Cultura 8 Sabato, 2 aprile 2011 ✎ Che cosa leggere è pensare Il gesuita francese Paul Valadier contro l’eclissi dello spirituale pensare di Gesù? G Lo spirituale e la politica: un rapporto fecondo “E se la vita spirituale fosse una delle condizioni fondamentali di un’intensa vita sociale e politica?”. È la conclusione di un breve ma intenso lavoro del gesuita Paul Valadier, uno dei massimi studiosi di Nietzsche, dal titolo davvero consono al dibattito di questi tempi, “Lo spirituale e la politica” (Lindau, 94 pagine, euro 12.50). Basterebbe ragionare su quella frase per riempire foreste di libri e per fomentare anni di dibattiti, ma non potendo attendere così tanto tempo, possiamo benissimo accontentarci di questo contributo, asciutta e talvolta critica raccomandazione dell’universo spirituale non solo in teologia e in filosofia, ma anche – e soprattutto – nella sfera del politico, là dove, cioè, molti addetti ai lavori vorrebbero toglierlo come dannoso ed estraneo. In poco spazio, meno di cento pagine, Valadier riesce a darci il senso di una storia in cui lo spirito è stato cacciato a pedate o – al contrario – ha osato troppo. Nel secondo caso, l’autore fa un discorso piuttosto coraggioso, anche se supportato dalla storiografia e dal buon senso. Una aggressiva promozione della sfera spirituale nella cosa pubblica crea problemi, di rigetto, di contrapposizione e di fattibilità, come è accaduto nel caso di Savonarola alla fine del Quattrocento, quando con le sue infuocate prediche fece l’errore di identificare quello Stato che si stava costruendo a Firenze dopo la cacciata dei Medici con lo Stato perfetto voluto da Dio. Un errore che avrebbe più tardi visto in buona compagnia il focoso predicatore, se si pensa solo alla fascinazione subita da Robespierre da parte del pensiero di Rousseau. Pensiero affascinante quanto si vuole per i suoi profondi risvolti umani e palingenetici, ma che staccando lo spirituale della fede (in questo caso quella cristiana) creava la paradossale necessità di imporre una politica dove interiorità e vita pubblica fossero assolutamente consonanti e virtuose, a costo di dover far fuori chi non fosse coerente. Il fatto è che a Valadier non sfugge un altro paradosso della sfera spirituale, quello della spiritualizzazione a tutti i costi come nel caso di alcune comunità e di alcuni movimenti protestanti e anche cattolici. Qui l’autore affonda il bisturi con un discorso piuttosto deciso: quando, anche nel caso di discorsi di conversione e di cammino in comunità, si tende ad espellere il corporale come peccaminoso, si fanno più danni dei guai che si intendono curare: citando Giovanni l’evangelista (“E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”) Valadier scrive che “una spiritualità che non obbedisse a questo movimento di assunzione della carne non sarebbe in alcun modo fedele al movimento adottato dal Creatore stesso attraverso Gesù”. Che c’entra la tendenza dualistica e antimaterialistica di alcune comunità con la politica? C’entra, dice l’autore, perché quella tendenza favorisce “una reticenza ad assumere la propria incarnazione o, in altri termini, ad accettare le mediazioni o le deviazioni”. L’emotivo prende la mano, diventa assoluto e non accetta quelle mediazioni che sono necessarie alla cura e all’equilibrio delle diverse componenti all’interno della cosa pubblica. Anche perché, scrive Valadier, “ci si accorge senza fatica fino a che punto i movimenti carismatici abbiano segnato un affievolimento dell’impegno politico propriamente detto di molti cattolici”. Non è solo l’ipertrofia dello spirituale che preoccupa il filosofo. C’è il problema del silenzio, elemento fondamentale – anche Gesù lo desiderava – per la ricerca di quella verità che non ci è sempre chiara. Per Valadier, le nuove forme di incontro mediatico, in particolare quelle della Rete, creano “rumore”, accumulazione, apparente bagno di comunicazione, che ci rendono poi impossibile il ritorno a quella solitudine necessaria soprattutto a chi deve interrogarsi sulle conseguenza delle proprie azioni, dalla sfera professionale – si pensi agli psichiatri e agli psicologi, agli stessi insegnanti – a quella politica, soprattutto quando i tempi propongono appuntamenti in cui è in ballo il futuro stesso dell’uomo. Libretto davvero utile per capire come lo spirituale, se inteso in senso più vasto, possa essere motivo di ragionevole incontro nella sfera del politico, laddove il sospetto è che esso sia stato eliminato per poter meglio vendere prodotti tossici anche per le coscienze, non solo per i corpi. MARCO TESTI ■ Un piccolo gioiello della “tradizione orale” toscana Leggendario popolare delle figure sacre D alla più autentica tradizione popolare toscana, piccole perle di saggezza orale raccolte con cura dal professor Carlo Lapucci, studioso e grande conoscitore della letteratura della sua regione. Le Profacole, “come in Toscana si dicono”, sono le parabole del popolo, storie dal tono spesso ironico, che nascondono una riflessione profonda sul senso della vita e sui suoi interrogativi. I protagonisti sono figure dell’Antico Testamento, la Sacra Famiglia e la coppia Cristo e San Pietro, pellegrini sulla terra per osservare gli uomini e capire come conducono le loro esistenze. La Madonna con Gesù Bambino, San Giuseppe, Gesù con i suoi apostoli sono rappresentati in vesti quotidiane, immersi in un’ambientazione contadina e rurale, e impegnati in attività semplici e comuni. Il Cristo adulto delle Profacole è un personaggio umile e poco loquace che passa tra la gente e solo di rado si rivela o interviene per ammonire e correggere, ma attraverso le sue azioni regala sempre preziosi insegnamenti. Nelle sue peregrinazioni per il mondo Cristo invita gli uomini, e soprattutto l’incredulo Pietro, ad accettare la vita e le sue misteriose contraddizioni, perché portatrici di un senso profondo anche se oscuro alla mente degli uomini. San Pietro è il suo interlocutore principale, tracciato qui non tanto come il saggio e ieratico custode del Paradiso, ma piuttosto come paradigma di un’umanità fedele e insieme dubbiosa, a volte fino alla ribellione, nei confronti di un disegno che non comprende e cerca di aggirare con imbrogli e piccole furberie. A chiudere il quadro non potevano mancare due tipici personaggi dell’immaginario popolare di qualunque tradizione: il Diavolo, qui sempre sconfitto, dal Signore o dall’ingegno umano, e la Morte, riluttante ad accettare il suo ingrato compito ma comunque necessaria e giusta. CARLO LAPUCCI, Le Profacole. Leggendario popolare delle figure sacre, Cantagalli, pagine 414, euro 24,00. iovedì 24 marzo, l’appuntamento dei “Dialoghi in Cattedrale”, promossi dalla diocesi di Roma presso la basilica papale di San Giovanni in Laterano, è stato dedicato alla presentazione del libro del Papa “Gesù di Nazareth. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla Risurrezione”. Sono intervenuti mons. Gerhard Ludwig Müller, vescovo di Ratisbona, e Marcello Pera, senatore della Repubblica. “Rendere accessibile la figura di Gesù agli uomini che rischiano di essere travolti dalle bufere del tempo e della storia, è senz’altro un’impresa che va di gran lunga al di là della passione di un ex professore di teologia, la cui occupazione preferita è quella di scrivere libri”. È il parere espresso da mons. Gerhard Ludwig Müller. “Perché qui non si tratta di un ulteriore libro su Gesù - ha chiarito il presule -. Si tratta invece di occuparsi direttamente di Gesù stesso e, tramite lui, del nostro rapporto con Dio”. Secondo il vescovo, “con le sue capacità intellettuali, il Papa potrebbe sbaragliare le sofisticate riflessioni e analisi storiche che, mediante una ricerca orientata sui paradigmi del positivismo e del naturalismo e con gli strumenti della filosofia critica e della metodologia storico-critica, mirano a dimostrare che la rivelazione di Dio in Gesù Cristo non rappresenta un dato di fatto storico”. Ma ecco, ha evidenziato mons. Müller, che “ad affrontare l’apparentemente invincibile ‘Golia del relativismo’, intellettualmente e politicamente agguerrito e potenziato a livello mediatico, si fa avanti Davide, il pastore del popolo di Dio, senza armi ma pieno di una imperturbabile fiducia in Dio - ‘Nel nome del Signore’”. In effetti, ha fatto notare il presule, “il linguaggio e le argomentazioni di Benedetto XVI hanno un tono semplice e dimesso, come quello di Paolo. Non si tratta di prodursi in discorsi brillanti, né di abbandonarsi al piacere intellettuale della riflessione e della retorica, bensì di diffondere l’annuncio di Dio e del suo Regno: Gesù Cristo crocifisso e risorto”. “Quale ruolo ha il cristianesimo nella nostra vita? La questione viene sollevata nel capitolo 7 sul processo a Gesù, in particolare la sezione terza intitolata ‘Gesù davanti a Pilato’”. Da questa domanda è partito Marcello Pera. “Oggi che viviamo nell’epoca della secolarizzazione - ha affermato il senatore - siamo nella migliore condizione per comprendere questo povero governatore della Giudea. Esattamente come Pilato, anche noi siamo impreparati al problema della verità”. Di più: “Una corrente di pensiero che nasce con la modernity ci ha fornito una teoria consolatoria per disfarcene: la verità - dice questa corrente di pensiero - non compete alla politica, all’etica e al diritto, che si organizzano secondo categorie proprie, quali rispettivamente, l’utile, il buono, il legale; la verità appartiene alla scienza e a ciò che a riducibile al metodo della prova scientifica. Perciò, siccome l’utile, il buono e il legale non sono oggetto di prova scientifica, la politica, l’etica, il diritto non sono scienza, perciò sono senza verità”. Nel linguaggio ordinario odierno, ha osservato Pera, “il termine ‘pilatesco’ si applica in senso deteriore a chi non si assume responsabilità”. Se è cosi, allora pilatesco “è il laico moderno che non si assume la responsabilità della verità o perché la nega in assoluto o perché, considerando tutte le verità equipollenti, non si impegna su alcuna di esse”. Ma “Benedetto XVI si oppone a questa conclusione”. Da un lato, “si deve evitare ciò che altrove Benedetto XVI e Giovanni Paolo II hanno definito ‘la dittatura del relativismo’ (non c’e alcuna verità), ma dall’altro lato occorre ugualmente evitare ciò che potremmo chiamare la ‘dittatura della verità’ (c’e una sola verità) o, come dice Benedetto XVI, la ‘menzogna ideologica’ dei regimi oppressivi”.