto vedere che il racconto inizia fornendoci tre informazioni di primaria importanza: Maria era fidanzata con Giuseppe; I due non vivevano insieme; Maria rimase incinta per l'intervento dello Spirito Santo. Noi supponiamo solitamente che Giuseppe conoscesse soltanto due di questi dati: il primo ed il secondo ma non il terzo. Perché non siamo autorizzati a pensare che Giuseppe conoscesse anche il terzo? Perché se Matteo elenca insieme, in successione tra loro, i tre dati, e poi ci presenta Giuseppe mentre riflette su questo drammatico dilemma, egli dovrebbe conoscerne soltanto due? E' dunque logico ritenere che Matteo intenda informarci che Giuseppe fosse a conoscenza di tutte e 3 le informazioni. Come seppe Giuseppe della gravidanza verginale di Maria? A questa domanda Matteo non risponde; non dice neppure come lo seppe Maria (è Luca a raccontare che l'annunciazione avvenne tramite un angelo). E' dunque lecito pensare che, secondo Matteo, entrambi ne vennero a conoscenza nello stesso momento. L'avviso era un altro Resta da risolvere un ultimo problema: perché un angelo avvisa nel sogno Giuseppe che il figlio che Maria attende è dello Spirito - 69 - Santo, se egli lo sapeva già? In realtà le parole dell'angelo sono state tradotte male dal testo originale perché solitamente leggiamo: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù”. Come affermano molti biblisti, le particelle greche GAR e DE che appaiono in questa frase, devono essere tradotte non con l'avverbio perché come troviamo pressoché in tutte le bibbie, ma con le congiunzioni sebbene o quantunque. Cosicché, il messaggio dell'angelo a Giuseppe cambia completamente significato e riemerge in tutta la sua chiarezza e autenticità: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, sebbene/quantunque quel che è generato in lei venga dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù”. Pertanto, l'angelo informa Giuseppe non dell'origine divina del bambino (cosa di cui egli era già a conoscenza), ma del fatto che egli deve rimanere con Maria per dare il nome al bambino (cosa che Giuseppe non conosceva). Un piano per entrambi Tenteremo ora di capire il racconto di Matteo alla luce delle riflessioni che abbiamo appena fatto. Giuseppe e Maria, due giovani israeliti di circa 18 e 13 anni rispettivamente, erano fidanzati. Avevano compiuto la prima fase del matrimonio, il qidushin, e aspettavano di poter presto andare a vivere insieme una volta terminato il periodo stabilito ma nel frattempo Maria venne scelta da Dio per essere la madre del suo divino figlio, il Verbo di Dio che si sarebbe incarnato. Venutone a conoscenza, Giuseppe si trovò di fronte ad un problema fuori dal consueto: aveva scelto Maria per sé, perché fosse la sua sposa, la madre dei suoi figli, la sua compagna di vita, ma doveva prendere atto che Dio aveva scelto la stessa persona, la stessa donna di Giuseppe, perché fosse Madre di suo Figlio, e che pertanto tutti i suoi progetti andavano a monte. Come competere con Dio per l'amore di una ragazza? Poteva egli - 70 - avere Dio come avversario? Certamente no! Non poteva neppure fare suo un figlio che non gli apparteneva e che non aveva generato, ma che veniva addirittura dal cielo. Sarebbe stata un'ingiustizia vera e propria. Alla luce di questi eventi la decisione di Giuseppe diventa chiara: essendo egli giusto, non volendo impossessarsi di un figlio che apparteneva a Dio e vedendo che Dio aveva scelto la sua stessa donna, decise di sciogliere la sua donna dall'impegno coniugale che un tempo avevano contratto e di divorziare in segreto perché l'evento non suscitasse scandalo. Aveva già deciso di porre mano a questo progetto, quand'ecco che, in sogno, gli si presentò un angelo e gli disse di non aver timore (cioè dubbi) di prendere Maria in sposa (cioè celebrare il nissuin) perché, sebbene il figlio che ella attendeva provenisse da Dio, sarebbe stato proprio lui, Giuseppe, ad imporre il nome al bambino quando Maria lo avrebbe dato alla luce. Questo fatto, cioè quello di imporre il nome, non è di poco conto in tutta questa intricata faccenda e riveste un'importanza capitale. Infatti, così facendo, in quanto padre di quel bimbo, dinnanzi alla comunità sociale di quel tempo, Giuseppe esercitava un diritto che competeva alla sua condizione di genitore. In altre parole, Dio chiese a Giuseppe di rimanere accanto a Maria perché se ella fu scelta per Dio soltanto, anche lui lo fu, quantunque con modalità certamente diverse, ma non per questo motivo meno importanti nel contesto del piano dell'incarnazione del Figlio Unigenito di Dio. Anche lui era parte del piano di salvezza. E quale fu mai la sua missione? Appunto quella di dare (assegnare) il nome al bambino, cioè di considerarlo come suo a tutti gli effetti, di assumerlo come proprio, e perché, essendo egli un discendente della famiglia di Re Davide, se avesse adottato Gesù come figlio lo avrebbe potuto rendere partecipe della discendenza davidica: anche Gesù sarebbe diventato “figlio di Davide”. Cosicché a scrivere Gesù nella genealogia di Davide si adempivano le profezie annunciate su suo conto... - 71 - - 72 - www.comune.peschieradelgarda.vr.it