Percorsi di Villa Brunati
-III-
PETER O’TOOLE
Da Lawrence d’Arabia a Ratatouille
1962 - 2007
a cura di
Artur Alipkaliyev
2015
Ricerca realizzata da Artur Alipkaliyev nell’ambito del tirocinio universitario svolto nella Biblioteca
Civica A. Anelli di Desenzano del Garda (convenzione con l’Università degli studi di Bologna n. 11071
del 09/10/2014)
DA LAWRENCE D’ARABIA A RATATOUILLE
The unluckiest actor in the history (l’attore più
sfortunato della storia). Così fu definito Peter
O’Toole per il suo poco invidiabile record: 8
nomination all’Oscar, sempre come miglior
attore protagonista, e mai una vittoria. Per
‘riparare’ a questa mancanza, l’Academy gli
assegnò l’Oscar alla carriera nel 2003,
consegnatogli da Meryl Streep. Ma a
riguardare la vita e la carriera di questo attore,
non si può certo dire che sia stato sfortunato.
Nato a Conemara (Irlanda) il 2 agosto del
1932, Peter O’Toole fu testimone sin da
piccolo di atrocità, guerre e povertà: prima i
continui scontri armati tra i ribelli irlandesi e
l’esercito britannico, poi la Seconda Guerra Mondiale. Proprio durante questi
anni, O’Toole e la sua famiglia furono costretti a trasferirsi a Leeds, in
Inghilterra. Abbandonata l’educazione rigida delle suore e aiutato dalla figura
carismatica del padre, dotato di pragmatismo e di immenso senso
dell’umorismo, il giovane Peter iniziò ad affrontare il mondo a modo suo.
Fece il muratore, il giornalista, il marinaio presso la Royal Navy, l’allenatore e
giocatore di cricket e, quasi per scherzo, fece un provino per la borsa di
studio presso la Royal Academy of Dramatic Arts, una tra le più antiche e
rinomate scuole di teatro del mondo. I
professori chiusero un occhio sulla sua
impreparazione e gli assegnarono la
borsa di studio, perché intravidero un
talento innato e una forte personalità.
Da quel momento, O’Toole non
avrebbe più abbandonato la recitazione
e proprio nella scuola di teatro avrebbe
incontrato il suo migliore amico:
Richard Harris.
Il suo debutto risale al 1949, presso il
Teatro pubblico di Leeds. Da quella data
O’Toole ha recitato ininterrottamente sui
palcoscenici più importanti di Londra e
Broadway, lavorando con i più grandi
registi e attori dell’epoca, diventando lui
stesso uno dei più apprezzati e celebri
attori teatrali e shakespeariani del
Novecento. La sua ammirazione verso
William Shakespeare è degna di nota:
sapeva a memoria tutti i 154 sonetti del
Bardo. Fu l’attore di punta dell’Old Vic e del National Theatre di Londra per
molti decenni. In un’intervista rilasciata nel 2007 espresse la sua delusione per
il livello qualitativo degli attori delle ultime generazioni: affermò che sono
necessari un allenamento e un’educazione che partano dal teatro.
Nel 1999 Peter O’Toole recitò Jeffrey Bernard is Unwell, un’opera teatrale scritta
per lui da Keith Waterhouse e grazie alla quale vinse il Laurence Olivier
Award. Questo spettacolo rappresenta l’addio di O’Toole al teatro; si ritirò
per l’incapacità di sostenere fisicamente il serrato ritmo delle prove.
L’addio alla sua grande passione non lo scoraggiò e gli fece ottenere altri
riconoscimenti sia dalla critica che dal pubblico per le sue interpretazioni al
cinema e in televisione. Ma il 12 luglio del 2012 Peter O’Toole annunciò il
totale ritiro dalla recitazione e il 14 dicembre 2013 morì a Londra, a seguito di
una lunga malattia. Nella sua vita avventurosa e imprevedibile fu sposato per
20 anni con l’attrice Sian Phillips ed ebbe tre figli: Kate, Patricia e Lorcan. Era
un uomo libero: in più di una occasione, la regina Elisabetta II gli offrì il
cavalierato, ma lui rifiutò a causa delle sue origini irlandesi.
Per quanto riguarda il cinema, Peter O’Toole fece il suo debutto sui grandi
schermi nel 1960 con Il ragazzo rapito di Robert Stevenson. Ma la fortuna e il
successo arrivarono per lui due anni dopo. Nel 1962 recitò in Lawrence
d’Arabia di David Lean interpretando il ruolo del protagonista: il colonnello
Terrence Edward Lawrence, che è ritenuto il suo personaggio più famoso.
Con questo film parte questo percorso sulle pellicole più famose interpretate
da Peter O’Toole. Si passano in rassegna anche gli 8 film per i quali è stato
candidato all’Oscar. Si attraversano quasi 50 anni di storia del cinema e
numerosi generi, in cui O’Toole riuscì a raggiungere l’eccellenza.
Per capire la sua personalità, la sua vita e la
sua carriera, bisogna citare il suo motto, che
lui scrisse nel suo diario quando aveva 18
anni:
«I will not be a common man. I will stir the smooth
sands of monotony. I do not crave security. I will
hazard my soul to opportunity.»
(Io non sarò un uomo comune. Spazzerò via le piatte dune sabbiose della
monotonia. Non desidero la sicurezza. Darò la mia anima all’opportunità.)
Il curatore
Lawrence d’Arabia
un film di David Lean
con Peter O’Toole, Omar Sharif, Anthony Quinn, Alec Guinness, Jack Hawkings
titolo originale: Lawrence of Arabia
STORICO, durata 222' min. Gran Bretagna 1962
Trama
Il film racconta la vita e le imprese militari
del colonnello inglese Terrence Edward
Lawrence (Peter O’Toole) nei deserti
dell’Arabia, durante la Prima Guerra
Mondiale. Per convincere le tribù arabe ad
unirsi in un unico esercito e contrastare
l’armata turca, il governo britannico intavola
numerose trattative cogli emiri e i capotribù
senza risultati soddisfacenti. Lawrence, un
giovane cartografo e grande esperto della
cultura arabo-islamica, viene spedito ad
aiutare il colonnello Brighton (Anthony
Quayle), consulente del lungimirante ed
ambizioso emiro Faysal (Alec Guinness). Il
rispetto e la conoscenza per la cultura araba
di Lawrence sorprendono l’emiro, che gli affida il comando del suo esercito
per soddisfare le promesse del colonnello inglese. Grazie ai propri successi
militari e ad alcuni eventi favorevoli, Lawrence diventa una figura carismatica,
un eroe in grado di riunire sotto un’unica bandiera le numerose tribù contro il
nemico turco. Ma gli intrighi dell’alto commando britannico insieme alla
smisurata ambizione e all’egocentrismo di Lawrence porteranno quest’ultimo
a molti problemi, sia militari che personali.
La fortuna
Sin dalle prime apparizioni nelle sale cinematografiche americane, Lawrence
d’Arabia diventò un successo sia di critica che di pubblico. In particolare,
sono lodati gli effetti visivi, la colonna sonora del compositore francese
Maurice Jarre, la sceneggiatura di Robert Bolt e Michael Wilson (basata sul
libro autobiografico I sette pilastri della saggezza di T. E. Lawrence e su
documenti storici riguardanti la Rivolta araba) e la performance di Peter
O’Toole, che all’epoca era poco più che un esordiente e sconosciuto al
pubblico americano. Lo stesso O’Toole ammise che il successo del film
giunse immediatamente e che divenne una star a livello mondiale in
brevissimo tempo. Entertainment Weekly e Première, due riviste americane di
cinema, hanno inserito la performance di O’Toole al primo posto nelle proprie
liste sulle grandi interpretazioni di tutti i tempi. L'American Film Institute ha
classificato quest'opera al settimo posto nella lista “I film più belli di sempre”
e al primo posto nelle pellicole appartenenti al genere epico. Mentre T. E.
Lawrence, interpretato da O'Toole, è stato posizionato al decimo posto dei
più grandi eroi della storia del cinema.
Lawrence d'Arabia e la regia di David
Lean hanno influenzato in modo
evidente il lavoro di Sam Peckinpah,
Ridley Scott, George Lucas, Martin
Scorsese
e
Steven
Spielberg.
Quest'ultimo ha affermato di guardare
sempre questo film e Il ponte sul fiume
Kwai, sempre di Lean, prima di
dirigere un nuovo lavoro. Nel 2000
Spielberg e Scorsese hanno curato la
versione restaurata della pellicola.
Durante la 35 esima edizione degli Academy Awards, nel 1963, il film vinse 7
Oscar su 10 nomination. Trionfò nelle categorie del miglior film, regia,
fotografia, scenografia, montaggio, sonoro e colonna sonora, mentre furono
battuti sia Omar Sharif come miglior attore non protagonista che Robert Bolt
e Michael Wilson nella categoria della miglior sceneggiatura non originale.
Peter O'Toole perse a favore di Gregory Peck, avvocato integerrimo ne Il buio
oltre la siepe.
Curiosità
Le riprese durarono un intero anno nei deserti dell'Africa settentrionale e
della Spagna. Ci fu un sentimento generale di stanchezza, ma si creò una
speciale amicizia tra tutti i membri del cast e della crew, soprattutto fra O'Toole
e Sharif. O'Toole affermò di aver svolto una ricerca su Lawrence d'Arabia per
capirne la personalità e di esserne rimasto terrorizzato.
Tratto dal libro
I sette pilastri della saggezza di T. E. Lawrence
titolo originale: Seven Pillars of Wisdom
pubblicato in Gran Bretagna nel 1922 e in Italia nel 1949
Becket e il suo re
un film di Peter Glenville
con Richard Burton, Peter O'Toole, John Gielgud, Paolo Stoppa, Gino Cervi
titolo originale: Becket
STORICO, durata 148' min. Gran Bretagna 1964
Trama
Nel XII secolo Enrico II Plantageneto (Peter
O’Toole) siede sul trono d’Inghilterra e governa
su vasti possedimenti in Francia. Irascibile,
permaloso, sprezzante ed egoista, il monarca ha
un solo vero amico e consigliere: Thomas Becket
(Richard Burton). Quest’ultimo è compagno del
sovrano in numerose avventure, battaglie e
conquiste amorose. Fidandosi ciecamente di lui,
Enrico II decide di nominarlo arcivescovo di
Canterbury, massima autorità spirituale della
Chiesa anglicana, nella speranza di ottenere il
controllo assoluto sul clero. Con il passare del
tempo, Becket subisce una trasformazione: da
giovane gaudente e festaiolo a uomo devoto a
Dio. Inizia ad opporsi apertamente al volere del sovrano, scomunica alcuni
nobili graditi ad Enrico e insiste sulla supremazia del tribunale ecclesiastico
per i crimini commessi dai prelati. Enrico si pente della sua decisione e
l’amicizia si trasforma in odio. Angustiato dalle maldicenze e dalle minacce
del re, Becket cerca rifugio prima in Francia presso Luigi VII (John Gielguld)
e poi presso il papa Alessandro III (Paolo Stoppa) e il cardinale Zambelli
(Gino Cervi). Ma Enrico II non si vuole arrendere ed esige il ritorno
dell’arcivescovo in Inghilterra meditando, al tempo stesso, una tremenda
vendetta.
La fortuna
Becket e il suo re ebbe un notevole successo presso la critica ed ottenne una
vasta popolarità tra il grande pubblico. La favorevole accoglienza è dovuta
anche a numerosi spettacoli teatrali tratti dalla pièce Becket ou l'honneur de Dieu
del drammaturgo francese Jean Anouilh. In particolare, il film fu elogiato per
le performance di Peter O’Toole e Richard Burton e per l’evidente alchimia tra i
due. Il successo giunse anche in Italia grazie alla presenza di due famosi attori
italiani: Gino Cervi e Paolo Stoppa. Nel 1965 il film ottenne 12 nomination, ma
vinse solo quello per la miglior sceneggiatura non originale di Edward Anhalt.
Delle altre 11 candidature, sono da menzionare quelle per miglior film,
miglior regia a Peter Glenville, miglior attore protagonista a Burton e a
O’Toole e miglior attore non protagonista a John Gielguld. Becket e il suo re fu
battuto nelle prime tre categorie citate da My Fair Lady di George Cukor.
Burton e O’Toole persero a favore di Rex Harrison, che vinse per
l’interpretazione del professore di Glottologia Henry Higgins, a fianco di
Audrey Hepburn. Curiosamente, O’Toole era la prima scelta per interpretare
Higgins in My Fair Lady, ma fu scartato perché esigeva uno stipendio ritenuto
troppo alto. A teatro O’Toole interpretò diverse volte questo personaggio
vincendo numerosi riconoscimenti.
Curiosità
Le più famose messinscene dell’opera teatrale di Anouilh sono state lo
spettacolo di Broadway (con sir Laurence Olivier nel ruolo di Becket e
Anthony Quinn in quello di Enrico II) e quello di Londra, con Eric Porter e
Christopher Plummer. Peter O’Toole doveva recitare la parte di Enrico II
nello spettacolo londinese, ma decise di rifiutare per partecipare alle riprese di
Lawrence d’Arabia. Sul set di Becket e il suo re, O’Toole strinse amicizia con
Richard Burton, cui lo accomunavano l’enorme talento artistico e la forte
dipendenza dall’alcol. O’Toole affermò che Richard Burton è l’attore con cui
ha avuto l’alchimia migliore, insieme a Katharine Hepburn ne Il leone d’inverno
(1968). Il regista e i produttori della Paramount temevano che i due attori si
sarebbero comportati male durante le riprese, invece lavorarono da veri
professionisti nei giorni feriali e si diedero al divertimento più sfrenato solo
nei weekend. L’unione in uno stesso film di Burton e O’Toole segna anche
l’incontro di due celebri attori teatrali inglesi del Novecento, entrambi
snobbati dall’Academy. Richard Burton è stato candidato 7 volte all’Oscar,
ma non vinse mai. O’Toole detiene il record negativo in assoluto con 8
sconfitte su 8 nomination ma al contrario di Burton, O’Toole è stato insignito
dell’Oscar alla carriera. In Becket e il suo re recita anche Sian Phillips nel ruolo
di Guendalina.
Tratto dal libro
Becket ou l’honneur de Dieu di Jean Anouilh
pubblicato in Francia nel 1958 e in Italia nel 2003
Ciao Pussycat
un film di Clive Donner
con Peter O’Toole, Peter Sellers, Woody Allen, Ursula Andress, Romy Schneider
titolo originale: What's New Pussycat?
COMMEDIA, durata 108 min. Gran Bretagna, 1965
Trama:
Woody Allen debutta come attore e come
sceneggiatore in questo film ambientato
nel mondo della moda. Michael James
(Peter O’Toole) è un giornalista di
successo in una famosa rivista di moda di
Parigi. Grazie al suo lavoro, incontra tante
bellissime donne e tutte s’innamorano di
lui. Incapace di ‘dire di no’ al gentil sesso,
Michael rischia di rovinare l’unica
relazione stabile della sua vita con l’amata
Carole (Romy Schneider). Allo stesso
tempo, per Victor (Woody Allen) Michael
è un amico e un modello da imitare, ma
anche un ostacolo perché è innamorato
della sua fidanzata. Per sbrogliare questa
difficile situazione, Michael ricorre
all’aiuto del più famoso psicanalista di
Parigi: il dottor Fritz Fassbender (Peter
Sellers). Ma quest’ultimo ha problemi con le donne ed è invidioso del suo
paziente per via delle sue interminabili conquiste amorose. La vacanza in un
albergo di campagna destinato ad incontri clandestini darà una svolta alla vita
di tutti i personaggi della storia.
La fortuna
Il film fu una delle commedie americane di maggior successo nel 1965. Ciò
era dovuto alla presenza nel cast di attori che in quel periodo erano all’apice
delle rispettive carriere. Peter O’Toole era uno degli attori su cui Hollywood
puntava maggiormente a causa dei successi dei suoi film sia presso la critica
che tra il pubblico. Peter Sellers aveva conquistato il mondo intero con le
performance in La pantera rosa (1963) di Blake Edwards e in Il dottor Stranamore,
ovvero: come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba (1964) di Stanley
Kubrick. Due mesi prima dell’uscita di Ciao Pussycat nei cinema statunitensi,
Peter O’Toole e Peter Sellers sono stati
entrambi candidati all’Oscar nella categoria
miglior attore protagonista: il primo per
Becket e il suo re, il secondo per il capolavoro
di Kubrick. Per quanto riguarda il ricco cast
femminile, i produttori hanno ingaggiato
alcune delle più belle attrici del momento e
qualche celebre modella. È da menzionare la
presenza di Ursula Andress, la prima Bond girl
nella storia del cinema in Agente 007- Licenza
di uccidere (1962), con Sean Connery. La
famosa canzone What’s New Pussycat?, cantata
da Tom Jones, è stata candidata all’Oscar nel
1966 come miglior canzone originale. Ancora
oggi Ciao Pussycat è considerato un film cult,
per il debutto cinematografico di Woody
Allen.
Curiosità
Inizialmente il ruolo del protagonista era stato scritto per Warren Beatty, divo
hollywoodiano e celebre donnaiolo. Infatti il titolo originale si riferisce alla
frase con cui Beatty era solito rispondere al telefono: «What’s new, pussycat?».
Beatty rifiutò perché non voleva recitare con l’attrice e modella Capucine, che
aveva ottenuto la parte grazie alla sua relazione con uno dei produttori del
film. O’Toole accettò di essere la seconda scelta perché ha sempre avuto un
debole per le commedie brillanti. L’attore irlandese si divertì molto sul set e
trovò una grande intesa con Peter
Sellers definendolo «un genio della
comicità». Ma rimase affascinato
soprattutto da Ursula Andress che
definì una persona straordinaria,
molto
materna.
L’attrice
si
preoccupava di tutti sul set, trattava
ognuno
allo
stesso
modo,
«un’autentica mamma oca».
Come rubare un milione di dollari e vivere felici
un film di William Wyler
con Audrey Hepburn, Peter O’Toole, Eli Wallach, Hugh Griffith
titolo originale: How to Steal a Million
COMMEDIA, durata 127' min. USA 1966
Trama
Nicole (Audrey Hepburn), figlia dell’abile
falsario Charles Bonnet (Hugh Griffith),
disapprova lo stile di vita del padre, che riesce
a vendere una statua di Venere ad un
prestigioso museo di Parigi. La statua è stata
fatta da suo padre su immagine della madre e
spacciata per un’opera dell’artista fiorentino
Benvenuto Cellini, vissuto nel Cinquecento.
Durante l’esposizione al museo, il milionario
americano Davis Leland (Eli Wallach) è
conquistato dalla bellezza della statua e decide
di acquistarla. Leland è un collezionista d’arte
ed è disposto a tutto pur di avere le opere che
gli piacciono. Di fronte alla risposta negativa
per la compravendita della statua, Leland
punta a sposare la bellissima Nicole e
raggiungere così il suo obiettivo. La ragazza si
cura poco della corte del milionario americano, giacché è preoccupata per il
fatto che la statua sarà esaminata da alcuni famosi critici d’arte e teme che suo
padre verrà smascherato ed arrestato. Decide di entrare nel museo e rubare la
statua con l’aiuto di Simon (Peter O’Toole). Nicole l’ha conosciuto pochi
giorni prima, quando l’aveva scoperto mentre era entrato nella casa del padre
di notte e stava portando via uno dei lavori del genitore. Considerandolo un
semplice ladro, Nicole non sa a chi altro chiedere aiuto per una così difficile
missione. Ma Simon non è quello che dice di essere.
La fortuna
Il film fu un successo di pubblico e critica, campione d’incassi nel 1966. In
quelli anni la commedia brillante e romantica era molto amata dal pubblico
americano.
Seguendo questa moda, i
produttori ingaggiarono due
attori di grande popolarità
negli anni Sessanta. Audrey
Hepburn era un’autentica diva,
la sua presenza in un film era
una garanzia per il botteghino
sia per quanto riguarda le
commedie che per i drammi.
L’alchimia nata con Peter
O’Toole può essere ricondotta
al noto proverbio: “Gli
opposti si attraggono”. Di fronte all’imprevedibilità e al comportamento fuori
dalle righe di O’Toole, la Hepburn rappresentava un’ideale controparte. Il
film ha un punteggio di 100% sul sito internet Rotten Tomatoes, che si occupa
di recensioni e notizie dei film di tutto il mondo.
Curiosità
Il regista di Come rubare un milione di dollari e vivere felici è William Wyler, uno dei
più importanti e premiati cineasti nella storia di Hollywood. Nella sua
carriera, durata 45 anni, Wyler vinse 4 premi Oscar: tre come miglior regista e
uno alla memoria di Irving G. Thalberg per il suo grande contributo
cinematografico anche in veste di produttore. In totale, ha ricevuto 15
nomination. Nato in Germania nel 1902 in una famiglia ebraica, Wyler si
trasferì in America nel 1920 e debuttò come
regista nel 1929. Tra i suoi film più famosi:
La signora Miniver (miglior regia nel 1943), I
migliori anni della nostra vita (miglior regia nel
1947), Il grande paese (1958) e Funny Girl
(1968). Di grande importanza è la sua
collaborazione
artistica
con Audrey
Hepburn, iniziata nel 1953 con Vacanze
romane. Per questo film la Hepburn vinse il
suo unico Oscar come miglior attrice
protagonista. Ma il vero capolavoro di Wyler
è Ben Hur (1959) con Charlton Heston. Il
film stabilì il record di vittorie con 11 premi
Oscar, film e regia inclusi.
La notte dei generali
un film di Anatole Litvak
con Peter O'Toole, Omar Sharif, Tom Courtenay, Philippe Noiret, Joanna Pettet
titolo originale: The Night of the Generals
DRAMMATICO, durata 148' min. Gran Bretagna, 1967
Trama
Nel 1942 Adolf Hitler è preoccupato
dalle notizie negative che giungono dal
fronte sovietico. Oltre agli insuccessi
militari, il Fuhrer è infastidito dalla
strenua resistenza dei partigiani di
Varsavia. Per questo motivo, decide di
inviare nella capitale polacca il sadico
generale
Tanz
(Peter
O’Toole),
considerato un eroe per le sue gesta a
Leningrado e un convinto sostenitore del
Reich. Nella notte del suo arrivo a
Varsavia viene trovato il cadavere di una
prostituta, in realtà una spia nazista. Un
testimone è riuscito ad intravedere solo i
pantaloni di una divisa militare da
generale. Il maggiore Grau (Omar Sharif)
viene incaricato dell’indagine, ma trova
una situazione di omertà e viene
inaspettatamente promosso al grado di tenente colonnello con il
trasferimento immediato a Parigi. Due anni dopo, tutti i protagonisti della
storia si ritrovano nella capitale francese dopo lo sbarco in Normandia e in un
clima di sfiducia verso il Fuhrer. Questa volta Grau non intende arrendersi
nell’indagine del caso e si avvale dell’aiuto del giovane caporale Hartmann
(Tom Courtenay).
La fortuna
Questo film appartiene a due diversi generi
cinematografici: guerra e giallo. Alla sua
uscita nelle sale venne riscoperto il lavoro
dello scrittore tedesco Hans Hellmut Kirst,
autore del romanzo da cui è stato tratto il
film. Peter O’Toole vinse il David di
Donatello come miglior attore straniero, ex aequo con Richard Burton per
Bisbetica domata.
Il 29 marzo del 1968 La notte dei generali è stato proiettato insieme ad altri due
film in piazza Cinelandia di Rio de Janeiro in segno di protesta e sdegno per
l’uccisione di uno studente di 18 anni per mano di un poliziotto. Con il
passare degli anni, il film è diventato uno dei manifesti contro l’abuso di
potere delle forze armate.
Curiosità
Peter O’Toole e Omar Sharif tornano a recitare insieme dopo Lawrence
d’Arabia. I due attori si sono ritrovati altre tre volte su uno stesso set: Il ladro
dell’arcobaleno (1990), I viaggi di Gulliver (1996) e Una notte con il re (2006).
O’Toole e Sharif percepirono uno stipendio molto basso considerando la
loro grande popolarità in quelli anni. Ciò era dovuto al fatto che la
produzione de La notte dei generali rientrava
ancora nel contratto che i due attori
stipularono con il produttore Sam Spiegel
per Lawrence d’Arabia, quando entrambi
erano degli sconosciuti.
A causa di alcune scene riguardanti la
perversione sessuale, il film subì numerosi
tagli: una delle ultime pellicole ad incorrere
nella censura del codice Hays, abolito
proprio nel 1967.
Tratto dal libro
La notte dei generali di Hans Hellmut Kirst
titolo originale: Die Nacht der Generale
pubblicato in Germania e in Italia nel 1962
Il leone d’inverno
un film di Anthony Harvey
con Peter O'Toole, Katharine Hepburn, Jane Merrow, Anthony Hopkins, Nigel Terry
titolo originale: The lion in winter
STORICO, durata 135 min. Gran Bretagna, 1968
Trama
Durante il Natale del 1183 il re
d’Inghilterra Enrico II il Plantageneto
(Peter O’Toole) e sua moglie Eleonora
d’Aquitania (Katharine Hepburn) si
riuniscono per decidere chi dei loro tre
figli sarà il successore al trono: il rigido
Riccardo
(Anthony
Hopkins),
il
machiavellico Goffredo (John Castle) e il
codardo Giovanni (Nigel Terry). In teoria,
il trono dovrebbe passare al figlio
maggiore Riccardo, il prediletto della
regina. Ma Enrico II vuole che ad
ereditare le redini del potere sia Giovanni.
Nasce un confronto aperto e spietato tra
Enrico e Eleonora, che gli rinfaccia anche
i numerosi tradimenti e il fatto di averla
rinchiusa per 10 anni in una torre. La
visita del monarca francese Filippo VII
(Timothy Dalton) aggrava il clima tra le mura del castello di Chinon. Il re di
Francia vuole che Enrico rispetti un patto stipulato tanti anni prima: la sua
sorellastra Alice (Jane Merrow) deve sposare l’erede alla corona d’Inghilterra e
diventare la regina. Alice è cresciuta presso la corte di Enrico ed è diventata
una pupilla di Eleonora, ma si è anche innamorata di suo marito. Dal canto
suo, Enrico non vuole cedere la sua nuova amante a nessuno dei figli.
Intanto, i tre principi si fronteggiano tra di loro riuscendo a mettersi
d’accordo solo su un punto: l’odio verso i propri genitori.
La fortuna
Il film ottenne un grande successo di pubblico e di critica. Al botteghino
incassò 6,4 millioni di dollari e si posizionò al 12° posto nella lista dei film del
1968. Su Rotten Tomatoes Il leone d’inverno ha il punteggio di 90%. In generale, la
critica di tutto il mondo elogiò le performance di Peter O’Toole e Katharine
Hepburn, che rubarono letteralmente la scena ai giovani protagonisti, tra cui
un impacciato Anthony Hopkins al suo secondo film. La pellicola vinse 3
Oscar su 7 nomination. Le 4 candidature sono state date per miglior film, regia
a Anthony Harvey, attore protagonista a Peter O’Toole e migliori costumi.
O’Toole era il gran favorito alla vigilia, ma perse a favore di Cliff Robertson
per I due mondi di Charly. John Barry vinse per miglior colonna sonora e James
Goldman trionfò nella categoria di miglior sceneggiatura non originale.
Goldman trasse la sceneggiatura dalla sua omonima pièce teatrale. L’Oscar alla
migliore attrice protagonista fu assegnato ex aequo a due attrici: Barbra
Streisand per Funny Girl e Katharine Hepburn per Il leone d’inverno. La
Hepburn detiene due record importanti con questo premio. Nel campo della
recitazione è la persona ad aver vinto il più alto numero di Oscar: 4. Ed è
l’unica attrice ad aver vinto 4 statuette come miglior attrice protagonista. Nel
1999 l’American Film Institute ha proclamato Katharine Hepburn la più
grande attrice nella storia di Hollywood.
Curiosità
Peter O’Toole ha ricevuto due nomination all’Oscar per
aver intepretato Enrico II il Plantageneto (ruolo che
lo vide spesso impegnato anche in teatro). Lo fece ne
Il leone d’inverno e in Becket e il suo re (1964). Nel 1183,
l’anno di svolgimento della storia, Enrico II aveva 50
anni e Eleonora ne aveva 61. Durante le riprese del
film, Katharine Hepburn aveva 60 anni e O’Toole ne
aveva 34. In un’intervista rilasciata nel 2007, O’Toole
affermò che Il leone d’inverno è il film al quale è
affezionato di più. Sul set si creò un’amicizia tra tutti i
membri del cast e della troupe, che è durata per tanti
anni attraverso reunion, cene e vacanze di gruppo.
Katharine Hepburn e Richard Burton sono i due attori con cui O’Toole ha
affermato di aver avuto la migliore intesa recitativa. È famoso il rapporto
cameratesco tra O’Toole e la Hepburn. «Katharine mi telefonava nel bel
mezzo della notte, nella mia camera d’albergo e mi diceva: ‘Svegliati, maiale.
Porta le sigarette, mentre io porto da bere’.»
Tratto dal libro
Il leone d’inverno di James Goldman
titolo originale: The lion in winter
pubblicato in America nel 1966 ed è inedito in Italia
Addio, Mr. Chips
un film di Herbert Ross
con Peter O'Toole, Michael Redgrave, George Baker, Petula Clark, Sian Phillips
titolo originale: Goodbye, Mr. Chips
COMMEDIA, durata 151 min. USA, 1969
Trama
A metà Novecento, il timido e pacato Arthur
Chipping (Peter O’Toole) insegna Latino
presso la scuola di Brookfield. I suoi alunni
non lo stimano e le sue lezioni sono
considerate insopportabilmente noiose.
Oltre a questo, Chipping ha dei seri problemi
nel trovarsi una moglie a causa della sua
timidezza. Ma un giorno incontra Katherine
Bridges (Petula Clark), una soubrette in
depressione per motivi di lavoro e di
problemi con gli uomini. Accomunati dalla
solitudine, i due capiscono di essere fatti
l’uno per l’altro e decidono di sposarsi.
Quando il professore di Latino ritorna a
Brookfield con una moglie giovane e bella,
gli alunni e gli insegnanti cambiano opinione
su di lui. Chipping riacquista fiducia in se
stesso e intende realizzare un suo vecchio sogno: diventare il preside della
scuola. Ma i piani disonesti di lord Sutterwick (George Baker) e lo scoppio
della Seconda Guerra Mondiale rischiano di mandare in frantumi la felicità
raggiunta da Chipping.
La fortuna
Il film ricevette tiepide recensioni. Le critiche maggiori si concentrarono sulla
lunghezza eccessiva, su parecchi momenti stagnanti e sulla necessità di ridurre
le 12 canzoni della pellicola. Ma le performance di Peter O’Toole e Petula Clark
furono universalmente elogiate. Vincent Candby del New York Times scrisse
che Peter O’Toole ha offerto la sua migliore interpretazione riuscendo ad
infondere grazia e ingenuità al suo personaggio. Il critico Roger Erbert del
Chicago Sun-Times scrisse che questo è stato uno dei migliori musical degli anni
Sessanta, soprattutto grazie alle interpretazioni di O’Toole e della Clark,
anche se nessuna delle canzoni è indimenticabile. Durante la stagione dei
premi, tutte le luci della ribalta spettarono a Peter O’Toole. Il film, il regista
debuttante Herbert Ross e Petula Clark furono totalmente ignorati. O’Toole
trionfò al National Board of Review, vinse il Golden Globe come miglior
attore in un film commedia o musical ed anche il David di Donatello come
miglior attore straniero, ex aequo con Dustin Hoffman per Un uomo da
marciapiede. Nel 1970 la pellicola ottenne due nomination agli Oscar: miglior
colonna sonora e miglior attore protagonista a Peter O’Toole. Alla sua quarta
candidatura in 7 anni, O’Toole perse a favore di John Wayne, che vinse
l’unico Oscar della sua leggendaria carriera per Il grinta. In Goodbye, Mr. Chips
ha recitato anche Sian Phillips. Per il suo ruolo di Ursula, l’amica fedele della
protagonista, la Phillips vinse premi come miglior attrice non protagonista in
alcuni festival minori. Il regista Herbert Ross vinse il Griffone d’Oro al
Giffoni Film Festival.
Curiosità
Sia Peter O’Toole che Petula Clark sono stati la terza
scelta dopo i rifiuti di Rex Harrison, Richard Burton,
Julie Andrews e Samantha Eggar. Herbert Ross
debuttò alla regia dopo aver lavorato per tanti anni
come coreografo. Il film fu girato a Londra e in Italia
(Napoli, Pompei, Positano). Con il passare degli anni
sono stati tagliati molti numeri musicali, considerati
inutili e colpevoli di allungare eccessivamente il film. Il
compositore John Williams, vincitore di 5 Oscar e
collaboratore stabile di Steven Spielberg, fu ingaggiato
per cambiare la colonna sonora della pellicola.
Terence Rattigan trasse la sceneggiatura di Goodbye, Mr. Chips dall’omonimo
romanzo di James Hilton. Sono state fatte numerose trasposizioni
cinematografiche, teatrali e televisive dell’opera di Hilton. Una delle più
famose è il primo adattamento cinematografico del 1939, diretto da Sam
Wood e interpretato da Robert Donat e Greer Garson.
Tratto dal libro
Addio, mister Chips! di James Hilton
titolo originale: Goodbye, Mr. Chips
pubblicato in Gran Bretagna nel 1938 e in Italia nel 1953
La classe dirigente
un film di Peter Medak
con Peter O'Toole, Coral Browne, Alastair Sim, Carolyn Seymour
titolo originale: The Ruling Class
COMMEDIA, durata 155 min. Gran Bretagna, 1971
Trama
In seguito al suicidio del conte Ralph
Gurney (Harry Andrews), i membri
della sua famiglia si fanno avanti per la
cospicua eredità del defunto. Ma le
loro speranze vengono vanificate da
Jack (Peter O’Toole), figlio del lord,
appena uscito dal manicomio. Il
giovane rampollo soffre di una grave
forma di schizofrenia ed è convinto di
essere Dio, Gesù Cristo e la
personificazione
dell’Amore.
I
famigliari restano scioccati di fronte ai
suoi discorsi deliranti, accompagnati da
canzoni e balli. Sir Charles (William
Mervyn), un avaro zio di Jack, riesce a
far sposare l’ambito ereditiero con la
sua amante Grace (Carolyn Seymour)
per ottenere l’ingente capitale e
rispedire il ragazzo nella casa di cura.
Ma Grace si innamora di Jack e vuole
farlo curare seriamente. Ad aiutarla ci pensa lady Claire (Coral Browne),
moglie di sir Charles che lei odia profondamente. Le cure, però, peggiorano
solo la malattia di Jack, che si convince di essere Jack lo Squartatore.
La fortuna
Al botteghino fu un flop. Ma con gli anni la pellicola è diventata un cult, grazie
soprattutto alla performance di Peter O’Toole. Ancora oggi numerosi critici
cinematografici e fan dell’attore irlandese considerano la sua interpretazione
ne La classe dirigente come la migliore della sua carriera sul grande schermo. The
New York Times e Variety diedero recensioni positive, al contrario del Los
Angelese Times e del Newsweek. Il critico Jack Cocks espresse un parere
negativo sulla sceneggiatura e sulla regia, ma applaudì la performance generale
del cast. Scrisse che la recitazione di Peter O’Toole l’aveva impressionato a tal
punto che non riuscì a dormire durante la notte. «Tutti gli attori possono
interpretare un uomo malato di mente, pochi lo fanno bene. O’Toole
comincia il suo lavoro dove gli altri si fermano con un’impressionante altalena
di emozioni. Divertente, distrurbante, assolutamente devastante, O’Toole ha
trovato la sua strada nella rappresentazione della pazzia» (J. Cocks, Cinema:
Cartoons from Punch, 18 Settembre 1972). La classe dirigente fu in concorso al 25°
Festival di Cannes. Peter O’Toole vinse il National Board of Review ed
ottenne la sua quinta nomination all’Oscar nel 1973 come miglior attore
protagonista, l’unica candidatura per questo film. Fu sconfitto da Marlon
Brando per Il padrino, che rifiutò la statuetta in segno di protesta contro le
ingiustizie verso le minoranze etniche nell’industria cinematografica
hollywoodiana. Ma l’Academy non prevede il rifiuto dei vincitori e assegna
ugualmente il premio.
Curiosità
Peter O’Toole deteneva i diritti dell’omonima opera teatrale di Peter Barnes
da molti anni e non si decideva di farne un film perché considerava la pièce
irrealizzabile sul grande schermo. Ancora oggi si discute a che genere si possa
attribuire La classe dirigente: grottesco, commedia, tragedia, giallo, musical,
farsa. Lo stesso O’Toole definì con molte perplessità il film una black comedy.
Alcuni critici sostennero che nell’opera di Barnes ci sono rimandi alla
letteratura di Shakespeare, Marlowe e Oscar Wilde.
Il regista ungherese Peter Medak voleva fare ad ogni costo la trasposizione
cinematografica de La classe dirigente e convincere Peter O’Toole a tirare la pièce
fuori dal cassetto. Una sera invitò l’attore irlandese ad andare ad uno
spettacolo teatrale a Londra e al ritorno rispettarono una delle più famose
tradizioni di O’Toole: andare a bere in ogni bar tra il teatro e casa sua.
Rientrati verso le tre di notte, O’Toole telefonò al suo agente: «Sono in
compagnia di un pazzo ungherese e lo so che sono ubriaco. Ti do 24 ore per
trovare tutto il necessario per girare il film». Per facilitare la realizzazione del
progetto, O’Toole lavorò gratuitamente.
Tratto dal libro
The Ruling Class di Peter Barnes
pubblicato in Gran Bretagna nel 1968 ed inedito in Italia
L’uomo della Mancha
un film di Arthur Hiller
con Peter O’Toole, Sophia Loren, James Coco, Harry Andrews
titolo originale: Man of La Mancha
COMMEDIA, durata 130 min. USA, 1972
Trama
A cavallo tra il XVI e il XVII secolo
l’Inquisizione spagnola arresta, tortura e
manda al rogo molte persone considerate
eretiche. Fra queste figurano anche lo
scapestrato scrittore Miguel de Cervantes
Saavedra (Peter O’Toole) e il suo fido
cameriere (James Coco). Rinchiusi in un
carcere sotterraneo e in attesa di essere
torturati e processati, i due subiscono le
angherie degli altri prigionieri, che rubano i
loro effetti personali. Cervantes li implora di
restituirgli soltanto un suo manoscritto su
un vecchio uomo uscito di senno e convinto
di essere un cavaliere. I suoi compagni di
cella accettano di ridarglielo solo se riuscirà
a convincerli con uno spettacolo teatrale
basato proprio sulla sua opera. Cervantes
accetta la sfida, utilizza i suoi effetti personali come costumi e scenografie,
chiede agli altri prigionieri di recitare qualche personaggio ed interpreta il
protagonista: don Chisciotte della Mancha. Attraverso il suo racconto, i
prigionieri vedono don Chisciotte e Sancho Panza (James Coco) nella loro
battaglia contro gli oppressori e le ingiustizie. Giunti presso una locanda
occupata da briganti, Chisciotte si innamora di Aldonza (Sophia Loren), la
bella cameriera e prostituta del posto.
La fortuna
Il film ebbe cattive recensioni alla sua uscita nelle sale. Il giudizio dei critici fu
influenzato dalla famigerata, lunga e tribolata produzione del film,
dall’avvicendamento di registi e sceneggiatori e dalla scelta di ingaggiare come
protagonisti di un musical due attori incapaci di cantare come O’Toole e la
Loren. Il parere dei critici fu diviso anche sullo spettacolo teatrale di
Broadway da cui è stata tratta la pellicola. Tanti sostennero che il problema
sta nel materiale di partenza. Erroneamente furono prese di mira anche le
abilità canore di O’Toole: l’attore irlandese fu doppiato da un altro interprete
nelle parti cantate. Ancora oggi non è chiaro perché non sia stato scelto un
cantante a doppiarlo. Nella sua recensione Roger Ebert scrisse che avrebbe
preferito Richard Harris, il migliore amico di O’Toole, nel doppio ruolo di
Cervantes/Don Chisciotte. Mentre Vincent Canby del New York Times elogiò
la performance di tutto il cast. Peter O’Toole e James Coco furono candidati ai
Golden Globe. Il compositore Laurence Rosenthal fu candidato all’Oscar per
la colonna sonora. L’autore dell’opera teatrale Dale Wasserman espresse un
parere negativo sulla trasposizione cinematografica, ma apprezzò le
interpretazioni di O’Toole e della Loren. Con il passare degli anni, il film
attirò l’attenzione di tanti cinefili. Tanti giornalisti e critici scrissero recensioni
positive. Oggi L’uomo della Mancha è considerato uno dei più famosi musical
degli anni Settanta.
Curiosità
La pellicola fu finanziata dalla casa di produzione italiana Produzioni Europee
Associates. Ciò spiegherebbe la presenza di Sophia Loren, l’unica italiana in
un cast composto da attori inglesi e americani. Il film fu girato a Roma e in
Spagna. Numerosi registi e sceneggiatori si susseguirono alla guida del
progetto. Il regista Peter Glenville assegnò il ruolo principale al suo grande
amico O’Toole, memore della proficua
collaborazione in Becket e il suo re (1964). I due
erano d’accordo di eliminare tutte le canzoni
concentrandosi solo sulla storia. Proprio questa
scelta portò Glenville al licenziamento e la regia
fu affidata al canadese Arthur Hiller.
Qualche giorno dopo la morte di O’Toole,
avvenuta il 14 dicembre del 2013, Sophia Loren
rilasciò un’intervista al Corriere della Sera, in cui
ricordava la loro amicizia. I due girarono insieme
solo L’uomo della Mancha e la diva italiana rimase
colpita dalla sua bellezza e dal suo senso
dell’umorismo: «Peter era bello come il sole».
Tratto dal libro
Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes Saavedra
titolo originale: El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha
pubblicato in Spagna nel 1605 e in Italia nel 1622
Professione pericolo
un film di Richard Rush
con Peter O'Toole, Barbara Hershey, Steve Railsback, Adam Roarke, Sharon Farrell
titolo originale: The Stunt Man
AVVENTURA, durata 129 min. USA, 1979
Trama
Cameron (Steve Railsback), un giovane
reduce del Vietnam, sta scappando dalla
polizia e chiede rifugio presso la troupe
cinematografica di un film sulla Prima
Guerra Mondiale. Il regista Eli Cross (Peter
O’Toole) accetta la sua richiesta e lo
ingaggia come stuntman. Presto Cameron si
pentirà della sua scelta a causa dei modi
dispotici ed eccentrici di Cross, pronto a
sacrificare la vita delle proprie controfigure
per un’ottima ripresa ed incurante dei
problemi personali degli attori. Nello stesso
tempo, Cameron si innamora di Nina
(Barbara Hershey), la bella protagonista
della pellicola. I due pensano di scappare
insieme prima della fine delle riprese,
stanchi dell’atteggiamento tirannico di
Cross. Ma quest’ultimo intuisce il piano della coppia e affida a Cameron una
scena ad alto rischio di morte.
La fortuna
Nonostante un’uscita limitata a poche città e sale, il film ebbe un ottimo
incasso considerando il budget di partenza: 7 milioni di dollari contro i 3,5
milioni spesi. Il fatto forse più sorprendente è l’attenzione dell’Academy
riservata ad un film di nicchia, che ha candidato in tre categorie importanti:
miglior regia a Richard Rush, miglior attore protagonista a Peter O’Toole e
miglior sceneggiatura non originale a Rush e a Lawrence B. Marcus. Il loro
copione è un adattamento del romanzo Il cascatore dello scrittore americano
Paul Brodeur. Peter O’Toole perse a favore di Robert De Niro, che vinse per
la sua indimenticabile interpretazione del paranoico e violento pugile Jake
LaMotta in Toro scatenato di Martin Scorsese. La National Society of Film
Critics assegnò a O’Toole il premio del miglior attore protagonista. Il
compositore Dominic Frontiere vinse il Golden Globe per la colonna sonora.
Il critico cinematografico Roger Ebert consigliò la visione del film, anche se il
suo parere non fu entusiastico. Il film ha un punteggio di 92% sul sito
Internet Rotten Tomatoes.
Curiosità
Per la sua interpretazione del dispotico regista Eli Cross, Peter O’Toole
affermò di essersi ispirato a David Lean, regista di Lawrence d’Arabia (1962). È
noto che fra O’Toole e Lean non ci fu un buon rapporto.
Quando consegnò l’Oscar alla carriera
a O’Toole nel 2003, Meryl Streep
scherzò su un probabile collegamento
tra La classe dirigente (1971) e Professione
pericolo: entrambi i protagonisti sono
convinti di essere Dio. Il primo a
causa della sua schizofrenia e della sua
estrazione nobiliare, il secondo perché
è un regista cinematografico.
La pellicola fu interamente girata a San
Diego, in California.
Tratto dal libro
Il cascatore di Paul Brodeur
titolo originale: The Stunt Man
pubblicato in America nel 1970 e in Italia nel 1973
L’ospite d’onore
un film di Richard Benjamin
con Peter O'Toole, Jessica Harper, Joseph Bologna, Lainie Kazan
titolo originale: My Favorite Year
COMMEDIA, durata 92 min. USA, 1982
Trama
Benjy Stone (Mark Linn-Baker) ricorda
l’incontro con una persona che l’ha
cambiato profondamente. Nell’estate
del 1954 (il suo anno preferito come
dice il titolo originale del film) conobbe
il suo idolo: l’attore cinematografico
Allan Swann (Peter O’Toole). All’epoca
era uno dei più famosi attori
cinematografici, ma era anche celebre
per il suo comportamento imprevedibile
e per la forte dipendenza dall’alcol.
Benjy era un giovane sceneggiatore del
popolare talk show condotto da Stan
“King” Kaiser (Joseph Bologna) e
Swann fu invitato per un’intervista.
L’attore si presenta completamente
ubriaco al programma e Kaiser decide di
annullare tutto. Alla fine, Benjy viene
incaricato di tenere sotto controllo
Swann per una settimana in modo che
si presenti sobrio all’intervista. Con il passare dei giorni, i due diventano amici
e cercano di aiutarsi l’un l’altro nelle rispettive vite solitarie. Swann dà dei
validi consigli a Benjy su come conquistare la bella collega K. C. Downing
(Jessica Harper), mentre il giovane sceneggiatore sprona l’attore a rimettersi
in contatto con la figlia Tess (Cady McClain), cresciuta da una delle sue tante
ex-mogli e con cui non si sente da tanto tempo.
La fortuna
Per questo film Peter O’Toole ottenne la sua settima nomination all’Oscar
come miglior attore protagonista. Ma fu l’ennesima sconfitta, perché il
riconoscimento andò a sir Ben Kingsley per la sua impressionante
immedesimazione nei panni di Gandhi nel film di Richard Attenborough,
film vincitore di 8 statuette. L’ospite d’onore ebbe un discreto incasso: 20
milioni di dollari. Non male visto che uscì in contemporanea con due grandi
successi hollywoodiani: Ufficiale e gentiluomo con Richard Gere e E.T.L’extraterrestre di Steven Spielberg. Il pubblico e la critica apprezzarono in
particolare la vena comica della storia e la performance di O’Toole. Sul sito
Rotten Tomatoes L’Ospite d’onore è uno dei pochi film ad avere il punteggio di
100%. Nel 1992 ne è stato fatto un adattamento teatrale a Broadway con Tim
Curry e Lainie Kazan, l’unica superstite della pellicola originale. Lo spettacolo
non ebbe successo, ma Curry e Kazan furono candidati ai Tony Awards, gli
Oscar del teatro americano.
Curiosità
I personaggi del film sono ispirati ad alcune persone dello spettacolo
statunitense. Uno dei produttori esecutivi del film è Mel Brooks, regista e
sceneggiatore di Per favore, non toccate le vecchiette (Oscar come miglior
sceneggiatura originale nel 1969) e Frankenstein Junior (1974). Il personaggio
del giovane sceneggiatore Benjy Stone è ricalcato su Brooks e su Woody
Allen e sulla loro giovanile esperienza lavorativa presso il talk show Your Show
of Shows di Sid Caesar. Infatti il cognome del conduttore televisivo ne L’ospite
d’onore è Kaiser, che in tedesco vuol dire Cesare. Mentre il personaggio
dell’alcolizzato Allan Swann è basato su Errol Flynn, attore cinematografico
specializzato nei ruoli romantici e noto playboy. L’inizio della storia è molto
simile a quando Flynn si presentò completamente ubriaco a Your Show of
Shows. Lo stesso O’Toole potrebbe essere preso come modello per la figura di
Swann. L’attore irlandese è molto famoso per la sua vita fuori dai set.
L’alcolismo, il comportamento imprevedibile e un’incontenibile voglia di
vivere sono solo alcune delle caratteristiche con cui O’Toole è entrato
nell’immaginario collettivo di quegli anni. In più di un’occasione si presentò
ubriaco ai vari talk show inglesi e americani, tra cui i prestigiosi programmi
condotti da Johnny Carson e David Letterman. Ma era proprio questa sua
imprevedibilità a renderlo simpatico ai suoi colleghi e alla gente comune. Gli
attori, i registi e gli addetti ai lavori dicevano che O’Toole riusciva a fare
amicizia con tutti e infondeva allegria sul luogo di lavoro. Helen Mirren,
premio Oscar come miglior attrice protagonista per The Queen nel 2007, ha
detto che O’Toole è la persona più pazza e simpatica con cui abbia lavorato.
L’ultimo imperatore
un film di Bernardo Bertolucci
con John Lone, Peter O'Toole, Joan Chen, Ryuichi Sakamoto, Dennis Dun
DRAMMATICO, durata 163 min. Italia, 1987
Trama
Nel 1950 la Cina è una Repubblica
Popolare che sta costruendo il suo
futuro con grandi sacrifici e cerca di
punire coloro che sono considerati i
“nemici del popolo”: gli oppositori
politici e persone accusate di aver
favorito l’invasione giapponese negli
anni Trenta. Tra i prigionieri c’è anche
Aisin Gioro Pu Yi (John Lone),
l’ultimo imperatore della Cina. Durante
un interrogatorio, l’ex-sovrano ricorda
la sua vita travagliata e ricca di eventi:
l’incoronazione all’età di tre anni, la
corruzione e l’ambizione dei cortigiani,
bramosi di mantenere le proprie
ricchezze e ostili ad ogni riforma,
l’infanzia trascorsa interamente dentro
le mura della Città Proibita e
l’impossibilità di uscire e vedere il mondo. Escluso dalle decisioni politiche e
inconsapevole delle condizioni di vita dei suoi sudditi, il giovane imperatore
viene educato dall’insegnante scozzese Reginald Johnston (Peter O’Toole),
suo unico amico e fidato consigliere. La Cina subisce cambiamenti repentini e
viene instaurata la Repubblica. Pu Yi esce dalla Città Proibita ed inizia una
lussuosa e spensierata vita da playboy. Nel 1934 i giapponesi gli propongono il
trono del neonato regno di Manchukuo, una ricca provincia nella Cina
settentrionale. Ma è solo un sovrano fantoccio in mano ai crudeli consiglieri
nipponici e l’esito della Seconda Guerra Mondiale cambierà la sua vita.
La fortuna
Quando uscì nelle sale, L’ultimo imperatore ebbe incassi molto bassi. Entrò
nella listi dei primi dieci solo dopo 12 settimane. Agli Oscar la pellicola vinse
9 statuette su 9 nomination (film, regia a Bernardo Bertolucci, sceneggiatura
non originale a Mark Peploe e Bertolucci, fotografia, scenografia, costumi,
montaggio, sonoro e colonna sonora). In seguito a questo trionfo, L’ultimo
imperatore ebbe un grande successo economico a livello planetario. Il
capolavoro di Bertolucci vinse premi in tutto il mondo. Peter O’Toole fu
candidato ai BAFTA, gli Oscar inglesi, e vinse il David di Donatello come
miglior attore non protagonista. Il film riportò alla ribalta il genere epico,
caduto nel dimenticatoio in quegli anni nonostante il successo di Gandhi nel
1983. Nel 2013 L’ultimo imperatore fu presentato al Festival cinematografico di
Cannes in versione 3D e fu riproposto nelle sale di tutto il mondo.
Curiosità
Inizialmente, il ruolo del precettore
Ronald Johnston fu offerto a Sean
Connery, attore di origine scozzese
come il personaggio della storia.
Connery rifiutò perché non voleva
passare tanti mesi a girare in Cina.
Così la parte andò a Peter O’Toole,
grande amante ed esperto dei ruoli
storici. Molte polemiche furono
rivolte dalla comunità gay agli
sceneggiatori
perché
avevano
omesso
completamente
l’omosessualità dell’imperatore Pu
Yi. Il capolavoro di Bernardo Bertolucci è stato il primo film occidentale a cui
è stato dato il permesso dal governo cinese di girare dentro le mura della Città
Proibita. Per circa sei mesi di riprese, il regista italiano impiegò ventimila
comparse.
Tratto dal libro
Sono stato imperatore di Aisin Gioro Pu Yi
titolo originale: From Emperor to Citizen
pubblicato in Cina nel 1960 e in Italia nel 1987
Troy
un film di Wolfgang Petersen
con Brad Pitt, Orlando Bloom, Diane Kruger, Eric Bana, Peter O’Toole, Sean Bean
MITOLOGICO, durata 163 min. USA, 2004
Trama
Circa nel 1200 a.C. Agamennone
(Brian Cox), re di Tebe, conquista
ogni città-stato della Grecia e crea
un’unica grande nazione. Ma la sua
ambizione non si ferma solo alla
penisola ellenica: egli brama di
assoggettare anche la ricca città di
Troia collocata sulle coste dell’odierna
Turchia nord-occidentale e governata
dal vecchio e giusto re Priamo (Peter
O’Toole). Il sovrano greco trova il
pretesto per schierare la sua
imponente armata e i guerrieri più
forti della Grecia contro il regno
troiano quando Elena (Diane
Kruger), moglie del re spartano
Menelao (Brendan Gleeson) e
cognata di Agamennone, fugge con il
principe troiano Paride (Orlando
Bloom). Così sulle spiagge troiane
approda la più grande armata che il mondo antico abbia mai visto; il guerriero
più forte è Achille (Brad Pitt), pronto a sacrificare anche la propria vita per
raggiungere la fama immortale nella guerra più famosa dell’umanità. Per
riuscirci, dovrà affrontare a viso aperto il valoroso principe troiano Ettore
(Eric Bana), famoso anche tra i greci per la forza, il coraggio e l’abilità
strategica. Ma la “minaccia” più grande ai sogni di gloria di Achille proviene
dall’amore verso la bella sacerdotessa troiana Briseide (Rose Byrne), la nuova
schiava dell’eroe greco.
La fortuna
Presentato fuori concorso al Festival cinematografico di Cannes nel 2004,
Troy veniva pubblicizzato come uno dei film più costosi della storia del
cinema. Infatti, il suo budget tocca 175 milioni di dollari. Il film risultò un
grande successo commerciale, incassando 497 milioni di dollari ed entrando
al 60° posto nella lista dei film che hanno incassato di più nella storia del
cinema. La critica rimase abbastanza fredda. Tanti hanno espresso il proprio
disappunto per i numerosi cambiamenti rispetto all’ Iliade di Omero: sono
rimasti inalterati solo i nomi dei personaggi principali, l’ambientazione e il
famoso cavallo di Troia. La scenografia, i costumi, la colonna sonora e gli altri
aspetti tecnici furono elogiati all’unisono. Pareri negativi furono espressi per
quanto riguarda la sceneggiatura, la regia e soprattutto la recitazione. Tutti i
giovani attori del film sono entrati nell’occhio del ciclone per essere risultati
inespressivi, anche se tanti sostennero che nessun attore avesse il physique du
role per interpretare Achille come lo ha Brad Pitt. Peter O’Toole è stato uno
dei pochi a ricevere critiche positive: per la sua performance O’Toole vinse
l’Irish Film and Television Award come miglior attore non protagonista. Agli
Oscar del 2005 Bob Ringwood fu candidato per i costumi. Troy è stato
inserito nella lista dei 50 migliori film della Warner Bros. per il 90°
anniversario della casa di produzione cinematografica.
Curiosità
Per convincere Peter O’Toole, fresco
premio Oscar alla carriera e volto
indimenticabile del genere storicoepico, il regista tedesco Wolfgang
Petersen andò a Londra per parlare
del progetto direttamente con l’attore.
O’Toole espresse sin dall’inizio le
proprie perplessità sulla sceneggiatura,
ma accettò a patto che non venisse
cambiata neanche una parola del
dialogo tra Priamo e Achille. Da un sondaggio tra gli spettatori, questa scena
risultò la più popolare del film, assieme al combattimento tra Ettore e Achille.
Brad Pitt disse che quel dialogo è stato una delle più importanti lezioni di
recitazione della sua carriera. Durante una delle anteprime del film, O’Toole
uscì dalla sala dopo 15 minuti dall’inizio della proiezione perché gli erano
bastati quei pochi minuti per capire il livello qualitativo della pellicola.
Successivamente, Peter O’Toole definì pubblicamente il regista Petersen «un
clown e un dittatore mancato».
Venus
un film di Roger Michell
con Peter O'Toole, Leslie Phillips, Jodie Whittaker, Vanessa Redgrave, Richard Griffiths
DRAMMATICO, durata 90 min. Gran Bretagna, 2006
Trama
Maurice (Peter O’Toole) è un vecchio
attore inglese, che non è mai diventato
famoso nonostante tanti decenni spesi sui
palcoscenici,
set
televisivi
e
cinematografici. Ha sempre vissuto alla
giornata, la sua priorità è stata dare e
ricevere il piacere. Una vita caratterizzata
da qualche lavoro saltuario come
comparsa, dalle ore passate al pub con i
suoi amici Ian (Leslie Phillips) e Donald
(Richard Griffiths) e dalle visite
abitudinarie alla sua ex moglie: la solitaria
Valerie (Vanessa Redgrave). Quando
all’improvviso Ian accoglie la sua
bisnipote Jessie (Jodie Whittaker),
Maurice
si
sente
acceso
da
un’irrefrenabile passione. La ragazza è
molto giovane, maleducata, incapace nelle
più semplici mansioni domestiche e abbastanza carina per arrivare a Londra
sognando un futuro da modella. Maurice stringe subito amicizia con lei e la
educa su bellezza, arte e letteratura. Jessie sfrutta economicamente Maurice
per conoscere meglio la città e per farsi regalare gioielli e vestiti, consapevole
di piacere molto al vecchio libertino. Con il passare del tempo, il loro
rapporto diventa sempre più forte e Jessie non potrà più fare a meno del
carismatico Maurice, soprattutto dal momento in cui gli viene diagnosticato
un tumore.
La fortuna
Alla sua uscita nelle sale Venus ottenne pareri unanimi di consenso dalla
critica. Elogi furono espressi per la sceneggiatura, per la storia toccante e
priva di retorica e, soprattutto, per la performance di tutto il cast. Quest’ultimo
punto non stupisce, visto che in Venus recitano degli autentici giganti del
teatro e del cinema della Gran Bretagna come Ian Phillips, Richard Griffiths
(conosciuto al grande pubblico per il ruolo di zio Vernon nella saga di Harry
Potter, ma famoso in patria per il suo lavoro al teatro) e l’inossidabile Vanessa
Redgrave (Oscar come miglior attrice non protagonista per Giulia nel 1978,
una delle più apprezzate attrici inglesi e al suo primo film con il grande amico
O’Toole). Il film è stato fra i più nominati e vincenti nel Regno Unito, mentre
in America è stato Peter O’Toole a prendersi tutte le attenzioni di critici e
festival. È stato candidato a tutti i premi cinematografici principali, inclusa la
sua ottava e ultima nomination all’Oscar come miglior attore protagonista.
O’Toole perse contro Forest Whitaker per il suo ruolo del dittatore ugandese
Idi Amin Dada ne L’ultimo re di Scozia.
Curiosità
Il regista Roger Michell, famoso per Notting
Hill, ha affidato a O’Toole un ruolo che
presenta tante somiglianze con l’attore
irlandese. Così come Maurice, O’Toole si è
sempre definito un attore teatrale e
shakespeariano. Inoltre, il personaggio
ricorda tantissimo il suo interprete per la
volontà di vivere il presente, di prediligere
sempre il piacere, per la passione verso l’arte,
la bellezza femminile e il vizio dell’alcol. In
particolare, sono tre le scene che riassumono
la vita e la carriera di O’Toole. Dopo che
Jessie ha raccontato un episodio tragico del
proprio passato, Maurice la consola
recitando il diciottesimo sonetto di William
Shakespeare: Shall I compare thee to a summer’s day?. O’Toole aveva un’autentica
ossessione per il Bardo e conosceva a memoria tutti i 154 sonetti. L’altra
celebre scena è ambientata in un parco di Londra, dove Maurice finisce su un
palcoscenico di un vecchio anfiteatro, ormai abbandonato e in rovina.
O’Toole è al centro della scena, chiude gli occhi e gli sembra di sentire gli
applausi del pubblico. La terza e ultima scena è il dialogo tra Maurice e la sua
ex moglie Valerie. Il vecchio attore sa che gli è rimasto poco da vivere e cerca
di dire addio alla sua amica e unica confidente. Alla sua domanda dove sta
andando, Maurice risponde: «We won’t live forever» («Noi non vivremo per
sempre»).
Venus non è mai uscito in Italia.
Ratatouille
un film di Brad Bird, Jan Pinkava
con le voci originali di Patton Oswalt, Peter O’Toole, Ian Holm
ANIMAZIONE, durata 117 min. USA, 2007
Trama
Nella Parigi del 1970 il piccolo ratto Remy
(Patton Oswalt) è insoddisfatto della sua
vita. È un prodigio nel campo della cucina
grazie al suo olfatto e gusto, un talento
sprecato perché gli altri ratti, compresi suo
padre e suo fratello, mangiano la prima cosa
che trovano. Remy si sente emarginato e
incompreso dalla propria famiglia e dai
propri simili. Un giorno, dopo una serie di
fortuite coincidenze, finisce nel ristorante di
Auguste Gusteau, idolo del piccolo ratto e
famoso per il suo motto: “Chiunque può
cucinare”. Ma Gusteau non è più in vita. Il
suo ristorante era uno dei più prestigiosi in
Francia, ma ora è in una situazione di
mediocrità a causa della gestione di Skinner
(Ian Holm), desideroso di aprire una catena di ristoranti sfruttando la fama e
l’aspetto del suo predecessore. Occupato nei suoi piani, Skinner assume
Alfredo Linguini (Lou Romano), figlio illegittimo di Gusteau, come lavapiatti
e ragazzo tuttofare. Quest’ultimo vorrebbe essere un cuoco, ma non è
proprio portato. Dopo un reciproco timore iniziale, Remy e Alfredo
collaborano per soddisfare gli obiettivi di entrambi: cucinare e sperimentare
per Remy, ricalcare le orme del proprio genitore per Alfredo. Ma Skinner
inizia a sentirsi minacciato dal “talento” di Linguini. Mentre la sfida più
grande deve ancora arrivare: il destino del ristorante e di tutto il suo staff è
nella penna del critico culinario più famoso e spietato di Parigi, il vecchio e
presuntuoso Anton Ego (con la voce di Peter O’Toole).
La fortuna
Ratatouille è al sesto posto dei film che hanno incassato di più nel 2007 con i
suoi 623.722.818 dollari in tutto il mondo, di cui 17.448.893 euro solo in
Italia. L’ottavo film d’animazione della Disney Pixar ha incassato più di alcuni
blockbuster di quell’anno: 300 di Zack Snyder e il film de I Simpson. Sono
tantissimi i premi che ha vinto nella stagione 2007/2008, non lasciando
praticamente niente ai suoi diretti concorrenti come Persepolis e Surf’s Up. Nel
2008 Ratatouille è stato candidato a 5 premi Oscar, una vera rarità nella storia
degli Academy Awards, vincendo il premio per il miglior film d’animazione.
Le altre quattro nomination sono state date per miglior sonoro, montaggio
sonoro, colonna sonora di Michael Giacchino e sceneggiatura originale. Il
film ottenne un tripudio di elogi da parte delle critica. Roger Ebert, uno dei
critici cinematografici più famosi del mondo e scomparso nel 2013, scrisse
che Ratatouille è l’unico film d’animazione di cui lui desideri vedere un sequel.
Curiosità
Anche se nelle vesti inedite di
doppiatore, Peter O’Toole riuscì a
catalizzare su di sé l’attenzione di
pubblico e critica. Forte della sua
preparazione teatrale e famoso per la
sua voce, all’attore irlandese bastarono
poche scene per rendere il suo
personaggio indimenticabile.
Dal
numero di visualizzazioni su YouTube,
il monologo di Anton Ego (o sarebbe
meglio dire, la critica finale), doppiato
appunto da O’Toole, è la scena più
popolare del film. Tanti critici avevano auspicato perfino una nomination a
qualche premio come miglior attore non protagonista.
Quando gli fu inviata la sceneggiatura di Ratatouille, Peter O’Toole pensò che
si trattasse di uno scherzo. Non aveva mai preso in considerazione di recitare
in un film d’animazione. Ma trovò la sceneggiatura impeccabile e si innamorò
della famosa critica finale di Ego. Poi, quando visitò gli studi della Disney
Pixar in California, O’Toole rimase affascinato dall’atmosfera allegra e allo
stesso tempo professionale del posto e accettò il ruolo che lo fece conoscere
anche ai più giovani.
Ovviamente, si consiglia la visione del film in lingua originale con i sottotitoli
in italiano.
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