carta canta — 91
Le recensioni
D
di Giuseppina La Face Bianconi
saggi critici sul teatro
mozartiano. Ma il tascabile di Manfred Hermann Schmid su Le opere teatrali di Mozart, che
Bollati Boringhieri propone ai melomani italiani nella
snella e precisa traduzione di Elisabetta Fava, merita una
menzione speciale: è raro infatti incontrare un così ricco
condensato di sapere storico e d’intelligenza critica, offerto con tanta urbanità e sobrietà. L’autore, ordinario a
Tübingen, è un mozartiano di lungo corso: dirige i «Mozart-Studien» e presiede la Akademie für Mozart-Forschung nel Mozarteum di Salisburgo. Il volumetto è articolato in due parti equilibrate. Nella prima, Schmid squaderna il sistema dei generi che il compositore ha sperimentato in proprio (opera seria e buffa, Singspiel, dramma scolastico latino, melologo, musica di scena, oratorio) o ha vagheggiato (la tragédie lyrique e l’opéra-comique); illustra le procedure che governano la scelta del soggetto,
la stesura del libretto, la resa scenica, l’adeguamento alle risorse vocali dei cantanti; redige l’inventario delle forme musicali, arie, recitativi, concertati, cori; dedica infiavvero non mancano i
ne un aureo capitoletto alla struttura dell’orchestra mozartiana, articolata in sezioni fortemente specializzate: da
solo, vale il prezzo del libro. Tracciate queste coordinate,
nella seconda parte Schmid esamina le sette opere maggiori, distribuite per generi: a ciascun capitolo – una decina di pagine l’uno – antepone una stringata sintesi del
plot, che mira all’embrione generativo della sua specifica
drammaturgia. La rassegna parte dall’opera di taglio metastasiano, Idomeneo e La clemenza di Tito: tra i tanti praticati da Mozart, è il genere più illustre. Tratta poi le tre opere
buffe su testo di Da Ponte, infine Entführung e Zauberflöte:
per quanti aspetti abbiano in comune, queste e quelle recano l’impronta tangibile del diverso substrato linguistico e poetico. Uno dei punti forti nell’analisi di Schmid risiede proprio nell’attenzione riservata alla metrica e alla
lingua poetica, che Mozart ricalca e potenzia con irrefrenabile vivacità teatrale: da qui l’esilarante immediatezza,
la corporea flagranza del suo teatro musicale.
Due pubblicazioni di studiosi stranieri, apparse in Italia, aprono un doppio scrigno di epistolari sul teatro
Manfred Hermann Schmid,
Le opere teatrali di Mozart,
Torino, Bollati Boringhieri, 2010,
131 pp., isbn 978-88-339-2163-1, 17 euro.
Vassilis Vavoulis,
‘Nel theatro di tutta l’Europa’.
Venetian-Hanoverian Patronage in 17th-Century Europe,
Lucca, Libreria Musicale Italiana, 2010,
xlvii-502 pp., isbn 978-88-7096-621-3, 40 euro.
Owen McSwiny’s Letters, 1720-1744,
a cura di T.D. Llewellyn,
Venezia, Fondazione Giorgio Cini
Verona, Scripta Edizioni, 2009
(«Lettere artistiche del Settecento veneziano», 4),
445 pp., isbn 978-88-96162-04-0, 24 euro.
d’opera barocco a Venezia. Vassilis Vavoulis pubblica le
trecento e più missive indirizzate a Giovanni Federico
duca di Brunswick-Lüneburg tra il 1669 e il ’79 dal suo
agente Francesco Maria Massi, dal maestro di cappella
Antonio Sartorio e dai librettisti Dolfin e Beregan. Convertito al cattolicesimo, il duca forniva milizie alla Serenissima e teneva palchi privati nei teatri di Venezia. I
corrispondenti lo informano dei successi e dei
fiaschi teatrali, ma anche
delle beghe tra le canterine e i loro aristocratici
protettori. Non mancano
gli episodi piccanti, come
la disfida canora tra due
«virtuose» protette da un
marchese Rangoni: una
«zitellotta romana furba
come un diavolo, piena
di succo, tutta brio, presta come una donnola»;
l’altra, gelosa, si rivale col
«cantare un lamento, prega, ammollisce, chiama il
suo usurpato bene, vibra
svisceratezze dagl’occhi».
Il fascino del teatro e la seduzione del canto sconfinano
nell’ostentazione sociale e nel marketing politico: l’opera è
nel ’600 anche un affare di sopraffina diplomazia.
Cinquant’anni dopo, l’irlandese Owen McSwiny, impresario fallito del Queen’s Theatre, da Venezia procura al duca di Richmond favolosi dipinti del Canaletto, e ai
direttori dell’opera di Haymarket libretti e partiture. L’interesse delle lettere, edite da T.D. Llewellyn per la Fondazione Cini, sta nel fatto che il faccendiere raccomanda i drammi per musica in base al loro contenuto morale. Del Siface di Porpora, per esempio, dice che «la musica
è eccellente» ma non il libretto: «i personaggi principali
sono viziosi, dunque la compassione degli spettatori non
può mai accendersi in loro favore, talché tutte le arie tenere son sprecate». Nel Settecento, il melodramma è ormai
scuola dei sentimenti: e il giudizio di un intenditore che
conosce i rischi del mestiere teatrale ce lo conferma. ◼
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