LA FORMAZIONE NEL
SISTEMA APPRENDISTATO
Parte I
La metodologia e la figura
del formatore
(iniziativa formativa 2008/2009)
Parte II
Le buone prassi
(iniziativa formativa 2009/2010)
a cura di Sandro Rampa
CFP UPT
LA FORMAZIONE NEL
SISTEMA APPRENDISTATO
Parte I
La metodologia e la figura
del formatore
(iniziativa formativa 2008/2009)
Parte II
Le buone prassi
(iniziativa formativa 2009/2010)
a cura di Sandro Rampa
Riferimenti per eventuali richieste, contributi, proposte ed approfondimenti:
Agenzia del Lavoro - Area iniziative formative - Via Guardini, 75 - 38121 TRENTO
Tel. 0461 496048, Fax 0461 496049, e-mail: [email protected]
CFP Università Popolare Trentina - Settore Apprendistato e FC - Via Prati, 20 - 38122 TRENTO
Tel. 0461 260323, Fax 0461 269049, e-mail: [email protected]
L'iniziativa finalizzata allo sviluppo di una metodologia della formazione nel sistema apprendistato è
stata promossa dal CFP-Università Popolare Trentina d'intesa con Agenzia del Lavoro e della
Provincia Autonoma di Trento negli anni dal 2008 al 2010. L'iniziativa di ricerca e formazione è stata
seguita dagli esperti e formatori, che vengono ricordati nella documentazione di riferimento alla quale
hanno dato il proprio apporto culturale e professionale. Ad essi va il nostro ringraziamento ed
apprezzamento più sincero.
Hanno supportato e raccordato il progetto di ricerca e formazione, per gli ambiti di competenza:
Agenzia del Lavoro (con Luigi Pitton, Anna Dal Zotto e Francesca Caola)
CFP-Università Popolare Trentina (con Maurizio Cadonna e Isidoro Brugnolli)
LA METODOLOGIA DELLA FORMAZIONE
NEL SISTEMA APPRENDISTATO - I parte
PREFAZIONE
pag. 007
MATERIALI PARTE PRIMA
SISTEMA APPRENDISTATO E PROSPETTIVE
Luigi Pitton
pag. 017
PECULIARITA' DELL'UTENZA DEI CORSI APPRENDISTI
Sandro Rampa
pag. 027
MATERIALI PARTE SECONDA
1. SAPER FARE FORMAZIONE NELLA
METODOLOGIA DELL'ALTERNANZA
Renato Di Nubila
pag. 033
2. LA PADRONANZA DEGLI APPROCCI
ALLE DIVERSE TEORIE DELL'APPRENDIMENTO
Renato Di Nubila
pag. 049
3. LA GESTIONE DELL'AULA
Renato Di Nubila
pag. 057
4. SAPER USARE STRUMENTI E TECNICHE
PER LA FORMAZIONE
Renato Di Nubila - Monica Fedeli
pag. 065
5. IL METODO DELLA DISCUSSIONE
Renato Di Nubila
pag. 083
6. SAPER COSTRUIRE UN GRUPPO, CONDURLO E
VALORIZZARNE IL POTENZIALE A FINI FORMATIVI
Renato Di Nubila - Monica Fedeli
pag. 093
IL FORMATORE E LA SUA CAPACITA’
DI FARE SQUADRA
pag. 096
7. PROPOSTE METODOLOGICHE PER
L'APPRENDIMENTO ESPERIENZIALE
Renato Di Nubila - Monica Fedeli
pag. 105
LA METODOLOGIA DELLA FORMAZIONE
NEL SISTEMA APPRENDISTATO - II parte
IL CONTESTO
1.1. Il Sistema Apprendistato e le sue trasformazioni
1.2 Le iniziative formative
1.3 Gli strumenti
1.4 La necessità di garantire coerenza alle azioni
pag. 121
pag. 121
pag. 123
pag. 124
ESSERE FORMATORI NEL SISTEMA APPRENDISTATO
2.1 Il pensiero metodologico - strategico
2.2 L’impianto metodologico - didattico
2.3 I metodi operativi
pag. 125
pag. 126
pag. 127
LE BUONE PRASSI NELLA GESTIONE DELL’AULA
3.1 Perché l’esperienza di «Laboratorio»
3.2 Le buone prassi
pag. 131
pag. 131
ESSERE FORMATORI NEL SISTEMA APPRENDISTATO
4.1 Il Tutore dell’alternanza
4.2 Le competenze del tutore dell’alternanza
4.3 Gli intrecci tra l’attività di Tutore dell’alternanza
e l’attività del Formatore
pag. 197
pag. 199
pag. 202
TRE STRUMENTI
5.1 Sistema di valutazione
5.2 Traccia per la programmazione
e il coordinamento delle unità formative
5.3 Il Glossario
L’ORGANIZZAZIONE PER LA FORMAZIONE
6
pag. 207
pag. 214
pag. 220
pag. 237
La formazione nel sistema apprendistato
PREFAZIONE
Un manuale delle buone prassi: uno dei tanti già in circolazione? Non penso proprio, anche
perché, se è vero che i Manuali hanno un loro format ed una loro caratterizzazione da
“strumento di pronto intervento”, i Manuali delle buone prassi, per loro natura, non possono
essere una reciproca replica di altri.
E’ proprio qui la novità: un Manuale di questo tipo può solo per analogia di impostazione
metodologica riferirsi ad altri “modelli”, ma non potrebbe essere simile ad altri. Uno
strumento come questo diventa ogni volta nuovo se, effettivamente, riesce ad essere
l’esposizione di fatti e di eventi realmente avvenuti, poi codificati, tradotti in impianto e
proposti ad altri contesti per mettere in movimento la voglia non tanto di “imitare”, quanto
piuttosto di ispirarvisi e di avviare esperienze e percorsi che sappiano, in contesti diversi,
essere realmente diversi, e possibilmente in versione migliorata e rielaborata.
Nel nostro caso, un altro elemento concorre a connotarne la diversità, come appunto è
l’ambiente del sistema Apprendistato che , negli ultimi anni, è diventato un cantiere aperto
del sistema formativo trentino; un cantiere di fervide attività , tanto da porsi radicalmente il
problema di come ripensare la figura del Formatore che ne è poi uno dei protagonisti, nella
non facile attività di “formazione” e di preparazione al lavoro di numerosi giovani-adulti.
A questo impegno,infatti, si riferisce la prima parte del Manuale, che evidenzia le esigenze e
le trasformazioni, in atto nei modi e nell’organizzazione dell’Apprendistato, indotte dalla
globalizzazione e dalla stessa crisi devastante che ci avvolge
Oggi, l’esigenza più forte e più avvertita è quella della formazione di competenze che
interessa attori diversi: siano essi Formatori che Apprendisti, così come la stessa
organizzazione del lavoro, in una società che -per essere innovativa- non può non fare i conti
con il continuo sviluppo di conoscenze, di abilità, di saperi che , se messi in esercizio, si
trasformano in competenze.
In questa situazione constatiamo che ormai l’Apprendistato non ha più età: ne hanno
bisogno i giovani e i meno giovani che entrano nel cantiere di una riqualificazione necessaria
per posizionarsi nel lavoro con consapevole capacità e con legittima voglia di “aver potere”,
e cioè di contare di più, di essere ascoltati.
Per riuscire in questi intenti, il programma trentino di formazione dei Formatori ha dovuto
ripensare i loro pregressi professionali, le proprie esperienze, le abitudini di un “quotidiano”
che spesso è solo l’immagine di se stesso, senza generare interessi, motivazioni, “novità” nei
comportamenti attesi. Da questa esigenza è stata sviluppata la pratica di veri e propri
“laboratori” di formazione che, rimettendo in discussione una pratica istruttiva per molti
inveterata, si proponesse di studiare “in vitro” situazioni cognitive, comportamentali,
didattiche e relazionali, ne ripensasse l’impianto e ne proponesse alcune vitali modificazioni.
E’ stato un lavoro lungo e impegnativo del quale va dato atto alla determinazione di molti
Formatori di sapersi interrogare, di saper costruire ipotesi, di saper persino simulare anche
forme di “gioco serio al pari di un lavoro” -come direbbe un poeta- per arrivare a codificare
nuove consapevolezze professionali, nuovi approcci metodologici, nuove domande di
esplorazione sul sistema Apprendistato e sulle sue reali esigenze, sia in conto delle persone
che lavorano, sia in conto delle imprese che vogliono avvalersi delle loro prestazioni.
“Laboratori” di comprensibile approccio metodologico socio-costruttivista che ha visto
Agenzia del Lavoro | CFP Università Popolare Trentina
7
crescere e formarsi un vivace protagonismo professionale, in previsione del necessario
protagonismo apprenditivo da trasferire in aula e nei momenti di formazione sul campo,
utilizzando quindi forme di didattiche diverse: la simulazione, la collaborazione /
cooperazione, la negoziazione, la mediazione, l’imitazione, la forma esperienziale, la
didattica per problemi…, tutte modalità sorrette da un pensiero metodologico e dall’uso
consapevole e mirato di tecniche diverse.
In particolare sì è voluto far forte riferimento all’esperienza, come al patrimonio più
significativo dell’adulto che lavora e che vuole riqualificarsi, come avviene
nell’Apprendistato.
Sul piano metodologico abbiamo avuto come approccio teorico le posizioni di D. Kolb, di J.
Piaget, di P. Freire, per giungere alla constatazione che, per essere formativa, l’esperienza va
trattata didatticamente, affrontata ed elaborata dal punto di vista didattico. E’ la didattica,
infatti, la tecnologia più significativa del formatore, come di tutte le figure professionali
dell’education.
La formazione esperienziale può essere così realizzata davanti a problemi, come la
formazione per il lavoro e sul lavoro, fuori e dentro le organizzazioni, le imprese, in ambiti
sociali (ambiente, economia, sicurezza urbana, condizioni di vita…) , anche per situazioni di
apprendimento non formale ed informale.
Tutto ciò per dire che l’intero impianto di questo Manuale si regge su un solido pensiero
metodologico costruito insieme da docenti e formatori
E qui piace ripercorrere alcuni tratti del Manuale che esplicitano i passaggi formativi e
gli obiettivi perseguiti. Si legge infatti:
“Un anno ricco di attività quindi
- abbiamo riflettuto sul significato della formazione in apprendistato,
- abbiamo costruito un quadro teorico metodologico che potrà dare senso e
coerenza al nostro lavoro,
- abbiamo definito un impianto metodologico che potrà guidare la nostra
attività di formatori,
- ci siamo confrontati e abbiamo ragionato sulle modalità operative
attraverso le quali gestire concretamente il processo di formazione e ne
abbiamo riconosciute alcune che possono essere riutilizzate e trasferite
(le “buone prassi”),
- abbiamo proposto un sistema di verifica e valutazione della qualità
dell’offerta formativa coerente con l’impianto metodologico che deve caratterizzarla,
- abbiamo proposto una modalità per la gestione della programmazione
formativa e dei coordinamenti che la precedono,
- abbiamo riconosciuto le strette interdipendenze tra attività svolta dal
Formatore e l’attività svolta dal Tutore dell’alternanza,
- abbiamo individuato le azioni che possono favorire l’intreccio virtuoso tra le due attività,
- abbiamo individuato nodi e criticità nel rapporto formazione-organizzazione.
La qualità del servizio reso agli Apprendisti e alle aziende dipenderà da ciascuna di queste
attività, ma dipenderà soprattutto dalla capacità di garantire ad esse coerenza rispetto ad una
direzione chiara e condivisa.In questo ambiente laboratoriale sono nate alcune “buone
prassi”, di cui in questo Manuale vengono presentate le più significative, per giungere poi ad
una migliore definizione di competenza, di certificazione, di accreditamento.
8
La formazione nel sistema apprendistato
Si è voluto ribadire fino in fondo che la natura della buona pratica si configura come una
prassi che, rispetto ad altre analoghe, si è dimostrata vantaggiosa nello svolgimento di una
particolare attività.
In altre parole possiamo dire -con molteplici esemplificazioni concettuali- che ci troviamo
davanti ad un approccio, ad una tipologia di progetto, ad una specifica operazione, ad una
scelta metodologica, ad una modalità di soluzione, ad un modello di relazione con altri, ad
una particolare procedura.
Un impianto così costruito è di per sé diffusivo e necessariamente finalizzato ad essere
trasferito.
Nei documenti della UE, infatti, possiamo leggere queste affermazioni: “Individuare e
diffondere le buone prassi può consentire la riduzione dei tempi e/o dei costi, per effetto
della riproduzione di esperienze già sperimentate, e dà comunque luogo a
un'accumulazione di conoscenza e a un approfondimento continuo della tematica nel
cui contesto la buona pratica è diffusa e utilizzata”.
Specificatamente, in ambito Fse, con il termine buona pratica viene indicata quella modalità
di lavoro, sperimentata nell'attuazione di un Programma operativo, che ha agevolato il
raggiungimento dell'obiettivo sotteso a un risultato e/o a un processo previsto.
Attraverso il confronto e la condivisione di questi casi esemplari, tra i diversi soggetti coinvolti
nella programmazione del Fondo, si sviluppa un processo di benchmarking funzionale
all'attuazione del Fse.
Diffondere le buone prassi significa allora ridurre energie, costi e tempi ricorrendo ad
esperienze già consolidate, utilizzando l’accumulazione di conoscenza, con un
approfondimento della tematica quando la buona prassi è diffusa e utilizzata, fino ad un
benchmarking che possa ricorrere a misurazioni e a confronto per un possibile
miglioramento nel tempo e nella pratica quotidiana.
I nostri laboratori si sono posti questo problema e si sono attivamente “messi in gioco” per
studiare un metodologia che costruisse buone prassi e una modalità adatta alla loro
diffusione.
In riferimento alla metodologia formativa che ha caratterizzato i Laboratori dei formatori
trentini per l’Apprendistato è stata individuata e condivisa una specifica definizione di Buona
prassi. La si è ritenuta una modalità di sviluppo dell’esperienza formativa che presenta alcuni
elementi significativi:
a) per la strategia adottata: in funzione degli obiettivi, della professionalizzazione,
dell’integrazione, della costruzione di partenariato di reti e di sistemi, dell’occupabilità;
b) per la qualità del contenuto delle singole azioni, sul piano metodologico, dell'impiego e
delle Risorse umane;
c ) per la riproducibilità e la trasferibilità dell'impianto progettuale.
Tutto ciò per dire che la Buona prassi deve puntare al miglioramento possibile e a traguardi
condivisibili e raggiungibili.
Per questo occorre fare attenzione e saper distinguere la Buona prassi da casi eccellenti, non
replicabili in contesti differenti, perché essa segue naturaliter il processo di modellizzazione e
quindi di esportabilità, di adattabilità e praticabilità in situazioni diverse, a condizione di
alcuni standard, come l’adeguatezza e la completezza, l’innovatività e la riproducibilità; la
sostenibilità con orientamento al mainstreaming (di integrazione e di riferimento
all’andamento di maggiore rilevanza politica del tema). A voler ancora ribadire la natura e la
complessità della buona prassi, possiamo dire che in fin dei conti essa si pone come obiettivi
Agenzia del Lavoro | CFP Università Popolare Trentina
9
di fondo: una migliore efficacia,uno sviluppo consapevole,una condivisione ed un
trasferimento di know how, nella constatazione che ogni good practice si presenta come un
insieme di azioni che rispondano a bisogni in evoluzione, all’esigenza di replicabilità in
contesti diversi, purché oggetto di un processo di mainstreaming.
In breve, per costruire una buona prassi i Formatori per l’Apprendistato si sono ritrovati
impegnati intorno alle domande che seguono:
- come è stato realizzata?
- i risultati sono utilizzabili in altri contesti?
- quale tasso di innovatività comporta?
- quali i punti di forza e di debolezza del suo impianto?
- quale criticità si porta dietro?
- come poterla trasferire e realizzare in altri contesti?
Tutto l’impianto metodologico adottato potremmo, allora, sintetizzarlo nell’approccio che i
seguenti grafici propongono:
10
La formazione nel sistema apprendistato
Nella terza parte del Manuale viene presentata una sintesi di buone prassi che toccano
aspetti diversi della riflessione metodologica dei formatori con in comune l’asse di
costruzione condivisa:
- l’oggetto della buona prassi,
- il contesto e la tipologia dell’intervento,
- l’impianto metodologico strategico (e cioè le idee che sostengono la proposta,
le strategie e le tecniche…) ,
- gli aspetti compresenti
- i casi
- i risultati
- le modalità di trasferibilità.
Pur nella diversità dei risultati raggiunti, ogni buona prassi diventa –nelle sue criticità– un
campo da coltivare, da aggiornare, da migliorare in contesti diversi.
Una particolare attenzione, nella quarta parte del Manuale, è riservata alla necessaria
relazione tra l’attività del Formatore e quella del Tutore dell’alternanza, per delineare un
confronto tra competenze complementari, momenti di collaborazione e di significativi
intrecci di azione combinata.
La quinta parte è arricchita da un Glossario di 50 lemmi e termini specifici dell’attività di
formazione per l’Apprendistato. E’ sembrato quanto mai opportuno lavorare in direzione di
una possibile armonizzazione del linguaggio comune, sia dal punto vista lessicale, che
concettuale e metodologico.
Durante l’azione formativa, infatti, particolare interesse è scaturito intorno ai tentativi di
approfondimento concettuale, a volte anche etimologico di alcuni dei termini più ricorrenti
nel linguaggio dei relatori e dei corsisti.
Da tutti infatti è stata ben accolta –come buona prassi- l’idea della costruzione di un Glossario
che potesse essere visto e utilizzato a corredo e in armonia con tutta l’azione svolta e con
l’attività futura con gli Apprendisti, sul campo.
L’ultima parte di questa pubblicazione -che rimane sempre uno strumento migliorabile- è
dedicata ai nodi che ancora rimangono irrisolti o comunque migliorabili nella organizzazione
della formazione (sul piano interno all’Ente e sul piano provinciale).
L’insieme delle attività dei nostri Laboratori ha avuto una sua finalità di grande interesse
come sta a dimostrare il capitolo della certificazione delle competenze, insieme ai processi di
valutazione e di accreditamento.
Abbiamo potuto solo avviare il tema, con il proposito di svilupparne il significato, la portata e
la possibilità di studiarne una reale applicazione in un sistema provinciale, come quello
trentino, che ha gettato le premesse per allinearsi anche su questo tema con i paesi europei
più avanzati.
Siamo partiti dall’approfondimento dei concetto di competenza, da diversi punti di vista per
adottare poi la definizione di “una meta-capacità di saper usare le proprie capacità; e, ancora
.”’insieme di capacità, di abilità, di conoscenze, tratti personali…in esercizio”, o per eco alle
posizioni di G.Le Boterf: “ la competenza? Il pensiero in azione”.
Abbiamo anche ipotizzato il percorso del fabbisogno di riconoscimento delle competenze
nell’individuare il target di riferimento, come viene sintetizzato dal grafico seguente:
Agenzia del Lavoro | CFP Università Popolare Trentina
11
Così ne è scaturita una sorta di mappa dei luoghi di rappresentanza delle competenze
individuando il valore d’uso e il livello di governance:
12
La formazione nel sistema apprendistato
Ma la domanda che più ha interessato gli attori dei nostri Laboratori è stata quella relativa alla
motivazione di fondo: perché certificare?
Si è giunti con consapevolezza al convincimento che questa operazione sia necessaria oggi
-a maggior ragione all’interno della prassi dell’Apprendistato- per facilitare, rendere
condivisibile e capitalizzabile il patrimonio di competenze acquisite sul lavoro, nella
formazione, nei momenti informali e non formali della nostra attività.
Certificare sì, ma quando?
Altro aspetto non secondario. La riflessione si è fermata ad alcuni approcci iniziali che
consigliano alcune indicazioni temporali: al termine di ogni modulo? Dopo il rientro in
azienda e l’applicazione sul campo delle competenze acquisite? A conclusione dell’anno di
lavoro/formazione attraverso un confronto tra competenze iniziali e competenze finali?
Ultimo, ma non meno importante elemento, riguarda l’impegno metodologico da esprimere
per sapere come certificare.
Dalle argomentazioni avviate nei laboratori dei Formatori trentini si è giunti a delineare alcuni
criteri, già sufficienti per attivarsi:
- agire con gradualità e ponderazione in tutto il processo di certificazione;
- sapersi muovere dal modulo disciplinare ai necessari approcci multidisciplinari;
- costituire un gruppo di formatori/tutori dell’alternanza in grado di esprimere sensibilità e
padronanza in materia di didattica modulare e sul valore della certificazione;
- cominciare a sperimentare innovando, fino ad acquisire padronanza di strumenti e di criteri
certificativi.
Il tema è stato affrontato con molta professionalità per i primi passi di un’elaborazione che
sicuramente richiederà uno specifico progetto sperimentale che, approdando alla
costruzione di buone prassi, possa, -nel tempo- salutamente “contagiare” l’intero sistema
provinciale di formazione per l’Apprendistato. E’ nei voti di tutti.
Agenzia del Lavoro | CFP Università Popolare Trentina
13
Mi sembra più che giusto dare atto all’impegno dei Formatori componenti il gruppo di
laboratorio lungo tutto l’arco del programma svolto per giungere ad un risultato sicuramente
di apprezzabile qualità. Così diventa doveroso un riconoscimento all’azione di coordinatore
e di trainer svolta dall’infaticabile prof. Sandro Rampa.
***
Tutto il lavoro espresso merita una riflessione finale di consapevole gratificazione per gli
attori del programma, per la professionalità espressa da molti, per la capacità di guardare
al segmento formativo dell’Apprendistato come campo di particolare prospettiva per la
crescita intera del territorio, del sistema delle imprese, ma specialmente delle persone
che lavorano e che, innegabilmente, fanno la differenza nella complessità di ogni
organizzazione.
La Provincia di Trento sta producendo questo sforzo con lungimiranza. La strada da
percorrere è ancora abbastanza lunga: corre l’obbligo crederci, vale la pena percorrerla.
Nei momenti di crisi questo sforzo diventa una sfida…tanto da far tornare alla mente un
vecchio detto dei pescatori olandesi: “Quando il mare è in tempesta e il vento si fa
minaccioso, alcuni erigono muri e dighe, altri costruiscono mulini a vento!”.
E’ proprio vero: la formazione può generare energie nuove.
Renato Di Nubila
Università di Padova
14
La formazione nel sistema apprendistato
LA FORMAZIONE NEL
SISTEMA APPRENDISTATO
Parte I
La metodologia e la figura
del formatore
(iniziativa formativa 2008/2009)
15
16
La formazione nel sistema apprendistato
Luigi Pitton
Sistema apprendistato e prospettive
SUL MERCATO DEL LAVORO E SULLA CRISI IN CORSO
Quadro dell’occupazione in provincia di Trento
dati “Osservatorio” Agenzia del Lavoro
ASSUNZIONI PER TIPO DI CONTRATTO
GENNAIO - NOVEMBRE 2007-2008
TOTALE
T. Indeterminato
T. Determinato
Interinale
Apprendistato
Altro
Totale
Undici mesi
2007
Undici mesi
2008
Diff. v.a.
08/07
Diff. %
08/07
014.043
085.866
011.630
011.066
000.250
122.855
013.037
088.200
010.292
007.217
000.297
119.043
-1.006
+2.334
-1.338
-3.849
+47
-3.812
-7,2
+2,7
-11,5
-34,8
+18,8
-3,1
Diff. v.a.
08/07
Diff. %
08/07
-997
-638
-1.177
-838
+5
-3.645
-19,4
-6,6
-18,3
-24,5
+8,1
-14,7
fonte: OML su dati C.P.I.
ASSUNZIONI PER TIPO DI CONTRATTO
GENNAIO - NOVEMBRE 2007-2008
SECONDARIO
T. Indeterminato
T. Determinato
Interinale
Apprendistato
Altro
Totale
Undici mesi
2007
Undici mesi
2008
055.131
009.699
006.445
003.420
000.062
024.757
004.134
009.061
005.268
002.582
000.067
021.112
fonte: OML su dati C.P.I.
Agenzia del Lavoro | CFP Università Popolare Trentina
17
ASSUNZIONI PER TIPO DI CONTRATTO
GENNAIO - NOVEMBRE 2007-2008
TERZIARIO
T. Indeterminato
T. Determinato
Interinale
Apprendistato
Altro
Totale
Undici mesi
2007
Undici mesi
2008
058.551
058.593
004.990
007.614
000.185
079.933
008.536
061.391
004.905
004.601
000.227
079.660
Diff. v.a.
08/07
Diff. %
08/07
-15
-2.798
-85
-3.013
+42
-273
-0,2
+4,8
-1,7
-39,6
+22,7
-0,3
TRASFORMAZIONI A TEMPO INDETERMINATO GENNAIO - OTTOBRE
2008 E CONFRONTO CON STESSO PERIODO ANNO PRIMA
Variazioni v.a. e % gennaio - novembre 08/07
40,0
30,0
20,0
10,0
0,0
-10,0
-20,0
-30,0
-40,0
25 e oltre
15-24 anni
Totale
+233
+3
-381 -180
+4,8
+7
-588
-1.106 -46 -1.145
-26,0
-24,5
-25,8
-25,1
-33,6
-42,7
-374 -1.286 -43 -1.703
-39,0
-27,9 -27,4
-34,6
Apprendistato
Tempo determinato
Altri contratti
Totale
18
La formazione nel sistema apprendistato
ISCRITTI DISPONIBILI AI CPI A FINE NOVEMBRE 2007
E FINE NOVEMBRE 2008, PER CITTADINANZA E SESSO
Novembre
2007
Novembre
2008
Var. v.a.
novembre
08/07
Var. %
novembre
08/07
Stranieri
2.685
3.302
+617
+23,0
Italiani
8.069
9.020
+951
+11,8
Maschi
4.502
5.575
+1.073
+23,8
Femmine
6.252
6.747
+495
+7,9
TOTALE
10,754
12.322
1.568
+14,6
Disponibili per
provenienza
Disponibili per
sesso
fonte: OML su dati C.P.I.
ORE AUTORIZZATE DI GIGO E GIGS IN PROVINCIA
DI TRENTO GENNAIO 2008 A GENNAIO 2009
159.679
160.000
140.000
120.000
110.902
100.000
77.659
80.000
72.428
60.000
42.678
48.777
40.000
36.390
20.000
5.231
0
6.288
Gennaio
2008
Febbraio
Marzo
Aprile
Maggio
Giugno
Cigo
Luglio
Cigs
Agosto
Settembre
Totale
Ottobre Novembre Dicembre Gennaio
2009
fonte: OML su dati INPS
Agenzia del Lavoro | CFP Università Popolare Trentina
19
ISCRITTI DISPONIBILI AI CPI A FINE NOVEMBRE 2007
E FINE NOVEMBRE 2008, PER CITTADINANZA E SESSO
Mobilità
provinciale
Mob. statale
con indennità
(223/91)
Mob. regionale
con indennità
(223/91)
Mobilità
totale
Totale
2008
43
874
1.569
2.443
2.486
2009
42
964
2.121
3.085
3.127
Var. v.a.
gennaio 09/08
-1
+90
+552
+642
+641
Var. %
gennaio 09/08
-2,3
+10,3
+35,2
+26,3
+25,8
fonte: OML su dati CPI
INTERVENTI STRAORDINARI DI SOSTEGNO AL REDDITO
PER CHI DIVENTA DISOCCUPATO
INDENNITA’ DI SOSTEGNO AL REDDITO PER LAVORATORI DISOCCUPATI
Lavoratori/trici provenienti dal settore privato, che cesseranno o hanno cessato l’attività
lavorativa nel periodo compreso tra il 01.09.2008 e il 31.12.2009 per motivi riconducibili a
crisi generale di mercato, di settore, occupazionale o aziendale:
1)……..
2)……..
3)……..
4) APPRENDISTI
5)………
6)………
PROCEDURA PER LA PRESENTAZIONE DELLA DOMANDA
La domanda va presentata su apposito modello presso il Centro per l’Impiego competente
entro 60 giorni dalla cessazione dell’attività, ovvero, per i lavoratori cessati fino al 31.01.2009,
entro il 31.03.2009.
ASSISTENZA PER LA COMPILAZIONE
- presso i Centri per l’Impiego della Provincia Autonoma di Trento
- presso le sedi dei patronati aderenti all’iniziativa
20
La formazione nel sistema apprendistato
REQUISITI GENERALI
- residenza e domicilio in provincia di Trento al momento della cessazione dell’attività
lavorativa;
- aver instaurato l’ultimo rapporto di lavoro in provincia di Trento;
- essere in stato di disoccupazione da almeno 15 giorni;
- anzianità lavorativa presso l’ultimo datore di lavoro di almeno 180 gg. (per i lavoratori
dipendenti di agenzie di somministrazione il computo dei 180 gg. può realizzarsi anche
mediante il cumulo di più rapporti di lavoro attivati nell’arco degli ultimi 12 mesi).
MISURA E DURATA DELL’INTERVENTO
L’importo del sostegno al reddito è erogato per la durata dello stato di disoccupazione fino
ad un massimo di sei mesi ed ammonta a:
- ….……….;
- …………..;
- euro 600,00 mensili per gli apprendisti,………
Per i lavoratori part-time gli importi sopra indicati sono determinati in una percentuale pari a
quella dell’orario di lavoro svolto.
AZIONI FORMATIVE
Ai soggetti beneficiari del sostegno al reddito è proposta l’adesione ad offerte formative a
carattere specifico
A fronte della partecipazione all’attività formativa, viene corrisposta al lavoratore
partecipante un’ulteriore indennità pari a euro 2,00 per ora di effettiva frequenza
Le offerte formative di cui sopra sono rivolte anche a soggetti disoccupati che non
usufruiscono di alcuna misura di sostegno al reddito. A fronte della partecipazione
all’attività formativa, viene corrisposta al lavoratore un’indennità pari ad euro 5,00 per ora di
effettiva frequenza.
Agenzia del Lavoro | CFP Università Popolare Trentina
21
AVVISO per disoccupati
L’Agenzia del lavoro della Provincia Autonoma di Trento intende effettuare dei corsi
formativi per disoccupati, inoccupati, persone in mobilità o in premobilità iscritte ai
Centri per l’impiego, per le aree e figure professionali di seguito specificate:
Area Commercio:
- addetto alle vendite food
- addetto alle vendite no food
- addetto alle vendite abbigliamento
- Macellaio
Area industria:
……
addetto alla contabilità
addetto alla segreteria
Area turismo:
…….
…….
Gli interessati dovranno rivolgersi al Centro per l’Impiego in cui sono iscritti e compilare la
domanda di iscrizione al corso quanto prima e comunque entro le ore 12.00 di giovedì
30/04/2009. Le domande saranno accolte sulla base dei pre-requisiti posseduti e dell’ordine
di presentazione. Coloro che saranno ammessi al corso saranno avvisati dall’Agenzia.
L’APPRENDISTATO OGGI
22
ottobre 2007
ottobre 2008
marzo 2009
Apprendisti attivi
in banca dati
6.001
6.277
6.730
PFI compilato
3.505
3.555
3.694
La formazione nel sistema apprendistato
TITOLI DI STUDIO DEGLI APPRENDISTI CON P.F.I.
(coerente o non coerente)
Titolo di studio
ottobre 2007
marzo 2009
ottobre 2007
marzo 2009
Licenza Media
852
388
24,30%
10,50%
Att./Dipl. Qualifica
556
199
15,86%
5,39%
Dipl./Maturità
1.510
2.472
43,07%
66,92%
Laurea
358
599
10,21%
16,22%
Non dichiarato
230
36
6,56%
0,97%
Totale
3.506
3.694
100%
100%
IN PROSPETTIVA:
- gli attuali ragazzi sotto i 18 anni che hanno abbandonato la scuola senza una qualifica
professionale sono meno del 4% dei giovani tra i 16 e i 17 anni
- ogni stato membro della comunità ha come obiettivo di portare entro il 2010 almeno l’85%
dei ventiduenni al diploma di scuola media superiore
IL SISTEMA APPRENDISTATO
È un modello di alternanza LAVORO - SCUOLA
È l’azienda che invia il/la giovane a scuola per
almeno 120 ore
Agenzia del Lavoro | CFP Università Popolare Trentina
}
}
NO RIFORMA MORATTI
- art. 4 Legge 28 marzo 2003/53
- decr. leg.vo 15 aprile 1005, n. 77
pari al 7,1% del tempo lavoro
23
SAPENDO CHE:
- la popolazione di giovani apprendisti sta rapidamente cambiando;
- l’azienda ed il giovane lavoratore sono al centro del processo di apprendimento
professionale
“QUANDO 120 ORE FORMATIVE
SONO UN INVESTIMENTO
PRODUTTIVO PER L’AZIENDA ED IL
GIOVANE CHE VI PARTECIPA?”
a questa domanda dobbiamo provare a dare risposte adeguate ad iniziare da questo
percorso
QUALI STRUMENTI ABBIAMO SULL’INTERO APPRENDISTATO?
P.F.I.
PROFILO FORMATIVO
DI RIFERIMENTO
0
AIUTO ALLA
COMPILAZIONE
0
OFFERTA FORMATIVA
MODULARE (ALL. 3)
0
PERCORSO STANDARD
0
PERCORSO ANCHE
AZIENDALE (ALL. 2)
FORMAZIONE AZIENDALE INTERNA
L’azienda diventa soggetto formativo:
- progetta
- attua
- documenta
- certifica
TUTORE
AZIENDALE
0
TUTORE
DELL’ALTERNANZA
0
AGENDA
FORMATIVA
0
ELENCO DELLE
ABILITÀ OPERATIVE
0
CERTIFICAZIONE
AZIENDALE
FORMAZIONE ESTERNA
120 ORE
0
DOCENZA
0
ORGANIZZAZIONE
DELL’OFFERTA
0
DIDATTICA
24
La formazione nel sistema apprendistato
INNOVAZIONI IN CORSO 2009
P.F.I.
RIPROGETTAZIONE DI 56 PROFILI
FORMATIVI CON LA RELATIVA
OFFERTA FORMATIVA (CONTENUTI)
0
(PERCORSO STANDARD, ALL. 2, ALL. 3)
0
COMPILAZIONE ON-LINE
TUTORE AZIENDALE
16 ORE
RIPENSAMENTO/RIPROGETTAZIONE
delle modalità formative degli Enti
TUTORE DELL’ALTERNANZA valorizzato nel suo ruolo
di aiuto all’azienda sia per l’inserimento dei giovani sia
per la formazione continua aziendale
LE 120 ORE ESTERNE ovvero quelle affidate agli Enti
formativi che risposta qualitativa possono dare?
le 120 ORE hanno/possono avere valore se i docenti
sapranno vestire i panni di “CONSULENTI AZIENDALI”
Agenzia del Lavoro | CFP Università Popolare Trentina
25
26
La formazione nel sistema apprendistato
Sandro Rampa
Peculiarità dell’utenza dei corsi apprendisti
Obiettivi:
riconoscere la specificità dei corsi apprendisti e le potenzialità delle loro
caratteristiche.
Contenuti:
- principali caratteristiche dell’utenza
- la condizione di soggetto “in formazione” - “in alternanza”
- lo sviluppo di “competenze” obiettivo formativo esplicitamente dichiarato
- il ruolo del tutore dell’alternanza e il ruolo del docente
- la valutazione e la certificazione delle competenze
LA NOSTRA UTENZA
Proviamo a chiederci chi sono i giovani che ci troviamo in aula.
Età media 22/24 anni, quindi nati verso la fine egli anni ’80, usciti dalla scuola quattro anni fa e
entrati nel mercato del lavoro mediamente da due anni. Hanno vissuto sulla propria pelle il
periodo di maggior crisi della scuola e si ritrovano in azienda nel periodo di massima crisi
economica.
Crisi della scuola perché è entrato definitivamente in crisi il suo modello tradizionale -vecchio
di oltre ottanta anni fa (la riforma Gentile è del 1923)- nei suoi ordinamenti, nei contenuti, nei
metodi didattici, nel suo rapporto con il mondo del lavoro.
Nei suoi ordinamenti (cinque anni di elementari, tre di medie, cinque di superiori, quatto o
cinque di università, senza contare le specializzazioni e gli esami di stato), per cui un laureato
esce dalla scuola e entra nel mercato del lavoro a 25/26 anni e oltre (contro un’età media
degli altri paesi di 22/23 anni).
Nei contenuti, perché nel modello tradizionale essi sono considerati oggetti da travasare
nella testa dei giovani, e se negli anni venti i contenuti “da travasare” erano 100, oggi, con il
progresso della scienza e della tecnica, sono diventati 1000, e quindi “non c’è il tempo” di
fare tale operazione. Il che significa o lasciare “buchi” o non dedicare il tempo necessario ai
singoli obiettivi educativi. Ne è dimostrazione il fatto che oggi escono dai tecnici o dai licei
persone che non sanno scrivere.
Nei metodi, perché ai tempi della riforma Gentile la scuola era per propria natura selettiva, e
riusciva chi era “bravo” e chi, comunque, accettava l’assioma che “studio è fatica” e
accettava la regola: promosso/ respinto. Oggi la scuola non è selettiva (si è passati anzi dal
concetto di diritto allo studio” al concetto di “diritto all’apprendimento” …) e inoltre i giovani
sono profondamente cambiati, non accettano l’equazione studio eguale fatica, chiedono
piacere, libertà, divertimento.
Ed è comprensibile: se una volta la fatica dello studio garantiva lavoro e crescita sociale, oggi
lo studio non dà garanzie (quantomeno nel breve periodo, che è quello percepito) né sul
piano dell’occupazione né sul piano della crescita sociale.
Agenzia del Lavoro | CFP Università Popolare Trentina
27
Sarebbe troppo facile negare o dimenticare questa realtà. Così come sarebbe sbagliato
ragionare sui problemi dei giovani d’oggi utilizzando nostri ricordi e nostre esperienze di
“quando eravamo giovani”.
Sono cambiati e si sono moltiplicati inoltre i “luoghi” di apprendimento e i “modi di
apprendere”.
E di fronte ad una pluralità di stili di apprendimento è necessario disporre (e saper utilizzare)
una pluralità di metodi.
Nel rapporto con il mondo del lavoro, perché la scuola italiana, a differenza di tante scuole
europee e del mondo, non ha voluto/saputo ricercare un rapporto con esso (forse perché il
confronto avrebbe portato alla luce limiti e contraddizioni del sistema scolastico ..).
La scuola italiana sta ancora vivendo drammaticamente questa crisi (e sembra che molti
addetti neppure se ne accorgano), e intanto l’Europa spinge per garantire e diffondere a
livello europeo:
- lo sviluppo della qualità dell’istruzione e della formazione;
- lo sviluppo di competenze professionali, imprenditoriali ed auto imprenditoriali;
- un rapporto efficace e produttivo tra istruzione e mondo economico.
Di fronte poi alla necessità di rendere trasparenti e vicendevolmente riconoscibili i percorsi di
istruzione/formazione, l’Europa spinge per arrivare al più presto ad un passaggio dalla logica
del “titolo di studio” (che perderà mano a mano valore legale), alla logica delle competenze e
della loro certificazione.
Non c’è dubbio che l’imprenditoria italiana, soprattutto quella dei settori meno rilevanti, delle
periferie, delle piccole aziende artigianali .., non considera prioritaria la formazione dei propri
collaboratori. O quanto meno non considera prioritaria una formazione, che per il giovane
lavoratore e per l’azienda, costituisca realmente un incremento di professionalità, di capacità
operativa e organizzativa e, con esse, di produttività, redditività, competitività.
Pensiamo a come molte aziende di apprendisti che abbiamo in carico percepiscono la
formazione (soprattutto quella “formale”): pura perdita di tempo.
Molte aziende si limitano, quando lo fanno, ad addestrare su attività specifiche .., non vanno
oltre, anche perché temono che il collaboratore capace se ne vada altrove a spendere le
proprie capacità.
E’ difficile far capire alle piccole aziende che solo uno sviluppo di professionalità potrà
aiutarle a competere con una concorrenza mondiale che può fare leva sui costi di
produzione, ed in particolare sul costo del lavoro.
Insomma, gli apprendisti che ci troviamo in aula hanno avuto poche opportunità di crescere
intellettualmente e professionalmente quando erano a scuola, hanno poche possibilità di
crescere intellettualmente e professionalmente oggi che sono nel mondo del lavoro.
LE POTENZIALITA’ DELLA NOSTRA UTENZA
Un quadro generale, insomma, disastroso. Ma sforziamoci di trovare in esso qualcosa di
positivo.
Gli apprendisti che abbiamo di fronte, come s’è detto, hanno lasciato la scuola da poco. Non
è un lontanissimo ricordo. Non tutti hanno di essa un ricordo positivo, ma è comunque
possibile attingere, fare riferimento, utilizzare almeno l’”elasticità mentale” residua e parte di
ciò che “hanno fatto” a scuola.
Sono entrati nel mondo del lavoro da poco. E’ importante, perché non hanno ancora perso
l’entusiasmo, l’interesse verso questa nuova e importantissima esperienza.
28
La formazione nel sistema apprendistato
Gli apprendisti fanno quotidianamente esperienza, e tutti sappiamo che, a determinate
condizioni, l’esperienza produce apprendimento, il luogo di lavoro è un “luogo di
apprendimento”. E per la maggior parte dei giovani l’apprendimento attraverso l’esperienza
è la forma (o una delle forme) più diffusa e significativa di apprendimento.
Apprendono perché il processo di cui sono protagonisti non viene percepito come estraneo,
lontano, inutile: apprendono perché l’esito dell’apprendimento, l’apprendimento stesso
viene riconosciuto come utile e immediatamente spendibile. Sono “motivati
all’apprendimento”.
Gli obiettivi formativi dell’apprendistato sono espressi esplicitamente in competenze. Non è
una cosa da poco. Chi opera oggi nel sistema apprendistato sta lavorando con metodi che
fra qualche anno dovranno essere utilizzati da tutti gli educatori, formatori, insegnanti, di ogni
scuola, di ogni ordine e grado.
Le definizioni di competenza sono svariate, ma in comune tra esse c’è sempre l’affermazione
di un insieme coerente tra “sapere” e il “saper fare”. Quindi tra il conoscere, (piano
cognitivo) e il fare (piano esperienziale). Come s’è detto, la regola è che -oggi- la scuola
opera sul piano cognitivo, l’azienda sul piano dell’esperienza.
Il sistema apprendistato è invece un luogo particolarissimo: prevede infatti un legame stretto
e continuo (mediamente quattro anni) tra i due piani. La caratteristica del sistema
apprendistato è l’alternanza tra il piano dell’esperienza, dell’applicazione, e il piano della
riflessione teorica sull’esperienza.
Sarebbe davvero un grosso errore sottovalutare o dimenticare questa peculiarità
dell’apprendistato, e operare come se gli apprendisti, una o due settimane all’anno,
lasciassero il proprio posto di lavoro e dovessero “ritornare a scuola”. Non si tratta di questo
(anche se spesso -purtroppo- gli apprendisti escono dall’esperienza d’aula con questa
sensazione).
E’ necessario utilizzare l’alternanza come occasione di riunire piano cognitivo e piano
esperienziale. L’aula deve divenire un luogo in cui si riflette sull’esperienza, la si elabora, la si
concettualizza. L’azienda il luogo in cui tali elaborazioni e concettualizzazioni si possono
applicare.
Il circolo virtuoso che lega aula e azienda è il “luogo” in cui è possibile sviluppare (davvero)
competenze. Se questo legame tra “lavoro” e “aula” sarà percepito chiaramente
dall’apprendista miglioreranno il clima e la motivazione, e, con esse, l’apprendimento di
conoscenze e competenze.
LA QUALITA’ DEL RAPPORTO UPT-AZIENDE
Accettare quanto detto fin qui significa accettare anche che la condizione per un reale
sviluppo di competenze consiste nella qualità del rapporto tra aula e azienda. Nel nostro
caso, tra UPT e le aziende in cui lavorano gli apprendisti che abbiamo in carico.
In quest’ottica (e solo in quest’ottica) si riesce a comprendere l’importanza del ruolo del
tutore dell’alternanza, istituzionalmente riferito al rapporto ente-azienda, e l’importanze del
ruolo del docente.
IL TUTORE DELL’ALTERNANZA
Il tutore dell’alternanza è il soggetto che conosce l’azienda, i suoi problemi, i suoi bisogni;
conosce l’apprendista, le sue condizioni lavorative, i suoi deficit di competenza. Ed opera in
vista dell’acquisizione delle competenze necessarie, ragionando con l’apprendista e il tutore
aziendale sul piano formativo, su eventuali modifiche e miglioramenti, sulle modalità e
Agenzia del Lavoro | CFP Università Popolare Trentina
29
attenzioni che l’azienda dovrà mettere in atto nel momento in cui l’apprendista uscirà
dall’aula e rientrerà sul proprio posto di lavoro, sulle modalità attraverso cui l’azienda potrà
osservare, valutare, certificare le competenze acquisite.
E ancora, il tutore dell’alternanza dovrà supportare l’azienda quando essa sceglie di “fare
aula” al proprio interno, quando -come si dice- ha moduli formativi “aziendali”.
Su questo sappiamo che c’è ancora molto da fare. E’ assolutamente necessario valorizzare il
ruolo del tutore dell’alternanza valorizzando le attività e le competenze che gli sono più
proprie. C’è qualcosa che non funziona se l’oggetto della discussione e del confronto tra i
tutori dell’alternanza sono solo le schede in GA, con i loro “doppioni”, i “pnp” e i “baffi”..
IL DOCENTE
Se il tutore dell’alternanza, in stretto contatto con il tutore aziendale, agisce sugli aspetti
legati alla progettazione, alla gestione ed alla valutazione del percorso formativo
dell’apprendista, il docente è chiamato ad intervenire direttamente sui processi di
apprendimento degli apprendisti. Il suo compito è aiutare l’apprendista a riflettere sulla
propria esperienza, a impadronirsi di strumenti che aiutino a leggerla, ad interpretarla, a
trasformarla in apprendimento, in nuovo “sapere”.
Si diceva all’inizio della impossibilità di impadronirsi delle conoscenze e delle competenze
necessarie nel solo “tempo scuola”. Questo significa che il processo di apprendimento deve
continuare nel corso dell’intera vita professionale (e non solo). E perché tale processo possa
svilupparsi è necessario possedere strumenti idonei. Abbiamo in catalogo un modulo
trasversale emblematico: “imparare ad imparare”, sarebbe bello che tutti i docenti, quale che
sia il modulo gestito, operassero coerentemente allo spirito e alle finalità di quel modulo.
VALUTAZIONE E CERTIFICAZIONE DELLE COMPETENZE
Tutto questo per “favorire lo sviluppo di competenze”. Se sull’importanza delle competenze
possiamo dire che c’è sufficiente chiarezza e condivisione, sul problema della loro
valutazione e della certificazione è necessario riflettere ancora.
Chi è il soggetto che valuta e certifica?
Dire che UPT (e per lei il docente del modulo formativo) certifica le competenze acquisite in
aula e che l’azienda valuta e certifica le competenze acquisite in azienda attraverso i moduli
aziendali costituisce una contraddizione. Abbiamo appena detto -infatti- che la competenza,
per definizione, ricongiunge e sintetizza il piano cognitivo e il piano pratico, esperienziale.
La competenza è “sapere in azione”, e la sua osservazione e valutazione può avvenire,
appunto, solo nell’azione, in un contesto di lavoro “reale”. Non può essere il docente
l’osservatore e il valutatore, il suo campo d’azione è l’aula.
Ragionando in modo rigoroso, il processo dovrebbe essere il seguente:
- il tutore aziendale riconosce un deficit di competenze (relativo alle attività attualmente svolte
o ad attività future) e prepara l’apprendista ad un momento d’aula;
- in aula l’apprendista riflette, si confronta con colleghi, ascolta comunicazioni del docente,
sviluppa consapevolezza, concettualizza;
- l’apprendista ritorna sul luogo di lavoro, applica le elaborazioni effettuate in aula, ..accresce
la competenza;
- il tutore aziendale osserva e valuta i progressi e i miglioramenti, si confronta con i docenti e
definisce insieme a loro standard minimi e opportune scale di valutazione;
- il tutore aziendale valuta sul campo la competenza, e, se acquisita, la certifica.
30
La formazione nel sistema apprendistato
LA PROPOSTA FORMATIVA
Un processo, quindi, che richiede pazienza, competenza, rapporto stretto tra le aziende e
l’ente formatore, profonda condivisione su strategie, obiettivi, metodi.
E il docente, se pure cura solo una parte di tale processo, deve conoscerlo nella sua
interezza e complessità.
Questo è il quadro dentro il quale, come docenti, dobbiamo muoverci.
Il corso che state iniziando è pensato per fornire elementi di lettura di tale quadro, per fornire
competenze metodologiche di fondo, per proporre e confrontarci su tecniche, strumenti,
comportamenti che, (solo) se sostenuti da chiarezza metodologica diventeranno strategici
ed efficaci nella nostra attività di “formatori”.
Nei tre incontri che seguiranno avremo l’opportunità di approfondire tali tematiche, di
impadronirci di strumentazione tecnica, di fare attività di laboratorio, di applicare in aula le
nuove acquisizioni, di confrontarci -a fine maggio- sull’esito dell’esperienza.
Agenzia del Lavoro | CFP Università Popolare Trentina
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32
La formazione nel sistema apprendistato
Renato Di Nubila
Unità di lavoro n. 1
Saper fare formazione nella metodologia dell’alternanza
OBIETTIVI DELL'UNITÀ DI LAVORO
La presente Unità di lavoro ha lo scopo di chiarire il concetto di metodologia e di definire le
modalità di una pratica formativa che dia senso al fare e all'apprendere.
Una di queste modalità è proprio quella di imparare a lavorare con metodo, così come
diviene necessario nelle attività di alternanza.
Per il soggetto in formazione si tratta di imparare ad avere consapevolezza che il formarsi
richiede cambiamento di comportamenti e di atteggiamenti.
Per il formatore il compito si fa ancora più delicato, trovandosi esso davanti a persone che
vogliono lavorare ed avere senso e soddisfazione per quello che fanno.
La formazione in alternanza è un esercizio mentale prima che operativo: saper alternare
pensiero e azione continuamente.
L'alternanza -allora- prima che una pratica sequenziale di pensiero e di azione o di azioni
diverse è una metodologia formativa. Ecco l'importanza del “pensare la formazione” come
processo che utilizza momenti, strumenti, contenuti e tempi diversi.
Sarà compito di ogni formatore curare l'esercizio del pensiero riflessivo nei soggetti in
formazione, quale garanzia di un patrimonio di consapevolezza da acquisire e da gestire
con la dignità di una persona che lavora, prima che “una risorsa umana” che produce.
INDICAZIONI OPERATIVE
Gli esercizi più opportuni sono quelli di tipo riflessivo sul significato di Metodologia, in forme
di risposte singole e collettive. Il formatore non si stanchi di chiarire con apposite forme di
dialogo il significato di ”formazione”, di “pensiero formativo”, di “metodo”, di “tecniche”,
spesso confuse come se fossero sinonimi.
INTRODUZIONE: SIGNIFICATI E VALORI DI UNA METODOLOGIA
Può sembrare sicuramente più abbordabile un argomento come questo se prima facciamo
chiarezza sul significato del termine metodologia e, nel nostro caso, di metodologia della
formazione.
Il concetto di metodologia ci porta a fare i conti con tutto ciò che implichi attività di riflessione,
di pensiero, di discussione, di conoscenze, di scelta consapevole, di padronanza e di
utilizzo di diversi approcci teorici per avviare un'azione operativa.
Se restringiamo l'area semantica del discorso metodologico al suo più specifico riferimento
dobbiamo affermare che metodologia è essenzialmente la riflessione sui metodi, nella
constatazione che “essa non insegna metodi, ma insegna a ricercare e a discutere in maniera
corretta, critica o euristica attorno ad essi in ogni campo di applicazione, per poi tradurli in
1
metodi operativi che pervengono a prodotti finali costruendo, analizzando, migliorando” .
1
P. Gianola, Significato di un corso universitario di metodologia pedagogica, in “Orientamenti Pedagogici”, n. 27/1980, p. 251 - 256
Agenzia del Lavoro | CFP Università Popolare Trentina
33
Si comprende allora che non esiste un particolare settore d'indagine che potrebbe chiamarsi
di per sé “metodologia”, esiste invece l'intenzione di far ricorso a regole precise per attivare
la ricerca operativa in un determinato settore per muoversi secondo una regola o delle
regole, per conferire una logica al lavoro da svolgere, per condividere con altri questa logica
e dare ordine alle azioni concertate e finalizzate ad un obiettivo concordato.
Lavorare con metodo, significa avere idee sufficienti per muoversi secondo una direzione
studiata, condivisa e credibile nel darci risultati soddisfacenti.
Quando poi entriamo nell'ambito delle azioni formative, il primo elemento costitutivo del
discorso metodologico è quello dell'area pedagogica .
Si può quindi parlare di metodologia pedagogica, come luogo in cui “la pedagogia si fa
scienza autonoma dell'educazione, con lo statuto che la definisce e la distingue,
individuandone le caratterizzazioni. E' la ricerca scientifica che discute e definisce i metodi, o,
più largamente, i procedimenti razionali delle operazioni dirette ad intervenire, progettare,
agire e verificare nei fatti e negli atti dell'educazione”2 .
Una metodologia pedagogica viene così a configurarsi come impegno a precisare cosa fare
e come fare per scegliere, decidere, riorganizzare, riordinare e migliorare l'intero evento
educativo, affrontando con metodo le azioni necessarie per preparare i fattori agenti e la loro
collocazione nel campo, per organizzare modelli di progetti e di modalità convenzionali quali sono appunto i metodi e le tecniche - per condurre l'atto educativo con validità di
3
risultati e con efficacia di mezzi .
La metodologia della formazione, quindi, essenzialmente rappresenta un costante esercizio
di studio e di riflessione sulle modalità di come collocare “in situazione” l'evento formativo, di
come allenarsi a pensare la formazione, a esplicitare l'idea formativa, a individuare un
metodo, a tracciare le traiettorie di un progetto, a “costellare” il percorso scelto di tecniche
necessarie, a descrivere e a condurre la pratica formativa, a puntare agli obiettivi possibili, a
misurare l'effetto di ricaduta in itinere e a conclusione.
In termini più innovativi, per una formazione che dal tradizionale raccolga la parte migliore di
una serie di eventi, di risultati, di strumentazione, di processi strutturati, ma che s'impegni a
pensare e a costruire il nuovo che ancora non c'è o si vede poco, la metodologia può anche
significare stimolare e generare domande, valori, progetti e itinerari nuovi, per soggetti
nuovi che si affacciano sul versante di un protagonismo formativo.
Sono questi e altri gli elementi costitutivi dell'impianto metodologico che poi ben evidenziano
come la formazione sia, ai nostri giorni, una dimensione dell'attività umana, che riguarda il
cambiamento e che si presenti, nel suo insieme, come un'esigenza e come un diritto. La
formazione - lo si comprende con una certa facilità - caratterizza ogni pratica umana e la
formatività segna ogni attività dell'uomo, fino a presentarsi come una determinazione
fondamentale dell'esistenza, per cui non si tratta solamente di teorizzare sulla formazione,
ma di pensare la formazione, come riferimento d'obbligo tra il pensare e l'agire formativo.
Pensare la formazione: questo uno dei tratti caratterizzanti la nuova visione di una
metodologia della formazione che ogni giorno richiede la capacità di proporsi coerente e
rispondente non solo ai bisogni, ma anche alle aspettative e ai desideri delle persone che
credono alla fruibilità di questo servizio. Avviene infatti, quasi spontaneamente ormai, che
una persona si ponga davanti a questa opportunità con una serie di attese e di prospettive,
nella misura in cui avverte che sia possibile ogni volta sperimentare un significato sempre più
aggiornato della formazione, fino a fare i conti con tutta una mappa di possibili modi di
pensare ad essa in un ambito di grande respiro e di grande congruenza con le proprie
aspettative.
2
3
ibidem, p. 254
P. Gianola, Metodologia pedagogica in Dizionario delle Scienze dell'educazione LAS, Roma,1997, p. 691
34
La formazione nel sistema apprendistato
A questo obiettivo non potrebbe rispondere una vecchia e statica visione metodologica della
formazione, poco stimolata dal nuovo che arriva e poco stimolante per i soggetti che vi
facciano ricorso.
Diventa, invece, oggi uno dei presupposti il fatto che ogni persona possa raggiungere le
condizioni per maturare pienamente le proprie risorse quando si sente in grado di analizzare
in modo corretto la realtà, di individuare dei valori e poi scegliere in modo soggettivamente
rassicurante.
Questo può diventare più facile se alla riflessione teorica aggiornata si accompagnino le
pratiche formative in una combinazione tale da rendere capaci le persone di pensare il
proprio futuro nelle tre direzioni: della vita personale, del mondo professionale e delle sfide
sociali.
Lo scenario dell'azione formativa, proprio per questo, non potrebbe più dare per scontata
un'utenza dai bisogni definiti, a meno che non ci si voglia fermare allo stadio del vecchio
addestramento, con abilità da far acquisire, in riferimento ad una società di mansioni, di
mestieri, di posti definiti, tipici di una organizzazione fordista del lavoro.
Una metodologia che non tenesse in debito conto queste premesse, rischierebbe di
fossilizzarsi per essere solo un catalogo di indicazioni operative per un “fare formazione”
senza anima pedagogica, senza pensiero, senza forza di riflessione incisiva e generativa.
Il processo formativo, invece, si presenta come processo di apertura di nuove possibilità
comprensivo di quelle componenti che segnano necessariamente le sue fasi di sviluppo:
a) costruzione di una nuova “pensabilità” di sé e della situazione da affrontare, oggetto
di desiderio, di bisogno, di aspettativa; per cui ben a ragione sempre Bruscaglioni
aggiunge: ”E' importante ricordare che la costruzione di una pensabilità e di pensabilità
4
positiva è opera non istantanea: è frutto di un lungo lavoro …” ;
b) il reperimento delle risorse esterne;
c) l'elaborazione di risorse interne soggettive;
d) la sperimentazione, con il passaggio all'azione.
Anche la formazione entra dunque nella logica di situazioni complesse, e cioè intrecciate
(non complicate!), di una complessità anche organizzativa e non solo metodologica da un
lato, insieme all'opportunità offerta dalle nuove tecnologie dall'altro, tali da suggerire di
rivedere i tradizionali paradigmi del “fare formazione”. E' vero che anche secondo questi
paradigmi si sarebbe dovuto partire dai bisogni, ma oggi diventa più pressante la richiesta
che viene anche dai desideri,dagli interessi, dalle intenzioni, fino alla richiesta di maggiore
protagonismo di tutti del processo formativo, rivendicando il diritto dei soggetti di decidere in
merito alla propria formazione, sulle sue finalità, i suoi contenuti, e la sua capacità di
rispondere anche ai fabbisogni delle organizzazioni. Una formazione ancora più esigente
una migliore valorizzazione del ruolo dei formatori.
4
ibidem, p. 36
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La formazione nel sistema apprendistato
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La formazione nel sistema apprendistato
Renato Di Nubila
Unità di lavoro n. 2
La padronanza degli approcci alle
diverse teorie dell’apprendimento
OBIETTIVI DELL'UNITÀ DI LAVORO
Gli obiettivi principali di questa unità di lavoro sugli stili di apprendimento sono:
1. sollecitare i docenti a variare la propria didattica sulla base degli stimoli ricevuti,
2. far conoscere le caratteristiche dei diversi stili di apprendimento,
3. imparare ad organizzare la lezione su misura per il gruppo di studenti che mi trovo di
fronte,
4. imparare a porre al centro del processo di apprendimento l'allievo con i suoi tratti
personali,
5. far acquisire maggiore consapevolezza dell'importanza del proprio ruolo di docente.
INDICAZIONI OPERATIVE
Riteniamo importante, al fine da poter migliorare le competenze dei formatori nell'individuare
i diversi stili di apprendimento e nel variare le proprie proposte didattiche, realizzare
esercitazioni operative di gruppo in cui condividere strumenti, modalità operative, percorsi
ed itinerari di apprendimento rivolti a specifici gruppi target.
INTRODUZIONE
Ogni persona ha il proprio stile di apprendimento. ”Per stile di apprendimento intendiamo
l'approccio complessivo di una persona all'apprendimento, il suo modo di reagire ai compiti
di apprendimento, un modo che si manifesta in maniera piuttosto costante, in una varietà di
contesti, e che poi condiziona la scelta e l'uso di strategie”…. (L. Mariani).
Questo elemento diventa fondamentale per un formatore che deve giornalmente
confrontarsi con adulti in formazione. Conoscere e saper individuare gli stili facilita l'opera di
chi ha il ruolo di facilitatore dell'apprendimento.
E' infatti necessario considerare che alcuni soggetti acquisiscono con facilità informazioni
riferite a oggetti concreti (fatti, osservazioni, dati sperimentali), altri invece si trovano a
proprio agio con i concetti astratti e i modelli matematici. Se per l'individuo è più facile
ricordare immagini, colori e forme, possiamo dire che possiede uno stile visivo, se ricorda più
facilmente parole, suoni e voci, ha uno stile uditivo, invece se imprime nella memoria una
sensazione tattile o di movimento ha uno stile cinestesico.
In un'ottica in cui chi apprende non è più considerato come un soggetto passivo destinatario
dell'intervento didattico, ma deve essere necessariamente attivo e in una posizione di
centralità e continuamente stimolato da situazioni create da un docente che, oltre ai
contenuti della propria area disciplinare, diventa anche profondo conoscitore degli stili di
Agenzia del Lavoro | CFP Università Popolare Trentina
49
apprendimento dei propri discenti, creando anche forme di apprendimento diversificate e
sempre più personalizzate. Tutto ciò può conferire maggiore efficacia nel processo di
insegnamento-apprendimento. In questo contesto non possiamo assolutamente trascurare
il fatto che la persona, che si confronta giornalmente con la complessità, debba essere
educata nella sua totalità. Gli stili di apprendimento interessano anche gli aspetti socioaffettivi che a loro volta influenzano in modo significativo l'apprendimento. In questa
situazione - e soprattutto con gli adulti - sarebbe interessante stimolare forme di
apprendimento che derivino dall'esperienza che diventa una componente fondamentale e
punto di partenza per poter apprendere. Tra gli studiosi di apprendimento esperienziale ci
piace approfondire -oltre ad altri- il contributo di David Kolb con il suo learning circle, che
evidenzia l'importanza
di apprendere dall'esperienza in un ciclo significativo di
rielaborazione e riflessione sulla stessa.
L' APPRENDIMENTO COME “APPRENDISTATO COGNITIVO”
Tra le altre posizioni teoriche di sostegno alla concezione di apprendimento, assimilabile alla
concezione di orientamento come processo di educazione e di formazione, piace qui
ricordare, anche se solo per alcuni richiami, le più recenti posizioni sul rapporto tra
apprendimento, socializzazione, sviluppo umano e “conoscenza situata”. Per la prima, è
interessante il pensiero di C. Pontecorvo quando dice: ”La socializzazione non va più intesa
come adattamento dell'individuo ad una società preesistente, quanto come processo
interattivo a due vie tra la società ed il nuovo membro, tra l'esperto ed il novizio, in cui anche
quest'ultimo svolge un ruolo attivo che spiega la possibilità dell'innovazione e del
cambiamento. In un quadro teorico in cui l'apprendimento non è più visto come acquisizione
mentale individuale, bensì come acquisizione sociale nella cornice complessa di una
comunità di pratiche, di scopi, strumenti e attività, la nozione di socializzazione - conclude la
studiosa - acquista un nuovo significato: è un'attività di co-costruzione del mondo sociale, in
cui sono implicati esperti e novizi, adulti e bambini, un'attività in cui è possibile
1
l'appropriazione critica del patrimonio culturale di una società” .
L'idea di “apprendimento situato” in qualche modo richiama le forme di
apprendimento/orientamento in situazioni che spesso si presentano in contesti non formali,
entro le quali è più facile costatare come possa essere coerente, con la nozione di sviluppo, il
2
concetto di apprendimento situato come “apprendistato” . Potremmo qui usare
l'espressione di “apprendistato cognitivo”, come avviene in molte situazioni apprenditive non
formali, in cui le acquisizioni di “conoscenza situata” non passa attraverso lo sviluppo di
astrazione (secondo la visione idealizzata della scienza), ma viene piuttosto veicolata dalla
invenzione di codici concreti e ristretti, dall'uso di procedure capaci di costruire “eventi locali
3
in modo sensibile ai particolari della struttura del contesto in cui hanno luogo” . Più in
particolare, con “apprendistato cognitivo” ci si riferisce ad un costrutto teorico che negli
ultimi tempi ha avuto un notevole fortuna nella letteratura psicologico-culturale”, perché gli
scenari dell'apprendistato cognitivo sono mezzi utili per pensare ulteriormente” alla
valorizzazione di nuove forme di apprendimento. “La metafora dell'apprendistato
apprenditivo - scrive A.M. Ajello - deriva da quella più nota dell'apprendistato che è il modo in
cui solitamente si acquisiscono della abilità professionali di basso livello; ma la valutazione
di questa modalità è avvenuta in seguito alla riflessione sulle caratteristiche dell'acquisizione
1
C. Pontecorvo, L'apprendimento tra cultura e contesti, in Contesti sociali dell'apprendimento, LED, Milano, 1995, p. 23.
B.Rogoff, Apprendiceship in Thinking: congitive development in social contexts, Cambridge MA, Cambridge University
Pres, 1990.
3
C. Goodwin, The Blackness of Black Color categories as situaded practice, conferenza in Lucca, 2-7 novembre 1993.
2
50
La formazione nel sistema apprendistato
di conoscenze pratiche presso popolazioni liberiane che inizialmente erano concepite come
tipiche dell'educazione informale”. L'interesse attuale per l'apprendistato è caratterizzato - in
senso sia sociale che culturale - dal fatto che ciò che si impara è totalmente implicato nelle
forme in cui ci si appropria della conoscenza stessa; così gli apprendisti imparano a pensare,
ad argomentare, ad agire e interagire in modi sempre più articolati di conoscenza con
soggetti che fanno bene ciò che devono fare, prendendo parte all'attività dapprima in modo
periferico e poi, con l'aumentare della loro competenza, assumendo posizioni via via più
centrali. “Accogliere la metafora dell'apprendistato cognitivo - insiste Ajello - significa
continuare a pensare intorno alle molteplici sue caratteristiche specifiche e focalizzarle
4
mediante la messa a punto di costrutti teorici più circoscritti” . Voler utilizzare per il nostro
tema - ma sarebbe vero anche per altri contesti - forme di “apprendistato”, porrebbe la
necessità, ad esempio, di risalire alla nozione di “area di sviluppo prossimale” di Vygotskij5
che è a fondamento delle possibilità di creare situazioni educative che potenziano le abilità
dei soggetti. Lo stesso gruppo di lavoro, come ogni forma di organizzazione (compresa la
classe per la scuola) può essere visto come area di molteplici zone di sviluppo prossimo e tali
zone includono le persone - adulti o bambini che siano – con diversi gradi competenza e gli
artefatti culturali - libri, video e tutti gli strumenti di mediazione usati - che sostengono
l'intenzionalità dell'apprendimento. Ci sembra inoltre opportuno, a questo proposito,
riportare qui il quadro teorico sviluppato da A. Collins, J.S. Brown e S.E Newman, perché pur con le necessarie differenze - vediamo riferibile ad un contesto di apprendimento non
formale le situazioni dimensionali di base che essi dedicano ad un “contesto educativo”, in
senso generale.
CARATTERISTICHE DI UN CONTESTO DI APPRENDIMENTO E DI COSTRUTTI
6
COME «APPRENDISTATO COGNITIVO»
Contenuto
Metodi
Sequenza
Aspetti sociali
- Conoscenza del campo
- Strategie euristiche
- Strategie di controllo
- Strategie di apprendimento
- Modellamento (modeling)
- Assistenza e guida (coaching)
- Scaffolding (sostegno, ricordando e aiutando)
e fading (progressiva diminuzione dell'aiuto)
- Articolazione (azione distribuita e condivisa)
- Riflessione
- Esplorazione
- Aumentare progressivamente la complessità
- Aumentare progressivamente la diversità
- Capacità generali prima che strategiche
- Apprendimento situato
- Cultura della pratica esperta
- Motivazione intrinseca
- Valorizzazione della cooperazione
- Valorizzazione della competizione
4
A.M. Ajello, ibidem, p. 131.
L.S. Vygotskij, Storia delle funzioni psichiche superiori, Giunti, Firenze, 1978)
6
A. Collins, J.S.Brown e S.E Newman, L’apprendistato cognitivo, in Contesti sociali dell’apprendimento. Led, Milano,
1995, p. 209
5
Agenzia del Lavoro | CFP Università Popolare Trentina
51
I metodi dell'apprendistato sono usati sempre con buon successo in contesti ad alta
intensità di risorse umane, e sempre a costi accettabili e largamente disponibili per le
situazioni più diverse di shared cognition (di conoscenza condivisa) , anche se a volte anche
nella tradizionale individual cognition (di conoscenza individuale, come in genere avviene a
scuola).
Il tema dell'apprendistato cognitivo fa emergere, in effetti, il carattere contestualizzato di
qualsiasi tipo di conoscenza, anche di quelle apparentemente svincolate dal contesto come
quelle scientifiche, come sostiene C. Pontecorvo. In secondo luogo, emerge ancora più
manifestamente che forme di conoscenza e di apprendimento si verificano frequentemente
al di là dei contesti prefissati, ed assumono forme per lo più interattive in cui entrano in gioco
altre persone (esperti, compagni di lavoro, incontri occasionali), ambienti particolari,
tecnologie più o meno complesse.
Si tratterebbe proprio di un modo come “apprendere al di fuori di contesti formali”, di cui L. B.
Resnick delinea le caratteristiche nei termini seguenti:
- la distribuzione sociale della conoscenza tra i partecipanti ad una attività situata, quale è
tipicamente offerta dall'interazione tra esperto e apprendista (per esempio nello stage
formativo e orientativo);
- la manipolazione di strumenti utilizzati per l'esperienza di pratica e di lavoro;
- il ragionamento contestualizzato e riferito direttamente agli eventi e agli oggetti con cui si
opera, senza mediazioni simboliche;
- le forme di competenze che sono specifiche per le situazioni che si affrontano, con
astrazione dal particolare al generale, ecc.7.
C'è infatti un problema di identità sociale da studiare, ogni qualvolta l'adulto sta sforzandosi
di divenire capace di scelte soddisfacenti, all'interno dei processi, non solo individuali, ma
anche di acquisizione dei ruoli sociali e delle abilità per agire in un certo sistema di relazioni
sociali.
7
L.B. Resnick, Learning in School and out, in “Educational Researches”16/9 (1987) pp.13 - 20
52
La formazione nel sistema apprendistato
Ogni individuo si differenzia dagli altri
Gli stili di apprendimento
CHI E’DIVERSO RISPETTO A CHI?
Vai verso la gente, vivi in mezzo a loro,
Comincia da ciò che sanno
Costruisci su ciò che hanno
Quando il loro compito saràfinito
Tutti diranno “l’abbiamo fatto noi!”
(poesia cinese)
Discente
Docente
Colleghi
contesto
confronto
contrapposizione
mediazione
negoziazione
DINAMICHE
Monica Fedeli
dove, quando, luce
temperatura,consumi
personali, posture…
visiva, uditiva, cinestetica,
visivo -verbale, visivo –non
verbale
Stili cognitivi
Per stile di apprendimento intendiamo:
o L’approccio complessivo di una persona
all’apprendimento,
o Il suo modo di reagire ai compiti di apprendimento.
Questo condiziona la scelta e l’uso di strategie
STILI DI APPRENDIMENTO
“Caratteristici comportamenti cognitivi, affettivi e
fisiologici che funzionano come indicatori
relativamente stabili di come i discenti percepiscono
l’ambiente di apprendimento, interagiscono con esso
e vi reagiscono”( Keefe)
Alcuni acquisiscono con facilitàinformazioni
riferite a oggetti concreti (fatti, dati, osservazioni)
altri concetti astratti e i modelli matematici,
Chi ricorda immagini, colori e forme stile
visivo
Chi ricorda parole suoni e voci stile uditivo
Chi ricorda una sensazione tattile o di
movimento stile cinestetico
DESCRITTORI = INDICATORI DI TENDENZE
Non etichettano
Aiutano a definire il “profilo personale”
Dimensione
comportamentale
Globalitàdel
concetto
Relativa
stabilità
Funzione
di filtro
Interazione e reazione
con l’ambiente
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Sollecitano l’osservazione e l’analisi
( contesto in cui la tendenza si manifesta, rispetto a quali
compiti di apprendimento, i condizionamenti che produce…)
53
Alcune ricerche
Vitkin: individui disposti su un continuum
che va da una maggior o minor “dipendenza
dal campo”
1)
2)
Individui campo-dipendenti: percezione degli elementi solo come
parti del tutto,
Individui indipendenti: piùanalitici, piùliberi dai vincoli nel risolvere
problemi,
Lo stile di apprendimento esperienziale di Kolb
La complessità
La conoscenza ècreata attraverso
l’osservazione e la trasformazione
dell’esperienza:
Esperienza concreta
Osservazione riflessiva
Concettualizzazione astratta
Sperimentazione attiva
L’individuo èuna totalitàintegrata ed organizzata e
nella sua totalitàva educato
In ogni situazione di apprendimento si crea
un’osmosi tra sfera affettiva e sfera conoscitiva
(Piaget)
I comportamenti umani sono l’espressione di una
interrelazione fra aspetti cognitivi e aspetti emotivi
Modello di Kolb
Per Rogers
E.C.l’apprendimento èinfluenzato dalle
percezioni e dalle reazione all’esperienza,
O.R.l’apprendimento èinfluenzato
dall’ascolto e dall’osservazione
C.A. l’apprendimento prende forma del
pensiero e dell’analisi dei problemi,
S.A. l’apprendimento èinfluenzato dall’agire
e dallo sperimentare.
Nel processo educativo èfondamentale la
relazione tra insegnante e alunno basata
sulla stima reciproca e sul rispetto
Per imparare ad imparare!
Il modellodi
modellodi D.Kolb
Alcune ricerche
Bruner: “schemi di presa di decisioni”
attraverso cui gli individui identificano i
concetti.
Gardner: “principi di controllo cognitivo”
strutture psicologiche per adattarsi
all’ambiente.
concretezza
Z
Esperienza
concreta
accomodator
diverger
O
I
F
L
I
E
Osservazione
riflessiva
Sperimentaz.
attiva
S
S
N
I
E
converger
Concettualizzazione.
astratta
astrazione
54
R
A
assimilator
O
N
E
La formazione nel sistema apprendistato
Descrittori e Profili
1. cinestetico
2. analitico
3. estroverso
4. impulsivo
5. uditivo
6. sistematico
7. introverso
8. intuitivo
9. visivo
10. globale
11. riflessivo
Le classificazioni e i descrittori definienti un profilo non possono essere
rigidamente utilizzati per descrivere la ricchezza di ogni stiledi apprendimento
individuale
I fattori di una strategia
La variabilitàindividuale
La variabilitàdei compiti
La variabilitàdel contesto
Impatto strategie dello studente e strategie del
docente
Una didattica Strategica e metacognitiva
Il docente
Èportatore di un suo stile,
ha una sua personale modalitàdi
insegnamento,
I corsisti sono tanti e diversi.
Adattamento del Compito / al Compito
Per il docente èpiùproduttivo ed efficace
Rendere gli alunni consapevoli delle proprie
caratteristiche,
Aiutarli a comprendere perchéalcune cose “riescono
meglio”di altre,
Condurli a scegliere le giuste strategie per risolvere i
problemi.
Il ruolo del docente
Creare situazioni di apprendimento
Dei percorsi apprenditivi
Degli itinerari di apprendimento
Situazioni idonee che consentono agli alunni
di costruire dei concetti
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Il docente può comunque tenerne conto:
Diversificando il metodo e le attivitàproposte nel
lavoro individuale e in gruppo,
Rivolgendo l’attenzione a casi specifici
Introducendo comunque elementi compatibili con stili
diversi (per evitare noia e/o difficoltàa seguire)
55
Gli itinerari di apprendimento
una traccia, uno schema operativo, modificabile in
corso d’opera,
gli orientamenti,
le linee di azione che evitano di operare a caso,
percorsi con una meta un obiettivo da raggiungere.
Saper
Gestire l’aula
Adattare i compiti agli alunni
•Alternanza di stimoli visivi, uditivi, cinestetici
•Approcci analitici-sistematici-riflessivi; globaliimpulsivi, intuitivi
•Attivitàindividuali, di coppia, di gruppo e a classe
intera
Padroneggiare il
metodo della discussione
Costruire percorsi
VARIETA’DI COMPITI
Alternanza di attività
VARIETA’DI APPROCCI
modalitàvariate di
presentazione della stessa
attività
ADATTAMENTO DEL COMPITO AGLI ALUNNI
Padroneggiare le
didattiche dell’esperienza
Valorizzare l’ascolto
MODALITA’
SEQUENZIALE
Tutti gli alunni eseguono in
sequenza gli stessi compiti
Variati, in modo tale che,
“ a turno” ciascuno trovi
uno o piùcompiti adatti al
suo stile
SIMULTANEA
Suddivisione della classe
in gruppi di alunni che
eseguono , nello stesso
arco temporale, compiti
differenziati per uno o più
fattori
Costruire e condurre
un gruppo di formazione
Generare valore
Costruire un
laboratorio formativo
“Si dovrebbero insegnare
i principi di strategia che
permettano di affrontare i
rischi, l'inatteso e l'incerto,
e di modificarne
l'evoluzione grazie alle
informazioni acquisite nel
corso dell'azione.
Bisogna apprendere a
navigare in un oceano
d'incertezze attraverso
arcipelaghi di certezza.”
Usare strumenti e
tecniche per la
formazione
E.Morin
56
La formazione nel sistema apprendistato
Renato Di Nubila
Unità di lavoro n. 3
La gestione d’aula
OBIETTIVI DELL'UNITÀ DI LAVORO
Il formatore deve saper essere in grado di governare bene lo spazio, il tempo, gli strumenti, le
situazioni che l'aula, anche imprevedibilmente, presenta.
Questo è un obiettivo fondamentale per chi vuole presidiare attività formative, anche nella
consapevolezza che la formazione in aula e “oltre l'aula” si possa fare in modi e modalità
diverse.
Di qui la necessità di sapersi presentare, di saper predisporre il tutto, di saper gestire
momenti facili e momenti difficili, di essere in grado di costruire relazioni interessanti.
INDICAZIONI OPERATIVE
L'unità di lavoro indica concretamente alcune modalità e alcune attenzioni doverose.
L'esercizio preventivo e la capacità di self controll in aula sono una buona scuola di
formazione
INTRODUZIONE E RIFLESSIONE OPERATIVA
Presentarsi in aula: è il primo momento per illustrare a viva voce il proprio biglietto da visita.
Un momento non sempre facile: presentarsi davanti ad un pubblico di soggetti che portano
con loro tutti i possibili atteggiamenti compatibili con il modo d'essere di una persona che
deve affrontarne altre: il curioso, il disinteressato, l'entusiasta, il ”condannato a…”,
l'indisposto, l'ansioso…., ma anche il bendisposto, l'interessato ad apprendere, l'incuriosito
dal luogo e dal tema, …insieme all'innovatore, al conservatore, a fianco del diffidente e del
fiducioso, dell'esibizionista e del timido riservato. Tutta una galleria di tipi possono
legittimamente far parte dell'immaginario che un formatore può coniare per sé e per la sua
prestazione.
Merita quindi entrare in aula con un prudente, ma anche naturale atteggiamento di
disponibilità ad “incontrare” persone ed eventi imprevedibili.
Il segreto di certa ouverture è paradossalmente proprio quello di non accentuarne la
spettacolarità e l'imprevedibilità.
Presentarsi con l'atteggiamento di chi già, dal suo primo ingresso, manda un messaggio di
disponibilità professionale e matura.
Tutto ciò che, invece, volesse ammantarsi di ricercata originalità, di stravaganza nel fare e
nello stesso vestire, di forzato accreditamento di una intellettualità superiore, non ancora
dimostrata sul campo (secondo il vecchio stile magistralis di chi sa e viene a parlare a chi non
sa), di ridondante curriculum di presentazione, il più delle volte non paga con la buona e
immediata intesa di una empatia che cominci, dal primo istante, a dare i suoi primi messaggi
di reciproca accoglienza.
Se la formazione viene vissuta dal formatore, prima di tutto, come un incontro fra persone
Agenzia del Lavoro | CFP Università Popolare Trentina
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che mettono in comune bisogni, aspirazioni, desideri, competenze, domande nuove e
capacità di mettersi in gioco, il primo momento ben gestito può avere la sua importanza e
assumere la connotazione di un fatto significativo.
Una breve autopresentazione potrà esser condotta con sobrietà e con essenzialità mirata al
clima, ai temi da affrontare, agli obiettivi da raggiungere, alle intese da costruire. L'esagerata
analiticità di particolari poco pertinenti con l'azione da intraprendere e, insieme, la
puntigliosità e la voglia di accreditarsi solo con il ricorso alla narrazione delle proprie “audaci
imprese”, in genere non aiuta il formatore ad essere ben accolto dall'aula.
Il tratto di lealtà professionale e di discrezione è, invece, la premessa per un credibile livello
del servizio che ci stiamo accingendo a prestare.
Può sembrare persino scontato ribadire l'importanza che può assumere il fatto di prevedere
(eventualmente con una lista di chek-controll) la sistemazione dell'aula, degli strumenti da
utilizzare, delle postazioni necessarie per un possibile lavoro di gruppi e, persino, l'insieme di
quelle attenzioni ergonometriche1 che concorrono a presentarsi con un certo stile
professionale che dai partecipanti viene sempre apprezzato. Si pensi all'opportunità di avere
un'aula ariosa e luminosa, in grado anche di poter avere l'oscuramento necessario alla
proiezione di filmati o di semplici slide. Giungere in tempo, possibilmente in anticipo, facilita
la messa in atto di questi aspetti.
Tutto ciò potrebbe far parte di quella che rappresenta una buona “ouverture” dell'impresa
formativa che vogliamo condurre con i nostri partecipanti.
Quanto all'inizio della lezione, preferiamo non disegnare modalità e rituali.
Il buon formatore, specie se con una certa esperienza, trova il modo come entrare in tema
nella maniera più coerente con il clima d'aula che va creandosi: qualche elemento
autobiografico scaturito dalle autopresentazioni2, uno spezzone di filmato, una slide
problematica, una sequenza di informazioni e di conoscenze utili da proporre. Senza voler
sottovalutare la tradizionale lezione, potrebbe anche essere avviata la giornata con una
lezione/comunicazione di una ventina di minuti, per una prima fase di “riscaldamento” degli
interessi e delle attenzioni dei presenti, tale da incoraggiare i partecipanti a provare di entrare
nel merito del tema con le risultanze di quelle esperienze che già avessero avuto nella
operatività professionale un riscontro interessante. Questo primo tentativo di combinazione
tra docente e partecipanti richiede una particolare attenzione da parte del formatore: vanno
evitati due eccessi facilmente riscontrabili, quello della facile interruzione di chi interviene o
quello di chi prende la parola divagando, a prescindere dalle esigenze degli altri3.
Un simile rischio richiede la giusta precauzione di chi, come il formatore, conduce l'aula a
predefinire i confini della discussione, entro un ambito coerente con i temi e con i tempi, nel
rispetto dei punti di vista degli altri .
Una rilievo rimane sempre attuale: evitare nella lezione/comunicazione toni e stile che poco
si addicono ad un'aula di formazione che è sempre e comunque diversa da un'austera aula
accademica, perché poco si presterebbe ad apprendimenti legati alla sfera delle
abilità/capacità, degli atteggiamenti e dei comportamenti.
Giustamente scrive R. Vaccani: ”Lo strumento delle lezione può comunque essere utilizzato
come strumento di appoggio, affiancato ad altre tecniche di apprendimento (casi,
simulazioni, role playing,ecc…). Come strumento di appoggio la lezione può precedere (per
1
Cfr. Favaretto
Acquista un peso particolare nella considerazione dei partecipanti, la capacità del formatore di ricordare i nomi di
quanti di autopresentano e qualche caratteristica del loro profilo.
3
Merita attenzione, a questo punto, una buona attività di coinvolgimento in grado di essere: comprensibile, coerente
con i temi da trattare; piacevole e vivace, originale, semplice e breve.
2
58
La formazione nel sistema apprendistato
dotare i discenti di concetti base utili) le sperimentazioni operative; può inoltre seguire le
sperimentazioni di altri strumenti didattici per sistemizzare i dati di apprendimento emersi
dalla sperimentazioni stesse…”4.
Nella trasmissione dei contenuti d'informazioni, di conoscenze e nell'elaborazione di
concetti, possono dimostrarsi utili alcuni accorgimenti che sicuramente concorrono a
rendere più efficace la stessa azione trasmissiva che, spesso, rischia di creare assuefazione
e stanchezza nell'ascolto.
Diventa infatti importante, in queste occasioni, non tenere gli occhi chini sulle proprie carte e
appunti; è quanto mai sbagliato mettersi a leggere…tranne che per le citazioni;
Altro aspetto di rilievo è costituito dall'atteggiamento e dall' importanza di vivere
intensamente quei momenti: sentirsi protagonisti insieme agli altri significa dare un segnale
di buon coinvolgimento; sarebbe una pessimo segnale il comportamento di un formatore
che sta “recitando” una parte che non sente sua: “siate entusiasti -ripeteva spesso un
formatore di grande esperienza- se non lo siete voi perché dovrebbero esserlo quanti vi
ascoltano?”.
Anche il ritmo da tenere nella trasmissione dei contenuti ha un suo peso in aula: è utile
concedersi qualche pausa ed in queste situazioni il silenzio ha i suoi significati e spesso è
molto più lungo per chi parla che per chi ascolta.
“La persona media può pensare fino ad 800 parole al minuto, ma il formatore medio può solo
parlare con 120 parole al minuto. Ne deriva -scrive J. Townsend nel suo manuale- che dovrà
dare ai partecipanti qualcosa di interessante da fare con le rimanenti 680 parole”5.
Regola d'oro, comunque, rimane quella di essere semplici, rigorosi sul piano del contenuti,
rassicuranti e disponibili a far parlare anche gli altri.
Nella lezione/comunicazione, altra modalità d'uso potrebbe essere a volte quella cosiddetta
dell'animazione d'aula su alcuni concetti , presentati sotto forma di quesiti, per raccogliere
subito dopo, sopra una lavagna o su alcune slide da computer, le risposte che ne
scaturiscono secondo una certa categorizzazione sequenziale che può essere condotta con
la discussione d'aula.
Di questa importante modalità, apparentemente facile ad essere realizzata, parleremo più
approfonditamente nell'unità di lavoro n° 5: il metodo della discussione.
4
R. Vaccani, Dispense per il programma formazione formatori AIF “,Professione Formazione, Franco Angeli , Milano,
1992, p. 240.
5
J. Townsed, The Trainer's Pocketbook ( tr. it. Il Manuale tascabile del Trainer, Edicart, 2000, p.12).
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Unità di lavoro n. 4
Saper usare strumenti e tecniche per la formazione
OBIETTIVI DELL'UNITÀ DI LAVORO
L'obiettivo di questa unità è molto chiaro: far conoscere la giusta definizione di tecniche e
l'uso di diverse tecniche. E' importante per il formatore avere a sua disposizione
strumentazione diversa che possano far uso di modalità diverse per i singoli e per i gruppi
organizzati. Nell'organizzare laboratori formativi, le tecniche diventano gli espedienti
strumentali di comprensione e di realizzazione operativa.
INDICAZIONI OPERATIVE
La padronanza di molte tecniche presuppone un esercizio costante e la comprensione della
loro funzionalità all'atto formativo che si vuole realizzare. Il formatore, in questo senso, fa
bene a consentire, nei vari laboratori che siano gli stessi soggetti formandi a gestire l'uso di
alcune tecniche: a presentarle a fare realizzare , a spiegarne il significato e a valutarne gli
effetti.
INTRODUZIONE
La formazione di ieri, quella di oggi e quella di domani ha avuto e avrà sempre bisogno di una
strumentazione di supporto all'azione del formatore.
Anzi, la gamma degli strumenti - grazie alle nuove tecnologie - va crescendo e
differenziandosi sempre più nella ricerca di riuscire a trasferire nelle aule formative mezzi,
suggerimenti, modelli che già in altri contesti abbiano avuto successo e apprezzamenti.
Sarà compito del formatore non farsi affascinare alla spettacolarità dello strumento, per
rimanere professionalmente ancorato prima di tutto alla rispondenza strumentale del
mezzo usato e delle finalità perseguibili.
Qualunque sia lo strumento scelto, rimane sempre attuale la distinzione del bravo formatore
di ieri che davanti ai mezzi possibili si chiedeva di passare dal logica del tipo: ”Ho uno, tanti
strumenti….audiovisivi, tecnologici, tradizionali, che me ne faccio? Come posso usarli?”,
alla logica del tipo: ”Ho dei problemi, delle situazioni formative da affrontare… quali
strumenti possono meglio rispondere agli obiettivi che mi prefiggo?”. Vecchia e saggia
posizione.
Eppure gli strumenti sono elementi che possono concorrere all'impianto di un approccio
metodologico, pur se solo sotto l'aspetto dell'hardware, della strumentalità materiale. Ma
anche nella selezione e nell'uso degli strumenti audiovisivi, telematici, tecnologici in genere,
il formatore fa ricorso al rapporto teoria-prassi del suo bagaglio metodologico e mostra
evidente la padronanza che possiede per la gestione di un'aula, per lo svolgimento di una
pratica formativa .
Vale solo qui ricordare alcuni degli strumenti utili al formatore.
a) i supporti visivi: vari tipi di lavagne (fissa, di plastica, a fogli mobili, luminosa,con relativo
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proiettore e uso di lucidi e acetati); vari tipi di videocomputer (per diapositive e slide, ...);
supporti cartacei (libri, dispense, fogli, foto, post.it…, “diari di bordo”, come strumenti di
osservazione/riflessione per i partecipanti, ma anche per il formatore);
b) sussidi audiovisivi (videoproiettore per filmati, spezzoni, foto, animazioni; computer e cd,
dvd…videocassette…);
c) supporti logistici (aule, banchi, tavoli, ambienti, attrezzature, setting… con situazioni di
buona ergonomia).
La disposizione dell'aula
Anche questo elemento può avere la sua importanza e non va sottovalutato:
- buona disponibilità di supporti didattici;
- corretta disposizione dei posti a sedere;
- corretta collocazione dei supporti didattici;
- sedie comode e buon piano di scrittura;
- messa a disposizione dei materiali di consumo per i partecipanti;
- buona ventilazione in aula;
- buona e gradevole temperatura;
- se possibile luce naturale e buona disposizione dei comandi elettrici;
- infine buon isolamento acustico dall'esterno o da altre aule.
La disposizione dell'aula può avere un assetto variabile:
a) la forma ad “U”: con i vantaggi di avere la disposizione simile a quelle aziendali; con
possibilità di movimento per i formatore; buona visibilità per i partecipanti; potrebbe
avere dei limiti: il contesto potrebbe presentarsi troppo formale; alcuni posti si
presentano troppo distanti; per i più vicini si notano alcun difficoltà di angolazione;
b) la forma a “spina di pesce”: con evidente buono sfruttamento dello spazio per i grandi
numeri e per il formatore; con buona visibilità per tutti; ci sono anche alcuni svantaggi:
il contesto troppo scolastico; alcuni posti un po' nascosti; non è sempre facilitato il
contatto tra aula e formatore.
c) la disposizione “a cerchio”: favorisce il coinvolgimento, crea buon contatto con l'aula,
non consente la frantumazione in gruppetti; però può anche offrire alcune difficoltà
logistiche, con qualche scomodità per alcuni posti; può “esporre” troppo alcuni;
d) la disposizione ad “anfiteatro”: con buona visibilità e acustica e spazio ben sfruttato per
i grandi numeri; forma ideale per le lezioni frontali; richiama però troppo il contesto
scolastico/accademico; i posti creano qualche difficoltà ai passaggi ed è poco favorito
il contatto tra l'aula e il formatore.
e) la disposizione a “V”: per la visibilità la disposizione appare ideale, con buona
possibilità di contatto tra formatore e aula; è meno formale ed intimidatoria della forma
a “U”; tale disposizione però richiede molto spazio e risulta adatta solo per piccoli
gruppi;
f) la disposizione d'aula a forma di “bistrot”: ideale per sessioni di teambuilding e di
Workshop di piccoli gruppi; è molto informale ed incoraggia l'apertura mentale ed il
contatto con il formatore è facilitato; qualche partecipante ha poca visibilità; potrebbe
favorire la poca attenzione1.
Quel che si mette in rilievo per gli strumenti vale anche, sul piano metodologico, per i
metodi e le tecniche, che nella formazione assumono sempre un ruolo di strumentalità e mai
1
Cfr Pocket-book per il formatore efficace, Isvor Fiat,1993.
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La formazione nel sistema apprendistato
di finalità formativa. Di qui la capacità del formatore di scegliere, di selezionare, ma
specialmente di “creare” modalità di metodi e di tecniche in grado di rispondere hic et nunc
all'opportunità di presidiare un processo formativo in corso, di offrire ai soggetti che
chiedono formazione e in questo contesto anche quello di esercitare un protagonismo di
“costruttori di cose nuove”
Non possiamo non condividere, in proposito, quello che scrive Pino Varchetta: ”Occorre
“inventare” e non “scoprire” metodi capaci di assistere il viaggio perturbante
dell'apprendimento contemporane, immerso in profonde angosce rispetto ad un traguardo
“visto nella visione”, ma percepito come “troppo lontano” e, soprattutto, obbligante per il
2
soggetto coinvolto a un lungo tempo di dis-identità e solitudine” .
Parliamo di metodi capaci di aiutare gli attori di questi processi a “vivere meglio” nelle loro
organizzazioni, “cercando spazi di non-uniformità, di elaborazione del senso della propria
vita, per riappropriarsi del tempo di lavoro”3. Metodi e tecniche, allora, solo come spazi
laboratoriali di costruzione di relazioni generative, significative.
Ecco perché, vista l'importanza strumentale e convenzionale che essi rivestono, abbiamo
dedicato dei capitoli particolari al tema dei modelli e dei metodi e a quello delle tecniche, con
tutta una serie di dettagli utili per discernere e selezionare la scelta più opportuna.
LE TECNICHE: LA DEFINIZIONE, IL CONTENUTO,
IL SIGNIFICATO D'USO, LE FUNZIONI
Verrebbe spesso da chiedersi quale sia la differenza possibile tra un bravo educatore e
formatore che usa tecniche e accorgimenti per raggiungere alcuni significativi risultati e un
“mago” prestigiatore, capace di trucchi affascinanti e di espedienti non sempre facilmente
comprensibili.
È invece importante saper discernere, nell'azione educativa e formativa, cosa caratterizzi
una tecnica e cosa invece costituisca una “magia” o semplicemente un'abilità, il più delle
volte “truccata”.
Quando poi le tecniche diventano gli “arnesi” di lavoro per l'animazione, la conduzione di
gruppi, allora diventano strumenti impareggiabili di lavoro formativo, in tutta la gamma della
loro varietà. La tecnica, intesa in questo modo e con questa funzionalità, non può essere una
magía, né tanto meno uno strumento onnipotente, sempre in grado di ottenere qualcosa.
Essenzialmente un tecnica è un'azione “convenzionale”, un meccanismo, un artificio
intenzionalmente costruito per ottenere risultati attesi e desiderati.
Peculiarità distintive di una tecnica, allora, sono prima di tutto: l'intenzionalità e la trasferibilità
nei suoi codici e nei suoi significati; non sarebbe possibile affidare una tecnica alla casualità,
tanto meno in campo educativo, sempre esigente di giustificazioni e di riproducibilità.
Quando poi il campo educativo si riconosce nel gruppo, allora la tecnica “è l'azione
intenzionale e codificata di un operatore che si propone di interferire nella traiettoria del
campo, di deviarne la rotta, di favorirne la trasformazione… con forte evidenza del principio
di libertà e di alleanza…”4.
È il gruppo che decide il grado di partecipazione e di adesione, sulla scorta delle buone
motivazioni addotte dal propositore della tecnica, come può essere nel nostro caso un
conduttore o animatore di gruppo.
Ne scaturisce un principio fondamentale per il buon uso e l'efficacia di una tecnica e cioè il
fatto che un “artificio”, come può essere una qualsiasi tecnica, va applicato “insieme” al
2
P. Varchetta, Metodi per una formazione generativa: qualche premessa, in Metodi per la formazione, quad. n 20/2004 di
Adultità, p.28-35.
3
F. Carmagnola, citato da P. Varchetta, in op. cit.
4
G. Contessa, Psicologia di gruppo. Modelli e itinerari per la formazione, La Scuola, Brescia,1999, p. 126
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gruppo e non “sul” gruppo: la condivisione, dopo una guidata comprensione delle regole,
delle dinamiche e degli effetti possibili che una tecnica possa presentare, è elemento di
padronanza che il conduttore deve assicurarsi e assicurare al gruppo.
Possiamo così evincere che i tratti, le regole, i contenuti, le modalità, i possibili bersagli e
persino i rituali di gestione sono multiformi e diversi da tecnica a tecnica.
In questo caso, dobbiamo far presente che ci troviamo davanti a vere e proprie tecniche di
intervento che segnano l'azione di lavoro del gruppo, una volta che il conduttore abbia già
usato le sue modalità convenzionali per costituire, surriscaldare, avviare il gruppo.
TIPOLOGIE DIVERSE DI TECNICHE D'INTERVENTO
Ci pare interessante il tentativo di classificazione già fatto di indicare una serie di tipologie
sulla base di alcune tassonomie:
- per grado di strutturazione: tecniche non strutturate e strutturate;
- per focus: etero-centrate, auto-centrate;
- per finalità: direttive, attive, riflessive;
- per obiettivi: diagnostiche, illuminanti, accelerative, addestrative;
- per linguaggio: verbali e non verbali;
- per bersaglio: cognitive, emotive, strumentali;
Classificazione di tecniche per grado di strutturazione
Dirette-non strutturate
Strutturate
Punitivo: “Stiamo lavorando male!”
Correttivo: “Parlare uno alla volta, rispettiamo il turno!”
Supportivo: “Bravi, abbiamo fatto tutto il possibile”
Interrogativo: “C'è ancora qualcosa da dire?”
Informativo: “Forse non sapete che…”
Riassuntivo: “Ecco i risultati finora raggiunti”
Propositivo: “A questo punto, propongo che…”
Chiarificativo: “Va chiarito un fatto…”
Per comportamenti non verbali:
il contatto oculare
la postura, la prossemica, la gestualità…
la voce, il respiro, i silenzi
l'azione (orari, i movimenti, le uscite…)
Tecniche di discussione, di confronto:
Coppie, sottogruppi…
Phillips 6x6
Acquario
Confronto allargato
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La formazione nel sistema apprendistato
Tecniche di raccolta di dati:
- di riscaldamento:
- di autopresentazione
- di presentazione di hobbies, di gusti
- di apertura (Finestra di Johari)
- di socializzazione e di conoscenza
- di ricerca d'aula
- di ideazione (Brainstorming, mappa mentale, fantasie guidate…)
- di produzione (esercitazioni analogiche, addestrative, compiti reali…)
Tecniche di problem solving:
- casi e casi critici
- giochi di decisione
- tecniche corporee
- tecniche di simulazione (role-playing, laboratori vari, business games,
laboratori di fantasia…)
Classificazione di tecniche per focus
Etero-centrate (su qualcosa o qualcuno esterno al gruppo)
Auto-centrate (su bersagli emozionali, centrate su se stesso… come allo specchio)
- La discussione di un contenuto cognitivo
- I gruppi di compito e di apprendimento di contenuti estranei al gruppo
T. Group
- Le tecniche corporee
- I climi organizzativi
- Le simulazioni fantasia
- Le tecniche riflessive
Classificazione di tecniche per finalità
Direttive (con forte riduzione del grado di libertà…). Fanno eseguire… su contenuti, metodi
e regole predefinite.
Attive (con il proposito di “far fare”, il gruppo decide “come fare”). Con vincoli per il metodo
ed il linguaggio, ma con contenuto libero.
Riflessive (per stimolare il gruppo a “guardarsi allo specchio”. Strutturano le coordinate
spazio-temporali, ma lasciano libero tutto il resto.
Le tecniche strutturate, eterocentrate, cognitive strumentali, le tecniche corporee, di
raccolta dati, le tecniche ideative, i problem solving a risposta chiusa; le tecniche non
strutturate… In genere a risposta chiusa. “L'operatore sa ciò che il gruppo non sa…”
Tecniche di origine pedagogiche e con buona efficacia educativa: ad esempio le
ricerche in classe…
Tecniche strutturate ed etero-centrate
Le tecniche di discussione e confronto, di produzione; i laboratori espressivi…
Tecniche autocentate, strutturate, a finalità emotiva. Obiettivi: per fare il punto, offrire
dati, fotografare la situazione
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Classificazione di tecniche per obiettivi
Diagnostiche (tecniche diagnostiche, che facilitano la diagnosi)
Illuminanti (di breve durata, con aspetto ludico, con forti elementi analogici… per
sorprendere, stupire, catturare l'ascolto e l'attenzione. Di grande efficacia)
Accelerative (per accelerare le fasi dei processi di gruppo)
Addestrative (basate su prove, correzioni e ripetizioni)
Strutturate, auto-centrate, riflessive… per una fotografia di gruppo: verbali e non verbali…
per funzioni interpretative. Ad esempio: il sociogramma di Moreno.
Tecniche strutturate, attive, etero e auto-centrate, verbali e non verbali. Con possibile
bersaglio emotivo e cognitivo; per stimolazione e per provocazione. Ad esempio in gruppi di
esperti… per vincere la lentezza
di avvio e di riscaldamento.
Ad esempio una ricerca d'aula…; attribuzione di ruoli.
Tecniche etero-centrate; direttive, stimolative…
Tecniche etero-centrate, direttive,… per fare, individuali o di gruppo: Role playing a ruoli
chiusi; i Business-games; l'acquario; le tecniche di produzione, le videoregistrazioni; i
laboratori didattici…
Classificazione di tecniche per linguaggio
Verbali e non verbali (con tutti i linguaggi: grafico, pittorico, musicale, fotografico, video,
manuale, sportivo…
Classificazione di tecniche per bersaglio
Tecniche cognitive, emotive e strumentali
Tutte le tecniche stimolative, interpretative, supportive, provocatorie… possono avere
funzioni primarie di questo tipo.
Riferimento: Ad esempio: frasi da completare.
Ad esempio: Sociogramma di Moreno
(Adattamento da: G. Contessa, Psicologia di gruppo. Modelli e itinerari per la formazione, op. cit)
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Unità di lavoro n. 5
Il metodo della discussione
OBIETTIVI DELL'UNITÀ DI LAVORO
L'unità di lavoro vuole perseguire lo scopo di far apprezzare, condurre e sperimentare la
positività formativa del metodo della discussione. In questo senso formandi e formatori sono
impegnati in un esercizio continuo di ascolto e di argomentazione
INDICAZIONI OPERATIVE
Dall'applicazione diretta del metodo scaturiscono indicazioni molto concrete di esercizio di
ascolto attivo e di ascolto passivo e l'utilissimo esercizio di diverse modalità di attenzione e di
comunicazione
INTRODUZIONE
Il metodo della discussione ha degli innegabili pregi e punti di forza, ma va ben condotto per
non far prevalere alcuni suoi punti di debolezza.
Il primo pregio s'identifica con la possibilità, specialmente negli adulti, di apprendere in modi
diversi: distinguendo, confrontando, contestando, riconoscendo errori, completando,
specialmente quando ognuno dei partecipanti sa far buon uso del ricorso alla sua
esperienza, esponendola al confronto con quella degli altri e dello steso formatore.
Il livello di riflessione (Reflective Observation, direbbe D. Kolb) può sicuramente concorrere a
mettere in evidenza i punti di vista, le proprie visioni del mondo ed eventualmente a
correggere errori possibili.
L'attenzione del formatore qui diventa un elemento determinante: nel rispetto delle opinioni,
nell'aggiornamento dei contenuti, nella correzione di alcuni evidenti errori di fondo. E'
necessario questo per evitare di accettare tutti i punti di vista (riguardo ai contenuti) senza
metterli in discussione, con il rischio di avallare acriticamente posizioni, modelli,
comportamenti oggettivamente errati o inefficaci. Vale allora, in questo caso, far prevalere il
senso della discussione come metodo di ricerca, più che come metodo di autoaffermazione.
Ma il criterio che può guidare il formatore per una buona applicazione di questo metodo è
essenzialmente uno: far passare in aula il senso della accettazione di una situazione paritaria
impegnata a studiare e ad apprendere insieme, nel rispetto delle regole e del tempo che il
gruppo-aula è riuscito a darsi.
La gestione del metodo della discussione presuppone la priorità dell'apprendimento
sull'insegnamento e, di conseguenza, un ruolo diverso del formatore, in questo caso più di
facilitatore che di docente.
Per consolidare una buona esperienza nell'uso di questo metodo sono necessarie alcune
indicazioni da tener presenti: l'attenzione rivolta a tutti; lo sguardo vigile e rassicurante
sull'andamento delle attività formative, con una ocularità che, a 360 gradi, riesca a far
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giungere a tutti e a ciascuno la rassicurazione che “stiamo lavorando con loro e non solo per
loro”.
Per facilitare la discussione può essere utile tener presenti alcuni suggerimenti già
sperimentati in altre situazioni1:
1. saper porre le domande: con domande chiuse (es .in quale data….?); con domande
aperte (es. cosa pensate di…?; chi mi aiuta ad approfondire….?; lei vuole dire
qualcosa…?)
evitando sempre domande multiple o scontate;
2. sapere usare modalità d'incoraggiamento: verbali ( capisco….; è vero…; continui
pure..); non verbali ( annuire, dare attenzione, porsi accanto, chinarsi verso…);
3. saper rinviare o deviare domande: si rinvia la domanda (all'interessato: se ho capito
bene lei mi sta chiedendo….provi a…; o al gruppo (come la pensate invece voi?…; o a
un altro…);
4. saper far ricorso all'ascolto attivo, come una delle migliori modalità formative,
specialmente in casi di interventi troppo emotivi, quando è più efficace non
controbattere o difendersi a tutti i costi, ma possibilmente chiedendo al partecipante:
”Lei è scontento per…”, “provi a darci una sua soluzione….”;
5. saper facilitare la discussione di gruppo: costruendo sulle risposte incomplete;
incoraggiando i più timidi; bloccando i più aggressivi; creando un clima vivace,
piacevole;
6. saper far ricorso a tecniche di coinvolgimento e di libera espressione, come con il
brainstorming ( domandando, annotando, creando idee, riassumendo,
evidenziando..)
7. adeguando intelligentemente il vostro ritmo e stile al livello di preparazione, di età
2
e di provenienza dei partecipanti .
Il tutto, come è facile osservare, nell'ottica di una comunicazione fortemente empatica e
interattiva. Piccoli, ma importanti espedienti della gestione d'aula, sono alcuni altri
accorgimenti che possiamo far appartenere alla capacità espressiva del formatore, come la
buona competenza di esemplificazioni, di richiami a fatti e ad eventi della attualità più calda.
Senza, con questo, voler trascurare il rilievo che acquista il linguaggio quando sappia
essere chiaro e comprensibile da tutti, nello sforzo massimo di assicurare a tutti il gusto di
poter dire :”ho capito bene!”, o di poter dire ”proverò anch'io a fare così”.
Non va infine dimenticata la preziosa opportunità che il formatore deve poter spesso
utilizzare come il richiamo agli obiettivi del progetto, della fase di svolgimento e del tema della
giornata, allo scopo di conferire pertinenza e coerenza ai lavori in corso. Vale a dire che il
processo formativo ha bisogno di continui feed-back, come ogni momento a forte
interazione esige: richiamare punti deboli , ma non trascurare l'incoraggiamento per i
risultati positivi già raggiunti. Rimane sempre questo il segreto della buona regìa di un
formatore professionista.
Sintesi di tutte queste indicazioni, allora, potrebbe essere la competenza sociale per
eccellenza in una professione a forte relazionalità, come quella del formatore: l'ascolto attivo.
1
Si possono vedere alcune tecniche nel capitolo…
J. Townsed, op.cit., per i tipi piuttosto turbolenti e difficili suggerisce, anche con un pizzico di ironia, i seguenti consigli,
con una sorta di judo psicologico: con il criticone: invitarlo a criticare ogni qualvolta lo ritenga opportuno; con il
saputello: ampliare i suoi contributi e chiedergli il giudizio quando altri non ne esprimono; con il brontolone:
richiedere un elenco scritto di lamentele e farglielo leggere e fine giornata; con il silenzioso: fare notare che ve ne siete
accorti, incoraggiare …a non partecipare!
2
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Unità di lavoro n. 6
Saper costituire un gruppo, condurlo e valorizzarne il
potenziale a fini formativi
OBIETTIVI DELL'UNITÀ DI LAVORO
Questa Unità di Lavoro vuole prefiggersi di far conoscere le potenzialità della formazione in
gruppo e le strategie che il formatore deve adottare per creare, gestire, valutare le attività di
gruppo e dell'azione cooperativa che tali attività prefigurano.
INDICAZIONI OPERATIVE
Il formatore deve saper gradualmente far apprezzare le potenzialità del “lavorare in gruppo”,
creare le condizioni di interazione, di appartenenza, di interdipendenza positiva, fino alla
competenza, dei singoli e del gruppo nel suo insieme, di integrazione nella costruzione di
attività e nello svolgimento dei compiti assegnati al gruppo di lavoro.
INTRODUZIONE
Senza voler entrare nel vivo del discorso sul gruppo, qui crediamo utile focalizzare il nostro
discorso sul potenziale formativo che il gruppo può esprimere nella sua azione dinamica,
nell'uso di alcune tecniche, nell'alto tasso di relazionalità che lo connota, nella possibilità di
valorizzare il vissuto esperienziale di ciascuno dei suoi componenti.
Il gruppo costituisce una modalità metodologica sicuramente complementare alle altre. In
molti momenti esso si dimostra una forte opportunità formativa per l'apprendimento
collaborativo. Per ottenere, però, efficaci risultati è importante conoscere la natura e le
dinamiche di questa micro-organizzazione che si presenta nei fatti un vero e proprio
“organismo vitale” non facilmente prevedibile, né facilmente gestibile se non se ne
conoscono le potenzialità, i vincoli, le possibili reazioni.
Un buon formatore non arriva mai a far ricorso a questa risorsa con la pretesa del “semplice
buon senso”.
Con alcune competenze, con una buona preparazione, con una serie di accorgimenti, il
gruppo può offrire all'azione formativa quel campo di ricchezza relazionale, di autonomia e
creatività, di espressività intraprendente, di positiva interdipendenza e di collaborativa
integrazione fra i componenti.
La preparazione metodologica del formatore diventa allora necessaria per una
consapevolezza professionale che sappia aiutare il gruppo ad affrontare dinamiche di
coesione, di interdipendenza, di integrazione, di eventuali conflitti, ma anche possibilità di
scambio e di co-costruzione di percorsi formativi.
Ci sono buone ragioni per saper ancorare la formazione al metodo del “lavoro di gruppo”.
La grande esperienza di D. Bellamio ne elenca alcune1:
1. la piccola dimensione del gruppo formativo (7-9 componenti) facilita lo scambio di idee e il
confronto di esperienze, con conseguente crescita dell'interazione del livello di
approfondimento dei temi in corso;
1
D. Bellamio, Assunti metodologici di base e pratiche della formazione, in Metodi per la formazione, n. 20/2004 di
Adultità, p. 14.
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2. la situazione di autonomia creativa valorizza il rapporto paritetico, riduce il controllo
sociale e la dipendenza dal docente/formatore;
3. la condizione di gruppo consente maggiore indipendenza di pensiero, maggiore creatività
di proposte e di soluzioni e facilita l'accoglienza e l'accettazione delle diversità espresse
dal gruppo stesso;
4. l'opportunità, per tutti i componenti, di sentire come proprie le proposte scaturite, con
conseguente più facile assunzione di responsabilità da parte i tutti;
5. la possibilità di confronto delle soluzioni avanzate all'interno delle plenarie di intergruppo,
al termine delle sessioni di lavoro.
Ovviamente, la metodologia del lavoro di gruppo merita attenzioni tali per non vanificare le
sue potenzialità con un uso poco mirato e poco sintonico con l'azione formativa e i temi in
discussione.
Il formatore deve anche sapere che le fasi di sviluppo dell'azione del gruppo possono essere
soggette a momenti reattivi diversi.
M. Bruscaglioni a questo proposito delinea una serie di situazioni che segnerebbero tali fasi:
dalla posizioni euforico-irrealistica a quella realistico-depressiva e dalla fase realistico2
produttiva alla fase produttivo-innovativa .
Nei fatti e negli eventi della vita del gruppo di lavoro non è poi così sequenzialmente
predefinita, anche se spesso questi atteggiamenti iniziali e poi comportamenti conseguenti
emergono in modo complesso e intrecciato con altre emergenze psicologiche, pur se non
abbastanza distinti e facilmente comprensibili.
Occorre, però, mettere nel conto questa mutabilità in progressione positiva della vita di un
gruppo di lavoro che, gradualmente, va trovando una sua capacità produttiva nella misura
in cui i fenomeni di coesione e di interdipendenza positiva riescono a diventare un fatto
d'integrazione altamente gratificante e incoraggiante per pensare a nuovi momenti
innovativi e di cambiamento. è quello che la formazione si prefigge come obiettivo.
“A volte - aggiunge Bruscaglioni - nelle situazioni di corso meglio riuscite, si arriva anche ad
una 4a fase in cui l'apprendimento non è solo quello previsto, ma il lavoro comune di gruppo e
dello staff produce anche nuovo apprendimento non precostituito: l'aula di formazione
3
diventa laboratorio di innovazione di idee e di progettazione originale” .
Conta in queste situazioni proporre come contenuto del lavoro di gruppo l'analisi delle
esperienze reali di lavoro che aiutano a superare il primo impatto di incertezze e persino di
smarrimento e di panico che segna, in genere, il primo ingresso nel gruppo. In questo caso,
aiuta l'uso di alcune tecniche come la discussione di autocasi, l'analisi dei problemi
quotidiani, il metaplan su problemi e ipotesi di decisioni e di priorità. Tecniche queste che
possono facilitare comportamenti cooperativi, assunzioni di corresponsabilità,
intraprendenza per nuovi traguardi. Si badi bene, però: l'apprendimento collaborativo, per
avere successo, esige delle competenze, che a loro volta presuppongono “un ambiente
4
umano efficace in cui le persone possono crescere e svilupparsi” . Lo stesso C. Rogers, a
questo proposito, propone due assunti metodologici particolarmente rilevanti:
5
a) il rispetto incondizionato tra i membri del gruppo ;
6
b) una libertà accompagnata dalla responsabilità .
Rogers aggiungeva una serie di elementi qualitativi, facilitatori dell'apprendimento: la
trasparenza, come quadro onesto e sincero di se stessi; il rispetto, la tolleranza e la fiducia nei
riguardi degli altri; la comprensione empatica, come comprensione dei punti di vista degli altri.
2
M. Bruscaglioni, La gestione dei processi nella formazione degli adulti ,Franco Angeli, Milano, 1991, p.85 e segg.
M. Buscaglioni, op. cit, p87
4
T. Benteley, Facilitation: Providing Opportunities for Learning-McGraw-Hill,1994, p.28
5
C. Rogers, On Becoming a Person,Constable,1961.
6
C. Rogers, Libertà nell'apprendimento,Tr.it.Giunti Barbera,1973.
3
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Quanto alle competenze da possedere per un apprendimento collaborativo efficace:
7
eccone alcune :
Competenze
Azioni coerenti
Espressioni esemplificative“
1. Ascoltare
Concentrarsi, usare il linguaggio del
corpo, dimostrare interesse, stimolare
dialetticamente l'altro, verificare la
comprensione
sì, certo…continua”;
”posso chiederti..?;
“se capisco bene…stai
dicendo che….”;
”mi puoi spiegare se..?”
Ascoltare, riflettere, ordinare i propri
pensieri; preparare il proprio
intervento; intervenire al momento
giusto, senza prevaricare.
Anch'io vorrei portare un
contributo;
posso mettere a
disposizione la mia
esperienza…;
voglio contribuire in modo
positivo…
Dare a attenzione a tutti; organizzare
una buona disposizione fisica del
gruppo; non costituire gruppi troppo
numerosi (sono sufficienti 6-9
persone); stabilire insieme delle regole
da seguire; ottimizzare i tempi;
dividersi in sottogruppi per eventuali
necessità.
Proviamo tutti a guardarci…;
fissiamo delle regole ed
impegniamoci a osservarle;
diamoci dei tempi e
rispettiamoli tutti;
abbiamo il coraggio di
ammettere quando
sbagliamo;
proviamo a lavorare qualche
momento in coppia o in
gruppi più piccoli….
Concentrarsi sui punti di forza e sui
sentimenti positivi degli altri; fornire
incoraggiamenti all'occorrenza;
incoraggiare il contributo degli altri;
indirizzare la discussione su
argomenti conosciuti: riconoscere i
propri errori; consentire libertà di
commento; lasciare il tempo
necessario
Non facciamo prendere dal
pessimismo;
dobbiamo saper vedere
anche i punti di forza…;
ognuno qui deve sentirsi
libero di commentare e di
dare il proprio parere…
Quando l'altro non sta dando il meglio
di sé; non osserva le regole fissate
insieme; se approfitta della debolezza
di un altro; se intralcia il lavoro del
gruppo;
Allora trovare il modo di
mettere in discussione il suo
comportamento, dandogli la
possibilità di spiegare il
perché e di lavorare con lui
per un rinforzo positivo.
Lavorare a coppia; lavorare a gruppi di
tre; lavorare in piccoli gruppi. Per trarre
le conclusioni in plenaria di
intergruppo.
Vogliamo provare prima in
coppia o in piccoli gruppi?
Assegniamo dei compiti
suddividendone le
componenti…
2. Contribuire
3. Gestire
4. Sostenere
facilitare gli altri
5. Mettere in
discussione
6. Sapere,
all'occorrenza,
suddividere
il gruppo
7
Adattamento da E. Knasel, J. Meed , A. Rossetti, Apprendere sempre, R. Cortina Editore, Milano, 2000,p. 175.
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Renato Di Nubila
Unità di lavoro n. 7
Proposte metodologiche per
l’apprendimento esperienziale
OBIETTIVI DELL'UNITÀ DI LAVORO
Gli obiettivi di questa Unità di lavoro sono quelli di approfondire bene il concetto di
esperienza e di saperne valorizzare la portata formativa, in situazioni in cui troppo spesso
l'esperienza è stata sottovalutata. Nelle attività di alternanza il giovane adulto e l'adulto
stesso sono portatori di esperienze anche se non tutte formative.
Creare un laboratorio esperienziale significa mettere tutti in condizione di rileggere,
osservare, imitare, migliorare, confermare la propria esperienza.
INDICAZIONI OPERATIVE
Il laboratorio è innanzitutto un ambito, una modalità, una mentalità, prima di essere uno
spazio attrezzato, per mettere in gioco se stessi, la propria capacità, l'opportunità di lavorare
con altri, il luogo di tante realizzazioni e di recupero di autostima. Il laboratorio presuppone
un modo di “costruire insieme e generare” formazione, pertanto gli esercizi che vi si
propongono devono avere un alto tasso di coinvolgimento singolo e gruppale.
INTRODUZIONE
Portare nella formazione l'esperienza, l'abbiamo visto in Kolb, significa mettere in azione una
buona quota di osservazione riflessiva per riuscire ad ottenere un risultato nuovo sia sul
piano cognitivo che su quello della sperimentazione di fatti e di eventi nuovi.
Ne scaturiscono, cioè, pratiche formative che possono avere oggi una loro rigorosa
giustificazione didattica. Così possiamo individuare le valenze educative dell'esperienza,
nella misura in cui un fatto, un problema, un fenomeno siano in grado di produrre una
modificazione, un cambiamento per il soggetto in campo.
Ma non è sempre così. Lo è quando si verificano alcune condizioni come:
- la presenza di tratti di realtà insieme a principi generalizzabili e riutilizzabili in altre
situazioni; l'opportunità di attivazione di capacità critiche per trasformare l'esperienza in
apprendimento, attraverso atteggiamenti di tipo riflessivo e rielaborativo;
- la presenza di contesti complessi e globali.
In queste situazioni è possibile constatare come l'esperienza generi apprendimenti diversi,
fino a generare trasformazione sociale.
Si pensi a contesti di educazione non formale e informale quando è evidente il riferimento a
problemi e a stati di necessità, allora è più facile costatare l'effetto formativo dell'esperienza,
in grado di stimolare motivazioni ed interessi per atteggiamenti conseguenti.
Perché questo possa avvenire, lo ripetiamo, diventa allora importante organizzare una vera e
propria azione didattica sia in luoghi formali che in quelli informali, nei modi e nei tempi
possibili “in situazione”.
E' necessario, cioè, mettere in campo una didattica, o forse è meglio pensare a didattiche
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diverse dell'esperienza, tanto diversi sono i campi, i contesti, le situazioni che si presentano
alla formazione. Per essere educativa e formativa, quindi, l'esperienza va trattata
didatticamente, affrontata ed elaborata.
Perché -è bene ribadirlo- non tutte le esperienze sono di per sé stesse educative e
formative. Occorre tener conto - allora - che le didattiche dell'esperienza hanno una loro
specificità di statuto, di elaborazione, di utilizzo e di fruizione: si esprimono con segni di
narrazione/esposizione, di apertura, di flessibilità, di ascolto, di riflessione, di valorizzazione.
Un approccio didattico che presenta l'esigenza di una progettualità molto pronunciata, al di
fuori di ogni improvvisazione e casualità, per puntare più esplicitamente all'intenzionalità e
alla continuità.
Avremo così didattiche diverse, il più delle volte di tipo socio-relazionali, a volte di tipo
“situazionali”, che utilizzano canali comunicativi differenziati
per funzioni diverse.
”Didattiche quindi intese come dispositivi rivolti a strutturare situazioni d'apprendimento
individuale o di gruppo per generare differenze (cambiamenti, riassetti, modificazioni) a livelli
1
diversi (cognitivo,sociale,comportamentale…”) .
Non di didattiche scolastiche stiamo parlando, ma di didattiche fondate su fatti ed eventi che
intercettano un problema o sulle relazioni tra soggetti coinvolti.
Allora il formatore può avere a sua disposizione modalità didattiche adeguate ai contesti e
alle esperienze in gioco: didattiche della cooperazione, della mediazione, del contratto, della
negoziazione, della partnership che, il più delle volte, trovano nel gruppo l'ambito più
rispondente all'azione formativa.
Si pensi alle forme di cooperative learning, di ricerca-azione, a gruppi di interesse, di
miglioramento, di scambio, di auto-aiuto; l'azione formativa è segnata dall'esercizio della
mediazione tra “diversità” di soggetti, di contesti, di culture, di logiche che spesso sono
all'origine di una delle manifestazioni più fisiologiche di un gruppo e anche di un gruppo in
formazione, qual è il conflitto.
Nell'ambito delle didattiche della mediazione possiamo collocare occasioni di sviluppo di
competenze, consapevolezza e conoscenze nuove. Qui le modalità di affiancamento offerte
dall'azione di tutoring, di mentoring, di coaching possono dimostrarsi preziosissime dal
punto di vista di una formazione ravvicinata e personalizzata.
Nelle didattiche del contratto, che si fondano su una concezione relazionale di tipo
negoziale, proprio come potrebbe avvenire all'inizio di un'attività formativa con un ”contratto
d'aula” o “contratto formativo” per la realizzazione del compito, attraverso comuni impegni di
analisi della realtà (lavoro,organizzazioni, problemi di persone….questione di sviluppo delle
risorse umane) da studiare o da trasformare; attraverso l'uso di tecniche adeguate a valutare
le proprie competenze di partenza o a dimostrare interessi iniziali; attraverso lo sviluppo di
capacità organizzative del lavoro e di equilibrata assegnazione dei compiti particolari.
Se si volessero adottare le didattiche della partnership, fortemente centrate sulla necessità di
collaborazione fondata su un rapporto paritario, come avviene in un rapporto più duraturo
nel tempo per tante forme di coordinamento, di gruppo di tavoli di concertazione, di
protocolli d'intesa.
L'attività di formazione, quando ricorre alle esperienze e ai vissuti dei componenti di un
gruppo, può mutuare con discernimento e intelligenza questi modelli, puntando
essenzialmente ad alcuni passaggi più pertinenti la formazione di capacità. Alcuni esempi:
- la raccolta, lo scambio e la gestione delle informazioni, come oggetto di apprendimenti;
- la funzione comunicativa di narrazione e di ascolto delle esperienze presentate;
1
P. G. Reggio, op. cit, p.148
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- la funzione organizzativa, specialmente in termini di formazione vissuta come
apprendimento organizzativo, nello sviluppo di leadership, di capacità di pianificazione, di
2
controllo, di verifica, di decisione, di gestione delle risorse .
Infine, le didattiche in situazione riguardano la capacità di affrontare, con una prassi
consapevole e aperta a possibili soluzioni, le cosiddette situazioni-problema, affrontate nel
loro contesto, nel coinvolgimento dei soggetti interessati, nella ricerca di significati e delle
relazioni attivabili.
Tutta l'azione rivolta all'apprendimento e alla formazione di tipo esperienziale merita una
grande attenzione, specialmente quando i partecipanti siano adulti, portatori di
testimonianze e di significati che si dimostrano sempre risorsa preziosa per l'aula
formativa.
E' in questo contesto, allora, in cui è forse più facile puntare ad una “formazione costruita”,
come insieme di fatti, di gesti, di consapevolezze per rispondere a specifiche domande, su
precisi e circoscritti problemi relazionali, organizzativi, per cui più che la giustificazione al
ricorso della formazione come fatto gestionale, interessa la capacità di proporre un
intervento formativo per rispondere a domande nuove e reali delle persone, ma anche delle
organizzazioni e del contesto.
Il dibattito in corso sulla forte relazione che ormai connota Formazione e Apprendimento
ripropone, quindi, al centro del suo interesse, il tema dell'esperienza, anche se con voci
differenziate, ma sempre fortemente sintonizzate sul valore formativo di quel che J. P.
Boutinet dice quando parla di esperienza e di esperienza adulta: “ci fornisce un campione
sempre rappresentativo della condizione umana nell'estrema diversità delle sue
3
manifestazioni; un'esperienza che è il risultato di una pluralità di storie” . Storie nelle quali
questo autore francese intravvede una serie di “trame” discorsive e autobiografiche, quale
frutto ricavabile dall'analisi testuale dei racconti proposti dai vari testimoni e soggetti in
campo. Trame che disegnano forme di autorealizzazione, di crescita, di maturazione, ma
anche di arresto o di involuzione del proprio sviluppo; trame di compensazione e di
riadattamento a contesti e circostanze nuove; trame che registrano fasi segnate da
specifici eventi di crescita personale e di adultizzazione; trame che segnano i momenti di
assunzione di nuove responsabilità, di forti emotività, di riflessività profonda, di desideri di
solitudine, di nuove espansioni della vita personale e professionale, di desideri di evasione,
di ricerca di nuovi impegni e di nuove partenze professionali.
Rimane comunque, sullo sfondo di ogni attività formativa che voglia fare riferimento
all'esperienza, la necessità di tener presente che il bisogno di capire le esperienze è forse la
caratteristica più peculiare dell'essere umano: dobbiamo capirle, per metterci in condizione
4
di agire efficacemente, scrive J. Mezirof , il quale ricorda le parole di Dewey: ”Solo quando gli
elementi che ci circondano hanno significato per noi, solo quando prospettano delle
conseguenze che si possono raggiungere usandoli in determinati modi, diventa allora
possibile assumere un controllo deliberato e intenzionale”. Trovare un significato vuol dire
dare senso, o coerenza, alle nostre esperienze: il significato è una forma d'interpretazione.
2
P.G.Reggio,op.cit.p.159.
J. P. Boutinet, Psicologie de la vie adulte, PUF,Paris,1995, p .60-65
4
J. Mezirof, Apprendimento e trasformazione, R. Cortina ed., Milano,1991, p. 18
5
J. Dewey ,Come pensiamo:una riformulazione del rapporto tra il pensiero e l'educazione. Tr. It. La Nuova Italia, Firenze,
1973,p. 19
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LA FORMAZIONE NEL
SISTEMA APPRENDISTATO
Parte II
Le buone prassi
(iniziativa formativa 2009/2010)
Formatori componenti il Laboratorio
Lorena Bebber
Stefano Bogatto
Antonella Cava
Claudio Cavazzani
Armando Centeleghe
Gabriella Demonti
Tiziana Facchini
Roberto Gozzaldi
Giorgio Maino
Rita Pontoglio
Paolo Postal
Sergio Rocca
Paola Sanna
Ketty Tomio
Luca Vichi
Hanno curato l’iniziativa
Sandro Rampa - definizione del progetto, coordinamento delle azioni formative ed elaborazione dei materiali
Renato Di Nubila - impianto e supervisione metodologica
Cattedra di Metodologia della Formazione Facoltà di Scienza della Formazione Università di Padova
Monica Fedeli - metodologie per lo sviluppo dei processi di apprendimento
Facoltà di Scienza della Formazione Università di Padova
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