Veglia di Natale Nervesa della Battaglia 15 dicembre 2012 ANAXO PARTE PRIMA Ci si incontra nello spiazzo accanto al monumento dedicato alla Grande Guerra, sull’argine della Piave. Ci si dispone in cerchio. Il magister dell’Anaxo1 dà il benvenuto alle comunità presenti. La veglia ha inizio. Lettura 1 - L’attesa La comunità Anaxo1 si presenta con delle riflessioni individuali sul tema dell’attesa, riunite in un unico testo. Qualcuno ha sviluppato dei pensieri personali, qualcun altro ha ricercato delle citazioni significative per il proprio sentire. “Attesa significa aspettare che si verifichi qualcosa con la speranza che sia buona.” “Aspetto momenti di Gioia. Sento che talvolta la Gioia è nascosta nell’Attesa, nel condividere assieme proprio la speranza di Gioia. Ma aspetto anche un momento di FESTA, per vedere la felicità negli occhi dei miei bambini, per condividere la festa, con gioia, con chi amo.” “Fate allora che ciascuna stagione racchiuda tutte le altre, e il presente abbracci il passato con il ricordo ed il futuro con l’attesa.” - Kahlil Gibran, Il Profeta “Vivete dunque e siate felici, figli prediletti del mio cuore, e non dimenticate mai che, fino al giorno in cui Iddio si degnerà di svelare all’uomo l’avvenire, tutta l’umana saggezza sarà riposta in queste due parole: aspettare e sperare.” - Alexandre Dumas, Il Conte di Montecristo “Ti dico aspetta e appoggio la mia mano sul tuo braccio perchè ciò che percepisco imminente, ciò che sento arrivare, ciò che aspetto è troppo grande per me e potrò viverlo appieno solo standoti vicino.” “La vita di ognuno è un’attesa. Il presente non basta a nessuno: l’occhio e il cuore sono sempre avanti, oltre la breve gioia, oltre i limiti del nostro possesso, oltre le mete raggiunte con aspra fatica. In un primo momento della nostrav esperienza pare che ci manchi qualcosa; più tardi ci si accorge che ci manca qualcuno e lo attendiamo...” - Don Primo Mazzolari “Non attendere colui che ti asciuga le lacrime, ma colui che non te le fa mai versare, che ti regala sempre un sorriso.” “L’attesa è incontro . Quest’anno per me l’attesa ha il volto di una giovane amica e mamma stanca, provata , ma tenacemente attaccata alla vita. L’attesa è accanto al suo letto d’ospedale dove l’amore si esprime in gesti delicati e teneri, dove una mano accarezza sempre la sua perché l’ultimo giorno non la colga sola e spaventata . L’attesa è il tempo trascorso a seguire il ritmo faticoso del suo respiro. L’attesa è il far tornare alla mente le gioie e le paure condivise, le speranze espresse e il valore di ogni goccia di normalità. L’attesa è chiedere con insistenza:-Perché? L’attesa è una preghiera mormorata a bassa voce. L’attesa è fidarsi della Promessa annunciata: “Ecco verranno i giorni nei quali io realizzerò le promesse di bene…farò germogliare per Davide un germoglio giusto che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra” (Geremia 33,14 – 16) PARTE SECONDA il “dove” - la Palestina e il (nostro) mondo Si arriva alla prima tappa dentro l’argine del fiume. Ci si dispone in semicerchio, anche in doppia fila. Lettura 2 Luca, cap.2 v.1 “In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra.” Lettura 3 Nel 1948, al-Birwa il villaggio natale di Mahmud Darwish, situato in Alta Galilea, fu completamente distrutto e oggi non compare più nelle carte topografiche. L’esercito di Israele scacciò via gli abitanti di Birwa e rase al suolo l’intero abitato. Altre quattrocento località palestinesi subirono la stessa sorte. I genitori di Mahmud si rifugiarono in Libano. Dopo un anno rientrarono illegalmente nel loro Paese, ma la loro terra era diventato parte dello stato di Israele e i loro bene erano stati confiscati ed essi non godevano più di alcun diritto di cittadinanza. Cantando per le strade, per i campi, il nostro sguardo farà scaturire l’osservatorio dal posto più lontano dal posto più profondo dal posto più bello, dove non si vede che l’aurora, e non si sente che la vittoria. Usciremo dai nostri campi Usciremo dai nostri rifugi in esilio Usciremo dai nostri nascondigli, non avremo più vergogna, se il nemico ci offende. Non arrossiremo: sappiamo maneggiare una falce, sappiamo come si difende un uomo disarmato. Sappiamo anche costruire Una fabbrica moderna, una casa, un ospedale, una scuola, una bomba, un missile. E sappiamo scrivere le poesie più belle. Bramo il pane di mia madre il caffè di mia madre il tocco di mia madre Cresce in me l’infanzia giorno dopo giorno ed amo la mia vita… perché nell’ora della mia morte mi vergogno delle lacrime di mia madre ! E se tornassi indietro un giorno prendimi velo per tue ciglia e copri le mie ossa con erba benedetta dalla tua caviglia. E stringi le mie catene con un ricciolo dei tuoi capelli con un _lo penzolante dall’orlo del tuo vestito. Forse diverrei un dio un dio diverrei… se toccassi le profondità del tuo cuore ! Se tornassi indietro … usami combustibile nella fornace del tuo fuoco, corda da panni sul tetto della tua casa, perché divenni debole per stare in piedi senza la tua preghiera giornaliera. Diventai vecchio decrepito. Restituiscimi le stelle dell’infanzia così che io, condivida con i piccoli uccelli il percorso di ritorno verso il nido della tua attesa Lettura 4 La me Tera, la me dhent di Luigi Pianca Come tute, la me tera, proprio ànca la mea, par capirla la ghe vol caminada, a calcagni descuerti, descolzhi, pian pianin a pass longhi o tardivi; ma ànca curti, de corsa dentro i cortivi, a scavazha canp, scuriadi da l’erba alta, a salt-foss che i la bagna e resenta. Vista , smirada, cariada dopo cariada, colmel dopo colmel incrodada al zharvel, sta tera nostra, drento’l cuor la va a polsar e, viva, prima o dopo la ne torna, col sboc de sangue paesan l’ultimo dì, vanti de deventar zhendre e paltan. Si riparte verso la seconda tappa senza modalità speciali: semplicemente si va. PARTE TERZA il “chi” - i pastori e Maria Lettura 5 Luca cap.2 vv 9-10 “C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge.Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolsero di luce. Essi furono presi da paura.” Lettura 6 “…Il mercato degli animali è all’esterno delle mura. Ci si trovano capre e maiali, polli e fagiani, cavalli e vacche da latte, conigli e pecore. E i pastori.I pastori non vivono nella città, seguono gli animali verso i pascoli e i posti dell’acqua: conoscono ogni piega delle colline, ogni ruscello, ogni grotta o anfratto buono per ripararsi dalla pioggia. Sanno quali erbe curano le ferite, guardano il cielo e ci vedono segni a noi sconosciuti. Aiutano le pecore e le asine a partorire, portano a spalle gli agnelli, urlano e fischiano ai cani e li tengono vicini nelle notti più fredde. Puzzano d’animale e di selvatico, hanno le galosce impregnate d’urina e di sterco, le mani ruvide e le unghie nere. Non sanno scrivere né leggere, si lavano nell’acqua dove gli animali mettono le zampe, conoscono il valore del sangue e della morte e ne fanno un uso parco e prudente. I pastori non hanno proprietà: le pecore sono dei padroni, loro devono accudirle e ingrassarle e farle riprodurre. Hanno solo una tenda e poche stoviglie, quanto può stare sul dorso di un asino. Conoscono il valore del sale e del vino. Hanno il potere di far nascere e far morire il fuoco. Non curano la barba e i capelli, non cambiano d’abito ma sanno cucinare e sono abili a raccogliere ciò che offre la terra. Al collo hanno degli amuleti e tra le braccia un pesante bastone per rivoltare sassi, scalzare radici e schiacciare la testa ai serpenti. Portano in vita il coltello e hanno sempre con sé la pietra per affilarlo. Camminano di notte con sicurezza perché conoscono le stelle e le stagioni, cantano da soli all’imbrunire e vedono lontano uomini e ombre, lupi e temporali. Sentono il sapore del vento ma non il proprio odore, si puliscono la bocca con le mani e il sedere con le pietre e le foglie. Hanno i denti rotti e disordinati e cicatrici grosse sulle mani e sulle braccia. Sono scuriti dal sole e hanno rughe dappertutto, rughe che sanno di fumo e di terra. Sono pastori. Non appartengono al popolo, né a quello del principe né a quello di Dio. Non hanno nome né legge, non hanno casa né officina, né magazzino, nè negozio, né chiesa, né fontana, né soldi, né progetti. Sono pastori solitari e rejetti, sono uomi- ni liberi che hanno infiniti padroni: il cielo, la terra, l’acqua, il vento, le stelle, gli animali… per questo i pastori sono sapienti nel guardare e nell’aspettare, accolgono quello che viene, sanno la vita e semplicemente la vivono”. Lettura 7 Maria, donna dell’attesa di Don Tonino Bello La vera tristezza non è quando, a sera, non sei atteso da nessuno al tuo rientro in casa, ma quando tu non attendi più nulla dalla vita. E la solitudine più nera la soffri non quando trovi il focolare spento, ma quando non lo vuoi accendere più: neppure per un eventuale ospite di passaggio. Quando pensi, insomma, che per te la musica è finita. E ormai i giochi siano fatti. E nessun’anima viva verrà a bussare alla tua porta. E non ci saranno più né soprassalti di gioia per una buona notizia, né trasalimenti di stupore per una improvvisata. E neppure fremiti di dolore per una tragedia umana: tanto non ti resta più nessuno per il quale tu debba temere. La vita allora scorre piatta verso un epilogo che non arriva mai, come un nastro magnetico che ha finito troppo presto una canzone, e si srotola interminabile, senza dire più nulla, verso il suo ultimo stacco. Attendere: ovvero sperimentare il gusto di vivere. Hanno detto addirittura che la santità di una persona si commisura dallo spessore delle sue attese. Forse è vero. Se è così, bisogna concludere che Maria è la più santa delle creature proprio perché tutta la sua vita appare cadenzata dai ritmi gaudiosi di chi aspetta qualcuno. Già il contrassegno iniziale con cui il pennello di Luca la identifica è carico di attese: «Promessa sposa di un uomo della casa di Davide». Fidanzata, cioè. A nessuno sfugge a quale messe di speranze e di batticuori faccia allusione quella parola che ogni donna sperimenta come preludio di misteriose tenerezze. Prima ancora che nel Vangelo venga pronunciato il suo nome, di Maria si dice che era fidanzata. Vergine in attesa. In attesa di Giuseppe. In ascolto del frusciare dei suoi sandali, sul far della sera, quando, profumato di legni e di vernici, egli sarebbe venuto a parlarle dei suoi sogni. Ma anche nell’ultimo fotogramma con cui Maria si congeda dalle Scritture essa viene colta dall’ obiettivo nell’ atteggiamento dell’attesa. Lì, nel cenacolo, al piano superiore, in compagnia dei discepoli, in attesa dello Spirito. In ascolto del frusciare del- la sua ala, sul fare del giorno, quando, profumato di unzioni e di santità, egli sarebbe disceso sulla Chiesa per additarle la sua missione di salvezza. Vergine in attesa, all’inizio. Madre in attesa, alla fine. E nell’arcata sorretta da queste due trepidazioni, una così umana e l’altra così divina, cento altre attese struggenti. L’attesa di lui, per nove lunghissimi mesi. L’attesa di adempimenti legali festeggiati con frustoli di povertà e gaudi di parentele. L’attesa del giorno, l’unico che lei avrebbe voluto di volta in volta rimandare, in cui suo figlio sarebbe uscito di casa senza farvi ritorno mai più. L’attesa dell’ora: l’unica per la quale non avrebbe saputo frenare l’impazienza e di cui, prima del tempo, avrebbe fatto traboccare il carico di grazia sulla mensa degli uomini. L’attesa dell’ultimo rantolo dell’unigenito inchiodato sul legno. L’attesa del terzo giorno, vissuta in veglia solitaria, davanti alla roccia. Attendere: infinito del verbo amare. Anzi, nel vocabolario di Maria, amare all’infinito. Accensione delle fiaccole al braciere. Si riparte verso la chiesetta condividendo un canto di marcia. Insieme abbiam marciato un dì per strade non battute insieme abbiam raccolto un fior sull’orlo di una rupe. Insieme, insieme è il motto di fraternità insieme, nel bene crediam. Insieme abbiam portato un dì lo zaino che ci spezza insieme abbiam goduto alfin del vento la carezza. Insieme, insieme è il motto di fraternità insieme, nel bene crediam. Insieme abbiamo appreso ciò che il libro non addita abbiam scoperto che l’amor è il senso della vita. Insieme, insieme è il motto di fraternità insieme, nel bene crediam. Guardo nei campi brulli le stoppie aride, e nel canneto osservo levarsi il sol. Mi chiedo che fanno queste cose intorno? E’ un sogno un inganno questa vita accanto a me? Sei Tu, Signor, che mi circondi, che vuoi da me? La mia tendina chiara spicca fra gli alberi, nella radura erbosa declina il dì. Trattiene il respiro ogni cosa intorno, il fuoco che miro mi raccoglie tutto a sé. Sei Tu, Signor, che ti nascondi, cercano Te. Marcio con zaino in spalla per valli insolite, divido il pane e l’acqua con un fratel. La gente che vedo mi ridà il saluto, le cose in cui credo son concrete accanto a me. Sei Tu, Signor, che mi rispondi, eccomi a Te! PARTE QUARTA i segni e la memoria Noi ci rappresentiamo la natività con un certo carico di simboli, come il presepio che ci ospita. Sono segni di memoria che ci servono per “celebrare” il Natale e che derivano dalla tradizione e dalle scritture. Lettura 8 L’immagine che vediamo proiettata è un quadro del 1912 di Emil Nolde, presentato con grande scandalo all’esposizione universale di Bruxelles. Trasmette con forza brutale l’idea di una ricerca di fede tormentata. Perchè scandalizza? E’ un momento di grandi tensioni sociali e geopolitiche, è la vigilia della prima guerra mondiale. Nolde si allontana dai canoni della bellezza ideale e dell’armonia, che il pittore giudica disonesta ed ipocrita rispetto al senso dei tempi. Dà importanza ai colori e ai loro valori espressivi e usa delle forme estremamente semplificate, quasi infantili. L’immagine infonde una sorprendente energia che culmina nel gesto naturalissimo e straordinario della madre che alza il suo neonato verso il cielo, come una meraviglia da mostrare al mondo. Il bambino contrasta con il cielo: è il figlio di Dio fattosi uomo, che sperimenta l’Humilitas (la stessa radice di humus) e quindi è di color ocra, colore della terra. Maria è raggiante di gioia, ha il profilo semita e ancora porta il grembo intriso di sangue. Giuseppe è stranito, incerto, con gli occhi cerchiati di nero.Partecipa col rossore del volto e delle labbra al colore della nascita e sembra uscire dall’oscurità: in altre rappresentazioni pittoriche tradizionali è più defilato, secondario, a volte addirittura dormiente. La sua notte, il suo silenzio, il suo sonno, la sua quotidianità sono squarciati da una novità assoluta. Lettura 9 Lettura delle diverse rappresentazioni del Natale espresse nei Vangeli. Commento del sacerdote presente. Tu scendi dalle stelle è un canto natalizio composto nel dicembre 1754 a Nola in provincia di Napoli, mentre altre fonti citano il paese di Deliceto, in provincia di Foggia, come luogo di composizione, dal Santo napoletano Sant’Alfonso Maria de’ Liguori (wikipedia) Tu scendi dalle stelle, o Re del cielo, e vieni in una grotta al freddo al gelo, e vieni in una grotta al freddo al gelo. O Bambino mio divino, io ti vedo qui tremar. O Dio beato, ah quanto ti costò l’avermi amato. ah quanto ti costò l’avermi amato. A Te che sei del mondo il creatore mancano panni e fuoco, o mio Signore, mancano panni e fuoco, o mio Signore. Caro eletto pargoletto quanto questa povertà più m’innamora giacché ti fece amor povero ancora, giacché ti fece amor povero ancora. Lettura 10 Il Natale è per l’uomo di Enzo Bianchi Il Natale, ormai, è una festa non solo riservata ai cristiani, ma sempre più carica di una valenza antropologica. I valori della quotidianità, del tessuto della vita, le relazioni umane, l’amicizia, l’amore, la fraternità sono ormai legati a questo giorno al punto che anche là dove vi è contrapposizione tra credenti e non credenti, la festa rimane tale per tutti: magari, invece di “Buon Natale” i non credenti si augurano un più generico “Buone Feste!”, ma il clima dell’incontro, della gioia, dell’intimità è da tutti condiviso. Il Natale è un’autentica occasione per riaccendere una speranza che riguarda l’umanità intera. Francesco d’Assisi seppe interpretare bene questo aspetto, creando il presepe di Greccio: una stalla,una mangiatoia, Maria, Giuseppe e il neonato, un asino e un bue, i pastori venuti ad adorare il bambino su invito dei messaggeri di Dio. Si attendeva il Natale con ansia. Iniziata la novena di preparazione noi bambini andavamo nei boschi a raccogliere il muschio, cercavamo carta da pacco che spruzzavamo con vari colori e poi l’accartocciavamo perché assumesse la forma di rocce, grotte, speroni di montagna. Quindi su un tavolo in cucina o nella sala si disponevano le statuine del presepe, cercando ogni anno che la composizione assumesse un aspetto diverso. Nella grotta si metteva la mangiatoia vuota, Maria e Giuseppe, l’asino e il bue, sulla soglia i pastori che adoravano e portavano i loro semplici doni; più sopra gli angeli sormontati dalla stella che brillava in alto luminosa; attorno, la campagna riproduceva ambienti familiari: specchi d’acqua con le oche, prati con pecore, agnelli e asini, poi le case con la gente intenta ai propri mestieri: il mugnaio, il fabbro, il falegname….Lontano ai margini, austero su una rocca, vi era il castello di Erode e lassù erano collocati i magi con i loro cammelli, che ogni giorno venivamo spostati di qualche passettino in modo che giungessero alle soglie della grotta il giorno dell’Epifania. Le diverse comunità presentano le stelle di natale realizzate a casa e leggono le intenzioni scritte sul retro. Lettura 11 Se mi fosse concesso di lasciare nella mezzanotte il trasognato rapimento della liturgia, e aggirarmi per le strade della città, e bussare a tutte le porte, e suonare a tutti i campanelli, e parlare a tutti i citofoni, e dare una voce sotto ogni finestra illuminata, vorrei dire semplicemente così: Buon Natale, gente! Il Signore è sceso in questo mondo disperato. E all’anagrafe umana si è fatto dichiarare con un nome in credibile: Emmanuele! Che vuol dire: Dio-con-noi. Coraggio! Ai tempi di Adamo, «egli scendeva ogni meriggio nel giardino a passeggiare con lui» (Gn 3,8). Ma ora ha deciso di starsene per sempre quaggiù, perché non si è ancora stancato di nessuno e continua a scommettere su di noi. Mi chiedo, però, se questi auguri, formulati così, magari all’interno di un pianobar, o di una sala-giochi, o di una discoteca, o di un altro tempio laico dove la gente, tra panettoni e champagne e luci psichedeliche, sta trascorrendo la notte santa, siano capaci di reggere il fastidio degli atei, lo scetticismo degli scaltri, il sorriso dei furbi, la praticità di chi squalifica i sogni, il pragmatismo di chi rifiuta la poesia come mezzo di comunicazione. Mi domando se gli auguri di Natale formulati così, magari all’interno della Stazione Centrale dove tanta gente alla deriva trova riparo dal freddo notturno nella sala d’aspetto (ma senza che aspetti più nulla e nessuno).., faranno rabbia o tenerezza, susciteranno disprezzo o solidarietà, provocheranno discredito o lacrime di gioia. Mi chiedo per quanti minuti rideranno dinanzi agli auguri di Natale, formulati così, coloro che si sono costruiti idoli di sicurezza: il denaro, il potere, lo sperpero, il tornaconto, la violenza premeditata, l’intolleranza come sistema, il godimento come scopo assoluto della vita. E allora? Dovrei abbassare il tiro? Dovrei correggere la traiettoria e formulare auguri terra terra, a livello di tana e non di vetta, a misura di cortile e non di cielo? No. Non me la sento di appiattire il linguaggio. Sono così denutrite le speranze del mondo, che sarebbe un vero sacrilegio se, per paura di dover sperimentare la tristezza del divario tra la formulazione degli auguri e il loro reale adempimento, mi dovessi adattare al dosaggio espressivo dei piccoli scatti o dovessi sbilanciarmi sul versante degli auspici con gli indici di prudenza oggi in circolazione. Anzi, se c’è una grazia che desidero chiedere a Gesù che nasce, per me e per tutti, è proprio quella di essere capace di annunciare, con la fermezza di chi sa che non resteranno deluse, speranze sempre eccedenti su tutte le attese del mondo. Don Tonino Bello, Vescovo di Molfetta La veglia si conclude con la proiezione dell’avemaria cantata in aramaico antico, con lo scambio di auguri e di segni e con un momento conviviale.