RIGOLETTO
Melodramma in tre atti di Francesco Maria Piave
Musica di
GIUSEPPE VERDI
Nuovo allestimento a cura del Laboratorio Opera Studio
del Conservatorio di Musica “G. Verdi” di Milano
Conservatorio di Musica “G. Verdi”
Sala Verdi
Sabato 1 giugno, ore 20.00
Prova generale aperta al pubblico
Serata a favore di ADO San Paolo - Associazione donatori Ospedale San Paolo
Domenica 2 giugno, ore 17.00
Serata a favore di Associazione Alzheimer Multimedica Onlus
RIGOLETTO
Melodramma in tre atti di
Francesco Maria Piave
Musica di
GIUSEPPE VERDI
Foyer di Sala Verdi
LO SCRIGNO VERDIANO
Mostra itinerante
Nei giorni precedenti le due rappresentazioni
e in occasione delle stesse, nel Foyer
di Sala Verdi sarà allestita una mostra itinerante
Lo scrigno verdiano, a cura del Corpo Musicale
Giuseppe Verdi - Banda di Binzago.
Il Corpo Musicale si formò nella seconda metà
dell’Ottocento ovvero in epoca verdiana e,
subito dopo la morte del Sommo Maestro,
venne a Lui dedicato.
L’antica istituzione musicale ha sempre mantenuto lo
spirito originale, così che oggi, il Corpo Musicale “G. Verdi” di
Binzago si trova a gestire un bagaglio documentario di un certo
valore soprattutto in merito a Giuseppe Verdi.
Nasce pertanto, accanto alla pura attività musicale, una
particolare iniziativa, Lo scrigno verdiano: un bauletto che,
per quanto di capienza limitata rispetto alla
documentazione posseduta dal Corpo Musicale,
contiene documenti su Giuseppe Verdi.
Grazie ad apposita progettazione e realizzazione
di strutture espositive, è nata l’idea di esporre
in una mostra itinerante i documenti
contenuti nel bauletto.
La mostra si compone di cinque
sezioni: la vita, le lettere, la musica,
la morte, il mito immortale ed
altri temi. I documenti in
mostra sono accompagnati
da manifesti e grafiche, da
dettagliate descrizioni.
Personaggi e interpreti
Il duca (tenore) Jaeheui Kwon / Taesung Lee
Rigoletto (baritono) Ettore Kim / Bongsuk Lim
Gilda, sua figlia (soprano) Veronica Yoo / Gabriella Stimola
Sparafucile, bravo (basso) Jibaco Hyun / Youngkwang Kim
Maddalena, sua sorella (mezzosoprano) Carlotta Vichi / Mayuko Sakurai
Il conte di Monterone (baritono) Fabian Sali
Marullo, cavaliere (baritono) Jaime Eduardo Pialli
Matteo borsa, cortigiano (tenore) Ivan Defabiani / Choi Young Jun
Il conte di Ceprano (baritono) Keungtai Park / Filippo Rotondo
La contessa di Ceprano (soprano) Mai Nishida / Elena Pervozvanskaya
Un paggio della duchessa (soprano) Anna Piroli / Marianna Mappa
Giovanna, custode di Gilda (mezzosoprano) Maria Ermolaeva
Un usciere di corte (basso) Dong Huy Kim
Cortigiane (attrici)
Elísabet Einarsdóttir, Hyeonhi Kim
Ekaterina Korotkova, Hyunju Kim,
Nari Jung, Marianna Mappa,
Anna Piroli, Rie Takaesu
Direttore d’orchestra Davide Pandini, Benedikt Sauer
Supervisione musicale Daniele Agiman, Demetrio Colaci, Umberto Finazzi
Orchestra del Conservatorio di Musica “G. Verdi” di Milano
Coro del Laboratorio Opera Studio
Maestro del coro Maria Grazia Lascala
Regia Laura Cosso
Aiuto regia Anna Piroli
Scene e costumi Elisabeth Bohr
Aiuto costumista Fiammetta Penazzi
Assistenti scene e costumi Marta Pinto, Rugi, Vittoria Varani, Caterina Villa
Luci Salvatore Mancinelli
Proiezioni video Berna Todisco, Cristian Dondi
Makeup artist Vanessa Proudfly
Maestri collaboratori Yuka Goda, Bomi Kim, Miuky Omori
3
IL LABORATORIO OPERA STUDIO
DEL CONSERVATORIO DI MUSICA
“G. VERDI” DI MILANO
NOTE DI REGIA
Daniele Agiman direzione d’orchestra
Demetrio Colaci concertazione dell’opera lirica
Laura Cosso teoria e tecnica dell’arte scenica
Umberto Finazzi prassi esecutiva e repertorio teatrale
Maria Grazia Lascala esercitazioni corali
C
he cos’è. Fondato da docenti del Conservatorio di Musica “G. Verdi” di
Milano e pensato in collaborazione con il Dipartimento di Canto e Teatro musicale, il Laboratorio Opera Studio nasce dalla volontà di mettere in
contatto le diverse professionalità legate al repertorio musicale operistico, in
modo da offrire agli allievi un percorso formativo che conduce alla rappresentazione di un’opera, facendo interagire i necessari livelli di preparazione.
Dopo il primo allestimento sperimentale de Le nozze di Figaro nel 2007 (in
collaborazione con il Teatro Piccolo di Milano, con due recite a Milano e sei
in Svizzera) il Laboratorio Opera Studio ha inaugurato la propria attività
con La bohème, in occasione delle Celebrazioni pucciniane del 2008, rappresentata a settembre in Sala Verdi e ripresa al Teatro Comunale di Erba
(novembre 2008).
Nel 2009 ha proseguito con Il signor Bruschino di Rossini (due rappresentazioni in Sala Verdi).
Nel 2010 ha dato vita a Traviata 2010, progetto di collaborazione internazionale tra il Conservatorio di Milano e la Kurashiky Sakuyo University (Japan): dopo il Galà Concert del 27 settembre, con il patrocinio del Consolato
del Giappone, e dopo la rappresentazione scenica de La traviata (28 settembre) in Sala Verdi, il progetto si è concluso nel mese di ottobre, quando il Laboratorio ha partecipato a quattro produzioni de La Traviata nei teatri
giapponesi di Kurashiky e di Kyushu.
Nel 2012, infine, ha allestito L’elisir d’amore, sempre nella Sala Verdi.
4
U
n Rinascimento ridotto a cornice allusiva, reinventato nelle fogge dei
costumi e proiettato sull’oggi; un’ambientazione quasi senza tempo
perché ancora di bruciante attualità sono i tanti nodi affrontati da Verdi nel
Rigoletto. Uno tra tutti, il tema della violenza mascherata da amore: quella che fa di Gilda una vittima del mondo degli uomini, che rende seducente l’arroganza del Duca, che affonda Rigoletto nelle sue contraddizioni.
È questa la direzione in cui si muove il Rigoletto prodotto dal Laboratorio Opera Studio del Conservatorio di Milano. La scelta investe soprattutto l’immagine della paternità, osservata attraverso la lente della
coscienza odierna: senza forzature, ma assecondando il dettato di Verdi, si sono colte le componenti manipolatorie, coercitive, morbose che
reggono il rapporto tra Rigoletto e la figlia, restituendo una violenza a
maggior ragione rovinosa proprio perché s’insinua lungo le pieghe dell’amore paterno, e nulla toglie ad abbandoni melodici tra i più toccanti che Verdi abbia pensato per un padre («Veglia o donna questo fiore»).
Obiettivi. Rinnovata attenzione alla figura del cantante-attore, preparazione
di una categoria di professionisti (direttori d’orchestra, maestri accompagnatori) capaci di muoversi con consapevolezza attraverso i diversi codici coinvolti
nel teatro d’opera e di appropriarsene in modo originale e creativo.
In quanto buffone, invece, Rigoletto è il prodotto della società che l’ha
creato, la proiezione ingigantita di quanto di deforme e corrotto si nasconde dietro l’eleganza patinata del mondo del Duca. Da qui, l’idea di un
personaggio ingabbiato nel ruolo di buffone, letteralmente manovrato dai
cortigiani, specie in quel grande rito del divertimento che è la festa iniziale, riempita di volti femminili anonimi, dominata dalla costrizione a
recitare la propria parte. Ma sempre da qui, è anche la scelta di inventare una scena popolata di presenze umane inquietanti, persino nella parte conclusiva dell’opera, a incarnare concretamente il tema verdiano della
“maledizione”.
Modalità. Attraverso un lavoro di ricerca misurato sul terreno concreto della produzione spettacolare, il modo ‘laboratoriale’ di costruire lo spettacolo
punta a un allestimento essenziale, focalizzato sull’interazione tra partitura
musicale e partitura delle azioni, tra interpretazione musicale e linguaggio
delle emozioni.
Ecco perché la festa (I atto) e l’episodio del rapimento di Gilda (II atto)
finiscono quasi con l’assomigliarsi; ed ecco perché nel III atto, quando
Gilda si troverà a decidere tra il padre e il Duca, il suo suicidio non parrà
come il gesto sacrificale dell’ingenua fanciulla, ma la scelta consapevole
di una donna senza via di fuga.
Repertorio. Diversamente dai due altri Laboratori teatrali del Conservatorio, e al fine di variare concordemente l’offerta formativa, il Laboratorio
Opera Studio si rivolge al repertorio operistico ottocentesco.
Laura Cosso
5
RIGOLETTO
di Nino Schilirò
S
Il duca di Mantova e Gilda,
bozzetto di Elisabeth Bohr
6
e le opere di Verdi fino alla fine degli anni ’40, al pari di quelle di Bellini e Donizetti, si inseriscono nel solco della tradizione e delle convenzioni codificate da Rossini, gran parte della critica è concorde nel fissare nel
Rigoletto (1851) il punto di svolta e l’inizio della maturità del maestro di
Busseto. Con esso Verdi imbocca una strada nuova che, in un percorso lungo più di 40 anni, oscillando tra tendenze innovative e altre più conservatrici, giungerà con l’Otello e il Falstaff al superamento di questa tradizione,
anche se non del tutto. Budden ha fatto rilevare che le opere del ventennio
compreso tra il Rigoletto e l’Aida (1851-1871) si possono raggruppare secondo due tendenze opposte. Nella prima il compositore traccia vie nuove,
sperimenta nuovi assetti formali, nella seconda arricchisce ed elabora le
vecchie forme con il frutto di un’esperienza ormai matura. Al primo gruppo appartengono Rigoletto, La traviata, La forza del destino, Simon Boccanegra, Don Carlos, al secondo Il trovatore, Les vêpres siciliennes, Un
ballo in maschera, Aida. Va però aggiunto che anche nelle opere più proiettate verso il nuovo si trovano elementi più legati alla tradizione.
Molto di ciò che nel medio e nel tardo Verdi è nuovo proviene dall’estero.
Tra le influenze esterne, quella francese è la più forte: dalla Francia proviene l’uso del couplet, della forma dell’aria ternaria con episodio centrale modulante, mentre le scene rituali della Forza del destino, dell’Aida e
quella dell’autodafé del Don Carlos sono tutte nello stile del grand-opéra
parigino. Ma molto del nuovo è frutto di un processo di maturazione interno allo stile di Verdi stesso.
Nell’aria la tendenza generale è verso la soppressione della cabaletta e la
sua articolazione in un solo movimento lirico (scena e cantabile); nel Rigoletto solo l’aria del Duca di Mantova all’inizio del secondo atto ha la tradizionale forma bipartita.
Il duetto, nella tipica forma quadripartita rossiniana che conclude con la
cabaletta, dura più a lungo, fino all’Aida inclusa e alla revisione del Simon
Boccanegra del 1881, anche se sono presenti esempi di duetti in due sezioni (tempo d’attacco e cantabile) e altri di “insolita forma” (per esempio il
duetto Rigoletto - Sparafucile). La progressiva eliminazione della cabaletta deriva dalla tendenza nell’opera italiana del secondo Ottocento a una
maggiore continuità all’interno dei singoli atti e delle singole scene. La cabaletta è, in tutti i sensi, un arresto dell’azione e le sue ripetizioni accuratamente predisposte erano destinate a favorire una sosta nello sviluppo
drammatico per consentire l’esplosione degli applausi.
7
Lo stesso miscuglio tra conservatorismo e tendenza a un cauto riformismo
contraddistingue l’atteggiamento di Verdi nei confronti del terzo genere di
“pezzo chiuso” che è il finale centrale. Qui il processo è duplice, da un lato c’è la tendenza all’articolazione del finale in due sole sezioni, il tempo
d’attacco e il largo concertato, quindi con la scomparsa della stretta e di
conseguenza del tempo di mezzo che la precede, dall’altro abbiamo la trasformazione funzionale del largo concertato. Dal Rigoletto in avanti infatti si passa sempre più dalla vecchia impostazione del “concertato di
stupore” o “contemplativo”, in cui tutta l’azione si arresta e i personaggi riflettono sulla loro condizione, oppure esprimono i diversi stati d’animo in
seguito agli eventi che si sono sviluppati nel tempo d’attacco, a una forma
di concertato dove vi è una dinamica drammatica, con almeno alcuni personaggi che continuano ad agire.
Nell’aprile del 1850 Verdi aveva firmato un contratto con il Teatro La Fenice di Venezia per l’allestimento di una nuova opera, su un soggetto da definire da mettere in scena tra il carnevale e la quaresima del 1851.
Il soggetto, tratto dal dramma di Victor Hugo Le roi s’amuse, fu suggerito
a Piave da Verdi stesso che in una lettera al librettista lo esorta a cercare a
Venezia una persona influente in grado ottenere il permesso della censura.
Piave fece quanto Verdi desiderava, ottenne assicurazioni, sia pure vaghe,
che il soggetto avrebbe avuto le autorizzazioni necessarie, e già dal mese di
giugno discuteva con il compositore sull’impostazione che si sarebbe dovuta dare al dramma di Hugo.
Verdi in una lettera a Piave del 3 giugno raccomanda che se non avessero
potuto mantenere il titolo originario, l’opera si sarebbe chiamata La maledizione di Saint-Vallier o meglio, semplicemente, La maledizione. Scrive
Verdi: «Tutto il soggetto è in quella maledizione che diventa anche morale.
Un infelice padre che piange l’onore tolto alla sua figlia, deriso da un buffone di corte che il padre maledice, e questa maledizione coglie in maniera
spaventosa il buffone, mi sembra morale e grande al sommo grande».
Nel novembre di quell’anno il presidente del Teatro La Fenice scrive a Verdi chiedendogli di spedirgli il libretto per sottoporlo all’approvazione della censura.
Dove si nascondeva il pericolo? In parte nella fama che Hugo aveva di repubblicano; in parte nella descrizione del libertinaggio di un re che progetta di rapire la moglie di un cortigiano, si mescola ai frequentatori di una
locanda equivoca, e infine, peggio di tutto, seduce una virtuosa giovinetta.
Ai primi di dicembre giunse la notizia che il governatore militare austriaco
aveva rifiutato il libretto di Piave. Il governatore deplorava vivamente che
il poeta e il celebre maestro Verdi non avessero saputo scegliere soggetto
più consono al loro talento, che la «ributtante immoralità ed oscena trivialità» della trama della Maledizione.
Piave trasformò allora radicalmente il libretto in Il Duca di Vendôme, dove la moralità del personaggio risultava irreprensibile: il re Francesco, trasformato ora nel Duca di Vendôme, non andava in giro a sedurre o rapire
le mogli, le figlie o le sorelle dei suoi sudditi; né era incoraggiato a compiere simili imprese dal suo giullare. Verdi a questo punto rifiuta un libretto
che stravolgeva interamente la tragedia di Hugo: con un Duca non più li8
Victor Hugo
Francesco Maria Piave
Francesci I
Giuseppe Verdi
bertino, non si può giustificare il timore di Triboletto che sua figlia esca dal
suo nascondiglio, non aveva più senso l’ira di Triboletto contro i cortigiani
e la maledizione del vecchio Saint-Vallier, così terribile e sublime nell’originale, diventa ridicola, ridotta a effetto sproporzionato di promesse di matrimonio non mantenute; in più Triboletto non è più deforme (non ha la
gobba) e nell’ultimo atto il Duca va in una remota taverna in maniera improbabile, senza un invito, senza un appuntamento amoroso.
Alla fine si trovò un compromesso che ottenne il consenso del compositore
e il beneplacito della censura, modificando il luogo e l’epoca dell’azione,
ma mantenendo la sostanza drammatica della vicenda e le caratteristiche
dei personaggi: Francesco I, re di Francia, si tramutò nel Duca di Mantova; Triboletto divenne Rigoletto; Bianca, Gilda; il sicario Saltabadil, Sparafucile; sua sorella Maguelonne, Maddalena; e così via. L’opera stessa, il
cui titolo doveva essere La maledizione, fu ribattezzata con il nome del protagonista.
Dopo venti giorni di prove il Rigoletto ebbe la prima rappresentazione a
Venezia l’11 marzo 1851.
L’opera si apre con una scena a palazzo ducale dove domina una musica da
ballo galante, rappresentazione sonora di una corte fatua e corrotta. In essa il Duca di Mantova è subito tratteggiato nella ballata («Questa o quella
per me pari sono») come personaggio fatuo, superficiale, incapace di provare alcun vero sentimento, che considera le donne solo un capriccio. La
povertà ripetitiva dell’accompagnamento e dell’armonia, la meccanica iterazione ritmica sulla quale si staglia questa prima melodia semplice e squadrata, definiscono in maniera netta il personaggio. La canzone «La Donna
è mobile» nel terzo atto completa in maniera più smaccata la vuotezza del
personaggio, sottolineandone la volgarità. Anche nel corteggiamento di
Maddalena, sempre nel terzo atto, la musica rivela la sua vacuità nella ripetizione ostinata della stessa cellula melodica iniziale («Bella figlia dell’amore»). La grande aria bipartita all’inizio del terzo atto viene a negarne
solo per un momento il libertinaggio: se nel cantabile («Parmi veder le lacrime») il sentimento d’amore per Gilda può sembrare sincero, il tempo di
mezzo, cioè il coro dei cortigiani che vengono a narragli la loro impresa (il
rapimento di Gilda), serve a stimolare di nuovo gli appetiti del principe dissoluto, stentoreamente dichiarati nella cabaletta conclusiva «Possente amor
mi chiama».
Rigoletto, quando dialoga con il Duca, assume gli stessi toni del suo padrone (frivolo, sarcastico, buffonesco, distaccato). Come Leporello con Don
Giovanni, il buffone fa da spalla al suo dissoluto Signore, schernisce in maniera violenta Monterone, procurandosi la maledizione che lo accompagnerà e lo ossessionerà lungo tutta l’opera. Ma quando entra in scena Gilda,
scopriamo un altro Rigoletto nella sua dimensione degli affetti: padre premuroso e timoroso, sposo/vedovo di una donna molto amata, svela nel canto accenti di grande dolcezza e tenerezza («Donna veglia questo fiore»).
Rigoletto si vendica del disprezzo dei cortigiani incitando il suo padrone a
possedere le loro donne; questi a loro volta si vendicano del buffone rapendogli quella che ritengono la sua amante (e che invece è la figlia) e consegnandola al Duca. Rigoletto dopo il rapimento della figlia è un padre
9
affranto, e quando scopre che è stata rapita dal Duca con la complicità dei
cortigiani, prima li implora e quindi scoppia nella più celebre invettiva di
tutta la storia dell’opera («Cortigiani vil razza dannata»). Rigoletto decide
allora di vendicarsi facendo assassinare il Duca e manda così a effetto la
maledizione di Monterone che era rimasta fin qui inadempiuta. Ma quando scopre che è Gilda, e non il Duca, a morire sotto le pugnalate del sicario
Sparafucile, Rigoletto capisce di essere lui la vittima della maledizione di
Monterone che l’aveva maledetto insieme al Duca.
Gilda è tratteggiata in tre momenti del primo atto come una fanciulla ingenua che non conosce le malizie degli uomini e del mondo esterno, cresciuta
dal padre fino a quel momento in una realtà protetta, una figura in cui la
novità della passione amorosa ha esaltato sì alcuni istinti, ma che non se
n’è saputa valere per maturarsi e intendere quanto le accade intorno. Ma
già nell’atto seguente, nell’andantino del duetto «Tutte le feste al tempio»
rivela una tenera e vibrante coscienza di sé, è diventata donna maturata dal
dolore; nel terzo atto ci appare interamente padrona del proprio destino:
innamorata del Duca, nonostante questi l’abbia ingannata, decide comunque di salvarlo sacrificando la sua vita.
Il tema della maledizione infine costituisce il tema del destino che incombe
su Rigoletto sin dall’inizio (nel Preludio), ben prima che Monterone lanci
la sua maledizione e ritorna più volte nell’opera in momenti cruciali.
Dipartimento di Canto e teatro musicale
Scuola di musica vocale da camera
Scuola di direzione d’orchestra
del Conservatorio di Musica “G. Verdi” di Milano
Docenti coinvolti: Jenny Anvelt, Monica Bozzo, Marina Giorgio,
Silvana Manga, Vitalba Mosca, Vittorio Parisi, Luigi Petroni,
Cristina Rubin, Adelina Scarabelli, Daniela Uccello
Coro del Laboratorio Opera Studio
del Conservatorio di Musica “G. Verdi” di Milano
tenori: Riccardo Belletti, Riccardo Benlodi*,
Giulio Amerigo Galibariggi, Sungchun Kim*, Jong Won Lee*,
Marcello Rosa, Abdolreza Rostamian*, Giovanni Sala*,
Alessandro Tamiozzo, Wulinkaijun
bassi: Gianluca Calabrese, Michele Cardarelli, Gabriele Faccialà,
Alessandro Guarnieri, Dong Huy Kim*, Markos Kleovoulou*,
Ju Sung Lee*, Santo Lico*, Andrea Malinverno, Kiok Park*,
Olmo Perolfi
presenze femminili: Eleonora Boaretto, Micol Mortini, Ilaria Merletti
*studenti di canto o di musica vocale da camera
Orchestra
del Conservatorio di Musica “G. Verdi” di Milano
Violini primi: Claudio Mondini, Tommaso Belli,
Mosè Maria Querenghi, Corneliu Babira, Polina Dongarova,
Maria Pia Abate, Andrea Bordonali, Circene Ilze, Gaspare Raule
Violini secondi: Honciuc Alexandra, Diana Muttini,
Jacopo Ciammarughi, Donata Beggiora, Luca Romani,
Niccolò Steffanini, Maria Press
Viole: Joseph Bacchilega, Giulia Cabra, Mariachiara Cavinato,
Torkaman Faez, Tamara Auer, Marco Venturi
Violoncelli: Carlo Mainardi, Marta Masini, Loris Rossi,
Giovanni Volpe, Martino Simionato
Contrabbassi: Alberto Boffelli, Fabrizio Castellarin, Vito Galante,
Stefano Zambon, Francesco Carcano
Flauti: Viola Brambilla, Carlotta Petri, Anna Grazia Anzelmo
Oboi: Sara Rossi, Stefano Rossi, Daniele Arzuffi
Clarinetti: Giuseppe Iovine, Alessio Quaglia
Fagotti: Debora Vallino, Giorgio Spreafico
Corni: Anna Sozzani, Chiara Amati, Adriano Masciarelli,
Carlo Lundberg
Cortigiani,
bozzetto di Elisabeth Bohr
10
Trombe: Pietro Locati, Pietro Martinoli
Tromboni: Stefano Perini, Federico De Simone, Davide
11
Si ringraziano:
Nino Schilirò
docente di Storia della Musica per il saggio su Rigoletto
Kika Bohr
per le sculture del trono
Felice Dascoli di F.D. Management e Service
Scenica srl
Cheli scenografie
Sartoria Bianchi
il Maestro Silvio Moscatelli, docente delegato alla Produzione,
Marco Seco, Irene Romagnoli, Paola Cavedon dell’Ufficio
Produzione del Conservatorio;
il Maestro Gianni Possio, docente delegato alla Comunicazione,
e Raffaella Valsecchi dell’Ufficio Stampa del Conservatorio;
tutto il personale non docente del Conservatorio
12
Scarica

Scarica il libretto.